Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO POLITICO RELIGIOSO GIORNALE QUOTIDIANO Non praevalebunt Unicuique suum Anno CLV n. 61 (46.899) Città del Vaticano domenica 15 marzo 2015 . Inizia il cammino verso l’anno santo straordinario annunciato da Papa Francesco La casa che accoglie tutti Per una Chiesa che apre le porte della misericordia di Dio «Nessuno può essere escluso dalla misericordia di Dio. Le sue porte permangono spalancate, perché quanti sono toccati dalla grazia possano trovare la certezza del perdono». Nelle parole di Papa Francesco risuonate venerdì 13 marzo nella basilica vaticana Udienze agli insegnanti cattolici e alla comunità Seguimi PAGINA 7 il senso dell’Anno santo della misericordia, che si celebrerà dall’8 dicembre prossimo al 30 novembre 2016. Nel giorno in cui è iniziato il terzo anno del pontificato, l’annuncio del Pontefice richiama il Vangelo della misericordia che è al centro della vita della Chiesa, «la casa che tutti accoglie e nessuno rifiuta». Una casa dalle porte spalancate, immagine eloquente della porta santa che si aprirà proprio in occasione del giubileo straordinario. Durante la celebrazione penitenziale il Papa ha confidato di aver «pensato spesso a come la Chiesa possa rendere più evidente la sua missione di essere testimone della misericordia». Si tratta di «un cammi- no che inizia con una conversione spirituale» ha sottolineato, aggiungendo al testo preparato un invito esplicito: «dobbiamo fare questo cammino». Da qui la decisione di un giubileo da «vivere alla luce della parola del Signore: “Siate misericordiosi come il Padre”» del vangelo di Luca, dal quale saranno tratte le letture per le domeniche del tempo ordinario durante l’anno santo. Che si aprirà nel giorno dell’Immacolata, lo stesso in cui cinquant’anni fa si chiudeva il Vaticano II (nell’illustrazione: Jean Guitton, «Giovanni e Pietro davanti al concilio», 1964, particolare). PAGINA 8 Ciò che cambia il mondo di RINO FISICHELLA n anno santo della misericordia. Non è improprio sostenere che Papa Francesco ha fatto della misericordia il suo programma di pontificato. Questo giubileo anche se arriva improvviso non è affatto inaspettato. Giunge nel secondo anniversario dell’elezione di Jorge Mario Bergoglio a successore di Pietro. Per molti versi, l’annuncio di un anno santo straordinario non fa che confermare quanto il Papa aveva scritto nella sua lettera programmatica Evangelii gaudium: «La Chiesa “in uscita” è la comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano... e per questo essa sa fare il primo passo, sa prendere l’iniziativa senza paura, andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi. Vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia, frutto dell’aver sperimentato l’infinita misericordia del Padre e la sua forza diffusiva. Osiamo un po’ di più di prendere l’iniziativa!» (n. 24). Ecco l’iniziativa che Papa Francesco ha assunto e che trascina con sé tutta la Chiesa in un’avventura di contemplazione e preghiera, di conversione e di pellegrinaggio, di impegno e testimonianza, di fantasia della carità da vivere dovunque. Un’iniziativa già prefigurata, fin dal suo primo Angelus quando con semplicità Papa Francesco diceva: «Misericordia. È il meglio che noi possiamo sentire: cambia il mondo». Non è un caso che l’annuncio del giubileo sia stato dato proprio durante una celebrazione penitenziale. Papa y(7HA3J1*QSSKKM( +,!z!%!#!\! U Francesca Cabrini e l’Expo di ieri e di oggi Erano meravigliati di vedere la regina accanto a me MARIA BARBAGALLO A PAGINA 4 Francesco, parlando della misericordia, ha indicato anche il primo luogo in cui ciascuno può sperimentare direttamente l’amore di Dio che perdona: la confessione. L’icona del Papa inginocchiato dinanzi al confessore permane come il linguaggio più espressivo per far riscoprire la bellezza di questo sacramento da troppo tempo dimenticato. Le parole di Papa Francesco al suo primo Angelus ritornano oggi con tutta la loro forza profetica: «Non dimentichiamo questa parola: Dio mai si stanca di perdonarci, mai... noi ci stanchiamo, noi non vogliamo, ci stanchiamo di chiedere perdono. Lui mai si stanca di perdonare». Molti fedeli in questi due anni si sono riaccostati, dopo tanti anni, al confessionale proprio perché colpiti da questo invito del Papa. Celebrare questo sacramento, comunque, è l’inizio di un cammino di carità e solidarietà. La misericordia, infatti, ha un volto: è l’incontro con Cristo che chiede di essere riconosciuto nei fratelli. Rivisitare le opere di misericordia, pertanto, sarà un percorso obbligatorio durante il prossimo giubileo. L’apertura della porta santa avverrà nella solennità dell’Immacolata Concezione. Neppure questa data è una scelta casuale. Cinquant’anni fa, presso quella stessa porta si concludeva il concilio Vaticano II. Aprendo la porta santa è come se Papa Francesco volesse far ripercorrere a tutti l’intensità di quei quattro anni di lavori conciliari che fecero comprendere alla Chiesa l’esigenza di uscire di nuovo verso il mondo. Il Vaticano II, infatti, chiedeva alla Chiesa di parlare di Dio a un mondo cambiato, con un linguaggio nuovo, efficace, ponendo al centro Gesù Cristo e la testimonianza di vita. Quale parola più espressiva poteva attendere il mondo dalla Chiesa se non quella di misericordia? E proprio nella Gaudium et spes, là dove i Padri affrontavano il tema dell’aiuto che la Chiesa poteva offrire alla società, si ribadiva che essa «può, anzi deve, suscitare opere destinate al servizio di tutti, ma specialmente dei bisognosi come, per esempio, opere di misericordia» (Gaudium et spes, 42). Prima di ogni intervento di ordine politico, economico e sociale, la Chiesa offre la sua nota distintiva: essere segno efficace della misericordia di Dio. Papa Francesco, annunciando un anno santo straordinario con al centro la misericordia ribadisce la strada che cinquant’anni prima era stata indicata dai padri conciliari e conferma la Chiesa nell’instancabile cammino della nuova evangelizzazione. La misericordia sarà in questo anno la protagonista della vita della Chiesa per consentire a tutti di percepire la grandezza del cuore paterno di Dio che ha voluto rivelarsi e farsi conoscere come «ricco di misericordia e grande nell’amore». Per la Colombia un triste secondo posto BO GOTÁ, 14. Dopo la Siria, la Colombia soffre le conseguenze della più grande crisi di sfollati e rifugiati al mondo con sei milioni di persone costrette ad abbandonare le loro case a causa di un conflitto che si protrae da oltre mezzo secolo. Secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), è più che mai urgente trovare una soluzione all’emergenza umanitaria basata sui diritti umani. Per agire concretamente, l’Unhcr è convinta che un eventuale accordo di pace tra il Governo di Juan Manuel Santos con le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (Farc) diminuirebbe il numero dei rifugiati, ma avverte le azioni dei gruppi armati non inclusi nel negoziato continueranno a incidere negativamente. Un agente con i bambini di un villaggio precedentemente controllato dalle Farc (Reuters) NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza: Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Marc Ouellet, Prefetto della Congregazione per i Vescovi; Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Orlando Antonini, Arcivescovo titolare di Formia, Nunzio Apostolico in Serbia. Il Santo Padre ha nominato Consultori della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi i Reverendi Signori: Monsignor Lluís Clavell, Membro Ordinario della Pontificia Accademia di San Tommaso d’Aquino; Giuseppe Bonfrate, Docente presso la Facoltà di Teologia della Pontificia Università Gregoriana in Roma; Maurizio Gronchi, Professore Ordinario di Teologia Dogmatica presso la Pontificia Università Urbaniana in Roma; Michele Giulio Masciarelli, Docente di Teologia Dogmatica presso la Facoltà Marianum in Roma e di Teologia Fondamentale presso l’Istituto Teologico Abruzzese-Molisano in Chieti; Peter Paul Saldanha, Docente di Ecclesiologia presso la Pontificia Università Urbaniana in Roma; Dario Vitali, Docente di Ecclesiologia presso la Pontificia Università Gregoriana in Roma; Aimable Musoni, S.D.B., Docente di Teologia Sistematica, Ecclesiologia ed Ecumenismo presso la Pontificia Università Salesiana in Roma; i Reverendi Padri: François-Xavier Dumortier, S.I., Rettore Magnifico della Pontificia Università Gregoriana in Roma; Georges Ruyssen, S.I., Docente di Diritto Canonico presso il Pontificio Istituto Orientale in Roma; Sabatino Majorano, C.SS.R., Docente di Teologia Morale Sistemati- ca presso l’Accademia Alfonsiana in Roma; Manuel Jesús Arroba Conde, C.M.F., Preside dell’Istituto Utriusque Iuris presso la Pontificia Università Lateranense; José Granados, D.C.J.M., Vice Preside del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia, Docente presso la Pontificia Università Gregoriana. Provvista di Chiesa Il Santo Padre ha nominato il Reverendo Padre Alojzij Cvikl, S.I., Arcivescovo Metropolita di Maribor (Slovenia). Dalle Chiese orientali cattoliche Il Sinodo dei Vescovi della Chiesa Patriarcale Maronita, tenutosi in sessione straordinaria elettiva dal 10 al 14 marzo 2015: — ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’Eparchia di Lattaquié, presentata da Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Elias Sleiman, in conformità al canone 210 del Codice dei canoni delle Chiese orientali (CCEO); — ha eletto Presidente del Tribunale Patriarcale di Appello Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Elias Sleiman; — ha eletto Vescovo di Zahlé, Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Joseph Mouawad, finora Vescovo titolare di Tolemaide di Fenicia e Vicario Patriarcale in Ehden-Zgorta; — ha eletto, previo Assenso Pontificio, Vescovo di Lattaquié in Siria, il Reverendo Corepiscopo Antoine Chbeir, finora Cancelliere nel Vicariato Patriarcale di Jounieh e Parroco di Nostra Signora dei Doni in Adna. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 domenica 15 marzo 2015 Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, apre i lavori della conferenza (Ansa) Intervento della Santa Sede sull’ambiente sostenibile TOKYO, 14. Si apre oggi a Sendai, nel nordest del Giappone, la Terza conferenza mondiale dell’Onu sulla riduzione del rischio di disastri naturali. Un vertice che porterà nella città nipponica almeno trenta tra capi di Stato e di Governo e il segretario delle Nazioni Unite, Ban Kimoon. Secondo il programma del summit, saranno adottati la Dichiarazione politica e il documento operativo sulla strategia post-2015 per la riduzione del rischio disastri, il cui scopo è definire una serie di principi e di linee guida, seppur non vincolanti, per trovare la migliore strategia possibile su sviluppo sostenibile e incremento delle capacità di resistenza ai rischi, con l’adozione di un nuovo quadro d’azione. Uno schema generale che sostituirà quello della conferenza del 2005, indicando i settori prioritari d’intervento nei prossimi quindici anni. In base ai recenti rapporti dell’Ufficio delle Nazioni Unite, negli ultimi dieci anni la frequenza e gli effetti delle catastrofi e delle emergenze sono cresciuti, con costi che raggiungono ormai i trecento miliardi di dollari annui. «Ogni dollaro investito nella prevenzione — ha osservato da Tokyo Jim Yong Kim, presidente della Banca mondiale, nel corso di un incontro con la stampa estera — vale trentasei dollari in termini di benefici economici». Ed è in questo contesto che assumono sempre maggiore importanza le attività di prevenzione, pianificazione e preparazione, al fine di ridurre la portata delle catastrofi e renderne più efficiente la gestione. Il summit, che si tiene a cadenza decennale e che il Giappone ha già ospitato nella precedente edizione di Kobe del 2005, prevede che la Dichiarazione politica metta in risalto l’indispensabile e pieno coinvolgimento delle organizzazioni internazionali, delle ong, delle amministrazioni locali, delle comunità vulnerabili e del settore privato. Secondo fonti di stampa, è previsto che il primo ministro nipponico, Shinzo Abe, comunicherà alla con- Una questione di giustizia Pubblichiamo la traduzione italiana della dichiarazione dell’arcivescovo Silvano M. Tomasi, Osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite e altre organizzazioni internazionali a Ginevra, in occasione della 28ª Sessione del Consiglio dei diritti dell’uomo sull’ambiente sostenibile. Signor Presidente, Come la Santa Sede ha affermato durante il summit sul clima delle Nazioni Unite, il godimento di un ambiente sostenibile è una questione di giustizia, di rispetto e di equità. Il degrado ambientale può influenzare, e di fatto influenza, in modo negativo il «godimento di una vasta serie di diritti umani» (cfr. doc. A/HRC/22/43, par. 34). Lo stesso Consiglio dei diritti dell’uomo ha affermato che «i danni ambientali possono avere implicazioni negative, sia dirette sia indirette, per l’effettivo godimento dei diritti umani» (cfr. Risoluzione 16/11). Queste situazioni devono essere affrontate dalla prospettiva del principio di una giustizia contributiva e distributiva. Di una giustizia contributiva, nel senso che tutti devono contribuire in base alle loro possibilità finanziarie e tecnologiche; di una giustizia distributiva, al fine di fornire a ogni Paese il know-how, nonché la possibilità di svilupparsi, Aperta in Giappone la Conferenza dell’O nu Come limitare gli effetti delle catastrofi naturali ferenza un maggiore impegno finanziario del suo Paese per le misure di prevenzione in Nazioni in via di sviluppo, ma anche le prospettive di intervento di Tokyo rispetto alla ricostruzione delle aree devastate del Giappone nord-orientale e l’emergenza nucleare, ancora in atto, nella disastrata centrale di Fukushima. La scelta di svolgere il vertice a Sendai, capoluogo della prefettura di Miyagi, non è casuale: la città è stata infatti colpita da un terribile terremoto nel marzo 2011 con successivo tsunami le cui onde hanno spazzato via treni, edifici, navi, automobili, aeroporto e persone. La catastrofe provocò oltre 15.000 morti, inclusa la più grave emergenza nucleare dopo Chernobyl. È stato il più potente sisma in Giappone e il quarto a livello mondiale. L’arcipelago del Pacifico devastato dal passaggio del ciclone Pam Decine di vittime nelle isole Vanuatu Situazione drammatica nella capitale Port Vila SYDNEY, 14. Si temono decine di morti a Vanuatu per il passaggio del ciclone Pam che ha lasciato «una totale devastazione», in quello che potrebbe essere uno dei più gravi disastri mai registrati nel Pa- cifico. È l’allarme lanciato da Save the Children e da altre agenzie dell’Onu presenti nell’arcipelago che