la domenica DI REPUBBLICA DOMENICA 13 LUGLIO 2014 NUMERO 488 Cult La copertina. Un libro per l’estate Straparlando. Franco Rella: “L’esilio e la verità” La poesia del mondo. Shakespeare in love Proprio il 13 luglio del 1814 Vittorio Emanuele I fondò il Corpo dei carabinieri reali Temuti, derisi e rispettati l’Italia è cresciuta con loro MI CHE L E SMA RGI A SSI IBERI DI NON CREDERCI, ma per i primi quarant’anni ai carabinieri fu proibito portare i baffi. Sì, anche quei baffi a manubrio, imperiosi come l’ordine costituito, che nel nostro album di figurine mentali appartengono all’uniforme del carabiniere tanto quanto le bande scarlatte ai pantaloni. Per dire questo: che la storia dell’Arma è una cosa, ma la figura del carabiniere, icona del nostro immaginario nazionalpopolare, è un’altra; e provate voi a capire quale delle due è la più vera e operativa. Due secoli fedele. Il 13 luglio 1814, firmando di suo pugno le Regie Patenti, Vittorio Emanuele I istituì il Corpo dei Carabinieri Reali onde «assicurare viemaggiormente il buon ordine» al restaurato Regno di Sardegna, che pure non sembrava aver bisogno dell’ennesimo corpo di polizia, la creatività repressiva dei suoi sovrani avendone già prodotti una decina. Ma serviva qualcosa, un segno che marcasse lo stacco con le «passate disgustose vicende» rivoluzionarie. Poco conta che il modello organizzativo fosse la Gendarmerie francese, o che i primi reclutati avessero già militato nelle polizie napoleoniche. I carabinieri furono il primissimo parto della Restaurazione, un parto simbolico. L SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE Nei due secoli fedele A NDRE A CA MI L L E RI Antonio Brancato, comandante la Stazione dei Carabinieri di Belcolle, cangiando il foglio del calendario, come faciva ogni matina appena trasuto nel suo ufficio, vitti che era il ventisei di maggio, vale a dire che mancavano quattro giorni al compleanno di Giacomina, la sua unica sorella, maritata a Genova e matre di tre figli. Doviva provvidire subito, prima che qualche facenna improvisa gli faciva passare la cosa di mente. Avvertì il piantone che nisciva e che sarebbe tornato passata una mezzorata. Andò da Cosimo, il tabaccaro e sciglì una delle cinco cartoline postali, leggermente ingiallute, che da anni raffiguravano il paisi da diverse angolature. I L MARESCIALLO SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE Il reportage. L’isola senza il mostro, cosa resterà della Concordia? L’immagine. Jeannette Montgomery e la fine della Factory di Warhol. Spettacoli. Pete Doherty: io, Kate Moss, Amy Winehouse e la droga. Next. I videogame rottameranno la console la Repubblica LA DOMENICA DOMENICA 13 LUGLIO 2014 26 La copertina. 1814-2014 Intreccio unico tra un’istituzione e la società, da Pinocchio a De Sica, da De André ai Ris, così l’icona del carabiniere ha attraversato duecento anni di storia nel nostro immaginario. Indenne <SEGUE DALLA COPERTINA M ICHELE SMARGI ASSI N’ICONADINASTICA.Un manifesto dell’autorità. «Lo Stato è il carabiniere», declamò Silvio Spaventa. Eppure, i carabinieri sono stati molto di più di questo. Ben presto uscirono dalle caserme del potere per traslocare nelle baracche della fantasia popolare. Dove si trovarono a svolgere «incumbenze» immateriali che nessun Re poteva prevedere. Dove sono stati amati, detestati, sfottuti e idolatrati. Dove hanno vissuto un’avventura antropologica. Il carabiniere dell’immaginario nazionale, anzitutto, non esiste come entità singola. La sua unità minima è la coppia. I carabinieri vanno due a due come le ciliegie, sono la legge in versione duale, in formula binaria, in assetto speculare. Lo spazio fra due carabinieri, dove il padron ‘Ntoni di Verga si sentì «legato come un Cristo», è una prigione ambulante, è lo spazio foucaultiano del sorvegliare e punire, circoscrive ed esibisce “lo splendore della pena”. Ed è propizio al pentimento: «Una spina acutissima» bucò il cuore di Pinocchio tratto in arresto, ossia «il pensiero di dover passare sotto le finestre di casa della sua buona Fata in mezzo ai carabinieri. Avrebbe preferito piuttosto di morire». Nelle incisioni di Carlo Chiostri o di Attilio Mussino per il libro di Collodi, i carabinieri sono dioscuri enormi e neri, gemelli perfino nel volto. Per forza: i regolamenti dell’Arma non prescrivevano uniformità solo alle bandoliere e alle mostrine, ma anche alle espressioni facciali, che dovevano essere «composte e severe», sorrisi pochi, perché dovendo scegliere tra farsi amare o temere, valeva la seconda. Il portamento, l’espressione, l’andatura, tutto era sotto controllo. Prima di interpretare il maresciallo Carotenuto in Pane amore e fantasia, Vittorio De Sica frequentò ufficiali dell’Arma per imitarne la mimica d’ordinanza, la modulazione della voce, il volentieri» Bocca di Rosa al primo treno, e modo di infilare il tovagliolo fra i bottoni del- nella versione censurata della canzone se la camicia. non fossero stati in alta uniforme sarebbero Messaggio: sotto la divisa (cioè sempre, addirittura «venuti meno al loro dovere». Gli perché il carabiniere è sempre in servizio) Skiantos di Roberto Freak Antoni, rocker rinon c’è un individuo, ma un’istituzione. In belle del ‘77 bolognese, swingavano un Kaun’epoca senza mass media, il profilo man- rabignere blues beffardo ma venato di vaga tellato e pennacchiato del carabiniere fu l’u- simpatia: «Quando poi arrivo a Pisa / io mi gonica immagine dello Stato che raggiunges- do la Luisa / vado fuori a far la spesa / poi mi se i borghi più sperduti. Accasermati, radi- tolgo la divisa che mi pesa». Ed è un carabicati: ma non integrati. L’accento meridiona- niere l’umanissimo “ladro di bambini” del le di tante macchiette da film (quanti film film di Gianni Amelio. sui carabinieri, fin dai tempi del muto) più Sono stati, certo, “guardiani del potere”, che sfottò razzista era intuizione di una vo- come li classifica il generale Fabio Mini, stoluta alterità. Il maresciallo, notabile del pae- rico militare. Un caso pressoché unico al se come il parroco e il farmacista, era cono- mondo di intreccio strettissimo fra un’istisciuto da tutti e amico di nessuno: sconsi- tuzione militare e la società civile. Possente gliato fraternizzare con il compaesano che la mitografia, gli eroi giusti al momento giumagari, un giorno, avrebbe dovuto “tradur- sto, il martire Salvo D’Acquisto nella transire in ceppi”. Tuttavia, niente da fare: se il ca- zione fra regime e democrazia, il martire rabiniere è chiuso nella sua araldica, il fol- Carlo Alberto Dalla Chiesa nella lotta al terclore se lo prende lo stesso. Caruba, caram- rorismo e alla mafia. I carabinieri sono pasba, griba, piumàss: nella sua storia dell’Ar- sati attraverso i cerchi di fuoco della storia di ma, Gianni Oliva fa la conta dei nomignoli questi due secoli italiani, scottandosi il medialettali. Quel girovagare incessante, per no possibile, sopravvivendo a poteri più fordovere regolamentare di «far marce, giri, ti di loro, al crollo vergognoso dei loro stessi corse e pattuglie», primo vero esperimento creatori (la monarchia sabauda) e dei loro di controllo capillare del territorio, li rende- sospettosi antagonisti (il fascismo e le sue va elementi del paesaggio, profili così fami- milizie), a pagine sanguinose della storia naliari da finire ossessivamente nei dipinti del zionale come la repressione del brigantagFattori, il tricorno in testa, riconoscibile co- gio meridionale o l’impresa coloniale, ma anme la silhouette del campanile del paese. che a epopee da romanzo popolare come la C’è stato, fra l’Italia e la Benemerita, come lunga, sanguinosa caccia al bandito Giuliaun gioco a rimpiattino tra affetto e timore, no (ottanta carabinieri uccisi dalla sua banammirazione e derisione, quale forse non è da). Sfiorati ma mai travolti dalle trame e toccato a nessun’altra istituzione. In cima al- dalle strategie della tensione della fragile le classifiche di rispetto e fiducia, bersaglia- Repubblica. Messi da parte dal potere che ti di sarcasmo: non c’è contraddizione. Le per un po’ preferì i “cugini” eterni rivali, i pobarzellette sui carabinieri se le raccontano i liziotti (l’Italia di Scelba esiliò i carabinieri in carabinieri stessi, forse ci riconoscono un provincia, per la repressione antioperaia confuso omaggio a radici sociali profonde. preferì i celerini), tornarono in scena con deFigli del popolo — un figlio prete e uno cara- terminazione e una certa abilità mediatica biniere — dovevano saper «almeno leggere (i reparti speciali come i Ris di Parma, vere scrivere» ed era già tanto. In qualche modo sione nostrana di Csi, o quelli che ritrovano i questo paese ha intuito nel carabiniere una dipinti rubati e controllano le sofisticazioni struttura della propria identità nazionale. alimentari sono amati dai telegiornali). La banda dei carabinieri portava festa, e il “Nei secoli fedele”, dice il motto ufficiale grido «chiamo i carabinieri!» funzionava co- coniato dall’oscuro capitano Cenisio Fusi me le invocazioni ai santi. Il carabiniere ha che nel 1933 sostituì “usi a obbedir tacendo “bucato” la crosta dell’inconscio collettivo, e