UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI UDINE FACOLTA’ DI LINGUE E LETTERATURE STRANIERE CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN RELAZIONI PUBBLICHE DI IMPRESA Tesi di Laurea Specialistica LO STRANO CASO DEL DISTRETTO DEL MOBILE LIVENZA: Il ruolo della comunicazione ambientale in funzione del processo di Registrazione EMAS Relatrice: Dott.ssa La Caria Mariapaola Anno Accademico 2005-2006 Laureanda: Piccinin Elisa A mio padre, che nei miei occhi ha lasciato considerazione per i fatti e parsimonia nelle parole. I …Dopo tutto, il colpevole era Hyde, e Hyde soltanto. Jekill restava quello che era; si risvegliava ogni volta con le sue doti positive apparentemente inalterate; si affrettava perfino, quando era possibile, a rimediare al male compiuto da Hyde. E così la sua coscienza sonnecchiava… R.L. Stevenson Lo strano caso del Dottor Jekill e del Signor Hyde …C’è un territorio industriale e giovane ma dalle origini contadine antiche, che ha una altissima concentrazione di fabbriche ma che contemporaneamente conserva un alto tasso di ruralizzazione… Non è solo Friuli, non è tutto Veneto. Si chiama Alto Livenza, ed è un agglomerato di piccole e medie imprese fucina dello sviluppo nazionale nel settore industriale del legno-arredo, che per sopravvivere ha capito di dover ripensare anche all’ambiente, che ha pensato di farlo partendo dai fatti e non dalle parole, che faticosamente ha deciso di far vincere il Dottor Jekill… III INTRODUZIONE Il presente lavoro desidera contribuire ad offrire spunti di riflessione su molteplici tematiche correlate, riguardanti le modalità di comunicazione interna ed esterna della Corporate Social Responsability (CSR) nelle piccole e medie imprese. Analizzando il caso del Distretto del Mobile Livenza, che ha avviato un processo di certificazione ambientale EMAS coinvolgendo attori sia pubblici che privati, si cercherà di analizzare e approfondire il ruolo della comunicazione e del governo delle relazioni finalizzato al raggiungimento di obiettivi di sostenibilità ambientale. Considerando in prima istanza le implicazioni comunicative che la norma prevede, si tenterà di tracciare un quadro di opzioni e possibilità offerte alle organizzazioni. Tale insieme di strumenti e strategie contribuisce al miglior raggiungimento degli obiettivi ambientali previsti e di riflesso crea un vantaggio in termini di reputazione finalizzato alla crescita del valore d’ impresa. In quest’ottica quindi, la comunicazione non ha finalità meramente pubblicitarie, bensì diventa un volano del processo di responsabilità sociale, in grado di creare educazione, coscienza e sviluppo sostenibile. Tutto ciò impatterà inesorabilmente in un futuro più prossimo di quanto si possa credere anche sulla professione dei relatori pubblici, che saranno chiamati a misurarsi ed operare attraverso il nuovo paradigma etico della comunicazione responsabile. Il presente studio si prefigge di rispondere alle seguenti questioni: La CSR è solo una moda che si declina principalmente in forma comunicativa, oppure è concretamente una nuova filosofia di approccio all’economia sostenibile? Esistono degli strumenti di CSR più "buoni", nel senso efficaci e credibili, in grado di fare realmente la differenza e che non si risolvono in una mera operazione di immagine? come devono essere declinati, per risultare tali? E fra questi, le certificazioni ambientali (ed EMAS nello specifico) possono essere considerate per le loro caratteristiche IV intrinseche una garanzia di responsabilità sociale concreta, non effimera o con scopi puramente di immagine? Qual è il ruolo e il valore della comunicazione in un processo di responsabilità sociale di impresa? Che cosa comunicare, la CSR scelta oppure educare e trasmettere i valori della CSR scelta? Quali sono le principali implicazioni (e complicazioni) nella gestione e coordinamento di strategie comunicative, nel caso specifico facenti capo a diversi soggetti che partecipano al processo di certificazione del Distretto del Mobile Livenza? La CSR nelle piccole e medie imprese (PMI) può essere davvero un fattore competitivo di successo per il rilancio economico del nord-est? Perché essa può essere in grado di assumere tale valore in questo contesto territoriale? Che ruolo possono e devono assumere in questo quadro i relatori pubblici, chiamati ad operare come esperti della comunicazione? Al fine di ottenere validi responsi, il lavoro è stato suddiviso in tre parti, in modo da avviare un percorso graduale che esplicita tutte le componenti e le variabili utili a trarre le conclusioni. La prima parte è dedicata alla definizione del concetto di CSR, alla distinzione fra la responsabilità sociale e l’etica, al ruolo delle relazioni pubbliche e della comunicazione nei processi di sviluppo, ideazione e progettazione della stessa. Sarà inoltre approfondita la questione dell’applicazione delle strategie di CSR nelle piccole e medie imprese. La seconda parte si concentra su uno specifico strumento di CSR, ovvero le certificazioni ambientali, con particolare attenzione ad EMAS, alle sue norme, realizzazioni ed implicazioni (soprattutto comunicative) della sua adozione. Considerando infine il caso del Distretto del Mobile dell’Alto Livenza, che rappresenta il primo caso sperimentale in Europa di Certificazione Ambientale EMAS di tipo produttivo-distrettuale, verranno descritte nella terza parte le scelte strategiche che i vari soggetti hanno operato in campo di comunicazione ambientale, al fine di approdare a delle ipotetiche linee guida di riferimento per le PMI nella comunicazione della CSR ambientale. 1 PARTE PRIMA In un momento storico in cui è in corso un ampio dibattito sull’argomento, sia da parte del mondo accademico, sia da parte del mondo dell’impresa, non è facile scegliere come affrontare il tema della responsabilità sociale delle imprese. In questo senso, una delle maggiori difficoltà consiste nel cercare innanzitutto di tenere presente le molteplici voci discordanti che si alzano contemporaneamente dai diversi fronti, tenendo però anche ben presente che lo stesso dibattito spazia da un approccio di tipo scientifico che può essere storico, sociologico, o economico-giuridico, per arrivare all’approccio, molto meno scientifico, di chi vede nella Corporate Social Responsibility un interessante strumento di marketing e comunicazione, riducendola solamente ad un’insieme di attrezzi patinati che aiutano l’impresa ad apparire più responsabile nei confronti dei differenti attori che a vario titolo con essa interagiscono. Proprio quest’ultima accezione rappresenta il fulcro di molte questioni ed ha acceso negli ultimi anni una discussione sia interna al mondo dei professionisti della comunicazione, sia esterna fra i comunicatori ed altri soggetti ed esperti del mondo economico. Questo panorama così eterogeneo e frastagliato costituisce l’orizzonte in cui si sviluppa il dibattito sulla CSR: chi vuole parteciparvi deve indispensabilmente stabilire e motivare ex ante i confini entro i quali inquadrare l’analisi che si vuole offrire come contributo. Questa prima parte desidera esplicitare e sciogliere il nodo cruciale del rapporto fra CSR e comunicazione. Nel primo capitolo verranno specificati i concetti di CSR, con riferimento all’evoluzione teorico-storica ed alla sua considerazione in ambito internazionale, europeo ed italiano sia da parte dei soggetti pubblici che di quelli privati e non profit. Successivamente il campo verrà ristretto alla declinazione e alle strategie di CSR che sono state adottate nelle piccole e medie imprese. Nel secondo capitolo sarà analizzato lo specifico ruolo della comunicazione nello sviluppo di politiche di CSR. Dopo aver descritto l’importanza della 2 comunicazione nei programmi di responsabilità sociale, saranno analizzati i principali strumenti di attuazione delle CSR e le seguenti implicazioni comunicative che ciascun mezzo comporta, con un sguardo più approfondito nei confronti delle certificazioni di prodotto e di processo per comprenderne appieno la valenza. 3 Capitolo 1 LA CSR FRA ETICA, MORALE E BUSINESS “Basterà dunque che io dica di aver compreso che il mio corpo naturale era semplicemente l’aura e l’emanazione dei poteri che formavano il mio spirito…” Dott. Henry Jekill 1.1 COS’ E’ LA CSR 1.1.1 Definizione e storia La letteratura sulla Responsabilità Sociale di Impresa è sterminata e al suo interno sono rintracciabili numerosissime definizioni, che spesso però pur non essendo discordanti, non mettono d’accordo tutti. In termini generali possiamo definire la CSR come “l'integrazione di preoccupazioni di natura etica all'interno della visione strategica d'impresa: è una manifestazione della volontà delle grandi, piccole e medie imprese di gestire efficacemente le problematiche d’impatto sociale ed etico al loro interno 4 e nelle zone di attività”1. Si tratta di un concetto innovativo e controverso, espresso per la prima volta nel 1984 da R. Edward Freeman. Molti prima di lui avevano già cercato di definire e spiegare l’importanza della considerazione di valori etici nello sviluppo delle organizzazioni. La CSR infatti nasce negli Stati Uniti nei primi decenni del XX secolo, quando per effetto del governo Roosvelt si sviluppò una particolare attenzione ai problemi sociali. La depressione degli anni ’30, causata da una bolla meramente speculativa dei mercati finanziari e monetari, portò l’argomento alla ribalta dagli anni ’50 in poi. Il ‘padre’ della CSR è Howard Bowen2: egli per primo sancisce il dovere per gli uomini di affari di incidere nel contesto ambientale in maniera positiva. Negli anni ’70 il dibattito assume una notevole consistenza, alimentato da movimenti sociali che iniziavano a battersi per la tutela dei consumatori e la difesa dell’ambiente. Gli studiosi si concentrano principalmente su quattro temi: le caratteristiche dei comportamenti aziendali definibili responsabilmente sociali, il peso del contesto socio-culturale di riferimento, le motivazioni ad agire in maniera socialmente responsabile, le procedure da adottare per interiorizzare ed anticipare le istanze sociali ed incorporarle nel governo delle politiche aziendali (la c.d. Corporate Social Responsiveness). In questi anni Carrol elabora la ‘Piramide della CSR’, che sancisce la discrezionalità e la volontarietà delle attività filantropiche. In base a questo schema la responsabilità sociale si realizza in maniera graduale, successiva e secondo le priorità prima a livello economico, raggiungendo il profitto (be profitable), successivamente rispettando completamente la legge (obey the law), per poi passare ad operare in maniera etica e rispettosa delle norme e dei valori sociali (be ethical), ed infine, l’azienda si attiva in termini volontari con attività filantropiche con investimenti discrezionali da parte della collettività (be a good corporate citizen)3. Ma la svolta arriva negli anni ’80, con la ‘Stakeholder Theory’ di Milton Freeman4, che individua in concreto i soggetti verso i quali le imprese devono essere socialmente responsabili. Il termine stakeholder indica “individui o gruppi 1 R.E. Freeman, Strategic Management: a Stakeholder Approach, London, Pitman, 1984; V. Fazio, C. Luison, Guidarsi – La responsabilià sociale delle imprese, Edizioni Metakom, Venezia 2006, pag 17; 3 N. Cerana, Comunicare la responsabilità sociale, Franco Angeli, Milano 2004; 4 E.R. Freeman, op. cit.; 2 5 che sono influenzati o che possono influenzare il raggiungimento degli obiettivi di impresa” e per l’autore si suddividono in primari e secondari in base al loro grado di necessità o meno del loro apporto alla sopravvivenza dell’organizzazione. Questa teoria ha messo in discussione l’idea olistica dell’impresa, la sua unicità ed autoreferenzialità, la sua compattezza attorno ad un nucleo omogeneo di interessi/comportamenti con motivazioni coerenti fra loro. In questi anni si consolida anche il concetto di business ethic, che approfondisce i valori su cui fondare le politiche e le strategie aziendali e di corporate social performance, in base al quale le imprese devono fare della CSR una attività con vantaggi economici misurabili e coerente in tutti i campi d’impiego dell’organizzazione. Negli anni ’90 una molteplicità di cause correlate fanno conoscere la CSR al grande pubblico. Innanzitutto, si diffonde il nuovo processo della globalizzazione, che porta le imprese a riorganizzarsi e delocalizzarsi ripensando alla propria identità ed omogeneità smembrata dall’elemento del luogo come caratteristica distintiva. Lo sviluppo dei nuovi media ha poi permesso un accesso più democratico e veloce alle informazioni. Gli scandali finanziari e le politiche poco ortodosse di alcune multinazionali con conseguente boicottaggio da parte dei consumatori e del pubblico hanno dimostrato l’importanza di considerare i consumatori attenti e smaliziati interlocutori, in grado di smascherare e distinguere bene fra immagine patinata e realtà dei fatti. Infine l’esplosione prepotente di organizzazioni non governative internazionali e associazioni non profit che lottano per l’affermazione di diritti e valori fondamentali senza eleggere il lucro economico a scopo ultimo, ha sensibilizzato e responsabilizzato il pubblico su temi come l’ambiente e la tutela dei diritti umani e delle minoranze etnico-religiose. Dai soli modelli teorici si passa quindi a comportamenti pratici più consistenti e decisi da parte delle organizzazioni, che capiscono in primo luogo (talvolta dopo crisi e scandali di portata notevole) di non poter più operare in maniera del tutto discrezionale, perché le scelte eticamente discutibili, seppur legali, vengono facilmente smascherate e denunciate con gravi perdite a livello di immagine e conseguentemente di profitto. Secondariamente, interpretando operativamente gli studi accademici, le organizzazioni iniziano ad imboccare una via proattiva, riconoscendo il loro ruolo e le loro responsabilità nei confronti della società dalla 6 quale traggono profitto. Alla fine degli anni ’90 si moltiplicano i codici etici e vengono attivate molte politiche di responsabilità sociale non solo nelle imprese statunitensi, ma anche in quelle europee, che si distinguono dal modello anglosassone, sviluppando una diversa accezione del concetto di responsabilità sociale. Negli ultimi anni le riflessioni sulla CSR convergono nel considerarla un orientamento strategico di fondo, nel quale si riscontrano in particolare tre elementi: la consapevolezza che i comportamenti responsabili assumano importanza strategica poiché contribuiscono significativamente a consolidare la legittimazione aziendale; il concetto di sostenibilità come creazione di valore nel lungo e lunghissimo periodo che considera stakeholder anche le generazioni future, ed infine l’importanza della rendicontazione e della comunicazione delle performance, in un’ottica di trasparenza5. 