Cass. pen. Sez. III, Sent., 19-05-2014, n. 20504

Cass. pen. Sez. III, Sent., 19-05-2014, n. 20504
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNINO Saverio F. - Presidente Dott. SAVINO Mariapia G. - Consigliere Dott. DI NICOLA Vito - rel. Consigliere Dott. GRAZIOSI Chiara - Consigliere Dott. ANDRONIO Alessandro M. - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
C.F., nato in (OMISSIS);
U.N., nata in (OMISSIS);
B.E.D., nato in (OMISSIS);
avverso la ordinanza del 05/07/2013 del Tribunale della libertà di Sondrio;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
IACOVIELLO Francesco Mauro, che ha concluso chiedendo l'annullamento senza
rinvio dell'impugnata ordinanza con trasmissione degli atti al P.M. competente;
uditi per gli imputati l'avv. Francesca Pedrazzi e l'avv. Carmine Di Renzo che
hanno concluso per l'accoglimento dei rispettivi ricorsi.
Svolgimento del processo
1. Il Tribunale della libertà di Sondrio, con ordinanza emessa in data 5 luglio
2013, ha confermato il decreto del 18 giugno 2013 con il quale il Gip presso il
medesimo Tribunale disponeva nei confronti di C.F., U.N. ed B.E.D. il sequestro
preventivo dei beni nella disponibilità degli indagati per un valore
corrispondente al profitto del reato, pari all'importo di Euro 1.370.986,00.
Agli indagati si rimprovera (capi A, B, e C) di aver commesso il reato di
infedele dichiarazione (di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 4), in
quanto, in concorso tra loro, U.N., in qualità di legale rappresentante della
"IN.COL s.r.l." (società operante nella compravendita immobiliare), C.F. ed
B.E.D. in veste di amministratori di fatto della suddetta società, al fine di
evadere le imposte sui redditi, indicavano nella dichiarazione annuale,
presentata dalla "IN.COL s.r.l." per i periodi di imposta 2008, 2010 e 2011,
elementi attivi per un ammontare, specificamente determinato nei rispettivi capi
dell'imputazione cautelare, inferiore rispetto a quello realmente percepito. Con
tali infedeli dichiarazioni la società, secondo l'accusa, evadeva l'IRES e l'IVA
(per tale ultima imposta limitatamente agli anni 2008 e 2010) non dichiarando
elementi attivi superiori alla soglia di legge ed i fatti commettendo in
(OMISSIS).
Nel confermare il decreto di sequestro preventivo e nel rigettare le eccezioni
processuali, il Tribunale ha osservato, dopo avere dato atto di aver acquisito
d'ufficio i decreti autorizzativi delle intercettazioni telefoniche, come il
fumus delicti fosse ampiamente desumibile dalle dichiarazioni rese nel corso
delle indagini preliminari da parte di numerosi acquirenti degli immobili;
dall'intercettazione di conversazioni telefoniche;
dall'individuazione, sulla scorta delle predette intercettazioni, dei prezzi di
vendita; dall'individuazione dei corrispettivi non dichiarati.
Da tutto ciò sarebbe risultata una sistematica sottofatturazione delle vendite
degli immobili, con percezione "in nero" delle differenze non indicate tra i
componenti positivi del reddito della società per gli anni contestati e con
conseguente evasione dell'IRES e dell'IVA. Quanto al periculum in mora, il
Collegio cautelare ha ritenuto di non dover procedere ad alcuna valutazione
circa la sua sussistenza, essendo previsto, nel caso di specie, il sequestro per
equivalente per un ammontare pari al profitto del reato e coincidente con
l'imposta evasa.
2. Per la cassazione dell'ordinanza impugnata ricorrono, a mezzo del rispettivi
difensori, C.F., U.N. ed B. E.D..
2.1. C.F. affida il gravame a due motivi.
Con il primo, lamenta violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 18, comma 2, in
relazione al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 58, e violazione dell'art.