tacendo morir”, firmato dal poeta Costannel bene e nel male, diventando un’icona tino Nigra ma ritenuto un tantino menagrapop multiforme, dalle cartoline ai calendari mo. Fedele a chi? Ai poteri costituiti, ma soalle canzoni alle tavole di Beltrame ai fu- prattutto, più coerentemente, alla propria metti ai videogame ai serial tv, dove il Mare- immagine, sospesa in precario miracoloso sciallo Rocca ebbe il volto sornione di Gigi equilibrio storico e ideologico come il paese Proietti. Tra tutti i volti dello Stato represso- che rappresenta. I Carabinieri arrestarono re, solo quello del carabiniere ha saputo ispi- Garibaldi, i Carabinieri arrestarono Mussorare sensazioni di umanità anche nei suoi lini: la nostra Italia faticosa e controversa, a antipatizzanti. «Il cuore tenero non è una do- ben guardare, deve avere i baffi e la riga roste di cui sian colmi i carabinieri», ma quelli di sa ai pantaloni. Fabrizio De André accompagnarono «mal© RIPRODUZIONE RISERVATA U VITTORIO EMANUELE I LA CARICA DI PASTRENGO CONTRO I BRIGANTI IL 13 LUGLIO 1814 VITTORIO EMANUELE I ISTITUISCE A TORINO IL CORPO DEI CARABINIERI REALI FIRMANDO LE REGIE PATENTI ALESSANDRO NEGRI DI SAFRONT IL 30 APRILE 1848 GUIDA LA CARICA A CAVALLO DEI CARABINIERI CONTRO GLI AUSTRIACI NEL 1870 IL CAPITANO CHIAFFREDO BERGIA RICEVE LA MEDAGLIA D’ORO PER L’EROICA LOTTA AL BRIGANTAGGIO la Repubblica DOMENICA 13 LUGLIO 2014 27 Il paese chiama “Marescià, venissi a mettiri ‘u bonu...” <SEGUE DALLA COPERTINA A N D R EA CA MI L L E RI TALIARLO in cartolina e dall’alto, come aviva fatto il fotografo, Belcolle pariva un paìsi grazioso, da vacanza estiva: la disposizione delle case, che non arrivavano a duecento, dava all’abitato una forma di barca, con la prua stritta e fina verso i quasi duemila metri di Pizzo Carbonara e la poppa chiatta e larga verso il lontanissimo mare di Cefalù, una barca assurdamente arenata supra una montagna verde di boschi e di pascoli. D’inverno però la situazione cangiava, la nivi ci mittiva nenti a cummigliare, a seppellire case, arboli, strate sutta a un bianco uniforme, mentre un vento gelido e crudele impoppava dalle Madonie per giorni e giorni. Ma il paisi non si racchiudeva tutto in quelle casuzze fotografate nella cartolina, si espandeva per chilometri attraverso rade abitazioni di viddrani, pastori, boscaioli, sperse al limite dei boschi, sui costoni della montagna, in qualche tratto di valle. Una volta era stato costretto, per effettuare un arresto, ad acchianare fino a una casupola a Pizzo Stella e ancora arricordava la jeep che non andava più né avanti né narrè, bloccata da un mare di nivi, la lunga marcia tutta in salita, il friddo che spurtusava le ossa a malgrado che il corpo era in movimento e faticava. Fortuna che i paisani erano pirsone a posto, quiete, forse nanticchia troppo mutanghere tra di loro, ma si sa che la genti di montagna è di scarsa parola, non ama dare cunfidenza agli stranei. Curiosamente però con lui, che straneo lo era di certo, i belcollesi parlavano, e come! E quella confidenza, della quale giustamente tra sé si gloriava, se l’era guadagnata, come dire, sul campo. In cinco anni che si trovava lì era arrinisciuto a sapiri quasi tutto di tutti, intervenendo in questioni, liti, dispute che gli vinivano presentate in forma non ufficiale per aviri un parere, un giudizio, un orientamento. “Marescià, vinissi a mettiri ‘u bonu”… Mettere il buono: ossia dire la parola giusta, pacificare, risolvere, appianare, fare in modo che la bilancia non penda troppo da una parte o dall’altra. “Ecco perché si chiama Stazione!”, si disse un giorno che nel suo ufficio erano trasute e nisciute, proprio come in una stazione ferroviaria, una decina di persone per domandargli consigli, pareri, istruzioni su come comportarsi. (tratto da Il Medaglione © 2005 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano) A L’ILLUSTRAZIONE UN DISEGNO DI ATTILIO MUSSINO PER “LE AVVENTURE DI PINOCCHIO” DI CARLO COLLODI NELL’EDIZIONE DEL 1911 DI R.BEMPORAD E FIGLIO (RIPUBBLICATA DA GIUNTI MARZOCCO) © RIPRODUZIONE RISERVATA L’Arma degli italiani L’ARRESTO DI MUSSOLINI SALVO D’ACQUISTO SALVATORE GIULIANO DALLA CHIESA LE DONNE IL 25 LUGLIO DEL 1943 I CARABINIERI ARRESTANO BENITO MUSSOLINI NEL CORTILE DI VILLA SAVOIA IL 23 SETTEMBRE 1943 IL VICE BRIGADIERE SALVO D’ACQUISTO SI FA FUCILARE DAI NAZISTI PER SALVARE LA VITA A VENTI CIVILI IL GENERALE UGO LUCA GUIDA LA LUNGA CACCIA AL BANDITO SALVATORE GIULIANO, AMMAZZATO IL 3 LUGLIO DEL 1950 IL 3 SETTEMBRE 1982 IL GENERALE CARLO ALBERTO DALLA CHIESA VIENE UCCISO A PALERMO DOVE ERA PREFETTO DA POCHI MESI IL 2 DICEMBRE DEL 2000 PRESTANO GIURAMENTO LE PRIME DUE DONNE CARABINIERE DELLA STORIA DELL’ARMA la Repubblica LA DOMENICA DOMENICA 13 LUGLIO 2014 28 Il reportage.Onde del destino Un giubbotto salvagente, una Madonna, due lapidi e la stanza di Schettino: ecco cosa il relitto lascerà fra una settimana, dopo un incubo di trenta mesi. Oltre a una cicatrice Viaggio su un’isola che adesso vuole solo tornare normale Senza Concordia Addio Mostro, ma l’anima del Giglio resterà spaccata in due JENNER MELETTI ISOLA DEL GIGLIO R due lapidi, una bacheca con qualche oggetto “di quella notte” e una Madonna alta un metro, che era nella cappella della Concordia. Ad Sempiternam Memoriam, c’è scritto sul marmo con i nomi delle trentadue vittime al molo rosso. «A memoria del salvataggio di oltre 4.000 naufraghi — recita l’altra lapide — quando la notte del 13 gennaio 2012 la popolazione gigliese tutta… fece di quest’isola esempio di società civile e solidale». «Memoria», scritta in italiano e latino. Hanno fatto bene a inciderla nelle pietre perché rischia di scomparire, assieme alla Concordia che fra pochi giorni, non più nave ma relitto, verrà trainata nel porto di Genova. Da domani, meteo permettendo, inizieranno le operazioni di galleggiamento per veder poi allontanarsi il Mostro lunedì 21 luglio. «E noi quel giorno — dice Mauro Pretti, di mestiere barcaiolo e responsabile della Protezione civile e soccorso in mare dell’isola — metteremo fuori un cartello con la scritta “Chiuso per ubriacatura”. Non ne possiamo più, di quel tracane, che in dialetto gigliese vuol dire: grosso oggetto ingombrante. Da due anni e mezzo ci impedisce di vedere il mare e di lavorare con i turisti». L’hanno chiamata in tanti modi, la grande nave spezzata da un piccolo scoglio. La Balena morta, il Relitto, la Tomba, l’Astronave. Ora che va in discarica non lascia un Giglio unito come quella notte, quando tutte le luci delle case si accesero e tutti offrirono una coperta e un pezzo di pane ai naufraghi. «Sono in tanti — dice il barcaiolo Pretti — quelli che si sentiranno orfani, perché con la Concordia spiaggiata hanno fatto i soldi. Hotel, ristoranti e proprietari di appartamenti in questi due anni e sei mesi hanno fatto dieci stagioni in una. Lavoravano solo d’estate e invece con i tecnici, i subacquei, gli operai stranieri e italiani sono stati al completo da gennaio a dicembre. Ci sono ditte — niente nomi, tanto qui al Giglio li conosciamo tutti — che in qualche modo si sono agganciate ai lavori di recupero e sono passate da un fatESTERANNO BAMBINI TUTTI IN ACQUA: ALCUNI BAMBINI GIOCANO IMITANDO IL NAUFRAGIO DELLA NAVE. A DESTRA, FANNO IL BAGNO SUI GONFIABILI CON LA CONCORDIA SULLO SFONDO TESTIMONI IL BARCAIOLO MAURO PRETTI, GUIDA TURISTICA E RESPONSABILE DELLA PROTEZIONE CIVILE SULL’ISOLA E DON LORENZO PASQUOTTI ACCANTO AL MUSEO DI REPERTI DELLA NAVE NELLA CHIESA AL PORTO ESPORREMO UN CARTELLO: CHIUSO PER UBRIACATURA. NON NE POSSIAMO PIÙ, ANCHE SE QUALCUNO AVRÀ NOSTALGIA. IL CIRCO È FINITO E AI TANTI CHE SI SONO ARRICCHITI ARRIVERÀ UNA LEGNATA MAURO PRETTI RESPONSABILE PROTEZIONE CIVILE GUARDO LE PANCHE DELLA MIA CHIESA E LE VEDO COME QUELLA NOTTE, UN ALVEARE DI PERSONE IN SILENZIO PIENE DI FREDDO NON POTREMO MAI DIMENTICARE DON LORENZO PASQUOTTI PARROCO turato di trentamila euro all’anno a mezzo milione. Certo, guadagnare non è peccato, ma questa della Concordia è innanzitutto una disgrazia e non si può guadagnare con le disgrazie». Anche in queste sere di luglio, dopo la partenza dell’ultimo traghetto delle 19, a passeggio nel porto ci sono i pochi abitanti e tanti uomini con tute, imbracature e mute. «Tutte brave persone, ma il Giglio è un’altra cosa. Vuole turisti veri, alla ricerca di un luogo speciale. Ma adesso il circo è finito e anche chi ha messo da parte tanti soldi prenderà una legnata. Questa è la terza estate nella quale diciamo ai clienti: non venite, non c’è posto. E questi avranno già scelto altri luoghi. Il cantiere della Concordia è costato un milione al giorno e per tanti è stata una pacchia. In fondo un po’ mi dispiace, che se ne vada questo tracane, perché con tanti operai e tecnici forestieri ho fatto amicizia. Ma il mio portafoglio, e quello di chi vive di vero turismo, è stato colpito e affondato». Ci sono anche pezzi di pane, nella bacheca dei ricordi della chiesa dei Santi Lorenzo e Mamiliano. «Pane avanzato sul pavimento della chiesa», annuncia una scritta. «L’abbiamo messo qui — dice don Lorenzo Pasquotti, prete operaio milanese trapiantato sull’isola tre mesi prima del naufragio — assieme a un giubbotto di salvataggio, un Gesù Bambino, un Crocefisso e un tabernacolo presi nella cappella della nave. C’è anche una cima ritrovata fra le panche della Chiesa. Qualche fedele mi ha detto: “Non ce n’era bisogno, ricordiamo tutti cos’è successo quella notte. Abbiamo fatto una cosa bella e buona, aiutando i naufraghi e sappiamo anche che tutto il mondo se n’è accorto. Perché questo piccolo museo?”