ASSOCIAZIONE DI VOLONTARIATO - GUBBIO C/O SANTA MARIA AL CORSO La lettera settimanale di Don A.M.Fanucci “4 gennaio 2014” www.ilgibbo.it Caro gibbappropinquato, ho avuto modo di ripercorrere la vita di Mons. Oscar Arnulfo Romero, Arcivescovo di San Salvador, capitale di El Salvador, massacrato dalla Polizia del suo Stato con un colpo di fucile in faccia, il 24 marzo 1980. Su ordine della Giunta di Governo, che in un oceano di povertà estrema tutelava gli interessi degli … USA. Nella più piccola, più popolata e più povera delle repubbliche centroamericane. E HO AVUTO MODO DI SCOPRIRE tre cose su quest’uomo, Santo per tutti tranne che per Il Vaticano pre/Bergoglio. Ho scoperto che è stato il popolo a convertirlo: non solo il popolo cristiano, ma anche e soprattutto il popolo tout court, con la sua sete di giustizia e con le sue organizzazioni nate dal basso, quasi sempre nel nome del Vangelo, ma anche con una fortissima carica critica contro la Chiesa che si proclamava “dei poveri” ed era sempre dalla parte dei ricchi. Nel 1974 era stato nominato vescovo perché era “un bravo prete” obbediente, buon cultore di teologia, quella “teologia altissima” che ci ha fatto perdere il senso del Dio del vangelo: proprio come i Frati Francescani, che la povertà che Francesco ha loro raccomandato l’hanno voluta … altissima, fino a perderla di vista. Dal 1970, come vescovo ausiliare di San Salvador, visse per qualche anno a fianco dell’arcivescovo Mons. Luis Chávez y González, uno dei protagonisti della prima Conferenza dell'Episcopato Latinoamericano che a Medellín (Colombia) nel 1968 aveva disegnato con grande incisività La Iglesia de los Pobres: disegno che sarebbe piaciuto molto poco a Giovanni Paolo II, che di fatto nel 1979, a Puebla (Messico), alla seconda Conferenza dell'Episcopato Latinoamericano, cercò di cloroformizzarla. Nel 1974 gli venne assegnata una diocesi sua, Santiago de María, uno dei territori più poveri di tutto El Salvador: pagata dai latifondisti locali, la repressione militare del governo, organizzava una strage dopo l’altra, decimando una popolazione già stremata dalla povertà. Romero ebbe dal gesuita Jon Sobrino, formidabile pensatore ed esponente di punta della Teologia della Liberazione, la spinta decisiva a denunciare: nomi, cognomi, date, luoghi. E continuò anche più decisamente quando, nel 1977, fu nominato arcivescovo di San Salvador, la capitale, nel febbraio del 1977. E firmò la propria condanna morte. In una delle ultime omelie, rivolgendosi direttamente ai detentori del potere politico, gridò: Vi supplico, vi prego, vi ordino in nome di Dio: cessi la repressione!. Una prima risposta l’ebbe quando, su ordine del governo, la stampa pubblicò un’immagine di papa Giovanni Paolo II con sovrascritta una sua frase: Guai ai sacerdoti che fanno politica nella chiesa perché la Chiesa è di tutti. Ma quella … buona fu la seconda risposta. Dopo che ebbe sterminato 200 fedeli nella chiesa di Aguilares, lo Stato Maggiore selezionò un tiratore scelto, che sparò in testa a Romero, da un’auto di passaggio di fronte alla porta aperta della Cappella dell’Ospedale della Divina Provvidenza, mentre celebrava Messa. Aveva detto, in una delle sue omelie: Il Vangelo di oggi ci conferma la tremenda dottrina di Cristo che ci invita a non aver paura della persecuzione, perché credete fratelli, chi si scaglia contro i poveri condividerà il loro stesso destino e noi in Salvador sappiamo qual è il destino dei poveri: desaparecidos, essere catturati, essere torturati e riapparire cadaveri. Meritatissima, quella