1.1.2 Caratteristiche La CSR è un fenomeno molto complesso e frastagliato, che nelle sue declinazioni operative comporta cambiamenti significativi all’interno dell’organizzazione. Spesso però il termine è usato per definire esclusivamente una strategia di comunicazione orientata al sociale, oppure al suo interno confluiscono pratiche come la filantropia. Pertanto, una precisazione sulle sue peculiarità è necessaria. La responsabilità sociale delle imprese è ben lungi dall’essere solo un elemento della comunicazione aziendale composto da una serie di strumenti ad hoc e non é tantomeno una nuova teoria di marketing: puntare solo sulla comunicazione e l’immagine potrebbe far raggiungere risultati nel breve periodo, ma questa declinazione risulta molto limitata e non intacca la sostanza dell’organizzazione, che è invece chiamata “a fare le cose che ha sempre fatto in modo diverso”6. Innanzitutto, il concetto di CSR si lega in maniera logica a quello di sviluppo sostenibile, ovvero una nuova forma di sviluppo economico, che ingloba 5 V. Fazio, C. Luison, op. cit, pag 20; K. Annan, Segretario Generale delle Nazioni Unite, durante la Conferenza del Global Compact dell’ONU, 2000; 6 7 all’interno del calcolo del vantaggio economico derivato da una attività economica anche la dimensione ambientale e sociale. L’impresa non può perseguire i suoi obiettivi senza tener conto dell’impatto che produce all’esterno, per sopravvivere e continuare a crescere è necessario considerare anche queste nuove istanze, in un’ottica di equità, responsabilità ed integrazione. Ciò che cambia quindi non è solo il modo di operare, bensì si comprende che le condizioni stesse attraverso le quali si opera e si ottiene successo sono diverse, perché è necessaria una prospettiva di lungo periodo, una maggiore attenzione alla qualità della vita, un approccio preventivo, coerenza nelle politiche, sensibilizzazione e consapevolezza, oltre a partnership e coinvolgimento. In quest’ottica la CSR si presenta come una via allo sviluppo sostenibile. Secondariamente, sostenibilità e CSR sono strettamente correlate al concetto di etica, in particolare riguardo ai mezzi che un’attività economica mette in azione per realizzare un determinato fine, individuabile in ultima istanza nel maggior profitto possibile. L'economia cerca di ottenere i suoi fini col minor costo possibile, in una prospettiva di efficienza. Di fatto questa efficienza ha delle implicazioni in termini di etica e di comportamenti che un’impresa può adottare per realizzare il suo scopo. Tali comportamenti rientrano anche nelle sfere del diritto e della morale, complicando un quadro che oggi è ampiamente dibattuto e costantemente smontato ed analizzato da diversi soggetti, che si interrogano sulla reale importanza che può assumere la CSR come variabile di efficienza organizzativa. Gianpaolo Azzoni sintetizza le relazioni fra queste sfere rifacendosi alla distinzione hegeliana fra le tre componenti della normatività: moralità, diritto ed eticità. Se la morale “ha come contenuto i valori personali che ci detta la nostra coscienza individuale, ovvero ciò che ciascuno di noi reputa in cuor suo giusto o sbagliato”, il diritto invece è costituito da quelle norme che lo Stato sanziona con i propri tribunali e con la propria forza esecutiva. Intermedia tra la moralità ed il diritto si pone l’eticità, dove i diritti/doveri non sono né liberamente scelti (come nella moralità), né imposti da un soggetto titolare dell’esercizio legittimo della forza (come nel diritto): “nell’eticità i diritti/doveri sono condivisi in una 8 relazione intersoggettiva che si sviluppa entro uno ‘stare-insieme’ relativamente stabile”7. Quindi un comportamento etico è l’esito di un incontro tra organizzazione e stakeholders che scaturisce da un processo eminentemente comunicazionale ed esistenziale e che trova il suo motivo di esistenza dalla rilevanza e natura delle azioni compiute dall’azienda. L’eticità si configura essenzialmente come una pratica inclusiva. In questo senso una azienda etica è una organizzazione che ricerca la sua licenza di operare anche nel confronto con gli stakeholders e, in tale confronto, si impegna a comportamenti cui non sarebbe tenuta secondo il diritto vigente. In un secondo momento bisogna tenere presente che i requisiti richiesti per essere un’azienda etica possono variare a seconda che ci si collochi nel modello anglosassone oppure nel modello della cittadinanza sociale diffuso nell’Europa continentale8. Il primo riduce i requisiti di eticità di un’impresa al rispetto delle leggi e dei contratti. In questo contesto la CSR si esaurisce quasi totalmente nella definizione e nel rispetto della corporate governance, cioè di quell’insieme di regole, istituzioni e pratiche finalizzate a proteggere gli investitori esterni da comportamenti opportunistici di imprenditori e manager, avvicinandosi di più al concetto di business ethic. Il modello anglosassone valorizza quindi il diritto, ma anche la moralità, cioè quegli atti che scaturiscono dalla coscienza individuale dei manager. Nel modello della cittadinanza sociale dell’impresa, l’azienda acquisisce la propria licenza di operare solo se attua comportamenti strettamente etici, cioè che tengano conto anche degli stakeholders, e non solo degli shareholders, in un costante processo dialogico. Oggi il modello della cittadinanza sociale guadagna consenso a livello mondiale anche in quei paesi anglosassoni tradizionalmente da esso distanti, perché è particolarmente adeguato alla attuale congiuntura economica, politica e valoriale. Tale successo sancisce la diffusione di strategie di CSR sempre più profonde e strutturali, che delineano politiche aziendali con precisi elementi che possono essere riassunti in: 7 G.Azzoni, L’Azienda etica, saggio presentato al convegno: Responsabilità sociale dell’impresa e diritto del lavoro, all’interno di un incontro di Diritto del lavoro, Pavia 17 maggio 2004; 8 G. Azzoni, op. cit, pag 7; 9 Volontarietà: l’azienda sceglie liberamente di attuare comportamenti socialmente responsabili che vanno oltre agli obblighi della legge in maniera consapevole. Sistematicità: l’organizzazione decide di impegnarsi in maniera costante e nel lungo periodo, al fine di raggiungere degli obiettivi precisi. Globalità: la CSR influenza in modo significativo tutti gli aspetti dell’organizzazione, incidendo sui processi gestionali, relazionali ed operativi. Accountability: l’azienda si impegna nell’esercizio di un valido reporting che espliciti ed evidenzi attraverso parametri di tipo numerico i risultati dell’attività di CSR. 1.1.3 Politiche di CSR Le istituzioni si sono occupate di CSR a partire dalla seconda metà degli anni ’80, quando iniziò a prendere piede e consapevolezza il problema ambientale globale e si rendeva necessaria una riflessione sul ruolo e le imputabilità da assegnare ad imprese ed economia in campo ambientale e più in generale, sociale. Dapprima a livello internazionale e successivamente a livello europeo, la CSR diviene una pratica strategica sostenuta. Nel 1987 il Rapporto Bruntland elabora il concetto di sviluppo sostenibile, in cui viene sancito per la prima volta l’impegno per il perseguimento di uno sviluppo che non comprometta le generazioni future. Nel 1999 l’OCSE pubblica le Linee Guida sulla governance e la Convenzione contro il fenomeno della corruzione, a cui fanno seguito nel 2000 le Linee guida per le multinazionali, che disciplinano questioni relative ai rapporti di lavoro, concorrenza, fiscalità e corruzione. L’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) nel 1999 pubblica la Tripartite Declaration of Principles concerning Multinational Enterprises and Social Policy, che stabilisce una serie di principi di condotta etica per le aziende che operano in un contesto globale. Sempre nel 1999 nasce poi il Dow Jones Sustainability Index che riflette le componenti fondamentali del concetto di sostenibilità. Questo indice infatti è il 10 primo a livello mondiale che, per valutare il valore di imprese quotate, prende in considerazione anche le performance di sostenibilità dell’organizzazione stessa. L’iniziativa più importante si realizza nel 2000, quando per volontà del Segretario Generale Kofi Annan, il Global Compact dell’ONU emana un documento contenente nove principi per le imprese multinazionali che prevede, tra le altre, disposizioni relative ai diritti dell’uomo, del lavoro e della tutela all’ambiente. A livello europeo il dibattito sulla CSR è più recente e il primo documento è datato 1995. Un gruppo di aziende firma il Manifesto delle imprese contro l’esclusione sociale su sollecitazione dell’allora Presidente della Commissione Europea Jaques Delors. Una tappa fondamentale è il summit di Lisbona del 2000. In questa occasione i Capi di Stato e di Governo europeo si impegnano nel fare dell’Europa l’area economica basata sulla conoscenza più dinamica e competitiva del mondo, capace di una crescita economica sostenibile, con maggiori opportunità di lavoro ed più forte coesione sociale. Nel documento prodotto si fa appello alla Responsabilità Sociale delle Imprese grandi e piccole come un necessario nuovo modo di operare per raggiungere gli obiettivi previsti. Sull’onda di Agenda 21, nel luglio dell’ anno seguente la Commissione Europea pubblica il Libro Verde intitolato Promuovere un quadro europeo per la Responsabilità sociale delle imprese. Il documento rappresenta uno dei punti cardine della strategia e del pensiero riguardante la CSR in Europa. Il Libro Verde definisce la CSR come “l’integrazione su base volontaria, da parte delle imprese, delle preoccupazioni sociali ed ecologiche nelle loro operazioni commerciali e nei rapporti con le parti interessate”. Essere socialmente responsabili significa non solo soddisfare pienamente gli obblighi giuridici applicabili, ma anche andare al di là investendo ‘di più’ nel capitale umano, nell’ambiente e nei rapporti con le altre parti interessate. L’esperienza acquisita con gli investimenti in tecnologie e prassi commerciali ecologicamente responsabili suggerisce che, andando oltre gli obblighi previsti dalla legislazione, le imprese potevano aumentare la propria competitività. L’applicazione di norme sociali che superano gli obblighi giuridici fondamentali, ad esempio nel settore della formazione, delle condizioni di lavoro o dei rapporti tra la direzione e il personale, può avere dal canto suo un impatto diretto sulla produttività. Si apre in tal modo una strada che consente di gestire 9 il cambiamento e di conciliare lo sviluppo sociale e una maggiore competitività . 