. Anch’io non avrei bisogno di oggetti. Guardo le panche della chiesa e le vedo come quella notte, un alveare di persone, in silenzio, piene di freddo. Dicevano grazie con un sorriso. Allora il Giglio quasi non lo conoscevo, ma poi ho capito perché tutta l’isola è corsa al porto. Qui sono tutti figli o nipoti di marinai che hanno girato il mondo su navi da crociera o mercantili. Stavolta il naufragio non è avvenuto a Capo Horn, ma sotto le loro case. E allora si va, si aiuta, è naturale. Io comunque, per ogni Messa, uso la pisside trovata sulla Concordia. Ne ho altre, ma voglio sempre la Repubblica DOMENICA 13 LUGLIO 2014 IL NAUFRAGIO I MORTI IL PROCESSO IL RECUPERO LA RIMOZIONE LA DEMOLIZIONE IL 13 GENNAIO 2012 LA CONCORDIA URTA GLI SCOGLI DELLE SCOLE : SULLA FIANCATA SINISTRA SI APRE UNA FALLA DI 70 METRI NEL NAUFRAGIO PERDONO LA VITA 32 PERSONE: LA VITTIMA PIÙ PICCOLA È UNA BIMBA DI CINQUE ANNI, DAYANA IL COMANDANTE SCHETTINO VIENE RINVIATO A GIUDIZIO: NAUFRAGIO OMICIDIO COLPOSO E ABBANDONO DI NAVE A SETTEMBRE 2013 INIZIA IL RECUPERO DEL RELITTO SOLLEVATO E RUOTATO PER RIMETTERLO IN POSIZIONE VERTICALE A MARZO 2014 VENGONO MONTATI I CASSONI DI GALLEGGIAMENTO: È LA PRIMA FASE DEL PROCESSO DI RIMOZIONE DELLA NAVE IL 30 GIUGNO LA DECISIONE DEL GOVERNO: LA CONCORDIA VERRÀ PORTATA A GENOVA PER ESSERE SMANTELLATA 29 LA CONCORDIA INCAGLIATA DAVANTI ALL’ISOLA DEL GIGLIO NOVE GIORNI DOPO IL NAUFRAGIO quella. Così ogni mattina ricordo i volti di chi fu accolto in chiesa e prego per coloro che hanno perso la vita. C’era anche una bimba, Dayana. La Concordia adesso se ne va. È un bene. Sulla bacheca abbiamo scritto: “Noi non potremo mai dimenticare”. Il ricordo resterà dentro, ma l’isola deve tornare com’era prima». Un letto matrimoniale, un altro singolo. Coperte giallo blu, tv al plasma, aria condizionata. «Le va bene la camera numero 10? È un po’ particolare: è quella di Francesco Schettino». Hotel Bahamas, due stelle. Era l’unico aperto, quella notte. In ventisette camere, nell’atrio, nel bar, nella sala colazioni trovarono rifugio quattrocento naufraghi. «Per fortuna — racconta Paolo Fanciulli, il proprietario — avevo il riscaldamento acceso. Quei poveretti presero coperte e lenzuola prima di salire sui traghetti. Svuotarono il bar, ma io ero d’accordo. Prendete quello che vi serve, avete carta bianca. Non voglio soldi. Usateli per tornare a casa». Al mattino verso le dieci si presentò il comandante, in borghese (si era tolto la divisa prima di scendere dalla nave) con giacchetta e pantaloni blu. Aveva girato tutta la notte nel porto, senza farsi riconoscere. «Vorrei una camera». «Chiese un caffè con molto zucchero. Gli diedi la numero dieci, anche se era in disordine». Un’ora e mezza in tutto, per farsi la barba e riassettarsi. Sulla rampa di scale verso la hall la prima bugia: «Quello scoglio non era segnato nelle mappe». All’attracco dei traghetti lo aspettavano i carabinieri. «Certo — dice l’albergatore — la Concordia ci ha cambiato la vita. Da ottobre in avanti, al Giglio, si vive in letargo. I figli, dopo le scuole medie, vanno a scuola a Grosseto, stanno via tutta la settimana. Il mio era l’unico hotel aperto, dopo si sono accese le luci di tutti gli alberghi e anche ristoranti e bar hanno tirato su le serrande, come se fosse stagione piena. Non mi posso lamentare, in questi trenta mesi tutte le camere sono state occupate e sono stato ripagato molto bene dei “danni” di quella notte. Dalle persone aiutate ho ricevuto molta riconoscenza: c’è un signore tedesco che mi telefona perché vuole pagare la camera usata dopo il naufragio, ci sono persone che mi riportano le lenzuola e le coperte, lavate e stirate». CANTIERE DUE PANORAMICHE DEL RELITTO DURANTE LA LUNGA FASE DI RECUPERO DI QUESTI ANNI AL TRAMONTO DAL PORTO E DA UN TERRENO COLTIVATO SULLA CIMA DELL’ISOLA MEMORIA LA STANZA DELL’HOTEL BAHAMAS DOVE SI FERMÒ SCHETTINO LA MATTINA DOPO IL NAUFRAGIO A DESTRA, UN SALVAGENTE, UNA CERATA ANTIVENTO, UN CASCO, FRAMMENTI DI ROCCIA, OLIO DEI SERBATOI IN QUESTO PERIODO TUTTE LE CAMERE SONO STATE OCCUPATE E SONO STATO RIPAGATO MOLTO BENE DEI DANNI. DAI NAUFRAGHI PERÒ NON HO VOLUTO UN SOLDO, MI BASTA LA LORO RICONOSCENZA PAOLO FANCIULLI ALBERGATORE IL TURISMO È DIMEZZATO DOBBIAMO RICOSTRUIRCI UN’IMMAGINE, LA NOSTRA INVALIDITÀ È PERMANENTE ORA PER IL MONDO SIAMO L’ISOLA DEL DISASTRO, CHI CI AMAVA NON CI RICONOSCE PIÙ SERGIO ORTELLI SINDACO Non finirà presto, la polemica fra chi dice di essere stato rovinato e chi sostiene che «la mucca va munta fin che dà il latte» e magari spera in altri lavori dopo la partenza della Concordia, per sistemare il fondale e mantenere così aperto un altro piccolo cantiere. «Nel nostro Comune — racconta il sindaco, Sergio Ortelli — ci sono tre paesi: Porto, Castello e Campese. Al Porto ci sono una quindicina di attività che hanno guadagnato bene ma per l’intera isola i numeri ufficiali — quelli dell’Osservatorio per il turismo della Costa d’Argento — dicono che il relitto della Concordia ha fatto danni. Presenze a meno 28% nello stesso 2012, meno 13% nel 2013 rispetto al 2012, e quest’anno 40-50 mila biglietti in meno, rispetto all’anno scorso, sui traghetti. Quattrocento operai non sostituiscono i quattromila turisti, presenti in media nella nostra estate». L’”Imposta comunale sbarco”, messa dal Comune per fare pagare qualcosa a chi arriva al Giglio solo per farsi fotografare davanti alla nave naufragata, è stata aumentata da un euro a uno e mezzo. «Ma gli arrivi sono in calo e incassiamo meno del previsto». Il Comune, parte civile al processo, ha chiesto alla Costa Crociere 80 milioni di danni. «Li useremo — dice Ortelli — per infrastrutture e per ricostruire la nostra immagine. Il naufragio ci ha provocato un danno di invalidità permanente. Non siamo più l’isola più bella del mondo ma quella del disastro. Non sarà facile uscirne. Il nostro borgo con i suoi silenzi invernali è stato travolto. Nel porto non si vedono panfili e vele ma gru, cassoni, piattaforme, rimorchiatori. Contro questo nostro piccolo e splendido mondo è stata compiuta una violenza inaudita. Chi ci amava non ci riconosce più: abbiamo impiegato anni per “fidelizzare” i nostri turisti e ora sappiamo che già hanno scelto altri borghi e altre spiagge». I bambini, nella spiaggia del porto, giocano a calcio poi fanno il bagno cercando di non alzare la testa. La Concordia è lì a pochi metri, oltre le barriere anti-inquinamento. Parte un traghetto verso la terraferma. Soliti flash, soliti commenti. «È proprio un balenone». Una ragazza straniera si fa il segno della croce e prega. La grande nave è stata una tomba, non uno spettacolo. © RIPRODUZIONE RISERVATA la Repubblica LA DOMENICA DOMENICA 13 LUGLIO 2014 30 L’immagine.Pop heart Kathryn Bigelow fuma con la testa sul cuscino, Julian Schnabel sta in vestaglia, Basquiat nell’ombra, William Burroughs in poltrona, Boy George e Keith Haring a tavola... Per anni fotografa “ufficiale” alla corte di Warhol, Jeannette Montgomery Barron (con un libro e una mostra) racconta come si spensero le mille luci di New York L’ultima cena della Factory D AR I O PAPPAL AR D O ROMA A FACTORY consumava il suo atto FOTO DI GRUPPO NEI PROVINI IN ALTO, ANDY WARHOL E I “SUOI” IN UNA DELLE ULTIME CENE ALLA FACTORY NEL 1984. TRA GLI OSPITI: BOY GEORGE, BIANCA JAGGER, KEITH HARING E QUENTIN CRISP. QUI SOPRA, KEITH HARING IN UNA SERIE DI SCATTI L finale e lei era lì, testimone in un angolo con la macchina fotografica in mano. Jeannette Montgomery Barron sedeva al tavolo di quelle lunghe, ultime cene con Andy Warhol e la sua “famiglia”. La Pop Art era ormai diventata un’industria con tanto di fatturato. E di quella scena artistica anni Ottanta lei diventò, poco più che ventenne, la ritrattista “ufficiale”, come dimostra ora il libro My Years in the 1980s — New York Art Scene (in uscita in contemporanea con la mostra alla Collezione Maramotti di Reggio Emilia, aperta fino al 28 settembre). La prima volta, in realtà, Andy Warhol le concesse a stento cinque minuti. Altro che quarto d’ora di celebrità. «Ero lì, in una sorta di sala d’attesa: caos, roba e foto sparse ovunque, e lui arrivò. Il tempo di scattare e mi mise alla porta. Il risultato non fu un granché» rac- conta lei. Ma alla Factory sarebbe tornata altre volte. «Prima a quella in Union Square e poi sulla East 33rd Street, che aveva ormai assunto l’aspetto di una serie di uffici. Ognuno con scrivania e telefono». Quello di Montgomery Barron è un diario per immagini delle mille luci di New York. Una carrellata di star e di sconosciuti che non sarebbero stati più tali. Kathryn Bigelow, trent’anni prima di diventare l’unica regista donna