Q 97 uesta settimana il menu è da NoN SaLtare interrogare i silenzi della storia Wu Ming 2 da pagina 2 PiccoLe vuoti&PieNi architetture il supermercato “acquattato” Stammer a pagina 5 “ “Larghe occhio x occhio Non applaudite, chi applaude è intellettuale Matteo renzi 2014 Morpurgo, fotografo e viaggiatore il pubblico italiano non è fatto solo di intellettuali, la media è un ragazzo di seconda media che nemmeno siede al primo banco... Silvio berlusconi 2004 Cecchi a pagina 7 intese riuNioNe di faMigLia Le parole del rinnovamento arriva bobo Pantheon a km zero a pagina 4 a pagina 4 C DA NON SALTARE U O .com di Wu Ming 2 www.wumingfoundation.com/giap S iamo all’Isolotto, Firenze, nella nuova BiblioteCanova. Si “celebra” il 70° della Liberazione di Firenze (1944-2014) con un ciclo di quattro incontri incentrati sulla liberazione di Firenze e narrativa resistente, in collaborazione con I.S.R.T. (Istituto Storico della Resistenza in Toscana): “Dalla Banda del Dritto alle storie meticce. Narrativa resistente di ieri e di oggi”. E’ l’incontro più difficile, meno celebrativo: Letteratura e Resistenza: i ‘contemporanei’. Un gruppo di donne “A voce Alta” legge brani di scrittori contemporanei che si sono misurati con la Resistenza: Valerio Varesi, Giacomo Verri, Antonella Sarti. Commentano Wu Ming 2 e Vanni Santoni. Wu Ming 2 ha accettato di pubblicare su Cultura Commestibile, in esclusiva, il testo del suo intervento che a noi è parso particolarmente interessante, aperto in modo nuovo sul futuro. La Resistenza e il suo racconto sembra essere diventata una tematica logora, logorata dall’uso pubblico della storia. Io penso che le tematiche logore siano il pane quotidiano del romanzo storico. Cioè, la letteratura a questo serve, quando si propone di ri-raccontare una vicenda già accaduta, o che tanti documenti già raccontano. La letteratura lo fa perché pensa di poter dire quelle stesse cose però con parole nuove, con uno sguardo nuovo o quanto meno con un interesse nuovo. La letteratura cerca di fare questo servizio alla verità: di permetterle di dirsi con parole diverse. Altrimenti se si prende una verità e la si ripete sempre uguale a se stessa alla fine suona banale, logora. Lo si dice spesso della bugia, citando la frase di Goebbels (che poi hanno detto in tanti e non soltanto lui): “se prendi una bugia e la ripeti mille volte, finisce che sembra una verità”. Però la stessa cosa si potrebbe dire per ciò che è vero: se prendi una verità e la ripeti mille volte, sempre uguale a se stessa, senza cambiare mai parole o punto di vista, quella verità ti suona logora, quindi banale, scontata e, in fondo, che bisogno c’è di dirla? La letteratura questo dovrebbe fare: nei confronti della Resistenza penso che il suo compito sia lo stesso che il romanzo storico si è sempre posto di fronte alla storia monumentale. L’uso pubblico della storia spesso trasforma la storia in monumento, cioè in un pezzo di marmo, che dall’alto viene calato sopra un qualcosa che in realtà prima era vita, erano voci, sangue, sudore. E il monumento ti mostra sempre la stessa faccia; è sempre uguale; tu ci passi davanti ogni giorno e il monumento non cambia mai. Dopo un po’ ti annoia, non lo vedi nemmeno più, non ti accorgi che esiste. Il romanzo storico si propone di spaccare quel monumento, di farlo in mille pezzi, di distruggerlo in tanti frammenti, individuandone le crepe. In genere le crepe stanno dietro, nella faccia nascosta del monumento, non nella facciata che tutti guardano, perché lì il monumento viene lucidato, restaurato, sempre uguale a se stesso. Invece se tu gli giri interrogare i silenzi storia della Giorgio Marincola con Eugenio Bonvicini, vicecomandante della Missione Bamon, Archivio famiglia Marincola, Fotografie, Zimone, Castello di Mongivetto (Biella). (www.razzapartigiana.it) n 97 PAG. sabato 1 novembre 2014 o 2 intorno, invece di guardare in faccia Garibaldi guardi il culo del suo cavallo per esempio, probabilmente lì trovi delle crepe, dove infilare i tuoi attrezzi di narratore e provare a spaccare il monumento. Poi chiaramente con questi frammenti, con questi tanti punti di vista alternativi, tante voci che escono fuori dal monumento, cerchi di costruire qualcos’altro. Altrimenti i frammenti rimangono piccolini, storie da poco, subalterne, che servono in realtà alla storia monumentale, ufficiale per giustificarsi; funzionano solo da complemento o da aggiunta alla storia ufficiale, alla vulgata, allo stereotipo. Invece questi frammenti bisogna prenderli e cercare di costruirci qualcosa di nuovo. Non un nuovo monumento, tenuto insieme dalla calce che nessuno può cambiare, ma qualcosa di simile alle costruzioni fatte con i blocchi di legno dai bambini: tu la guardi e sai che quella costruzione la puoi smontare, rimontare, ci puoi giocare; sai che è fatta di pezzi. Questo cerca di fare il romanzo storico con i frammenti del monumento: moltiplicare i punti di vista, le voci e poi metterle in fila, dentro ad una struttura. In buona parte è quello che ha fatto Scrittura Industriale Collettiva che è nata da Vanni Santoni con il romanzo scritto da 100 e più mani, “In territorio nemico”: l’idea di raccogliere testimonianze, frammenti, ricordi della Resistenza su tutto il territorio nazionale e poi cucirli assieme in un’unica narrazione, che non si imponga di nuovo come un monumento da guardare e basta, ma che sia una costruzione possibile fra le tante altre diverse possibili. Secondo me per rompere il monumento di marmo per restituire alla storia della Resistenza la sua dimensione di vitalità, le operazioni possibili sono queste. Una prima operazione è quella di interrogare l’oblio, ciò che è stato dimenticato. Anche questa è una funzione classica del romanzo storico. E’ vero, c’è una narrativa logora e magari stantia dentro molti scritti sulla Resistenza, c’è una vulgata: dentro di essa però ci sono certamente silenzi, cose dimenticate, cose non ancora raccontate, cicatrici. Già Manzoni diceva che questo fatto che tanti individui passino sullo scenario della storia e non lascino traccia, è un fenomeno triste; però questi silenzi, se interrogati, possono darci delle risposte che sono più interessanti dei fatti, più interessanti di ciò che abbiamo, di quello che c’è, se noi capiamo perché quello che non c’è, non c’è (perché è stato censurato, perché è stato tolto, silenziato). Questo può restituirci una storia ancora più interessante dei dati, dei fatti. E questo è uno dei compiti del romanzo storico che, secondo me, rispetto alla Resistenza va ripreso in mano: interrogare i silenzi, storie che non sono state narrate. Ce ne sono tante. Penso alla partecipazione femminile alla Resistenza che è sicuramente un aspetto che non è stato sufficientemente raccontato. Sì, nei saggi se ne parla, ci sono testimonianze, però a livello romanzesco, di narrazione, è ancora sotto-raccontata; per quanto invece C U O .com abbia avuto un’importanza che molti oggi riconoscono come fondamentale. Noi, per esempio, ci siamo messi ad inseguire la partecipazione delle colonie dell’Italia dentro la Resistenza: sapere che ci fu un partigiano italo-somalo che si chiama Giorgio Marincola che ha combattuto nella Resistenza, è morto in Val di Fiemme, ha combattuto prima a Roma, poi nella zona di Biella ed è morto il 4 maggio 1945 quindi oltre il 25 Aprile: beh questo è uno dei silenzi di cui dicevo, perché Giorgio Marincola venne insignito della medaglia d’oro al valor militare postuma nel 1954 e quindi era stata in qualche modo riconosciuta la sua esperienza resistenziale, ma poi è stato completamente dimenticato. Non fosse stato per la sorella e per il nipote, questo partigiano che aveva come padre un ufficiale italiano e come madre una donna somala che si erano conosciuti nella Somalia italiana, non sarebbe stato ricordato. Noi lo abbiamo inseguito, lui e la sua storia e inseguendolo, io in particolare, siamo incappati in sua sorella, che non ha fatto la Resistenza ma che ha a lungo resistito nel dopoguerra in quanto donna nera italosomala fra la Somalia e l’Italia, che ha raccontato – insieme a suo figlio - la vicenda di Marincolo in questo libro che si chiama “Timira. Romanzo meticcio”. Ma non finisce qui. Bisogna andarsi a prendere un saggio intitolato “Colonia e post-colonia come spazio diasporici, Attraversamenti di memorie, identità e confini nel Corno d’Africa” (Carocci editore, 2011), uno di quei saggi che non legge nessuno, per scoprire che all’Esposizione Coloniale del 1940 a Napoli parteciparono sudditi delle colonie, perché bisognava ricostruire i villaggi africani, far vedere come si viveva in Somalia e in Etiopia: ebbene l’Esposizione Coloniale avviene nel 1940, lo stesso anno dello scoppio della guerra nel Corno d’Africa, quando l’Inghilterra invade la Somalia, e non c’è più modo di riportare queste persone a casa. Il gruppo di questi somali, eritrei, etiopi viene condotto in una villa in provincia di Macerata, a Treja, dove vivono praticamente tutto il periodo della guerra. Ad un certo punto i partigiani attaccano questa villa, liberano questi prigionieri e quindi abbiamo l’incredibile storia di gente come “Carletto” Abbamagal (Carletto lo chiamavano gli italiani), un ragazzo etiope che fece la Resistenza con i partigiani in provincia di Macerata. Recentemente hanno scoperto la sua bara in una fossa comune, identificandola grazie alla targhetta, e l’hanno seppellito con qualche onore nel cimitero di S.Severino Marche. Questi sono i silenzi che, a mio parere, andrebbero interrogati. E poi anche spostare lo sguardo. Un’altra cosa che ha il merito di aver fatto “In territorio nemico”. Spostare lo sguardo perché siamo pieni in Italia di persone molto esperte in materia di Resistenza locale, cioè che conoscono la vita, la morte, le imprese di partigiani del luogo, però poi molto spesso figure anche interessantissime non varcano i confini di una provincia. Quindi si conosce molto DA NON SALTARE n 97 PAG. sabato 1 novembre 2014 o 3 Foto di gruppo per i garibaldini italiani volontari in Spagna. Tra loro