9 COM(2001)366 definitivo, pag 7; 11 Il Libro Verde si sofferma ad analizzare molteplici aspetti e sfumature che può assumere la CSR, distinguendo fra dimensione interna ed esterna all’impresa. Di quella interna, le prassi socialmente responsabili posso rivolgersi alla gestione delle risorse umane (1); alla salute e sicurezza nel lavoro (2); alla capacità e soluzioni di adattamento alle trasformazioni (3) ed infine alla gestione degli effetti sull’ambiente e delle risorse naturali(4). Per quanto concerne la dimensione esterna invece, il Libro sostiene che la responsabilità sociale delle imprese si estende alle comunità locali (1), ai partners commerciali, fornitori e consumatori (2), ai diritti dell’uomo (4) ed alle preoccupazioni ambientali a livello planetario(5). Il Libro si guarda bene dal considerare la CSR una pura operazione di facciata, stabilendo il principio e la necessità di una gestione olistica della strategia della CSR, che modifica e si innerva in tutte le funzioni aziendali. Successivamente vengono anche esposte le posizioni della UE nei confronti di diversi strumenti della CSR, come le relazioni e audit sulla responsabilità sociale, le etichette sociali ed ecologiche e gli investimenti socialmente responsabili. Infine, la UE enuncia una serie di questioni cruciali e nodi da sciogliere negli anni venturi, precisando per ciascuno il suo ruolo e quello degli altri attori. In particolare il Libro Verde riconosce il suo impegno nel promuovere lo sviluppo della responsabilità sociale delle imprese a livello europeo e internazionale, completando le attività socialmente responsabili esistenti e apportando un valore aggiunto. Al Libro Verde segue nel 2002 la Comunicazione Responsabilità Sociale: un contributo delle imprese allo sviluppo sostenibile, che indica la strategia europea per promuovere la pratica della CSR nelle imprese. Partendo da una serie di principi, la UE si impegna a sviluppare una strategia di diffusione della CSR in diversi aspetti: Fornire maggiori informazioni riguardo gli effetti positivi della responsabilità sociale; Rafforzare lo scambio di esperienze e di buone pratiche; Promuovere lo sviluppo e la capacità di gestione della CSR; Incoraggiare la CSR nelle PMI; Facilitare la convergenza e la trasparenza delle pratiche e degli strumenti; 12 Organizzare L’European Multistakeholder Forum sulla CSR10; Integrare la CSR nelle politiche comunitarie; L’attuazione dei principi e delle strategie del Libro Verde e della Comunicazione ha dato avvio ad una serie di progetti i cui effetti impattano a livello nazionale sulla promozione e lo sviluppo della CSR. In Italia il discorso dell’impegno sociale dell’impresa era cosa già nota sin dalle prime fasi dell’ industrializzazione11 ma è dalla fine degli anni ‘90 che il dibattito sulla CSR diventa più corposo ed il mercato inizia ad aprirsi a questa nuova concezione dell’agire e del fare impresa. Sulla spinta propulsiva delle dichiarazioni internazionali ed europee, i ministeri italiani si sono mossi in più direzioni. Il Ministero degli Affari Esteri ha dato sostegno concreto al Global Compact attraverso il finanziamento del progetto Sviluppo Sostenibile attraverso il Global Compact. Il Ministero delle Attività Produttive si è mobilitato operativamente per la diffusione delle Linee Guida dell’OCSE e a sostegno della diffusione della CSR soprattutto nelle piccole e medie imprese. Ma il progetto e le azioni più importanti, che rappresentano il contributo italiano alla diffusione e al dibattito sulla CSR secondo quanto stabilito dal Libro Verde e dalla Comunicazione UE, sono stati orchestrati dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, attraverso due programmi collegati fra loro: il progetto CSR-SC ovvero Corporate Social Responsability - Social Commitment ed il Forum Italiano Multi-Stakeholder per la Corporate Social Responsibility (CSR Forum). Il primo progetto si prefigge di diffondere la cultura della CSR e lo scambio di buone pratiche, di fornire garanzie al cittadino in merito all’effettivo impegno sociale comunicato dalle imprese, di realizzare un set di indicatori standard semplice e modulare che le imprese possano adottare su base volontaria per valutare la propria performance in ambito CSR, di supportare le piccole e medie imprese (PMI) nello sviluppo delle politiche e strategie di CSR nonché di favorire lo scambio di esperienze tra i vari Paesi al fine di identificare e recepire le migliori pratiche a livello internazionale. Tutto questo è sfociato in una serie di 10 Nato nel 2003, il Forum Europeo sulla CSR è un gruppo di discussione ed orientamento che riunisce 40 organizzazioni rappresentative dei datori di lavoro, sindacati, consumatori, società civile, associazioni professionali e d’impresa, che si riunisce ogni anno con lo scopo di identificare azioni per lo sviluppo della responsabilità sociale in Europa. 11 Un esempio per tutti è Adriano Olivetti. 13 importanti iniziative, fra le quali, le più meritevoli di attenzione12 sono l’organizzazione della Terza Conferenza Europea sulla CSR nel novembre del 2003 a Venezia e l’ideazione dello strumento denominato Social Statement. Quest’ultimo in particolare nasce come un supporto alle organizzazioni che vogliono implementare politiche di CSR e, successivamente, comunicarle ai propri stakeholder. Si compone di una Scheda anagrafica e da un Set di Indicatori. Questo strumento, pensato e poi adattato in maniera particolare per le piccole e medie imprese, si pone l’obiettivo di guidare le organizzazioni verso politiche di responsabilità sociale che non comportino carichi aggiuntivi di costi ed in grado così di creare maggiore consapevolezza e pratica. Nel maggio del 2004 prende avvio anche il Forum Italiano Multi-Stakeholder, che ha coinvolto una cinquantina di organizzazioni a rappresentanza diffusa a discutere i principali aspetti della responsabilità sociale delle imprese in quattro tavoli tecnici13. Tra i vari argomenti, quello che ha avuto maggiore importanza è senza dubbio quello relativo alla diffusione della CSR nelle piccole e medie imprese. Gli effetti delle politiche ministeriali e del Forum sono stati molto ampi e di lunga durata, contribuendo in maniera sostanziale all’avvio di un serio dibattito nella comunità economico-giuridica. Negli ultimi anni in Italia, accanto ad organizzazioni storiche si sono moltiplicati gli studi, la letteratura, i dibattiti, le conferenze e le organizzazioni del Terzo Settore che si occupano di educazione e diffusione della CSR e della cittadinanza d’impresa. L’8 marzo 2004 è stata presentata in Parlamento dal Deputato Realacci la Proposta di Legge: “Disposizioni per la promozione e lo sviluppo della responsabilità sociale delle imprese”. La bozza prevede l’istituzione dell'Autorità per la responsabilità sociale delle imprese, con vari compiti, in particolare di definizione di indicatori di tipo quantitativo e qualitativo per la classificazione dei comportamenti socialmente responsabili e la predisposizione di strumenti, per accertare l'impatto sociale e ambientale delle imprese su tutta la filiera produttiva nonchè per valutare i risultati delle iniziative socialmente responsabili 12 Altre importanti iniziative sono: la realizzazione del CD-Rom: La Responsabilità Sociale delle Imprese: Il contributo italiano alla campagna di diffusione della Csr in Europa, numerosi convegni e congressi come a Monza il 7 maggio 2006 e Roma il 29 aprile 2003. Tutte le iniziative e gli atti ufficiali si possono scaricare dal sito: www.welfare.gov; 13 I tavoli rispettivamente erano: TT01-Diffondere la cultura della CSR e facilitare lo scambio di best practices; TT02- Diffondere la CSR nelle PMI; TT03-Promuovere la trasparenza e la convergenza delle pratiche e degli strumenti di CSR (Set di Indicatori); TT04-CSR e sviluppo sostenibile; 14 dalle stesse messe in atto. La Proposta prevede l’istituzione di altri due organi di supporto all’Authority: un Forum di venticinque esperti con compiti consultivi e l'Osservatorio nazionale sul dumping sociale. Le imprese riconosciute come socialmente responsabili godranno di agevolazioni fiscali per la realizzazione di progetti. La CSR non è più solo una moda da ormai molto tempo e assume sempre di più i tratti di un fenomeno da prendere in seria considerazione, sia nel caso si decida che esso sia in grado davvero di creare valore e reputazione, sia lo si consideri meramente una declinazione del marketing. 15 1.2 LA CSR NELLE PMI 1.1.3 Esiste una CSR a misura di PMI? I primi studi che hanno affrontato la questione della responsabilità sociale si rivolgevano principalmente alle grandi imprese e a multinazionali. Queste ultime infatti, sono in grado di impattare in maniera significativa e di produrre effetti nella società con le loro politiche, le scelte e le operazioni. Si riteneva inoltre che fossero le sole organizzazioni con la possibilità di investire in maniera sostanziosa in una attività che richiedeva ulteriori e considerevoli sforzi monetari. In un secondo momento si è compreso però che la CSR è un vestito che va cucito su ciascuna organizzazione. Spesso un grosso esborso per l’impiego di strumenti sofisticati non comporta automaticamente risultati soddisfacenti: ciò che conta non sono gli strumenti usati, ma il percorso che ha portato alla scelta di determinati mezzi, stabilendo che solo quelli fossero i più adeguati e congeniali all’azienda (sia economicamente, sia operativamente) per ottenere il raggiungimento di obiettivi di responsabilità sociale. Ecco che adottando questa prospettiva, la CSR non diventa solo appannaggio delle grandi organizzazioni, ma viene presa in considerazione anche dalle piccole e medie imprese. La dimensione ridotta delle aziende non può e non deve essere più la giustificazione per sottrarsi ad un forte ripensamento, considerando il fatto che le PMI costituiscono la maggioranza (19 milioni) delle imprese europee. Ad un livello macro quindi, il loro impatto e l’insieme degli effetti che riversano sul territorio, l’ambiente e la società è sostanziale e di gran lunga superiore ad una multinazionale. Se a livello europeo le PMI sono una realtà importante, ancora più emblematico è il caso italiano, dove non solo c’è una maggiore prevalenza di PMI rispetto alla media europea, con un numero inferiore di dipendenti per ciascuna azienda14. C’è quindi una netta superiorità di piccolissime e micro imprese, 14 Precisamente: 3.9 dipendenti nelle imprese italiane vs. 6 nei quindici Paesi Membri dell’UE (Germania 8, Francia 7, Regno Unito 6, Spagna 5, Olanda 10, Belgio 6, Svezia 8 e Danimarca 9); Fonte:Osservatorio Europeo sulle PMI, 2005; 16 tanto che la percentuale di organizzazioni con più di 250 dipendenti è del 19,7% rispetto ad una media dell’UE di 34%15. I numeri del contesto imprenditoriale italiano sono evidenti: il 95,2% del sistema industriale è costituito da micro imprese con meno di 10 addetti ciascuna; una ‘rete’ che produce il 30,1% del fatturato e 33% del valore aggiunto realizzato in Italia, con la creazione del 90% dei nuovi posti di lavoro degli ultimi 5 anni. Il 99,8% delle imprese ha meno di 250 dipendenti e occupa il 77% degli addetti in Italia16, fornendo un importante contributo al ruolo internazionale dell’economia nazionale. Altra peculiarità fondamentale che caratterizza le PMI italiane dal resto dell’Europa è l’organizzazione in distretti industriali. Tali dipartimenti sono prevalentemente concentrati nell’Italia centro-settentrionale, la costa Adriatica e in alcune aree limitate del meridione ed operano nei settori tradizionali (es. calzature, mobili, prodotti per l’edilizia, piastrelle/ceramiche) e ingegneristici, con posizioni di leadership nel mercato globale di nicchia e per i due terzi delle esportazioni totali. Queste imprese hanno sviluppato nel corso degli anni delle particolari modalità operative fondate sulla flessibilità e sullo sviluppo di una rete di relazioni personali e dinamiche con i vari componenti della filiera produttiva. Il legame con l’ambiente esterno e la comunità locale ha da sempre ricoperto un’importanza fondamentale, tanto che molte di loro, seppur inconsapevolmente e solo per alcuni aspetti, operano già in un ottica di responsabilità nei confronti di alcuni stakeholder. Le azioni prevalenti non sono legate all’attività dell’azienda e perlopiù affondano le loro radici nella visione etico-morale degli imprenditori, nella loro volontà di coniugare obiettivi di tipo economico con comportamenti che rispettino e valorizzino l’ambiente e la società in cui operano: la percezione di quali aspetti sia prioritario salvaguardare resta soggettiva17. 15 Fonte: Osservatorio Europeo delle PMI; Raccomandazione della Commissione UE del 6.5.2003 (2003/361/EC). Le definizioni alle quali si fa riferimento sono in vigore a livello comunitario dall’1.1.2005 dove si intende: Micro Impresa: meno di 10 dipendenti-massimo 2 milioni di Euro di fatturato/bilancio; Piccola Impresa: meno di 50 dipendenti-massimo 10 milioni di Euro di fatturato/bilancio; Media Impresa: meno di 250 dipendenti-massimo 50 milioni di Euro di fatturato o 43 milioni di Euro di bilancio. 