morte. E lui lo sapeva. Aveva promesso: Se verrò ucciso, risorgerò nel mio popolo. Ho scoperto che due Papi lo fecero soffrire. Nel giugno del 1978, qualche mese prima di morire, Paolo VI lo ricevette in udienza e lo rimproverò aspramente, al punto da farlo piangere. Un “rimprovero”: e perché? Lasciando il Vaticano Romero fece arrivare al Papa un appunto scritto: Lamento, Santo Padre, che nelle osservazioni presentatemi qui in Roma sulla mia condotta pastorale prevale un'interpretazione negativa; già, l’’opinione che coincide esattamente con le potentissime forze che là, nella mia arcidiocesi, cercano di frenare e screditare il mio sforzo apostolico .Il suo massimo accusatore era stato il Nunzio in El Salvador. L’udienza che gli concesse Giovanni Paolo II nel 1979 … ve la racconto la prossima lettera. Ho scoperto infine che Mons. Romero praticava la condivisione di vita con gli ultimi nel senso più rigoroso della parola. Per tenerlo buono le grandi (?!) famiglie cattoliche di El Salvador gli volevano offrire nuovo di zecca un sontuoso palazzo vescovile. Egli rifiutò e andò a vivere in una stanza molto piccola, contigua alla sagrestia della cappella dell'Ospedale della Divina Provvidenza, dove erano ricoverati i malati terminali di cancro. Tra gli ultimi tra gli ultimi. Altro che condivisione del cuore!! Buon anno, carissimo e anonimo gibbappropinquato. Un anno generoso e profondo. Gubbio, 30 dicembre 2014 Can.co don Angelo M. Fanucci *************************************************************************** LA WELTANSCHAUUNG CRISTIANA - 38 Da CEI, La verità vi farà liberi, catechismo degli adulti, 1995 LA VITA DEL MONDO CHE VERRÀ (3) L’INFERNO La nostra libertà ha una drammatica serietà: siamo chiamati alla vita eterna, ma possiamo cadere nella perdizione eterna. Davanti agli uomini in Cristo, eppure per ciascuno c'è la triste possibilità di dannarsi: mistero inquietante, stanno la vita e la morte; a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà (Sir 15,17). Dio vuole che tutti siano salvati e vivano come suoi figli ma richiamato tante volte nella Bibbia, con parole accorare di minaccia e di ammonimento. Riguardo al diavolo e ai suoi angeli, sappiamo che sono già condannati di fatto. Per gli uomini invece si tratta di un rischio reale, La Scrittura non fa previsioni, ma rivolge appelli pressanti alla conversione, come volesse dire: ecco che cosa vi può succedere, ma non deve assolutamente accadere. Anche questa rivelazione è un atto di misericordia. La pena dell'inferno è per sempre: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno... E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna (Mt 25,41.46). E ancora: Il loro verme non muore e il fuoco non si estingue (Mc 9,48). E ancora: Il fumo del loro tormento salirà per i seco¬1i dei secoli, e non avranno riposo né giorno né notte quanti adorano la bestia (Apc 14,11). L’eternità dell'inferno fa paura. Si è cercato di metterla in dubbio, ma i testi biblici sono inequivocabili e altrettanto chiaro è l'insegnamento costante della Chiesa. In che cosa consiste questa pena? La Bibbia per lo più si esprime con immagini: “Geenna di fuoco”, “fornace ardente”, “stagno di fuoco”, “tenebre”, “verme che non muore”, “pianto e stridore di denti”, “morte seconda”. La terribile serietà di questo linguaggio va soltanto interpretata, non sminuita. La Chiesa crede che la pena eterna del peccatore consiste nell'essere privato della visione di Dio e che tale pena si ripercuote in tutto il suo essere. Non si tratta di annientamento per