comandanti militari e commissari politici. I due al centro sono (a sinistra con il giaccone bianco) Luigi Longo “Gallo”, poi comandante partigiano in Italia e segretario del Pci, e il dirigente comunista Ilio Barontini. (www.coppabarontini.altervista.org) bene l’esperienza resistenziale di una certa brigata, di un certo commissario politico o di un certo partigiano, però lo si conosce in un territorio molto delimitato. Scambiarsi un po’ i territori sarebbe, secondo me, un altro modo per vivacizzare il racconto della Resistenza. Cominciare a raccontare da Bologna le vicende della Resistenza nel maceratese e da Macerata le vicende della Brigata Garibaldi sull’Appennino Imolese, ad esempio. Forse si otterrebbe quel racconto diverso dal solito, altrimenti se sono sempre le persone del luogo ad occuparsi dei partigiani del luogo, a seguirne le tracce che hanno lasciato, si rischia di ripetersi, di percorrere sentieri noti. Invece, ecco, penso che questo sia ancora un problema nel racconto della Resistenza: certe figure non arrivano alla conoscenza nazionale. Penso a figure come Anton Ukmar che, insieme a Ilio Barontini, andò in Etiopia per prendere contatti con la Resistenza Etiope al Fascismo; tra l’altro, resistenza armata al Fascismo che in qualche modo – se vogliamo dare alla Resistenza una accezione anche più ampia che non soltanto quella svoltasi sul ter- ritorio italiano – che precede la Resistenza italiana. Quindi, forse, sarebbe ora di raccontare anche quella come resistenza al Fascismo, quella dei beduini Libici, degli etiopi, dei somali, degli eritrei. Anton Ukmar andò a fare l’ufficiale di collegamento con le truppe dei resistenti e dei patrioti etiopi contro il Fascismo: la sua storia viene conosciuta e presentata in questi giorni in un documentario che, però, gira nel Friuli Venezia Giulia. Lui era triestino e questo documentario non è conosciuto a livello nazionale. Lo stesso Ilio Barontini è cittadino onorario della mia città, di Bologna, quindi un po’ è noto; a Livorno è molto conosciuto; ma se vai ad Ancona nessuno ne sa niente; eppure è un personaggio su cui si potrebbero scrivere forse dieci romanzi. Il mio invito è dunque a spostare lo sguardo da dove lo puntiamo di solito: prendere un angolo diverso, una prospettive differente. E poi, forse, anche mescolare le cifre testuali: costruire un testo mettendo insieme, ad esempio, un reportage sui sentieri partigiani fatto oggi, storie della Resistenza e di come si è combattuto 70 anni fa, leggende dei luoghi, conflitti che magari insistono su quel dato luogo in Italia in questo momento. Siamo pieni di conflitti territoriali: non è un caso, secondo me che in Val di Susa chi resiste al progetto del treno ad alta velocità si rifaccia esplicitamente anche all’esperienza partigiana e la citi, la porti come esempio di una storia che tiene in vita quella comunità. Anche testi di questo tipo, che in qualche modo non siano soltanto lì negli anni della Resistenza, ma vadano a vedere che tracce che questa ha lasciato e come questa storia continua ad essere raccontata, in che modo, con che funzioni, dove, che cosa ha lasciato sul territorio oggi, penso che possano essere modi in cui il racconto della Resistenza si adegua anche alle modalità di racconto del presente e cerca una cifra differente. I Calvino, i Fenoglio, meritano il plauso di tutti noi, però in quel modo la Resistenza è già stata raccontata e forse non ha tanto senso continuare a raccontarla così. Ha senso provare a cercare uno sguardo nuovo, obliquo, parole e intrecci nuovi, un modo nuovo di mettere insieme i frammenti, una volta che il monumento venga fatto in pezzi. il testo dell’intervento di Wu Ming 2 all’incontro Letteratura e resistenza: i ‘contemporanei’ per i 70 anni della Liberazione di firenze C n 97 PAG. sabato 1 novembre 2014 o RIUNIONE DI FAMIGLIA U O .com 4 I CUGINI ENGELS LE SORELLE MARX Le parole del rinnovamento Pantheon a km 0 Per continuare il nostro onesto (e poco retribuito) lavoro di notiste editoriali, ci è toccato partecipare ad alcuni corsi di aggiornamento dell'Ordine dei Giornalisti per ottenere gli agognati crediti e rinnovare l'iscrizione all'ordine dei Giornalisti Pubblicisti. Nel fantastico menù di offerte formative, ci ha colpito il corso di giornalismo di rinnovamento. Che fantastica idea, ci siamo dette; chi l'avrà avuta? Ci siamo iscritte, ma era un delirio: almeno 500 iscritti, da ogni parte d'Italia. Incredibile! Abbiamo chiesto il perché di questo successo e ci è stato spiegato che erano tutti giornalisti che seguono Palazzo Chigi dove, sembra, non si possa più essere accreditati senza aver seguito con profitto il corso di giornalismo di rinnovamento. All'inaugurazione del corso – che valeva 280 crediti! - c'era una ragazza tanto caruccia, bionda e con gli occhi dolci che ha spiegato quali erano le domande da giornalismo da rinnovamento e quali no. Soprattutto quelle sulla Pubblica Amministrazione e la burocrazia non sono proprio domande da giornalismo di rinnovamento. Ma era così brava: vocina dolce, vestiti da Marianna-la-va-in-campagna, senza trucco, tutta acqua e sapone... ma un caratterino! Girava fra i banchi a controllare le domande che ci aveva dato il compito di preparare: “Questa sì, rinnovamento! Questa no, conservazione!”. La professoressa Madia Marianna, alla fine ci ha promossi e accreditati tutti, salvo un paio che davvero non volevano rinnovarsi. Negli anni ’70 un coro che si sentiva echeggiare nelle manifestazioni della sinistra era “Viva Lenin, viva Marx, via Mao Tse Tung” come a scandire l’idea di rivoluzione internazionale che si respirava all’epoca, impegnati come si era tra un golpe cileno e una spruzzata di napalm in Vietnam. Adesso in un mondo reso globale da internet e dai voli low cost bisogna tornare alle origini, guardare al “local”, al chilometro zero, al basso impatto ambientale. Quindi non stupisce la scelta territoriale di Maria Elena Boschi di Amintore Fanfani come “santino politico” di riferimento al posto del sardo BOBO Enrico Berlinguer, una scelta dettata dal costo della trasferta tra Montevarchi e Sassari. Sconcerto invece nelle indicazioni di Matteo Renzi che, fin da quando era sindaco a Firenze, ha eletto come guida Giorgio La Pira nativo di Pozzallo, Ragusa. Per superare l’empasse il premier rinnovatore ha però subito varato un decreto compensativo: verranno infatti piantati 1.142 alberi, uno per ogni chilometro di distanza tra Pozzallo e la natia Rignano sull’Arno, salvando così ambiente e pantheon di riferimento. LA STILISTA DI LENIN giaguari alla Leopolda “E’ la mia prima Leopolda” confidava candidamente al microfono dell’intervistatore Alessandra Moretti passata da portavoce di Bersani a volto immagine del renzismo di governo ad uso di giornali e tv. Dunque, onestamente, la bella veneta ammette di LO ZIO DI TROTSKY La ministra illetterata Scandalo fra gli Intellettuali del mondo per le dichiarazioni di Fleur Pellerin (Ministro della cultura francese) per aver detto che negli ultimi due anni non ha letto un libro. Gli intellettuali, giustamente, messi nel carro dei parrucconi dal nostro sfavillante Lupettopremier (che tutti ci invidiano), si sono inorriditi: la Vandea libraria insorge! La post-moderna Pellerin è un ministro ai tempi del touch. Che senso può avere la carta per i nativi digitali? Con il kindle paperwhite si può far anche le orecchiette digitali, chi lo tiene più un libro in casa e soprattutto a cosa serve leggerlo? L'homo informaticus è costantemente connesso, il suo cervello è ormai una summa di motori di ricerca, infine, parafrasando Oscar Wilde: “I libri non vanno mai letti perché ci influenzano e così perdiamo la nostra liberté. SUMMIT FAMILIARE La tragedia delle morti bianche Reunion straordinaria di famiglia e una standing ovation per l'assessore Alessia Bettini. Chi è? diranno i nostri lettori. Fino a ieri anche noi avremmo fatto la stessa domanda, ma dopo l'evento epocale occorso in viale Morgagni e la netta presa di posizione dell'assessore, non abbiamo più dubbi: al Comune di Firenze Eugenio Giani ha trovato il suo degno erede. La vicenda, esposta con rilievo e fotonotizia dall'edizione fiorentina di Repubblica, è la seguente: durante il taglio di un albero per i lavori della tramvia, è stato trovato morto un uccello (merlo, per la precisione). I tentativi di rianimarlo sono stati inutili e conseguentemente dichiarato morto. Di fronte alle rimostranze di alcuni cittadini (che hanno fatto ricorso all'Enpa, alla protezione animali e alla Corte Suprema dell'Aja, denunciando anche l'uccisione di 73 formiche a seguito del taglio dell'albero suddetto), la nostra assessora dichiara con piglio decisionista: "me ne interesserò (e questa è già una notizia, ndr). Parlerò con l'assessore ai lavori pubblici Giorgetti per capire come sia andata ma prendo l'impegno che d'ora in poi quando dovremo tagliare gli alberi manderemo i tecnici della direzione ambiente e chiederemo una mano alle associazioni ambientaliste per vigilare sui nidi”. Eccole qui, le ronde ornitologiche! Si prospetta qui un caso politico di rilievo internazionale, foriero di appassionanti sviluppi. Non mancheremo certamente di dar conto del Vertice dell'Uccello Morto fra Bettini e Giorgetti, di tale portata storica da far impallidire quello della Pallacorda e quello di Yalta. Sorelle Marx, Cugini Engels, Zio di Trotzky, nipotine di Bakunin essere una neofita della Leopolda e con l’ardore del convertito, anela lodi al premier e all’iniziativa. Caratteristica che condivide con molti di quelli che, nella vecchia stazione, affollavano la carrozza del vincitore. Però l’europarlamentare ha deciso di andare oltre e, deve aver pensato, se la Boschi da questo palco ha spiccato il volo anche grazie ad un paio di decolleté leopardati, chissà dove finirò io presentandomi con un intero abito maculato? Fallito lo smacchiamento del giaguaro, d’altra parte, cosa di meglio che indossarlo. C U O .com PICCOLE ARCHITETTURE PER UNA GRANDE CITTÀ n 97 PAG. sabato 1 novembre 2014 o 5 di John Stammer Q uando uscì