125 c.p.p., e art. 111 Cost., in relazione al rigetto dell'eccezione di
incompetenza territoriale del Tribunale di Sondrio, avendo la società domicilio
fiscale in Milano e dovendo perciò essere individuato in tale luogo il giudice
territorialmente competente.
Con il secondo motivo deduce violazione dell'art. 125 c.p.p., e dell'art. 111
Cost., commi 6 e 7, in relazione alla mancanza di motivazione circa la richiesta
di declaratoria di inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche per omessa
trasmissione dei decreti autorizzativi; in ogni caso, per omessa acquisizione di
essi nel contraddittorio delle parti ed infine per essere state le
intercettazioni disposte con riferimento a reati diversi da quelli per i quali
si procede.
2.2. U.N. e B.E.D., con separati ricorsi, affidano il gravame a quattro motivi
con i quali denunciano violazione della legge penale, deducendo:
1) l'incompetenza territoriale del Tribunale di Sondrio avendo la società
domicilio fiscale in Milano e tale essendo il luogo di consumazione dei
contestati reati fiscali sicchè la competenza per territorio, ai sensi del
D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 18, doveva essere radicata nel circondario del
Tribunale di Milano;
2) l'inutilizzabilità delle intercettazioni per omesso deposito dei decreti
autorizzativi delle intercettazioni stesse;
3) l'illegittimità del sequestro essendo stati sottoposti a vincolo anche beni
non appartenenti agli indagati;
4) violazione del principio di proporzionalità avendo il sequestro colpito beni
mobili ed immobili per un valore pari al doppio di quello concernente il
profitto della contestata evasione.
Motivi della decisione
1. I ricorsi non sono fondati.
2. Per ragioni di ordine logico, va esaminato il secondo motivo di gravame che è
comune a tutti i ricorsi.
Con esso i ricorrenti sollevano due questioni dolendosi, da un lato, dell'omessa
motivazione sulla sollevata eccezione dell'inutilizzabilità dei risultati delle
intercettazioni per omessa trasmissione dei decreti autorizzativi (in mancanza,
secondo il loro assunto, dell'acquisizione, peraltro pure richiesta, di essi) e
sostengono, dall'altro, l'inutilizzabilità di detti risultati per essere state
le intercettazioni disposte per reati diversi da quelli per i quali è stata
adottata la misura cautelare reale.
Quanto al primo profilo, le ragioni della doglianza sono superate dal fatto che
il Tribunale, dandone atto nel preambolo dell'ordinanza impugnata, ha acquisito
d'ufficio i decreti de quibus adempiendo, con ciò, all'obbligo della
motivazione, atteso che la censura era relativa all'omessa trasmissione dei
decreti.
Va ricordato che, in tema di riesame cautelare reale, l'autorità giudiziaria
procedente, a differenza del procedimento di riesame personale (art. 309 c.p.p.,
comma 5), non ha l'obbligo di trasmettere al tribunale tutti gli atti posti a
fondamento della richiesta cautelare, ma esclusivamente quelli "su cui si fonda
il provvedimento oggetto del riesame" (art. 324 c.p.p., comma 3), con la
conseguenza che solo con riferimento a detti atti - la cui trasmissione sia
stata, per ipotesi, omessa a seguito della proposizione dell'istanza di riesame
- è onere del Tribunale, su richiesta della parte interessata o d'ufficio,
procedere alla relativa acquisizione, anche frazionata, decorrendo il termine
perentorio per la pronuncia dalla completa trasmissione di essi e senza che ciò
determini la caducazione, per inefficacia, del titolo cautelare.
Le Sezioni Unite Ivanov e Cavalli (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv.
239698 e Sez. U, n. 26268 del 28/03/2013, Cavalli, Rv.
255582) hanno chiarito e ribadito i suesposti principi sicchè, acquisiti i
decreti, non è più sostenibile, sotto tale specifico profilo, alcuna eccezione
di inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni per omessa trasmissione
degli atti.