17 AA:VV. Camera di Commercio di Milano e Formaper, La Responsabilità sociale nelle piccole e medie imprese, Il Sole 24 Ore, Milano 2004; 16 17 Tuttavia è indubbio che nel dna delle piccole imprese le relazioni personali assumono un ruolo di primo piano, tanto da rappresentare uno dei valori aggiunti che ne hanno decretato il successo. Dall’inizio del nuovo millennio il paradigma e lo scenario competitivo è cambiato e la globalizzazione, unita alle nuove frontiere dei mezzi di comunicazione, ha azzerato il vantaggio che le piccole imprese erano in grado di offrire. Piccolo non è più necessariamente bello e bravo come recitava lo slogan del miracolo del Nordest negli anni ‘70-‘80: il modello è entrato in crisi ed oggi si è reso necessario un ripensamento delle strategie operative ai fini della sopravvivenza. In questa prospettiva la CSR è stata proposta come una valida soluzione su cui concentrare gli sforzi. Sulla base di una caratteristica e tradizione che già è presente nel modus operandi delle PMI, si sono implementate le prime strategie di CSR, nel tentativo di un riposizionamento competitivo sul mercato. Ma molti altri elementi possono essere modificati e trarre beneficio da un avvio sistematico di politiche di CSR: Come accennato in precedenza, in base alle loro caratteristiche peculiari, le PMI possono avere un forte impatto sull’ambiente in cui operano se non adeguatamente gestite (Tilley, 2000). Se si escludono SGA ed EMAS, le PMI sono ancora lontane dal formalizzare corrette strategie a tutela dell’ambiente. Molto spesso le PMI offrono un contesto lavorativo eccellente, ma perdono l’opportunità di rendere l’impresa attrattiva nei confronti dei potenziali dipendenti, poiché mancano di adeguate procedure di formalizzazione e comunicazione (Greening and Turban, 2000). Se si pensa al forte legame che le PMI italiane hanno nei confronti delle comunità locali, la formalizzazione di comportamenti responsabili nei confronti dei dipendenti assume un ruolo prioritario. Molte PMI sono ancora lacunose riguardo all’uso di sistemi di controlling e reporting. Misurare e comunicare la propria performance ha un costo che può essere anche molto elevato. Le grandi imprese godono di maggiori risorse e di sistemi informativi più sviluppati. Al contempo però la dimensione rende complessa la fase di raccolta delle informazioni e monitoraggio degli impatti. Sebbene dotate di minori risorse disponibili e inconsapevoli dei vantaggi del reporting nella gestione delle relazioni con 18 gli stakeholder, le PMI hanno una struttura flessibile che le rende particolarmente adattabili alla sperimentazione di nuove procedure. Il mondo scientifico ha rivolto così la sua attenzione anche all’universo delle PMI, alla ricerca di soluzioni ad hoc. Le risorse e la conformazione peculiare di queste organizzazioni comporta il non poter copiare le strategie di governance delle multinazionali, bensì necessita di soluzioni in grado di sfruttare i punti di forza e di opporsi alle difficoltà ed ai problemi specifici delle piccole imprese. A differenza delle imprese di grandi dimensioni le PMI presentano un aggior numero di relazioni consolidate con gli stakeholder primari (Adler & Kwon, 2002), un maggior peso degli intangible asset integrati nel capitale sociale accumulato (Putnam 2003; Spence 2003) nonché un maggiore coinvolgimento nella comunità locale quale risultato dell’accumulazione del capitale sociale. Oggi lo studio dei modelli e delle strategie di CSR specifiche per le PMI è ancora ad uno stadio embrionale18. Sintetizzando, le evidenze empiriche riconoscono che la dimensione d’impresa ha un impatto rilevante sul grado di formalizzazione delle strategie e sui modelli di CSR e le PMI presentano caratteristiche intrinseche che le rendono sensibilmente differenti rispetto alle imprese di grandi dimensioni, influenzando l’integrazione delle pratiche responsabili nella gestione e governo d’impresa. Generalmente, le PMI sono attivamente e volontariamente coinvolte nelle aree della CSR ma in modo scarsamente sistematico, non integrato nei processi strategici in modo formale, con limitata visibilità all’esterno ed in assenza di comunicazione.Le indicazioni più significative si muovono dalla teoria del capitale sociale (Adler e Known, 2002). Perrini afferma che la teoria del social capital adatta alle PMI la stakeholder view of the firm, ed è quindi un elemento cruciale nel comprendere le specificità delle PMI e la sostenibilità delle performance nel lungo periodo. Essa fa riferimento alle relazioni tra gli individui (in termini di network sociali e norme di reciprocità e fiducia) e al loro impatto sul miglioramento dell’efficienza. In questo senso, le relazioni sociali sono vettori dell’accumulazione di asset intangibili e preziosi quali reputazione, fiducia, legittimità e consenso. In questo contesto diviene fondamentale fornire alle PMI indicazioni e strumenti per 18 Un quadro completo ed esaustivo delle più importanti ricerche sulla CSR nelle PMI è rintracciabile in: F. Perrini, S. Pogutz e A. Tentati, Developing Corporate Social Responsibility. A European Perspective, Bocconi University, Milan, Italy 2006; 19 l’implementazione di politiche, processi, e comportamenti socialmente responsabili basati sul capitale sociale accumulato19. La Commissione Europea negli anni 2001, 2002 e 2003 ha svolto sondaggi sulla rilevanza e diffusione di pratiche di CSR nelle PMI20. Da queste ricerche si evince che, correlate positivamente con la dimensione, ben la metà delle PMI europee sono coinvolte in azioni socialmente responsabili21. In particolare, svolgono o hanno svolto attività di CSR: 48% per le microimprese (< 10 addetti) 65% per le piccole imprese (10 – 50 addetti) 70% per le medie imprese (50 – 250 addetti) Le PMI europee inoltre tendono a definire ordini di priorità, concentrandosi su un numero ristretto di temi/attività rilevanti, generalmente relativi agli impatti ambientali delle attività aziendali e al coinvolgimento nella comunità locale. Risulta inoltre che le PMI europee tendono a essere più attive negli ambiti della CSR quanto più sono integrate in un fitto network di relazioni, focalizzate sulla qualità, in contatto con paesi esteri ed operanti nei settori a elevati impatti ambientali o elevata intensità di capitale intellettuale. 1.2.2 Posizioni istituzionali per lo sviluppo della CSR nelle PMI La CSR nelle PMI è descritta come una delle soluzioni perseguibili per raggiungere con successo gli obiettivi di Lisbona, pertanto la UE ha avviato un programma di ricerca e di sviluppo di materiali e strumenti per questo tipo di imprese. Durante il tavolo tecnico per le PMI, la Commissione Europea infatti ha riconosciuto che la formulazione degli attuali concetti di base della CSR e i principali strumenti sviluppati fino ad ora sono adatti solo per le grandi imprese. L’UE intende assistere le organizzazioni di minori dimensioni nell’uso e nell’approccio più organico per facilitare l’adozione volontaria di pratiche di 19 cfr Perrini, Pogutz, Tentati, op. cit; Indagini condotte dall’ Osservatorio delle PMI europee. L’Observatory of European SMEs è stato fondato dalla Commissione UE nel dicembre del 1992 con l’obiettivo di incoraggiare il monitoraggio delle performance economiche delle PMI. Il suo compito è quello di fornire informazioni sulle PMI a politici, ricercatori, economisti e alle stesse PMI. Dal 2003 l’Osservatorio consiste in una serie di report contenenti ricerche di specifici ambiti diversi delle PMI. La ricerca è condotta da The ENSR (the European Network for SME Research). 21 Il concetto di responsabilità sociale a cui si fa riferimento è quello del Libro Verde dell’ UE. 20 20 imprenditorialità responsabile attraverso una politica costruita sui bisogni e peculiarità di questa tipologia di aziende. La strategia comunitaria prevede l’incoraggiamento della ricerca sui benefici economici di comportamenti responsabili e lo sviluppo si strumenti semplificati appositamente ritagliati sulle esigenze delle PMI. L’esperienza emblematica è senza dubbio il programma European SMEs Social and Environmental Responsability, 2002, No. 4, da cui è scaturito SMEkey. Il progetto SMEKey è sviluppato da CSR Europe e da partner nazionali corrispondenti ad essa per ciascun paese (per l’Italia sono Sodalitas ed ImprontaEtica), che all’ interno dell’Observatory of European SMEs che hanno stabilito per gli anni a venire i seguenti obiettivi: Coinvolgere altri paesi nella fase sperimentale e di adattamento alle esigenze nazionali del progetto SMEKey; Organizzare una serie di seminari di formazione nazionali con la partecipazione delle Camere di Commercio, delle federazioni di PMI e di altre parti interessate; Pubblicare una banca dati europea di buone pratiche per le PMI, relativamente a diversi settori e paesi; Incoraggiare le grandi imprese a difendere le pratiche responsabili delle PMI; Migliorare il dialogo e il partnerariato con le istituzioni UE, prendendo come punto di partenza i programmi esistenti nel campo della cooperazione sociale e il Foro UE multilaterale sulla RSI; Sottolineare i risultati conseguiti dalle PMI sul piano della responsabilità sociale; Smekey è il punto di partenza per lo sviluppo di strumenti utili all’implementazione di politiche di CSR nelle PMI e per l’organizzazione di un programma composito di formazione ed educazione sulla responsabilità sociale in tutti i paesi UE. Concretamente SMEKey si presenta come uno strumento di sostegno online studiato per PMI, federazioni di PMI ed altri canali rappresentativi. Esso è costituito da tre componenti che nel loro insieme offrono alle PMI un modo flessibile di valutare e rafforzare le attuali attività e pratiche socialmente responsabili. Tali elementi sono: 21 Gli argomenti economici: introducono l'utente ai maggiori temi che danno impulso e forma al futuro della responsabilità sociale delle imprese, aiuta l'utente ad allacciare rapporti con i portatori di interessi e chiarisce il nesso tra le esigenze dell'impresa e le pratiche responsabili. La Guida alla valutazione della responsabilità sociale dell'impresa: spiega in forma particolareggiata come fare il punto della situazione e come valutare quanto si è già compiuto. L'utente riceve anche indicazioni su come progredire su questa strada. La guida si concentra su tre concetti basilari: la triplice responsabilità delle imprese (economica, sociale e ambientale), i rapporti con le parti interessate, il consolidamento delle buone pratiche attuali. La Banca dati relativi alle pratiche nel campo della responsabilità sociale delle imprese: offre valutazioni sociali già prodotte dagli utenti, studi esemplificativi di PMI e responsabilità sociale e rinvii a soggetti operanti a livello nazionale e internazionale. Il servizio online SMEKey è accessibile all'indirizzo www.smekey.org in varie lingue. Per quanto riguarda l’Italia il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali si è fatto carico di realizzare quanto è stato deciso a livello comunitario, sia in termini organizzativi che formativi, avviando una complessa e multiforme serie di iniziative e progetti. Primo fra tutti, il progetto CSR-SC si occupa in maniera rilevante della diffusione e dello sviluppo della responsabilità sociale nelle PMI. Sono state numerose le azioni esclusivamente rivolte a queste imprese: è stato creato un set ridotto di soli 6 indicatori di Social Statement per le PMI e per promuove la diffusione e l’educazione alla CSR nonchè per svolgere attività di ricerca e formazione, il Ministero ha firmato protocolli di intesa con numerose associazioni di categoria22. 22 Il ministero del Lavoro e delle politiche sociali firma i seguenti Protocolli d’Intesa: Il 27 novembre 2003 con Unioncamere per diffondere la CSR in Italia, anche attraverso la successiva attivazione degli sportelli denominati CSR-SC; Il 9 Giugno 2004 con Confapi per diffondere la CSR in Italia. Il 15 novembre 2004 con ANCL (Associazione Nazionale Consulenti del Lavoro) per diffondere la CSR in Italia, organizzando eventi informativi rivolti ai propri iscritti e alle imprese da loro assistite, attraverso i propri strumenti di comunicazione e collaborando con il Ministero nel processo di adattamento del set di indicatori a specifici settori industriali, anche attraverso test pilota opportunamente preparati; il 23 marzo 2005 con Federambiente (Federazione italiana servizi pubblici igiene ambientale) il 16 marzo 2006 con FITA (Federazione Italiana del Terziario Avanzato per i Servizi Innovativi e Professionali ); 22 Con i finanziamenti messi a disposizione dalla Comunità Europea e dal Ministero del Welfare sono state realizzate molte ricerche sul tema della CSR nelle PMI, che hanno fornito un quadro e un disegno di riferimento base utile allo studio e alla pianificazione strategica delle politiche di responsabilità sociale. 1.2.3 Evidenze empiriche Dalle ricerche realizzate in Italia emerge un panorama complesso riguardo le pratiche di CSR nelle PMI. L’ISVI23 alla fine del 2003 ha presentato i dati della ricerca ‘L’impegno sociale delle PMI’ che rappresenta il Primo Rapporto sulla Responsabilità Sociale in Italia. Questa ricerca è la prima esauriente indagine sul panorama della CSR in Italia sia per numero dei casi analizzati e per l’ampiezza dei temi toccati24. Si concentra su quattro temi: i soggetti operanti nel settore, l’impegno sociale delle PMI, la responsabilità sociale delle banche e il bilancio sociale Analizzando le pratiche di CSR nelle PMI, la ricerca ha messo in evidenza che: L’importanza della CSR è ormai riconosciuta. Le ragioni di tale riconoscimento sono motivi etici, rapporti con i dipendenti, la fidelizzazione della clientela, la relazione con la comunità. Gli ambiti connotati da comportamenti maggiormente orientati alla CSR (quali l’area del Nord-Est) attribuiscono minor peso a motivazioni esclusivamente 23 L’ISVI è una associazione senza scopo di lucro nata per iniziativa di esponenti del mondo economico e accademico italiano che si pone al servizio dello sviluppo di imprese responsabili, fornendo servizi alle imprese e organizzando workshop, convegni; pubblicazioni, formazione e soprattutto progetti di ricerca istituzionali. ISVI infatti intende rendere sempre più sistematica e capillare l’attività di monitoraggio delle esperienze di CSR in Italia, attraverso tre attività: l’ORSA, l’ Osservatorio bilanci sociali e i Rapporti sulla CSR in Italia L’ Osservatorio sulla Responsabilità Sociale delle Aziende è un database on line che si propone di fornire una visione organica e aggiornata delle più significative esperienze italiane in tema di RSI. L’Osservatorio è collegato alla rete promossa da CSR Europe . L’Osservatorio sui Bilanci Sociali in Italia riguarda imprese di ogni ordine e grado e presta particolare attenzione ai modelli di riferimento adottati, agli strumenti di dialogo con gli stakeholder ed alle innovazioni rispetto all’edizione precedente o previste per il futuro. Il Rapporto annuale sulla CSR in Italia è una ricerca annuale che focalizza l’attenzione su vari aspetti della CSR in Italia. 