sempre. Lo escludono i testi biblici sopra riportati, che indicano una sofferenza eterna e altri che affermano la risurrezione degli empi. Lo esclude la fede nella sopravvivenza personale, definita dal concilio Lateranense V. Del resto neppure il diavolo è annientato, ma tormentato «giorno e notte per i secoli dei secoli» (Apc 20,10) insieme con i suoi angeli. Quando la Sacra Scrittura parla di perdizione, rovina, distruzione, corruzione, morte seconda, si riferisce a un fallimento della persona, a una vita completamente falsata. Piuttosto la pena va intesa come esclusione dalla comunione con Dio e con Cristo: “Allontanatevi da me voi tutti operatori d'iniquità!” (Lc 13,27). «Costoro saranno castigati con una rovina eterna, lontano dalla faccia del Signore e dalla gloria della sua potenza» (2 Ts 1,9). L'esclusione però non è subita passivamente: con tutto se stesso, a somiglianza degli angeli ribelli, il peccatore rifiuta l'amore di Dio: «Ogni peccatore accende da sé la fiamma del proprio fuoco. Non che sia immerso in un fuoco acceso da altri ed esistente prima di lui. L'alimento e la materia di questo fuoco sono i nostri peccati»". L'inferno è il peccato diventato definitivo e manifestato in tutte le sue conseguenze, la completa incapacità di amare, l'egoismo totale. La pena è eterna, perché il peccato è eterno. il dannato soffre, ma si ostina nel suo orgoglio e non vuole essere perdonato. Il suo tormento è collera e disperazione, «stridore di denti» (Lc 13,28), lacerazione straziante tra la tendenza al bene infinito e l'opposizione ad esso. L'amore di Dio, respinto, diventa fuoco che divora e consuma"'; lo sguardo di Cristo brucia come fiamma`. Dio ama il peccatore, ma ovviamente non si compiace di lui: la sua riprovazione pesa terribilmente. Rifiutando Dio, si rifiutano anche gli altri uomini e l'intera creazione. Più l'opera di Dio è bella, più il peccatore la trova insopportabile: sebbene l'ari-li sia limpida e luminosa, il pesce vi rimane asfissiato. Men¬tre nella vita terrena era possibile rinunciare a Dio e avere soddisfazioni dalle creature, ora da nessuna parte si può trovare refrigerio e rifugio, «come quando uno fugge davanti al leone e s'imbatte in un orso; entra in casa, appoggia la mano sul muro e un serpente lo morde» (Am 5,19). L'inferno è dunque la sofferenza di non poter amare nessuna cosa, il rifiuto totale e definitivo di Dio, degli altri, del mondo e di se stessi, ti, contraddizione con la vocazione originaria a vivere in comunione. 1 reprobi sono uomini falliti, stravolti in tutta la loro personalità. Tuttavia, con il loro stesso rifiuto, i dannati manifestano ancora la grandezza della libertà che ricevono in dono, e quindi la grandezza del Creatore. Con il loro tormento affermano la meravigliosa bellezza della grazia che non accettano, la potenza dell'amore che li attrae e che respingono. Come si può intuire, il male è integrato anch'esso nella gloria di Dio: anche se non è soppresso, è vinto per sempre. Tutti vengono da Dio e tutti tornano a lui, o nell'amore o nel terrore: «Dio è unito a tutti, secondo la disposizione intima di ogni persona». AFORISMI SULL’INFERNO RACCOLTI DA WIKIPEDIA All'inferno ci va chi ci crede. (Georges Bernanos) All'inferno il diavolo è un eroe positivo. (Stanislaw Lec) Andate a Dachau e ad Auschwitz, a Sighet e alla Kolyma, presso le fosse comuni del Ruanda, di Sebreniça, di Phom Penh o del Sudan. Andate a dire ai superstiti: "L'inferno non esiste!". Ne dubiti ancora? (Daniel Ange) Che l'uomo sia lacerato dal cielo e dalla terra, pazienza, ma