a vincere l’Oscar, è una ragazza sicura di sé che fuma una sigaretta con la testa comodamente adagiata su un cuscino. Willem Dafoe è solo un attore di belle speranze e senza maglietta. Francesco Clemente e Cindy Sherman sembrano appena usciti dal liceo. E poi ci sono i party: le tavolate dove trovi Warhol e Keith Haring; Bianca Jagger e Boy George; Julian Schnabel, già allora in vestaglia, e Jean-Michel Basquiat. William S. Burroughs siede in poltrona con sguardo da sfinge. In quei bianco e nero c’è anche un’aria di decadenza, da fine dell’impero pop. «Sì, Warhol in qualche modo celebrava la sua decadenza», precisa Montgomery Barron, «e per me non c’era niente di più interessante che guardare quella decadenza da lontano. Anche se non mi rendevo veramente conto di quello che stessi facendo». Jeannette Montgomery Barron lo spiega sorridendo nel suo appartamento romano, a pochi passi dal Pantheon, dove vive per buona parte dell’anno con il marito mercante d’arte. Ci sono opere di Daniel Buren appoggiate alle pareti. Luigi Ontani in uno scatto del 1984, alla fontana delle tartarughe, nel ghetto di Roma. New York è decisamente lontana. «Oggi non potrei più viverci», dice «è diventata troppo nervosa». Nell’era Reagan, invece, era un baluardo della cultura alternativa. Un Eldorado per i fratelli Monty e Jeannette Montgomery, arrivati da Atlanta, Georgia, con in testa l’estetica di Interview, la rivista di Warhol dove pubblicano i primi scatti Herb Ritts, Bruce Weber, David LaChapelle. «Eravamo abbonati al magazine: subivamo il fascino di quella scena culturale e artistica che stava nascendo. Soho era ancora una novità. C’erano le gallerie di Leo Castelli e Mary Boone. Lì persi il mio accento del sud e diventai fotografa». Sembra un film di Cameron Crowe: i Montgomery, da fan, entrano a far parte del mondo pop. Monty, nel 1981, dirige il primo film in coppia con la Bigelow, The Loveless; sarà poi produttore e attore, fino a interpretare il cowboy del Mulholland Drive di David Lynch. Grazie al gallerista amico Thomas Ammann, Jeannette, intanto, viene introdotta alla Factory e alla corte di re Warhol. la Repubblica DOMENICA 13 LUGLIO 2014 31 Intorno ad Andy tutti diventavano creativi Sapeva prendere l’energia degli altri e ricaricarla Ti faceva credere di aver avuto una grande idea anche se era una sciocchezza Vivevamo come non ci fosse un domani WILLEM DAFOE O CONOSCIUTO Jeannette sul set di The Loveless, il film che suo fratello Monty stava girando con Kathryn Bigelow. Lei era lì che scattava fotografie. Riservate, gentili, raffinate come sanno essere certe persone del profondo Sud, i Montgomery erano diversi da tutta l’altra gente che frequentavo in quella New York degli anni Ottanta. Jeannette mi fece dei ritratti. Se li rivedo oggi, penso a quanto sono belli nella loro semplicità. Ero così giovane! Accadeva molto prima che la vita l’avesse vinta su di me. Mentre realizzavamo quegli scatti, lei e io provavamo a catturare l’atteggiamento del personaggio che interpretavo nel film, il leader di una gang di motociclisti. Quello a New York negli anni Ottanta è stato il periodo che più mi ha formato. Succedevano tante cose: gli artisti facevano musica, i ballerini facevano teatro, i musicisti facevano film, gli attori si davano alle arti visive. Per tutti c’erano scambi fertili e trasversali, enormi potenzialità e non una carriera già avviata. Sexy, socievoli, sballate... le persone vivevano in quel mondo come se non ci fosse domani. Tutto questo mi manca nella misura in cui mi manca la mia giovinezza, che a dire il vero non mi manca tanto. È ora che la mia vita mi piace di più. (Testo raccolto da Dario Pappalardo) H SU RTV - LA EFFE LUNEDÌ IN RNEWS (ORE 13.45 E 19.45, CANALE 50 DEL DIGITALE E 139 DI SKY) IL VIDEOSERVIZIO CON LE IMMAGINI DELLA FACTORY © RIPRODUZIONE RISERVATA PROVINI A DESTRA, ANDY WARHOL E JEAN-MICHEL BASQUIAT NEL 1985; SOPRA: KATHRYN BIGELOW NEL 1980 E IL PASS DI JEANNETTE MONTGOMERY PER IL FESTIVAL DI CANNES. IN BASSO, WILLEM DAFOE (1980) «Andy era un grande osservatore, sapeva prendere l’energia degli altri e ricaricarla. Si diventava tutti creativi attorno a lui. Dopo la prima volta, a poco a poco, riuscì a posare a suo agio davanti al mio obiettivo. Era abile nel farti credere di avere avuto una grande idea, anche se si trattava di una sciocchezza». Nel bianco e nero di Montgomery, Warhol siede come un sovrano con braccia conserte su una pelliccia di tigre. Jean-Michel Basquiat, invece, ha l’espressione malinconica e mezzo volto in ombra: «Appariva timido. E non sapevi in realtà se la sua fosse timidezza, insicurezza o una forma di paranoia provocata dall’abuso di droghe. Per lui gestire un successo così improvviso era complicatissimo. In più, negli ultimi tempi, i critici non erano più interessati alla sua carriera. Sono stata spesso nel suo studio, lo vedevo alle feste. Oggi mi pento di non aver comprato nessuna sua opera. È stato sempre carino con me. Ma su di lui c’era come un’ombra. Poteva risultare anche odioso e gettare acqua sulla testa di un ospite poco gradito, intimandogli di andare via. Al contrario, Keith Haring gestiva meglio il suo successo. Appariva più sicuro. Era una persona molto dolce». Basquiat muore di overdose nell’estate del 1988, nel loft di Great Jones Street. Haring di Aids, nel 1990. Le mille luci di New York talvolta si spegnevano all’improvviso. «Sì, c’era la droga. C’era molta paura dell’Aids, non esisteva una cura e mancava ogni speranza. Tanti non ci sono più. Mi sono salvata perché ho vissuto in quel mondo da osservatrice. Questo, in fondo, era il mio lavoro: guardare e fotografare. E poi l’incontro con mio marito James Barron, in un ascensore, nel 1984, mi ha fatto vedere tutto da una prospettiva diversa». A riguardare il libro degli anni Ottanta, Jeannette non riesce a dire il nome del suo modello perfetto. «Bianca Jagger mi piaceva molto. Ma, mentre fotografi, vivi sempre come un momento di innamoramento con la persona che hai davanti. Ti innamori di quel volto. Non ricordo esperienze negative». Una però c’è. «Va bene, diciamo che Susan Sontag non fu molto gentile con me. Non so perché, in realtà. La fotografavo mentre rilasciava un’intervista. Forse questo la disturbava. Ma probabilmente la ragione principale era che non voleva essere fotografata da nessuno che non fosse Annie (Leibovitz, la fotografa sua compagna, ndr). Per certi versi era comprensibile. Comunque, riguardando ora quella New York, capisco solo una cosa: la giovinezza dura davvero un attimo». © RIPRODUZIONE RISERVATA la Repubblica LA DOMENICA DOMENICA 13 LUGLIO 2014 Spettacoli. Altri libertini La fama con la sua band, i Libertines e poi la discussa relazione con Kate Moss e l’amore tossico con Amy Winehouse Il delirante diario di un sopravvissuto PET E D O H ER T Y TO CORRENDO A WEST LONDON per l’ultimo degli incontri programmati col mio giudice di sorveglianza. Esigenze superiori. Il mio prossimo test antidroga a Sainsbury non dovrebbe essere troppo lontano. Mi sto avvicinando ai sobborghi di Parigi e «gaio» non corrisponde certo alla descrizione (a meno che nuvoloso, grigio e gelato non sia «gaio» in quest’epoca di rapida evoluzione della lingua). Dopo una lunga e dura sfacchinata, la macchina degli Shambles ha girato l’ultima rotella e io ritorno a Sturmey via libertà vigilata in questa scura e serena notte del Wiltshire. I gatti sono insolitamente interessati ai miei movimenti e mi spiace dover segnalare che gattino grigio senza nome era morto di febbre felina… S SOMMERSIONE NARCOTICA CRONICA Per una persona sensibile per natura è curioso, anche se in generale sgradevole, sperimentare l’intorpidita vacuità che ammanta l’anima nel pieno di un’autentica e ansiosamente affezionata sessione di sommersione narcotica cronica. La patina secca in fondo alla gola, l’aspetto unto e imbrattato di bocca e occhi, la rigidità dei polpacci, le braccia gonfie e addormentate. Il petto che ansima. Le mani macchiate e l’aura sudicia. La bocca bombardata e la lingua paralizzata e scolorita. L’opinione vacante e lo stato vacuo della personalità. L’imprevedibile libido e la percezione surreale del tempo e dello spazio. AMO AMY? …I giornali scandalistici sostenevano che io e Amy ci davamo dentro come cani rabbiosi ninfomani. La trama si ispessisce… al sicuro nella consapevolezza che quella notte era una… ero onestamente in grado di difendermi e scuotevo tristemente la testa per la compassione e la tristezza all’idea che Blakey (Blake Fielder Civil, l’ex marito di Amy Winehouse, ndt) potesse anche solo per un secondo dubitare della mia lealtà. Ora poi… dopo che avevano divorziato continuavo a non sognarmi neanche che la Winehouse facesse una mossa, eppure a quanto pare Blake continuava a minacciare atti indicibili di ogni sorta contro di me, convinto com’era che mi fossi sbatacchiato la sua adorata ex consorte. Cristodiddio! Ora poi a un certo punto naturalmente, in particolare dopo l’esibizione al V-Festival Pete Doherty io fuori di me C’È UN ESUBERANTE SERVIZIO SU KATE MOSS E, DEGNA DI NOTA, LA MIA COMPLETA E IRRITANTE ASSENZA DALLA