Par altro verso, l'obbligo di motivazione è stato pienamente assolto avendo il
Tribunale dato conto nel provvedimento impugnato dell'avvenuta acquisizione.
In ordine al secondo profilo, relativo alla prospettata inutilizzabilità dei
risultati delle intercettazioni per essere stata l'autorizzazione concessa in
relazione a reati diversi da quelli per i quali la misura cautelare è stata
adottata, occorre precisare che l'art. 270 c.p.p., comma 1, pone, da un lato, un
divieto di utilizzazione dei risultati dell'intercettazione allorchè si intenda
versarli in un altro (ossia diverso) procedimento, consentendone però la piena
utilizzazione quando i detti risultati, ancorchè conseguiti in un diverso
procedimento, "risultino indispensabili per l'accertamento di delitti per i
quali è obbligatorio l'arresto in flagranza" e, dall'altro, consente la piena
utilizzazione delle intercettazioni quando i risultati siano conseguiti in un
procedimento "non diverso" da quello in cui le intercettazioni stesse siano
state autorizzate e disposte.
La giurisprudenza di questa Corte è saldamente attestata (da ultimo, Sez. 2, n.
43434 del 05/07/2013, Bianco ed altro, Rv. 257834) nel ritenere che la nozione
di procedimento diverso non debba essere intesa in senso formale, ma in senso
sostanziale con specifico riferimento al contenuto delle notitiae criminis in
ordine alle quali le intercettazioni sono state autorizzate e disposte, con la
conseguenza che - nel caso di indagini strettamente connesse o collegate sotto
il profilo oggettivo, probatorio e finalistico - non può parlarsi di diverso
procedimento ancorchè si proceda all'espletamento di indagini preliminari in
separati fascicoli processuali, sicchè le intercettazioni eventualmente disposte
in relazione a procedimento connesso nel senso suddetto devono ritenersi del
tutto utilizzabili, mentre deve invece parlarsi di procedimento diverso quando,
sebbene si proceda simultaneamente ed in un unico contesto (stesso fascicolo
processuale) non vi sia alcuna connessione o intimo collegamento tra le notitiae
criminis.
Ne deriva che, ai fini dell'art. 270 c.p.p., è diverso il procedimento che non
abbia, con riferimento a quello in cui le intercettazioni sono state disposte,
alcun intimo collegamento di tipo oggettivo o soggettivo, con la conseguenza che
siffatta diversità non si verifica quando tra le notitiae criminis esista un
nesso che, indipendentemente dall'accorpamento in un unico procedimento di una
molteplicità di fatti storici oggetto dell'accertamento penale, renda i
procedimenti stessi, quantunque separati, processualmente interdipendenti. Ed
una tale situazione processuale certamente si verifica nelle ipotesi di
connessione e collegamento di procedimenti previsti dagli artt. 12 e 371 c.p.p..
Nel caso di specie, le intercettazioni sono state disposte per acquisire
elementi di prova in ordine al reato di associazione per delinquere finalizzata
alla realizzazione di reati tributari, con conseguente iscrizione a carico dei
ricorrenti di notizie di reato che, se non possono dirsi strettamente connesse
ai sensi dell'art. 12 c.p.p., mancando specifici riferimenti in tal senso, sono
di certo intimamente collegate sotto il profilo della connessione teleologia ex
art. 371 c.p.p., comma 2, lett. b), a quelle per le quali le intercettazioni
sono state autorizzate e disposte ed i cui risultati - siccome non acquisiti in
un diverso procedimento nel senso in precedenza specificato - sono certamente
utilizzabili.
3. Anche il primo motivo di gravame è comune a tutti i ricorsi.
Con esso si lamenta la violazione dei criteri che stabiliscono la competenza per
territorio nei reati tributari, con specifico riferimento ai delitti in materia
di dichiarazione che, ai sensi della L. n. 74 del 2000, art. 18, comma 2, si
considerano consumati nel luogo in cui il contribuente ha il domicilio fiscale.