dalla stanza dell’assessore il vicepresidente era contento. Aveva capito che finalmente il centro commerciale si sarebbe fatto. L’amministrazione comunale aveva finalmente concluso l’assetto delle medie strutture di vendita alimentari. Anche il Galluzzo, e la zona sud della città, avrebbero avuto il loro supermercato. Erano passati molti anni da quel lontano 1992 quando il consiglio comunale aveva bocciato la possibilità di realizzare il centro commerciale nell’ambito dell’intervento di edilizia sociale che sarebbe stato realizzato nella zona. E ancora di più da quando Esselunga aveva comprato quel terreno, con destinazione agricola e non commerciale, nel 1971. Ma ora nel luglio di quell’anno 2000 qualcosa aveva iniziato a muoversi. E si poteva iniziare a pensare ad un progetto. Un progetto in un’area difficile sia per gli aspetti ambientali, sia per gli aspetti della mobilità. Per mitigare l’impatto visivo l’amministrazione comunale aveva chiesto di sperimentare, per la prima volta, la realizzazione di una struttura commerciale quasi “ipogea”, con un prato al posto del tetto, in continuità con il parco pubblico realizzato nel 1994 a margine delle nuove abitazioni di edilizia sociale. Sul modello della Biblioteca centrale dell’Università Tecnica di Delft dove il parco pubblico “sale” sul tetto della biblioteca. Per la mobilità i recenti accordi con Autostrade per la realizzazione della terza corsia autostradale avevano finalmente previsto la costruzione di una nuova viabilità, il by pass del Galluzzo, che i cittadini della zona invocavano da almeno trenta anni. Ma c’erano voluti altri sette anni per poter giungere alla approvazione delle necessarie previsioni urbanistiche. Nel luglio del 2007 fu infatti approvata la variante urbanistica, e il consiglio comunale decise anche che Esselunga contribuisse a rendere più appetibile il centro commerciale naturale del Galluzzo realizzando la nuova pavimentazione e una nuova sistemazione della piazza Acciaiuoli. La piazza, di impianto ottocentesco e intitolata alla famiglia locale che molti secoli prima aveva contribuito alla costruzione della Certosa di val d’Ema (Certosa che aveva ispirato Charles-Edouard Jeanneret per la sua opera di architetto, fino all’ideazione delle’”Unité d’Habitation”), era tuttora il cuore dell’antico borgo del Galluzzo, fino al 1929 libero comune, poi smembrato, e in parte inglobato nel territorio del comune di Firenze. Ma per iniziare i lavori si dovette aspettare ancora. Nuove difficoltà burocratiche e nuovi accertamenti furono svolti, e infine nel settembre del 2011 i lavori iniziarono. Francesco e Federico Gurrieri hanno affrontato il tema con un progetto che tiene insieme l’innovazione della copertura a prato con la tradizionale finitura in mattone “facciavista”. Un progetto elegante, che cerca di mascherare la struttura “industriale” del grande spazio commerciale con una facciata concava nella quale si fa notare un insolito richiamo linguistico alle “bay window”. Uno spazio quasi cir- il supermercato “acquattato” colare che costituisce l’entrata e chiude il finto porticato presente su tutta la lunghezza della facciata. Un edificio che sta quasi “acquattato” nella piccola area pianeggiante prima dell’inizio della collina delle “romite”, dotato di due piani di parcheggi sotterranei e che, dal lato sud, è separato dalla cortina edilizia che segna l’inizio dell’abitato del Galluzzo da un percorso attrezzato a verde pubblico, con giochi per bambini e alberature. Percorso che rappresenta l’accesso al più ampio spazio di verde cittadino che si trova alle pendici collinari, sul retro del centro commerciale. L’intervento ha anche ridisegnato la viabilità dell’area con due rotatorie e l’ampliamento dei percorsi pedonali e dei marciapiedi che ora sono integrati con la pedonalizzazione del primo tratto di via delle Bagnese. Ad oggi non è ancora funzionante il by pass che dovrebbe collegare la via Senese con la superstrada per Siena, e con il vicino casello autostradale di Firenze-Impruneta, alla cui messa in esercizio era stata condizionata, nel 2007, l’apertura al pubblico del supermercato. Apertura che avverrà il prossimo 5 novembre. C ISTANTANEE AD ARTE U O .com n 97 PAG. sabato 1 novembre 2014 o 6 di Laura Monaldi [email protected] P aolo Albani opera all’interno delle strutture letterarie e artistiche in modo ironico e immaginario, superando le logiche convenzionali e indagando le potenzialità del linguaggio contemporaneo, all’interno del campo della poesia lineare, sonora e visiva. Si tratta di un linguaggio che mette in primo piano se stesso e la configurazione linguistica del testo estetico, nel quale i vari elementi vengono messi tra loro in un rapporto complesso, coinvolgendo tutti i referenti a cui il linguaggio si relaziona. Il divertissement poetico che ne risulta si riappropria dell’idea che il codice comunicativo porta in sé una verità L’ironia imprescindibile: un’autenticità che può essere scoperta e rivelata attraverso vie e soluzioni diverse dalla norma estetica. Il particolare, l’eccezione e l’ironia affiancano la teoria, fino a giungere all’assurdo e al nonsense, in quanto affermazione del linguaggio come unico e possibile accadimento testuale, ovvero come un’identificazione totale fra testo e linguaggio, poiché esso non deve veicolare significati ma deve costituirsi come significato. Nelle opere dell’artista l’astrazione abbraccia l’immaginario per puntualizzare riflessioni, meditazioni e respingere le induzioni filosofiche. Fra innovazione, rifiuto della norma e aderenza all’idea di una rinnovata poetica espressiva, l’Arte tende a identificarsi sempre più con la complessità dell’immaginazione, della fantasia e della creatività, in quanto fenomeno percettibile ai sensi del lettore e di cui il linguaggio estetico deve farsi veicolo, attraverso il legame necessario e arbitrario che si instaura fra i segni linguistici, fra significato e significante, fra lessema e referente, in grado di creare una teoria interdisciplinare basata sul concetto di codice, in risposta a una trasformazione logica e semiologia del senso, la quale richiede di Paolo albani In alto Alfalabirinto I, 1989, Filo, puntine colorate, trasferibili su legno, cm. 100x30. Sopra Assolo, 1988, Lettere adesive su cartoncino, cm. 15x28. A destra Le migliori poesie, 1985 Carta in contenitore di metallo in teca di plexiglass, cm 31x27,5x27 Tutte courtesy Collezione Carlo Palli, Prato una ri-qualificazione semantica del linguaggio, capace di indagare e sperimentare i limiti della propria potenzialità espressiva. Le strutture letterarie e artistiche di Paolo Albani acquistano un tono ironico e potenziale, nella consapevolezza che la parola, come il testo e l’opera in senso lato, acquista significato grazie alle caratteristiche visive e sonore, in cui domina una semantica sensoriale, concreta e tangibile, e all’idea che i linguaggi artistici altro non sono che una meravigliosa macchina generatrice di una molteplicità infinita di messaggi, tesi ad assolutizzare l’espressione estetica nella dinamica e nella retorica della creatività. C OCCHIO X OCCHIO U O .com di danilo cecchi [email protected] a mmesso che abbia un senso (e secondo noi non lo ha) parlare della storia della fotografia, ed in particolare di una storia della fotografia separata da tutte le altre storie dell’espressione umana (arte, cinema, musica, linguaggio …) o del pensiero (filosofia, estetica …) e di tutte le altre storie ad esse correlate (economica, politica, militare, sociale …) è facile rilevare come quasi tutti i trattati di storia della fotografia, anche i più recenti e “politically correct” abbiano la tendenza ad ignorare i fotografi italiani, esaltando invece l’opera dei fotografi francesi ed inglesi, tedeschi ed americani, allargandosi fino ai giapponesi. Perfino le poche opere specialistiche sulla fotografia italiana (da Zannier e Settimelli fino ad Antonella Russo, Roberta Valtorta o Gabriele D’Autilia) non fanno che insistere sugli stessi nomi, magari quelli che hanno ottenuto dei riconoscimenti a livello internazionale, tralasciando o trattando in maniera sommaria tutti gli altri. Così, al contrario del cinema italiano, che ha conquistato saldamente un posto di rilievo nella “storia” del cinema, almeno dal neorealismo in poi, la fotografia italiana continua ad essere considerata una realtà provinciale e poco influente. E’ del resto vero che nel recente passato nessuno o quasi dei fotografi italiani ha contribuito in maniera determinante alla affermazione del linguaggio fotografico, e che i fotografi, anche bravi, intelligenti e dotati, si sono limitati al confronto all’interno dei circoli ed alla pubblicazione su riviste di secondo piano, giustificati in parte dalla mancanza di una cultura che altrove si esplicitava in esposizioni, mostre itineranti e nella pubblicazione di fotolibri. Fra i fotografi italiani del Novecento vi sono invece figure importanti, non tanto per avere rivoluzionato il linguaggio della fotografia, ma per averlo utilizzato nella maniera più propria e corretta, per raccontare, descrivere, documentare, o comunque registrare, quella realtà, vicina o lontana, che scorreva accanto a loro e sotto i loro occhi. Luciano Morpurgo (1886-1971) è, ad esempio, un personaggio a cui la cultura fotografica del Novecento deve molto. Da sempre appassionato delle immagini fotografiche che colleziona, inizia a fotografare lui stesso attorno al 1907, fonda nel 1919 una società tipografica specializzata nelle Edizioni D’Arte, che nel 1924 dà origine all’I.F.I. (Istituto Fotografico Italiano) e fonda nel 1925 una propria casa editrice, con lo scopo di pubblicare libri di viaggio e d’arte. Lui stesso si dedica a scoprire i diversi aspetti della provincia italiana, si reca nel 1927 in Palestina e documenta luoghi e genti della Dalmazia, sua terra natale, ma anche dell’Albania, Romania e Bulgaria. Di origine ebrea riesce a sottrarsi alle limitazioni razziali ed a scampare alle persecuzione nazista, e nel 1946 riprende la propria atti- n 97 