il peggio è che alla fine del cielo vuole il brandello che è stato strappato dall'inferno, e l'inferno è affamato di quello conquistato dal cielo. (Stanislaw Lec) Chi dice che l'inferno è nell'aldilà conosce male l'aldiquà. (Roberto Gervaso) Chiunque ha tentato di creare uno Stato perfetto, un paradiso in terra, ha in realtà realizzato un inferno. (Karl Popper) Cristiani indilettissimi, l'inferno | È una locanna senza letto e ccoco (senza camere da letto e senza cucina), | Ch'er bon Iddio la frabbicò abbeterno, [ab aeterno = fin dall’eternità] | Perché sse popolassi appoco a poco. [...] Ggesù mmio bbattezzato e circonciso, | Arberghe-sce li turchi e bbadanai, [ebrei] | E a nnoi dacce l'alloggio in paradiso. (Giuseppe Gioachino Belli) D'altra parte lo sapevamo fin da Dante che l'inferno ha una tendenza urbanistica. L'abbiamo sempre saputo, c'è una mappa dell'inferno, si può fare, ci sono delle strade, c'è una toponomastica, senza dubbio ci sono dei vigili. Voi direte che anche il paradiso potrebbe avere qualche qualità visionaria di questo tipo ma non è mica vero, nella nostra cultura noi non riusciamo a pensare al paradiso, per il momento, se non come una variante particolarmente luminosa del nulla. (Giorgio Manganelli) Da quando l'uomo non crede più all'inferno ha trasformato la sua vita in qualcosa che assomiglia all'inferno. Non può farne a meno. (Ennio Flaiano) – Diavolo, vado bene di qui per l'inferno? – Sì, sempre storto. (Ennio Flaiano) Dicono che tremano i monti e si adirano gli abeti | Quando la notte rode i chiodi delle tegole perché vi entrino i folletti | Quando l'inferno sugge lo spumeggiante travaglio dei torrenti | O quando la scriminatura dell'albero del pepe diviene cencio della tramontana. (Nikos Gatsos) Di dolorosi pensieri sono l'anime torme[n]tate nel ninferno, perché co molta pena si ricorderanno quello che co molto diletto hanno già comesso, acciò che lo stimolo della memoria acresca la pena, quanto il diletto ha piú acceso il peccato. (Bono Giamboni) Dio non è il Grande Vendicatore, il Giustiziere, il cacciatore dei colpevoli. Il teologo von Balthazar affermava: «L'inferno esiste, ma è vuoto». Dio non può volere una Auschwitz eterna. (Mario Canciani) Due concezioni dell'inferno. Quella comune (sofferenza senza consolazione); la mia (falsa beatitudine, credersi per errore in paradiso). (Simone Weil) E forse non finiamo all'inferno per quello che facciamo. Forse finiamo all'inferno per quello che non facciamo. (Chuck Palahniuk, Ninna nanna) È più facile per l'immaginazione comporsi un inferno con il dolore che un paradiso con il piacere. (Antoine de Rivarol) È venuto Gesù per dirci che ci vuole tutti in Paradiso e che l'inferno, del quale troppo poco si parla in questo nostro tempo, esiste ed è eterno per quanti chiudono il cuore al suo amore. (Papa Benedetto XVI) Forse la terra è l'inferno di un altro pianeta. (Aldous Huxley) Fra cent'anni saremo o all'inferno o in paradiso. (Gabriele Amorth) Fra l'ultimo nostro respiro e l'inferno, c'è tutto l'oceano della misericordia di Dio. (S. Agostino) Il cattolicesimo della mia infanzia era un credo piuttosto terrificante: James Joyce lo ha mostrato bene in Dedalus, e anch'io ho avuto la mia razione di prediche sul fuoco dell'inferno. Il fatto è che l'inferno appariva come una realtà ancora più potente di Dio, perché era qualcosa che colpiva la mia immaginazione; Dio, invece, rimaneva una figura un po' vaga, definita solamente da astrazioni intellettuali invece che da immagini. (Karen Armstrong) Il paese là dove mena a regnare