si trova a circa 1.750 chilometri a est dell’Australia. Le 65 isole sono state spazzate da venti fino a 270 chilometri orari che hanno devastato interi villaggi mentre molte zone sono state inondate dalle piogge torrenziali. Le comunicazioni sono isolate e manca la corrente praticamente in Gigantesco incendio assedia la città cilena di Valparaíso SANTIAGO DEL CILE, 14. Il Governo cileno ha proclamato la notte scorsa lo stato di emergenza per la zona delle città di Valparaíso e Viña del Mar, disponendo l’evacuazione di almeno 16.000 persone a causa del gigantesco incendio forestale che avanza incontrollato nella regione. A darne notizia è stato il sottosegretario dell’Interno, Mahmud Aleuy. L’emergenza ha provocato una vittima, una donna di 67 anni morta per problemi cardiorespiratori e dieci feriti — di cui due in gravi condizioni — tra i volontari dei vigili del fuoco impegnati nella difficile opera di contenimento delle fiamme. Altre cinque donne sono rimaste ferite nell’incendio. L’incendio è scoppiato in una discarica abusiva e si è propagato con grande rapidità a causa del forte vento. Per cercare di spegnere le fiamme sono stati impiegati sette aerei, otto elicotteri e 12 brigate di pompieri. La zona di Valparaíso fu già colpita lo scorso aprile da un incendio che fece 15 morti, 500 feriti e provocò la distruzione di 15.000 case. «Abbiamo decretato l’allerta rossa a Valparaíso e Viña del Mar, e quella gialla nelle aree vicine», ha precisato il ministero dell’Interno, sottolineando che finora le fiamme hanno distrutto oltre 300 ettari. Il sindaco di Valparaíso, Jorge Castro, ha d’altra parte confermato che le fiamme hanno già distrutte numerose abitazioni alla periferia della città. L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano [email protected] www.osservatoreromano.va di produrre beni e di fornire servizi. La giustizia riparativa implica che quanti hanno tratto più vantaggio dall’uso delle risorse naturali, e quindi hanno danneggiato maggiormente l’ambiente, hanno un dovere speciale di adoperarsi per il suo ripristino e la sua cura. Gli obblighi e gli impegni relativi ai diritti umani hanno il potenziale di influenzare e rafforzare la legislazione internazionale, regionale e nazionale nel campo della protezione dell’ambiente ed esortano gli Stati a «tenere conto dei diritti umani quando sviluppano le loro politiche ambientali» (Risoluzione 16/11). Questo Consiglio, come anche le Parti alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, hanno dichiarato che gli Stati devono, in tutte le azioni collegate al cambiamento climatico, rispettare appieno i diritti umani (Risoluzione 18/22; e FCCC/CP/2010/7/add.1, decisione 1/CP.16). Gli obblighi relativi ai diritti umani collegati all’ambiente comprendono anche quello sostanziale di adottare quadri legali e istituzionali che proteggano contro i danni ambientali che potrebbero interferire con il godimento dei diritti umani, compresi quelli causati da attori privati. Come la mia Delegazione ha già dichiarato nel suo intervento sulle società transnazionali, ribadia- Macerie delle abitazioni distrutte dal ciclone (Ap) Grave epidemia di dengue nello Stato brasiliano di San Paolo BRASILIA, 14. Si aggrava l’epidemia di dengue nello Stato di San Paolo, il più ricco e sviluppato del Brasile. Nell’ultima settimana si sono infatti registrati cinque nuovi casi mortali, che hanno portato a ventinove le vittime dall’inizio dell’anno. Nello stesso periodo del 2014 i morti erano stati cinque. Tre degli ultimi decessi si sono verificati a Bauru e due nella regione di Campinas, nel nordest. I casi di dengue registrati dall’inizio dell’anno sono oltre centomila, contro i quasi dodicimi- GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Giuseppe Fiorentino vicedirettore Piero Di Domenicantonio la dello stesso periodo dello scorso anno. Secondo il ministero della Salute, l’aumento dei casi della malattia tropicale, altamente infettiva, dipende dall’ondata di caldo e dal razionamento dell’acqua. La dengue viene trasmessa dalla zanzara Aedes Aegipty e si manifesta con febbre alta ed eruzioni cutanee simili al morbillo. Non esistendo una vaccinazione efficace, la prevenzione si ottiene mediante l’eliminazione delle zanzare e del loro habitat, per limitare l’esposizione al rischio di trasmissione Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] caporedattore Gaetano Vallini segretario di redazione Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va Continuano i negoziati tra Cuba e Stati Uniti L’AVANA, 14. Roberta Jacobson, segretario aggiunto del dipartimento di Stato americano per l’Emisfero occidentale, andrà domani all’Avana per un nuovo round di negoziati con Cuba sulla ripresa delle relazioni diplomatiche. Lo ha riferito oggi il dipartimento di Stato americano. Si tratta del terzo round di negoziati tra le due delegazioni, dopo il primo di gennaio a Cuba e il secondo a febbraio a Washington. Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale tutte le case. Notizie non confermate ufficialmente riferiscono di 44 morti soltanto nella provincia nordorientale di Penama. Situazione drammatica nella capitale Port Vila, sull’isola di Efete, dove vivono 47.000 dei 267.000 abitanti dell’arcipelago, che ha vissuto «15-30 minuti di terrore assoluto», come ha raccontato la portavoce dell’Unicef, Alicia Clements. La Croce rossa australiana parla di distruzione incredibile nella capitale. «siamo estremamente preoccupati per la sicurezza e il benessere di decine di migliaia di persone a Vanuatu». Sempre secondo la Croce rossa australiana, le necessità umanitarie saranno «enormi». Per far fronte a un’emergenza umanitaria che si annuncia come enorme, il ministro degli Esteri australiano, Julie Bishop, ha preannunciato l’immediato invio di un team di soccorso. Il ciclone Pam, che ha già investito Kribati e le isole Salomone, è stato catalogato come tempesta tropicale di categoria cinque ed è considerato uno dei più violenti mai registrati nell’emisfero sud. mo il nostro invito a proteggere i diritti umani dai danni ambientali. Gli Stati devono trovare un compromesso tra la protezione dell’ambiente e altri interessi sociali legittimi. Ma il compromesso deve essere ragionevole e non risultare in violazioni ingiustificate e prevedibili di diritti umani. A tale riguardo, la Santa Sede desidera esprimere il suo apprezzamento per la buona pratica di preparare «relazioni di sostenibilità» che descrivono l’impatto economico, ambientale e sociale prodotto dalle attività quotidiane delle aziende. Le linee guida comprensive elaborate dalla Global Reporting Initiative forniscono un quadro per misurare e riferire l’impatto e il rendimento collegati alla sostenibilità, che include gli indicatori relativi alla protezione dei diritti umani e dell’ambiente (Relazione dell’Esperto Indipendente sulla questione degli obblighi riguardanti i diritti umani relativi al godimento di un ambiente sicuro, pulito, sano e sostenibile, documento A/HCR/28/61, par. 81). È una questione di giustizia aiutare le persone povere e vulnerabili che soffrono per cause che in larga parte non sono dovute a loro e che sono fuori dal loro controllo. Un passo concreto sarebbe quello di mettere a loro disposizione ciò che di meglio esiste per quanto riguarda la tecnologia per l’adattamento e la mitigazione. Ora tutti gli occhi sono puntati sulla ventunesima Conferenza delle Parti della UNFCCC e sull’undicesimo incontro delle Parti del Protocollo di Kyoto, che si svolgeranno a Parigi nel dicembre 2015. Lì, a vincere saranno sia i poveri sia i ricchi se riusciremo a raggiungere un accordo su una strategia politica internazionale post-2020, nel quale tutte le Nazioni del mondo, compresi i più grandi emettitori di gas serra, si vincoleranno a un trattato universale sul clima. Per concludere, Signor Presidente, Come Papa Francesco ha affermato in diverse occasioni: «Anche se “la natura è a nostra disposizione”, troppo spesso “non la rispettiamo e non la consideriamo come un dono gratuito di cui avere cura e da mettere a servizio dei fratelli, comprese le generazioni future”. Pure in questo caso va chiamata in causa la responsabilità di ciascuno affinché, con spirito fraterno, si perseguano politiche rispettose di questa nostra terra, che è la casa di ognuno di noi» (Discorso ai membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, 13 gennaio 2014). La responsabilità di proteggere l’ambiente, non importa se come Paese sviluppato o come Paese in via di sviluppo, grava sulle spalle di tutti noi. Tenendo conto delle buone pratiche evidenziate dal Relatore Speciale, non dobbiamo evitare il lavoro urgente che occorre ancora svolgere per assicurare che le generazioni future trovino un mondo che permetta loro di condurre una vita prospera. Grazie, Signor Presidente. Oppositore venezuelano trovato morto in carcere CARACAS, 14. Era stato arrestato nell’aprile dell’anno scorso e denunciato in diretta televisiva dal presidente venezuelano, Nicolás Maduro, come «uno dei cervelli dell’insurrezione» contro il Governo chavista. Ora Rodolfo González, 64 anni, noto per la sua opposizione al Governo di Caracas, è stato trovato morto nella cella dove era rinchiuso, nella sede centrale del Servizio bolivariano di intelligence. Sui social network la notizia della morte di González, circolava già da giovedì scorso, ma è stata sua figlia, Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 Lisette, a dare la conferma ieri. Secondo le prime ipotesi della stampa locale, González si sarebbe suicidato nella sua cella dopo essere stato informato che lo avrebbero spostato nel famigerato carcere di Yare, a cento chilometri da Caracas. Si tratta di una delle prigioni più temute del Paese, a causa del sovraffollamento — costruita per 15.000 detenuti, ne ospita circa 44.000 — e dell’arbitrio che vi esercitano le bande criminali. Le autorità hanno annunciato un’inchiesta per appurare l’accaduto. Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 [email protected] Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Banca Carige Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO domenica 15 marzo 2015 pagina 3 Bambino in un campo profughi nigeriano in Ciad (Ap) Non conoscono tregua i combattimenti tra le forze irachene e l’Is Tikrit in fiamme BAGHDAD, 14. Non conosce tregua la guerra in Iraq contro i terroristi del sedicente Stato islamico (Is). Epicentro dei combattimenti è sempre più la città di Tikrit, 130 chilometri a nord di Baghdad. In Marocco la fase finale dei colloqui sulla Libia RABAT, 14. «La fase finale, decisiva dei colloqui sulla Libia» si terrà giovedì prossimo 19 marzo in Marocco: lo ha annunciato ieri sera l’inviato speciale dell’O nu, Bernardino León, parlando a giornalisti dopo un round negoziale cui non ha partecipato la delegazione del Parlamento di Tobruk riconosciuto dalla comunità internazionale. Al tavolo negoziale di ieri era presente la delegazione del Congresso generale nazionale di Tripoli, sostenuto dalle milizie islamiche. Un deputato di Tobruk, Mohammed Sharif Elouafi, ha detto che León «ha accetto la richiesta dei deputati del Parlamento eletto di rinviare i negoziati per garantire la loro genuinità». Il Parlamento libico, eletto a giugno, è costretto a riunirsi a Tobruk, nella Libia orientale, per motivi di sicurezza, mentre il Congresso generale nazionale è rimasto nella capitale. I due Parlamenti rivali stanno discutendo sulla formazione di un Governo di unità nazionale che metta fine alle ostilità in Libia. «Non c’è modo di risolvere la crisi libica con la via militare» ma bisogna sostenere «la formazione di un Governo di unità nazionale» ha detto ieri l’alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza comune dell’Ue, Federica Mogherini, a margine della conferenza economica di Sharm El Sheikh, assicurando che è anche «interesse degli egiziani oltre che degli europei giungere a una soluzione diplomatica in Libia». E la situazione in Libia sarà uno dei principali temi sul tavolo del Consiglio Esteri dell’Ue di lunedì prossimo. I 28 ministri ribadiranno il proprio sostegno all’iniziativa dell’inviato speciale delle Nazioni Unite León, per il dialogo e una soluzione politica alla crisi nel Paese. I ministri degli Esteri, spiega un alto funzionario europeo, discuteranno le modalità con cui l’Ue può sostenere la Libia se il tentativo di León avrà successo. L’offensiva per riconquistare il centro abitato è entrata oggi nel quarto giorno. L’Is ha più volte negato di aver perso il controllo della città, come invece sostenuto dalle forze irachene. Secondo osservatori indipendenti, la battaglia non può dirsi ancora conclusa: permangono infatti numerose sacche di resistenza. L’avanzata delle forze governative, supportate da milizie sciite, sunnite e curde, è rallentata dagli attentati suicidi, dalle cariche esplosive lasciate dai jihadisti lungo le strada e dai cecchini. Ieri, sei soldati iracheni e miliziani sciiti loro alleati sono stati uccisi da un’autobomba esplosa vicino alla loro postazione nel centro della città. E sempre ieri il primo ministro iracheno, Haidar Al Abadi, ha assicurato che le autorità di Baghdad «manterranno l’ordine ed eserciteranno un fermo controllo» per impedire violenze contro i sunniti sospettati di sostenere l’Is nelle aree di Tikrit sottratte al controllo dei jihadisti. Nei mesi scorsi vi sono state infatti numerose denunce di atrocità contro la popolazione sunnita accusata di avere sostenuto l’Is in altre aree riprese dai governativi, in particolare nella provincia di Diyala, a nord-est di Baghdad. Fonti di stampa riferiscono intanto che seicento cristiani iracheni hanno deciso di entrare a far parte, dopo un periodo di addestramento, delle milizie curde per combattere contro l’Is. Il generale Abu Bakr Ismael, responsabile del reclutamento, ha sottolineato ieri che sono tutti volontari. Decine di migliaia di cristiani sono stati costretti a lasciare le loro case in Iraq e a rifugiarsi nel territorio della regione autonoma del Kurdistan la scorsa estate, quando le forze dell’Is hanno compiuto una fulminea offensiva nel Nord, impadronendosi dell’intera provincia di Ninive, di cui Mosul è capoluogo, e di gran parte di quella di Salahuddin. Nel nord-est della Siria, anch’esso in parte nelle mani dell’Is, le milizie dei cristiani assiri si battono già da tempo al fianco dei curdi. A causa delle violenze di Boko Haram Oltre duecentomila sfollati in Nigeria ABUJA, 14. Oltre duecentomila persone sono state costrette a lasciare il nord-est della Nigeria, assediato dai miliziani islamisti di Boko Haram, trovando rifugio in Niger. Il dato è stato fornito dal governatore della provincia nigerina di Diffa, Yacuba Usmana Gawo, nel corso della visita di Kashim