PAG. sabato 1 novembre 2014 o 7 Luciano Morpurgo fotografo e viaggiatore vità con la casa editrice Dalmatia. Fotografo attento, oltre che scrittore acuto e coraggioso, Morpurgo ha lasciato un numero enorme di immagini, fra cui circa 24.000 negativi su vetro scattati fra il 1915 ed il 1936, circa 30.000 negativi su pellicola scattati fino al 1967, e circa 35.000 stampe positive che lui stesso ha riunito in 129 album e 44 cartelle, suddivise per tema e località. Oltre alle immagini più antiche, scattate fra Spalato e Venezia, le città della sua infanzia e della sua prima giovinezza, sono numerose le immagini delle località laziali ed abruzzesi, e le immagini di viaggio scattate fra l’Europa (Italia, Germania, Danimarca, Austria, Ungheria, Malta, Svezia, Francia e Spagna) ed il Nord Africa (Tunisia, Marocco ed Algeria). La maggior parte dei negativi vengono acquisiti, dopo la morte dell’autore, dal Gabinetto Fotografico Nazionale di Roma (oggi Istituto Centrale del Catalogo e Documentazione ICCD), mentre un migliaio di stampe originali vengono donate al Museo Alinari (oggi Museo Nazionale Alinari della Fotografia) di Firenze. C o [email protected] na visita a Lucca è cosa molto piacevole, la città è graziosa, il sabato mattina mi appare sgombra dal caos fiorentino cui non mi abituerò mai, cammino. Stradine, case alte e strette, Palazzi... il Duomo, bellissimo, decorato e intarsiato, ricamato in bianco direi, un pò stortignaccolo, come una preziosa scatola che, caduta per terra, si sia un pò schiacciata da una parte. Camminare sulle Mura, nel sole ancora caldo, ma autunnale nel colore ambrato, e incontrare un mondo di persone in pace con sè e gli altri, a piedi, in bici, bambini che giocano, ragazzi che corrono, vecchietti che fanno due passi, signore che chiacchierano, è una esperienza piacevole, sostanzialmente sottesa da un buon silenzio rigenerante. Vado a vedere la Retrospettiva che il Lu.C.C.A dedica a Robert Capa. Prima entro in una sala dove sono esposte opere di una signora siberiana ( terra di attualità pare), Natasha Yalyisheva, vi si ripete la parola “fragile” in rosso , qua e là pezzi di colore nero. Un impatto di incomprensione, poi allontanandomi vedo meglio, la signora, su pancali qualsiasi (quelli che spesso stazionano vicino ai cassonetti) ricoperti di strisce trasparenti, come di scotch, vicinissime ma separate, decorate con la parola fragile in rosso, dipinge, con pochi tratti di nero, figure. Sempre e solo, qui, soldati o personaggi della Repubblica Popolare Cinese. Fragile essa per nulla, così come fragile per nulla la simbologia del potere che essi rappresentano. O forse è capa, Lunardie a Lu. c. c. a. Yalyisheva di cristina Pucci u n 97 PAG. sabato 1 novembre 2014 ICON U O .com proprio fragile ogni potere, o forse rende fragile il mondo, o anche ci si augura che sia fragile. Rosso come sangue, nero come paura, morte, fine... Ne rimango affascinata. Che dire di nuovo delle foto di Robert Capa? Emozionanti, belle in una apparente semplicità, il suo osare sempre è già nel suo inizio, riesce ad entrare alla Kermesse Trockijsta del 1932, cui nessun apparecchio fotografico fu ammesso, con una piccola Laika nascosta in tasca. Un trionfo di immagini impossibili ed uniche. Fra le tante che vedo mi colpiscono due 8 grandi foto sistemate vicine, scattate nel corso della resistenza dei cinesi all'invasione del nemico Giappone, in una tante persone infagottate che fuggono, nell'altra bambini sorridenti che giocano a pallate di neve. La magia dell'infanzia e della neve resiste, o tenta di farlo, ad ogni guerra, ad ogni fatica ed orrore. Un'altra, famosissima in realtà, quasi icona di un'epoca e di un mondo di artisti, Picasso che segue riparandola con un ombrellone la bellissima e giovane sua nuova compagna, Françoise Gilot, camminano su una spiaggia, lei grandissima si staglia in primo piano, ha un cappello di paglia bislacco e un abitino longuette normalissimo, ride, felice, fiera e trionfante, ha conquistato Picasso! Che altro si può fare di fronte alla bellezza? E soprattutto di fronte allo splendore della gioia e alla freschezza di una risata giovanile? La giovinezza va guardata, seguita, protetta dall'offesa dei raggi bollenti del sole e del tempo, corteggiata. Dobbiamo tutti farle omaggio. Poche foto dello sbarco in Normandia, ne restano soltanto 13 delle tante che Capa scattò sbarcando con i soldati e mettendo in serio pericolo la sua stessa vita, chi le sviluppò, preso da “furor videndi”, ignaro del detto le mieux est l'ennemi du bien, le sovraespose, rovinandole e,bugiardo, le dichiarò “leggermente fuori fuoco”. Ed è questo il titolo della autobiografia di Capa, ristampata per l'occasione. I tre video d'arte di Marcantonio Lunardi, proiettati nelle sale sotterranee, interessanti e estremamente significativi dei mali del nostro tempo, concludono una gran bella visita. ICON akiyo takano la pittrice di via dell’amorino di Loretta galli [email protected] Akiyo, lei ha la sua bottega d’artista in Via dell’Amorino a Firenze. Conosce la storia di via dell’Amorino, già via dell’Amoricchio? Mi sono state raccontate due versioni: una parla dei resti dell’acquedotto romano, detti “more”. L’ altra versione si riferisce alla presenza nella via di case chiuse, di bordelli insomma. Del resto anche la Mandragola di Machiavelli pare fosse ambientata in questa parte di Firenze. Esistono in Giappone le case chiuse? No, non ci sono più dagli anni cinquanta. Lei è in Italia da 17 anni. Quando è arrivata a Firenze, quali sono gli stereotipi errati che ha trovato sul Giappone ? Secondo gli Italiani tutte le donne giapponesi sono geishe. La geisha invece è una donna speciale: cortigiana di cultura elevata e destinata ad intrattenere gli uomini di classi agiate. Esistono ancora. E’ vero che la scrittrice giapponese Banana Yashimoto non è così popolare in Giap- pone come lo è in Italia ? E’ vero, è famosa in Giappone ma non è apprezzata come in Italia. “Kitchen” è un bel libro, l’ho letto con piacere anche perché trattava temi di cucina. Credo che un merito particolare vada anche al traduttore, che ha saputo fare un bellissimo lavoro. E le convinzioni sui costumi italiani sulle quali ha dovuto ricredersi? Ero convinta che gli italiani fossero sempre in ritardo. Invece ho dovuto ricredermi. Ci sono diverse eccezioni. Lei è stata più volte ambasciatrice di Firenze con i suoi quadri di vedute fiorentine in diverse mostre a Tokyo: come è stata accolta ? In particolare durante la mostra a Ginza nel 2011, nel quartiere più esclusivo di Tokyo, i miei paesaggi hanno avuto un successo notevole. In Giappone adorano l’Italia e Firenze in particolare. E’ il sogno di tanti poter venire a Firenze per vedere da vicino le opere d’arte, ma anche sperimentare la cucina ed i vini…. Acquistare i miei quadri e guardarseli a casa li ha spinti a pianificare un viaggio a Firenze, progetto che molti poi hanno realizzato. Sono invece rimasta delusa dal Comune di Firenze, che avevo puntualmente informato sull’evento, per avere un sostegno morale sotto forma di saluto. Non ho avuto alcuna risposta dall’Assessorato alla Cultura. All’inaugurazione della mostra i miei connazionali si aspettavano mio tramite una frase di augurio dalle istituzioni fiorentine. Da noi questi sono aspetti importanti. Ci racconti un po’ il suo lavoro attuale Il mio lavoro mi piace moltissimo: faccio restauro di pitture murali, decori su mobili, ritratti, quadri con vedute di Firenze. Organizzo brevi corsi di disegno e tecnica di affresco. Gli affari potrebbero andare meglio. La crisi si fa sentire in maniera pesante. Lo studio si trova a due passi dalle Cappelle Medicee, ma via dell’Amorino è poco conosciuta anche se ultimamente è stata riqualificata ed ospita diversi atelier di artisti. Se fosse per un giorno il Sindaco di Firenze Darei maggiore importanza agli artisti ed agli artigiani che hanno costruito nel tempo - ed ancora oggi lo fanno - l’immagine di Firenze ed il mito di città d’arte. Sono una grande ricchezza ma purtroppo in via d’estinzione soprattutto dal centro storico. Cosa c’è nel suo frigo? Sashimi o ribollita? Io amo la cucina italiana che alterno con quella giapponese. Quello che non manca mai nel frigo è shoyu (salsa di soia) e umeboshi (prugne salate preparate dalla mia mamma). Per quanto riguarda la cucina fiorentina, alla ribollita preferisco la trippa – alla fiorentina ovviamente. C n 97 PAG. sabato 1 novembre 2014 o VISIONARIA U O .com di Simonetta Zanuccoli [email protected] a Parigi in Boulevard de la Bastille 12, a pochi passi dal Jardin du Port dell'Arsenal, un'inaspettata oasi di pace in mezzo alla città con il suo porticciolo e un grande prato su Canal Martin, in un piccolo edificio rosso, un tempo fabbrica, c'è la Maison Rouge. E' una fondazione privata aperta nel 2004 da Antoine de Galberg per promuovere in maniera non convenzionale l'arte contemporanea con mostre ed eventi spesso tra i più interessanti di Parigi. Antoine de Galberg, collezionista compulsivo, uno degli eredi del potentissimo gruppo francese Carefour e proprietario per dieci anni di una galleria a Grenoble, è un personaggio atipico nel mondo dell'arte. In una recente intervista Galberg ha dichiarato di aver voluto la fondazione per “alleviare il senso di colpa che ti da la fortuna”, anche se lo stesso progetto ha avuto poi molta fortuna diventando uno dei luoghi cult per giovani artisti, collezionisti e per gli oltre 100.000 visitatori all'anno. Ma in realtà l'intento di Galberg è quello di dare una vetrina ad opere di importanti collezioni private, spesso mai esposte, e ad artisti emergenti ancora non assorbiti dal mercato dell'arte in un ambiente confortevole con i suoi 1300 mq, un cortile centrale, una caffetteria con the e torte biologiche, l'arredamento che cambia in funzione dell'esposizione presentata e la libreria con una parete decorata da Jean Maison rouge arteterapia contro i sensi di colpa Finzionario di Paolo della Bella e Aldo Frangioni Michel Alberola con libri dedicati al collezionismo privato, cataloghi e opere