In questo numero Conosciamo le Kcal? Se vogliamo dimagrire dobbiamo conoscere il cibo e il suo apporto calorico che è il metro di misura al quale si riconducono tutte le diete. Pronti per la prova costume? Se vogliamo costruire un corpo che ci faccia sentire a nostro agio in costume è molto importante iniziare valutando le fondamenta. Volley, fortissimamente Originario della California e delle Isole Hawaii, il beach volley è ora uno sport molto popolare anche in regioni che non presentano una linea costiera, come la Svizzera. Un costume Atomico Storia di un costume che ha fatto Storia! www.clubcampeggiatoriromani.it Detto tra noi ...per tutti, però, questo luogo magico rappresenta il paese... C ari amici ed amiche, siamo alle porte della nuova stagione primaverile e mi auguro che sia per noi tutti una stagione ricca di buoni eventi così da di poterli condividere insieme nel nostro campeggio. La nostra attività è in continua evoluzione ed anche quest’anno abbiamo lavorato sodo; sono personalmente soddisfatto dei risultati raggiunti, che potrete valutare personalmente, ed ottimista per tutti i lavori in fase di realizzazione. Il gradimento, da parte vostra, delle piccole o grandi opere, le migliorie varie, che ogni anno cerchiamo di realizzare all’interno del campo, sono per noi consiglieri motivo di grande soddisfazione, condizione essenziale e fondamentale per l’attività del consiglio. Sono molto apprezzati anche i vostri continui suggerimenti che ci giungono e che teniamo in seria considerazione in quanto finalizzati a rendere sempre più efficiente la nostra struttura. Abbiamo lavorato negli anni con questo spirito e continueremo nella stessa direzione cercando di rendere sempre più trasparente e costruttivo il rapporto tra campeggiatori e consiglio; siamo, infatti, convinti che uniti e compatti potremmo raggiungere insieme ambiziosi traguardi, l’importante è che ce commenta questo articolo ne sia la volontà da parte di ognuno. E’ pur vero che per molti il campeggio si riduce ad una vacanza estiva, per altri più fortunati a qualcosa di più, per tutti però questo luogo magico rappresenta il ritorno al “PAESE” dove ogni anno si possono passare piacevoli serate con gli amici, godere la pineta ed il mare, e dimenticare per alcune settimane il caos cittadino. Proviamo a pensare, (magari a realizzare) che ognuno di noi “regali” al campeggio un piccolo contributo, qualcosa di positivo, un gesto, un pensiero, un’azione positiva, qualsiasi cosa per rendere più accogliente ed ospitale questo luogo magico, sono certo che ogni vacanza breve o lunga che sia diventerebbe una magnifica vacanza. Mi auguro che tutti cercheremo di fare un piccolo tentativo, basta poco, basta esserne convinti; vediamo cosa ne viene fuori, diamoci un appuntamento immaginario all’estate prossima, sulla spiaggia, in piazza, al bar, in piscina e se ci ricordiamo, quando faremo qualcosa di positivo, potremo dire io l’ho fatto. Grazie per l’attenzione che mi avrete dedicato e buon campeggio a tutti. “Dunque, miei concittadini americani, non chiedete cosa il vostro paese può fare per voi, chiedete cosa potete fare voi per il vostro paese.” JFK Giancarlo Gallo M olti di noi conoscono il significato di queste due parole Body = corpo e Building = costruendo/costruire. Che si tratti di guadagnare montagne di muscoli o di perdere un po’ di pancetta l’obiettivo finale è sempre e comunque quello di modellare il corpo a nostro piacimento. VALUTARE LE FONDAMENTA E PORSI OBIETTIVI REALISTICI Prepararsi per la prova costume Prova costume! Siete pronti? Se vogliamo costruire un corpo che ci faccia sentire a nostro agio in costume è molto importante iniziare valutando le fondamenta. Aver svolto in passato (soprattutto durante l’età dello sviluppo) una qualsiasi attività sportiva regolare rappresenta già un buon punto di partenza e di conseguenza un bel passo in avanti verso il raggiungimento del nostro scopo. Il peso, l’età, l’aspetto psicologico dell’individuo sono altri fattori importantissimi per stabilire un corretto piano di lavoro. In particolare quando parliamo di peso bisognerebbe far riferimento non tanto a ciò che dice la bilancia ma a ciò che dicono le varie tecniche di misurazione della composizione corporea Queste metodiche consentono di misurare la percentuale di grasso corporeo, percentuale che varia nell›uomo (più bassa) rispetto alla donna (più alta). In base a tutti questi elementi dobbiamo porci degli obiettivi realistici e partire con la convinzione che con un po› di impegno, costanza e determinazione potremo raggiungere validi risultati PARTIRE CON IL PIEDE GIUSTO Molti di noi desiderano avere un addome piatto e scolpito come quello di molte modelle e modelli, ma solo pochi riescono. Il segreto per ottenerlo è semplice, bisogna prima di tutto ridurre il grasso che ricopre questo gruppo muscolare. A cosa ci servono tutti quelli esercizi che facciamo per allenare gli addominali? Sicuramente a poco se prima non ci preoccupiamo di eliminare il più possibile il grasso che li ricopre. Un discorso analogo può essere fatto per tutti gli altri gruppi muscolari. Pertanto il primo periodo di allenamento avrà come unico obbiettivo quello di perdere il grasso in eccesso e preparare il nostro corpo al lavoro con i pesi. In questo primo periodo l›attività aerobica sarà fondamentale. Dovremmo correre, pedalare, andare su e giù con lo step per circa 40-60 minuti al giorno quattro o cinque volte alla settimana. Non occorre svolgere queste attività ad un ritmo esasperato (ci basterà tenere un ritmo abbastanza tranquillo che ci consenta di parlare con chi abbiamo di fianco). Se si utilizza un cardiofrequenzimetro occorre cercare di rimanere attorno al numero di pulsazioni dato dalla formula [(220-età)*0.7)]. Due giorni alla settimana fate precedere alla seduta aerobica un lavoro blando con i pesi cercando di aumentare di volta in volta il carico utilizzato. Ricordate che i grassi vengono utilizzati a scopo energetico solo dopo mezz’ora o più dall’inizio dell’attività sportiva aerobica. Ricordate anche che le sedute di allenamento di tipo aerobico, se protratte per almeno 20 - 40 minuti, «accelerano» il metabolismo per circa 12-36 ore. In pratica anche dopo l’allenamento, il nostro organismo continuerà a bruciare calorie in eccesso rispetto ai valori basali. Di conseguenza dovreste cominciare a notare la perdita dei primi kg di tessuto adiposo, sempre che non facciate catastrofi in campo alimentare! In questo primo periodo non è necessario seguire particolari diete, basterà semplicemente rispettare i seguenti Consigli alimentari. Nell’attività sportiva, specialmente se aerobica, si producono delle particolari sostanze, le endorfine, oppiacei che danno una piacevole sensazione di benessere, allentando quelle tensioni che possono essere la causa dell’assunzione indiscriminata di cibo. 3) OTTIMIZZIAMO DIETA E ALLENAMENTO Dopo i primi 30-40 giorni di attività arriva il momento di apportare le prime modifiche al nostro programma di allenamento. Anche in questo secondo periodo l’attività aerobica avrà un ruolo fondamentale. Tuttavia le sedute da dedicare al lavoro cardiovascolare andranno ridotte da cinque a tre sole sessioni settimanali. In questi giorni non verrà svolto alcun esercizio con i pesi, verrà mantenuta l’intensità medio bassa del primo mese e si aumenterà di 10-20 minuti la durata totale dell’allenamento. Due giorni alla settimana andranno dedicati all’allenamento con i pesi. E’ questo il periodo adatto per costruire una solida base di forza, scegliendo esercizi multiarticolari e allenando tutti i muscoli del corpo nella stessa seduta di allenamento. Non fermatevi troppo a riposare tra una serie e l’altra. Sessanta/ novanta secondi sono più che sufficienti. Riposate invece tra un work-out ed un altro. Dormire aiuta il recupero fisico, non sottovalutate questo fattore. Evitate di strafare, non andate in palestra ogni giorno, e se sentite che questo programma è troppo intenso per le vostre possibilità, diminuite intensità e durata dell’allenamento. Dopo un esercizio il nostro corpo entra in una fase di stress in cui vengono ripristinate le energie perse. E’ questo il segreto che ci permette di migliorare allenamento dopo allenamento. Il nostro corpo reagisce ai nuovi stimoli modificando le proprie caratteristiche. Se vi sentite stanchi è perché il vostro organismo è in quella famosa fase di stress: se voi continuate ad allenarvi lo stress aumenterà ulteriormente e non otterrete alcun beneficio, anzi, vi sentirete sempre più stanchi e smotivati. La dieta Un vecchio detto cinese dice “Siamo ciò che mangiamo”. Ma come fare per mangiare correttamente? Quale dieta seguire? Anche in questa fase potremo continuare a seguire i consigli alimentari proposti per il primo periodo anche se sarebbe opportuno apportare alcune modifiche. Nei giorni in cui si pratica attività cardiovascolare è possibile introdurre un pasto ricco di carboidrati come pasta, riso, gnocchi di patate o cereali, anche a cena. Nei giorni di riposo e in quelli che prevedono le esercitazioni con i pesi è preferibile limitare il consumo di carboidrati (non più di 50 g) a cena, preferendo frutta, verdura e fonti proteiche come la carne e il pesce. E che dire degli integratori ? Certo alcuni sarebbero utili, ma è anche vero che se seguiamo una dieta equilibrata possiamo benissimo farne a meno. In ogni caso ognuno agirà secondo scienza e coscienza valutando pro e contro di ogni prodotto. Se i risultati saranno soddisfacenti sarà possibile passare alla terza ed ultima fase di allenamento. In caso contrario è bene proseguire il programma della fase 2 per altri 15-20 giorni. Allenamento tipo commenta questo articolo LUN MAR CARDIO PESI 60/80 minuti MER GIO RIPOSO CARDIO 60/80 minuti VEN PESI SAB DOM CARDIO RIPOSO 60/80 minuti Per saperne di più Conosciamo le Kcal? Se vogliamo dimagrire dobbiamo conoscere il cibo e il suo apporto calorico che è il metro di misura al quale si riconducono tutte le diete. Capendo il valore energetico di ogni alimento si comprende come le diete non debbano essere ferree ma adeguate allo stile di vita che normalmente conduciamo. I l numero di calorie – Kcal – contenuto nei vari alimenti indica quanta energia l’organismo può trarre dall’introduzione dei cibi in genere. Ogni alimento è composto da varie sostanze nutritive ognuna delle quali favorisce un preciso apporto di calorie. Per esempio, le proteine – carne – contengono 4 calorie per grammo, i grassi 9, i carboidrati (zuccheri, pane, pasta) 3,75. Da molto tempo, l’attenzione dei medici è puntata sulle calorie in quanto esiste la certezza che una dieta troppo calorica è responsabile delle più gravi malattie legate all’alimentazione come l’arteriosclerosi e l’infarto. Naturalmente, anche una dieta povera di calorie potrebbe arrecare danno all’organismo; può anche sembrare banale ma si tende, troppo spesso, a dimenticare che solo un giusto apporto calorico giornaliero mette al riparo dai rischi di una errata alimentazione. Vi potrà sorprendere la prevalenza calorica di certi piatti rispetto ad altri ma una spiegazione c’è sempre; per esempio, l’olio contiene molte più calorie del burro ed è usato molto più facilmente e con assiduità in ogni piatto della nostra dieta giornaliera. le corrispondenti alla propria situazione. Ma quante se ne consumano? Sottoponendosi ad una qualunque attività fisica si bruciano calorie. Si dovrà