Shettima, governatore dello Stato nigeriano del Borno, dove imperversano gli jihadisti. Gawo ha spiegato che la recente conquista di Baga da parte dei miliziani islamisti ha fatto crescere di molto il numero dei rifugiati. Intanto, il Sud Africa ha smentito le recenti notizie secondo cui suo personale Il premier Modi a Colombo Contro le basi dei talebani Dialogo tra India e Sri Lanka Raid dell’aviazione pakistana sui territori tribali COLOMBO, 14. Il primo ministro indiano, Narendra Modi, è a Colombo per una visita ufficiale di due giorni, che ha come principale obiettivo il riavvicinamento diplomatico fra India e Sri Lanka. Al termine di un incontro con il presidente, Maithripala Sirisena, che dopo essere stato eletto in gennaio aveva scelto proprio l’India per il suo primo viaggio di Stato all’estero, Modi ha sottolineato che «i legami economici sono un pilastro delle nostre relazioni bilaterali». A riguardo, il capo dell’Esecutivo di New Delhi ha annunciato un accordo da 1,5 miliardi di dollari tra le due banche centrali per aiutare a mantenere stabile la rupia srilankese. Inoltre, l’India si è detta pronta a sostenere la città portuale di Trincomalee nel diventare un importante centro petrolifero e a fornire una linea di credito di 318 milioni di dollari per lo sviluppo del settore ferroviario. Firmate anche intese sull’esenzione dal visto per i titolari di passaporti diplomatici, sulla cooperazione in materia di assistenza reciproca nel settore doganale, su un protocollo d’intesa per lo sviluppo dei giovani e un altro per costruire un museo in memoria del poeta e scrittore Rabindranath Tagore. Sul delicato e complesso problema dei pescatori e della demarcazione del confine marittimo, che da sempre ha lacerato i rapporti tra i due Paesi, Modi ha detto che saranno esaminate nuove proposte. «Il problema dei pescatori ha una dimen- Il presidente srilankese Sirisena, a sinistra, insieme al premier indiano Modi, a destra (Afp) sione sia di sostentamento che umanitaria». Come gesto di buona volontà, il Governo di Colombo ha promesso di rilasciare ottantasei pescatori indiani arrestati con l’accusa di bracconaggio. Modi si recherà poi a Jaffna, nel Nord, devastata dalla trentannale guerra civile, dove consegnerà ad alcune famiglie tamil delle case co- struite con l’aiuto dell’assistenza indiana. Fra le ragioni del distanziamento diplomatico e politico fra New Delhi e Colombo vi è stato anche il lungo conflitto di cui è stata protagonista nel nord dello Sri Lanka la guerriglia secessionista delle Tigri dell’Eelam tamil, legata etnicamente alla popolazione dello Stato indiano del Tamil Nadu. Proseguono le trattative sul debito greco I dubbi di Bruxelles e la retromarcia di Tsipras BRUXELLES, 14. Il Governo ellenico di Alexis Tsipras «non è populista» e in ogni caso «è pronto a sospendere o ritardare le promesse elettorali per creare maggior fiducia tra le proprie controparti negoziali e renderle fattibili nell’arco dei quattro anni di mandato parlamentare». Queste le parole pronunciate ieri dal ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis, ieri a Cernobbio per partecipare ai lavori del seminario Ambrosetti. Il ministro ha chiesto «un nuovo contratto» con l’Europa, a beneficio di tutti perché «quello che stiamo facendo è stabilizzare la Grecia e avviarla sulla strada della ripresa, che è l’unico modo per ripagare nostro debito». E intanto ieri il premier greco Tsipras, a Bruxelles per incontrare il presidente della Commissione Ue Juncker, si è detto «ottimista» sulla militare sarebbe dispiegato in Nigeria per lottare contro Boko Haram. Qualsiasi cittadino sudafricano, ha affermato Siphiwe Dlamini, portavoce della forza di difesa nazionale, che lotta contro Boko Haram verrà considerato «come un mercenario» e potrebbe essere «perseguito per violazione della legge». In precedenza, alcune voci — riportate dalle agenzie ma non verificate autonomamente — avevano parlato di diversi gruppi di militari sudafricani attivi in Nigeria nell’offesiva contro Boko Haram. La bandiera greca sventola sull’Acropoli ad Atene (Ansa) possibilità di trovare una soluzione per risolvere la crisi. Risolvere il nodo greco è infatti «un interesse comune» perché «non è solo un problema greco ma un problema europeo» ha detto Tsipras. Quanto alle incomprensioni con altri Paesi, secondo Tsipras, bisogna «andare avanti in modo costruttivo». Il presidente dell'Europarlamento, Martin Schulz, ha lanciato il suo invito al dialogo e ha anticipato che Atene, Parlamento europeo e Commissione «resteranno in contatto per creare un piano specifico di investimenti per la crescita della Grecia, con una strategia sostenibile di creazione di posti di lavoro per i prossimi quattro mesi». Parole che si scontrano con l’opinione del ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, che non esclude più l’ipotesi di un’uscita della Grecia dall’euro. ISLAMABAD, 14. Almeno venti miliziani sono morti e altri quindici sono rimasti feriti in una nuova operazione condotta ieri dall’aviazione militare pakistana nella Khyber Agency, territorio tribale al confine con l’Afghanistan. Lo hanno reso noto fonti militari a Islamabad. I caccia pakistani, si è appreso, sono entrati in azione nella Tirah Valley contro basi del Lashkar-eislam, movimento talebano che risponde al comandante Mangal Bagh. Una campagna denominata Khyber-1 è stata sferrata dalle forze di sicurezza pakistane nell’ottobre 2014 per eliminare le basi del gruppo di ribelli nella Khyber Agency, e secondo fonti ufficiali centinaia di militanti sono stati uccisi o arrestati. Si deve inoltre segnalare che ieri il portavoce del Tehrek-e-taliban Pakistan Jamat ul Ahrar, Ehsanullah Ehsan, ha reso noto che il suo gruppo, lo stesso Lashkar-e-islam e il Tehrek-e-taliban si sono uniti sotto l’unico nome di Tehrek-e-taliban-Pakistan per lottare contro il Governo e l’esercito pachistani. Nel frattempo, un importante comandante afghano che lottò per estromettere i talebani dal Governo alla fine degli anni Novanta è stato ucciso oggi insieme a sei uomini della sicurezza che erano con lui nella provincia di Ghazni in un imboscata rivendicata dagli insorti. Il portavoce del Governo provinciale, Nang Safi, ha precisato che si tratta di Wali Muhammad, che è stato il massimo comandante della rivolta antitalebana nel distretto di Andar, e che è stato ucciso da un commando talebano in un checkpoint della sicurezza. L’operazione è stata rivendicata dal portavoce degli insorti, Zabihullah Mujahid. Affonda un traghetto in Myanmar NAYPYIDAW, 14. Almeno cinquanta persone sono annegate oggi nell’affondamento di un traghetto in Myamnar. L’imbarcazione — con oltre duecentodieci persone a bordo — si è inabissata a causa del mare mosso mentre era in viaggio da Taunggok a Sittwe, capitale dello Stato occidentale di Rakhine. I soccorritori hanno tratto in salvo circa centocinquanta persone, ma ci sono poche speranze di recuperare i dispersi, che, secondo testimoni, potrebbero essere anche di più di quelli dichiarati. Molti passeggeri, infatti non avevano il biglietto. Verso la distensione nel sud-est dell’Ucraina KIEV, 14. Le forze armate ucraine non hanno registrato «perdite militari per diversi giorni» e «questo è un chiaro segnale di graduale deescalation» nel conflitto del Donbass. Lo ha affermato ieri il presidente ucraino, Petro Poroshenko, in un’intervista televisiva precisando tuttavia che nel caso di «una nuova fase di aggressione» Kiev riceverà «immediatamente armi letali e ha firmato contratti per importazioni di armi con undici Paesi dell’Ue». Dal 15 febbraio scorso è in vigore un nuovo cessate il fuoco nel conflitto nel sud-est dell’Ucraina, che ha provocato più di seimila morti in undici mesi. Le autorità di Kiev continuano a denunciare una presenza di forze separatiste filorusse lungo la linea del fronte. Il presidente ucraino ha precisato che la situazione rimane tesa in particolare in due zone: attorno all’aeroporto di Donetsk, ripreso dai ribelli in gennaio dopo violenti combattimenti, e nei pressi del villaggio di Chirokine, a una decina di chilometri dal porto strategici di Mariupol. L’Ucraina ha inoltre consegnato un elenco di armi pesanti che sono state ritirate dal fronte. Lo riferisce l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce). Il ritiro è una parte fondamentale dell’accordo di pace raggiunto a Minsk. Nel frattempo, il Consiglio Ue ha prolungato ieri le misure restrittive contro la Russia. Il congelamento dei beni e lo stop dei visti per 150 persone e 37 entità viene esteso per altri sei mesi, fino al 15 settembre. La decisione dà effetto legale alla decisione politica presa al Consiglio straordinario esteri dell’Unione europea sull’Ucraina del 29 gennaio scorso. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 domenica 15 marzo 2015 L’esposizione fu inaugurata il 28 aprile 1906 Come scrisse la fondatrice a madre Diotti «Prima di tutto ho gridato tanto col Comitato fino a che ci hanno conceduto un altro pezzetto di posto» Alcune delle fotografie della mostra «Alla mensa del Pane e della Parola» Francesca Cabrini e l’Expo di ieri e di oggi di MARIA BARBAGALLO ell’Expo che si tenne dal 28 aprile all’11 novembre 1906 a Milano si celebravano «i successi dell’industria italiana proiettata verso l’Europa e il mondo, mostrando un’immagine nuova, moderna e di un’Italia che cresceva, proiettata verso il futuro di cui il traforo ferroviario del Sempione era uno dei simboli più lampanti». Madre Francesca Cabrini, che era in quel momento occupatissima dalle sue fondazioni e pure assillata da tante situazioni dolorose, tra le quali il nuovo orfanotrofio di New Orleans, decise di parteciparvi. Lei stessa spiega al vescovo di Lodi, monsignor Giovanni Battista Rota, che era stato l’arcivescovo di Milano, il cardinale Andrea Carlo Ferrari, a suggerirle di presentare le opere realizzate in favore degli emigranti italiani, nel Padiglione dedicato al la- potenzialità produttive e commerciavoro degli italiani all’estero. li dell’emigrazione, possibile moltiInfatti nel febbraio 1906 il giorna- plicatore dell’economia italiana le ufficiale del Comitato esecutivo all’estero, e quello di rappresentare dell’Esposizione così annunciava il in tal modo una più grande Italia varo della mostra degli italiani che, oltre a quella racchiusa entro i all’estero: «Fra le più geniali propo- confini statali, comprendesse anche ste accolte devesi menzionare quella quella delle molte destinazioni del che dia campo ai milioni di italiani lavoro svolto dagli italiani all’estero stabilitisi all’estero, o di là rimpatria- nel presente e nel passato. ti, di far conoscere e apprezzare alla L’intenso lavoro di madre Cabrini patria tutta l’opera loro fuori dei e l’operosità delle sue missionarie confini». permise così che si potesse avere Sulla scia di quanto era stato già all’Expo uno spazio per esporre le fatto a Genova in occasione opere prodotte dagli immigrati itadell’esposizione colombiana del 1892 liani negli Stati Uniti, in Argentina, e all’Esposizione di Torino del 1898 si progettava dunque di dare Le religiose cabriniane spazio e opportunità alle faticose ma fertili non avranno uno spazio nell’edizione 2015 conseguenze dell’emiMa celebreranno l’avvenimento grazione italiana. Ambedue queste Expo cicon una mostra a Codogno tate dal giornale erano per illustrare la loro missione in Africa conosciute — e forse erano state anche visitate — dalla madre Cabrini che, scrivendo a una suora un’istruzione per come Brasile, Francia, Inghilterra, Spagna doveva esporre le cose, menzionava e Centro America. Come si poteva immaginare, a quella di Torino. La mostra chiamava quindi i pro- madre Cabrini non bastava lo spazio tagonisti dell’emigrazione a presen- che le avevano riservato, come scrive tare i risultati raggiunti, perseguen- nella stessa lettera al vescovo di Lodo esplicitamente due obiettivi: di: «Siccome poi il posto conceduto quello di offrire una vetrina delle alle suore era troppo ristretto per il Erano meravigliati di vedere la regina accanto a me N numero degli oggetti da esporsi, mi sono affrettata a venir qui da Roma per ottenere, come mi è riuscito di fare, maggior spazio». Prima di arrivare in Italia, comunque, madre Cabrini aveva moltiplicato gli sforzi per avere abbondante e interessante materiale da esporre: «Desidero che prepariate delle belle composizioni per l’esposizione di Milano. Fatele fare dalle Professoresse in fogli grandi, indi riunitele come in un album legate con una bella pergamena e inviatele a Milano alla Direttrice per l’esposizione. Io sarò là prima dell’apertura per vedere la disposizione del nostro reparto. Fa’ fare anche dei bei lavori da M.e Fede, un poco originali allo stesso scopo e spediscili in maggior quantità che potete. Per la spedizione fatti dire dalla Direttrice di Milano il modo per spedire il tutto senza pagar niente perché anche da New York le cose che vanno per l’esposizione non pagano né trasporto né dogana.» Non sappiamo esattamente come fossero queste composizioni, sappiamo però che molte furono poi usate per il museo allestito a Roma in occasione della sua beatificazione e qualche album con la raccolta di preziose pergamene dipinte a mano dalle suore è ancora visibile al museo di Codogno. in provincia di Lodi. La madre parla anche di fascicoli, pergamene, fotografie, riconosci- menti, alcuni dei quali erano firmati da personalità come il commissario dell’emigrazione, il capitano Giuseppe Pizzati, i vescovi e cardinali che conoscevano e ammiravano madre Cabrini. Alcuni dei fascicoli di cui si parla dovevano certamente essere dei dépliant con le spiegazioni necessarie. Per questo scriveva: «Spero che avrai già spedito i fascicoli, ce ne vogliono tanti perché all’Esposizione di Milano sono molto ricercati essendo che la nostra piace più di tutte e la gente accorre da ogni parte. Il tronco pietrificato poi è la meraviglia di tutti». Il famoso tronco rimase poi presso l’Istituto Cabrini di Milano fino a qualche anno fa, quando venne tra- Cibo disegnato a Cartoomics 2015 Anche i fumetti mangiano di SILVIA GUIDI Eta Beta in realtà non ha mai mangiato naftalina. O meglio l’ha mangiata solo in Italia, spiega Tito Faraci, sceneggiatore, scrittore ed esperto di fumetti intervistato da Monica Onore per Rai Expo. Nella versione originale Disney, l’uomo proveniente dal futuro Eega Beeva (alias Pittisborum Psercy Pystachi Pseter Psersimmon Plummer-Push) si procurava scorte di cubetti di ghiaccio e kumquat, mandarini cinesi sottaceto, un frutto poco conosciuto nell’Italia degli anni Cinquanta. Dato che i fumetti non erano pubblicati a colori e le palline erano tutte bianche, gli autori decisero di trasformarle nel tarmicida che un tempo era presente in tutti gli