originali. Una volta l'anno il team di venti persone che lavorano alla Maison Rouge si raduna nel cortile centrale e a turno propongono un artista emergente da sostenere. Avrà una mostra tra le rosse mura chi viene democraticamente eletto con il voto di tutti. Le 1200 opere della collezione di Galberg, formata in quasi trent'anni, sono state scelte con un approccio passionale più che intellettuale, “ho comprato ciò che mi piaceva, non ciò che dovevo”, e questa libertà fuori dai canoni di valutazione tradizionali l'ha dimostrata anche quest'anno quando, per festeggiare i dieci anni della sua Fondazione, si è regalato una grande mostra, The Wall, con le sue opere attaccate in tutti i muri della Maison Rouge senza distinzione di tema, formato, valore di mercato e fama dell'artista, anzi le opere erano anonime, contrassegnate solo da un numero da digitare su un touch screen per avere informazioni sugli autori. Fino al 18 gennaio 2015 viene presentata alla fondazione la mostra Art Brut. Abcd collection, 400 opere tra disegni, dipinti, sculture e assemblaggi di 200 artisti che fanno parte di una delle più straordinaria e importante collezione di arte naif con 3500 opere, dalla meta del XIX secolo ai giorni nostri, iniziata negli anni 80 da Bruno Decharme, regista, produttore, sceneggiatore, documentarista, editore.....e naturalmente amico di Antoine de Galberg. CATTIVISSIMO il cono gelato contro la mitopoiesi dell’intolleranza di francesco cusa [email protected] Francamente me ne infischio (Frankly, my dear, i don't give a damn): %&'()*456789:CDEFGHIJSTUVWXYZcdefghijstuvwxyzƒ??????Š????????š????????ª? ??µ????ºÂÃÄÅÆÇÈÉÊÒ ÓÔÕÖ?ØÙÚáâãäåæçèéêñòóôõö?øùúÿÄ ÿÄ µ w !1AQaq"2?B???Á #3RðbrÑ á%ñ&'()*56789:CDE FGHIJSTUVWXYZcdefghijstuvwxyz?ƒ??????Š???? ????š????????ª???µ????ºÂÃÄÅÆÇ ÈÉÊÒÓÔÕÖ?ØÙÚâãäåæçèéêòóôõö?øùúÿÚ ? üª???à??Wö?Õqÿ BýÇþ?Š??? à?ÿ òs?ý??ú6* ý??c?sTµm~-ÔË) Þà ? ? ? 'é P ø ? \ ? ðÞ ? > ? } 2 Á m É w < W Ê ß < e ? Ä BM?ãÓË????'ØÔôùø??ÝirOe#,??_í?gmï\/?>9G?G?RM0Ç*ÊÒ???>rŒ'Ó8Á??Ÿ?õ?B Ù????œ(??Bá?v? ãÜþFž<;ý?ÆÄK%ÞÅÌ? N À {ô í Ú ? = 3 Â ß ? ? ? ã Õ g ? : ? ? ? æÝæ ê , ? l û ? ž ?qŽk?!øÇaz?júŒ?M?ckV?#?òÈ?ŽÙÃ("?4?øuö????e??Xö?Æyxà??|ÀäƒÎ+{BеßèZ Ì Ú c ? î n - n â y J ? ê ? g ? â Á Ç 9 ? ? í > : ø _ U ? 8 ôé?f?3Þ2??ÆpÌÄŒsǵwëxÄÇ#9ð?ø?Y?/MÅ?ôo?YdÈ?9Y? >%ZkZ?Iä?yQ~a }?ç?N?? üÅÿ ?ÇÈdý?|4Oý q éDõð]}ßÿ ?;?h?ÚkUõ/Ü èØ?áºû?þþqûMê?ö/\ èØ?õkâÿ ?? 9 Il gelato, da che mondo è mondo, è il cono. Non ci sono discussioni. Diffidate sempre da chi lo ordina nella cialda o ancor peggio in "coppetta di plastica". Quelli che lo prendono nella coppetta di plastica appartengono alla categoria dei frigidi, dei diplomatici, dei burocrati. Di solito è gente che ha problemi di stomaco in seguito a forti traumi occorsi in età adolescenziale. Somatizzazioni al plesso solare che hanno avuto la disgrazia d'esser poi tradotte in diete specifiche, chiaramente a seguito di minuziosissimi test allergologici che hanno finito col determinare il problema in maniera sistematica. Strutturale. La gioia del gelato - e mi sovviene una straordinaria e coloratissima copertina d'un Topolino d'annata, con Qui, Quo, Qua, l'anguria, la banana e il cono gelato, nella assolata estate dei Settanta - diventa così sfida alla deglutizione, mitopoiesi dell'Intolleranza (con la "I" maiuscola). Di solito è poi gente che prende i gusti più strambi. Cerca la soia, il gelato al basilico, al sesamo e miele, al gelsomino e ordina porzioni minutissime (di regola un solo gusto). Non è questa la sede per discutere delle eccelse alternative al gusto tradizionale. Qui si analizza semmai il processo traumatico funzionale alla negazione dell'archetipo-gelato: un bel cono cremoso che ha da sempre fatto gioia e acquolina in gola d'ogni brufoloso moccioso. Questa minoranza rumorosa finirà per costituirsi parte civile e avrà come obiettivo ultimo quella della radiazione del concetto di "cremosità". Consumeremo gelati panna, cioccolato e crema in baracchine abusive, guardati in cagnesco come portatori mefitici di colesterolo, marchiati dalle stimmate della golosità. Vita, passione e morte del gaudente caucasico. Sarà il canto del cigno degli epicurei, e il trionfo dell'evo C n 97 PAG. sabato 1 novembre 2014 o LUCE CATTURATA U O .com L’aquila 5 anni dopo di davide virdis per coNfotografia www.davidevirdis.it www.confotografia.net La città interrotta frammenti di una ricerca di normalità settembre 2014 MUSICA MAESTRO di alessandro Michelucci [email protected] Firenze non può essere considerata una capitale della musica, ma nell’ultimo mezzo secolo ha espresso numerosi musicologi di rilievo: da Luciano Alberti a Piero Bellugi, da Renzo Cresti a Fiamma Nicolodi. A questi nomi consolidati ci pare opportuno aggiungere uno studioso più giovane che si sta affermando negli ultimi anni: Antonello Cresti. Il suo campo d’indagine è diverso da quello degli esperti suddetti, dato che si concentra sulla musica extracolta dell’ultimo mezzo secolo. Il termine extracolta, che usiamo per pura convenzione, è molto vago. In questo caso non parliamo di musica leggera, ma di rock non convenzionale, con tutte le possibili contaminazioni che vanno dal jazz alla musica contemporanea. Musicista ancora prima che musicologo, Cresti fornisce una guida esemplare a queste musiche col suo ultimo libro, Solchi sperimentali. Una guida alle musiche altre (Crac, 2014). Un’opera benvenuta, perché veramente diversa dalle tante guide ai dischi rock “essenziali” che affollano le librerie italiane. Alcune compilate con passione e con cura, ma tutte segnate da un anglocentrismo soffocante. Sfogliandole si ha la sensazione che al di fuori del mondo anglofono non esistano musicisti degni d’attenzione. Il libro di Cresti rifiuta questo conformismo: la prima cosa che colpisce è l’incredibile varietà geografica dei lavori analizzati, circa 300 dischi che coprono mezzo secolo. Il volume non trascura neanche paesi generalmente dimenticati come Australia e Nuova Zelanda. Cresti non ha la presunzione di indicarci quali siano i dischi migliori, come in genere fanno le guide di questo tipo. La sua è una scelta prevaletemente basata su gusti personali, quindi ha poco senso rilevare certe assenze. In ogni caso pensiamo che nomi come John Cale, Eno, King Crimson e Robert Wyatt avrebbero dovuto essere inclusi. Lo studioso fiorentino dedica ampio spazio all’ignoto giacimento di tesori situato nei paesi dell’Europa centrale e orientale. Si tratta di una scelta meritoria che ha un valore culturale ben preciso. Nella seconda metà del secolo scorso, in seguito alla logica manichea imposta dalla guerra fredda, una parte consistente della musica europea è stata sostanzialmente ignorata. In questo modo si è consumata una frattura profonda fra le due parti del continente. Il volume in questione fornisce quindi un contributo, solitario ma prezioso, affinché questa frattura venga ricomposta. Le scuole e le tendenze non sono mai rappresentate dai nomi più 10 Suoni che lasciano il segno prevedibili. I nomi italiani degli anni Settanta non sono quelli dediti al prog magniloquente, ma gruppi meno noti e più stimolanti come Aktuala, Opus Avantra e Pholas Dactylus. Naturalmente non mancano quelli legati all’esperienza di Rock in Opposition, da Julverne a Univers Zero. Un piccolo appunto, semmai, riguarda l’eccessiva lunghezza di alcuni periodi. Ma in pratica si tratta di un dettaglio che scompare davanti alla validità dell’opera. Scritto con appassionata competenza, Solchi sperimentali è un libro che lascerà il segno, come ha già fatto la musica che vive sulle sue pagine. registrazione del tribunale di firenze n. 5894 del 2/10/2012 direttore simone siliani redazione sara chiarello aldo frangioni rosaclelia ganzerli michele morrocchi progetto grafico emiliano bacci editore Nem Nuovi eventi Musicali viale dei Mille 131, 50131 firenze contatti www.culturacommestibile.com [email protected] C ALL’OMBRA DEI CIPRESSI U O .com di ilaria Sabbatini P [email protected] er me la perdita non è altro che distanza e il lutto promessa di ritorno. Mi sono resa conto di non temere questi luoghi di silenzio, di non disprezzarli. Ho imparato anzi a goderne, per la dolcezza che mi trasmettono, sempre in equilibrio tra il ricordo e l’attesa. Rasos è un posto pieno di pace, uno dei posti più belli che ho visto . E’ un cimitero ma le case dei vivi confinano con quelle dei morti. La collina è piena di tombe, cresciute senza regole precise, e invece di sviluppare caos hanno creato armonia integrandosi con la natura. Rasos non suscita pensieri tristi, Rasos fa venire in mente una continuità affettuosa tra chi parte e chi rimane. Rasos è pieno di luce, di piante e di bellezza qui sembra che anche il concetto di male sia superato. Alcune tombe sono curate, altre no, alcune sono nuove altre vecchissime. Nella stessa sepoltura vengono messi accanto parenti lontanissimi, generazioni diverse. E i vivi ci passano in mezzo solo per passeggiare, mentre qualcuno rassetta il proprio pezzetto di memoria. Qui più che da ogni altra parte ha senso parlare di famiglia umana. Cenni:il cimitero di Rasos, fondato nel 1801, occupava una piccola area a sud-est di Vilnius dove erano sepolti artisti e scrittori lituani, Polacchi e Bielorussi. A metà del XIX secolo fu aggiunta una parte nuova destinata ai caduti del 1920-1921 nelle lotte per l'indipendenza della Lituania. Durante l'occupazione sovietica (19401990) Rasos conobbe un periodo di abbandono. Nel 1967 il cimitero fu chiuso e questo favorì il danneggia- n 97 PAG. sabato 1 novembre 2014 o 11 cimitero di rasos vilnius Lituania mento dei colombari, dei recinti e di molte lapidi. Dal 1940 lo sviluppo del cimitero si è fermato mantenendo immutata la planimetria. La sepoltura nelle tombe di famiglia è ricominciata solo negli anni '80. Oggi esiste un regolamento per cui le nuove lapidi si costruiscono su progetti concordati mentre le vecchie, cui è riconosciuto un valore storico e artistico, sono affidate a restauratori specializzati. Rasos è iscritto al registro dei Beni Culturali Immobili della Lituania. SCENA&RETROSCENA