24 Composto da 427 imprese, estratto attingendo alle anagrafiche di Unioncamere e stratificato per le due classi dimensionali (20-50 e 51-250 addetti), per i due macrosettori economici Industria e Servizi, per le quattro grandi aree territoriali (Nord Ovest, Nord Est, Centro, Sud e Isole). Sono state incluse nello studio anche 60 imprese aventi un numero di addetti compreso nell’intervallo 251-500, allo scopo di effettuare un primo confronto del comportamento sulla RSI in base alle classi dimensionali. Sulle 487 aziende individuate quindi, Doxa ha realizzato interviste con metodo CATI. 23 etiche, sottolineando invece la rilevanza degli influssi attesi sui risultati competitivi ed economici. Per quanto riguarda i rapporti con il personale, nelle PMI si registra la presenza di sistemi di comunicazione prevalentemente informali, una buona diffusione dell’orario flessibile e della possibilità di aspettativa, corsi di formazione diffusi e in crescita con l’aumentare delle dimensioni aziendali. Tra le aree con spazi di miglioramento le pari opportunità, sopratutto con riferimento alle donne che sono poco presenti in posizioni di responsabilità, ed i servizi di supporto per i lavoratori extracomunitari. La corporate governance delle PMI italiane presenta ancora i tradizionali punti di debolezza propri del contesto nazionale. E’ indubbio però che ci sia qualche miglioramento rispetto al passato, perché infatti cresce la presenza dei rappresentanti di soci di minoranza e dei consiglieri indipendenti nel CdA ed aumenta la frequenza delle riunioni, oltre all’incremento del ricorso a incentivi (soprattutto economici) legati ai risultati. In relazione all’aspetto ambientale, la legge costituisce il principale fattore di mobilitazione delle imprese. I temi ecologici sono temi presidiati in misura crescente, sebbene con maggiore sistematicità da parte delle imprese più grandi. Viene confermato il profondo radicamento delle PMI italiane nel territorio in cui operano. Ciò è dimostrato dal frequente ricorso a donazioni (soprattutto nei confronti di soggetti attivi nella promozione sociale, nella ricerca scientifica e nell’assistenza sociale e sanitaria) e dalle crescenti iniziative di partnership con la comunità. Nelle PMI è stata invece rilevata una limitata diffusione delle nuove forme di coinvolgimento con la comunità quali, ad esempio, il volontariato d’impresa e il cause related marketing. E’ assai significativo che il 15-20% delle imprese richieda ai propri fornitori un’attestazione della eticità dei propri processi produttivi o sia oggetto di analoghe richieste da parte delle aziende a valle. L’incremento di attenzione alla CSR è testimoniato dalla crescente diffusione degli strumenti tipici come bilancio sociale e codice etico. Le PMI dimostrano la loro sensibilità sociale più nei fatti che attraverso gli 24 strumenti formali di comunicazione. Ciò può essere imputato alla mancanza di tempo, ai costi connessi a tali strumenti, alla necessità di competenze specialistiche e alla scarsa attenzione alle politiche di comunicazione caratterizzanti molte PMI. La ricerca condotta da Formaper e ISTUD25 si concentra esclusivamente su approcci e motivazioni, ambiti di applicazione della CSR nelle PMI e risultati di tali azioni. Alla base delle azioni/iniziative intraprese dalle aziende è possibile individuare diverse motivazioni, presenti a volte anche congiuntamente. Le pratiche affondano primariamente le loro radici nella visione etica degli imprenditori, nella loro volontà di coniugare obiettivi e la percezione di quali aspetti sia prioritario salvaguardare resta soggettiva. Nel tempo il riscontro dei risultati ottenuti, se positivi, ha fatto maturare una graduale consapevolezza dei benefici ottenibili, cosicché alla motivazione fondante si sono accompagnate anche considerazioni di ordine economico (senza però sopravanzarla). L’idea di poter conseguire un posizionamento competitivo non è elevata ed è riscontrabile soprattutto nelle imprese con un maggior grado di strutturazione strategica. Altre leve motivazionali, spesso semi-inconsapevoli nelle fasi iniziali, sono: raggiungimento di un buon clima in azienda, attraverso l’attenzione agli stakeholder interni; rafforzamento della propria reputazione, attraverso il miglioramento dei rapporti con gli stakeholder esterni e con il territorio in cui si opera; differenziazione della propria immagine rispetto agli altri competitors; ricerca di nuove nicchie di business; Per quanto concerne gli ambiti di applicazione della CSR nelle PMI le prassi individuate possono esser ricondotte a cinque principali sfere, comprese tra quelle elencate dal Libro Verde, presenti a volte anche contemporaneamente: 25 La ricerca, condotta da Formaper ed ISTUD fa parte del progetto REBUS (RElationships between BUsiness & Society) finanziato dalla Commissione Europea, che ha l’obiettivo di monitorare il grado di attenzione del management delle PMI nei confronti del concetto di CSR con finalità di individuazione e scambio di buone prassi che facilitino l’assunzione da parte del management delle imprese europee di pratiche di gestione responsabile. L’intera indagine è scaricabile dal sito: www.mi.camcom.it; 25 gestione dei collaboratori: finalizzato al mantenimento di un buon clima in azienda, ma importante anche quando si intende rafforzare la propria reputazione con azioni a livello locale; comunità locali: l’impegno si traduce in tradizionali attività di donazione e di sponsorizzazione, ma vi sono anche esempi di interventi più articolati; catena dei fornitori e dei clienti: attenzione alla trasparenza ed eticità dei rapporti con gli stessi, oltre che nel controllo della correttezza; gestione delle risorse naturali e degli effetti sull’ambiente: con prassi di gestione dei processi produttivi rispettosi dell’ecosistema. Per quanto riguarda le ricadute dei comportamenti socialmente responsabili delle imprese i riscontri maggiormente positivi si sono ottenuti sul fronte del personale. Nel caso delle imprese su cui ha agito l’aspetto dell’immagine e del rinforzo della reputazione, le ricadute sul posizionamento competitivo sembrano di segno discordante. Infine, per le nicchie di business si nota l’ottenimento di risultati per le iniziative di imprese che colgono la crescente sensibilità del mercato innanzitutto per aspetti salutistici (come è il caso dei prodotti da agricoltura biologica) e, in seconda battuta, per aspetti salutistico-ambientali (ossia per quei prodotti ottenuti con un processo rispettoso dell’ambiente e per i quali è evidente, nel contempo, l’impatto favorevole sulla salute del consumatore). Riassumendo, la ricerca sulle pratiche strategie di CSR nelle PMI è ancora allo stato embrionale. Tuttavia si possono riscontrare numerosi spunti di riflessione. Primo fra tutti, l’esigenza e l’importanza di dimostrare alle imprese che la CSR può costituire un fattore di vantaggio competitivo. Per quanto riguarda poi i rapporti con clienti e fornitori, la certificazione sociale ed ambientale della supply chain inizia ad essere considerata fattore di competitività, probabilmente perché, vista l’obiettività del rilascio da un ente terzo, rappresenta una attestazione dotata di una certo valore, certezza ed affidabilità. Il punto centrale resta la comprensione che, a fronte di un investimento di risorse materiali o immateriali che l’impresa è tenuta a sostenere, ci sarà in futuro un riscontro di vantaggi di enorme importanza strategica, destinato a portare nel lungo periodo risultati economico-finanziari. Ciò è dato dal fatto che 26 tali benefici sono conseguiti anche dai diversi stakeholder che si relazionano con la piccola media impresa. Spesso però le PMI non sono in grado di evidenziare e comprendere la portata, il peso, la sostanza di questo processo. Per rendere questi vantaggi tangibili e riscontrabili si rende necessaria una rendicontazione al fine di poter evidenziare numericamente (e quindi, obiettivamente e concretamente) il raggiungimento degli obiettivi prefissati. Lo sviluppo di tali strumenti è ancora molto sperimentale, ma è oltremodo necessario procedere in questo senso. Se sul fronte interno all’azienda appaiono abbastanza evidenti gli effettivi benefici procurati da una gestione socialmente responsabile del personale, la difficoltà maggiore e persistente sta nel fatto che ancora manca la possibilità di conquistare margini di competitività attraverso la valorizzazione dell’immagine e del significato sociale delle scelte fatte. Con tutta probabilità, ciò è dovuto sia alla scarsa conoscenza e fiducia della CSR presso il grande pubblico, sia ad una scarsa attività di informazione e comunicazione che le piccole e medie imprese attuano. Appare perciò essenziale produrre un vero e proprio salto culturale generalizzato coinvolgendo tutte le tipologie di stakeholders. La soluzione è complessa e prevede un intervento su molteplici livelli in grado di attuare un’azione di sensibilizzazione diffusa dei consumatori attraverso una maggiore conoscenza e consapevolezza del concetto di CSR, che molto spesso è ancora visto come un mero strumento di immagine. Il problema dei costi comunque non è affatto una questione banale, anzi, si configura come il primo ostacolo, perché spesso preclude ad una piccola o media azienda di sviluppare la sua CSR su base individuale. Sulla base di questo presupposto Roberto Zangrandi26 propone una CSR per le PMI basata sulla filiera produttiva (dal fornitore di materia prima base, al semilavorato, alle fasi di produzione finale, al canale di distribuzione, al dettagliante); oppure sul comparto merceologico (ai vari livelli di produzione e distribuzione); oppure ancora sulla localizzazione geografica (distretti produttivi omogenei). Ciascun sistema scelto prevede comunque una serie di elementi che sono: 26 R. Zangrandi, Dalla CSR di Impresa a quella di comparto o di territorio, intervento del 12 maggio 2006 a Rovigo, scaricabile dal sito www.ferpi.it; 27 l’impegno iniziale di un’istituzione, associazione, gruppo d’interesse che se ne faccia promotore; la scelta, e poi la condivisone, di un insieme di comportamenti – ispirati agli standard di riferimento della CSR e scelti fra quelli che hanno una connotazione più pratica per l’azienda – che diventino validi per la filiera, il settore merceologico o il territorio; il riconoscimento reciproco fra i partecipanti di vantaggi o comportamenti funzionali agli accordi presi; un sistema di dialogo con gli stakeholder condiviso e applicato; un sistema di rendicontazione della CSR collettivo. Altra soluzione per ovviare al problema dei costi è di ottimizzare gli sforzi e concentrarsi su una o due dimensioni, interne od esterne, ma scelte in base al maggior grado di connessione con il business dell’organizzazione. Ecco che allora per moltissime PMI il punto da cui partire è rappresentato proprio dall’impatto ambientale provocato. 29 Capitolo 2 LA COMUNICAZIONE NELLA CSR “Se però preferisce sapere, le si schiuderanno davanti tutto un universo di cognizioni nuove, nuove vie alla fama ed al potere, qui, in questa stanza, subito; e la sua vista sarà abbagliata da un prodigio che scoterebbe l’incredulità di Satana” Mr. Hyde 2.1 IL RUOLO DELLA COMUNICAZIONE NELLE STRATEGIE DI CSR 2.1.1 La teoria degli stakeholder come presupposto Come sottolineato nel precedente capitolo, l’approccio al business per stakeholders emerge intorno alla metà degli anni ’80 negli USA. Il padre di questa nuova concezione è Freeman27. Osservando la contingenza economica egli intuisce che “le attuali teorie sono inconsistenti sia per la portata sia per il 27 E. R. Freeman, Strategic Managment: a stakeholder approach, Pitman Publishing Inc., Boston, 1984; 30 tipo di cambiamento che sta avvenendo nelle imprese. E’ necessario un nuovo sistema concettuale”28. Lo scopo era quello di trovare metodi più completi per governare le complesse relazioni di cui bisogna tener conto nella definizione di una strategia. Freeman propone allora il suo ‘approccio per stakeholder’. Con quest’ultimo termine egli individua: “tutti i soggetti e i gruppi ben identificabili da cui l’impresa dipende per la sua sopravvivenza: azionisti, dipendenti, clienti, fornitori e agenzie governative chiave”. In senso più ampio, gli stakeholder sono gruppi di soggetti che possono influenzare o essere influenzati dalle attività dell’organizzazione in termini di prodotti, politiche e processi lavorativi. Questa teoria fortemente innovativa ha scardinato la visione di un impresa come blocco unico e compatto in ogni sua parte, per portare un modello di sistema aperto ed interattivo con l’esterno. L’idea è che esistono diversi mondi possibili di vedere e concepire l’azienda ed occorre perciò definire un nuovo modo di operare in cui al centro, per conseguire profitto e valore nel lungo periodo, è necessario includere e considerare la visione di più mondi. Ciò è reso possibile solo dallo sviluppo di relazioni tra le diverse componenti: al centro di qualsiasi strategia non c’è più il profitto, bensì le persone, che interagendo fra loro in maniera efficiente, creano valore e profitto per l’azienda e per la collettività intera. Il dialogo ed il coinvolgimento diventa quindi fondamentale perché cambia la percezione del ruolo dell’impresa, ed esso diventa lo strumento attraverso il quale l’azienda fa suoi principi come trasparenza, onestà, fiducia, inclusività e condivisione delle informazioni. Non coinvolgere in un dialogo attivo i propri stakeholder può significare la perdita di imput rilevanti dal mercato e perdita di reputazione. Quindi, le motivazioni per impegnarsi nel dialogo e nella costruzione di relazioni a due vie con gli stakeholder sono sia strategiche che reputazionali. Certo è che questo nuovo approccio comporta modalità operative completamente nuove, perché ciascun gruppo o soggetto possiede aspettative totalmente differenti ma ugualmente legittime. La sfida per l’azienda è trovare il punto di equilibrio tra i diversi interessi e valori, in una sorta di formazione di un contratto sociale equo ed efficiente tra l’impresa e tutti i suoi stakeholder. 