POSITIVA, PULITA, PROPAGANDISTICA SUA BIOGRAFIA. MI FA MALE FORSE PIÙ DI QUANTO VORREI AMMETTERE SOSTENEVANO CHE IO E AMY CI DAVAMO DENTRO COME CANI RABBIOSI NINFOMANI. L’EX-MARITO POTREBBE DARE DUE PENCE A UN AVANZO DI GALERA PER MENARMI COME UNA TESTA DI CAVALLO L’ALBUM PUBBLICATO IN QUESTO ESATTO MOMENTO DAI BABYSHAMBLES HA MESSO A SOQQUADRO E CONQUISTATO I CUORI E LE MENTI E LA FEDELTÀ DELLE ADOLESCENTI MARMOCCHIANTI 32 la Repubblica DOMENICA 13 LUGLIO 2014 Peter / Niente è più dolce / Amo la Stella / Canottiera a Rete Uomo che picchia la moglie / Sporca Sconfitta / Ti amo / Peter / Sempre / e per sempre Tua Amy* La voce dal caos di un moderno poeta sotto assedio *MESSAGGIO DA AMY WINEHOUSE (LA “STELLA” È PROBABILMENTE LA BIRRA STELLA ARTOIS. “WIFE BEATER” PUÒ ESSERE TRADOTTO COME “UOMO CHE PICCHIA LA MOGLIE” . I GIOCHI DI PAROLE FANNO RIFERIMENTO AL LUOGO COMUNE CHE VUOLE IL BEVITORE DI BIRRA DA POCHI SOLDI IN CANOTTIERA RESPONSABILE DI VIOLENZE DOMESTICHE, NDT) l’anno scorso mi sono fatto un balletto alla Humpy Dumpty (personaggio di una celebre filastrocca, raffigurato come un grosso uovo antropomorfizzato, ndt) anche se troppo breve con la Duchessa ma tutto è precipitato ora che sembra che si vedano di nuovo. Mi sta messaggiando minacce appena velate appropriate al suo stato. Potrebbe mettersi male, male, male. Potrebbe dare a qualche avanzo di galera una stecca, probabilmente due pence per menarmi come una testa di cavallo di plastica gonfiabile. Capace. KATE, TESORO K*** (Kate Moss, ndt) sorride sciccosa, sfacciata, seducente dalla copertina di Grazia. Il Grazia francese. I miei arcinemici, ovviamente. C’è un esuberante servizio di sei pagine e, degna di nota, la mia completa e irritantemente irritante assenza totale dalla positiva, pulita, propagandistica biografia adornata di tante istantanee di classe, inclusa una del miglior amico gay di K*** e parrucchiere e cacciatore di successo, “Il Capo dei cacciatori” (figura presente nella caccia alla volpe ma anche nel film Il pianeta delle scimmie, il riferimento è ovviamente ironico, ndt) se ricordo bene. L’ingiuria è aggravata da fotografie di un centinaio degli altri 33 suoi ex dildo. Tesoro, tesoro… perché questo? Mi fa male forse un po’ più di quanto mi piacerebbe ammettere. Così, caro il mio Book of Albion confidenziale (libro autobiografico di Doherty del 2007, ndt) dalla copertina di cartone rigido, sono ancora innamorato della donna, della ragazza. Le estasi che ho sofferto e il tempo che abbiamo passato uno nelle braccia dell’altra erano di tale importanza e rivelazione per qualsiasi cuore che non mi sentirò mai veramente diverso da come mi sono sentito quel primo giorno nel fienile, nel vecchio fienile… G U I DO AN DRU E T T O È LA VESTE DI MAMMA C’è molta tranquillità nell’appartamento ora. Stranamente sto tenendo la stanza in ordine… nella veste da fumo di seta che mi ha comprato la mamma, versando inchiostro per bene e lavorando su qualche melodia decisamente riuscita. Scarabocchio come sempre sui libri che intasano il mio nuovo armadietto in metallo… ma un sonoro, solido corpus di testi di canzoni non viene fuori. Mettendo in scena i miei giochi di ruolo per lo spettacolo da baraccone del fame game che ho autoperpetuato, musica, emozione, manipolazione. ANTICIPIAMO IL LIBRO APPENA USCITO IN INGHILTERRA DELL’EX RAGAZZO PRODIGIO DEL ROCK, OSPITE FISSO DEI TABLOID PER LA SUA VITA MOLTO SPERICOLATA. COME DIMOSTRA IL FOGLIETTO QUI A DESTRA, UN NUMERO TELEFONICO SCRITTO COL SANGUE DI UNA SIRINGA... LA SIGNORA GAINSBOURG 5 febbraio 2012: a quanto sembra finalmente Sylvie (Verheyde, regista, ndr) ha finito il montaggio di Confession (Confession of a Child of the Century, ndt) e la prima proiezione per la troupe aspetta… Queste ultime settimane sono state l’ultima occasione per aggiungere agli atti un po’ di musica mia… ho suonato Perfume (un dolce pezzo strumentale melodico), come picchiettio strimpellante di sottofondo alla prima scena d’amore che il mio personaggio «esegue» con la signora Gainsbourg. Tutti colpi lenti, sinceri, inarcati e il personaggio compassato di Charlotte. Cammino impettito giù per la scala in legno e in mezzo ai campi. In un altro momento, alla fine del film, eseguo una versione acustica della nuova canzone Birdcage, che ho scritto insieme alla Suze Martin di un tempo… Il film ora è in dirittura d’arrivo e presumo stia per essere riversato nella palude… quale senso di trepidazione avverto aspettando che i critici giudichino i miei sforzi in questo campo, essenzialmente «dramma storico in costume». Alfred de Musset per la 21ª Albione «Calembour o non calembour» è la domanda su tutte le loro labbra inchiostrate, scommetterei, indipendentemente da quelli competenti, dal merito, sicuramente decideranno di odiare o amare questa storia d’amore elevante. VOGLIONO FARSI IL TIPO CHE STAVA CON KATE Fricchettoni, apostoli arcadici, sgomitatori, pogatori, manganellatori, intenditori di bum festival, ringiovanenti e fedeli (potrebbe essere, quindi) che danno per scontato che l’album pubblicato in questo esatto momento — ha messo a soqquadro e conquistato i cuori e le menti e la fedeltà delle marmocchianti fanciullesche adolescenti aficionadas proprio di quelle cose chitarra distorta, religiosi sconsiderati nella loro serata libera, puttini senza sesso arrivati in volo dall’ossessione orientale — ricche reclute per non parlare dei fan superficiali gli ex fanatici incuriositi dalle proprie reazioni a una band che un tempo li teneva in un profondo e un po’ sinistro stato ossessivo di ipnosi, ragazze a caso di West London di grande privilegio e bellezza personale (e altezza), che apprezzano abbastanza la musica ma tutto sommato vogliono solo scopare con un tipo che ha scopato Kate Moss. Spuntarlo dalla lista di cose da fare prima che il sole esploda. Rischierò di scrivere un testo segreto in questo momento che trascorre seduto come sono proprio di fronte al mio vero amore? (Traduzione di Fabio Galimberti) © RIPRODUZIONE RISERVATA DAVVERO l’ultimo poeta maledetto del rock. L’ultimo libertino. L’immagine di Peter Doherty che emerge dai suoi racconti deliranti annotati su malandati taccuini ed oggi racchiusi nel libro autobiografico From Albion to Shangri-la, è quella di un artista e di un uomo completamente perso nei suoi viaggi tossici. Una stella smarrita tra le poesie di Arthur Rimbaud e le visioni oppiacee di Samuel Taylor Coleridge. Doherty è il cantante dei Babyshambles, uno dei gruppi più rappresentativi del rock indipendente inglese degli anni Zero, ma soprattutto è il frontman dei Libertines, la sua vecchia band con cui è tornato in scena poche sere fa ad Hyde Park a Londra, di fronte ad una folla osannante di sessantamila persone. Da più di dieci anni, l’autore di Down in Albion, disco dei Babyshambles prodotto da Mick Jones dei Clash, è assediato dai tabloid britannici, che non l’hanno mai perso di vista da quando venne fuori la sua relazione con la top-model Kate Moss (che ha anche cantato con Peter ne La Belle et la Bête). Cocaina, crack, ketamina ed eroina, sono parole che ricorrono con una frequenza allucinante nelle migliaia di articoli che in questi anni sono stati pubblicati sul suo conto. È successo di nuovo dopo la tragica scomparsa di Amy Winehouse, a cui Doherty è stato sentimentalmente legato, e ancora con la morte lo scorso aprile di Peaches Geldof, ex modella e figlia del cantante e organizzatore del celebre Live Aid, Bob Geldof, anche lei inghiottita da un’overdose nella sua casa di Wrotham nel Kent. Dai vecchi appunti di Doherty riemersi per la pubblicazione del libro, compare anche il suo nome e il numero del suo cellulare, che uno dei due deve aver scritto usando del sangue da una siringa. Un particolare macabro non nuovo per Doherty, che in passato aveva iniziato anche una breve carriera come pittore usando il suo sangue al posto dei colori. Storie di eccessi, di vite fuori controllo. Per questo inseguendo Peter Doherty è normale incappare in situazioni imprevedibili. Cercare di raggiungerlo alla vigilia della reunion dei Libertines è stato un delirio. Gli avevo già parlato un paio di volte l’anno scorso e una volta mi aveva svegliato nel mezzo della notte, ripetendo “Ghido, Ghido….” dal suo iPhone scassato. Voce a intermittenza, frasi sconnesse. Stava telefonando da Parigi, dove (quando non sta ad Amburgo) abita in un appartamento in rue de Copenhague, da cui esce di rado, il più delle volte la sera per esibirsi da solo al Jane Club di rue Mazzarine (ci tornerà il 24 luglio per un live acustico), a Saint-Germain. Stavolta è stata la curatrice del suo nuovo libro, Nina Antonia, che ha cercato di farci comunicare al telefono una decina di giorni fa durante la presentazione alla libreria Waterstone’s di Oxford Street, dove centinaia di ragazzi hanno pazientato ore in coda per avere una copia autografata. Di nuovo, la voce di Peter che va e che viene. Di nuovo il caos. Niente altro che caos. IL LIBRO IL TESTO E IL DISEGNO DI DOHERTY QUI PUBBLICATI SONO TRATTI DA “FROM ALBION TO SHANGRI-LA” LA RACCOLTA DEI SUOI DIARI DAL 2008 AL 2013 (258 PAGINE, 10 STERLINE IN