Untitled - RCS Libri

Antonio G. Iturbe
La biblioteca
più piccola del mondo
Traduzione di Stefania Maria Ciminelli
e Stefania Fantauzzi
Rizzoli
Proprietà letteraria riservata
© Antonio G. Iturbe, 2012
© 2013 RCS Libri S.p.A., Milano
ISBN 978-88-17-06443-9
Titolo originale dell’opera:
LA bIbLIoTeCARIA de AuSChwITz
Prima edizione: gennaio 2014
Per le citazioni all’interno del libro l’Editore ha fatto il possibile per reperire i
proprietari dei diritti. Rimane a disposizione per gli adempimenti d’uso.
p. 9: © Alberto Manguel, La biblioteca di notte, a cura di Giovanna Baglieri,
Archinto, Milano 2007; p. 115: © A.J. Cronin, La cittadella, a cura di Carlo Coardi, Bompiani, Milano 2000; p. 125: © Thomas Mann, La montagna incantata,
a cura di Ervino Pocar, Corbaccio, Milano 1992; p. 149: © H.G. Wells, breve
storia del mondo, a cura di Francesco Ernesto Lorizio, Sansoni, Firenze 1960;
pp. 247, 253-254, 255, 256-257, 301-304: © Jaroslav Hašek, Le vicende del bravo
soldato Švejk, a cura di Giuseppe Dierna, Giulio Einaudi editore, Torino 2010;
pp. 472-473: © Otto B. Kraus, The Painted wall, Yaron Golan Publishing, 1994.
Realizzazione editoriale: Librofficina, Roma
La biblioteca
più piccola del mondo
A Dita Kraus
Finché rimase aperto, il blocco 31 ospitò fno a cinquecento bambini, oltre a molti altri prigionieri che
venivano chiamati «assistenti». Nonostante la rigida
sorveglianza e al contrario di quello che ci si sarebbe aspettati, nel blocco esisteva una biblioteca clandestina destinata ai bambini. Era minuscola, contava
solo otto volumi tra cui la Breve storia del mondo di
H.G. Wells, un sussidiario scolastico russo e un libro
di geometria analitica. […] Alla fne di ogni giornata
venivano affdati, insieme ad altre cose preziose come
medicine e pezzetti di cibo, a una delle ragazze più
grandi, che aveva il compito di nasconderli ogni notte
in un posto diverso.
Alberto MAnguel, La biblioteca di notte
Lo que hace la literatura es lo mismo que una cerilla en
medio de un campo en mitad de la noche. Una cerilla
no ilumina apenas nada, pero nos permite ver cuánta
oscuridad hay a su alrededor.
La letteratura è un fammifero acceso in un prato nel
cuore della notte. Un fammifero che illumina appena,
ma che ci permette di vedere quanta oscurità abbiamo
intorno.
WilliAM FAulkner, citato da Javier Marías
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Auschwitz-Birkenau, gennaio 1944
Questi uffciali vestiti di nero, che guardano la morte con la stessa indifferenza di un becchino, non sanno
che su questo fango scuro, dove tutto sprofonda, Alfred
Hirsch ha fatto sorgere una scuola. Non lo sanno, e non
devono saperlo. Perché ad Auschwitz la vita di un uomo
vale meno di niente; vale così poco che non si fucila più
nessuno per non sprecare proiettili. Molto meglio le camere con lo Zyklon: basta un bidone di gas per uccidere
centinaia di persone. Un ottimo sistema per abbattere i
costi. La morte è diventata un’attività su scala industriale, redditizia solo se si lavora all’ingrosso.
Sotto la tettoia di legno della scuola di Hirsch, le aule
non sono altro che cerchi di sgabelli stretti gli uni agli
altri. Non ci sono pareti a separarle, le lavagne sono invisibili: i maestri tracciano in aria triangoli isosceli, accenti
circonfessi e i corsi dei fumi d’Europa. Le classi sono
una ventina in tutto, ognuna con il proprio maestro, e
tutte così attaccate che gli insegnanti sono costretti a fare
lezione sussurrando perché la storia delle dieci piaghe
d’Egitto non si confonda con la cantilena delle tabelline.