prendere in considerazione un tempo di lavoro di 30 minuti per l’attività intrapresa per determinare la perdita di Kcal. Infatti il nostro bioritmo ha bisogno di un lavoro continuativo, senza sosta, di almeno mezz’ora perché si inizino a bruciare le calorie. Il lavoro, inteso come movimento precipuo allo scopo non dovrà per forza essere un lavoro duro, di tipo anaerobico, anzi, vanno benissimo tutti quei lavori aerobici che fanno “riscaldare” in un tempo adeguato, senza sforzi eccessivi, i nostri muscoli che metteranno in funzione la nostra macchina. Solo dopo mezz’ora di lavoro continuativo si inizieranno a bruciare le kcal e il nostro organismo continuerà a bruciarle (anche senza l’attività sportiva) per almeno altre 12 ore. Attività aerobica e consumo di grassi La scelta dell’attività fisica più adatta al dimagrimento La zona d’impegno fisico che determina l’utilizzo prevalente degli acidi grassi a scopo energetico, è quella compresa tra il 65 e 75% della frequenza cardiaca massima, corrispondente al 50-60% delVO2 max. Tuttavia non è possibile dare un valore di pulsazioni specifico poiché la frequenza cardiaca massima varia da soggetto a soggetto. UN PO’ DI CHIAREZZA SUL CONSUMO DEI GRASSI Di seguito sono riportati alcuni algoritmi per la stima della spesa energetica e del consumo lipidico in discipline aerobiche tipiche come la corsa e la camminata. CORSA Spesa energetica= 0.9 x km percorsi x kg di peso corporeo Consumo di grassi in g: (kg peso corporeo x km percorsi)/20 CAMMINATA Spesa energetica: 0.45 -0.50 per km percorsi x kg di peso corporeo Consumo di grassi in g: (kg di peso corporeo x km percorsi)/35 ESEMPIO Calcolare la spesa energetica ed il consumo di grassi in grammi di un soggetto di 75 kg che percorre 10Km correndo a velocità di 10 km/h (quindi c.a. un ora) oppure camminando a 5 km/h (quindi c.a. due ore). CORSA: spesa energetica= 0,9 x 10 x 75 = 675 Kcal Grammi di grasso consumati: (75 x 10)/20 = 37,5g CAMMINATA: spesa energetica: 0.5 x 10 x 75= 375 Kcal G rammi di grasso consumati: (75 x 10)/35 = 21g Nella camminata il consumo di grassi e’ percentualmente maggiore ma, essendo il consumo calorico praticamente della metà, i grammi di grasso consumati risultano meno che correndo sulla stessa distanza. Dimagrire, inteso come consumo metabolico di acidi grassi è veramente difficile: si tenga conto che un atleta di livello mondiale che corre una maratona ossida circa 100 g di grassi (0.5 0.7 g/min come massimo) (dati di Poehman et al. 1991; Brehm B.A e Gutin.B, 1986) mentre un marciatore ad alto livello che gareggia nella 50 km di marcia consuma all’incirca 200-220 g di lipidi ( circa 0.91-1 g/min come massimo) (Dati di O’Biren et coll.). E ancora: un soggetto bene allenato del peso di c.a. 70 Kg, che percorre 100 Km in bicicletta su terreno pianeggiante e a velocità pressoché costante di 30 Km/h “brucia” circa 30 g di grasso (E. Arcelli). Si parla quindi di atleti “aerobici” per eccellenza, programmati per sforzi prolungati che durano ore, con allenamento giornaliero, predisposizione genetica, fibre rosse “ottimizzate”, mitocondri attivi ecc. Infatti l’utilizzo degli acidi grassi a scopo energetico, non avviene in maniera uniforme per tutti: se per quei soggetti aerobicamente molto efficienti la metabolizzazione degli acidi grassi avviene sin dai primi minuti di corsa (5-10 minuti), per quelli meno allenati l’utilizzo dei grassi avviene invece a tempi proporzionalmente più lunghi, in base al livello di allenamento. I principianti, che non sono efficienti dal punto di vista metabolico possono anche non utilizzare gli acidi grassi nel corso di una seduta di aerobica della durata di 30-40 minuti proprio perché l’organismo non e’ ancora in grado di ottimizzare le riserve energetiche. L’organismo, infatti, tende ad utilizzare i carboidrati anche quando si corre a ritmo lento perché essi richiedono una quantità inferiore di ossigeno rispetto agli acidi grassi. E la signora Maria che si allena 2 o 3 volte alla settimana facendo complessivamente qualche decina di minuti su bike, tappeto, step? Quanti grammi di grasso pensate che bruci?! Ecco perché in palestra, con il classico approccio è così difficile dimagrire e sono mediamente così scarsi i risultati dei clienti da questo punto di vista. Per dimagrire, conviene dunque passare attraverso l’incremento della massa magra. Massa magra, calcolo massa magra Innanzitutto... che cos’è la massa magra? Spiegarlo è importante, dal momento che molte persone hanno le idee confuse sul suo significato: la massa magra o LBM (dall’inglese Lean Body Mass) rappresenta tutto ciò che resta dell’organismo dopo averlo privato del grasso di deposito (tessuto adiposo). Questo dato, che non ha niente a che vedere con il peso ideale, si differenzia leggermente da un altro parametro antropometrico, chiamato massa magra priva di grasso: la massa magra alipidica o FFM (dall’inglese Fatty Free Mass) rappresenta tutto ciò che resta dell’organismo dopo averlo privato di tutta la sua componente lipidica, compreso il grasso primario o essenziale (che protegge gli organi interni, costituisce il midollo osseo, le ghiandole mammarie ed è presente in vari tessuti). La massa magra, dunque, è data dal contributo di ossa, denti, muscoli, organi interni, tessuto connettivo e grasso essenziale. La distinzione con la massa magra alipidica è importante, dal momento che il grasso primario risulta essenziale per la salute dell’individuo e non può essere intaccato, se non in minima parte, dal dimagrimento; esso costituisce circa il 3% della massa corporea maschile ed il 12% di quella femminile. La massa grassa (FM, dall’inglese Fat Mass) rappresenta la quantità totale di lipidi estraibili dal corpo umano (grasso primario + grasso di deposito). Per quanto detto sinora, una massa grassa inferiore al 3% nell’uomo ed al 12% nella donna non è compatibile con una buona salute e nei casi più drastici addirittura con la vita stessa dell’individuo. Quante calorie servono? Per vivere, lavorare, affrontare una qualsiasi attività fisica e per mantenersi in buona salute ogni persona ha bisogno di introdurre, ogni giorno, una determinata quantità di calorie. Il numero di calorie necessarie varia inevitabilmente in relazione a molteplici fattori: a seconda dell’età, della costituzione fisica, dell’altezza, del sesso e del tipo di attività fisica svolta normalmente dalla persona. Introdurre solo ed esclusivamente le calorie di cui davvero si ha bisogno (e non di più) permette di conservare per sempre, senza sforzo e a beneficio della salute, il proprio peso ideale. Per dimagrire in fretta basta assumere 600/800 calorie in meno rispetto a quelle riportate nelle tabel- commenta questo articolo La storia del costume da bagno da donna I l XX secolo è considerato, a tutta ragione, quello in cui si sono succeduti i più grandi cambiamenti rispetto a qualsiasi altro secolo. Piccole e grandi rivoluzioni a tutti i livelli hanno modificato radicalmente il modo di vivere e di pensare. Scienza, tecnica, costume, società, ambiente: la vita ha subito modifiche sostanziali, che sorprendono soprattutto se si pensa che questo processo è avvenuto in soli cento anni. Dall’uomo sulla luna a Internet, la rivoluzione è passata anche attraverso le abitudini quotidiane della gente comune. Naturalmente, in un panorama a 360° gradi, non poteva mancare di avere un ruolo fondamentale un fenomeno volubile e in continua evoluzione come quello della moda. All’interno di questo più ampio fenomeno, uno spazio importante è occupato dal costume da bagno la cui evoluzione, nel nel corso dell’ultimo secolo, ha rappresentato in modo netto e significativo la trasformazione del pensiero e la progressiva liberalizzazione dei costumi e delle abitudini sociali. In un excursus sulla storia di questo particolare capo di abbigliamento, si scoprono curiosità e storie legate alla scoperta dei bagni in mare, alla nuova e piacevole abitudine della villeggiatura, fino all’invenzione del bikini e all’invasione sulle coste italiane dei cosiddetti tipi da spiaggia. La storia del moderno costume da bagno affonda le sue radici in un passato che appare remoto: esiste, infatti, un mosaico romano che risale al III sec. d. C. a Piazza Armerina in Sicilia, raffigurante una dozzina di donne che giocano, abbigliate con indumenti che ricordano in modo inconfondibile il moderno bikini: fasce o bende a due pezzi senza spalline. Questo fatto potrebbe forse togliere un po’ di significato ai decantati cinquant’anni di storia del bikini celebrati nel 1996. Ciò che tuttavia rende affascinante la storia recente del costume, è il velocissimo processo di riduzione, in termini di misura, che ha caratterizzato l’abbigliamento da bagno durante il secolo scorso. Per tutta l’antichità resta poco diffusa la pratica di immergersi in mare. Sono frequenti le abluzioni alle terme o alle stufe, ma senza utilizzo di particolari abbigliamenti. Medioevo e Rinascimento non introducono cambiamenti significativi: ci si immerge generalmente senza vestiti, salvo qualche mise da bagno documentata fin dal 1400, caratterizzata da corpetto con spalline e gonna, a volte completata da un turbante. Dal 1750 a Parigi si diffonde la moda dei bagni, sia che questi avvengano in laghetti o fiumi, sia che si tratti di benefiche immersioni in mare. E’ in questo periodo infatti che prende il via l’abitudine di spostarsi sulle coste della Normandia o della riviera mediterranea per godere delle salutari proprietà dell’acqua di mare. Viene creato per l’occasione un abito con corpetto e calzoni, in tela spessa da marinaio, sovrapposto spesso da una grande gonna che inevitabilmente a contatto con l’acqua si gonfia come un pallone. Con l’arrivo del XIX secolo le donne si immergono in mare e lo fanno avvolte in abbondanti mantelli chiusi al collo. Le bagnanti giungono in spiaggia dentro a cabine fornite di ruote o tende in cui si cambiano d’abito. Nella seconda metà dell’Ottocento l’abbigliamento da spiaggia è ancora molto castigato. Quando non ci si immerge, o appena si esce dall’acqua, si sta in spiaggia con leggeri abiti da città, di colore chiaro, con tanto di guanti e parasole, per proteggersi dai raggi ed evitare la tintarella, caratteristica delle classi inferiori. Brevi esposizioni al sole, per scopi terapeutici, vengono consigliate dai medici solo a partire dalla seconda metà dell’Ottocento. I costumi da bagno sono caratterizzati da pantaloni gonfi, al polpaccio, completati da un abito lungo fino al ginocchio, stretto in vita e dalla gonna ampia. Le calzature, sopra alle lunghe calze nere, sono scarpine allacciate, e il capo è protetto da cuffiette. Subito dopo il bagno, per restare al riparo da sguardi indiscreti, le bagnanti infilano ampi accappatoi, forniti di cappuccio. Negli anni settanta del XIX secolo gli abiti si accorciano leggermente e le gonne delle sopravvesti si fanno meno ampie. I completi si arricchiscono di nastri e spighette bianche e blu secondo la moda alla marinara, con il collo rettangolare sul dorso. Il tessuto più usato è la flanella. Nel frattempo le spiagge si attrezzano, le cabine diventano fisse e compaiono le prime poltrone in vimini a nicchia. Verso la fine del secolo compaiono le prime magliette a righe bianche e blu, i decori con oggetti marinari, fino alle decorazioni e ai fronzoli che accompagnano gli ultimi anni dell’Ottocento. Maniche a sbuffo e bustini sotto il costume per mettere