armadi. In linea con il tema dell’esposizione universale milanese «Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita», Cartoomics 2015 ha organizzato in questi giorni una mostra dedicata al rapporto fra i personaggi dei comics e il cibo, «Anche i fumetti mangiano», a cura di Luca Bertuzzi, Luigi Bona, Alberto Brambilla e Riccardo Mazzoni. Un lungo viaggio nelle cucine di carta dei cartoni animati: dagli spinaci di Braccio di Ferro ai cinghiali arrosto divo- Snoopy e Woodstock durante il pranzo per il Giorno del Ringraziamento rati da Obelix, dalle arachidi di Super Pippo alle sofisticate specialità gastronomiche del topolino chef di Ratatouille, dagli hamburger di Poldo — il nome originale è J. Wellington Wimpy, da cui l’omonima catena inglese di fast food — alle ciambelle di Homer Simpson. In Tex, la serie creata nel 1948 da Gian Luigi Bonelli e Aurelio Galleppini, quando Aquila della Notte e Kit Carson si trovano in un saloon mangiano patatine fritte e una bistecca alta tre dita, mentre durante i loro bivacchi non manca mai del caffè caldo. Dylan Dog, creato da Tiziano Sclavi nel 1986 per Sergio Bonelli Editore, è invece il primo protagonista di un fumetto vegetariano e astemio — in alcuni episodi spiega di aver bevuto troppo in passato — e accoglie sempre i suoi ospiti offrendo una tazza di the. Zerocalcare (alter ego di Michele Rech, l’autore de La profezia dell’armadillo) ha bandito tabacco, alcool e droghe ma non prova neanche a curare la sua dipendenza cronica dal suo dolce preferito, il plumcake. Milioni di lettori in tutto il mondo hanno scoperto cosa sono i marshmallow, le ciambelle e la festa del ringraziamento leggendo le strisce dei Peanuts, scritte e disegnate da Charles Schulz per mezzo secolo, dal 1950 al 2000. Il cibo è spesso protagonista anche nelle graphic novel: in Gourmet Jino Taniguchi racconta in punta di matita l’arte della cucina giapponese, mentre il tratto semplice ed elegante del canadese Guy Delisle nelle Cronache — dal Myanmar, Gerusalemme o Pyongyang — racconta piccole grandi storie di vita quotidiana descrivendo anche le abitudini alimentari dei Paesi in cui soggiorna. sportato nella casa natale di Sant’Angelo Lodigiano. La madre ne descrive la bellezza in una lettera alle alunne del Magistero di Roma nel febbraio del 1906, parlando della foresta pietrificata attraversata mentre viaggiava nel deserto dell’Arizona: «Uno di questi alberi, col tronco ancora intatto, è caduto attraverso di un burrone della larghezza di 45 piedi in modo da formarvi quasi un ponte, e la cima e la radice sono sepolti nella sabbia, il che vi dà un’idea della sua altezza. Avrete certo curiosità di vedere questo bel legno pietrificato e io per soddisfarvi ve ne porterò un pezzo al mio ritorno». L’Esposizione fu inaugurata il 28 aprile 1906, ma madre Cabrini vi giunse in giugno e scrisse a madre Diotti, il 27: «Prima di tutto ho gridato tanto col Comitato dell’Esposizione fino a che ci hanno conceduto un altro pezzetto di posto e dopo tre o quattro giorni al mio arrivo, mentre stavamo regolando i lavori venne il Presidente dell’Esposizione, il Commendatore Celeria a dire che la Regina Madre in pochi minuti sarebbe stata da noi a visitare la mostra e che io dovevo fare gli onori di Casa. Venne infatti, visitò minutamente tutto meravigliandosi dei belli e svariati lavori e delle curiosità, mi chiese se ero io la cugina di Depretis e quella che sostiene il Magistero di Roma, dicendo che la Somaglia gliene parla frequente e sa che è un’opera bella. Il seguito di principi, marchesi e conti milanesi erano meravigliati a vedere la Regina tanto familiare con me e, mentre andava negli scomparti degli altri, venivano a pregarmi di seguirla; io però mi sono scusata per non farlo. Non par vero, vengono persino da lontani Paesi per visitare il nostro scomparto che interessa tante persone». Madre Cabrini scrisse poi a madre Diotti nel luglio del 1906, parlando di una delle tante feste organizzate per il venticinquesimo anniversario della Fondazione dell’Istituto. «Il telegramma ieri era fatto da Merry del Val: molto bello. Qui fu una festa grandiosa, parlarono quattro grandi oratori e in fine il Cardinal Ferrari. Alcune persone vennero dicendomi perché non invitavo la Regina Madre, la quale era informata della festa che si faceva, io mi scusai in qualche maniera ma io non mi sentivo d’invitarla. Quando saranno d’accordo col Santo Padre allora faremo ai Reali gran festa». In realtà lo scopo principale della madre nel mettere in mostra le sue opere era quello di far fare bella figura alla Chiesa che vedeva molto criticata, specialmente negli Stati Uniti. Il suo successo in America era dovuto ai tanti sacrifici che lei e le sue missionarie facevano per il bene della gente più emarginata in quel tempo, ma anche per l’immagine che madre Cabrini desiderava dare della Chiesa. Nel gennaio del 1907 la madre riceve un Diploma di “Gran Premio” conferito dalla Giuria degli “Italiani all’Estero” e così risponde: «Onorevole Signore, Ho ricevuto la comunicazione colla quale Ella si degna avvisarmi del Diploma di Gran Pre- mio assegnato al nostro Istituto dalla Giuria degli “Italiani all’Estero” di cui Ella è benemerito Presidente. Mentre la ringrazio della sua cortesia, l’assicuro che questa distinzione ci sarà di eccitamento a lavorare con maggiore alacrità a un’opera che ci è tanto cara quale si è quella di far del bene ai nostri fratelli italiani che vivono lungi dalla Patria». Oggi le Missionarie di Madre Cabrini non avranno uno spazio nell’Expo di Milano 2015, ma celebreranno l’avvenimento con la mostra «Alla mensa del Pane e della Parola», che sarà allestita a Codogno e itinerante in altre aree dell’Expo fuori la città di Milano. La mostra vuole illustrare la missione cabriniana dell’Africa, dove le missionarie hanno realizzato, nello spirito del Vangelo, ciò che propone il tema dell’Expo 2015: Nutrire il Pianeta, energia per la vita. La mostra mette in luce come l’opera di evangelizzazione comprende la difesa della vita che significa: promuovere la dignità delle persone, con la luce della fede, la parola di Dio, ma anche creare condizioni migliori di vita, portando la luce elettrica, la possibilità dell’istruzione per migliaia di bambini. Con l’acqua dei Sacramenti nella catechesi e nell’istruzione religiosa, ma anche scavando i pozzi, perché tutti possano dissetarsi, per irrigare l’orto, per migliorare le condizioni igieniche e curare la salute. Il pane, è l’Eucaristia che nutre l’anima e la vita, ma anche il corpo e promuove il lavoro; sono stati creati forni e la gente del luogo li sfrutta per la comunità. La vita e la donna, una promozione che valorizza i doni della femminilità, della famiglia, della salute, della speranza per un futuro creato da se stessi. Scuole, ambulatori e piccoli ospedali, cure preventive — da notare il grande lavoro per prevenire e curare l’Aids in Swaziland — sono i mezzi che creano cultura e fede. Protagoniste le giovani religiose cabriniane che portano avanti una missione difficile ma ricca di promesse. Con Papa Francesco, l’Expo delle missionarie e di molti altri collaboratori alla missione, diventa «farsi prossimo di tutti gli esseri umani, riconoscerne la comune dignità, capirne le necessità e sostenerli nel porvi rimedio, con lo stesso spirito di amore che si vive in famiglia. Questo stesso amore ci porta a preservare il creato come il bene comune più prezioso da cui dipende non un astratto futuro del pianeta ma la vita della famiglia umana a cui è stato affidato. Questa attenzione richiede un’educazione e una formazione capaci di integrare i diversi approcci culturali, le usanze, le modalità lavorative locali senza sostituirle in nome di una presunta superiorità culturale o tecnica» (Messaggio nella giornata dell’Alimentazione 2014). L’OSSERVATORE ROMANO domenica 15 marzo 2015 pagina 5 In un incontro al Pontificio Istituto orientale Alle radici del Grande male Il giubileo straordinario visto dalla Siria Dio abbia misericordia di loro ALEPPO, 14. L’annuncio del Giubileo straordinario della misericordia ha avuto un effetto particolare tra i cristiani della Siria, che si trovano a vivere in condizioni di sofferenza dopo cinque anni di conflitto armato nel Paese. «Invochiamo e mendichiamo la misericordia di Dio per noi stessi, per la Chiesa di qui, per tutti i nostri amici e compagni di strada, e anche per tutti coloro che commettono cose atroci tirando in ballo il nome di Dio: che Dio stesso abbia davvero misericordia di noi e di loro, e tocchi i cuori di tutti». È stato questo il commento, diffuso dall’agenzia Fides, del vescovo Georges Abou Khazen, vicario apostolico di Aleppo per i cattolici di rito latino. «Per tutti noi — ha proseguito — fare esperienza della misericordia di Dio è una questione vitale, da mendicare come una cosa che ci è necessaria per vivere: solo chi fa esperienza della misericordia di Dio può essere poi misericordioso con gli altri, e farsi loro incontro per aiutarli». «Il dolore e la sofferenza degli innocenti — ha aggiunto il vicario apostolico — ci appaiono assurdi, e di per sé possono indurire e spegnere anche i cuori più generosi, fino a Una pagina facebook per i cristiani in India NEW DELHI, 14. Una pagina facebook è stata attivata dalla polizia della capitale indiana per accogliere e prendere in considerazione denunce e rimostranze dei cittadini cristiani in materia di sicurezza e ordine pubblico. L’inedito provvedimento è stato preso dopo gli attacchi avvenuti negli ultimi mesi contro chiese e istituzioni cristiane in città. Nella nuova pagina in rete, intitolata «Delhi Police Minority Brethren», è infatti scritto: «Fratelli e sorelle cristiani, questa pagina è stata progettata dalla polizia di Delhi per dare al popolo cristiano della città la possibilità di segnalare questioni relative all’ordine pubblico, con particolare riferimento alla sicurezza delle chiese e delle istituzioni educative». Il mese scorso, il primo ministro Narendra Modi, aveva assicurato che il suo Governo non permetterà a nessun gruppo religioso di «incitare all’odio o di compiere violenza» in nome della fede. Il Governo indiano ha anche assicurato di non approvare le controverse ghar wapsi, cioè le cerimonie di “riconversione” all’induismo, organizzate da gruppi estremisti indù, che nei mesi scorsi hanno riguardato centinaia di fedeli cristiani e di altre minoranze religiose. In particolare, il ministro federale per lo Sviluppo urbano, M. Venkaiah Naidu, ha specificato che «se la conversione forzata è sbagliata, anche la riconversione è sbagliata». Per questo, ha aggiunto che «il Governo federale non prevede di presentare una legge anticonversione». farli incattivire. Solo il miracolo della misericordia può risanare le ferite altrimenti mortali della nostra anima, e produrre frutti di conversione e riconciliazione. Papa Francesco ripete che la misericordia non è un atteggiamento pastorale, ma è la stessa sostanza del Vangelo. E questo, nella condizione in cui siamo ad Aleppo, lo percepiamo tutti i giorni, fin nelle pieghe più intime delle nostre vite». Appello degli ordinari cattolici Le sofferenze della Terra santa GERUSALEMME, 14. Un invito alla comunità internazionale e alle Nazioni Unite a intervenire in favore dei rifugiati siriani e iracheni in Giordania «per non lasciarli nella loro situazione di disperazione». Un appello urgente alla «ricostruzione di Gaza per aiutare le migliaia di famiglie rimaste senza casa dopo l’ultimo conflitto». Un richiamo alla centralità dell’opera educativa delle scuole cristiane, minacciate dai tagli delle sovvenzioni, e la richiesta di un rinnovato impegno delle realtà ecclesiali nel sostegno ai profughi e agli immigrati africani e asiatici. Questi i tre punti centrali affrontati durante l’ultimo incontro semestrale degli ordinari cattolici di Terra santa. La riunione, svoltasi presso il convento francescano di Gerusalemme, ha visto la partecipazione dei presuli cattolici di Giordania, Palestina, Israele e Cipro. Tra gli argomenti affrontati anche quelli relativi al lavoro pastorale da compiere in vista della prossima canonizzazione delle due beate palestinesi, suor Marie Alphonsine Ghattas e la carmelitana Mariam Bawardi, in programma a Roma il 17 maggio, e del prossimo sinodo dei vescovi sulla famiglia nel mese di ottobre. A tal proposito, auspicando che il sinodo «porti molti frutti», i vescovi sperano in un «approfondimento relativo alla nullità del matrimonio rendendola più flessibile senza toccare il principio dell’unità e indissolubilità». In questo senso, si sottolinea anche «la ne- cessità di migliorare la preparazione al matrimonio e la formazione continua delle coppie». Dal comunicato finale dell’assemblea, diffuso dal patriarcato di Gerusalemme dei Latini, emerge che i vescovi hanno discusso anche della situazione delle scuole cristiane che dovrebbero, a loro avviso, continuare a poter offrire «oltre ad eccellente formazione accademica e umana, la formazione religiosa a tutti gli studenti». In particolare, per le scuole in Israele i vescovi invitano «a proseguire il dialogo con il ministero dell’Istruzione per risolvere la questione delle sovvenzioni e della partecipazione dei genitori al sostegno finanziario delle scuole, con la convinzione che lo scopo delle nostre scuole non è il profitto ma l’educazione per eccellenza». Nel documento si ribadisce inoltre l’intenzione della Chiesa di farsi carico con sollecitudine «dei migranti asiatici e africani che vivono in una situazione precaria», segnata dallo sfruttamento, dalla discriminazione e dalla mancata tutela dei diritti fondamentali. Quanto ai rifugiati provenienti da Siria e Iraq, i presuli di Terra santa esprimono serie preoccupazioni. Le risorse messe in campo dalla Caritas, avvertono, diminuiscono con il prolungarsi delle situazioni di crisi. E il progressivo deterioramento delle loro condizioni di vita chiama in causa in maniera sempre più pressante le responsabilità della comunità internazionale e dell’O nu. Storie di martiri, di semplici cittadini, di povera gente accomunata dalla stessa sorte: una violenza omicida che colpisce duramente. È il Grande male, il Metz Yeghérn, che nel 1915 colpì il popolo armeno e al quale la comunità accademica del Pontificio Istituto orientale ha voluto dedicare un incontro di riflessione nel pomeriggio di giovedì 12 marzo. Nel suo intervento il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, ha ricordato «i testimoni, martyres, del popolo armeno, caldeo e assiro», che «emisero la suprema professione di fede, effondendo il loro sangue e venendo privati — spesso in modo barbaro e truce e persino nella più tenera età — del dono inviolabile della vita», e ha rivolto un pensiero particolare alla Chiesa armena