VENDITA SU THINMAN PRESS.COM). QUI SOPRA, LA COPERTINA E PIÙ IN ALTO UNA PAGINA DEL TACCUINO COL NUMERO DI PEACHES GELDOF, MORTA LO SCORSO 7 APRILE, SCRITTO COL SANGUE DA LEI STESSA O DA DOHERTY © RIPRODUZIONE RISERVATA la Repubblica LA DOMENICA DOMENICA 13 LUGLIO 2014 34 Next.Game over 1972 1977 1983 MAGNAVOX ODYSSEY ATARI VCS 2600 N.E.S. COLORI, SUONI, CARTUCCE PER I GIOCHI: 30 MILIONI DI UNITÀ VENDUTE STA PER NINTENDO ENTERTAINMENT SYSTEM LA PRIMA CONSOLE: BIANCO E NERO E NIENTE AUDIO C’ERA UNA VOLTA J AIME D’ ALESSAN D R O L’ ULTIMO pezzo di futuro, quello che ancora mancava. Dopo la musica infatti, dopo i film e la tv, dopo i libri, ora il mondo del cloud e dello streaming sta per inghiottire un nuovo boccone. A partire dal 31 luglio negli Stati Uniti e in Canada, e nel 2015 anche in Europa e Giappone, sarà possibile giocare ai videogame per console senza più bisogno di possederne una. Meglio: senza più bisogno di comprare un gioco. No, non stiamo parlando di app per smartphone, né della possibilità di giocare in streaming vecchie produzioni del passato riesumate per far cassa, ma di titoli di ultima ed ultimissima generazione. L’esperimento è della Sony, benché si tratti di una tendenza che potrebbe farsi generale e portare all’estinzione delle stesse console, comprese quelle della multinazionale giapponese. Perché da fine luglio fanno i bagagli e cominciano a trasferirsi sulle nuvole, nel cloud, e alla loro potenza di calcolo si accederà a distanza. In futuro quindi, pagando un abbonamento, si potrà mettere in pausa l’ultimo Assassin’s Creed sul pc di casa, uscire e riprenderlo su tablet mentre si è in metropolitana e dopo il lavoro continuare nel soggiorno di un amico sulla sua smart tv. È lo stesso gioco, la medesima qualità della grafica, solo che viene fruito in streaming e sarà nostro fintanto che pagheremo un abbonamento o il suo affitto. «Stiamo lavorando esattamente a questo scenario», conferma Shuhei Yoshida, il capo degli studi di sviluppo della Sony. Un signore giapponese di mezza età dalla voce sottile e dai modi pacati. «Per ora quel che è possibile fare è giocare senza bisogno di una console attraverso i tv Bravia della Sony, e in futuro quelli di altre marche che avranno i giusti requisiti tecnici, sottoscrivendo il servizio PlayStation Now. Partiremo con circa cento titoli usciti su PlayStation 3 e nel prossimo futuro aggiungeremo quelli per PlayStation 4, come per le altre nostre console uscite in precedenza». Qualcosa come Spotify per la musica o Netflix per ci- È la rivoluzione dei videogame, la vecchia console va in pensione Playstation & co. funzioneranno in streaming. Ovunque voi siate Ora cambiamo gioco TABLET SMART PHONE LAP TOP 2014 PLAYSTATION NOW LA PLAYSTATION DIVENTA UN SERVIZIO STREAMING. BASTA UNA SMART TV, UN TABLET, UN PC. SU ABBONAMENTO COME SPOTIFY 2012/2013 2006 2005 2001 NEXT GENERATION WII XBOX 360 XBOX WII U, PS3 E XBOX ONE: È INIZIATA L’ULTIMA GUERRA DELLE CONSOLE IL BOOM DELLA NINTENDO: OLTRE 100 MILIONI DI UNITÀ VENDUTE VELOCE, POTENTE E MULTIMEDIALE EGUAGLIA LA PS3 IN VENDITE CI CREDEVANO IN POCHI, AVVIO STENTATO, TROPPO CARA la Repubblica DOMENICA 13 LUGLIO 2014 1988 1991 1994 SEGA GENESIS S.N.E.S. UN SUCCESSO ANCHE GRAZIE A GIOCHI COME SONIC E ALADDIN IL SISTEMA NINTENDO DIVENTA “SUPER”: 49 MILIONI VENDUTI SONY PLAYSTATION ELABORAZIONE DI ANNALISA VARLOTTA nema e tv. Stavolta però parliamo di un medium interattivo. Significa che la Rete che collega l’utente ai server, fissa oggi e domani mobile, deve essere molto veloce. Deve avere una larghezza sufficiente per trasmettere una mole impressionate di dati e ricevere i segnali che arrivano dal joypad tenuto dal giocatore. Già, il joypad. Lo streaming dei videogame lo richiede e sarà sempre necessario avere uno schermo di qualche tipo oltre a un’ottima connessione. E pensare che un paio di anni fa, quando al- l’Electronic Entertainment Expo di Los Angeles il cloud gaming aveva fatto la sua comparsa, non tutti avrebbero puntato sul suo avvenire. Alla grande fiera dedicata ai giochi elettronici, c’erano un paio di start up che facevano provare una versione dimostrativa dei loro servizi. Onlive da un lato e Gaikai dall’altro, quest’ultima poi acquisita da Yoshida & Co. Sperimentazioni da start up e una filosofia di fondo che ora condividono in tanti. Microsoft ne aveva parlato apertamente un anno fa, presentando la sua Xbox One. «Passeremo dall’era delle macchine LA VELOCITÀ DELLE NUVOLE OLTRE A SCHERMO E JOYPAD, IL “CLOUD GAMING” RICHIEDE UNA LARGHEZZA DI BANDA MOLTO AMPIA. IL FLUSSO DI DATI DAI SERVER VERSO I TABLET, SMART TV, SMARTPHONE E PC, È ENORME. MA SOPRATTUTTO È IMPORTANTE LA “LATENZA” CIOÈ IL TEMPO IN CUI I COMANDI INVIATI DAL GIOCATORE DEVONO ARRIVARE ALLA “NUVOLA”: NON DEVE ESSERE PIÙ DI UNA FRAZIONE DI SECONDO TV 2000 1998 PLAYSTATION 2 SEGA DREAMCAST SONY CONFERMA IL VANTAGGIO TECNOLOGICO SU TUTTI GLI ALTRI 35 HA UN MODEM PER L’ONLINE: TROPPO AVANTI a quella dei servizi», aveva detto Phil Harrison dai suoi due metri di altezza. Prima di passare dalla parte di Redmond, aveva occupato la sedia che oggi è di Yoshida e già allora stava cercando di immaginare un futuro del genere. Peccato che la Microsoft, con una singolare marcia indietro autolesionista, sia tornata sui suoi passi forse per paura delle grandi catene di negozi hi-tech regalando così alla Sony un’arma molto affilata. Con lo streaming infatti il suicidio delle console è solo apparente. La Dfc Intelligence, alcuni mesi fa, aveva fatto una sua valutazione. L’ennesima, va sottolineato per dovere di cronaca, di un mercato che di volta in volta viene rappresentato con cifre diverse e distanti. In questo caso si è parlato di un giro di affari da ottanta miliardi di dollari e di circa duecentosettanta milioni di giocatori legati alle console. Ma il bacino potenziale, coloro che giocano in varia forma anche e soprattutto su pc e dispositivi mobili, è di un miliardo e quattrocento milioni. Ed è a loro che si rivolge il cloud gaming. Supera le console perché le console non riusciranno mai a diventare davvero di massa. Costano, occupano spazio in soggiorno, richiedono la decisione di investire soldi e tempo per questo tipo di intrattenimento. Ma se si offre un servizio di abbonamento, se si dà la possibilità di provare l’ultimo Grand Theft Auto semplicemente pagando una manciata di euro al mese, allora è possibile che quello stesso gioco vada ben oltre i re- LA RIVOLUZIONE: OLTRE 100 MILIONI DI VENDITE cord raggiunti. Parliamo di undici milioni di copie vendute in ventiquattr’ore che potrebbero moltiplicarsi domani per due, tre o quattro volte. Non solo. I videogame tradizionalmente hanno una vita commerciale che nella maggior parte dei casi è brevissima. Vanno a ondate, o a fiammate se si preferisce, durano due o tre mesi sugli scaffali per poi sparire e diventare irreperibili. Lo streaming potrebbe recuperare un catalogo immenso caduto nell’oblio e permettere allo stesso tempo nuovi modelli di business. Basti pensare che alla Ubisoft, per il loro Just Dance, videogame di ballo che ha venduto oltre cinquanta milioni di copie, hanno avuto un’idea simile. Just Dance Now, che uscirà a fine anno, non prevede più l’uso delle console. Basterà una smart tv o un tablet sul quale scaricare l’app, app che andrà istallata anche sul proprio smartphone. Il server, dal cloud, invierà alla smart tv o al tablet i video musicali e un codice di quattro numeri da inserire nell’app sul telefono. Quest’ultimo andrà tenuto in mano, come fosse il controller della Wii, trasformandosi in un sensore di movimento. Il risultato? Che a quella coreografia potranno partecipare anche ventimila persone contemporaneamente gestite a distanza e via app dai server della Ubisoft. Altra magia del cloud gaming. «Perché fermarsi al pubblico delle console?», chiede Jason Altman, il produttore del gioco. «Lì fuori di smartphone ce ne sono molti, molti di più». © RIPRODUZIONE RISERVATA la Repubblica LA DOMENICA DOMENICA 13 LUGLIO 2014 Sapori.Vele e tovaglie GOMMONE, GOZZO O MEGA YACHT, FRUTTA, SUPPLÌ, SCATOLAME O DELIZIE DA CHEF LA SPAGHETTATA AL CHIARO DI LUNA È UN SOGNO INSEGUITO TUTTO L’INVERNO DA REALIZZARE ANCHE A TERRA Segreti in cambusa Per gusto o necessità cucinare controvento LICIA GRANELLO ESSUNO su questa mia nave finirà contro un iceberg, potete giurarci, non con il capitano Kendrick a bordo, senza contare che per cena abbiamo braciole di maiale”. Bastano poche righe de La leggenda di Duluoz di Jack Kerouac per sancire il limite invalicabile tra il mare per necessità e quello di piacere. Da una parte cambusa terragna, ovvero carne — soprattutto secca, la braciola è lusso assoluto — legumi, patate, gallette di pane. Al massimo, qualche alicetta, minutaglie frantumate nelle reti o pesci troppo poveri e brutti per sperare di venderli, una volta rientrati al molo. Dall’altra, il pozzetto delle delizie, dove il menù quotidiano si trasforma in una sequenza di piccoli grandi peccati di gola e il pescato del giorno diventa trofeo da fotografare — e postare — prima di consegnarlo alla padella dello skipper. Malgrado l’estate