in evidenza il vitino sottile, gonnellini a campana, pantaloni più aderenti o alla zuava, il tutto confezionato in sergia (stoffa diagonale) di lana, il tessuto più diffuso, in genere nei colori blu, nero e rosso. Le scarpine sono più leggere e traforate per lasciare passare l’acqua, munite di lunghe stringhe da allacciare intorno alla caviglia, mentre in testa furoreggiano foulards in tessuto impermeabile da annodare sopra alla testa. La tenuta da bagno non subisce cambiamenti significativi tra il 1900 e il 1920: gli abiti si accorciano leggermente, le calze non vengono più necessariamente indossate e vengono di poco ampliate le scollature. I colori diventano più chiari, compaiono le prime camicie da bagno, simili a camicie da notte bianche. Si diffonde la linea “Impero”, senza tagli in vita. Nel frattempo diventa una consuetudine il soggiorno estivo al mare. Questo nuovo tipo di villeggiatura, che si affianca alla tradizionale campagna, c o m p o r t a anche nuove attrezzature da spiaggia e la comparsa dei primi stabilimenti balneari. Rimini, Viareggio e il Lido di Venezia diventano famose in questo periodo. Anche la cura del corpo e la cultura dei bagni di sole e di mare si impone, e le attività sportive all’aperto richiedono abbigliamenti adatti, comodi e pratici. Compaiono costumi interi e lunghi pagliaccetti aderenti. Gli esperti di moda dell’epoca raccomandano fatture che non infagottino la figura, realizzate con tessuti di ottima qualità che non scoloriscano nell’acqua. Da evitare i modelli già pronti, meglio realizzare in casa il vestito da bagno procurandosi buona stoffa, in genere lana blu, nera, bianca o rossa, e gli eventuali decori. La lana continua a essere preferita rispetto al cotone in quanto, essendo più pesante, una volta bagnata non aderisce al corpo e non diventa trasparente. Negli anni Dieci, gli itinerari termali vengono preferiti al mare. E’ l’epoca di Salsomaggiore, Fiuggi, Montecatini, Aix-le-Bains. L’abbigliamento è lo stesso sfoggiato al mare. Lino bianco a profusione per le signore, con abbondanza di merletti, ricami e rouches, il tutto accompagnato da cappelli pieni di fiori e di nastri e dall’immancabile parasole bianco, in perfetto stile Belle Époque. Per il nuoto fanno la loro comparsa le prime cuffie da bagno sportive, simili a quelle attuali. Si diffonde l’uso della maglia per la confezione dei costumi, mentre la cintura scende sui fianchi. L’abbronzatura non è più condannata. Nel corso degli anni Venti molti dei vincoli legati alla moda si sciolgono. Costumi da bagno più ridotti si caricano di nuovo significato quale espressione di una ritrovata libertà femminile. I costumi degli anni Venti sono costituiti da corte gonnelline in taffetas con la cintura sui fianchi oppure atletici costumi da nuoto in jersey di lana, sfiancati e aderenti, senza maniche, sempre abbinati a calzoncini shorts che arrivano a metà coscia o a corte coulottes. I costumi atletici, sul modello della nuotatrice Annette Kellermann (da cui prendono il nome), smanicati e leggermente scollati in tondo sia davanti che sul dorso, sono disponibili in nero o in colori base, spesso con disegni geometrici tipo strisce o moderno design astratto. Le donne proteggono le loro acconciature a caschetto indossando cappellini di piquet bianco o cuffie da bagno. Con la ritrovata passione per il sole e per il mare le spiagge si coprono di ombrelloni e in mare si prende il largo sui pattìni. Grandi sarti e couturiers di alta moda disegnano modelli di costumi in seta e tessuti pregiati. Su tutto domina la semplicità, ma accompagnata da una grande eleganza. E’ il pigiama la novità balneare della fine degli anni Venti: larghi pantaloni lunghi e morbidi, portati con bluse senza maniche, cinture a fascia allacciate in vita e giacche. I capelli sono corti, spesso coperti da fazzoletti che coprono la fronte annodati dietro il capo. Gli anni Trenta propongono costumi mascolinizzati per il nuoto: maglia lunga in tricot a tinte scure a cui vengono abbinati calzoncini allacciati in vita da una cintura. Per la cura del sole invece si prediligono costumi in taffetas o in seta a tinte chiare. Domina il bianco e blu. Si trovano spesso coordinati di giacca e borsa da spiaggia in spugna con decori marinari e si moltiplicano i pigiama in mille varianti e tonalità. Esplode la moda della cintura Valaguzza, un sofisticato accessorio costituito dalla cintura in lana corredata da una fibbia capace di contenere specchietto e trousse da trucco, ed eventualmente anche le sigarette. La magica cintura consente alle signore veloci toilettes per rinfrescare il trucco anche in mezzo ai flutti. Le spiagge italiane si affollano. Rimini, Bellaria e Riccione, diventano mete turistiche di rigore. Ma un po’ in tutta Italia le spiagge si riempiono di bagnanti e di turisti: dalla Versilia a Positano, dalla Liguria a Capri e Ischia, dalle coste dell’Istria fino a Fregene, Ladispoli, Fiumicino, le vacanze autarchiche degli italiani prediligono le nostre coste. Nel frattempo le idee naturiste sui benefici del sole e dei suoi raggi, fanno ridurre ulteriormente la stoffa con cui vengono confezionati i costumi da bagno e da cura del sole. Le scollature sulla schiena si ampliano, e dal 1932 i pantaloncini si staccano del tutto dal corpetto. I costumi, realizzati in jersey o Lastex, aderiscono al corpo slanciando la figura, si diffonde la moda del pareo, da portare lungo o corto, indifferentemente. Dal 1937 i costumi, ormai in tessuto di seta elasticizzato, sono sempre più spesso costituiti da corti pantaloncini legati in vita e reggiseno. Le fantasie che vanno per la maggiore sono colorate stampe a fiori, mentre si diffondono le vestaglie da portare sopra il costume: lunghe e ampie, fatte a redingote con cintura in vita. Con gli anni Quaranta si assiste a una moda condizionata dalla guerra e dalla scarsa reperibilità di tessuti di buona qualità. La fantasia cerca di supplire a queste mancanze. Compaiono così vestagliette più corte, decorate con ritagli di stoffa, e ingegnose guarnizioni fai da te. La grande rivoluzione arriva nel 1946, ad opera dello stilista svizzero Louis Reard con il lancio del sarto francese Jacques Heim: a Parigi infatti, fa la sua comparsa il bikini. La ridotta mutandina che lascia scoperto l’ombelico, provoca un autentico choc. Ci vorranno anni e bagnanti audaci e coraggiose prima che il bikini entri nell’abbigliamento comune da spiaggia. Intanto si vedono i primi pantaloni alla pescatora, i grandi cappelli di paglia, fusciacche e sciarpe, in una profusione di tessuti a pois, a quadrettini, ornati con spighette o sangallo. Gli anni Cinquanta vedono ancora il veto ai succinti costumi due pezzi. Il bikini è ancora bandito e spesso il suo uso in luogo pubblico viene punito dalle forze dell’ordine per oltraggio al pudore. La moda ufficiale propone prendisole al ginocchio, bustini doppiopetto con gonnelline a godet. Il costume più diffuso è intero, con gonnellino stretto e aderente. Torna la spugna, in particolare per le giacche-accappatoio. A Capri si vedono i primi shorts, con camicette annodate al giro spalla, e pantaloni alla pescatora. Le formose signore degli anni Cinquanta usano costumi interi fascianti, con scollature a cuore e sostenuti da stecche. I tessuti usati sono rasatello e popeline, mentre le giacche a tunichetta da portare sopra i calzoncini corti sono in piquet, spesso a righe verticali che slanciano la figura. L’eleganza storica di posti come Capri e Portofino, impone una moda semplice, ma di grande classe. Bermuda al ginocchio, casacche con cappuccio, e in testa, per il bagno, turbante di spugna o cuffia di petali di gomma, di gran moda alla fine degli anni Cinquanta. I sandali sono di paglia o di pelle ma furoreggiano anche le ballerine basse. Grandi camicioni infine sono usati anche per cambiare il costume in mancanza della cabina. I favolosi Sessanta iniziano senza portare grandi cambiamenti. Baby-dolls, costumi interi, fantasie a quadrettini lanciate dai bikini che Brigitte Bardot indossa a Saint Tropez fanno la loro comparsa sulle spiagge. La nuova moda optical si ripercuote anche nelle fantasie dei Bikini un costume ATOMICO A ll’inizio fu una bomba. Anzi, due bombe: quelle all’idrogeno sganciate nel luglio del 1946 dagli americani, che conducevano test nucleari, su un atollo delle Isole Marshall, Bikini per l’appunto. Pochi giorni dopo, ufficialmente il 5 luglio del 1946, un geniale quanto sconosciuto sarto francese, Louis Réard sgancia, dai bordi della piscina Molitor di Parigi, una nuova moda per l’estate: invece del costume intero, faticosa conquista di decenni di lotte femminili, un due pezzi destinato ad avere l’effetto di una bomba sulle usanze dell’epoca. Reard riteneva, appunto, che l’introduzione del nuovo tipo di costume avrebbe avuto effetti esplosivi e dirompenti ed ecco quindi spiegato il nome del più celebre indumento da spiaggia. Il modello di Reard rifiniva il lavoro di Jacques Heim che, due mesi prima, aveva introdotto l’Atome (così chiamato a causa delle sue dimensioni ridotte), pubblicizzato come il costume da costumi. I bikini hanno reggiseni imbottiti e slip allacciati sui fianchi, con ricami, perline, tessuti a uncinetto. Impazzano le fantasie di Emilio Pucci su borse, copricostume e bikini. La novità è la rivoluzionaria Lycra (marchio depositato dalla Du Pont), che garantisce aderenza al corpo e che asciuga velocemente. Il decennio dei Sessanta è da ricordare anche per lo scandalo, in America, suscitato dal primo topless, o monokini, indossato per la prima volta nel 1964 da una ragazza americana sul Lago Michigan. La moda degli Hippies e dei figli dei fiori influenza gli anni Settanta. Costumi ridotti, reggiseni a triangolo, senza imbottiture o strutture particolari, indossati con sandali dalla zeppa in sughero altissima, e pantaloni a zampa di elefante. Arriva anche in Italia la moda del topless, dapprima suscitando scandalo e denunce poi entrando nelle abitudini comuni delle spiagge italiane. In una progressiva riduzione delle sue dimensioni, il costume da bagno arriva sino ai giorni nostri, tra revival di stili, costumi interi, olimpionici e bikini, in una sfilata di modelli che ogni anno, con l’arrivo dell’estate, si rinnovano. commenta questo articolo bagno più piccolo al mondo. Reard rese l’ Atome ancora più piccolo, ma non riuscì inizialmente a trovare una modella che osasse indossarlo. Finì quindi per ingaggiare come modella Micheline Bernardini, spogliarellista del Casino de Paris. L’evidente sex-appeal, e quindi il potenziale seducente del bikini, ne ha fatto un ingrediente di successo di innumerevoli film e telefilm dal momento in cui esso fu ritenuto accettabile per il pubblico pudore. La storia del bikini è indissolubilmente legata ad alcuni dei nomi più seduttivi della storia italiana e internazionale: le dive del cinema. Scoppiò così, tra le donne dello spettacolo, la moda del bikini, perfido strumento di seduzione che però stentava a decollare tra le donne normali. Tramontata l’epoca delle monarchie, la spiaggia era ormai un luogo aperto a tutti, ma l’atteggiamento verso la nudità, per quanto in evoluzione, viveva continui arretramenti. Le prime a prendere di petto, è proprio il caso di dirlo, questi tabù e questi attegiamenti furono le ragazze più libere, che indossando il bikini non temevano la riprovazione popolare o delle autorità. Comunque, anche qualche diva stentava a