Credevano che fosse impossibile, che Hirsch fosse un
pazzo, oppure un ingenuo: come si può pensare di man13
dare a scuola i bambini nell’abbrutimento di un campo
di sterminio? Dove, come se non bastasse, è tutto proibito? Ma lui sorrideva. Hirsch sorrideva sempre con quella
sua aria enigmatica come se sapesse qualcosa che agli altri continua a sfuggire.
Non importa quante scuole chiuderanno i nazisti, ribatteva. Ogni volta che qualcuno si ferma a un angolo di
strada a raccontare una storia, e dei bambini si avvicinano ad ascoltarlo, ecco che ne è nata una nuova.
La porta della baracca si apre di colpo e Jakopek,
l’assistente di vigilanza, corre verso lo stanzino del capoblocco Hirsch. I suoi zoccoli schizzano sul pavimento la
terra umida del campo, e il bozzolo di silenzio e pace del
blocco 31 va in frantumi. Nel suo angolo, Dita Adlerova
è ipnotizzata da quei minuscoli schizzi di fango: sembrano insignifcanti, ma imbrattano tutto di realtà, come
gocce d’inchiostro in una ciotola di latte.
«Sei! Sei! Sei!»
È il segnale dell’arrivo delle ss, e in tutta la baracca si
leva un gran mormorio. In questa industria specializzata
in distruzione di vite che è Auschwitz-Birkenau, dove
i forni funzionano giorno e notte alimentati da combustibile umano, il blocco 31 è una baracca fuori dal
comune, una rarità. Anzi, una vera anomalia. Una conquista di Fredy Hirsch, che una volta era un insegnante
di ginnastica e ora partecipa a una corsa a ostacoli contro il più grande rullo compressore di vite umane della Storia. Hirsch è riuscito a convincere le autorità del
lager che tenere occupati i bambini avrebbe permesso
ai genitori di lavorare meglio lì al campo biib, quello
che chiamano «campo per famiglie» visto che nel resto
del lager i bambini sono rari quanto gli uccelli. E ad
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Auschwitz non ci sono uccelli: muoiono folgorati contro le recinzioni.
Il comando del campo ha acconsentito alla creazione
di una baracca destinata solo ai piccoli – forse avevano
intenzione di crearne una fn dal principio –, ma a condizione che giochino e basta: tassativamente vietato insegnare materie scolastiche.
Hirsch compare sulla porta del suo stanzino da
Blockältester e non ha bisogno di dire nulla né agli assistenti né ai professori, gli sguardi sono già tutti puntati
su di lui. Fa un cenno impercettibile con il capo. Impartisce ordini con un solo sguardo. Lui fa sempre ciò che
sa di dover fare e si aspetta che gli altri si comportino allo
stesso modo.
Le lezioni si interrompono e i gruppi cominciano a
cantare banali canzoncine in tedesco e a recitare indovinelli, fra poco i lupi ariani, con i loro sguardi gelidi, si
affacceranno alla porta, ed è necessario che tutto sembri
in regola. In genere la pattuglia, formata da un paio di
soldati, entra, ma è diffcile che si spinga oltre la soglia
della baracca. Si fermano giusto pochi minuti a guardare i piccoli, solo rare volte applaudono un coro o fanno
una carezza a un bambino, poi riprendono subito la loro
ronda.
Ma Jakopek stavolta grida: «Ispezione! Ispezione!».
L’ispezione è una cosa diversa. Bisogna mettersi in
riga, ci sarà una perquisizione, i più piccoli verranno interrogati nel tentativo di strappare loro qualche informazione, approfttando della loro ingenuità. Ma senza alcun
risultato. I bambini capiscono molto più di quanto non
appaia dai loro visetti da mocciosi.
Qualcuno sussurra: «Il Prete!…». E subito serpeggia
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