Sostengono i ricorrenti che le violazioni fiscali contestate sono, nel caso di
specie, attribuite ad una persona giuridica ed il domicilio fiscale di questa
coincide, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 58, con il luogo in cui la
società ha fissato la propria sede legale e, siccome la IN.COL. s.r.l. ha
stabilito nell'atto costitutivo la sede legale in (OMISSIS), il Tribunale di
Sondrio, che ha disposto il sequestro, sarebbe incompetente per territorio.
3.1. Il Tribunale distrettuale ha rigettato l'eccezione di incompetenza sulla
base di due considerazioni.
La prima considerazione, che invero rivestirebbe carattere assorbente anche se
essa è stata enunciata dal Tribunale in via subordinata, fonda sul rilievo che i
reati tributari, per i quali è stato ritenuto il requisito del fumus ai fini
dell'adozione della misura cautelare, risultano connessi, quantunque ciò non
emerga dal decreto di sequestro ma solo da altri atti di causa e in particolare
proprio dai decreti che hanno autorizzato le intercettazioni, con reati di
maggiore gravità consumati nel circondario del Tribunale di Sondrio.
Sul punto, i ricorrenti obiettano che la motivazione del Tribunale sarebbe
assente, non avendo il Collegio cautelare specificato i reati più gravi che,
connessi con quelli tributari, determinerebbero la competenza del Tribunale di
Sondrio e che i decreti autorizzativi, dai quali si assume emerga la
connessione, sarebbero stati acquisiti, in modo peraltro incompleto, solo
all'esito dell'udienza camerale fissata per la trattazione della causa.
Le doglianze difettano del requisito dell'autosufficienza (Sez. 6, n. 45036 del
02/12/2010, Damiano, Rv. 249035) in relazione ai tempi di acquisizione dei
decreti e, quanto al difetto di motivazione sul quale fonda il vizio di
violazione di legge denunciato, esso appare fondato emergendo, allo stato degli
atti, un collegamento tra il reato associativo ed i reati fini ma non una
connessione ex art. 12 c.p.p., non ipotizzata infatti nè dal pubblico ministero
e neppure dal Gip. 3.2. Resta dunque da scrutinare la seconda considerazione che
il Tribunale ha maggiormente valorizzato per rigettare l'eccezione di
incompetenza.
Essa fonda sul rilievo che, ai fini della individuazione del domicilio fiscale
ai sensi del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 18, comma 2, occorre avere riguardo,
nel caso in cui sia stata stabilita una sede legale fittizia, alla sede
effettiva della società, individuandosi in essa il domicilio fiscale e dunque il
luogo di consumazione dei reati tributari in materia di dichiarazione.
3.2.1. I ricorrenti obiettano che la disposizione di cui al D.Lgs. n. 74 del
2000, art. 18, comma 2, indica, come si desumerebbe dalla relazione governativa
di accompagnamento al decreto legislativo, quale unico criterio determinativo
della competenza per territorio, per i reati in materia di dichiarazione, quello
del domicilio fiscale che per le persone giuridiche, coincide con la sede legale
della società e che, solo qualora questa manchi, è possibile ricorrere ad altri
criteri; che è escluso ex positivo iure il ricorso a criteri diretti a
sostituire il dato formale (sede legale della società) con il dato sostanziale
(sede effettiva della società) sia perchè lo stesso legislatore ha previsto i
casi in cui sia possibile dare prevalenza al dato sostanziale (mancanza della
sede legale, società esterovestite) e sia perchè il D.P.R. n. 600 del 1973, art.
59, ha previsto un apposito meccanismo con il quale il fisco o il contribuente
possono fare prevalere il dato della sede effettiva, ossia il luogo di reale
svolgimento degli scopi sociali, su quello formale della sede legale.