osare. Come l’ex campionessa di nuoto Esther Williams che, negli anni ’50, si rifiutava di indossarlo nei suoi film. Almeno, fin quando non furono i produttori hollywoodiani a imporglielo per contratto. In Italia, il seducente costume, così come oggi lo intendiamo, fu sdoganato da Sofia Loren, che con un due pezzi di raso sbaragliò la concorrenza vincendo il titolo di Miss Eleganza nel 1950. In seguito, altri celebri esempi dell’inscindibile legame tra bikini e cinema sono rappresentati dai surf movie degli anni ’60 o da serie tv com Baywatch. Tra le icone più celebri del bikini nel cinema, ritroviamo Ursula Andress nei panni della Bond girl Honey Ryder nel 1962, Raquel Welch eroina preistorica nel film One Million Years B.C. del 1966, Phoebe Cates in Fast Times at Ridgemont High del 1982. Furono però altre due vere bombe di fascino a portare il bikini in giro per il mondo: Brigitte Bardot, a metà degli anni Cinquanta, dalle spiagge mai così calde di Saint-Tropez, e Marilyn Monroe, che nel film Niagara del 1953 riuscì nell’ardua impresa di togliere il fiato al mondo. Ma ci volle un tocco regale, ancora una volta, alla fine del decennio, per convincere tutti che il bikini poteva rientrare a buon titolo nei costumi occidentali: Margaret d’Inghilterra, figlia della regina Elisabetta, non si fece alcun scrupolo a farsi immortalare in due pezzi mentre sbarcava dallo yacht dell’Aga Khan a Porto Cervo. E se poteva permetterselo una nobile… Da allora nessuna donna italiana se la sentì di rinunciare a questo costume delle meraviglie che ha conosciuto diverse evoluzioni in stile e forme e ha resistito all’assalto del topless, benchè già si palesava il trend verso la riduzione del pezzo superiore al punto da coprire a malapena i capezzoli. In sostanza, tuttatvia, il bikini è rimasto sostanzialmente invariato fino agli anni ’70 del secolo scorso, quando, completata la massima riduzione possibile del pezzo superiore, l’attenzione degli stilisti si è rivolta al pezzo inferiore, con l’introduzione del tanga brasiliano, la cui parte posteriore è così ridotta da scomparire tra le natiche. commenta questo articolo A sinistra: Marylin Monroe con uno dei primi bikini anni ‘50 Sotto: Il mosaico del pavimento di Piazza Armerina, in Sicilia, che ritrae due donne che giocano con una palla vestite solo di un bikini. Fuoco Amico Cosa differenzia la cottura sul fuoco da tutte le altre? E’ il gusto impartito dai fumi generati dalla vaporizzazione dei liquidi e dei grassi e dalle reazioni di combustione del legno. L a grigliata è un’istituzione nel nostro paese. Specialmente durante la bella stagione diventa un rito quasi irrinunciabile. E’ un metodo semplice, spartano e genuino ma nella sua semplicità nasconde pericoli per la salute. E’ necessario acquisire delle tecniche, apparentemente banali e semplici, che se però non applicate alla perfezione possono portare a grandi rischi per la salute di chi cucina ma soprattutto di chi mangia. Cuocere direttamente sulle fiamme è impossibile. L’unico modo è quello di utilizzare dei legni completamente trasformati in carboni. Il carbone, se ben combusto, non produce fiamme pur fornendo un intenso calore che permetterà la cottura dei cibi. Le fasi preparatorie necessarie a realizzare un buon fuoco e soprattutto un’ottima brace, fondamentale per la realizzazione della nostra grigliata, è relativamente semplice ma serve una buona dose di pazienza. La legna va disposta a forma di piramide in modo da creare, all’interno del cumulo, una camera d’aria che favorisca l’ossigenazione interna indispensabile per realizzare un’ottima combustione. Una volta disposta la legna più grossa all’esterno e alcuni legni secchi e più piccoli verso l’interno, accendiamo il fuoco, con un pò di carta o con gli accenditori appositi acquistabili in commercio. ll fuoco, penetrando attraverso la camera creata, riscalderà il legno nelle zone periferiche favorendo la combustione dei rametti più piccoli, generando successivamente l’accensione delle zone superiori della piramide. Quando la temperatura raggiunge determinati livelli (che verrano descritti in seguito), il fumo inizierà a diradarsi e con una buona areazione interna il fuoco si alimenterà creando cenere dopo aver generato una brace fumante e profumata dalle emissioni di combustione della legna. Questo è ciò che darà carattere alle nostre cotture. La brace formatasi potrà essere gestita con l’utilizzo di una paletta in acciaio e opportunamente distesa secondo le proprie esigenze. Attualmente, in commercio, è possibile trovare dell’ottima carbonella di legna e delle bricchette compatte con un alto potere comburente, questi favoriscono la creazione di una brace riducendo drasticamente i tempi di realizzazione. Questi ultimi però privano il Griller dell’atmosfera e della magia che si crea davanti alle fiamme vive e danzanti. Un buon fuoco e delle buone braci sono un ottimo punto di partenza ma non rappresentano ancora il termine Barbecue. Il barbecue, in italia, è qualcosa di sottovalutato e scontato, ricondotto troppo spesso al termine “grigliata” che è invece qualcosa di completamente e profondamente diverso. Il barbecue è un metodo di cottura, è uno stile che permette un ritorno alle origini di ogni tempo. Dal paleolitico al medioevo, dagli egiziani ai samurai, dai maya agli esquimesi, tutti questi popoli hanno utilizzato il fuoco per preparare i cibi e in molte parti del mondo è ancora l’unico modo possibile di cuocere. Variano le materie prime, variano le culture gastronomiche, variano le lingue, variano forse anche i gusti ma il fuoco è una profezia della globalizzazione moderna. Che si chiami yakitori o kebab piuttosto che churraso o asado o tandoori, tutti questi hanno in comune l’aroma portante lasciato dal fumo di legna. Gli americani sono i maestri indiscussi di questo metodo di cottura. Importato dai popoli caraibici che lo introdussero con il nome di barbacoa, il barbecue può essere oggi considerato l’unico stile nativo e originale del continente d’oltreoceano. Il barbecue si sviluppa nel sud degli Stati Uniti d’america. Dalls in Texas, Charlotte in Carolina, Decatur in Alabama, Memphis nel Tennesse e Kansas City nel Missouri, sono universalmente riconosciute come le capitali del Barbecue. I Barbecue Joint sono ovunque e ognuno di essi è un’esperienza unica fatta di carne, salse e fumo. Barbecue in Texas significa Beef Brisket: la punta di petto del manzo. Pit boss americani affumicano questi pesantissimi e tenaci tagli di carne anche per 24 ore a bassa temperatura fino ad ottenere una delle piu grandi preparazioni che un uomo potrebbe mai assaggiare nella vita. Barbecue in Alabama significa “Pork & Hickory”. Il pulled pork è una preparazione a base di straccetti di spalla di maiale affumicata con legno di Hickory (una particolare varietà di noce) per tempi lunghissimi fino a quando si disfa a brandelli solo tirandola con le mani. Il Barbecue a Kansas City significa Ribs. Non si sentirà mai un’abitante del Missouri dire “costine affumicate” perché per loro, affumicarle, rappresenta l’unico modo possibile e ammissibile di mangiarle. Vengono affumicate a lungo e spennellate con una densa, pungente, dolce e spessa salsa barbecue a base di pomodoro. L’aroma di affumicato rimane per giorni sulle dita anche lavandole con il sapone. Il Brisket, Il Pulled Pork e le Ribs vengono denominate “The Holy trinity of American Barbecue” cioè la santissima trinità del barbecue americano. Il barbecue in italia è la grigliata. Non esiste una cultura dell’affumicatura ma tutti ne vanno pazzi. Pancette, salmone, salami, formaggi affumicati spopolano nei nostri supermercati ma è praticamente impossibile trovare un affumicatore. L’italia gode di una grandissima stima per la sua cultura enogastronomica. Molti Chef italiani sono rinomati nel mondo per le loro doti artistiche ma veramente pochi, oggi, utilizzano il barbecue. Il Maestro Vissani e pochi altri estimatori riescono ad avere in carta dei polli allo spiedo cotti alla vecchia maniera. Oggi la gastronomia italiana si spinge verso confini filosofici che solo gli addetti ai lavori comprendono o dicono di comprendere per non ammettere di non aver capito le “sinusoidi” del gusto elaborate da qualcuno. L’alta cucina per qualcuno è “troppo” alta e gli amanti della cottura sul fuoco vivo amano la materia, il gusto, le sensazioni del palato, non della mente. Il barbecue è uno stile che ha carattere e forza. I sapori sono intensi e rustici proprio come quelli che ci hanno accompagnato l’uomo nella sua evoluzione. Molto di ciò che vedrete vi farà storcere il naso come in ogni condizione in cui si è costretti a giudicare qualcosa con un metro non adeguato. La questione fondamentale è che il fumo sovrasta ogni cosa. Sarà sempre persistente e dominante pertanto l’accostamento degli ingredienti dovrà avere la forza necessaria a bilanciare l’esperienza gustativa. Per fortuna, la nostra cultura culinaria è in grado di offrire delle tecniche che permetteranno di ottenere dei piatti raffinati e di stile pur essendo cotti nel carbone. Le tecniche elaborate dagli americani unite allo stile raffinato della cucina italiana o comunque mediterranea, darà vita ad un matrimonio di sapori che andrà ben oltre la semplice salsiccia arrostita. Il barbecue italiano moderno è ancora tutto da scrivere. Burro aromatizzato Come per l’olio, il burro aromatizzato è un tocco di sapore eccellente in molte preparazioni. La procedura è semplice: si lascia il burro a temperatura ambiente fino a quando raggiunge una consistenza cremosa. A questo punto possiamo aggiugere i nostri aromi: prezzemolo, basilico, semi di coriandolo, scorza di limone, aglio, gorgonzola, noci, cipolla, rafano e quant’altro. Una volta mescolato per bene, aiutandosi con un foglio di pellicola, si avvolge a mò di caramella e si ripone nel freezer per farlo rapprendere. Usata a piccoli dischi affettati su una bistecca alla griglia per esempio, inizierà subito a fondere e a fornire quel piccolo tocco di “unto” unito ai profumi degli aromi che abbiamo mescolato. Il RUB “To Rub” è un termine inglese che significa “strofinare”. Nella pratica del barbecue, il rub, è un misto di spezie, sapientemente mescolate, che ha la funzione di aromatizzare la carne e al contempo “proteggere” i tessuti. La funzione protettiva è data dalla formazione di una crosta di spezie che limiterà la fuoriuscita dei liquidi in cottura. Esistono piu ricette di Rub negli Stati Uniti che di sughi di pasta in italia. Le linee guida di creazione di un rub da utilizzare nei nostri barbecue sono poche ma fondamentali. Un rub ha sempre delle spezie chiamate di “carrier” o portanti. Significa che tali spezie sono presenti in quantità maggiore rispetto alle altre. Le spezie di carrier in un rub sono il sale, la paprika dolce, lo zucchero grezzo di canna e il pepe (nero o bianco). Questo, che prende il nome di “four-four rub” (4 parti uguali di tutto) è già un rub fondamentale che fornisce di per se una aromatizzazione di base. Da questa base comune, si parte aggiungendo altri aromi che forniscono diverse aromatizzazioni e ovviamente diverse intensità di sapore. Aggiungengo al fourfour rub una quantità di aglio in polvere e cipolla in polvere si ottiene un rub chiamato “All purpose” rub, cioè per tutti gli usi. Va bene su carne, pesce e su tutto il resto. Da quest’ultimo poi partono le declinazioni che tendono a personalizzare il