l'anima la via larga de' vizî è appellato ninferno, il quale è nel ventre della terra, e quello luogo che piú di lungi è dal paradiso ch'altro luogo che sia. (Bono Giamboni) Il principio primo dell'inferno è: «Io sono mio». (George Mac Donald) [Il dogma dell'inferno è] incostituzionale [in quanto] nessun atto per quanto grave può meritare una pena eterna [e perché] è contraria ai princìpi più avanzati del diritto, e specificamente del diritto influenzato dal cristianesimo, una pena che in nessun modo tenda alla rieducazione/riabilitazione del condannato. (Luigi Lombardi Vallauri) Inferno cristiano, di fuoco. Inferno pagano, di fuoco. Inferno musulmano, di fuoco. Inferno hindu, in fiamme. A credere nelle religioni, Dio è un rosticciere. (Victor Hugo) Inferno? Tu non hai idea di cosa sia l'inferno. Nessuno di voi lo sa. L'inferno non è prenderle o essere accoltellato o essere trascinato di fronte a qualche frocio di giudice. L'inferno è risvegliarsi ogni dannato giorno che Dio ci ha dato e non sapere nemmeno perché sei qui. È non sapere neanche perché respiri. (Sin City) L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio. (Italo Calvino) [...] l'inferno è un'idea nata la prima volta da un pasticcio di mele digerito male; e perpetuata da quel momento in poi attraverso le dispepsie ereditarie causate dai Ramadan. (Herman Melville) L'inferno esiste solo per chi ne ha paura. (Fabrizio De André) L'Inferno non è che il Paradiso capovolto. Una spada riflessa nell'acqua prende figura di croce. (Giovanni Papini) L'inferno non è una vendetta o un castigo di Dio; noi ci creiamo l'inferno attorno a noi: è il fissarsi per l'eternità in un rifiuto consapevole e cosciente di amare Dio. (Oreste Benzi) L'inferno sono gli altri. (Jean-Paul Sartre) La Chiesa, che ha canonizzato tanti individui, non si è mai pronunciata sulla dannazione di alcuno. Neppure su quella di Giuda, che divenne per così dire l'esponente di quello di cui tutti i peccatori sono corresponsabili. Chi può sapere di che tipo fu il pentimento che egli provò, quando vide che Gesù era stato condannato (Mt 27,3)? (Hans Urs von Balthasar) La maggior parte delle anime che sono all’inferno sono anime che non credevano che ci fosse l'inferno. (Faustina Kowalska) Ma che feci empi numi! Io non macchiai | di vittime profane i vostri altari. | né mai di fiamma impura | feci l'are fumar per vostro scherno. | Dunque perché congiura tutto il ciel contro me, tutto l'inferno? (Pietro Metastasio) Meglio regnare all'inferno che servire in paradiso. (John Milton) Naturalmente è l'inferno, non il paradiso, che rende potenti i sacerdoti, perché – dopo migliaia di anni di cosiddetta civiltà – la paura rimane l'unico comune denominatore dell'umanità. [...] L'essenza di tutta la moralità sacerdotale è la ricompensa, e senza un inferno di qualsivoglia specie, o un altro genere di ricompensa, essa diviene retorica, senza alcun significato. (Henry Louis Mencken) Nessuno oggi dice che per il semplice fatto di non essere battezzato uno sarà condannato e andrà all'inferno. I bambini morti senza battesimo, come pure le persone vissute, senza loro colpa, fuori della Chiesa, possono salvarsi (queste ultime solo se vivono secondo i dettami della coscienza). (Raniero Cantalamessa) Non vi sono comandamenti, non vi sono proibizioni. Nemmeno esistono meriti o demeriti; inferno e paradiso non esistono per i seguaci del Kula, o Dea del Cuore. (Kulārṇava Tantra) Non volevo nascere (e sono nato), non volevo vivere (e sto vivendo), ma quando morirò andrò in paradiso (perché l'inferno