cattolica, «assicurando il ricordo nella preghiera, insieme alla vicinanza per le prove che anche nell’oggi le sono poste dinnanzi». Una preghiera che si rinnoverà in modo corale il prossimo 12 aprile, domenica della divina misericordia, quando Papa Francesco presiederà la celebrazione eucaristica insieme «ai figli e alle figlie del popolo armeno: sin d’ora — ha assicurato il porporato — lo ringraziamo per questo gesto di paternità e attenzione, come per quelli che egli non lascia mancare a tutti i discepoli di Cristo che vivono le angosce della violenza nel Medio Oriente e in Ucraina». Preceduta da un ricordo degli ex alunni del Pontificio Collegio armeno di Roma, affidato al vicerettore padre Krikor Badichah, e dalla presentazione dell’opera del gesuita Georges Ruyssen La questione armena — edita da Lilamè e uscita in quattro dei sette volumi previsti — che raccoglie tutti i documenti presenti nei diversi archivi della Santa Sede sul drammatico episodio del 1915, la riflessione del cardinale Sandri ha attinto al quadro storico di quel periodo. Per sottolineare, in particolare, quanto la Santa Sede sia stata attenta «nel cercare di fermare la mano dei carnefici e portare il possibile sollievo e soccorso agli scampati». La stessa Congregazione per le Chiese orientali, insieme al Pontificio Istituto orientale, «sentono come particolare vanto l’essere stati fondati, nel 1917, da un Papa come Benedetto XV»: unanime infatti «fu il plauso e il ringraziamento perché egli ebbe il coraggio di levare la sua voce e di scuotere le coscienze dei potenti». In Burkina Faso l’arcivescovo Ouedraogo guida la riconciliazione OUAGAD OUGOU, 14. L’arcivescovo di Bobo-Dioulasso, monsignor Paul Ouedraogo, è stato nominato presidente della Commissione per la riconciliazione nazionale e le riforme del Burkina Faso. Sono stati costituiti anche, all’interno del medesimo oganismo, cinque sottocomitati, incaricati di occuparsi di “Verità, giustizia e riconciliazione”; “Riforme costituzionali, politiche e istituzionali”; “Riforme elettorali”; “Finanze pubbliche e rispetto del bene comune”; “Gestione dei media e dell’informazione”. La commissione ha come obiettivo generale, quello di incrementare la partecipazione dei cittadini nel processo politico di transizione in corso nel Paese. «Lavoreremo — ha detto il presule — in collaborazione coi cittadini e con chi vuole aiutarci a esaudire le aspirazioni del popolo del Burkina Faso. Il popolo burkinabé ha effettivamente bisogno di riconciliazione e riforme». Di fronte agli interventi del Pontefice, che pronunciò «parole di condanna» e suscitò «fattiva solidarietà», si resta «addolorati — ha proseguito il prefetto — per le mani alzate di coloro che colpirono a morte un milione e mezzo di fratelli in umanità». Ancor più però, ha ag- Il mysterium iniquitatis che è capace «di sgorgare dal cuore dell’uomo, e rendersi manifesto nella distruzione che ogni peccato reca con sé, ci impone — ha raccomandato — di metterci in ginocchio, e di supplicare, come recita il sottotitolo del nostro incontro “Ter Raffigurazione armena del Cristo crocifisso giunto, «stupì il silenzio di tanti potenti e nazioni, come stupisce ancora nell’oggi da parte di altri l’incapacità a parlarne con obiettività, per giungere al traguardo tanto sospirato dell’auspicata riconciliazione, nella verità e nella giustizia». voghormià... Signore pietà”: abbi pietà dell’uomo che hai creato, ma ora è ferito, lontano da te, povero, peccatore, capace come Caino di concepire morte per il suo fratello, capace di nutrire l’odio e chiedere vendetta». Il cardinale Tauran in Costa d’Avorio Mappa per il dialogo «Facciamo abbastanza per conoscere la religione dell’altro? E per la purificazione della memoria? Siamo attenti ai pregiudizi? Tendiamo a criticare i seguaci di altre religioni? Ci lasciamo manipolare da correnti di pensiero che utilizzano la religione come pretesto?». Sono le domande per una sorta di esame di coscienza collettivo che il cardinale Jean-Louis Tauran ha proposto ai capi religiosi della Costa d’Avorio incontrati sabato 14 marzo a Korhogo, nella regione settentrionale delle Savane. Il presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso si trova da venerdì 13 nel Paese africano, per le celebrazioni dei 110 anni dell’arrivo della fede cristiana nella zona del Grande nord. Invitato dall’arcivescovo Daniel Dadiet, che in seno alla Conferenza episcopale nazionale presiede proprio la commissione per il dialogo, il porporato è accompagnato dal comboniano Miguel Ángel Ayuso Guixot, segretario del dicastero, e da monsignor Lucio Sembrano, officiale. «Insieme, cristiani e non, dobbiamo imparare — ha detto — a trasmettere valori. Ma questo è possibile solo in un clima di libertà, che favorisce le scelte personali, in particolare la ricerca della verità». Infatti, ha proseguito, «al centro di ogni religione c’è un messaggio di fratellanza e di pace. I credenti possono così diventare artefici di pace sociale e contribuire a rispettare l’altro nella sua individualità, aiutandolo a crescere». Però, ha avvertito, «ci vuole tempo: per potersi guardare, incontrare e non considerare le differenze come minacce, ma ricchezze». Infatti anche se preghiamo in modo diverso, ha spiegato, «se crediamo che l’umanità è una famiglia di cui Dio è il padre, allora dobbiamo andare aldilà della tolleranza». Perché «in una famiglia il fratello o la sorella non si tollerano, si amano». Ecco allora la “mappa” lasciata dal porporato riassumibile in quattro verbi: «rispettare, amare, sapere, comprendere». Prima di trasferirsi nell’area di Korhogo — dove nei villaggi dell’etnia sénoufo si pratica ancora il culto degli antenati caratteristico delle religioni tradizionali — il cardinale Tauran aveva trascorso alcune ore ad Abidjan visitando l’Università cattolica dell’Africa occidentale (Ucao) e celebrando la messa nella chiesa di Sant’Ambrogio con i fedeli della provincia ecclesiastica. Nel discorso rivolto all’istituzione accademica il presidente del dicastero vaticano ha ribadito il compito primario di qualsiasi ateneo, soprattutto se cattolico: «l’ascolto e il dialogo fondati su identità chiare, per la ricerca appassionata, paziente e rigorosa della verità e della bellezza che il Creatore ha posto nel cuore di ogni uomo e di ogni donna e che sono visibili in ogni autentica espressione religiosa». Nella circostanza il porporato ha anche rilanciato auspici di pace in un «mondo come il nostro, dove le contraddizioni e le violazioni della dignità umana sembrano moltiplicarsi all’infinito, nonostante gli sforzi della comunità internazionale per far avanzare la pace, in particolare nel continente africano». All’omelia della celebrazione, il cardinale presidente ha ricordato i momenti difficili e le gravi divisioni vissute dal popolo che aspira a essere guarito. «La società ivoriana ha bisogno della vostra testimonianza — ha detto alla comunità cattolica — soprattutto da parte dei giovani». Da qui l’invito a «cooperare nella verità all’opera di riconciliazione nazionale» e il particolare incoraggiamento per l’azione svolta dagli istituti religiosi femminili e maschili — per i quali sono state elevate particolari intenzioni — «nel campo della salute, dello sviluppo e dell’istruzione». L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 domenica 15 marzo 2015 Laicità e neutralità religiosa in Francia Dalla fiducia alla paura di GIOVANNI ZAVATTA Su «la Croix» Guillaume Goubert si chiede, nel suo editoriale di giovedì 12 marzo, se è meglio proteggere i ragazzi dalla violenza dei videogiochi e dalla pornografia in rete o metterli al riparo da ogni influenza religiosa. Un’ironica provocazione, mista a irritazione, commentando la proposta di legge del Partito radicale di sinistra (Prg) — già adottata dal Senato francese e adesso all’esame dell’Assemblea nazionale — tesa a estendere l’obbligo di neutralità a persone o a strutture private che accolgono dei minori e ad assicurare il rispetto del principio di laicità. Più precisamente l’intenzione è di allargare il principio di neutralità in materia religiosa agli asili e alle altre strutture che, anche saltuariamente durante il giorno (è il caso delle haltes garderies), ospitano bambini, differenziando tra chi beneficia o no di un aiuto finanziario pubblico e tra chi si avvale o no del carattere religioso. L’estensione comprende addirittura centri vacanze, strutture ricreative, singoli individui come gli assistenti all’infanzia. In pratica, se passasse il testo così com’è, non solo gli asili privati ma anche organizzazioni giovanili come gli scout dovrebbero sottomettersi all’obbligo di neutralità religiosa per beneficiare del sovvenzionamento pubblico. Legittimo ampliamento del principio di laicità dello Stato o accanimento laicista con obiettivo tutte le fedi? L’arcivescovo di Marsiglia, Georges Pontier, non ha dubbi: a nome della Conferenza episcopale francese da lui presieduta, parla di un testo «ispirato da una manifesta sfiducia nei confronti delle religioni dalla quale bisognerebbe proteggere i minori». Legare il rispetto della neutralità alla natura del finanziamento «è una deviazione della lettera come dello spirito della legge del 1905 che governa la nostra laicità». Si tratta di «un nuovo attacco che cerca non più solo di relegare le religioni nella sfera privata ma d’ora in avanti di nasconderle facendole sparire progressivamente da tutti i luoghi di vita sociale. Minando poco a poco, insidiosamente, il nostro modello di laicità, non si vuole così garantire uno Stato laico ma piuttosto — conclude monsignor Pontier — promuovere una società svuotata di ogni riferimento religioso. Non possiamo accettarlo; ciò non corrisponde per niente alla realtà della nostra società». Sulla stessa lunghezza d’onda l’Assemblea dei vescovi ortodossi di Francia, preoccupata dei pericoli connessi al «progressivo scivolamento da una “laicità della fiducia”, che placa e comprende, a una “laicità della paura” che stigmatizza ed esacerba le tensioni invece di ridurle». Cercando di estendere l’obbligo di neutralità agli utenti dei servizi pubblici e ad ambiti sempre più ampi della vita privata, «questa nuova forma aggressiva di laicità vuole ostacolare ogni forma di espressione religiosa nella sfera pubblica. La stigmatizzazione sistematica delle religioni che ne risulta, gettando su di esse un’ombra di sospetto e di sfiducia, non è priva di rischi per il contratto sociale» nel Paese. La radice del problema non è la presenza dei simboli religiosi nello spazio pubblico quanto la sua strumentalizzazione per fini tutt’altro che spirituali. «Non opponiamo “credenza” e “conoscenza”. La coscienza civile ha bisogno di entrambe. Tutte e due — affermano i vescovi ortodossi — devono avere “diritto di cittadinanza” nelle democrazie moderne, nel rispetto dell’ordine pubblico». La Federazione protestante ospita sul suo sito internet un comunicato della Federazione dello scoutismo francese che sottolinea come il disegno di legge contraddica il principio di laicità e la giurisprudenza. «È la prima volta che viene proposto in Francia il prin- cipio di vietare sovvenzionamenti pubblici ad attività a carattere confessionale» (la legge del 1905 sulla separazione fra le Chiese e lo Stato li proibisce solo per le attività di culto). E prevedere che le organizzazioni possano avvalersi di un “carattere proprio” per beneficiare dei soldi pubblici si traduce in una specie di ricatto, in una «condizione stigmatizzante»: la libertà di religione, garantita dalla Costituzione e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, «diventerebbe un diritto eccezionale, marcato dal sospetto». Se si aggiunge che anche ebrei e musulmani hanno criticato il provvedimento, parlando apertamente di «politica dell’intolleranza», si comprende come sia ampio il fronte del no alla loi Laborde, dal nome della senatrice della Prg, Françoise Laborde, che ha presentato la proposta. Un’iniziativa che ha preso le mosse dal caso dell’asilo privato «Baby Loup», nella regione dell'Île-de-France, dove nel dicembre 2008 venne licenziata una puericultrice musulmana per essersi rifiutata di togliersi il velo islamico indossato durante il lavoro. I vari gradi di giudizio hanno sostanzialmente sempre dato ragione ai responsabili dell’istituto. Recentemente il suo avvocato ha presentato un ricorso al Consiglio dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite. A denunciare i rischi di una deriva del primo principio della Repubblica, in un contesto di crescita di sentimenti antireligiosi, non sono solo i rappresentanti dei culti ma lo stesso presidente dell’O sservatorio della laicità, organismo in seno al Governo. Per Jean-Louis Bianco, si tratta di una proposta di legge «inopportuna, contraria alla Costituzione, discriminante», che conduce la laicità verso posizioni «integraliste, punitive, antireligiose». Se ne riparlerà a maggio. L’esame del provvedimento, viste anche le polemiche, è slittato a dopo le elezioni dipartimentali del 22 e 29 marzo. Il cardinale segretario di Stato in Bielorussia per la prima pietra della nunziatura apostolica Dalla parte di Abele «La diplomazia della Santa Sede si pone al servizio dei tanti Abele che i tanti Caino ancora uccidono» e «ricorda che Dio è dalla parte di Abele e che è dovere prendersi cura degli altri». Lo ha detto il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, in occasione della benedizione della prima pietra della sede della nunziatura apostolica a Minsk. Il porporato si trova da giovedì 12 in visita ufficiale in Bielorussia, dove sta anche incontrando le più alte autorità del Paese. Dopo aver presieduto venerdì pomeriggio la cerimonia sul cantiere di costruzione della futura rappresentanza pontificia, il cardinale Parolin ha partecipato a un incontro organizzato dal nunzio apostolico Claudio Gugerotti per celebrare il secondo anniversario dell’elezione di Papa Francesco. Nel suo discorso ha spiegato che «quando si costruisce una casa, significa che si intende porre una dimora permanente in una terra. Ed è proprio questo che la Santa Sede intende esprimere: la sua amicizia verso i bielorussi, la vicinanza, la partecipazione alla loro storia umile, ma ricca di virtù umane e di fede, la solidarietà con tante sofferenze, il sostegno alla speranza di poter vivere un futuro di pace, pieno di occasioni, soprattutto per i giovani». Del resto, ha proseguito, «la terra ha una sua sacralità, come percepisce la sensibilità dei popoli slavi». E «mettere radici più profonde in questa terra significa impegnarsi per questo popolo, secondo l’apporto che è proprio della Santa Sede, del servizio diplomatico legato al vescovo di Roma». Dunque «non una pretesa di dominio, di rilevanza», ma «un servizio alla dignità di ogni