rub. Rosmarino o origano per il pollo, ginepro, chiodi di garofano per il manzo, dragoncello, timo e aneto per il pesce e così via. Uno stile molto diffuso è quello chiamato Cajun. I Cajun sono un popolo che ha radicalmente modificato la cultura di New Orleans e che possiede una tradizione gastronomica molto interessante. La marinatura Nella cottura alla griglia, ma non solo, la marinatura è una procedura certamente non obbligatoria ma sicuramente di grandissimo effetto per i motivi seguenti. CALORE SECCO La cottura alla griglia, specialmente su braci di carbone naturale, genera un calore detto “secco”. Il calore secco si ha quando l’umidità relativa dell’ambiente riscaldato è molto basso o anche nulla. Questo ambiente dalla bassa umidità tende a far asciugare i liquidi presenti sui cibi. La carne o le verdure quindi si seccano in fretta. Quante volte vi capita di fare una grigliata di salsicce o di costine di agnello che diventano molto asciutte dopo una decina di minuti? La griglia non permette di utilizzare liquidi in cottura. Un petto di pollo in padella, per esempio, viene sempre cotto con almeno un filo d’olio. L’olio chiaramente non evapora e la padella riesce, per sua conformazione, a “contenere” comunque dei liquidi che fuoriescono dalla carne. Nella griglia, invece, date le temperature altissime e l’impossibilità di poter utilizzare alcun liquido di cottura date le griglie, la possibilità che i liquidi evaporino è elevata. Quelli che non evaporano cadono sulle braci e si vaporizzano istantaneamente. Allo stesso modo, spesso, gli olii presenti in superficie, in caso di temperature elevate, raggiungono il punto di fumo e bruciano. Spesso si tenta di cuocere sulla griglia, gli stessi tagli di carne che si usano in padella. Filetto, controfiletto, bistecche varie che abbiamo preso dal macellaio di fiducia a cui non abbiamo risparmiato il “mi raccomando, bella magra”. La carne magra, se cotta alla griglia, offre dei risultati davvero scadenti. La carne, specialmente se “ben cotta” (e sarebbe piu corretta chiamarla “mal cotta”) ha la stessa consistenza di una barretta di crusca. Non sa di nulla ed è gommosa. Perchè la carne cotta non sa di carne? Perchè le informazioni di sapore della razza sono contenute nel grasso dell’animale e non nelle sue proteine. Il sapore del manzo sta nel suo grasso, quello del maiale, nel suo grasso e così via. La cottura alla griglia è adatta per tagli che abbiano almeno il 20%, meglio il 30%, di materia grassa intrinseca. Ciò non vuol dire che dobbiamo mangiare tutto il grasso ma semplicemente che in cottura, una parte di grasso fonde e spandendosi sulla superfice impedirà all›acqua di evaporare (che rimane al di sotto) e insaporirà la parte magra. Il resto lo toglieremo nel piatto. I tagli magri, che non hanno grasso quindi, vanno reintegrati di materia grassa. TENACITA’ DELLE FIBRE Quanto è facile trovare una bistecca tenera? Non so da voi ma per me è davvero complicato. Il grado di tenerezza di una carne dipende dal suo periodo di “frollatura”. In poche parole, la frollatura è il tempo di permanenza delle carni, in celle frigo a temperature ed umidità appropriate, che va dal momento dell’abbattimento dell’animale al momento della cottura. Piu è lungo questo periodo piu la carne “sa di carne” e piu è tenera. Per tutta una serie di motivi, oggi, i periodi di frollatura, purtroppo non vanno quasi mai oltre le 2 settimane. Ne deriva una carne ancora “tenace” che quando cotta opporrà comunque ancora resistenza al taglio e alla masticazione. Calore secco, carenza di grasso e tenacità delle fibre sono i problemi da risolvere per ottenere dei buoni risultati. QUANTO CUOCE L’ALIMENTO? Stabilito il tempo di cottura possiamo stabilire quanta acqua evaporerà. Un filetto da 4-5 cm cuoce in non piu di 10 minuti. Una coscia di pollo con sovracoscia avrà bisogno di una buona mezzora. Tempo di permanenza piu lungo, maggiore evaporazione. Piu grasso sarà presente, piu sarà difficile che la carne si secchi. QUANTO E’ DURA LA CARNE? C’è poco da dire, una sella di coniglio o un pezzo di punta di petto di manzo? La differenza è abissale. Piu la carne è ricca di tessuto connettivo piu sarà dura a meno che non intervengano dei processi che riescono a trasformare il tessuto connettivo in gelatina ma serve lungo tempo e tanta umidità. FINALMENTE LA MARINATURA La marinatura è il mezzo che ci consente di correggere i difetti che abbiamo elencato sopra. Ci permette di insaporire, imbibire e intenerire le carni da cuocere alla griglia. La marinatura deve essere necessariamente composta dai seguenti elementi: Grasso o Olio, Acido, Sale, Erbe o spezie o entrambe. L’olio ha la funzione di dare il tocco di “sapore” alle carni che ne sono carenti ma soprattutto riesce a “veicolare” i sapore nella carne. Si possono utilizzare olio extravergine, olio di semi, burro, panna, latte, strutto, latte di cocco. E’ l’ingrediente che fornisce “corpo”. L’acido è la componente fondamentale della marinatura che è il fulcro di due parametri fondamentali ossia la concentrazione della marinatura che a sua volta determina il tempo di marinatura. Gli acidi possono essere piu o meno concentrati che in base al tempo di marinatura determinano le modificazioni delle proteine. Riescono praticamente a “cuocere” l’alimento. Vino, birra, succo di limone, senape, aceto di vino, aceto di mele, aceto balsamico, Worcestershire sauce, Tabasco, succo di agrumi in genere, succo di mela, succo d’ananas (potentissimo nell’intenerire), yogurt magro e tutti quei liquidi a ph acido. QUANTO ACIDO E PER QUANTO TEMPO La concentrazione della marinatura, cioè la quantità di acido presente, insieme al tempo di marinatura cioè al tempo di permanenza della carne nell’emulsione, determina il grado di intenerimento e insaporimento delle fibre. Ricordiamoci però che la marinatura non andrà mai in profondità; è un processo superficiale. La cosa cambia se decidiamo di marinare piccoli pezzetti di carne, magari da infilzare su uno spiedino. Dei piccoli pezzi di petto di pollo lasciati 24 ore in un’emulsione a base di succo d’ananas risulteranno praticamente della stessa consistenza di una gelatina. Si sfalderanno solo toccandoli. Ovviamente la scelta dell’acido e del tempo di marinatura “decide” il sapore finale dell’elemento. Maggiore concentrazione, maggiore permanenza, minore percezione del gusto originale. Bilanciare e sperimentare è l’unica via percorribile. Le Erbe e le Spezie sono la chiave di volta, personalizzano il sapore finale: Semi di finocchio, bacche di ginepro, coriandolo, cumino, basilico, dragoncello, salvia, scorza di agrumi.... Qui è solo la nostra fantasia a dettare regole sempre in accordo con gli altri ingredienti chiaramente. Il sale è il catalizzatore delle reazioni osmotiche tra gli umori della carne e quelli dell›emulsione della marinatura. Praticamente il sale è l’elemento capace di “attivare” l’effetto spugna della carne. I liquidi esterni entreranno nella carne e viceversa. Maggiore è la quantità di sale, maggiore la perdità di liquidi della carne che difficilmente verranno bilanciati. In definitiva, il sale nella marinatura deve essere in piccole quantità e diciamo “non sufficienti” a salare l’alimento. LE PROPORZIONI DELLA MARINATURA E COME USARLA Non è semplice ma un riferimento potrebbe essere una parte di grasso o olio, due parti di acido, il 2,5% di sale ed erbe a piacere. Un mixer a bicchiere e uno stabilizzante (lecitina di soia, senape, xantana, carragenina) ci aiuterà a tenere insieme l’emulsione. Il grasso cioè si dividerà in particelle piccolissime che saranno in grado di rimanere legate, grazie allo stabilizzante. L’emulsione quindi sarà il liquido in cui immergeremo la carne per il tempo stabilito. La marinatura va sempre effettuata in frigo e il contenitore deve essere sempre coperto. Terminato il tempo di marinatura, questa deve essere buttata via e la quella in eccesso rimossa con un panno. Non spennellare la carne con la marinatura residua in quanto potrebbe esserci della carica batterica residua. Adesso a voi la scena e inventate la vostra marinatura. Emulsioni Con il termine “emulsionare” ci si riferisce ad una procedure che permette di “legare” due liquidi altrimenti non legabili. Ricordate l’esperimento in aula di scienze? Mettiamo dell’olio e dell’acqua in un bicchiere e notiamo che l’acqua rimane in basso e l’olio si deposita in superficie. Anche mescolando energicamente riusciamo a mischiarli per qualche minuto ma lasciando riposare, torneranno allo stato originale. Limone e aceto invece si mescolerebbero senza problemi e sarebbe impossibile separarli. Per legare i due liquidi, in cucina, occorre una sostanza chiamata “stabilizzante”: uno stabilizzante sarà in grado di tenere insieme due liquidi, solitamente un olio e un liquido acquoso. In questo modo si potranno creare condimenti, salse e marinature con sostanze che altrimenti non potrebbero stare insieme. Un esempio? Una bella marinatura per dei bocconcini di coniglio può essere fatta con burro, centrifugato di carote, succo d’arancia, miele millefiori e scorza di limone. Aggiungendo uno stabilizzante, per esempio un cucchiaino di senape o di lecitina di soia e agitando vigorosamente (meglio usare un frullatore a immersione), otterremo un liquido liscio, perfettamente amalgamato (appunto emulsionato) che sarà in grado di veicolare meglio i sapori della marinatura. Altra emulsione per condire una braciole di maiale alla griglia: Olio extravergine, aceto balsamico, succo di mela e un pizzico di cannella, il tutto tenuto insieme dalla solita senape o lecitina. Otterremo una salsa aromatica e molto saporita. Le emulsioni sono una base praticamente infinita di condimenti, salse e marinature sfiziose e particolari. La senape e la maionese, ad esempio, sono due emulsioni naturali comunemente utilizzate in cucina. Le salse barbecue Dire Barbecue Sauce in america è come dire sugo per la pasta qui in italia. A quanti e quali sughi potremmo riferirci? Tanti, troppi e tutti diversi che meriterebbero di essere elencati. Se prendiamo a riferimento il termine “salsa” ci accorgeremo subito che esistono, anche qui, profonde differenze tra noi e i fratelli d’oltreoceano. Da noi, la salsa è un liquido, un fondo di cottura, un condimento una crema, un frullato, un centrifugato, una dadolata di gusti e chi piu ne ha piu ne metta. La salsa non è definibile concettualmente perché in questa specifica preparazione, la fantasia domina sovrana. In america la musica è diversa. La salsa barbecue DEVE avere determinati requisiti che variano in base alla locazione geografica. Iniziare il discorso delle salse barbecue sarebbe troppo lungo e davvero infinito. Daremo solo una piccola infarinatura su quelle piu famose: Alabama : White Sauce Kansas City: Traditional thick tomato based sweet smoky and spicy barbecue sauce (niente paura….) North Carolina Tangy hot red vinegar sauce South Carolina Mustard sauce La prima, white sauce o salsa bianca è a base di aceto, maionese, pepe nero e altre sostanze piu o meno segrete. Ha un gusto molto pungente e si sposa ottimamente con ogni preparazione al barbecue. Spesso utilizzata per il pollo. La seconda indica una salsa tradizionale, molto densa, a base di pomodoro e aceto di mele, molto piccante e spesso affumicata. E’ la classica salsa barbecue che gode di una notorietà molto diffusa, addirittura si trova anche in commercio in italia. La terza non