lo sto già vivendo). (Jim Morrison) Padri e maestri, mi chiedo: "Che cos'è l'inferno?". Ed è così che lo definisco: "La sofferenza di non poter più amare". (Fedor Dostoevskij, I fratelli Karamàzov) Per gli italiani l'inferno è quel posto ove si sta con le donne nude e con i diavoli ci si mette d'accordo. (Ennio Flaiano) Quando non ci sarà più posto all'inferno, i morti cammineranno sulla terra. (Zombi) Scelgo il paradiso per il clima e l'inferno per la compagnia. (Mark Twain) [...] se l'anima cessa di amare precipita già qui sulla terra in uno stato quasi equivalente all'inferno. (Simone Weil) Sei nell'inferno perché rifiuti di amare. (Oreste Benzi) Senza il purgatorio e l'inferno, anche il buon Dio non sarebbe che un povero re. (Anatole France) Si è sempre tentato di tenere insieme gli uomini con la forza o le minacce. La minaccia dell'inferno era un tentativo di questo tipo. (Karl Popper) Siamo tutti in fondo a un inferno, dove ogni attimo è un miracolo. (Emil Cioran) *** Vedete bene come nella testa dei nostri Big intuizioni acute e osservazioni di grande spessore si alternino a battutacce da avanspettacolo e a stupidità allo stato puro. Ma ... noi che diciamo? TUTTO VERO Tutto vero. La giustizia ragiona così e nessuno può intralciarne il cammino. Quello che ci propone il Catechismo dei Vescovi Italiani non fa una grinza. Dà i brividi, ma non fa una grinza. La Giustizi è questa. E Dio è sommamente giusto. Ma la sua giustizia non è la nostra giustizia, così come accade a tutte le sue vie, che non sono mai le nostre vie. Ragionando con la Bibbia in mano su questa abissale differenza, molti teologi sono giunti alla conclusione alla quale è pervenuto il grande Card. Hans Urs Von Balthasar: TUTTI SALVI. Ma non i teologi sono tutti d’accordo. Io, sulla scia di quello che Maria, Madre di Dio, ci ha insegnato a dire nel cuore della più bella preghiera dopo il Padre nostro, il Rosario (“Porta in cielo tutte le anime!”) quando dicendo messa arrivo al Memento dei Defunti e, dopo aver letto “Ricordati dei nostri fratelli, che si sono addormentati nella speranza della risurrezione”, mi vien chiesto di pregare il Signore perché si ricordi anche “di tutti i defunti che SI affidano alla tua clemenza”… : quel “SI” che valore ha? Se ha valore passivante vuol dire che siamo di fronte ad una ripetizione della preghiera immediatamente precedente: preghiamo cioè solo per i defunti che credono in Dio e morendo affidano se stessi alla sua clemenza. E gli altri? Quelli che non solo, morendo, non si sono affatto affidati a Dio, ma sono morti bestemmiando? E quelli che sono stati soffocati da un’emorragia alla stomaco (uno “sbocco di sangue”, si diceva una volta), dopo una “magnata” spropositata? E E.C.,, che tanto tempo fa, qui a Gubbio, si uccise perché -a sentire lui- “aveva deciso di andare all’inferno”, e s’impiccò dopo aver dato fuoco alla sua casa di campagna e fece in tempo a buttarsi dall’alto mentre si sparava ad ambedue le tempie con due pistole? Eravamo solo in cinque ad aspettarlo al cimitero, ma io per lui, per E.C. plurisuicida quel giorno ho pregato come non avevo mai pregato No, quel SI non è passivante, ma è un SI impersonale; la frase giusta non è “affidano se stessi”, ma “vengono affidati”…: da chi non è detto (perciò SI impersonale), ma lo sappiamo ugualmente: dalla Chiesa madre di tutti , da Gesù che nell’orto degli ulivi e sul calvario ha sofferto anche per loto tutto quello che umanamente si poteva soffrire, da Dio la cui onnipotenza, secondo la liturgia, si esprime soprattutto come