tutta solleone e calma ta, aggiornamento 2.0 delle ceste piene di piatta ancora giochi a nascondino, il tempo ognibendiddio che nelle estati degli anni delle vacanze in barca ha cominciato da setSessanta lasciavano le cucine dei ristoranti timane ad animare porti e porticcioli, tra riin riva al mare su un gozzetto per approdare tocchi da ultimare e parabordi da sostituire, nelle cambuse di yacht e velieri. Pratica mai in una rigorosa successione spazio-tempotramontata, se è vero che ancora oggi, dalla rale con pochissime deroghe. Che si proLiguria alla Sicilia, cellulari e binocoli segrammi una settimana da felici errabondi in gnalano l’arrivo in rada di questa o quella sumare aperto o ci si accontenti di una gita in perbarca, con immediata offerta di aragoste gommone, l’approvvigionamento alimene pasta ai ricci direttamente a bordo (e antare occupa i pensieri da subito, ma si tradunessi battibecchi su chi ha diritto di precece in spesa effettiva solo all’ultimo, quando denza). Certo, il pret-à-porter del cibo da baril frigorifero di bordo è attivato e la possibica non esime nessun buon capitano dall’esilità di stivaggio certa. bizione culinaria in onore degli ospiti affaNegli anni, l’offerta di gourmandise da barca s’è allargata a dismisura, uscendo dal mati dopo il tuffo di mezzogiorno: pentola a recinto di affumicati, sott’oli e sotto sale. pressione e un barattolo di buona passata Buona parte del merito va ai nuovi sistemi di possono essere di gran sollievo anche ai mecottura e conservazione sottovuoto, che perno esperti di cucina navigante. Altrimenti, mettono di preparare piatti sfiziosissimi in telefonate a uno degli chef stellati che cucianticipo e portarseli appresso senza ingomnano on demand (barcaiolo) e regalatevi bri supplementari. Quando la perizia culiuna cena degna dell’ammiraglio Horatio Nelson. I vini, in deroga ai principi dello stinaria latita, basta rivolgersi a uno dei bravi vaggio virtuoso, comprateli subito dopo i pacuochi di mare specializzati in questa sorta di catering on board, con scelta di primi e serabordi. condi, condimenti e contorni da leccarsi le di© RIPRODUZIONE RISERVATA “N Il vino Vignaiolo e velista, il pugliese Alberto Longo rifornisce ogni settimana la cambusa del 14 metri SeaThink con vini e prodotti della seicentesca Masseria Celentano. Le crociere, itineranti fra Tremiti e Gargano, prevedono visite e degustazioni presso i produttori e i ristoranti più interessanti della costa La mostra Per il Panerai Classic Yachts Challenge, circuito di regate di vele d’epoca, dal 10 al 14 settembre Imperia ospiterà la mostra “I menù storici delle navi della Regia marina e il rancio di bordo”, curata dal capitano di vascello Alessandro Pini, con curiosità sull’alimentazione in mare La ricetta Fragole, crema e Sciacchetrà Un pranzo da antichi ufficiali INGREDIENTI P DI FRAGOLE; DI PAN DI SPAGNA; 1/2 BICCHIERE D INO SCIACCHETRÀ; 3 DL. DI PANNA FRESCA MONTATA PER LA CREMA:1/2 L. DI LATTE; 5 CUCCHIAI D INO SCIACCHETRÀ 8 TUORLI D’ DI AMIDO DI MA ER 8 COPPE: 800 G. 300 G. IV IV UOVO; 220 G. DI ZUCCHERO; 70 G. ettere a bollire il latte con il vino. A parte montare i tuorli con lo zucchero e l’amido di mais. Appena il latte arriva a bollore, prelevarne un poco per stemperare le uova, poi versarlo tutto e lasciar cuocere delicatamente la crema per cinque minuti. Quando sarà intiepidita, stenderla su una placca. Prendere un terzo delle fragole, frullarle e passarle allo chinois (colino sottile). Tagliare il pan di Spagna a dadini e disporli sul fondo delle coppe. Bagnare con un po’ di vino, versarvi sopra un cucchiaio di salsa di fragole, e in successione crema pasticcera, panna fresca, fragole a pezzetti e ancora salsa di fragole. M Il libro Si intitola “350 migliori ricette per la cucina in barca” il libro, anche in versione digitale, scritto da Davide Deponti (Panama Editore), che svela i trucchi della gastronomia d’alto mare, adattando preparazioni e menù alla quotidianità di bordo, compresi piatti studiati per chi soffre di mal di mare IS IL MENÙ QUESTO IL DOLCE SERVITO A CHIUSURA DI UN PRANZO UFFICIALE NEL 1935 SULLA NAVE DA BATTAGLIA CONTE DI CAVOUR. LA RICETTA È A COROLLARIO DI UNO DEI MENÙ STORICI DELLA MOSTRA DI IMPERIA (NELLA FOTO) Cacciucco Zuppa di pesce con cozze, vongole, gamberi, seppie, palombo, scorfano, gallinella, dentice e branzino 36 la Repubblica DOMENICA 13 LUGLIO 2014 10 Un rito sacro che si officia con la pentola a pressione piatti Fritto di paranza Acqua e sale Il pasto dei pescatori in mare: friselle (gallette del marinaio) inzuppate nell’acqua di mare per ammorbidire, strofinate con pomodori maturi e un filo d’olio Alici marinate Via teste e lische, unite per il dorso A strati, bagnando con vinaigrette di extravergine, aceto bianco, limone, sale, pepe, aglio, prezzemolo e peperoncino Ricciola all’ acqua pazza A fuoco basso e tegame coperto, con pomodorini, aglio, prezzemolo, extravergine, sale e due bicchieri d’acqua. A fiamma spenta pepe fresco 37 Il trionfo del pescato del giorno, pulito, infarinato e cotto in una pentola stretta e alta, in cui friggere una manciata di pescetti per volta Servire bollenti Fregola Per cuocere le minuscole palline di semola — versione sarda di burghul e couscous — acqua o fumetto di pesce. Come condimento, frutti di mare e verdura tagliata fine Polpette di mare Ritagli di pesce scottati, lavorati con prezzemolo, parmigiano, mollica ammollata nell’aceto e strizzata, ricotta In teglia, con olio e vino bianco Pasta strombolana Spaghetti scolati al dente per poi finire la cottura nel sugo di alici sciolte nell’olio caldo, capperi e pomodori Nel piatto, pangrattato tostato in padella G I O VAN N I S O LDI N I L Calamarata Gioca sul formato della pasta (un terzo dei paccheri) che si confonde con i molluschi tagliati ad anelli, insaporiti in aglio, olio, peperoncino e pomodorini Cozze alla catalana Molluschi scaltriti preservando il liquido, da aggiungere a pomodori, cipolle rosse affettate sottili, basilico, limone, extravergine. Far riposare in frigo Zuppetta di vongole Spurgate e scaltrite, aggiungendo vino bianco. A parte, si cuoce il pomodoro col liquido filtrato prima di unire tutto. Servire con pane abbrustolito A CAMBUSA è uno dei punti chiave di una barca a vela. Io la curo sempre fino all’ultimo dettaglio: perché, sia che tu stia facendo una traversata oceanica sia che tu stia facendo una vacanza nel Mediterraneo, mangiare bene, in mare, è fondamentale. Influisce sul clima dell’equipaggio oltre che sul suo stato di salute fisica e mentale. Un piatto di spaghetti al dente o di riso all’onda non deve mai mancare. E per questo faccio sempre in modo che a bordo ci sia una buona pentola a pressione. Cucinare in navigazione, con la barca che sbanda e le onde, può essere complicato e pericoloso, e la pentola a pressione riduce sia la difficoltà sia i rischi. La “ricetta base” è semplice: un bicchiere d’acqua dolce, un bicchiere d’acqua di mare e mezzo chilo di pasta: tre minuti di fischio e non devi neanche prenderti il disturbo di scolare. Condisci e mangi. Io di solito la faccio alla carbonara anche se una volta inventai una ricetta che ebbe un discreto successo. Stavo finendo una lunga traversata e in cambusa era rimasta poca roba. In particolare c’erano delle mele — in mare se ne portano sempre parecchie visto che si conservano bene — inventai un sugo con il curry e l’uvetta, talmente buono che misi la ricetta online ed ebbe molte visualizzazioni. La gente era stupita che il navigatore Soldini postasse ricette. E invece non c’è niente di strano: quando sei in mare, specialmente se stai affrontando qualche traversata in solitario, il momento della cucina è cruciale perché è il momento in cui ti occupi di te stesso in un’attività in cui invece, di solito, gli sfizi sono pochi o nulli. Per questo motivo secondo me cucinare a bordo è un rito, un qualcosa di sacro. In regata le possibilità creative sono limitate dal fatto che per motivi di peso dell’imbarcazione non puoi strafare. Per dire, adesso su Maserati, la cambusa la cura un importante chef, Ugo Alciati che preconfeziona per un equipaggio di nove persone pasti disidratati elaborando materie prime di alta qualità. Però, quando sono in mare per vacanza, posso tranquillamente dare il meglio di me. Mi lascio letteralmente andare, e in quel caso curo nel dettaglio anche la cantina della cambusa. Una volta durante una traversata da Genova a New York partii con parecchie casse di vino in stiva (dove per altro il clima è ideale per la conservazione del vino buono). A bordo c’erano anche Oscar Farinetti e Alciati. Fu memorabile: dopo un mesetto di navigazione ne erano rimaste poche. © RIPRODUZIONE RISERVATA la Repubblica LA DOMENICA DOMENICA 13 LUGLIO 2014 38 L’incontro. Eclettici UN ARTISTA CHE VUOLE AVERE SUCCESSO A VOLTE È SOLO UNO CHE VUOLE AVERE SUCCESSO, NON UN ARTISTA IO L’HO TROVATO AL PRIMO COLPO COME UN TESORO SENZA NEANCHE AVERE LA MAPPA. POI È INIZIATA UN’ALTRA STORIA... Giusto il giorno del suo esame di maturità “50 Special” dei Lùnapop era arrivata in testa alla hit parade. “La feci ascoltare alla commissione. Presi