28 E. R. Freeman, op cit; 31 Le evidenze empiriche da un recente studio UNEP/Accountability, mostrano che gestire l’impresa allargando la rosa delle esigenze da considerare genera benefici significativi per la gestione strategica29. Se l’importanza del coinvolgimento è indiscussa, il problema principale nasce nell’impostazione delle modalità di interazione e di coinvolgimento, che variano a seconda della natura dell’organizzazione, delle dimensioni della stessa, del contesto di riferimento, delle risorse e degli obiettivi specifici che si desidera raggiungere. Quello che è certo, è che l’attività di coinvolgimento degli stakeholder non può essere una attività sporadica e limitata ad alcuni comparti organizzativi, bensì deve essere inclusiva di tutti gli organi e funzioni (dai vertici ai dipendenti) e va effettuata in maniera costante. Certamente nel dibattito sulla CSR il tema dello stakeholder engagement diventa un elemento strutturale cardine della responsabilità sociale. Se inizialmente il processo era meramente consultivo, oggi, conseguita una maggiore consapevolezza dei benefici e una padronanza degli strumenti, si passa dal processo di consultazione a quello di inclusione, fino ad arrivare a vere e proprie forme di coprogettazione e di partecipazione alle scelte decisionali dell’impresa. Una delle ricerche più esaustive e approfondite sul tema è senza dubbio quella realizzata da Impronta Etica30. La fondazione, nel corso di un progetto avviato nel 2005, ha analizzato le modalità di evoluzione e di rafforzamento del ruolo che gli stakeholder ricoprono nella fase di definizione e implementazione delle strategie di sostenibilità delle aziende31. 29 In particolare, il dialogo con gli stakeholder aiuta a: Condurre uno sviluppo sociale più equo e sostenibile nel tempo; Consente all’ impresa una migliore gestione del rischio e della reputazione ; Rende le imprese sensibili ai bisogni dei propri interlocutori; Permette una maggiore capitalizzazione delle risorse intangibili; Facilita una migliore comprensione del core business; Favorisce la crescita della fiducia nell’ impresa e la sua legittimazione sociale; Questo studio è disponibile presso il sito www.unep.org. 30 Impronta Etica è un’ associazione senza scopo di lucro per la promozione e lo sviluppo della responsabilità sociale d’impresa, nata nel 2001 per volontà di alcune imprese emiliano-romagnole. Lo scopo è favorire lo sviluppo sostenibile, creando un network tra imprese e organizzazioni che intendono l’impegno sociale come parte essenziale della propria missione e si attivano in pratiche di responsabilità sociale. L’associazione si pone, inoltre, la finalità di rafforzare la presenza italiana nel panorama europeo: per questo nel 2002 Impronta Etica è divenuta partner del network europeo CSR Europe. L’intento è quello di favorire lo scambio di buone prassi e partecipare al dibattito apertosi in ambito comunitario. 31 Il progetto di ricerca è pubblicato all’interno del volume di M. Viviani, (a cura di), Il coinvolgimento degli stakeholder nelle organizzazioni socialmente responsabili, Maggioli Editore, 2006. La ricerca è stata condotta in diverse fasi. Primo, si è proceduto ad una rilevazione delle imprese che negli ultimi anni si sono avvicinate al tema della responsabilità sociale e ambientale, a partire da database italiani e stranieri, concentrando l’attenzione su quelle che avessero avviato un discorso di maggiore dialogo e coinvolgimento dei propri stakeholder e sulle modalità da loro adottate. Secondariamente sono 32 Le considerazioni più importanti che emergono dall’analisi degli standard e delle ricerche sono molteplici, in particolare: La realizzazione di un processo di partecipazione può essere facilitata dalla definizione di un terreno comune. Le diverse fasi del coinvolgimento devono sottostare ad alcuni principi basilari che sono: trasparenza, chiarezza, costruzione della fiducia, bilanciamento degli interessi dei diversi stakeholders. Le diverse fasi di un processo di coinvolgimento possono ricondursi a: formalizzazione dei principi, definizione degli obiettivi, identificazione degli stakeholder e dei temi da trattare, scelta della metodologia appropriata, implementazione del processo ed infine misurazione e verifica dei risultati, attraverso l’utilizzo di standard ed indici. Esistono differenti tipi di interazioni e relazioni con gli stakeholder che possono essere racchiuse sotto il termine di coinvolgimento e che si suddividono in: Ascolto, nel senso di comunicazione ad una via, a scopo informativo; Consultazione/dialogo, ovvero l’impresa si mette in discussione e si confronta con i propri interlocutori rendendoli partecipi della ricerca di soluzioni comuni. L’impresa si preoccupa anche di dimostrare agli stakeholder, in un secondo momento, se e come ha mantenuto gli impegni presi nei loro confronti. Inclusione: gli stakeholder entrano a far parte in maniera organica e strutturata del processo decisionale dell’azienda. Collaborazione: partnership, organi consultivi permanenti e altre forme di collaborazione più informali fra l’impresa e alcuni specifici stakeholder su progetti comuni. Nel tentativo di comprendere in quale punto del processo di inclusione sia posizionata la maggior parte delle imprese che adottano le pratiche di stakeholder engagement, si nota che è indubbiamente in atto una evoluzione che riguarda tutti gli aspetti presi in esame, ovvero: stati chiesti ulteriori approfondimenti ai responsabili di CSR delle aziende per integrare le informazioni raccolte; e focus group per confrontarsi sui risultati parziali con i referenti di imprese e associazioni. 33 Per quanto riguarda la tipologia di coinvolgimento l’impresa percorre una via che la conduce dal semplice ascolto alla vera e propria inclusione, maturando attraverso step intermedi nei quali sperimenta forme di consultazione sempre più dialogiche. Il coinvolgimento degli stakeholders si sviluppa inizialmente all’interno del processo di redazione del bilancio sociale, dove cominciano le relazioni con i portatori di interesse. La struttura del coinvolgimento segue un’evoluzione nel tempo. La maggior parte delle imprese soggette ad analisi si concentra nella fascia delle attività di coinvolgimento definite “continuative”: in queste si innesca un processo di controllo da parte degli stakeholder grazie alla ricorsività dei momenti di partecipazione effettuati che (a differenza di incontri spot svolti periodicamente) sono in grado di garantire anche una verifica da parte degli stakeholder sulle decisioni dell’impresa adottate a seguito delle consultazioni. Alcune aziende si distinguono per aver costituito organi consultivi permanenti che consentono una verifica in progress delle iniziative adottate dall’impresa e per aver realizzato partnership per raggiungere un determinato e condiviso obiettivo col supporto di soggetti della società civile o ONG, che in maniera periodica controllano l’operato dell’impresa. L’oggetto del coinvolgimento inizialmente è ristretto in prevalenza agli strumenti di accountability, per estendersi progressivamente alle performance aziendali (sia legate all’attività caratteristica che alla sostenibilità dell’impresa), sino a comprendere anche la definizione di politiche e strategie aziendali; Gli strumenti del coinvolgimento mutano sempre più verso forme di tipo qualitativo; I soggetti coinvolti, se inizialmente sono solo alcune categorie di stakeholder, diverse a seconda delle caratteristiche dell’impresa, con il trascorrere del tempo si assiste spesso ad un allargamento della platea di interlocutori ai quali ci si rivolge. 34 Questa evoluzione è naturalmente il frutto della progressiva maturazione dell’impresa che si dimostra nel tempo più disponibile al dialogo, poiché acquisisce maggiore consapevolezza sia del significato assunto dal coinvolgimento degli stakeholder che del valore che esso è in grado di apportare, ma anche grazie a competenze specifiche ed una rinnovata e diffusa cultura d’impresa al proprio interno. D’altra parte, essa è anche il prodotto della maturazione degli interlocutori dell’azienda, i quali acquisiscono a loro volta maggiore conoscenza dell’impresa, riducono il proprio livello di diffidenza e accrescono la disponibilità al confronto. 2.1.2 La leva della comunicazione nella CSR In tutte le imprese, indipendentemente dallo stadio di sviluppo raggiunto dalle strategie di responsabilità sociale, la comunicazione gioca un ruolo cruciale32. Come evidenziato in precedenza, la logica su cui si fonda l’agire economico delle organizzazioni tiene in considerazione (e include) le opinioni degli stakeholder, tanto più nei casi in cui si adottino strategie e prospettive di CSR. La gestione della comunicazione e delle relazioni è il canale attraverso il quale si possono realizzare e creare i rapporti con i pubblici influenti, ma l’ampia diffusione delle strategie è contemporaneamente una leva per il successo. Il nuovo paradigma che conduce a buoni risultati, soprattutto adottando strategie di CSR è quindi fare bene (includendo nelle decisioni le aspettativeesigenze degli stakeholder) e farlo sapere. Mai come in questo momento storico infatti la società vive ed opera grazie alla comunicazione e le relazioni. La loro forma, gli strumenti utilizzati, i destinatari ed i messaggi costituiscono le note attraverso le quali si dipanano le politiche aziendali. Il paradigma classico, che prevede per l’impresa la sola responsabilità di produrre più valore economico possibile e che assegnava alla comunicazione un ruolo confinato nel terreno dell’immagine, ha lasciato spazio ad un’altra concezione, che fa della comunicazione lo strumento strategico in grado di contribuire alla realizzazione di due vantaggi, che rivestono un’importanza sempre maggiore per le imprese: fiducia e reputazione. 32 N. Cerana, op cit., pag 32; 35 Questo importante ruolo affidato alla comunicazione diventa ancora più sostanziale se le organizzazioni implementano politiche di responsabilità sociale ed operano attraverso il coinvolgimento dei diversi stakeholders, entrando nel territorio delle relazioni fra impresa e società. In questo contesto, la comunicazione deve fare uno sforzo ancora maggiore, adottando una prospettiva a due vie e cercando di presidiare i sistemi di relazione. Il paradigma della comunicazione cambia in maniera radicale, assumendo caratteristiche particolari che possono essere sintetizzate nei seguenti cinque punti33: Valori come radici: sono la fonte di ispirazione dell’orientamento strategico e costituiscono contemporaneamente a fonte di legittimazione esterna e quella di identificazione interna. A due vie: è sempre un dialogo simmetrico, che considera l’ascolto come parte fondante e che è finalizzato non alla declinazione del messaggio, ma all’inclusione delle aspettative dei diversi stakeholder negli obiettivi e strategie dell’organizzazione34. Comunicare fatti: la comunicazione è un passaggio fondamentale nella CSR perché consente contemporaneamente di divulgare i comportamenti virtuosi moltiplicando la sensibilità ai temi sollevati e di creare valore e reputazione per l’impresa. Questo è possibile solo se essa è attuata a valle da programmi e progetti concreti in grado di cambiare veramente il modus operandi delle imprese, altrimenti essa si limita ad una operazione di immagine e facciata, che può provocare effetti contrari di quelli sperati. Spesso accade anche che aziende impegnate nel sociale non comunichino la loro attività: anche questo non è positivo, perché non solleva la questione nella collettività e non innesca il meccanismo sociale dell’imitazione. L’equilibrio fra la comunicazione e l’azione quindi è davvero molto delicato ed è in gioco la reputazione e il successo non solo della CSR stessa ma dell’intera organizzazione. Una soluzione potrebbe essere il tipo di messaggio che si comunica, che dovrebbe essere prevalentemente razionale e basato su dati numerici ed indici inconfutabili. 