infinita grazia di perdono. No, cambiamolo quel SI, per non sembrare che ci stanno a cuore solo quelli che, se non sempre sono stati onesti, sono però stati bravi nel riconoscersi peccatori. Io, scalcagnato prete di campagna, fragile come un bambino e credulone come un locco, invece che “SI affidano” dico sempre “affidiamo”. Ho Passato un Natale bruttissimo, ho pregato pochissimo, ma quando sono sull’altare in quel punto dico sempre “affidiamo” e non “SI affidano”. ******** CREDERE, OGGI Come praticare e predicare la fede oggi LA GIOIA DEL VANGELO SECONDO PAPA FRANCESCO Il testo dell’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium (37.ma continua ) II domenica del tempo di Natale, anno B, 04.01.2015 II. L’INCLUSIONE SOCIALE DEI POVERI 186. Dalla nostra fede in Cristo fattosi povero, e sempre vicino ai poveri e agli esclusi, deriva la preoccupazione per lo sviluppo integrale dei più abbandonati della società. Uniti a Dio ascoltiamo un grido 187. Ogni cristiano e ogni comunità sono chiamati ad essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri, in modo che essi possano integrarsi pienamente nella società; questo suppone che siamo docili e attenti ad ascoltare il grido del povero e soccorrerlo. È sufficiente scorrere le Scritture per scoprire come il Padre buono desidera ascoltare il grido dei poveri: Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo … Perciò va’! Io ti mando (Es 3,7-8.10), e si mostra sollecito verso le sue necessità: Poi [gli israeliti] gridarono al Signore ed egli fece sorgere per loro un salvatore (Gdc 3,15). Rimanere sordi a quel grido, quando noi siamo gli strumenti di Dio per ascoltare il povero, ci pone fuori dalla volontà del Padre e dal suo progetto, perché quel povero griderebbe al Signore contro di te e un peccato sarebbe su di te (Dt 15,9). E la mancanza di solidarietà verso le sue necessità influisce direttamente sul nostro rapporto con Dio: Se egli ti maledice nell’amarezza del cuore, il suo creatore ne esaudirà la preghiera (Sir 4,6). Ritorna sempre la vecchia domanda: Se uno ha ricchezze di questo mondo e, vedendo il suo fratello in necessità, gli chiude il proprio cuore, come rimane in lui l’amore di Dio? (1 Gv 3,17). Ricordiamo anche con quanta convinzione l’Apostolo Giacomo riprendeva l’immagine del grido degli oppressi: Il salario dei lavoratori che hanno mietuto sulle vostre terre, e che voi non avete pagato, grida, e le proteste dei mietitori sono giunte agli orecchi del Signore onnipotente (Gc 5,4). 188. La Chiesa ha riconosciuto che l’esigenza di ascoltare questo grido deriva dalla stessa opera liberatrice della grazia in ciascuno di noi, per cui non si tratta di una missione riservata solo ad alcuni: La Chiesa, guidata dal Vangelo della misericordia e dall’amore all’essere umano, ascolta il grido per la giustizia e desidera rispondervi con tutte le sue forze.[Congregaz. perla Dottrina della Fede, Libertatis nuntius, 1984, AAS 903] In questo quadro si comprende la richiesta di Gesù ai suoi discepoli: Voi stessi date loro da mangiare (Mc 6,37), e ciò implica sia la collaborazione per risolvere le cause strutturali della povertà e per promuovere lo sviluppo integrale dei poveri, sia i gesti più semplici e quotidiani di solidarietà di fronte alle miserie molto concrete che incontriamo. La parola “solidarietà” si è un po’ logorata e a volte la si interpreta male, ma indica molto di più di qualche atto sporadico di generosità. Richiede di creare una nuova mentalità che pensi in termini di comunità, di priorità della vita di tutti rispetto all’appropriazione dei beni da parte di alcuni. 