è una vera e propria salsa: è sostanzialmente dell’aceto di mele in cui si aggiunge zucchero, peperoncino a scaglie e appena un po’ di concentrato di pomodoro per colorarla. Sembra molto banale ma è ottima sugli straccetti di maiale affumicato, il classico pulled pork. La quarta è a base di senape, pepe, peperoncino e salsa worcestershire. Molto pungente, acida e piccante, di difficile collocazione in un menu italiano ma molto apprezzata nel sud della Carolina. Secondo la mia esperienza, la Kansas City BBQ Sauce, che trova la massima espressione nella K.C. Masterpiece Barbecue Sauce inventata da Rich Davis, ha certamente i requisiti per essere amata da molti anche nel nostro paese. Così come la White Sauce inventata nel 1925 dal grandissimo Big Bob Gibson, uno dei primi e piu grandi Pit Boss della storia del Barbecue americano. Le altre rimangono per i soli e veri estimatori dell’American Barbecue. Impareremo a preparare una famosa salsa barbecue dello stile di Kansas City in cui è presente un’ingrediente molto particolare: Il Jack Daniel’s Scotch Whiskey. Olio aromatizzato L’olio aromatizzato è un tocco di stile per i vostri piatti. Come tutti sanno, è una prassi terminare la presentazione di un piatto con un goccio di ottimo olio extravergine. Gli olii non sono tutti uguali e ognuno può avere una connotazione specifica in base al piatto: ogni cultivar offre fragranze diverse e aromi particolari all’olio. Esistono olii molto delicati come ad esempio quelli liguri o del garda oppure olii molto robusti come i pugliesi e i siciliani. Un olio delicato può essere ottimo nelle insalate o sul pesce o su tutte quelle preparazioni dai sapori delicati, l’olio robusto si abbina invece a piatti di una certa importanza come ad esempio della carne alla griglia o delle zuppe di legumi. Aromatizzare un olio può avere diversi scopi: a volte si cerca di “colorare” gli olii per schizzare i piatti con note colorate di sapore, a volte si cerca invece di infondere gli aromi particolari di una spezia o di un erba. Non è una regola ma solitamente, se vogliamo solo colorare un olio, utilizzeremo un’estrazione “a freddo”. Per un olio al prezzemolo, per esempio, potremo frullare insieme olio e prezzemolo in un robot da cucina, lasciare decantare e filtrare facendo attenzione a non far cadere le particelle solide che renderebbero torbido l’olio. Questo bell’olio verde darà un tocco di sapore ma non avrà dei sapori percepibili. Al contrario, l’estrazione “a caldo” si esegue quando è necessario estrarre gli olii essenziali da una spezia o da un’erba. Un olio al cumino per esempio, si può ottenere scaldando a 60°C le spezie e l’olio e lasciando per qualche tempo a temperatura costante. In questo caso, piu lungo, l’olio avrà uno spiccato sentore della spezia che abbiamo scelto. Si possono tutte le spezie di nostro gradimento e volendo un misto tra i due tipi di estrazione per insaporire prima e colorare dopo il nostro olio. Si possono, ad esempio, estrarre gli olii essenziali della scorza di limone a caldo per poi colorare l’olio con della curcuma per renderlo di un bel colore giallo. Un goccio di olio al pepe e rosmarino può certamente trasformare un semplice petto di pollo ai ferri dell’ultimo minuto, in un piatto sfizioso, colorato e dietetico. commenta questo articolo Di che tinta sei? Sei diventata nera, nera, nera, sei diventata nera come il carbon! Qualcuno ricorda questa canzone estiva? Ma come ci si abbronza senza carbonizzarci? Come prepararsi alla tintarella A Una buona notizia! La storia di Federico Vi ricordate Federico? Il ragazzo che nell’estate 2012 e 2013 vi accoglieva alla reception? Beh, quel ragazzo ha fatto strada. Ormai 26enne, dopo essersi laureato lo scorso anno in ingegneria ha ideato insieme ad un suo amico “Makoo”, una piattaforma online in grado di “materializzare le emozioni”. Parlando direttamente, tramite il microfono del vostro PC potrete realizzare un anello, un bracciale o qualsiasi amuleto così come vi sarebbe sempre piaciuto avere. A partire da un messaggio vocale, che verrà registrato direttamente sul sito www.makoojewels.com, sarà possibile realizzare ed acquistare dei gioielli unici e personalizzati che saranno plasmati e generati proprio dalla voce registrata. L’idea ha riscosso davvero molto successo e recentemente ha visto Federico presentare il suo progetto in Italia, Irlanda, Israele e Stati Uniti. Per scoprire come funziona guarda il video https://vimeo.com/87579235 se invece vuoi creare il tuo gioiello Makoo vai direttamente su www.makoojewels.com S iamo un paese, come dice il nostro presidente nel suo editoriale, siamo il dolce paese al quale facciamo ritorno. Un paese piccolo ma pieno di gente, di persone competenti nel loro campo, professionisti nel loro settore, persone che hanno sogni e vorrebbero realizzarli. A queste persone chiediamo di farsi avanti e di dirci in cosa sono bravi e cosa possono insegnare, in cosa possono consigliarci, quali le loro passioni e in che maniera trasmetterle. C’è qualcuno disponibile a “regalare” il proprio tempo per insegnare ai nostri ragazzi un’attività ludica, sportiva, culturale, musicale? Se amiamo il nostro piccolo paesino sappiamo che dovremo lasciarlo ai nostri figli, insegniamo loro a ereditare il testimone per far continuare a vivere questo posto e gettiamo il seme del sapere per crescere tutti insieme. Guardate, se volete, l’intervento di Sir Ken Robinson a TED, è divertente ed educativo e, sono sicuro, vi stimolerà a partecipare. tutti piace mettersi al sole a prendere la tintarella, ma molti non sanno che, oltre agli effetti positivi che l’abbronzatura dona, ci sono diversi inconvenienti legati ad una cattiva esposizione ai raggi solari. I raggi ultravioletti, principali responsabili della tintarella, producono diversi effetti sulla pelle, di cui alcuni positivi e benefici ma altri che rappresentano seri svantaggi e quindi pericolosi rischi da evitare. Sintetizzando, i benefici e gli svantaggi legati alla tintarella possono essere riassunti nei seguenti: BENEFICI - Stimolazione della formazione di melanina Azione disinfettante a livello della cute Sintesi della vitamina D Effetto estetico - Colpi di sole, eritemi, edemi Produzione di peluria Invecchiamento della pelle Causa di tumori della pelle, melanomi, ecc. SVANTAGGI Dobbiamo essere consapevoli di quanto un’eccessiva esposizione ai raggi ultravioletti possa risultare dannosa. I melanomi più pericolosi, infatti, provengono da brevi e intense esposizioni al sole, tipiche delle brevi vacanze estive. Dunque, sapersi difendere dai danni che il sole può causare alla pelle è davvero importante. Naturalmente se l’esposizione al sole è graduale, in ore adatte, opportunamente distanziate, la pelle riesce a difendersi da sola dai danni sia immediati che cronici. Se l’esposizione è invece eccessiva o troppo brutale, la cute diventa anelastica, giallastra, opaca e abbellita solo per brevi periodi da un’abbronzatura temporanea. Ci sono, comunque, alcune regole basilari dettate dai dermatologi e dal buon senso che non sono certamente una novità, ma considerando il grande numero delle vittime che il sole fa ogni anno, vale sempre la pena di ribadire. Come prepararsi? Non si può pensare di affrontare il sole estivo con il colorito da topo di biblioteca che ci ha donato l’inverno. Ecco che allora un paio di lampade preparatorie, effettuate con tutte le precauzioni del caso, stimoleranno il nostro corpo a sintetizzare melanina, il pigmento bruno prodotto da cellule speciali dette melanociti che serve a proteggere la nostra pelle dai dannosi raggi ultravioletti. In alternativa cercate di sfruttare il sole primaverile meno potente e diretto per mettere le basi alla vostra abbronzatura; un pomeriggio al parco a leggere un buon libro è sicuramente una soluzione più piacevole e naturale. Inoltre, è bene sempre esporsi al sole con gradualità. In particolare, non fidatevi delle sensazioni, ma limitare molto il tempo di esposizione nei primi giorni. Di che fototipo sei? Il fototipo individua la sensibilità di un soggetto verso l’esposizione ai raggi solari. Esistono diversi fototipi a seconda delle caratteristiche presentate da pelle, peli e capelli dei diversi soggetti: FOTOTIPO 0: Sono i soggetti albini che non hanno melanociti; i peli sono bianchi, la pelle bianchissima e gli occhi sono chiari; non hanno difese per mancanza di melanina quindi devono evitare le esposizioni solari sia naturali che artificiali e usare prodotti cosmetici solari a protezione totale, anche perché senza melanociti non ci si abbronza mai. FOTOTIPO 1: Sono i soggetti chiari, che hanno i capelli rossi o biondissimi hanno poca melanina e devono perciò usare prodotti ad alta protezione ed esposizioni molto brevi. I soggetti di questo fototipo si abbronzano con estrema difficoltà. FOTOTIPO 2: Sono i soggetti bianchi con pelle chiara che più che abbronzarsi assumono un certo colorito. FOTOTIPO 3: Sono soggetti castani; devono usare prodotti con moderata protezione ed esposizioni moderate soprattutto durante i primi giorni perché si scottano. Riescono comunque a scurirsi. FOTOTIPO 4: Sono i soggetti con pelle e peli tendenzialmente scuri che si scottano solo nei primissimi giorni ma poi si abbronzano bene perché hanno molta melanina. Ma anche il pesce fresco, e in particolare il merluzzo, le acciughe, le sarde, il tonno, sono particolarmente indicati, perché forniscono acidi grassi polinsaturi omega 3 e omega 6. Inoltre i pomodori, sia crudi che utilizzati per il sugo, contengono licopeni, carotenidi molto efficaci. Infine, le proteine di origine animale contenute nel latte, nelle uova e nella carne aiutano l’organismo a contrastare l’aggressione del calore e dei raggi solari. Factor) adeguato. Infatti, più alto sarà il fattore di protezione più sarete protetti: la numerazione stabilisce quante volte in più potete stare al sole rispetto all’assenza di filtro solare. I filtri fotoprotettori dovrebbero avere la capacità di proteggere la pelle anche dopo essere venuti a contatto con acqua, umidità o sudore. Questa caratteristica di alcuni filtri è determinata dalla presenza di derivati acrilici nella composizione del prodotto. Ci sono due categorie di filtri resistenti: i water-resistant, che mantengono il loro fattore di protezione anche dopo 40 minuti di contatto permanente con l’acqua, e i waterproof, che agiscono anche dopo 80 minuti. Dopo il sole Dopo essersi esposti al sole con le dovute precauzioni, è importante dare alle pelle tutte le attenzioni necessarie per ripristinare l’equilibrio e contrastare la produzione dei radicali liberi che aumenta decisamente durante l’esposizione al sole. Alcuni consigli utili nei periodi post-esposizione solare sono: - Integrare nella dieta le vitamine A, C ed E, perché sono dotate di grande potere antiossidante (contrastano i radicali liberi). La vitamina A e la vitamina C si trovano negli ortaggi e nella frutta, la vitamina E invece è presente nei formaggi freschi, nel burro e nell’olio, oltre che nel pesce fresco. - Seguire una dieta il più possibile completa, fondamentale per ricostituire tutte le riserve di minerali, vitamine, lipidi e liquidi persi sotto il sole. Esistono due tipi di filtri solari: fisici e chimici FOTOTIPO 5: Sono i soggetti mediterranei con tantissima melanina e quindi già protetti dalle radiazioni solari, infatti si scottano raramente. Si consiglia comunque cautela e l’uso di