33 34 cfr. Cerana, op. cit., pag 42; T. Muzi Falconi, GoRel- Governare le Relazioni, Il Sole 24Ore, Milano 2005 (II ed.); 36 Valutare la qualità e l’efficienza: come qualsiasi altra attività attuata da una organizzazione, anche la comunicazione deve essere efficiente e per questo va sottoposta a valutazione e a miglioramento continuo. Approccio sistemico: la comunicazione coinvolge tutti i soggetti che operano al suo interno, in una prospettiva di stakeholder, che possono essere primari o secondari, influenti consapevoli o non35. Per influenti si intendono tutti gli individui o i gruppi che possono influenzare il raggiungimento degli obiettivi dell’impresa. Incrociando influenti e stakeholder, si ottengono tre tipologie di stakeholder: Influenti: coloro che si considerano rilevanti per l’impresa e che l’impresa considera tali. Non riconosciuti: soggetti che sono consapevoli di avere un interesse nell’organizzazione e sono interessati ad interloquire ma che non vengono considerati tali dall’organizzazione ed ai quali l’organizzazione non riconosce, o non riconosce ancora, la titolarità di interloquire. Influenti non stakeholder: soggetti non consapevoli e non interessati ad interloquire, anche se l’organizzazione li considera rilevanti. Dal punto di vista operativo questa distinzione è fondamentale, perché a seconda del sentito e della posizione occupata dai diversi soggetti i messaggi ed il tipo di relazione cambia in maniera sostanziale. Presidiare ed organizzare la comunicazione secondo criteri che possono sprigionare tutto il potenziale relazionale e di creazione di valore intangibile comporta non solo un cambio di prospettiva, ma anche una precisa metodologia operativa, che si sviluppa nel metodo del Gorel36. Il Gorel razionalizza le fasi i cui si deve articolare il processo di organizzazione e gestione delle relazioni e si compone di dieci fasi, che sono: Visioning: identificazione ed esplicitazione di mission, vision, strategia e valori guida; 35 Identificazone ed ascolto delle aspettative degli stakeholder; cfr Muzi Falconi, op cit, pag 166; Il Gorel è stato sviluppato da un gruppo di professionisti tra cui Toni Muzi Falconi, a partire da un modello elaborato da James Grunig, docente di relazioni Pubbliche all’Università del Maryland. 36 37 Identificazione degli obiettivi aziendali, al cui raggiungimento le relazioni pubbliche (e la comunicazione) sono chiamate a contribuire in misura strategica; Individuazione delle variabili che possono influenzare il raggiungimento degli obiettivi aziendali e comprensione di quali fra queste possono essere influenzatela una attività di relazioni pubbliche; Per ciascun obiettivo, selezione degli influenti non stakeholder importanti al raggiungimento degli obiettivi, che l’azienda cercherà di far diventare consapevoli ed interessati; Test preliminare dei messaggi chiave, con la fissazione di obiettivi qualitativi e quantitativi specifici dell’attività di comunicazione; Fissazione della strategia operativa, ovvero delle modalità, dei canali, tempi e strumenti su cui puntare l’attenzione; Trasferimento dei messaggi, attraverso l’uso degli strumenti operativi specifici delle relazioni pubbliche; Ascolto e verifica del raggiungimento dei risultati e della loro misurazione; Se questo rappresenta il migliore dei mondi possibili, c’è da ribadire che in molti casi le relazioni pubbliche e la comunicazione entrano all’interno di questo processo solo a partire dall’ottava fase, sviluppando solamente un ruolo operativo, con il risultato che essa possa risultare inefficiente, perché a monte non è stato presidiato né il contenuto dei messaggi, né tantomeno la gestione della relazione con gli stakeholder. La comunicazione e le relazioni rivendicano un ruolo strategico che non è ancora condiviso da tutte le stanze dei bottoni, forse perché per troppo tempo queste due componenti sono state divisioni meramente operative che avevano l’esclusivo compito di affossare lati scuri, limitare i danni e depistare sospetti piuttosto che rispondere a domande e cercare il dialogo con i soggetti strategici. Il passaggio è epocale: da un ruolo reattivo (e operativo) si passa ad un ruolo propositivo (e strategico) dove l’operato delle relazioni pubbliche contribuisce alla definizione del piano da adottare, perché alla base della licenza di operare c’è il nuovo paradigma dello stakeholder engagement. Da questa prospettiva, la reputazione della comunicazione è un nodo cruciale che spiega e giustifica i dubbi e le perplessità di chi critica la CSR, perché quest’ultima, se condotta e implementata esclusivamente dalla direzione 38 comunicazione è da considerarsi come una operazione di facciata e pubblicitaria, che non intacca la sostanza dell’organizzazione, è una ‘cultura dell’ apparente e dell’apparenza37’. Il punto da cui partire non è solamente la funzione alla quale è affidata la conduzione della CSR (ruolo che in questa prospettiva spetta solo e soltanto al vertice aziendale), ma l’irradiazione delle politiche di CSR che, come ribadito più volte, deve coinvolgere tutte le divisioni aziendali, comunicazione compresa. Quest’ultima è chiamata sia a nuovi compiti strategici per l’avvio ed il mantenimento delle relazioni con gli stakeholders, sia ad operare essa stessa in termini ‘responsabili’. La comunicazione quindi ha un doppio ruolo: quello di leva di sviluppo di buone pratiche di CSR attraverso lo stakeholder management e quello di strumento per la diffusione delle (buone) pratiche. Il Primo rapporto FERPI sulla Comunicazione Socialmente Responsabile38 si propone di sondare questi temi e misurare numericamente il sentito su tutte queste sfumature del rapporto fra CSR e comunicazione. L’indagine, promossa da FERPI, si concentra l’attenzione su tre aspetti: La dimensione organizzativa della comunicazione di CSR; La comunicazione della CSR nelle organizzazioni; La responsabilità sociale della comunicazione; Per quanto riguarda il primo aspetto, se viene evidenziato che la responsabilità delle politiche di CSR è affidata per la maggior parte dei casi al top management, confermando il ruolo strategico di questa funzione aziendale, la responsabilità della comunicazione di CSR è affidata principalmente alla Direzione Comunicazione. Il 12% del campione ritiene che non sia necessario dedicare risorse alla comunicazione di queste iniziative, anche se gli intervistati lavorano in imprese in cui è presente una funzione di comunicazione interna strutturata, ma la maggioranza (37%) segnala comunque l’esistenza di un budget dedicato alla comunicazione delle politiche di CSR. Per analizzare le caratteristiche della comunicazione di CSR, che viene qui intesa come uno strumento per valorizzare le politiche ed i programmi posti in 37 N. Cerana (a cura di), Rapporto FERPI sulla comunicazione socialmente responsabile, luglio 2006, scaricabile dal sito www.ferpi.it. Questo è il primo studio nazionale che analizza le opinioni di comunicatori (operanti in imprese di medio-grande dimensione) e stakeholder tecnici sulle attività di comunicazione della CSR. Per stakeholder tecnici si intendono i primi destinatari della comunicazione socialmente responsabile: opinion maker, responsabili di associazioni non profit e rappresentanti di organizzazioni sindacali e di categoria. 38 Vedi nota 11; 39 essere in ambito di CSR39, si sono esaminati i diversi significati attribuiti alla comunicazione da stakeholder e influenti, gli strumenti più utilizzati e ritenuti più efficaci, gli obiettivi che vengono perseguiti e i risultati che ne scaturiscono. Per quanto riguarda i significati della comunicazione, la maggioranza degli operatori afferma che la comunicazione delle politiche di CSR è un operazione di immagine (51,3% dei comunicatori) ma anche uno strumento di governo strategico (47,1%) e, in questo contesto, il compito del comunicatore è quello di valorizzare i programmi di CSR ma anche di ascoltare i bisogni degli stakeholder (51,3%), riconoscendo il proprio ruolo strategico. Per quanto concerne la diffusione degli strumenti di comunicazione adottati, i mezzi più usati dai comunicatori di impresa sono le donazioni a cause sociali e l’ufficio stampa, coerentemente con gli obiettivi perseguiti da questa attività e più adatti alla comunicazione di massa. L’utilità percepita degli strumenti da adottare però favorisce anche altri strumenti, come il bilancio sociale e i codici etici. Se si incrocia l’utilità degli strumenti con la loro diffusione si scopre infatti che ci sono incoerenze: le cause sociali sono considerate diffuse ma poco utili, ciò dovuto soprattutto ad un retaggio del passato e ad una visone restrittiva della CSR alla mera filantropia. Strumenti che invece sono considerati poco utili e vengono quindi poco usati sono le certificazioni ed i marchi etici, a testimonianza di come sia ancora difficile considerare veritieri ed utili gli strumenti di valutazione oggettiva da parte di terzi per le grandi imprese. Per quanto riguarda i risultati conseguiti dalla comunicazione nel processo di CSR, i comunicatori affermano che sono molti i benefici che questa funzione apporta e gli effetti delle politiche comunicative di CSR sono riscontrabili soprattutto in un miglioramento dell’immagine e nell’aumento della fiducia dell’organizzazione. Gli stakeholder tecnici però avvertono un maggiore miglioramento dell’immagine rispetto ai comunicatori di impresa. Senza ombra di dubbio quindi le Relazioni Pubbliche sono da considerarsi un elemento fondamentale della strategia di comunicazione CSR. Tale principio è sancito anche dalla Global Alliance for Public Relation nel Position Statement on CSR nel quale si dichiara: 39 cfr Cerana (a cura di), op cit, pag14; 40 Serious cautions should be given due weight in projecting a CSR/PR interface: Don’t over-promise; Be aware that CSR is evolving and it has its skeptics and its advocates; Acknowledge that a successful CSR/PR model requires integration of public relations with many other professional disciplines; Recognize the different perspectives of the world’s many traditions and cultures. But even with such cautions, the case is strong for public relations to be at, or near, the center of CSR management. The essence of professional public relations practice is to apply communications to help an organization, in this context a corporation, develop and maintain reciprocal relationships with the publics (or stakeholders) that can influence its 40 future . Se molti sono gli spunti positivi infatti, altrettante sono le criticità e le preoccupazioni che possono minare i benefici dell’attività di comunicazione della CSR. I comunicatori affermano che uno dei maggiori problemi è rappresentato dalla mancanza di cultura aziendale orientata alla responsabilità sociale e l’incoerenza tra i principi dichiarati e gli interessi effettivamente perseguiti. I comunicatori sono consapevoli che questa incoerenza influenza in maniera determinante la credibilità della comunicazione delle politiche di CSR. Molti comunicatori considerano la comunicazione di CSR non credibile e motiva questa scelta affermando che essa non è veritiera, è opportunistica e c’è scetticismo rispetto alla sua utilità. All’opposto, chi considera la comunicazione di CSR credibile (solo il 52,1 degli stakeholder tecnici ed il 54,7 dei comunicatori di impresa) individua motivazioni quali la professionalità e la buona volontà. Per quanto riguarda il tema della responsabilità sociale della comunicazione, i valori che la identificano come tale sono la chiarezza e la completezza, nonchè il rispetto dei codici di etica professionale per i comunicatori e per gli stakeholder tecnici, mentre per i cittadini assume maggior valore la trasparenza e il dichiarare sempre la verità, anche se scomoda. Interessante riscontrare che i comunicatori di fronte ad un dilemma etico seguono per il 51,3% la personale etica professionale e il 29,4% i principi della 40 “Serie accortezze devono avere un doveroso peso nella progettazione di una campagna di relazioni pubbliche/CSR: Non fare promesse troppo grandi Fare attenzione al fatto che la CSR è una materia in via di evoluzione, con difensori e scettici; Tenere presente che un modello di rp/CSR di successo ha bisogno dell’integrazione delle relazioni pubbliche con le altre discipline professionali; Riconoscere le differenti prospettive date da diverse culture e prospettive nel mondo. Ma anche con tutte queste considerazioni, la questione è forte per le relazioni pubbliche che sono, o saranno presto, il centro del management della CSR. L’essenza della pratica professionale delle relazioni pubbliche è quella di declinare la comunicazione per aiutare l’organizzazione, in questo caso un’azienda, a sviluppare e mantenere reciproci rapporti con i pubblici (o gli stakeholder) che possono influenzare il suo futuro”. 