Nel caso di specie, nella conclamata presenza di quest'ultima come risultante
dallo statuto e dall'atto costitutivo, l'individuazione del domicilio fiscale in
un luogo diverso dalla sede legale della società implicherebbe il ricorso a
tecniche ermeneutiche scorrette, essendo le norme sulla competenza di stretta
interpretazione e pertanto insuscettibili di essere applicate per casi diversi
da quelli che esse espressamente disciplinano.
I rilievi sono infondati.
3.2.2. Come si ricava dalla relazione governativa di accompagnamento al D.Lgs.
n. 74 del 2000, l'art. 18, comma 2, detta "disposizioni specifiche, intese a
risolvere in via normativa i problemi connessi all'individuazione del giudice
competente in ordine a determinate ipotesi di reato (...). Relativamente ai
delitti in materia di dichiarazione, tali problemi si connettono al nuovo
sistema di trasmissione dei dati in via telematica attraverso soggetti
abilitati: sistema che, ove si abbia riguardo al luogo dal quale la trasmissione
parte, consentirebbe, in pratica, all'autore dell'illecito di "scegliersi" il
giudice competente con il semplice accorgimento di incaricare della trasmissione
stessa un soggetto abilitato che operi nel luogo ritenuto più conveniente;
mentre, ove si abbia riguardo al luogo in cui i dati confluiscono, porterebbe
all'inaccettabile risultato di concentrare la competenza per tutti i reati
presso il Tribunale di Roma, stante la gestione centralizzata del materiale
informatico. A fronte di ciò, si è dunque stabilito che i reati in questione
debbano considerarsi consumati nel luogo in cui il contribuente ha il domicilio
fiscale, salva l'applicabilità del criterio suppletivo del luogo
dell'accertamento laddove detto domicilio risulti ubicato all'estero".
Sulla base di ciò - con riferimento ai delitti previsti nel capo I, e cioè i
delitti in dichiarazione - il reato si considera consumato nel luogo in cui il
soggetto ha domicilio fiscale che costituisce il criterio principale attributivo
della competenza per territorio.
Va subito chiarito che la disposizione (D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 18, comma
2), nella sua formulazione, non ricorre alla tecnica del "riferimento esterno
con funzione normativa" perchè non opera un rinvio formale o materiale a
disposizioni di un altro atto normativo.
La prima conseguenza che occorre trarre, dal punto di vista
dell'interpretazione, è che quando la legge penale o processuale penale richiama
termini o istituti che traggono origine da altri rami del diritto, senza
ricorrere alla tecnica del rinvio, il significato dei termini non va desunto
esclusivamente dall'ordinamento richiamato ma va attribuito tenendo conto delle
esigenze proprie dell'ordinamento richiamante.
E' evidente che il punto di partenza dell'interpretazione è costituito dalle
nozioni contenute nel ramo del diritto richiamato ma i risultati
dell'interpretazione non possono porsi in insanabile contrasto con l'ordinamento
penale che tali concetti o istituti richiama per il perseguimento dei propri
scopi.
Sarebbe allora del tutto contraddittorio ritenere che il legislatore si sia
posto il problema di evitare che il contribuente, nella prospettiva di incorrere
nella leva penale per i reati in materia di dichiarazione, scegliesse il giudice
competente inoltrando la comunicazione telematica da un luogo piuttosto che da
un altro, determinando di volta in volta la consumazione del reato, per poi
consentire, attraverso un particolare "criterio di collegamento" interno, il
perseguimento, di volta in volta, del medesimo scopo permettendogli di
scegliere, seppure in via genetica ed anche in virtù di determinazioni
successive attraverso il continuo mutamento della sede legale, il domicilio
fiscale.