di Sara chiarello [email protected] Oscillazioni in un mondo, quello reale, che ci mette in crisi, e oscillazioni, quelle linguistiche, delle arti performative, in continua evoluzione. È il titolo della nona edizione di Zoom festival, felice proposta della Compagnia Krypton che torna presso il Teatro Studio di Scandicci con 8 giorni di spettacoli di 14 giovani compagnie di teatro e danza, con alcune prime nazionali e site specific. Il festival si aprirà lunedi 3 novembre con la performance Macelleria di Marcelo Cordeiro (Belo Horizonte) esito di un laboratorio di residenza al Teatro Studio del regista brasiliano (ore 21.00, prima assoluta). Partecipano vari attori e musicisti, che costruiranno una polifonia scenica che coniuga i fili dei testi, della musica e del movimento. Il 4 novembre in scena il duo Bandelloni/Martinoli con Io sono felice – e alla fine dello spettacolo lo sarete anche voi, scritto, diretto e interpretato dai due attori, che nasce dalla necessità di superare un momento sociale e culturale di grande crisi e depressione economica, per vivere il presente senza la paura del futuro. A seguire alle 22.15 il Zoom festival al via romagnolo CollettivO CineticO che presenta, fresco di debutto e di Premio ricevuto dalla Rete Critica come migliore compagnia 2014, Miniballetto n. 1. Nel programma si segnala Progetto Brockenhaus con… di Giulietta e del suo Romeo, rilettura dell’opera shakespeariana in cui i protagonisti sono rappresentati da due fantocci, l’attrice veneta Silvia Costa in Stato di grazia, basato su casi clinici raccolti e catalogati nel libro Psychopathia sexualis di Ri- chard von Krafft-Ebing, e i romani Clinica Mammut con Del sordo rumore delle dita_trascrizione, un lavoro che muove intorno alle zone liminali di un’esistenza a margine, quella di Pasolini. Fosca presenta Solo piano con donna #1, performance con la pianista francosenegalese Oumoulkhairy Carroy, mentre i toscani KanterStrasse saranno in scena con la rilettura del classico di Moliere, Il borghese gentiluomo. Chiude Zoom Festival l’11 no- vembre alle 10.00 (replica alle ore 11.30) In Viaggio tra Cielo e Mare, una produzione dedicata all’infanzia, con la regia di Sarah Vecchietti, realizzato con la tecnica del teatro nero, spettacolo scelto per rappresentare l’Italia al Festival Mondiale del Teatro di Figura a Jacarta. Dice Giancarlo Cauteruccio, ideatore e guida dei Krypton, a proposito del festival: ‘In Italia abbiamo da un lato compagnie che guardano a un teatro di tradizione, che operano per recuperare il testo, dall’altro compagnie che sperimentano, e che usano un linguaggio aggressivo e estremo, mettendo in crisi il testo. Sempre più l'opera vive in una continua condizione dinamica e metamorfica. L'oscillazione è una modalità necessaria di questa nuova generazione creativa che agisce in costante movimento e non pone la creazione in una condizione di certezza ma in una ricerca incessante’. La rassegna è in collaborazione con Fondazione Toscana Spettacolo, Regione Toscana, Scandicci Cultura. Ingresso 8 euro, con possibilità di abbonamento. Per il programma completo e ulteriori informazioni www.zoomfestival2014.com. C n 97 PAG. sabato 1 novembre 2014 o LUCE CATTURATA U O .com 12 a cura di aldo frangioni Q [email protected] uarantadue immagini b/n realizzate nel 1976 testimoniano l’abbandono delle terre in un momento in cui erano recenti i cambiamenti sociali e le proteste contadine. Il mondo degli sconfitti è stato tema prediletto dalla linea documentaristica sin dall’ultimo trentennio dell’Ottocento, promosso negli anni 30 sino ad essere egemone nei 70: Down Home di Bob Adelman, ritratto di una contea rurale dell’Alabama, è del 1972, del 1973 Wisconsin Death Trip di Michael Lesy, oggetti trovati di fine 800-primo 900. In linea con tale tendenza questo lavoro di Pier Nello Manoni ove mancano però del tutto le figure umane di cui restano solo tracce, resti, residui. Nei momenti in cui i processi di cambiamenti sono accelerati, il passato “è diventato il più surreale degli oggetti”. Il gusto surrealista trovava interessante ciò che gli altri vedevano come privo di interesse. Al documentarista il compito di registrare questo frammento di mondo in via di sparizione. Una realtà che viene, secondo Viktor Šklovskij, “defamiliarizzata” e per questo in qualche modo rivelata. Seppur sotto forma di foto-reportage nell’opera di Manoni appare una evidente ricerca estetica nella composizione dell’immagine, distribuzione dello spazio, inquadratura, attenzione ai dettagli, nulla è lasciato al caso nella scelta dell’oggetto rappresentato. Si profila inoltre anche un preciso filo narrativo, una storia che si sviluppa a partire di ciò che resta della casa padronale e di quella contadina per arrivare, attraverso diversi passaggi -dalle scritte di protesta agli strumenti agricoli- alle tracce infine del padrone e del mezzadro nei piccoli cimiteri di campagna ove permangono le differenze di classe. La proiezione Dia presenterà altre serie di lavori: Ospedale psichiatrico (1979); Firenze Oltrarno (1980), eseguito con banco ottico in collaborazione con Luciano Ricci su luoghi quali: strade, vicoli, palestre in vecchie chiese, o la bottega del pittore naif Emilio Malenotti, o la trattoria che frequentava Rosai. E personaggi quali: bottegai, artigiani, drogati, prostitute, ritratti nello spazio urbano ma isolati su un fondalino bianco che fa da palcoscenico; Cammina cammina (1979-80) sugli attori scelti da Ermanno Olmi per il suo film omonimo tra i contadini volterrani; Artigiani (1976-1982) tra cui troviamo ciabattini e alabastrai ritratti nelle loro botteghe con accanto gli strumenti a lavoro. Pier Nello Manoni, volterrano, è documentarista oltre che fotografo. Tra i suoi documentari: Restauro del libro dopo l’alluvione, (1970-75) per conto del Gabinetto Vieusseux; Rosso Fiorentino (1980); La Battaglia di Montaperti (1990-92) per conto dell’Università di Siena; Una scuola si racconta (1999-2000) con testi di Giorgio Pecorini. Il suo documentario realizzato nell’ex Ospedale Psichiatrico di Volterra Graffiti della mente (2002) ha vinto numerosi premi e ha avuto riconoscimenti nazionali e internazionali, tra gli altri, nei Festival di Capalbio Cinema, Bellaria Festival, Festival Internazionale Cinema Città di Bergamo. E’ divenuto mostra a Volterra, Losanna, Parigi, e volume dal titolo “Nannetti”, Ed. Infoto, Losanna, 2008. Manoni ha collaborato con vari registi tra cui Ermanno Olmi. Pier Nello Manoni Memorie di mezzadria e firenze scomparsa ICON Martina della valle a Paris L’Istituto Italiano di Cultura rinnova anche quest’anno la partecipazione al Mois de la Photo, continuando il suo programma di residenza “Le promesse dell’arte”. A questo scopo Giovanna Calvenzi e Laura Serani, delegate artistiche del Mois de la Photo 2014, hanno selezionato Martina della Valle. La mostra personale ospitata nei locali dell’Istituto presenta gli sviluppi della sua ricerca nati dal soggiorno a Parigi nel mese di Aprile. Martina della Valle scrive un nuovo capitolo del suo percorso di lavoro, creato appositamente per le stanze dell’Hotel de Galliffet che lo accoglie. Cieli, luoghi e storie collezionate a Parigi diventano materia prima delle sue installazioni, delle sue riflessioni. Istituto Italiano di Cultura 73, rue de Grenelle 75007 Paris C HORROR VACUI U O .com stri ono moloro, s i t t e s di i in dove glto più piccolotempo à t t i c a l a do dal spazio divent Fuggen rché io sono nel cunicolo altro un o solo pedo di entrare entrare in un solo sognand i u o l d mi il permetta Ma forse st che mi so parallelo. univer dis tes egni ti d di P i al am do fra ngi oni i isibili d v n i à t t n ove u elle ci a una d i due parti: d o, in cui z o r a M fatta d del top la Calvinosi vive la città n secolo quel u secolo otterranei e nel cielo. nicoli s ndine, liberi della ro n 97 PAG. sabato 1 novembre 2014 o 13 C di Paolo Marini L’ n 97 PAG. sabato 1 novembre 2014 o RI-FLESSIONI U O .com [email protected] altro giorno ho incontrato un conoscente che, a domanda, mi ha risposto con imperiosa gaiezza: “Io so tutto su questa materia!” Ho taciuto, dopo queste parole, ignorando se le avesse pronunciate con convinzione o autoironia; dopodiché ciò che contava era che comunque mi avevano fatto riflettere. La questione era ed è: puoi realmente sapere tutto - ma proprio tutto - di qualcosa? O non è forse che proprio perché la indaghi, la studi, la mèditi, che quella materia la conosci meno delle altre? Non è un paradosso? Più vai avanti nella ricerca e più ti rendi conto che non saprai mai tutto ciò che c’è da sapere su un argomento, che ogni passo avanti nella conoscenza è, per l’appunto, non soltanto una luce che rischiara qualcosa che prima era nel buio, ma anche la scoperta di nuove ombre e di nuovi silenzi, dove tu ancora non sei entrato e che devi pazientemente dischiudere. Del resto Karl Popper, uno che a proposito di teoria della conoscenza ha lasciato un’eredità importante – non trattandosi di un sapere precotto bensì di un sistema critico di concepire il sapere -, riteneva che “a ogni passo in avanti che facciamo, a ogni problema che risolviamo, non scopriamo solo problemi nuovi e insoluti, ma scopriamo anche che là dove credevamo di trovarci, su un terreno in realtà il terreno stabile è il più precario [email protected] 1)Arriva in un paese, parcheggia il cavallo. 2) Informati dov’è la biblioteca, controlla che contenga i tuoi amati testi di filosofia. 3) Distribuisci a tutte le donne del paese, il tuo depliant illustrativo: “ Volete la felicità? Eccomi!” 4) Indossa la parrucca bianca, la calzamaglia stretta, la camicia bianca larga. 5) Datti il cerone in faccia. 6) Ama tutte le donne del paese. Sii maestro d’amore. Diffondi le ultime novità sulle posizioni più di moda. 7) Unica regola: non farti mai vedere nudo alla cruda luce del mattino. 8) Levati il cerone. 