uomo». In pratica, ha commentato il cardinale Parolin, «la pietra della nunziatura apostolica significa la solidarietà di un miliardo e duecento milioni di cattolici che converge nella voce del vescovo di Roma e dei suoi rappresentanti». Ed «è anche un’istanza morale che si fa voce delle attese e delle aspirazioni di tante persone fuori della Chiesa cattolica»: per esempio dei «tanti fratelli e sorelle della Chiesa ortodossa, che è maggioritaria», ma anche «di altri cristiani e dei credenti di altre religioni, in particolare di quella ebraica che in Belarus ha conosciuto un olocausto di immani dimensioni». Dopo aver ricordato che «in tempi ancora recenti i cattolici, insieme ad altri, hanno offerto un enorme contributo di sangue», il cardinale Parolin ha ribadito il dovere di dare una risposta «a questa voce del sangue di tutti i milioni di Abele qui immolati nella storia». Per questo, ha assicurato, «la Santa Sede continuerà a impegnarsi perché la dignità, la libertà, i veri diritti di ogni persona e di questo popolo, siano Lo ha stabilito la Corte costituzionale federale tedesca Sì al velo per le docenti musulmane BERLINO, 14. In Germania non può essere proibito alle insegnanti delle scuole pubbliche di indossare il velo islamico a meno che esista un «pericolo concreto» che metta a rischio la neutralità dello Stato o crei disturbo al buon funzionamento della scuola: lo ha stabilito ieri la Corte costituzionale federale tedesca, che ha sede a Karlsruhe, rilanciando un dibattito assai sentito in un Paese dove l’islam è divenuto la terza religione, con circa 4 milioni di fedeli su 82 milioni di abitanti. La sentenza giunge fra l’altro in un momento delicato in cui si registra una nuova grande ondata di immigrazione e proseguono, soprattutto a Dresda, manifestazioni islamofobe. Nel 2003, dopo una prima decisione della Corte costituzionale, i Länder più grandi e popolosi avevano interdetto alle istitutrici e alle docenti musulmane di portare il velo all’interno del perimetro delle scuole statali. Ma ieri i giudici hanno ritenuto che «un divieto generale delle espressioni di religiosità nell’aspetto esterno degli insegnanti e delle insegnanti nelle scuole pubbliche non sia compatibile con la libertà di credo» prevista nella Costituzione del 1949. La Corte ha inoltre stabilito che i valori e le tradizioni cristiani non devono essere privilegiati. Il Consiglio centrale dei musulmani di Germania ha parlato di «segnale positivo». Anche se questa sentenza non equivale a un’autorizzazione generale di indossare il velo, «essa è ugualmente da festeggiare», ha detto il segretario generale Nurhan Soykan. Sulla stessa lunghezza d’onda la Conferenza episcopale tedesca che ha parlato di segnale importante per la libertà di fede. I giudici erano stati chiamati a deliberare sul caso di due docenti musulmane di nazionalità tedesca in Renania Settentrionale — Vestfalia. Una delle due aveva ricevuto un richiamo dal suo istituto scolastico poiché si era presentata alle lezioni indossando un berretto rosa con bordi in maglia che copriva interamente i capelli, dopo aver accettato di non portare più il velo islamico. La seconda insegnante, professoressa di turco in diverse scuole, era stata invece licenziata per essersi rifiutata di toglierselo. Assai mediatizzato anche il caso di una docente tedesca di origine afghana che non aveva potuto diventare funzionario nel BadenWürttemberg (Land a maggioranza cattolica e all’epoca guidato dai conservatori) proprio perché indossava il velo a scuola. In Germania la questione è complessa, perché l’insegnamento è materia di competenza dei Länder, gli Stati confederati in cui è diviso amministrativamente il Paese. Otto dei sedici Länder (fra essi Baviera, Baden-Württemberg e Assia) proibiscono alle insegnanti di portare il velo. A Berlino sono vietati ai funzionari pubblici tutti i segni che in qualche misura manifestano un’appartenenza religiosa. Invece, in alcune regioni dell’ex Germania Est, dove vivono pochissimi musulmani, non esiste una legislazione specifica. rispettati e tutelati, in questa terra e fuori». Successivamente il segretario di Stato ha messo in luce come la Chiesa cattolica abbia offerto e continui a offrire «un contributo non solo teorico, ma concreto, ogni giorno», e che «vorrebbe farlo, come sempre ricorda Francesco, a partire dai più bisognosi, materialmente e spiritualmente», attendendo «il giorno in cui potrà unirsi, in modo ancora più forte con le sue istituzioni nel campo dell’educazione, della cura ai malati, ai sofferenti, ai meno fortunati, allo sforzo che già sostiene lo Stato». Infine il cardinale ha fatto riferimento allo «strazio della vicina terra ucraina, per tanti aspetti legata alla sensibilità e alla storia del popolo bielorusso». Uno strazio che «ricorda quali orrori susciti la guerra e come la pace, se è solo la ricerca di un fragile equilibrio fra interessi materiali, possa improvvisamente cedere il posto alla violenza più crudele e disumana». Nelle sue parole anche la gratitudine della Santa Sede per «l’impegno che le autorità bielorusse non cessano di profondere per favorire l’incontro dei contendenti, perché cessi questo conflitto, che potrebbe avere conseguenze più drammatiche». Anche perché, ha concluso, «l’unica sconfitta della diplomazia è quando la voce del diritto e del dialogo cede il posto alla violen- Aperto un centro per i diritti degli ortodossi in Europa STRASBURGO, 14. La rappresentanza del patriarcato di Mosca presso il Consiglio d’Europa a Strasburgo ha aperto un centro di monitoraggio dei diritti e delle libertà dei cristiani ortodossi in Europa. A riferirlo è il sito orthodoxie.com, che riporta dichiarazioni del capo della rappresentanza, nonché rettore della chiesa ortodossa russa di Tous-lesSaints a Strasburgo, igumeno Philip (Ryabykh). Le informazioni sull’attività del centro verranno pubblicate su un apposito sito in rete in lingua inglese. «La necessità di questo genere di lavoro — ha spiegato Philip — era maturata da tempo. Ho potuto constatare quanto molti membri dell’Assemblea parlamentare e dei funzionari di questa organizzazione sapessero poco sulla vita delle Chiese ortodosse e sul lavoro da esse compiuto a livello di difesa dei diritti dei credenti». Già è possibile consultare notizie recenti così come documenti di riferimento, in particolare testi in inglese delle Chiese ortodosse greca, romena e russa su questioni bioetiche come l’aborto e l’eutanasia. za delle armi. Isolare un popolo, emarginarlo, prepara la sconfitta della diplomazia che invece è chiamata a trovare soluzioni sempre nuove di comprensione e di pace. Il parlarsi per cercare l’amicizia, non il silenzio del rifiuto, aiuta la pace. La democrazia si conquista per contatto, per empatia, per comunicazione, non per allontanamento dell’altro». Sabato 14 il cardinale ha incontrato nell’arcicattedrale della beata Vergine Maria la Conferenza episcopale bielorussa. Complimentandosi per come «una Chiesa, che sembrava liquidata dall’ideologia ateistica, è risorta, numerosa ed entusiasta» ed è oggi «un esempio», ha sottolineato che si tratta, dopo la Lituania, della terra ex-sovietica con la più alta percentuale di cattolici. Il porporato ha rievocato «la straordinaria opera di ricostruzione, anche materiale», e ha lodato in particolare la diocesi di Vitebsk, «che era quasi completamente scristianizzata e ora vede fiorire la fede. Pensare che le vostre processioni, affollatissime, attraversino le stesse strade dove, fino a pochi decenni fa, trionfavano solo i simboli dell’ateismo, ci fa ringraziare Dio», ha detto. Non a caso «Papa Francesco, informato di questo sviluppo, ha voluto donare tre giovani nuovi vescovi, quasi raddoppiandone il numero». Ora però, ha avvertito, «si pone il problema di come far crescere questa abbondante messe». Infatti «i periodi che seguono le persecuzioni sono spesso molto travagliati: all’impegno dei confessori della fede, si è tentati di far seguire un periodo di calma rassicurante, di soddisfazione per i risultati raggiunti. E questo può far correre il rischio di una pigrizia, che ci fa sedere per godere i frutti del lavoro di altri, senza accompagnarlo con forza ed entusiasmo». Da qui l’invito a non illudersi «che mantenere il popolo fedele sia facile. Non serve neppure limitarci a deplorare la decadenza e a fissarci solo sulla tradizione, convinti che ripetere quanto si faceva sia sufficiente ad assecondare le nuove richieste». Soprattutto come sacerdoti, religiosi e religiose, «dobbiamo evitare l’impressione di aver trovato finalmente una professione redditizia, dimenticando lo zelo pastorale. Il Papa ci insegna che la presunzione di diventare potenti secondo il mondo, può portarci a quella che spesso definisce una vita “borghese” o “mondana”». Al contrario, «punto di partenza è una forte esperienza personale di Dio e del suo amore. Questo serve soprattutto qui, dove la gente, così umile e buona, rischia di perdere la fiducia, la speranza in un futuro migliore». Perciò «rendere forte la Chiesa cattolica non vuol dire — ha rimarcato il porporato — usare gli stessi mezzi del potere politico o economico: non dobbiamo far vedere quello che non siamo, per fare bella figura. Dobbiamo crescere in umanità ed esperienza di Dio, perché gli altri si sentano affascinati dalla libertà che ci dona Gesù». In proposito il cardinale Parolin ha esortato alla correttezza nelle questioni finanziarie e nell’amministrazione, raccomandando anche l’obbligo per ogni parrocchia e diocesi di avere un consiglio economico. Infine ha espresso soddisfazione per l’intenzione di realizzare un’accademia teologica cattolica, ha auspicato un maggior coinvolgimento dei laici nella vita ecclesiale e ha raccomandato ai vesc0vi un’attenzione privilegiata per i giovani, ai quali l’autorità civile ha voluto dedicare un anno speciale. L’OSSERVATORE ROMANO domenica 15 marzo 2015 pagina 7 Papa Francesco agli insegnanti cattolici Ci vuole un buon insegnante Nomine episcopali Le nomine di oggi riguardano la Chiesa in Slovenia e le Chiese orientali cattoliche. Un lavoro malpagato ma bellissimo L’invito a «impegnarsi nelle periferie della scuola, che non possono essere abbandonate all’emarginazione, all’ignoranza, alla malavita», è stato rivolto dal Papa all’Unione cattolica italiana insegnanti, dirigenti, educatori e formatori (Uciim) nell’udienza di sabato 14 marzo, nell’aula Paolo VI. Cari colleghi e colleghe, permettetemi di chiamarvi così, perché anch’io sono stato insegnante come voi e conservo un bel ricordo delle giornate passate in aula con gli studenti. Vi saluto cordialmente e ringrazio il Presidente per le sue cortesi parole. Insegnare è un lavoro bellissimo. Peccato che gli insegnanti siano malpagati. Perché non c’è soltanto il tempo che spendono per fare scuola, poi devono prepararsi, poi devono pensare ad ognuno degli alunni: come aiutarli ad andare avanti. È vero? È un’ingiustizia. Io penso al mio Paese, che è quello che conosco: poveretti, per avere uno stipendio più o meno che sia utile, devono fare due turni! Ma un insegnante come finisce dopo due turni di lavoro? È un lavoro malpagato, ma bellissimo perché consente di veder crescere giorno dopo giorno le persone che sono affidate alla nostra cura. È un po’ come essere genitori, almeno spiritualmente. È anche una grande responsabilità! Insegnare è un impegno serio, che solo una personalità matura ed equilibrata può prendere. Un impegno del genere può incutere timore, ma occorre ricordare che nessun insegnante è mai solo: condivide sempre il proprio lavoro con gli altri colleghi e con tutta la comunità educativa cui appartiene. La vostra Associazione ha compiuto 70 anni: è una bella età! È giusto festeggiare, ma si può anche cominciare a fare il bilancio di una vita. Quando siete nati, nel 1944, l’Italia era ancora in guerra. Da allora ne è stata fatta di strada! Anche la scuola ha fatto tanta strada. E la scuola italiana è andata avanti anche grazie al contributo della vostra Associazione, che è stata fondata dal professor Gesualdo Nosengo, un insegnante di religione che sentì il bisogno di raccogliere gli insegnanti secondari di allora, che si riconoscevano nella fede cattolica e che con questa ispirazione lavoravano nella scuola. In tutti questi anni avete contribuito a far crescere il Paese, avete contribuito a riformare la scuola, avete contribuito soprattutto a educare generazioni di giovani. In 70 anni l’Italia è cambiata, la scuola è cambiata, ma ci sono sempre insegnanti disposti ad impegnarsi nella propria professione con quell’entusiasmo e quella disponibilità che la fede nel Signore ci dona. Come Gesù ci ha insegnato, tutta la Legge e i Profeti si riassumono in due comandamenti: ama il Signore Dio tuo e ama il tuo prossimo (cfr. Mt 22, 34-40). Ci possiamo domandare: chi è il prossimo per un insegnante? Il “prossimo” sono i suoi studenti! È con loro che trascorre le sue giornate. Sono loro che da lui attendono una guida, un indirizzo, una risposta — e, prima ancora, delle buone domande! Non può mancare fra i compiti dell’UCIIM quello di illuminare e motivare una giusta idea di scuola, oscurata talora da discussioni e posizioni riduttive. La scuola è fatta certamente di una valida e qualificata istruzione, ma anche di relazioni umane, che da parte nostra sono relazioni di accoglienza, di benevolenza, da riservare a tutti indistintamente. Anzi, il dovere di un buon insegnante — a maggior ragione di un insegnante cristiano — è quello di amare con maggiore intensità i suoi allievi più difficili, più deboli, più svantaggiati. Gesù direbbe: se amate solo quelli che studiano, che sono ben educati, che merito avete? E ce ne sono alcuni che fanno perdere la pazienza, ma quelli dobbiamo amarli di più! Qualsiasi insegnante si trova bene con questi studenti. A voi chiedo di amare di più gli studenti “difficili”, quelli che non vogliono studiare, quelli che si trovano in condizioni di disagio, i disabili, e gli stranieri, che oggi sono una grande sfida per la scuola. Se oggi un’Associazione professionale di insegnanti cristiani vuole testimoniare la propria ispirazione, è chiamata ad impegnarsi nelle periferie della scuola, che non possono essere abbandonate all’emarginazione, all’ignoranza, alla malavita. In una società che fatica a trovare punti di riferimento, è necessario che i giovani trovino nella scuola un riferimento positivo. Essa può esserlo o diventarlo se al suo interno ci sono insegnanti capaci di dare un senso alla scuola, allo studio e alla cultura, senza ridurre tutto alla sola trasmissione di conoscenze tecniche ma puntando a costruire una relazione educativa con ciascuno studente, che deve sentirsi accolto ed amato per quello che è, con tutti i suoi limiti e le sue