Tuttavia va subito precisato come non si riscontrino, sul punto, sostanziali
diversità tra le esigenze dell'ordinamento penale ed esigenze dell'ordinamento
tributario sicchè va ricordato che il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 58, comma 3,
stabilisce, per le persone giuridiche, che il domicilio fiscale è quello del
luogo ove si trova la sede legale o, in mancanza, quella amministrativa. Nel
caso in cui anche questa manchi il domicilio è nel comune ove vi è una sede
secondaria o una stabile organizzazione ovvero, infine, ove viene svolta
l'attività prevalente.
La sede tuttavia è il luogo in cui l'ente ha il centro principale della sua
attività e tale luogo - indicato nell'atto costitutivo, nello statuto e
riportato nel registro delle imprese - può essere diverso da quello in cui
convenzionalmente è stata stabilita la sede legale, per cui in tal caso rimane
solo il dato formale della indicazione "legale" della sede ma questa è, secondo
il principio di effettività, altrove.
Il principio di effettività, che non è smentito dalla disciplina tributaria, è
pienamente recepito dal diritto civile (settore dell'ordinamento a sua vota
richiamato dal diritto tributario) e processuale civile, dove per sede
(effettiva) si intende il luogo ove hanno concreto svolgimento le attività
amministrative e di direzione dell'ente e si convocano le assemblee, e cioè il
luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l'accentramento, nei rapporti
interni e con i terzi, degli organi e degli uffici societari in vista del
compimento degli affari e dell'impulso dell'attività dell'ente (Cass. civ. Sez.
5, n. 2869 del 07/02/2013, Rv. 625688), tant'è che il principio - per il quale,
in caso di divergenza tra la sede legale e la sede effettiva, i terzi possono
considerare come sede della persona giuridica anche quest'ultima - ha valenza
generale, e, pertanto, rileva anche ai fini dell'individuazione del giudice
competente per territorio (Cass. civ. Sez. 6 - 3, n. 1813 del 28/01/2014, Rv.
629818).
Infine, nella disciplina del TUIR, la nozione di "sede dell'amministrazione", in
quanto contrapposta alla "sede legale", coincide con quella di "sede effettiva"
(di matrice civilistica), ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 87,
comma 3, (secondo la numerazione vigente "ratione temporis", corrispondente
all'odierno art. 73, comma 3, in virtù della riforma introdotta dal D.Lgs. 12
dicembre 2003, n. 344), per il quale, ai fini delle imposte sui redditi, si
considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo
d'imposta hanno sede legale o dell'amministrazione ad oggetto principale nel
territorio dello Stato (Cass. civ. Sez. 5, n. 2869 del 07/02/2013, cit.) e la
sede dell'amministrazione è quella da cui provengono gli impulsi volitivi
inerenti all'attività di gestione dell'ente. Essa rappresenta, in altri termini,
il momento essenziale nello svolgersi della vita della società, nel quale i
rapporti a contenuto patrimoniale della stessa sono fatti propri e sono
economicamente determinati (Cass. civ. Sez. 5^, 23/10/2013, n. 24007, non
mass.).
Neppure secondo il diritto comunitario - ove la questione si è posta con
riferimento al divieto di abuso del diritto quale principio generale antielusivo
- un insediamento fittizio può essere definito sede di un'attività economica (v.
art. 1, punto 1, della tredicesima direttiva, punto 62, 17 novembre 1986,
86/560/CEE in materia di IVA) non essendo consentite creazioni di forme
giuridiche che non riproducano una corrispondente e genuina realtà finanziaria.