189. La solidarietà è una reazione spontanea di chi riconosce la funzione sociale della proprietà e la destinazione universale dei beni come realtà anteriori alla proprietà privata. Il possesso privato dei beni si giustifica per custodirli e accrescerli in modo che servano meglio al bene comune, per cui la solidarietà si deve vivere come la decisione di restituire al povero quello che gli corrisponde. Queste convinzioni e pratiche di solidarietà, quando si fanno carne, aprono la strada ad altre trasformazioni strutturali e le rendono possibili. Un cambiamento nelle strutture che non generi nuove convinzioni e atteggiamenti farà sì che quelle stesse strutture presto o tardi diventino corrotte, pesanti e inefficaci. 190. A volte si tratta di ascoltare il grido di interi popoli, dei popoli più poveri della terra, perché la pace si fonda non solo sul rispetto dei diritti dell’uomo, ma anche su quello dei diritti dei popoli.(Pont. Cons. Giustizia e pace, Compendio della Dottrina Sociale, 157) Deplorevolmente, persino i diritti umani possono essere utilizzati come giustificazione di una difesa esacerbata dei diritti individuali o dei diritti dei popoli più ricchi. Rispettando l’indipendenza e la cultura di ciascuna Nazione, bisogna ricordare sempre che il pianeta è di tutta l’umanità e per tutta l’umanità, e che il solo fatto di essere nati in un luogo con minori risorse o minor sviluppo non giustifica che alcune persone vivano con minore dignità. Bisogna ripetere che «i più favoriti devono rinunciare ad alcuni dei loro diritti per mettere con maggiore liberalità i loro beni al servizio degli altri».[Paolo VI, Octogesima adveniens, AAS 63, 418) Per parlare in modo appropriato dei nostri diritti dobbiamo ampliare maggiormente lo sguardo e aprire le orecchie al grido di altri popoli o di altre regioni del nostro Paese. Abbiamo bisogno di crescere in una solidarietà che «deve permettere a tutti i popoli di giungere con le loro forze ad essere artefici del loro destino»,(Ibid. 289) così come «ciascun essere umano è chiamato a svilupparsi».(Ibid. 265) 191. In ogni luogo e circostanza i cristiani, incoraggiati dai loro Pastori, sono chiamati ad ascoltare il grido dei poveri, come hanno affermato così bene i Vescovi del Brasile: «Desideriamo assumere, ogni giorno, le gioie e le speranze, le angosce e le tristezze del popolo brasiliano, specialmente delle popolazioni delle periferie urbane e delle zone rurali – senza terra, senza tetto, senza pane, senza salute – violate nei loro diritti. Vedendo le loro miserie, ascoltando le loro grida e conoscendo la loro sofferenza, ci scandalizza il fatto di sapere che esiste cibo sufficiente per tutti e che la fame si deve alla cattiva distribuzione dei beni e del reddito. Il problema si aggrava con la pratica generalizzata dello spreco».(CELAM, Exigèncias evangelicas, Introd. 2) 192. Desideriamo però ancora di più, il nostro sogno vola più alto. Non parliamo solamente di assicurare a tutti il cibo, o un «decoroso sostentamento», ma che possano avere «prosperità nei suoi molteplici aspetti».[159] Questo implica educazione, accesso all’assistenza sanitaria, e specialmente lavoro, perché nel lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale, l’essere umano esprime e accresce la dignità della propria vita. Il giusto salario permette l’accesso adeguato agli altri beni che sono destinati all’uso comune. II domenica del tempo di Natale, anno B, 04.01.2015 Continua
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