potenzialità. In questa direzione il vostro compito è quanto mai necessario. E voi dovete insegnare non solo i contenuti di una materia, ma anche i valori della vita e le abitudini della vita. Le tre cose che voi dovete trasmettere. Per imparare i contenuti è sufficiente il computer, ma per capire come si ama, per capire quali sono i valori e quali abitudini sono quelle che creano armonia nella società ci vuole un buon insegnante. La comunità cristiana ha tantissimi esempi di grandi educatori che si sono dedicati a colmare le carenze della formazione scolastica o a fondare scuole a loro volta. Pensiamo, tra gli altri, a san Giovanni Bosco, di cui quest’anno ricorre il bicentenario della nascita. E lui consigliava ai suoi sacerdoti: educare con amore. Il primo atteggiamento di un educatore è l’amore. È a queste figure che potete guardare anche voi, insegnanti cristiani, per animare dall’interno Nel saluto della presidente nazionale dell’Uciim È urgente rinnovare Gli insegnanti cattolici della scuola italiana vogliono vivere con determinazione la missione educativa che è loro propria: «dare un futuro di speranza a tutti i bambini, i ragazzi, i giovani che quotidianamente» incontrano. Lo ha detto Rosalba Candela, presidente nazionale dell’Unione cattolica italiana insegnanti, dirigenti, educatori e formatori (Uciim), nel saluto indirizzato a Papa Francesco all’inizio dell’udienza. «Riteniamo urgente — ha aggiunto — una scuola nuova per una società nuova, una scuola adatta ai tempi, per superare le crisi che ci attanagliano e preparare, in un clima di dialogo, un futuro di collaborazione e di solidarietà, di cura e di attenzione per l’altro». L’incontro con il Pontefice, ha detto, «rafforza in noi l’essere unione» e dà «più vigore e capacità di perseguire le finalità educative proprie della nostra professione». Infatti, «chi aderisce all’Uciim sa di essere un laico cristiano che deve vivere la professione di insegnante ed educatore con il doppio mandato dello Stato e della Chiesa». Per questo, ha sottolineato, è necessario «aprire orizzonti» per incanalare «le tensioni ideali dei giovani, per accompagnarli nella ricerca della verità e della autentica libertà, per promuovere giustizia e pace». una scuola che, a prescindere dalla sua gestione statale o non statale, ha bisogno di educatori credibili e di testimoni di una umanità matura e completa. Testimonianza. E questa non si compra, non si vende: si offre. Come Associazione siete per natura aperti al futuro, perché ci sono sempre nuove generazioni di giovani a cui trasmettere il patrimonio di conoscenze e di valori. Sul piano professionale è importante aggiornare le proprie competenze didattiche, anche alla luce delle nuove tecnologie, ma l’insegnamento non è solo un lavoro: l’insegnamento è una relazione in cui ogni insegnante deve sentirsi interamente coinvolto come persona, per dare senso al compito educativo verso i propri allievi. La vostra presenza qui oggi è la prova che avete quelle motivazioni di cui la scuola ha bisogno. Vi incoraggio a rinnovare la vostra passione per l’uomo — non si può insegnare senza passione! — nel suo processo di formazione, e ad essere testimoni di vita e di speranza. Mai, mai chiudere una porta, spalancarle tutte, perché gli studenti abbiano speranza. Vi chiedo anche, per favore, di pregare per me, e vi invito, voi tutti, a pregare la Madonna, chiedendo la benedizione. Alla comunità Seguimi Vangelo senza sconti Vivere «il Vangelo senza sconti»: è questa l’ispirazione di fondo che ha dato origine all’associazione laicale Seguimi, nata cinquant’anni fa in pieno concilio Vaticano II. Il Papa l’ha riproposta ai membri della comunità, ricevuti in udienza nella mattina di sabato 14 marzo, nella Sala Clementina, invitandoli a essere «persone decentrate da voi stessi e a porre il vostro centro vitale nella Persona viva di Gesù». Cari fratelli e sorelle, vi accolgo in occasione del 50° anniversario della fondazione della vostra comunità, l’associazione laicale Seguimi. Vi saluto con affetto e ringrazio il Cardinale Vallini, che si è fatto interprete dei vostri sentimenti. Come è stato ricordato, questa associazione è nata durante il Concilio Vaticano II, e dal magistero conciliare ha tratto l’ispirazione a vivere “il Vangelo senza sconti”, come afferma il titolo di una vostra pubblicazione. Il gesto, simbolico e intensamente spirituale, dei primi membri di partire dalle Catacombe di San Callisto testimonia questa volontà, che avete espresso nella formula statutaria del vostro programma di vita: “Gesù Cristo vivo è al centro di Seguimi”. Questo è molto bello. Vi incoraggio a vivere ogni giorno con impegno tale programma, cioè ad essere persone decentrate da voi stessi e a porre il vostro centro vitale nella Persona viva di Gesù. Tante volte, anche nella Chiesa, crediamo di essere buoni cristiani perché facciamo opere sociali e di carità bene organizzate. Va bene, sono cose buone. Ma non dobbiamo dimenticare che la linfa che porta la vita e trasforma i cuori è lo Spirito Santo, lo Spirito di Cristo. Lasciate che Lui, il Signore, occupi il centro del vostro cuore e del vostro operare. E proprio rimanendo saldamente uniti a Lui, come tralci alla vite (cfr. Gv 15, 1-9), potete andare verso le periferie del mondo. I vostri Fondatori hanno tracciato alle prime compagne le linee fondazionali di Seguimi, percorrendo una via nuova configurata oltre le forme classiche di vita consacrata e alla quale il Pontificio Consiglio per i Laici ha concesso l’approvazione pontificia. L’impegno dei consigli evangelici in un contesto generale di laicità è assorbito nell’unico obbligo fondamentale della fedeltà all’amore del Padre, a Cristo e al suo Vangelo, fedeltà all’azione dello Spirito Santo che è amore e libertà, fedeltà al patto vocazionale tra i membri del Gruppo, a cui vi obbligate a non venire meno. La fedeltà in Seguimi è sentita come massimo valore morale naturale, al quale vi legate in coscienza per rispondere alla chiamata di Dio, senza altri vincoli giuridici di origine positiva, convinti che se la fedeltà è veramente vissuta, altri legami non sono necessari. Dunque, la vostra è una forma di vita evangelica da praticare in un contesto di laicità e di libertà. Un programma di vita cristiana per laici, con obiettivi chiari e impegnativi, un modo originale di incarnare il Vangelo, una via efficace per camminare nel mondo. Le diverse forme di appartenenza Dal cardinale vicario Grazie per il giubileo «Grazie, Papa Francesco, per il dono del Giubileo straordinario: cercheremo di vivere insieme l’Anno santo della misericordia come impegno alla conversione personale e comunitaria». Così il cardinale Agostino Vallini, vicario generale per la diocesi di Roma, si è rivolto al Pontefice all’inizio dell’udienza con la comunità Seguimi. Il porporato, dopo aver espresso al Papa un augurio anche per l’inizio del terzo anno di pontificato, ha ricordato la nascita dell’associazione, avvenuta cinquanta anni fa, il 19 marzo 1965, nelle catacombe romane di San Callisto, per opera del claretiano Anastasio Gutiérrez, di Paola Majocchi e di altre laiche. Negli anni in cui si celebrava il concilio Vaticano II quel gruppo di laici, «mossi dal desiderio di vivere in pienezza il Vangelo e le sue esigenze di radicalità, impegnati nelle realtà del mondo, esercitarono il diritto di libertà di associazione per vivere la vita consacrata, oltre le forme tipiche conosciute fino allora». E «la Chiesa li incoraggiò, concedendo alcuni anni dopo l’approvazione pontificia» ha sottolineato il cardinale definendo la comunità «una bella famiglia che vuole favorire in ciascuno la vita cristiana». rappresentano altrettante modalità di impegno e di partecipazione agli ideali dell’unica comunità. Celibi e sposi, ciascuno nel proprio stato di vita, si incontrano e condividono un’esperienza arricchente di complementarietà. Conservate e sviluppate questa comunione fraterna e lo scambio dei doni, finalizzati alla crescita umana e cristiana di tutti, insieme alla creatività, all’ottimismo, alla gioia e al coraggio di andare — quando è giusto — controcorrente. Siate vigilanti sul vostro cammino spirituale e aiutatevi a praticare sempre la reciproca carità, che vuol dire difendersi dall’egoismo individualista per essere veri testimoni del Vangelo. Come laici, voi siete persone immerse nel mondo e vi impegnate all’interno delle realtà terrene per servire il bene dell’uomo. Siete chiamati a permeare di valori cristiani gli ambienti in cui operate con la testimonianza e la parola, incontrando le persone nelle loro situazioni concrete, affinché abbiano piena dignità e siano raggiunte dalla salvezza in Cristo. Egli è la pienezza per ogni esistenza umana: infatti, rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione (cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 22). Vi incoraggio ad essere laici in prima linea, a sentirvi parte attiva nella missione della Chiesa, a vivere la vostra secolarità dedicandovi alle realtà proprie della città terrena: la famiglia, le professioni, la vita sociale nelle diverse espressioni. Così potete contribuire, a modo di fermento, a immettere lo spirito del Vangelo nelle pieghe della storia con la testimonianza della fede, della speranza e della carità. Cari amici, Seguimi possa essere sempre più una forma di vita cristiana e di impegno apostolico che promuove ed eleva i suoi membri rendendoli protagonisti insieme con gli altri di un mondo migliore. Vi benedico di cuore e, per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Alojzij Cvikl, arcivescovo di Maribor (Slovenia) Nato il 19 giugno 1955 a Celje, dopo la maturità nel 1974 è entrato nella compagnia di Gesù a Ljubljana. Compiuti gli studi filosofico-teologici dapprima presso la facoltà di teologia della capitale slovena e poi alla Pontificia università Gregoriana, ha conseguito anche la licenza in pedagogia e scienze sociali nell’istituto Lumen vitae di Bruxelles (19881990). Ordinato sacerdote il 3 luglio 1983, è stato viceparroco e parroco dell’Incarnazione di Gesù Cristo a Ljubljana-Dravlje, rettore dell’internato presso l’istituto arcivescovile San Stanislao a Ljubljana-Šentvid e professore di religione al liceo classico dello stesso istituto. Dal 1995 al 2001 è stato provinciale dei gesuiti in Slovenia e nel 1996 è divenuto presidente della Conferenza dei superiori e superiore maggiori del Paese. Dal 2001 al 2010 è stato rettore del Pontificio collegio russo (Russicum) a Roma. Dal 2010 è economo dell’arcidiocesi di Maribor. Joseph Mouawad vescovo di Zahlé dei maroniti (Libano) Nato a Mayfouq il 26 marzo 1970, dopo gli studi istituzionali all’università di Kaslik, è stato ordinato sacerdote il 13 agosto 1995 per l’eparchia di Jbeil-Byblos. Nel 2004 ha conseguito la licenza e il dottorato in teologia dogmatica all’Università Gregoriana. Ha ricoperto diversi incarichi: parroco di Mastita (1995-1997) e di Mar Abda a Blat (dal 2003 a oggi); cancelliere della curia (20032008); protosincello (2008-2011); amministratore patriarcale dell’eparchia (2011-2012) e, infine, nuovamente protosincello (2012). Cappellano della Caritas di Jbeil e del movimento apostolico mariano - sezione giovani (20032008) dell’eparchia, insegna teologia all’università La Sagesse di Beirut e all’università Saint-Esprit di Kaslik. Eletto dal Sinodo maronita il 16 giugno 2012 come ausiliare e vicario generale patriarcale, ha ricevuto l’ordinazione come vescovo titolare di Tolemaide di Fenica dei maroniti il successivo 28 luglio. Antoine Chbeir, vescovo di Lattaquié dei maroniti (Siria) Nato il 12 gennaio 1961 a Ghosta, Kesrouan, in Libano, ha compiuto i suoi studi primari e secondari al College central di Jounieh e ha poi conseguito un diploma in informatica nel 1981. Entrato in seminario ha conseguito il baccalaureato in filosofia e teologia all’Università Saint-Esprit di Kaslik. Ordinato sacerdote il 13 giugno 1988 a Ghosta, si è trasferito a Roma, per il dottorato in teologia biblica all’Università Gregoriana nel 1993, offrendo in quel periodo, durante l’estate, il suo servizio in diverse parrocchie in Italia, a New York, Londra e Dublino. Ritornato in Libano, ha svolto i seguenti incarichi: segretario e cancelliere diocesano (dal 1993 a oggi) e membro del consiglio per gli affari economici (1993-2006); parroco di Notre Dame des Dons ad Adma (dal 1997 a oggi). Ha pubblicato diversi articoli, curando la traduzione in lingua araba di alcune opere, tra le quali il libro di Benedetto XVI Luce del mondo. Attualmente era cancelliere e segretario nel vicariato patriarcale di Jounieh e responsabile della commissione delle vocazioni e della formazione biblica dei giovani. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 domenica 15 marzo 2015 Huibing He «La donna al pozzo» (1988) Durante la celebrazione penitenziale nella basilica vaticana Francesco annuncia l’Anno santo della misericordia Il grande perdono «Ho pensato spesso a come la Chiesa possa rendere più evidente la sua missione di essere testimone della misericordia. È un cammino che inizia con una conversione spirituale; e dobbiamo fare questo cammino. Per questo ho deciso di indire un giubileo straordinario che abbia al suo centro la misericordia di Dio. Sarà un Anno santo della misericordia». Lo ha annunciato Papa Francesco nel pomeriggio di venerdì 13 marzo, secondo anniversario della sua elezione al Pontificato, durante la celebrazione della penitenza presieduta nella basilica di San Pietro. Anche quest’anno, alla vigilia della Quarta Domenica di Quaresima, ci siamo radunati per celebrare la liturgia penitenziale. Siamo uniti a tanti cristiani che, oggi, in ogni parte del mondo, hanno accolto l’invito a vivere questo momento come segno della bontà del Signore. Il Sacramento della Riconciliazione, infatti, permette di accostarci con fiducia al Padre per avere la certezza del suo perdono. Egli è veramente “ricco di misericordia” e la estende con abbondanza su quanti ricorrono a Lui con cuore sincero. Essere qui per fare esperienza del suo amore, comunque, è anzitutto frutto della sua grazia. Come ci ha ricordato l’apostolo Paolo, Dio non cessa mai di mostrare la ricchezza della sua misericordia nel corso dei secoli. La trasformazione del cuore che ci porta a confessare i nostri peccati è “dono di Dio”. Da noi soli non possiamo. Il poter confessare i nostri peccati è un dono di Dio, è un regalo, è “opera sua” (cfr. Ef 2, 8-10). Essere toccati con tenerezza dalla sua mano e plasmati dalla sua grazia ci consente, pertanto, di avvicinarci al sacerdote senza timore per le nostre colpe, ma con la certezza di essere da lui accolti nel nome di Dio, e compresi nonostante le nostre miserie; e anche di accostarci senza un avvocato difensore: ne abbiamo uno solo, che ha dato la sua vita per i nostri peccati! È Lui che, con il Padre, ci difende sempre. Uscendo dal confessionale, sentiremo la sua forza che ridona la vita e restituisce l’entusiasmo della fede. Dopo la confessione saremo rinati. Il Vangelo che abbiamo ascoltato (cfr. Lc 7, 36-50) ci apre un cammino di speranza e di conforto. È bene sentire su di noi lo stesso sguardo compassionevole di Gesù, così come lo ha percepito la donna peccatrice nella casa del fariseo. In questo brano ritornano con insistenza due parole: amore e giudizio. C’è l’amore della donna peccatrice che si umilia davanti al Signore; ma prima ancora c’è l’amore misericordioso di Gesù per lei, che la spinge ad avvicinarsi. Il suo pianto di pentimento e di gioia lava i piedi del Maestro, e i suoi capelli li asciugano con gratitudine; i baci sono espressione del suo affetto puro; e l’unguento profumato versato in abbondanza attesta quanto Egli sia prezioso ai suoi occhi. Ogni gesto di questa donna parla di amore ed esprime il suo desiderio di avere una certezza incrollabile nella sua vita: quella di essere stata perdonata. E questa certezza è bellissima! E Gesù le dà questa certezza: accogliendola le dimostra l’amore di Dio per lei, proprio per lei, una peccatrice pubblica! L’amore e il perdono sono simultanei: Dio le perdona molto, le perdona tutto, perché «ha molto amato» (Lc 7, 47); e lei adora Gesù perché sente che in Lui c’è misericordia e non condanna. Sente che Gesù la capisce con amore, lei, che è una peccatrice. Grazie a Gesù, i suoi molti peccati Dio se li butta alle spalle, non li ricorda più (cfr. Is 43, 25). Perché anche questo è vero: quando Dio perdona, dimentica. È grande il perdono di Dio! Per lei ora inizia una nuova stagione; è rinata nell’amore a una vita nuova. Questa donna ha veramente incontrato il Signore. Nel silenzio, gli ha aperto il suo cuore; nel dolore, gli ha mostrato il pentimento per i suoi peccati; con il suo pianto, ha fatto appello alla bontà divina per ricevere il perdono. Per lei non ci sarà nessun giudizio se non quello che viene da Dio, e questo è il giudizio Tempo di misericordia La basilica di San Pietro come un grande “ospedale da campo”. A ogni angolo tanti sacerdoti e penitenti. Chi in ginocchio, chi seduto, chi in piedi, decine di fedeli ricevono la “medicina” della misericordia. Non è un farmaco, ma molto di più, perché ha il potere di risanare all’istante le ferite dell’anima. E il peccato non fa distinzione di persone: ecco perché nella basilica c’è gente di ogni provenienza. Uno accanto all’altro, giovani e anziani, donne e uomini, consacrati, laici, sacerdoti, in attesa di ricevere il perdono attraverso il sacramento della penitenza. Non poteva esserci dunque miglior occasione per annunciare un anno di grazia, un giubileo straordinario, un anno santo all’insegna della misericordia. Come ha fatto Papa Francesco venerdì pomeriggio, 13 marzo, presiedendo la celebrazione della penitenza. Una sorpresa che ha lasciato stupiti, contenti, commossi, e che è stata accolta da uno scrosciante applauso. Sarà un tempo di misericordia quindi quello che si aprirà l’8 dicembre prossimo, solennità dell’Immacolata, cinquantesimo anniversario della chiusura del concilio Vaticano II, e si chiuderà il 20 novembre 2016, domenica di Cristo Re dell’Universo. L’annuncio ufficiale e solenne avverrà con la lettura e la pubblicazione presso la porta santa della bolla d’indizione nella festa della Divina misericordia, la prima domenica dopo Pasqua. Significativa la scelta di utilizzare per le letture delle domeniche del tempo ordinario dell’anno giubilare il vangelo di Luca, “l’evangelista della misericordia”. Un tempo di grazia che in qualche modo è già iniziato e che per ogni cristiano inizia tutte le volte che il perdono di Dio riconcilia il cuore attraverso l’assoluzione sacramentale. Non è passato inosservato, del resto, che il primo a inginocchiarsi davanti a un confessore sia stato lo stesso Papa Francesco. Sullo scalino del confessionale in legno, il Pontefice si è genuflesso per confessarsi da uno dei frati minori conventuali che trascorre ore intere nella basilica per accogliere i penitenti. Non è la prima volta che il Pontefice si confessa in pubblico: già lo fece lo scorso anno, nella stessa occasione. Ma come allora, questa scena è rimasta impressa negli occhi di quanti partecipavano al rito, con il quale ha preso il via anche la Ventiquattro ore per il Signore, l’iniziativa promossa dal Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, che si occuperà anche dell’organizzazione del Giubileo straordinario. Dopo aver ricevuto l’assoluzione, Francesco si è seduto in un confessionale e ha ascoltato otto penitenti: un giovane, un anziano, una madre di famiglia, due volontari, una religiosa, un sacerdote e un uomo. A raccogliere le altre confessioni dei fedeli erano quarantotto sacerdoti, tra i quali i penitenzieri delle quattro basiliche papali, San Pietro, San Giovanni in Laterano, Santa Maria Maggiore, San Paolo fuori le Mura. Tra i confessori erano il cardinale Piacenza, penitenziere maggiore, insieme con il reggente, monsignor Nykiel, e gli officiali della Penitenzieria; gli arcivescovi Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, e Krajewski, elemosiniere. Tra i presenti i cardinali Bertone, Vallini, Grocholewski, Comastri, De Giorgi, Monteiro de Castro e Montezemolo, gli arcivescovi Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati, e Gänswein, prefetto della Casa Pontificia, e numerosi presuli e prelati della Curia romana. La presenza dei penitenzieri ha rappresentato idealmente il momento conclusivo del ventiseiesimo corso sul foro interno organizzato dalla Penitenzieria apostolica dal 9 marzo. Nel vedere le lunghe file di gente in attesa davanti ai sacerdoti in vari punti delle navate, venivano in mente le parole che Gesù confidò a suor Faustina Kowalska, la santa della misericordia: «Prega perché le anime non abbiano paura di venire a questo tribunale che è quello della mia misericordia». (nicola gori) della misericordia. Il protagonista di questo incontro è certamente l’amore, la misericordia che va oltre la giustizia. Simone, il padrone di casa, il fariseo, al contrario, non riesce a trovare la strada dell’amore. Tutto è calcolato, tutto pensato... Egli rimane fermo alla soglia della formalità. È una cosa brutta, l’amore formale, non si capisce. Non è capace di compiere il passo successivo per andare incontro a Gesù che gli porta la salvezza. Simone si è limitato ad invitare Gesù a pranzo, ma non lo ha veramente accolto. Nei suoi pensieri invoca solo la giustizia e facendo così sbaglia. Il suo giudizio sulla donna lo allontana dalla verità e non gli permette neppure di comprendere chi è il suo ospite. Si è fermato alla superficie — alla formalità — non è stato capace di guardare al cuore. Dinanzi alla parabola di Gesù e alla domanda su quale servo abbia amato di più, il fariseo risponde correttamente: «Colui al quale ha condonato di più». E Gesù non manca di farlo osservare: «Hai giudicato bene» (Lc 7, 43). Solo quando il giudizio di Simone è rivolto all’amore, allora egli è nel giusto. Il richiamo di Gesù spinge ognuno di noi a non fermarsi mai alla superficie delle cose, soprattutto quando siamo dinanzi a una persona. Siamo chiamati a guardare oltre, a puntare sul cuore per vedere di quanta generosità ognuno è capace. Nessuno può essere escluso dalla misericordia di Dio. Tutti conoscono la strada per accedervi e la Chiesa è la casa che tutti accoglie e nessuno rifiuta. Le sue porte permangono spalancate, perché quanti sono toccati dalla grazia possano trovare la certezza del perdono. Più è grande il peccato e maggiore dev’essere l’amore che la Chiesa esprime verso coloro che si convertono. Con quanto amore ci guarda Gesù! Con quanto amore guarisce il nostro cuore peccatore! Mai si spaventa dei nostri peccati. Pensiamo al figlio prodigo che, quando decide di tornare dal padre, pensa di fargli un discorso, ma il padre non lo lascia parlare, lo abbrac- cia (cfr. Lc 15, 17-24). Così Gesù con noi. “Padre, ho tanti peccati...” — “Ma Lui sarà contento se tu vai: ti abbraccerà con tanto amore! Non avere paura”. Cari fratelli e sorelle, ho pensato spesso a come la Chiesa possa rendere più evidente la sua missione di essere testimone della misericordia. È un cammino che inizia con una conversione spirituale; e dobbiamo fare questo cammino. Per questo ho deciso di indire un Giubileo straordinario che abbia al suo centro la misericordia di Dio. Sarà un Anno Santo della Misericordia. Lo vogliamo vivere alla luce della parola del Signore: “Siate misericordiosi come il Padre” (cfr. Lc 6, 36). E questo specialmente per i confessori! Tanta misericordia! Questo Anno Santo inizierà nella prossima solennità dell’Immacolata Concezione e si concluderà il 20 novembre del 2016, Domenica di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo e volto vivo della misericordia del Padre. Affido l’organizzazione di questo Giubileo al Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, perché possa animarlo come una nuova tappa del cammino della Chiesa nella sua missione di portare ad ogni persona il Vangelo della misericordia. Sono convinto che tutta la Chiesa, che ha tanto bisogno di ricevere misericordia, perché siamo peccatori, potrà trovare in questo Giubileo la gioia per riscoprire e rendere feconda la misericordia di Dio, con la quale tutti siamo chiamati a dare consolazione ad ogni uomo e ad ogni donna del nostro tempo. Non dimentichiamo che Dio perdona tutto, e Dio perdona sempre. Non ci stanchiamo di chiedere perdono. Affidiamo fin d’ora questo Anno alla Madre della Misericordia, perché rivolga a noi il suo sguardo e vegli sul nostro cammino: il nostro cammino penitenziale, il nostro cammino con il cuore aperto, durante un anno, per ricevere l’indulgenza di Dio, per ricevere la misericordia di Dio. Concluso il corso promosso dalla Penitenzieria apostolica Quando il bene sopravanza il male Al termine della celebrazione della Penitenza presieduta dal Papa nella basilica Vaticana, si è rinnovato per il secondo anno, in tutte le diocesi del mondo, l’appuntamento con la ventiquattr’ore di preghiera per il Signore, organizzata dal Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione. Durante l’iniziativa, che ha per tema «Dio ricco di misericordia», alcune chiese sono rimaste aperte per tutta la notte per l’adorazione eucaristica e le confessioni. E il tema della misericordia ha fatto anche da filo conduttore al ventiseiesimo corso sul foro interno organizzato dalla Penitenzieria apostolica. Essa, ha detto il cardinale Mauro Piacenza tracciando le conclusioni dei lavori, è «più grande del male e del peccato». Auspicando confessori «ben preparati, spiritualmente formati e saldi nella dottrina», il penitenziere maggiore ha ribadito che il sacerdote, «amministrando il sacramento della penitenza», deve avvertire «in sé il dovere di far trasparire la bellezza della verità evangelica e la purezza della dottrina cattolica». Il modello è il «padre della parabola del figlio prodigo». Come lui, ha spiegato, il confessore «accolga il fedele penitente, lo aiuti a emendarsi dal peccato, lo esorti a una sincera conversione che abbia come frutto il sincero proposito di non voler più compromettersi con il male, ma di incamminarsi sempre di nuovo sulla via della perfezione evangelica». Una sottolineatura, quest’ultima, emersa nell’intervento del reggente della Penitenzieria, monsignor Nykiel, per il quale i confessori «devono cercare di svolgere la loro missione di padri, di consiglieri, “giudici” e animatori, in sintonia con la dottrina del magistero ecclesiastico, con la padronanza del diritto canonico, con il grande cuore del pastore, procurandosi la scienza necessaria a questo scopo e procedendo con prudenza, discrezione, pazienza, discernimento e bontà, soprattutto nei confronti di quelle “tipologie e condizioni particolari” di penitenti verso i quali occorre la massima attenzione, pazienza e capacità di accoglienza, discernimento e ascolto». Da ciò deriva l’importanza riservata dall’ordinamento canonico della Chiesa al foro interno che — come hanno sottolineato il vescovo Arrieta e padre Kos — «è un “modo” di agire, nascosto e senza pubblicità, della potestà ecclesiastica di giurisdizione; ovvero, una “via” per mezzo della quale tale potestà agisce, attraverso regole giuridiche proprie e originali, quando le circostanze pastorali lo impongono come nel caso delle censure, delle irregolarità canoniche e degli impedimenti». Ecco perché la giurisdizione nel foro interno ha natura necessariamente remissiva, di perdono. Nella sua relazione monsignor Incitti ha avvertito che il confessore non è il padrone del sacramento, ma solo un ministro che può unicamente prendere atto della presenza di quanto la Chiesa, e non la sua personale visione, esige. Perciò, come ha spiegato anche don Carlotti, la Penitenzieria risolve i tanti e diversificati ricorsi che quotidianamente le pervengono rimanendo fedele «alla verità rivelata, al Catechismo della Chiesa cattolica, ai documenti del magistero e al Codice di diritto canonico». Fedeltà, che però «non è rigidità», ma «autentica pastoralità». L’impegno dei confessori, infatti, deve essere quello di aiutare i fedeli alla conversione. Da parte sua monsignor Marini, maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie, ha ribadito la necessità di «educare il popolo ad amare la confessione della colpa, a non avere timore di aprire il cuore, a esaminare con attenzione e serietà la propria vita davanti a Dio e alla sua parola. Il rito della penitenza è il “teatro liturgico” di una lotta: quella tra Dio e il suo antagonista, tra la grazia e il peccato, tra il bene e il male». E «ogni assoluzione è bene che avanza e male che retrocede». Padre Ďačok ha parlato dell’amore di Dio che invita alla risposta nella fede, al dialogo e all’impegno. «Nel contesto socio-culturale in cui viviamo non è facile tendere alla santità — ha detto — perché c’è come un pregiudizievole rifiuto della fede cristiana, delle sue pratiche, dei suoi aspetti morali ed etici». Al riguardo padre Faggioni ha esortato i confessori «ad aiutare i fedeli, soprattutto nell’ambito della morale sessuale, a interiorizzare i valori evangelici e il modello etico cristiano. Spingere a un’uniformazione passiva alla legge, senza un’interiorizzazione personale dei valori evangelici, sarebbe un esiziale moralismo. Ecco perché, la particolare natura delle colpe in ambito sessuale chiede di esercitare con impegno speciale le virtù del confessore: maturità umana, equilibrio, capacità di discernimento, misericordia e benevolenza, capacità di incoraggiare».
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