3.2.3. Nel caso di specie, nonostante la sede legale della "IN.COL" s.r.l. fosse
stabilita in Milano (presso gli indirizzi di studi di commercialisti ed
elaborazione dati, dove numerose società valtellinesi avevano eletto la propria
sede legale, circostanza che aveva attirato l'attenzione della Direzione
regionale dell'Agenzia delle entrate della Lombardia che aveva appurato che in
(OMISSIS), per diminuire sensibilmente la possibilità degli accertamenti
fiscali, presso alcuni studi di commercialisti, erano state fittiziamente
dichiarate le sedi di società di fatto operanti in altri comuni) il Tribunale ha
accertato che le scritture contabili della società erano tenute presso un
commercialista con studio in Sondrio; i conti correnti bancari sui quali operava
la predetta società erano accesi esclusivamente presso la Banca Popolare di
Sondrio (filiale di (OMISSIS)) e la Banca Credito Valtellinese (agenzia di
(OMISSIS));
in alcune fatture emesse dalla società per il 2008 e 2009 era stata indicata
l'iscrizione della società stessa presso il Registro delle Imprese di Sondrio; a
seguito del controllo incrociato dei verbali di assemblea, delle conversazioni
telefoniche e dei rogiti è risultata la falsificazione dei verbali di assemblea
della s.r.l. IN.COL per far figurare lo svolgimento dell'attività sociale in
Milano quando è stato appurato che nelle date ed orari indicati nei verbali di
assemblea gli indagati erano in altri luoghi.
Da ciò il Collegio cautelare, con congrua motivazione, ha tratto la logica
conclusione che la sede effettiva, ed anzi l'unica sede, della s.r.l. "IN.COL"
fosse collocabile in Sondrio (e che in tale luogo doveva ritenersi fissato il
domicilio fiscale), con conseguente competenza per territorio del Tribunale
valtellinese; i fittizi recapiti milanesi furono indicati al solo fine di
diminuire sensibilmente il rischio di controlli, anche fiscali, perchè a Milano,
ove il numero di imprese era di gran lunga superiore rispetto a Sondrio, la
probabilità di una verifica fiscale era decisamente inferiore (tale
convincimento il Tribunale ha fondato su documenti acquisiti al corredo
processuale).
3.2.4. La soluzione interpretativa adottata dal Tribunale distrettuale è dunque
corretta, avendo il Collegio cautelare fatto adeguata applicazione del principio
di effettività nella determinazione del domicilio fiscale delle persone
giuridiche agli effetti della legge processuale penale.
Va tuttavia chiarito che, ai fini della determinazione della competenza per
territorio per i reati tributari in materia di dichiarazione, il ricorso al
principio di effettività della sede sociale, che richiede di individuare, nel
caso di discrasia tra situazione reale e situazione apparente, il domicilio
fiscale della persona giuridica in luogo diverso dalla sede legale stabilita,
non implica l'azzeramento del criterio secondo il quale il domicilio fiscale per
le persone giuridiche si intende stabilito nel luogo ove la società ha fissato
la propria sede legale nè comporta, nel caso di sede legale dichiarata ma
fittizia, il ricorso ai criteri sussidiari previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973,
art. 58, sul rilievo che la sede fittizia andrebbe equiparata alla sede legale
mancante.
Il fatto che, per le società, il domicilio fiscale corrisponde, secondo il
dettato del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 58, comma 3, al luogo in cui è
stabilita la sede legale determina una mera presunzione (relativa) di
corrispondenza tra sede legale e domicilio fiscale, che presuppone la
coincidenza tra sede legale e sede effettiva, in quanto l'ordinamento tributario
non consente alle persone fisiche e giuridiche di determinare il domicilio
fiscale a proprio piacimento in luoghi diversi da quelli che costituiscono il
centro degli interessi.
Per rendersi conto di ciò, è sufficiente considerare il meccanismo (che, a
torto, i ricorrenti richiamano per sostenere la tesi contraria) previsto dal
D.P.R. n. 600 del 1973, art. 59, che consente all'amministrazione finanziaria di
accertare l'esatto domicilio fiscale e di stabilirlo, in deroga alle
disposizioni del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 58, "nel comune dove il soggetto
stesso svolge in modo continuativo la principale attività ovvero, per i soggetti
diversi dalle persone fisiche, nel comune in cui è stabilita la sede
amministrativa".