cosmetici che riparano dai raggi UVB responsabili degli eritemi e che maggiorano l’effetto degli UVA. FOTOTIPO 6: Corrisponde alla pelle di colore che offre la massima protezione contro gli UV perché i melanociti degli afro-americani sintetizzano incessantemente, anche in assenza di sole, dei grossi melanosomi ricchi di melanina (come più volte è stato detto nel corso di questa prima parte), che occupano tutto lo spessore epidermico fino allo strato corneo. Una volta presa coscienza del fototipo si possono scegliere le creme protettive più adatte. Tenete presente che anche coloro che si scottano più difficilmente devono proteggersi comunque, soprattutto nelle prime esposizioni. Ovviamente vale sempre la precauzionze di prendere il sole gradualmente e di evitare tassativamente le ore in cui il sole è a picco (dalle 12 alle 15/15,30) dove i raggi del sole sono nocivi e pericolosi per tutti i tipi di pelle. Con gli anni, tutti sono diventati sempre più informati ed esigenti, ed ognuno sa benissimo quali sono le abitudini giuste da adottare quando si va in spiaggia e qual è la crema più adatta al suo fototipo, perché tutti vogliono essere abbronzati, ma nessuno vuole provare le sofferenze delle scottature! I più accorti sono sicuramente quelli con una pelle molto chiara, sempre alla ricerca di creme che non facciano passare neppure l’ombra di un raggio di sole. Ma sarà vero? E’ una questione controversa, visto che scienziati e commissioni tecniche mettono in guardia dalle rassicuranti etichette che parlano di schermo totale e dall’intreccio sulle confezioni di sigle e metodi di misura che sono spesso differenti fra loro e di difficile interpretazione per il consumatore. Usare di una crema protettiva con un SPF (Sun Protection 1. I filtri fisici sono opachi e funzionano come una barriera, riflettendo e filtrando la maggior parte della luce visibile e delle radiazioni UV. Sono di solito utilizzati per le parti del corpo più sensibili (narici, labbra, dita dei piedi). 2. I filtri chimici assorbono e riducono le radiazioni che arrivano alla pelle, filtrando le lunghezze d’onda nocive. E’ importante continuare a proteggersi anche se si è già abbronzati: l’abbronzatura attenua solo parzialmente le radiazioni UV (equivale ad un FPS di circa 4). Per questo, nella scelta del filtro solare, iniziare con un SPF alto durante le prime esposizioni, per poi abbassarlo nei giorni successivi. Inoltre, le radiazioni UV agiscono anche quando la temperatura è mite: ci si può scottare anche quando il cielo è nuvoloso e non fa eccessivamente caldo. Scegliete un filtro solare che ripari sia dai raggi UVA (i maggiori responsabili dell’invecchiamento precoce), sia dai raggi UVB (causa di scottature, macchie scure, rughe) ed applicatelo in modo uniforme e, per lunghe esposizioni al sole, riapplicatelo ogni due ore. Per utilizzare in maniera ottimale filtri solari e abbronzanti è bene seguire alcune norme basilari: prima di tutto applicare il filtro in casa, circa 30 minuti prima dell’esposizione al sole e mai quando si è già in spiaggia o all’aperto. Applicarlo nella quantità necessaria e sulla pelle asciutta. In caso di bagni, il filtro deve essere nuovamente applicato. Idratazione La pelle al sole perde liquidi, che vanno assolutamente reintegrati. Un consiglio è quello di bere molto. Infatti il sole e il caldo tendono a disidratare la pelle rendendola più vulnerabile, e non ci sono creme idratanti che reggano il confronto con una buona bottiglia d’acqua. Sono particolarmente indicati anche i succhi di carota (il betacarotene che contengono favorisce la produzione di melanina), mentre sono da evitare vino e birra (l’alcool ha infatti l’effetto contario), o bevande gasate e zuccherate che oltre a non essere salutari potrebbero influire negativamente sulla vostra linea. Alimentazione Sappiamo tutti che, soprattutto quando ci esponiamo al primo sole l’alimentazione gioca un ruolo fondamentale per il benessere della pelle e quindi diventa fondamentale mangiare i cibi giusti, sia per aumentare le difese della nostra pelle, sia per abbronzarci in maniera più efficace. E’ importante aumentare il consumo di frutta e verdura di stagione almeno un mese prima dell’esposizione. Sono da preferire i vegetali ricchi di betacarotene, come albicocche e carote. Il betacarotene aiuta ad assumere un’abbronzatura dorata e a conservarla più a lungo, ma non aumenta la produzione di melanina, dunque non mette al riparo dagli effetti nocivi delle radiazioni solari. Riuscire ad ottenere un’abbronzatura bella e sana allo stesso tempo non è così facile. Una buona crema solare e un buon doposole ci aiutano a non scottarci e a mantenere un giusto livello di idratazione, ma possono non essere sufficienti a prevenire gli effetti nocivi dei raggi ultravioletti come l’invecchiamento, la formazione di rughe, le macchie o i pori dilatatati. Per contrastare questi processi è necessaria l’azione degli antiossidanti, molecole preziose, in grado di combattere i processi degenerativi e garantire maggiore difesa alle cellule del derma e dell’epidermide. Quindi prima di esporci al sole è importante mangiare i cibi giusti. I tipici cibi freschi della nostra tradizione culinaria sono ricchi di antiossidanti a altre sostanze molto preziose per difendere la pelle. L’olio extra-vergine d’oliva, per esempio, che contiene biofenoli. Le carote che contengono betacarotene il cui effetto è molto conosciuto. Inconvenienti Se nonostante questi consigli incorrete in piccoli inconvenienti dopo l’esposizione al sole, ecco un consiglio su come risolverli Occhi arrossati Per gli occhi arrossati fate degli impacchi con una tisana di fiori di fiordaliso. La loro azione disinfiammante calmerà il bruciore. Pelle arrossata Se la vostra pelle presenta arrossamenti, detergetevi con acqua di amamelide, e spalmatevi di crema alla calendula. Per lenire il bruciore Potete provare con un rilassante bagno alla malva, o all’amido di riso, hanno il pregio di lenire il senso di bruciore. Mettetene una manciata abbondante in acqua tiepida. Per pelle fortemente arrossata o con eritema sono necessari interventi più decisi, come l’ olio di iperico o di aloe, che idratano e leniscono. Se la situazione è ancora più seria, è utile assumere un centinaio di gocce di ribes nero, anche nei giorni successivi. 30-50 gocce due volte al giorno. Conservare l’abbronzatura Ore ed ore sotto il sole per conquistare una tintarella invidiabile ma, tornati in città bastano poche settimane per tornare al pallido colorito di sempre. Come fare per conservare questo colore dorato il più a lungo possibile? Non disperare basterà seguire questi semplici accorgimenti. 1. Non è l’acqua a portar via l’abbronzatura, per cui fai tutte le docce e i bagni che desideri senza preoccupazioni. 2. Non utilizzare detergenti troppo aggressivi per lavarti, perchè doccia dopo doccia seccano la pelle e sbiadiscono il colore. 3. Utilizza detergenti ultradolci specifici per le pelli abbronzate, che detergono nel pieno rispetto della pelle e non lavano via l’abbronzatura. 4. Mantieni la pelle sempre molto idratata, è molto importante. Infatti, se la pelle è secca finisce per squamarsi, se viene idratata a fondo invece si mantiene elastica e compatta e il colore dura di più. Cospargiti di crema idratante alla sera prima di andare a letto (anche senza farla assorbire completamente) e al mattino. 5. Fai un bagno idratante periodicamente. commenta questo articolo Volley, fortissimamente Volley! Originario della California e delle Isole Hawaii, il beach volley è ora uno sport molto popolare anche in regioni che non presentano una linea costiera, come la Svizzera. l beach volley è uno sport di squadra olimpico giocato sulla Isemplice sabbia. Nato come variante del gioco della pallavolo, da ricreazione sulle spiagge si è evoluto fino a diventare sport professionistico in vari paesi del mondo. Due squadre di giocatori di due persone ciascuna si scontrano su un campo di sabbia separato da una rete. Come nella pallavolo, lo scopo del gioco è quello di mandare la palla sopra la rete per farla cadere nel campo avversario cercando di opporsi al medesimo obiettivo della squadra avversaria. Ogni squadra ha a disposizione tre tocchi, comprensivi del tocco del muro, a differenza della pallavolo. La palla è messa in gioco con un servizio, ovvero un colpo del servitore diretto sopra la rete al campo avversario. Lo scambio continua fino a quando la palla tocca terra in campo, fuori dal campo (out), o una squadra fallisce nel tentativo di attacco. La squadra che vince lo scambio conquista un punto (Rally Point System). Se è la squadra che riceve a vincere lo scambio, oltre al punto guadagna il diritto al servizio. Il giocatore di servizio deve cambiare ogni volta che si verifica questa combinazione. Originario della California e delle Isole Hawaii, il beach volley è ora uno sport molto popolare anche in regioni che non presentano una linea costiera, come la Svizzera. A livello internazionale, le nazioni più vittoriose sono tra gli uomini il Brasile (166 medaglie d’oro), gli Stati Uniti (54) e la Germania (14). La coppia carioca Emanuel-Alison è Campione del Mondo ai Mondiali di Roma 2011. Tra le squadre femminili conduce sempre il Brasile (124 medaglie d’oro), seguito da Stati Uniti (90) e Cina (17). La coppia di punta brasiliana Larissa-Juliana è Campione del Mondo ai Mondiali di Roma 2011. Assieme all’Australia e alla Svizzera, queste sono le nazioni che con più frequenza sono salite sul podio degli eventi FIVB e olimpici. Gli Stati Uniti conducono la classifica di presenze al World Tour (279 eventi), seguiti dall’Italia (216) e dal Brasile (206), facendone le nazioni più attive nel panorama internazionale. Regole di gioco Le regole del gioco si differenziano da quelle della pallavolo principalmente per: · area di gioco · numero di partecipanti · sistema di punteggio · caratteristiche del tocco · cambio campo · caratteristiche del pallone L’area di gioco è un rettangolo di sabbia che misura 16x8m, profondo almeno 40 cm e composto da una sabbia fine ma non appiccicosa, circondato da una zona libera larga almeno 3m e con uno spazio libero sopra l’area di gioco di almeno 7 m. Il campo è delimitato da linee di gioco larghe 5–8 cm, è assente la linea centrale. L’altezza e le caratteristiche della rete sono le stesse della pallavolo (2.24m per le donne e 2.43 per gli uomini). Il numero di partecipanti per squadra è di 2 giocatori e non sono ammessi cambi. I giocatori sono liberi di disporsi all’interno del campo da gioco, eccezion fatta per il giocatore di servizio. Il fallo di posizione non è previsto. Deve essere rispettato l’ordine del servizio. Un membro della coppia riveste il ruolo di capitano. Si gioca a piedi scalzi, a meno di specifiche e momentanee autorizzazioni. Una partita è articolata in set e la vittoria si assegna al meglio dei tre set. Per vincere un set sono necessari 21 punti, con un vantaggio minimo di due punti. In caso di parità al termine del secondo set, il terzo e ultimo set si assegna alla squadra che ottiene per prima 15 punti con un vantaggio minimo di due punti. Si commette fallo di attacco se la palla viene colpita e indirizzata dalle sole dita con i polpastrelli (pallonetto), o se l’attacco in palleggio ha una traiettoria non perpendicolare alla linea delle spalle (a meno che questo non sia stato indirizzato al compagno). Per effettuare colpi a pallonetto