9) Ritorna in biblioteca a consultare i tuoi dell’idealismo italiano (Croce e Gentile, per intendersi, ndr) sulla politica della formazione scolastica e dello sviluppo accademico” (G. Corbellini, “Lo psicologo messo in Croce”, Il Sole 24 Ore, 24.03.2013) ovvero, ancor prima, a quella tendenza affermatasi nella seconda XIX° secolo per cui la scienza aveva iniziato ad essere scissa e relegata in un canto separato, rispetto alla cultura. Il frazionamento della cultura, prima in due, poi in ben più numerosi spicchi, potrebbe aver agevolato l’illusione di un sapere totale che si forma su qualcosa. Senonché il sapere non consiste in una appropriazione definitiva di informazioni, non è statico in alcun senso, bensì si sviluppa in una incessante revisione e ri-elaborazione delle stesse e le singole discipline costituiscono insiemi comunicanti, spesso dagli incerti confini. Così si può, partendo da una parola, dare inavvertitamente inizio ad un itinerario che, di rimando in rimando, si rivela indefinito. E allora, se così stanno le cose, non c’è poi molta differenza tra la pretesa di sapere tutto di qualcosa e sapere.. tutto di tutto. E’ insensatezza, impastata di una superbia quasi ingenua; quella superbia che, per dirla con le parole del Santo Josemaria Escrivà (da “Solco”, par. 703), “prima o poi finisce per umiliare, di fronte agli altri, l’uomo ‘più uomo’, che agisce come una marionetta vanitosa e senza cervello” L’APPUNTAMENTO di Massimo cavezzali i consigli di casanova SCAVEZZACOLLO stabile e sicuro, in realtà tutto è incerto e precario”. Non sarà mica che il sapere è un grande universo, un’unica ed infinita ragnatela dove ogni più piccola parte è anche, inaspettatamente, interrelata con innumerevoli altre? Che dire, dunque, delle discipline e sotto-discipline, dei vari ‘capitoli’ in cui esso è stato suddiviso? Non è forse quella che Bruno Arpaia ha chiamato “specializzazione e parcellizzazione dei saperi” (in “Non due ma mille culture”, Il Sole 24 Ore, 10.07.2011), con l’idea derivatane di ambienti chiusi e tendenzialmente autosufficienti/ autoreferenziali, ad illudere certuni che si possa acquisire una comprensione totale di ciò che è stipato dentro quei recinti artificiali, nella serena dimenticanza degli infiniti intrecci che legano tra loro mondi spesso ritenuti lontani? Certo genere di ‘credenza’ – la chiamo così perché qualcuno la porta e la spende come una fede – potrebbe ricondursi anche alla “perniciosa influenza 14 amati testi di filosofia. 10) Distribuisci a tutti i maschi del paese il tuo depliant: “ Volete la felicità? Fatevi una famiglia! Il matrimonio è la priorità” 11) Rimetti il cerone. 12) Fai incontrare le donne che hai amato con i maschi che hai scelto fra quelli più provvisti di sicurezza economica e capacità di montare un mobile dell’Ikea. 13) Celebra i matrimoni. 14) Adesso non hai più sensi di colpa. 15) Hai dato a tutti la felicità. 16) Sali a cavallo. Saluta col fazzolettino ricamato. 17) Un altro paese ti aspetta. 18) Go, Casanova, Go! black Landscape Nel paesaggio nero le immagini arrivano dall’oscurita ̀, dal buio alla luce le figure emergono dal nero per darsi alla luce della visione. Queste del buio sono immagini che sono gia ̀ esistite, che hanno gia ̀ vissuto. Immagini che hanno vissuto in bui leggermente piu ̀ chiari, chiari non di crepuscolo, solamente di luna. La luna la sa lunga riguardo al buio, ̀ e lei probabilmente che ha la conoscenza piu ̀ intima del nero. I rumori del buio suonano piuttosto come echi, come echi fuori luogo. Il rumore o il suono arriva dal buio da un mondo che forse non ̀ e lìe non ̀ e lìnel nero. Il rumore del nero ̀ e piu ̀ prossimo ad un bisbiglio ben scandito, una sorta di passaparola. Chi vede il paesaggio nero procede a tastoni ma non come chi non vede. Chi abita il paesaggio nero vede quello che non ha mai visto e che eppure ̀ e gia ̀ esistito. Vedere cio ̀ che non si ̀ e mai visto nonostante cio ̀ che si vede sia gia ̀ esistito ̀ e oltre la soglia del non vedere. Chi ̀ e dentro al paesaggio nero non ̀ e chi procede a tastoni, chi ̀ e dentro al paesaggio nero ̀ e lui stesso il paesaggio nero. 1 novembre ore 21.00 SPE - Spazio Performatico ed Espositivo, via di Vorno 62, Capannori Luisa Cortesi e Massimo Barzagli Black Landscape performance di Luisa Cortesi e Massimo Barzagli coreografia e interpretazione Luisa Cortesi opera in scena Massimo Barzagli C PECUNIA&CULTURA U O .com twitter @michemorr d tagli in salsa belga KINO&VIDEO Sante, filosofe e rivoluzionarie L’APPUNTAMENTO o 15 Paese, piccolo e fragile, come il Belgio. Nessun ragionamento di lungo periodo, nessuna volontà di mostrare quale futuro si verrà a creare così. Il Belgio è un paese diviso in due comunità regionali con lingue e culture diverse ma soprattutto due economie profondamente divise. Ricca e in ripresa la parte fiamminga, povera e in recessione quella francese. I tagli alla cultura federale aumenteranno il divario, separando ancora di più le due parti del paese e, di fatto, venendo meno al compito principale di uno Stato federale: quello di tenere insieme le entità federate. Esiste dunque nel cuore dell’Europa un modello di sviluppo che, nonostante la retorica della cultura come volano dello sviluppo, agisce proprio sui tagli alla cultura per ottenere momentanei sollievi economici che comprometteranno le generazioni future, renderanno più fragile ed ostile la comunità e aumenteranno le differenze socioeconomiche dei cittadini. Un modello che potrebbe essere facilmente esportabile in altre nazioni, magari infilando qualche apertura al mercato e l’immancabile riferimento al petrolio culturale. di Michele Morrocchi opo essere arrivato in ottobre alla creazione di un governo (impresa più complessa che da noi, dunque ai limiti dell’impossibile) a guida liberale, il Belgio ha annunciato una serie di tagli alla cultura da far tremare i polsi. Il tagli prevedono una riduzione del 20% sulle spese di funzionamento delle grandi istituzioni culturali federali (teatri, musei, istituti di ricerca) entro la fine del 2014 e poi un 2% annuo di riduzione sino al 2019. Le spese per il personale invece una riduzione del 4% annuo nel medesimo periodo. Tagli che, di fatto, potrebbero portare alla scomparsa della cultura “nazionale” in Belgio, lasciando alle sole regioni (Vallonia francofona e Fiandre fiamminghe) la produzione e la cura dei beni culturali. Regioni che, c’è da aggiungere, hanno comunque già tagliato i propri budget in questi anni. Il ministro della ricerca afferma candidamente su Le soir, quotidiano francofono di Liegi, che i musei resteranno chiusi almeno un paio di giorni alla settimana; i sindacati, gli operatori culturali intanto sono in rivolta. Oltre alle cifre c’è poi il metodo: nessuna concertazione, nessun dialogo. Solo annunci di tagli draconiani. In più nessun ragionamento su cosa debba e possa essere la cultura in un n 97 PAG. sabato 1 novembre 2014 di isabella Mancini soloconlamiatesta.wordpress.com L'origine del mondo. Suggestivo titolo per la 36° edizione del Festival Internazionale di Cinema e Donne che quest'anno punta al Nord. Serata di apertura dedicata alla Svezia, con tre titoli in cartellone di emer- genti cineaste: Stockholme Stories, Palme, Love during wartime. Commedia divertente il primo, documentario senza requiem il secondo, altra commedia intelligente il terzo. Presente in sala la regista Karin Fahlén che alle 19 sarà, con le altre registe della giornata, a parlare con il pubblico. Seconda giornata dedica invece all'Olanda: dal divertente Happily Ever After, storia quasi biografica della giovane regista di origine bosniaca ma residente a Amsterdam che non riesce a farsi durare un fidanzato, all'impegnato e approfondito Sexy Money, viaggio nel mondo della prostituzione, alla commedia Jackie, road movie che miscela diversi livelli di lettura tra famiglie allargate e ristrette, parenti perduti e ritrovati, amori stracciati da un lato all'altro dell'Oceano Atlantico. Le signore dell'edizione saranno però due maestre come Margarethe Von Trotta e Micheline Lanctot che porteranno ognuna tre film. La Von Trotta terrà una lezione domenica mattina all'istituto tedesco di Borgo Ognissanti dedicato a “Rivoluzionarie, sante e filosofe”, ovvero le protagoniste dei suoi capolavori, da Hannah Arendt a Vision a Rosa L. Tutti i film sono in lingua originale, sottotitolati. Dal 6 all'11 novembre sempre al Cinema Odeon, sempre in Piazza Strozzi a Firenze. C CULTURA DI PACE U O .com di Loretta galli b [email protected] rutta la parola il pregiudizio: è proprio il pregiudizio che stravolge ed offusca la possibilità di vedere la realtà con occhio sereno. E’ dal 1997 che a Rondine Cittadella della Pace si vive lontani dal pregiudizio. Le attività di Rondine sono tante, quella finora più nota è lo studentato internazionale che accoglie studenti di diverse culture e di diverse confessioni religiose provenienti da aree in conflitto (Medio Oriente, Federazione Russa, Balcani e Subcontinente indiano). Ma la cosa migliore è visitare Rondine, piccolo e ordinato borgo alle porte di Arezzo. Come recita lo slogan “Qui il dialogo diventa pace” e proprio qui convivono e si scambiano esperienze giovani che altrimenti, nei loro rispettivi paesi, sarebbero nemici. Il sospetto che si tratti di retorica è forte, ma i risultati ci sono e si vedono. Quello che imparano i giovani a Rondine se lo portano a casa, è qualcosa di prezioso come la tolleranza, lo sguardo aperto verso l’altro in quanto persona, il tutto sbocciato da una esperienza di studio e di vita quotidiana a fianco a fianco di coloro che con preoccupante rassegnazione vengono etichettati come “nemici”. Questi ragazzi che studiano e che ricevono quotidianamente un’azione educativa in un ambiente straordinariamente bello anche dal punto ambientale (il villaggio è adagiato su un’ansa dell’Arno ed è contornato di cipressi, ulivi e composto da basse case medievali), sanno che arrendersi al pregiudizio non li aiuterà nel loro futuro. Il 18 Ottobre, proprio alla Cittadella della Pace di Arezzo, è stato presentato il nuovo progetto “Quarto anno liceale d’ Eccellenza”. Gherardo Colombo si è espresso con toni entusiastici all’Open day di questo