Ciò comporta che, ai fini tributari, l'amministrazione finanziaria può
attribuire un domicilio fiscale in luogo diverso da quello nel quale è stata
fissata la sede legale di una società, se ed in quanto la sede amministrativa,
ossia quella da cui provengono gli impulsi volitivi inerenti all'attività di
gestione dell'ente, si trovi in altro comune.
E' di tutta evidenza che, agli effetti dell'applicazione della legge penale
sostanziale e processuale, l'accertamento del domicilio fiscale non richiede che
l'amministrazione finanziaria abbia attivato il meccanismo di attribuzione ex
officio del domicilio fiscale effettivo in sostituzione di quello artificiale
che il contribuente si sia arbitrariamente assegnato.
Ne consegue che, ai fini della determinazione della competenza per territorio
per i reati tributari in materia di dichiarazione, il locus commissi delicti va
individuato, per le persone giuridiche, in quello nel quale queste hanno il
domicilio fiscale che, di regola, coincide con la sede legale, salvo che non
emergano prove univoche tali da smentire la presunzione suddetta con la
conseguenza che, qualora sia stata stabilita una sede legale fittizia, il
domicilio fiscale coincide con il luogo nel quale si trova la sede effettiva
della società ed in tale luogo il reato si considera consumato.
Nel caso di specie, essendo stata addirittura accertata la falsificazione dei
verbali dell'assemblea per fare apparire svolta l'attività sociale nel luogo nel
quale è stata fittiziamente stabilita la sede legale, la competenza per
territorio nel circondario del Tribunale di Sondrio è stata correttamente
determinata, sicchè i motivi di gravame devono ritenersi infondati.
4. Il terzo motivo di gravame proposto da U.N. ed B. E.D. è parimenti infondato.
I ricorrenti muovono dall'erroneo presupposto che il sequestro dei conti
correnti, anche di persone giuridiche diverse dalla IN.COL s.r.l., sia stato
eseguito per equivalente, laddove deve ritenersi eseguito in forma specifica su
denaro ritenuto nella disponibilità degli stessi ricorrenti, quale profitto del
reato tributario conseguente al risparmio di spesa ottenuto per effetto
dell'infedele dichiarazione.
E' di tutta evidenza che esula dallo scrutinio della Corte, come esulava da
quello del Tribunale, la questione se le provviste relative ai conti in
sequestro abbiano una tracciabilità tale da escludere, per provenienza e per
tempi di accredito, che costituiscano profitto dei reati contestati.
5. Anche il quarto motivo proposto da U.N. ed B. E.D. è infondato.
Con esso si lamenta violazione del principio di proporzionalità tra valore dei
beni da sequestrare e beni sottoposti al vincolo preventivo.
Osserva la Corte che, in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca
per equivalente del profitto del reato, il soggetto destinatario del
provvedimento ablativo, nel caso di lamentata sproporzione tra il valore
economico dei beni da confiscare indicato nel decreto di sequestro e l'ammontare
delle cose sottoposte a vincolo, può contestare tale eccedenza al fine di
ottenere una riduzione della garanzia non in sede di istanza di riesame, non
avendo il Tribunale della libertà, salvo i casi di sproporzione ictu oculi, i
poteri per sindacare il lamentato squilibrio, ma presentando apposita richiesta
al pubblico ministero, impugnando con l'appello cautelare l'eventuale
provvedimento negativo del Gip qualora l'istanza di riduzione del sequestro non
sia stata accolta dal pubblico ministero inizialmente adito.
Va infine chiarito, avendo i ricorrenti comunque posto la relativa questione,
come legittimamente il Tribunale del riesame abbia dato conto, sebbene in
assenza di specifiche deduzioni sul punto, della sussistenza del fumus delicti,
comportando la proposizione del gravame de libertate, per ciò solo, un controllo
giurisdizionale, che non sopporta vincoli di cognizione, sulla legittimità dei
provvedimenti restrittivi della libertà personale o reale.
Al rigetto dei ricorsi segue la condanna di ciascun ricorrente al pagamento
delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2014.
Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2014