sessantuno e mi sono sempre chiesto cosa significasse quell’uno... Sei mesi dopo, il primo assegno della Siae convinse i miei genitori a lasciarmi fare questo mestiere”. Com’era bello andare in giro per i colli bolognesi. Ma anche oggi, passati quindici anni e una carriera tutta da solista, puportai subito un nastrino, e da quel giorno io e Walter non ci siamo più lasciati». il produttore è ancora qui al suo fianco che fa capolino ogni tanto nel giardinetto fuori dal capannone della periferia bolognese, ai piedi di San Luca, dove re tra libri e film, l’ultima sua “Lo- Infatti Cremonini s’è costruito il suo studio di registrazione. Sei mesi dopo l’uscita di 50 special arrivò il primo assegno Siae, buono per comla casa, e con esso la speranza di aver trovato un’occupazione. «Speranza gico#1” da tre mesi è la più ascol- prarci che non è mai diventata certezza, neanche oggi. Questo lavoro è un miraggio infinito. Così come due film non ti fanno un attore o due congiuntivi non ti fanno scrittore. Ma davanti a quella cifra i miei genitori si arresero. Mi ero appena tata alla radio. “Non è stato facile uno iscritto al Dams, non ho mai dato un esame. Fu un tesoro trovato alla prima porta aperta senza neanche avere la mappa. Se non quella che mi hanno consegnato miei genitori e che ancora oggi mi consente di attraversare questo mondo. La diventare adulto, ora mi sento imia relazione con 50 special è ancora molto buona, non l’avevo distrutta ma l’ho recuperata. Mi fa simpatia quell’inizio così allegro e movimentato, una canzone giovane perché fatta da giovani, e non giovanilistica. Si capiva che era scritcredibile” ta da un diciottenne anche se i critici non lo considerarono: loro ti mettono a pa- Cesare Cremonini EMILIO MARRESE BOLOGNA LL’ESAME DI MATURITÀ scientifica si presentò alla commissione con uno stereo portatile. «Dissi “questo è quello che mi sta succedendo”. E schiacciai play». Proprio quel giorno 50 special era arrivata in testa alla classifica. Com’era bello andare in giro per i colli bolognesi. «La prof di chimica iniziò a battere il piedino, quello di fisica si rilassò sulla sedia, quella di matematica mi fissava inespressiva». Voto finale? «Sessantuno. Mi sono sempre chiesto cosa significasse quell’uno. Forse: “è scemo, ma non del tutto”». Sono passati quindici anni: 50 special vinse il Festivalbar e conquistò quindici dischi di platino, i Lùnapop si divisero poco dopo, non serenamente. Troppi soldi e troppo successo tutto in un colpo per quattro ragazzini che suonavano alle feste liceali. Cesare Cremonini, oggi trentaquattrenne, ha continuato a produrre hit, ha scritto un libro, ha recitato in un film di Pupi Avati (Il cuore grande delle ragazze, 2010) e forse ne farà un altro di Edoardo Gabriellini, ha riempito i palasport, ha vinto il Nastro d’argento per la miglior canzone da film (Amor mio cantata da Gianni Morandi in Padroni di casa) e da tre mesi consecutivi la sua ultima Logico#1, scelta anche per lo spot del più celebre cono gelato, è il brano più trasmesso dalle radio italiane. La prima data al Forum di Assago che aprirà il tour autunnale è già sold out. Le canzoni le compone ancora sul pianoforte tedesco risalente alla Seconda guerra mondiale che, quando aveva sei anni, gli comprarono usato i genitori, un’insegnante e un medico, da un istituto per ciechi. «Vive con me, nella mia stanza. Alcune cose mi riescono unicamente su quei tasti. Mi accompagna da quando a otto anni venivo esibito alle riunioni di famiglia. A quattordici formai il mio primo gruppo, i Senza filtro, e in quel periodo scrissi tutte le canzoni che avremmo poi pubblicato in Squérez?, l’u- A LA VERGOGNA FA PARTE DI QUESTO MESTIERE E LE CANZONI SPESSO SONO UN RIMEDIO AL SENSO DI INADEGUATEZZA. LA SCRITTURA È UN’OSSESSIONE PERENNE. E LA FELICITÀ SOLO UN ATTIMO: UNA BIRRA DIETRO AL PALCO, DOPO UN CONCERTO nico album dei Lùnapop. Il primo concerto lo tenemmo in un cortile estivo bolognese, buffet misero e poca gente. Le prime cinquantamila lire di ingaggio, le più importanti della mia vita, le prendemmo in un circolo marinaro del centro, tra gomene e salvagenti, spendendole in birra la sera stessa. Per la prima volta però c’era gente che era venuta apposta per ascoltare noi. Una mattina allora feci “fuga” da scuola e andai in una libreria musicale a strappare dalle Pagine gialle della musica bolognese quella dei produttori discografici locali. Mi rispose l’ultimo della lista, Walter Mameli: gli ragone subito con tutta la storia della musica. Ogni interprete si porta dietro a vita il suo primo successo, come una targa: pensa se fosse stata una melodia disperata… Credo però di non essere ormai più identificato solo con quella canzone». Un obiettivo lungamente e faticosamente inseguito. «L’ansia di diventare adulto l’ho avuta, sentivo il bisogno di provare la mia crescita, ed era difficile levarsi di dosso il marchio Lùnapop. Questa mia è l’età delle decisioni, del fare, della famiglia, del 730, l’età in cui tutto ciò che ci gira intorno ci chiede chi siamo. E non mi ribello a questo. A vent’anni ti sembra di poter scegliere tutto e invece è proprio il contrario, dalla marca di scarpe al taglio di capelli sono tutte scelte condizionate. A trentaquattro si arriva finalmente in cima a una collina, con tante strade davanti, e si scopre che c’è ancora una montagna all’orizzonte. Ora sento la responsabilità di essere un privilegiato e di dover ricambiare, senza più chiedere scusa né provare senso di colpa. E posso di nuovo permettermi una canzone ironica come Grey Goose, un racconto paraculo dell’amore effimero di una notte che considero la 50 special della mia maturità. Me l’ero persa un po’, l’ironia, impegnato com’ero a dimostrare di essere bravo a scrivere canzoni». Ha dunque smesso di cantare l’abbandono, in stile Battisti. «Sarei ridicolo a quest’età a fare ancora il vittimista. La vergogna fa parte del mio mestiere, e la canzone spesso è un rimedio al senso di inadeguatezza. Io mi vergogno se manco di rispetto a qualcuno, anche involontariamente. E soprattutto se sento che sto facendo qualcosa che non mi corrisponde». L’ossessione della scrittura gli è rimasta. «Ma riesco a governarla. So aspettare con pazienza l’istante. Posso decidere a quale velocità andare. Gran parte dei libri che leggo li lascio a metà per correre al pianoforte a comporre, sfruttando l’ispirazione. Mi ritengo uno che legge poco ma bene: quando un autore mi prende ci vado totalmente dentro, vivo di amori improvvisi ma terribilmente forti. John Fante, Gaber, Dylan, Pasolini, Fellini… E lo stesso vale per le mie altre passioni: la cucina, lo sport, i motori... L’Aston Martin però l’ho venduta: non è più aria di tirare schiaffi alla miseria. Questo lavoro ti insegna presto che le tasse vanno pagate e io sento questo dovere. Non mi vedrete mai prendere la residenza a Monte Carlo». Agli atti. «Guarda quella foto alla parete: io con una birra FACCIO PARTE DI UNA CITTÀ MA NON DI UNA SCUOLA NÉ DI UNA CRICCA: NON SONO CRESCIUTO NELLE RAGNATELE DI LUCIO DALLA. MI CHIAMAVA DI NOTTE, CHISSÀ SE MI HA PERDONATO... in mano dopo il tutto esaurito all’Arena di Verona. Eccola. La felicità è quella, il risultato di una grande attesa. Ciò che non è molto atteso, resta poco. Chi come me corre costantemente il rischio di viziarsi ha sempre bisogno di grandi sfide. Riempire i palasport è la cartina tornasole della credibilità di un artista. Appena intrapreso il percorso da solista avevo vissuto momenti difficili in cui, nonostante i miei dischi passassero molto in radio, non riuscivo a fare pienoni. Ora vendo più biglietti che dischi. Mi ha aiutato il metodo che ci siamo imposti, con Walter, per inseguire un obiettivo diverso e non farsi soggiogare come buoi di un progetto discografico. Un artista che vuole avere successo a volte è solo uno che vuole avere successo. Il mio sogno è un percorso alla Celentano o Morandi che attraversi tutte le stagioni. Scrivere canzoni è un mestiere artigianale in continuo movimento dentro una cornice culturale che altrettanto si muove, e nella quale tu sei un punto dentro. A un certo momento ti ritrovi a essere al centro esatto della cornice. Così ero ai tempi di 50 special e così mi sento di nuovo da qualche anno: di nuovo a fuoco». Cremonini impregna le sue canzoni di bolognesità, ma non si è mai sentito un pulcino di quella cesta. «Faccio parte di un filone e di una città, non di una scuola, e non sono cresciuto nelle ragnatele di Lucio Dalla né dei jazzisti bolognesi. Sono amico di tutti, ma non ho mai voluto stare in una cricca né in nessun salotto di questo mondo. È difficile discernere tra cosa ti toglie e cosa ti dà, cosa ti ruba e ti lascia muto e cosa invece aumenta il talento. Sì, è un atteggiamento che rischia di farti passare da stronzo, ma alla fine ti fa guadagnare rispetto. Dalla aveva grande stima di me, però non lo assecondavo molto. Una volta mi lasciò un messaggio notturno in segreteria: “Ok, ho capito Cesare: non siamo amici, va bene. Però vediamoci”. Chissà se mi ha perdonato…». © RIPRODUZIONE RISERVATA
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