vanno usate le nocche. Qualsiasi tocco, compreso quello di ricezione e difesa, deve essere pulito. La palla non può essere catturata, bloccata, trattenuta o accompagnata. Fanno eccezione l’azione difensiva di un attacco forte, che può essere difeso sopra la testa a mani aperte e l’azione contesa a muro: in entrambi i casi la palla può essere brevemente trattenuta. Il tocco di muro conta come tocco di squadra. Si effettua cambio campo alla fine di ogni set, ogni sette punti e suoi multipli durante il primo e il secondo set, ogni cinque punti e suoi multipli nel terzo ed ultimo set. Questo viene fatto per mediare tra le due squadre le caratteristiche del campo, come insolazione e ventilazione. Il pallone, di pelle sintetica o similari, è ricoperto di un materiale impermeabile. È leggermente più grande di quello da pallavolo (66–68 cm) ed è gonfiato ad una pressione minore (171221 hPa), ma il peso deve essere lo stesso (260-280 g). Nel beach volley è molto in uso segnalare al compagno le intenzioni di muro nella fase “break”. Questi segnali vengono fatti dietro la schiena con entrambe le mani, così da poter differenziare i due giocatori, e sono tendenzialmente quattro: un dito disteso della mano, indica che sul giocatore corrispondente alla mano stessa, si terrà un muro lungo la linea laterale del campo; due dita distese indicheranno invece un muro diagonale; il pugno chiuso indicherà un “pull off”, ovvero una “finta” a muro per raggiungere velocemente la posizione di difesa; la mano aperta indica invece l’intenzione di murare la palla e non una determinata zona del campo. Storia del gioco Il gioco della pallavolo in sala, da cui deriva il beach volley, è stato inventato nel 1895 dall’americano William G. Morgan, direttore della Ymca di Holyoke. Mescolando elementi presi in prestito dal basket, dal baseball, dal tennis e dalla pallamano inventa un gioco per la sua classe di economisti che avesse minor contatto fisico rispetto al basket. Il nome originale è Mintonette, che deriva dalla parola badminton, infatti lo scopo non è altro che quello di far volare -volley- una palla da una parte all’altra della rete. Sebbene si sia giocato a pallavolo sulla sabbia già sulle spiagge della Francia nel 1944 durante la seconda guerra mondiale in Normandia e in Bretagna, e si racconti che qualche squadra maschile abbia giocato sulle spiagge di Waikiki, sulle isole Hawaii, sempre nel 1944, la nascita del beach volley viene fatta risalire al 1930, dove a Santa Monica (California), venne per la prima volta trasferito il campo di pallavolo su sabbia e fu giocata la prima partita di beach volley tra due coppie di giocatori. Nello stesso anno lo sport sbarca oltreoceano in Palavas, Lacanau e Royan in Francia; vicino a Sofia, in Bulgaria; a Praga, nella Repubblica Ceca e a Riga, in Lituania. Nel 1947 si gioca il primo torneo ufficiale a State Beach, California, senza premio in denaro. Vincono Saenez-Harris. Nel 1948 i vincitori del torneo tenuto sempre a State Beach vengono premiati con una cassa di Pepsi. Negli anni ‘50 viene organizzato il primo circuito su cinque spiagge della California: Santa Barbara, State, Corona del Mar, Laguna e San Diego. Il beach volley diventa parte integrante dello stile di vita californiano. Persino i Beatles a Sorrento Beach si dilettano a colpi di palleggi e bagher e Marilyn Monroe parla della neonata disciplina. Il presidente J. F. Kennedy partecipa al primo evento ufficiale di beach volley sulle spiagge di Sorrento Beach a Los Angeles. Nel 1974 Si svolge a San Diego il primo torneo sponsorizzato, con un premio in denaro di 1.500$. Davanti a 250 spettatori sono vincitori Dennis Hare e Fred Zuelich. Nel 1976, a State Beach va in scena il primo campionato di beach volley con in palio 5.000$. Vincono Jim Menges e Greg Leem davanti a 30.000 spettatori. Nel 1980 negli Stati Uniti si svolge il primo tour organizzato, con sette tappe in calendario ed un premio pari a 52.000$. Nel 1984 si ha notizia del primo torneo di beach volley in Italia: viene organizzato al Fantini Club, sulla spiaggia di Cervia. Nel 1986 davanti a 5.000 spettatori, si tiene a Rio de Janeiro la prima esibizione internazionale di beach volley. Nel 1987 sulle spiagge brasiliane di Ipanema viene organizzato il primo torneo internazionale omologato dalla FIVB. La coppia americana, composta da Sinjin Smith e Randy Stoklos, si aggiudica il premio in denaro di 22.000$. Il primo World Tour - FIVB World Series Negli anni 1989/’90 nasce il primo circuito internazionale FIVB di Beach Volley sotto il nome World Series, che include appuntamenti in Brasile, Italia e Giappone. La tappa brasiliana fa registrare il tutto esaurito. Sinjin Smith e Randy Stoklos (USA) si laureano campioni del mondo. Nel settembre 1990 si riunisce a Losanna il primo Consiglio Mondiale della FIVB per stilare un programma di crescita del beach volley. Nel 1992 Il beach volley è presente alle Olimpiadi di Barcellona come sport dimostrativo. In seno alla FIVB viene creata una sezione appositamente dedicata al beach volley. Negli anni 1994/’95 Per la prima volta il beach volley è presente ai Goodwill Games disputati a San Pietroburgo (Russia). Negli anni 1995/’96 Il ranking internazionale FIVB costituisce uno dei criteri che regolano la qualificazione delle migliori coppie ai Giochi Olimpici. Circa 600 atleti, in rappresentanza di 42 Paesi, partecipano al torneo di qualificazione olimpico. Oltre 50 Federazioni Nazionali prevedono al loro interno un Consiglio Nazionale in materia di beach volley per promuo- vere la disciplina nel proprio Paese. La prima Olimpiade Nel 1996 ad Atlanta si disputa la prima edizione del torneo olimpico di beach volley, al quale assistono complessivamente 107.000 spettatori. Karch Kiraly conquista il terzo oro olimpico (due con il volley), aggiudicandosi il primo successo nella specialità. Il podio maschile è nord-americano: oro ed argento rispettivamente per le coppie statunitensi Kiraly-Steffes e Dodd-Witmarsh, bronzo per il duo canadese Child-Heese. Nel torneo femminile, invece, le brasiliane Jackie Silvia e Sandra Pires superano le connazionali Monica Rodrigues ed Adriana Samuel. Terze le australiane Natalie Cook e Kerri Ann Pottharst. Nel 1998 Viene inaugurato il nuovo World Tour Open, che fa tappa anche in Argentina, Canada, Cina e Repubblica Ceca. Il beach volley entra di diritto nelle principali competizioni internazionali, tra cui i Giochi del Sud-Est Asiatico, i Giochi Panamericani e le Universiadi. Con l’obiettivo di offrire possibilità di ascesa ai giocatori di medio livello, la FIVB introduce le categorie inferiori: Challenger, Satellite e i tornei amatoriali. Oltre 120 Paesi svolgono regolare attività di beach volley. Dal 1999 il World Tour è l’unico circuito internazionale riconosciuto dal CIO per la qualificazione ai Giochi Olimpici. Per la prima volta il Campionato del Mondo di beach volley si svolge in Europa, precisamente a Marsiglia. La manifestazione fa registrare 50.000 spettatori complessivi. L’oro va ai brasiliani José Loiola ed Emanuel. Nel 2000 in Australia il beach volley diventa una delle discipline con maggior appeal. Andrea Raffaelli e Maurizio Pimponi hanno l’onore di rappresentare i colori azzurri per l’Italia anche se con scarsi risultati. Le migliori 24 coppie al mondo si sfidano nel meraviglioso impianto di Bondi Beach, che può ospitare fino a 10.000 persone. L’oro di Sidney va agli sta- tunitensi Dain Blanton ed Eric Fonoimoana, vittoriosi in finale sulla coppia brasiliana Zé Marco-Ricardo. Gradino più basso del podio per i tedeschi Jörg Ahmann ed Axel Hager. Le australiane Natalie Cook e Kerri Ann Pottharst, inoltre, si aggiudicano la prova femminile. Argento e bronzo per le coppie brasiliane Behar-Bede e Samuel-Pires. Nel 2001 a Le Lavandou (Francia) si disputa il primo Campionato del Mondo Under 21 (24-26 agosto) con 24 coppie sia nel torneo maschile che in quello femminile. Dal 2002 per incoraggiare la pratica del beach volley tra le giovani generazioni, la FIVB vara i Campionati del Mondo Under 21 ed Under 18 su base annuale. Novità anche sul fronte regolamentare: si riducono le dimensioni del campo (16x8 m) e viene adottata la formula del rally point system. Dal 2003 la Swatch diventa title sponsor del World Tour e partner del Campionato del Mondo. Su manifesti, volantini e biglietti compare il nuovo logo. La tecnologia diventa sempre più protagonista degli eventi, con segnapunti elettronici ed apparecchi per la misura della velocità. Lo Swatch FIVB World Tour si svolge in 22 tappe mondiali (10 maschili e 12 femminili), compreso il torneo di qualificazione olimpico, distribuite su 4 continenti con più di 700 atleti provenienti da oltre 50 Paesi, che concorrono alla cifra record di 5 milioni di dollari. A Rio de Janeiro l’oro mondiale va ai brasiliani Ricardo ed Emanuel. commenta questo articolo Nal 2004 ad Atene 24 coppie maschili ed altrettante femminili partecipano al torneo olimpico che si svolge in 12 giorni. Non solo grande spettacolo in campo, nel magnifico impianto costruito sullo stile degli anfiteatri dell’antica Grecia, ma anche intrattenimento, con il coinvolgimento di 12 ballerini, dj, speaker multilingue e direttori di produzione. Il titolo va ai brasiliani Ricardo ed Emanuel, mentre, gli spagnoli Javier Bosma e Pablo Herrera, vincono l’argento. Terzo posto per gli svizzeri Patrick Heuscher e Stefan Kobel. Le statunitensi Kerri Walsh e Misty May, poi, hanno la meglio sulle brasiliane Shelda Bede ed Adriana Behar. Il bronzo va all’altra coppia statunitense composta da Holly McPeack ed Elain Youngs. Nel 2007 il World Tour si allarga a 34 tappe (17 maschili e 17 femminili), con un premio in denaro complessivo di 8.15 milioni di dollari. Nel 2008 Pechino ospita il quarto appuntamento olimpico di beach volley. Nei 14 giorni di gare si disputano 108 incontri maschili e femminili, che incoronano campioni olimpici gli statunitensi Phil Dalhausser and Todd Rogers. Argento e bronzo per le coppie brasiliane Araujo-Magalhaes ed Emanuel-Ricardo. Nel torneo femminile le statunitensi Kerri Walsh e Misty May-Treanor s’impongono sulle cinesi Tian Jia e Wang Jie. Terzo posto per l’altro duo cinese composto da Xue Chen e Zhang Xi. Nel 2009 il World Tour lancia un nuovo visual dinamico e suggestivo in grado di trasmettere in maniera innovativa e brillante tutta la forza e l’entusiasmo del beach volley: due campioni ritratti in un’azione spettacolare sullo sfondo di un colosseo gremito di fan. Il momento clou dell’anno sono i Campionati del mondo, maschili e femminili, con un montepremi da un milione di dollari, presentati da Conoco Philips dal 25 giugno al 5 luglio a Stavanger in Norvegia. Il premio complessivo del Swatch FIVB World Tour è di 7.7 milioni di dollari. Nel mese di ottobre la FIVB assegna all’Italia l’organizzazione dei Mondiali del 2011. Finale Giochi Olimpici Londra La partecipazione Cerchiamo, tra tutti i campeggiatori, quelli di voi che vogliano scrivere sul nostro foglio informativo e abbiano voglia di comunicare e di trasmettere arte, cultura, scienza, novità, sport, gioco, insomma, tutte quegli interessi che possano contribuire a migliorarci e farci crescere insieme, perchè dove entra la cultura e il sapere entra la libertà. E come diceva un grande cantautore italiano: La libertà è partecipazione. Vi aspettiamo. commenta questo articolo
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