nuovo progetto. “L’idea di Rondine di mettere insieme giovani provenienti da luoghi in conflitto è un’idea eccezionale – sostiene l’ex magistrato oggi Presidente della Garzanti Libri, da tempo impegnato nella diffusione della cultura della legalità - Io sono stato qui qualche anno fa e credo che questa nuova sfida di rivolgere il modello formativo di Rondine ai giovani italiani sia straordinaria, perché anche in Italia i conflitti sono molti e dobbiamo rendere i nostri giovani protagonisti della società che vivono, non spettatori. Questo modello formativo dovrebbe diffondersi in Italia perché porta innovazione e cambiamento e se cambia la scuola cambia anche la società “. Bauman, il teorico della società liquida, sostiene che “noi europei del ventesimo secolo ci troviamo sospesi tra un passato pieno di orrori ed un futuro distante pieno di rischi”. La speranza di Rondine è quella di ren- Qui il dialogo diventa pace n 97 PAG. sabato 1 novembre 2014 o 16 dere il futuro meno rischioso. Noi abbiamo bisogno di Rondine. Rondine ha bisogno di noi. Basta informarsi: www.rondine.org . La rondine per un futuro meno rischioso ODORE DI EBOOK il Mito della poesia E’ online l’e-Book di poesia e pittura “MITO”, dopo la presentazione alla Libreria Salvemini, curato da Roberto Mosi e da Enrico Guerrini (grafica), per www.laRecherche.it, un’associazione senza fini di lucro con sede a Roma, che mette a disposizione di un pubblico nazionale, in maniera gratuita, risorse e competenze. La pubblicazione riunisce, suddivisa in tre parti, le leggende del mare di Populonia (Concerto per Baratti), i miti sulle origini di Firenze” (Concerto per Flora), l’incontro con il mondo greco (Eroi e Dei). “ Sono trascorsi più di tremila anni dalla mitologia del periodo miceneo; eppure tutto vive, muove, palpita, si agita, si esibisce, si contraddice” ricorda Giulio Guidorizzi, Il Mito Greco (Meridiani). “Per i Greci “mito” è un racconto fatto di parole, non di segni scritti, e a trasmetterlo sono i padroni della parola, i poeti, che ne fanno il loro soggetto fondamentale.” Il riferimento degli autori dell’e-Book è rivolto dunque alla perennità del mito rispetto allo scorrere continuo, implacabile della storia. La ricerca poetica va nella direzione di un’utilizzazione dei materiali mitologici per verificarne la possibilità ermeneutica e la qualità espressiva dal punto di vista della scrittura e della trascrizione per immagini. In questa aspirazione vi è la volontà di utilizzare l’a-tempora- lità classica del mito in chiave dinamica, per assecondarne l’adattabilità alle situazioni e alle proposte culturali di oggi. In questo tentativo - trasformare in realtà di oggi l’istante eternizzato del mito - risiede il piacere di un lavoro volto alla “trascrizione” del mito. Si tratta, in sostanza, di trasformare ciò che è acquisito dai racconti del mito - il culto di Diana, la vicenda di Orfeo ed Euripide o il mito del viaggio di Ulisse, ad esempio - in dato comprensibile con la percezione di oggi e usarlo non tanto come simbolo di un “passato che non passa” quanto come metafora del presente, di un racconto che sappia parlare al lettore di oggi. C EX-POSIZIONE U O .com di anna Maria Manetti Piccinini L n 97 PAG. sabato 1 novembre 2014 o 17 l’Esposizione Universale di Parigi del 1900, destinata ad essere punto di riferimento per tutto il mondo di allora, sia sul piano artistico che tecnico e industriale. Giò Ponti s’inserì in questo terreno già aperto alle novità trovando in Tazzini un ascolto intelligente e un’esperienza senza la quale ogni progetto si sarebbe arenato. Nacque così una collaborazione straordinaria fra l’intraprendente milanese (che curava anche la pubblicità e il marketing, come si direbbe oggi) e l’esperto Maestro artigiano. Tutto ciò è testimoniato dall’interessantissima documentazione epistolare, con lettere di Ponti a Tazzini, che illustrano con disegni e istruzioni precise l’oggetto [email protected] a piccola, preziosissima mostra “Giò Ponti e la Richard Ginori”, in corso al Museo Marini e che doveva concludersi l’estate scorsa, è stata prolungata fino a metà novembre. E giustamente, perché si tratta di una esposizione davvero particolare, per metà di straordinarie ceramiche ideate da Ponti per la Fabbrica di Doccia, per l’altra metà di lettere d’ archivio, quanto mai suggestive, riguardanti questa collaborazione. Giò Ponti (1891-1979) iniziò a collaborare con la Manifattura nel 1922 e ne restò direttore artistico fino al 1933, portando innovazione e mo- design e alto artigianato giò Ponti e la richard ginori dernità nel modo di concepire il legame fra a artigianato artistico e industria, tale da qualificarsi come il primo industrial designer in Italia , quando nel nostro Paese non esisteva ancora neppure il termine per indicare tale attività. Ma il suo lavoro non avrebbe potuto realizzarsi così brillantemente se non avesse avuto, all’interno della Manifattura, Maestri di grande intelligenza e bravura cui riferirsi, capaci di recepire il ‘nuovo’ unito alla esperienza della tradizione. Fra questi, suo principale collaboratore e destinatario della corrispondenza, fu Luigi Tazzini, direttore artistico dello stabilimento che già aveva introdotto il gusto liberty nelle ceramiche, specie dopo aver visitato che si voleva creare, con misure , indicazione di colori, ecc. Il che rende estremamente suggestiva la lettura e il confronto immediato con l’opera realizzata. Gli oggetti esposti sono di un valore artistico e di una bellezza unica, sia nei pezzi più ricchi e importanti, come per es. il “Capriolo fra Palme”, trionfo da tavola commissionato dal Ministero degli Esteri; che nelle numerose, deliziose, piccole porcellane di servizio o da boudoir. La mostra è stata realizzata col sostegno dell’Ente CRF e della Richard Ginori e curata da Livia Frescobaldi Malenchini, Oliva Rucellai e Alberto Salvadori direttore del Museo Marini. GRANDI STORIE IN PICCOLI SPAZI di fabrizio Pettinelli [email protected] I fratelli Carlo e Nello Rosselli erano nati a Roma rispettivamente nel 1899 e nel 1900 e nel 1903 si erano trasferiti con la madre a Firenze, dove abitavano in Via Giusti. Fin da giovani, allievi di Gaetano Salvemini, maturano ideali antifascisti, e nel 1925, insieme ad altri intellettuali, danno vita al giornale clandestino “Non mollare”, che arriva a tirare fino a 3.000 copie. I due vengono perseguitati dai fascisti, e nel 1929 sono confinati prima a Ustica e poi a Lipari; Carlo riesce ad evadere e si rifugia in Francia dove fonda il movimento “Giustizia e Libertà”. Nel frattempo, in Italia, Nello è nuovamente arrestato e confinato a Ponza. Nel 1936 Carlo si arruola nelle Brigate Internazionali e rimane ferito nella battaglia del Monte Pelato. Intanto Nello riesce a ottenere il passaporto (concesso con secondi fini, come si appurerà in seguito) e raggiunge in Francia Carlo, che si trova a viale fratelli rosselli in lite con (un) de gaulle Bagnoles-de-l'Orne per un periodo di cure termali. Il 9 giugno, su mandato di Galeazzo Ciano, una squadra di cagoulards, estremisti francesi di destra, li assassina entrambi, ferendoli a colpi di pistola e finendoli a coltellate. Nell’immediato dopoguerra i familiari, di concerto con l’Amministrazione Comunale fiorentina e con un Comitato appositamente costituito, animato dagli amici e compagni di lotta, si adoperano per il rientro in Italia delle spoglie dei due fratelli martiri, che erano sepolti nel cimitero parigino di Père Lachaise. Tutto sembra pronto per la traslazione della salme, quando un telegramma dell’ambasciata italiana di Parigi blocca tutto per “sopravvenute difficoltà” che, si seppe, consistevano nel fatto che il Presidente del Consiglio Comunale di Parigi (la più alta autorità cittadina, allora l’ordinamento amministrativo parigino non prevedeva la figura di sindaco), si rifiutava di ricevere il “comunista” Fabiani, sindaco di Firenze. Non c’è da stupirsi: questo personaggio era Pierre De Gaulle, fratello del generale (che, con un gioco di parole intraducibile, lo definiva “le cadet de mes soucis”) e fiero anti-comunista. Sembrò di essere tornati ai tempi di Pier Capponi e delle famose cam- pane: il consiglio comunale, all’unanimità, condannò il gesto di De Gaulle e una folta delegazione, composta da rappresentanti di tutti i partiti, maggioranza e opposizione, accompagnò Fabiani al confine con la Francia ad accogliere il treno che riportava in Italia le spoglie dei fratelli Rosselli. Carlo e Nello tornarono a Firenze il 26 aprile 1951 e fino al 29 ricevettero in Palazzo Vecchio l’omaggio dei fiorentini e delle più alte Autorità dello Stato, a cominciare dal Presidente della Repubblica Luigi Einaudi. L’orazione commemorativa fu tenuta, sulla scalinata di Palazzo Vecchio, dal loro maestro Gaetano Salvemini, e quando il corteo funebre si mosse da Piazza della Signoria per Piazza della Libertà, da dove i fratelli avrebbero iniziato l’ultimo viaggio per il cimitero di Trespiano, tutta la città lo seguì. C U O .com L’ULTIMA IMMAGINE n 97 PAG. sabato 1 novembre 2014 o 18 alviso, california, 1972 [email protected] dall’archivio di Maurizio berlincioni Siamo ad Alviso, una piccola comunità nella parte settentrionale di San Jose dove la Contea di Santa Clara confina con la parte sud della Bay Area e con la cittadina di Milpitas. Nel 1968 questa piccola comunità è stata incorporata a tutti gli effetti nella città di San Jose con una votazione che ha visto vincere di stretta misura i favorevoli alla ricongiunzione con l’area metropolitana. Nella prima immagine due giovani sono ripresi attorno ad un tavolo da biliardo in uno dei pochi bar ristoranti di Alviso. L’altra immagine, in strada, mostra invece tre ragazzini decisamente più giovani che vivono anch’essi nella stessa zona. E’ un classico ed assolato primo pomeriggio in questo entroterra californiano e loro stanno giocando, ovviamente, con delle improvvisate “bombe d’acqua”, uno dei passatempi più diffusi durante questi insopportabili giorni d’Agosto.
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