41 organizzazione di appartenenza. Per quanto riguarda i codici deontologici, li usa solo il 13,4% e anche se molti li conoscono, davvero pochi comunicatori li usano. Per ben il 62% degli stakeholder tecnici, la comunicazione è poco o per nulla responsabile, ovvero caratterizzata da quei valori descritti prima. La realtà quindi delinea un quadro che sicuramente è in evoluzione, ma che è ancora restio a considerare positivamente in termini di correttezza non solo la comunicazione di CSR ma (fatto ancora più grave) l’intera attività di comunicazione stessa. Tutto ciò è da considerarsi un campanello d’allarme, perché la sfiducia in una componente così fondamentale può danneggiare l’intera strategia di CSR. Quindi quali soluzioni e prospettive comunicative adottare nella CSR? L’efficacia della comunicazione dipende dalle attese del ricevente. Pertanto è fondamentale andare verso la direzione degli stakeholder e comprenderne prima le opinioni ed il sentito attraverso accurate ricerche sul campo, che indirizzano l’organizzazione verso l’utilizzo degli strumenti di gestione e di comunicazione della CSR più credibili e verso i quali i destinatari ripongono maggiore fiducia. Secondariamente, si rende necessaria un’attività di rendicontazione e di valutazione dell’efficacia specifica della comunicazione di CSR effettuata, attraverso standard internazionali e modelli teorici riconosciuti validi dalla comunità come quello di ERICA. Questa teoria incrocia i diversi livelli di fiducia (assente, calcolativa, conoscitiva, valoriale) con i diversi livelli di relazione e comunicazione (assente, informazionale, interazione, partnership) che ciascun stakeholder possiede nei confronti dell’organizzazione, componendo una griglia nella quale si collocano i diversi strumenti di comunicazione a seconda della opinione espressa (sempre in termini di fiducia e relazione sullo strumento) da ciascun stakeholder: per esempio, come evidenziato dalle ricerche, per avviare un percorso di partnership fra impresa ed istituzioni lo strumento più efficace è la certificazione sociale; al contrario il bilancio sociale è un valido strumento di informazione, ma non è considerato dallo stakeholder istituzionale uno strumento valido per avviare azioni in partnership41. Infine, c’è da ribadire il fatto che la comunicazione in prima battuta aiuta a gestire e migliorare i rapporti con i diversi stakeholder ed in un secondo 41 cfr, Cerana, op cit, pag 69 42 momento comunica i risultati, le performance ed il vantaggio delle globali politiche di CSR adottate in maniera trasparente, credibile e secondo un criterio di accountability. L’operazione contraria risulta una attività prettamente di immagine. In questo quadro concettuale, la CSR è il terreno nel quale lo scopo primario della comunicazione e delle relazioni pubbliche riconducibili al pensiero di Muzi Falconi da una parte ed Invernizzi dall’altra, sembrano perfettamente integrati in una sorta di circolo virtuoso. Il pensiero ‘relazionista’ di Toni Muzi Falconi indica come fine ultimo della comunicazione quello di contribuire allo sviluppo dei sistemi di relazioni positivi che l’organizzazione instaura coi suoi pubblici influenti. Questa teoria veicola l’importanza dell’identità dell’organizzazione, ovvero il modo in cui la stessa viene percepita dai suoi pubblici. Dall’altra parte Emanuele Invernizzi adotta una visone ‘reputazionista’ che vede come fine ultimo della comunicazione quello di contribuire alla reputazione dell’organizzazione, con lo scopo di costruire l’immagine della organizzazione intesa come percezione dell’organizzazione che la stessa vorrebbe avessero i suoi pubblici. Se infatti si instaura un efficiente sistema di dialogo e relazione costante con gli stakeholder, si contribuirà in prima istanza a far muovere l’organizzazione verso strategie ed azioni condivise, ed in un secondo tempo la comunicazione e diffusione di tali politiche non apparirà solamente come un’operazione di facciata, bensì la condivisone con la comunità di buone prassi attraverso strumenti di accountability, per un’ulteriore approfondimento e creazione di reputazione, che alimenterà a sua volta il dialogo con gli stakeholder, facendo ripartire il ciclo. 43 2.2 GLI STRUMENTI DELLA CSR FRA GESTIONE E COMUNICAZIONE 2.2.1 L’indissolubilità di gestione e comunicazione Secondo i principi enunciati in precedenza, quando si parla di strumenti per la gestione della CSR, si parla obbligatoriamente anche di strumenti di comunicazione. Per essere implementati al meglio, gli strumenti che possono venire adottati dalle organizzazioni per l’implementazione di strategie di CSR tengono conto delle opinioni di diversi stakeholder: per questo la comunicazione è in essere già dai primi passi di sviluppo di qualsiasi strumento di CSR, in quanto aiuta ad intercettare e comprendere tali opinioni e flussi informativi attraverso l’applicazione di specifici metodi, strumenti, canali, attività. In un secondo momento, la comunicazione usa nuovamente i suoi elementi per diffondere i contenuti e le buone pratiche risultanti dallo strumento di CSR adottato, al fine di aumentare la conoscenza verso il vasto pubblico delle sue buone pratiche e conseguire così maggiore valore reputazionale. Questi due lati della comunicazione di CSR sono molto diversi, e anche se strettamente connessi, sono facilmente confusi. Spesso accade di soffermarsi maggiormente sulla seconda fase, in quanto alcuni strumenti di CSR, per le loro caratteristiche intrinseche, fanno della diffusione una componente essenziale per la loro piena realizzazione. Ad esempio, il codice etico potrebbe essere creato con scarso o addirittura nullo coinvolgimento degli stakeholder e gli può venire dato ampio risalto a livello comunicativo, con larga diffusione attraverso l’utilizzo di molti mezzi. Il guaio è che alla base della validità dello strumento ci deve essere da parte dei collaboratori la piena adesione e riconoscimento della bontà dei principi enunciati, cosa possibile solo se si è attuato un valido programma di ascolto e coinvolgimento a monte. All’interno di qualsiasi strumento di CSR quindi, affinché ciascun strumento possa essere pienamente efficiente ed efficace, l’equilibrio fra l’aspetto relazionale (di ascolto e gestione) e quello reputazionale (di divulgazione delle buone pratiche) della comunicazione deve essere ben calibrato. 44 Di seguito si analizzeranno i principali strumenti di CSR, con una particolare attenzione all’importanza ricoperta dai ruoli reputazionale e relazionale della comunicazione. 2.2.2 Gli strumenti di CSR 2.2.2.1 Codice etico Uno dei pilastri della CSR nonché uno dei primissimi strumenti ad essere utilizzato è senza ombra di dubbio il codice etico e/o i codici di comportamento. All’interno di questi strumenti abbastanza agevoli e stringati, l’azienda esplicita e codifica i propri impegni e le proprie responsabilità nella gestione dell’organizzazione nei confronti dei clienti e degli stakeholder. Nelle imprese tale strumento è stato introdotto negli Stati Uniti già nei primi decenni del XX secolo. Il primo codice che diventa veramente famoso è il Credo della ‘Johnson & Johnson’, che afferma la responsabilità dell’azienda verso tutti i suoi interlocutori: azionisti, medici, clienti, dipendenti, comunità. Negli Stati Uniti, dopo un onda di scandali conseguenti alla rilevazione del pagamento di tangenti a pubblici ufficiali e la conseguente legge del 1977, la diffusione di questo strumento diviene consistente. In Europa questa pratica si fa conoscere tardivamente, successivamente a indicazioni dell’Unione Europea. Il codice può essere definito come “la dichiarazione dell’insieme di diritti, doveri e delle responsabilità dell’impresa nei confronti di tutti gli stakeholder: è l’esplicitazione delle politiche aziendali in materia di etica di impresa e delle norme di comportamento alle quali i lavoratori devono attenersi42”. Il codice rappresenta quindi una delle principali fonti di riferimento per la CSR dell’impresa e apporta molteplici vantaggi sui fronti aziendale ed individuale (del singolo manager), perché rende espliciti i comportamenti scorretti, nonché a livello settoriale contribuisce ad alimentare la fiducia del pubblico. Il suo uso è maggiore nelle imprese di grandi dimensioni e nelle multinazionali, con l’obiettivo di creare una base di valori condivisi soprattutto con i numerosi dipendenti e collaboratori. La sua elaborazione non è semplice e per essere efficace e valido, il codice etico deve aver obbligatoriamente attivato un processo partecipativo in cui è preso in considerazione soprattutto il sentito dei dipendenti. 42 cfr N. Cerana, op cit, pag 74; 45 Per quanto riguarda la strategia di comunicazione e diffusione, in genere si registra la realizzazione di stampati ad hoc e di diffusione multimediale, con un focus all’informazione e alla formazione interna. 2.2.2.2 Volontariato di impresa Nato alla fine degli anni ’70, il volontariato di impresa è il coinvolgimento attivo del personale aziendale in azioni rivolte alla comunità. L’azienda esporta e ‘regala’ le competenze e risorse interne ad una platea più allargata. Tale impegno può assumere la forma di programmi autogestiti dai dipendenti ma riconosciuti dall’azienda oppure programmi organizzati dall’azienda stessa che si priva di personale per un tempo determinato, il quale svilupperà un progetto di interesse collettivo all’interno della comunità di appartenenza dell’organizzazione. Questo strumento di CSR registra ampia soddisfazione soprattutto da parte dei dipendenti, in quanto costituisce un arricchimento personale e favorisce un senso di orgoglio e di identificazione con l’organizzazione, supportato da un dialogo che consente contemporaneamente di scegliere le modalità e di condividerne le riflessioni maturate ed i risultati materiali conseguiti. La comunicazione esterna non è usata in moltissimi casi di volontariato di impresa, ingrediente che invece contribuirebbe a creare una sensibilità maggiore alle questioni sociali affrontate. 2.2.2.3 Cause Related Marketing Uno degli strumenti più usati e controversi della CSR è rappresentato da questa attività commerciale in cui le imprese e le organizzazioni non profit formano delle partnership temporanee al fine d promuovere un’immagine o un prodotto traendone reciproco vantaggio43. Il CRM non è da confondere con la filantropia, che è da ricondurre ad una sfera meramente personale e morale dei capitani d’impresa, ma spesso comunque si sono sollevate molte polemiche sul presunto beneficio sociale che apporta questo strumento: molte aziende sono state accusate di usare questa leva in maniera esclusivamente comunicativa e di marketing. Innegabile ammettere 43 Definizione tratta dall’opuscolo realizzato da Sodalitas: ”Cause Related Marketing: linee guida”, del maggio 2003 e scaricabile dal sito www.sodalitas.it; 46 che con questo strumento l’organizzazione ricorre a tutte le tecniche e le discipline della comunicazione commerciale: dalla pubblicità agli eventi passando per l’ufficio stampa. Per essere efficace infatti, questo strumento fa maggiormente leva sulla fase di comunicazione esterna, ed è innegabile che la scelta di adottare questo strumento deve essere ben ponderata alla reputazione dell’organizzazione. Inoltre, è bene che nella comunicazione l’equilibrio fra l’informazione e la causa sostenuta sia sempre a beneficio della seconda, con un focus sui risultati raggiunti. 2.2.2.4 Bilancio ambientale, sociale e di sostenibilità Si caratterizzano per essere sistemi di misurazione, organizzazione e comunicazione di dati relativi all’impatto delle attività dell’organizzazione sull’ambiente e sulla società in generale. Si tratta di uno strumento riassuntivo che è in grado di rendicontare in maniera oggettiva i risultati raggiunti rispetto agli obiettivi precedentemente fissati. Si pone come scopo primario la rappresentazione dei valori e degli effetti che l’attività dell’azienda produce sull’ambiente e sull’insieme degli stakeholder. Questi bilanci dimostrano l‘attenzione e la sensibilità dell’azienda al contesto in cui operano, focalizzando l’attenzione su una o più variabili. A seconda del numero di fattori considerati infatti si distinguono fra rendiconti sociali (aspetti qualitativi degli interventi), bilanci sociali (aspetti quali-quantitativi degli aspetti economico, ambientale e sociale diretto) e bilanci di sostenibilità (aspetti quantitativi relativi a variabili micro e macro). Rendicontare questo tipo di aspetti con un approccio quantitativo può risultare una operazione particolarmente complessa, ma negli ultimi anni si sono prodotti molteplici sforzi in questo senso, sulla base del principio che non si può misurare (e quindi controllare) ciò che non si è in grado di descrivere. Quindi la qualità passa attraverso la quantità. Per questo sono stati studiati e creati numerosi standard che identificano diverse tipologie di principi da seguire per la stesura del bilancio, ovvero: Standard per principi di processo: analizzano i fattori e gli elementi da includere nel rendicontare come e se sono stati coinvolti i gli stakeholder nell’attività aziendali. I più famosi sono AA 1000 (ISEA) e la Copenhaghen Charter. 47 Standard per principi di contenuto: indicano quali dovrebbero essere gli argomenti e le questioni da analizzare. I più importanti sono il GRI (Global Reporting Iniziative) e l’italiano GBS (Gruppo di studio per il Bilancio Sociale). Ma esistono tantissimi standard che rendicontano solamente attività specifiche, che possono far parte di vere e proprie certificazioni. I più importanti sono: London Benchmarking Group: è una metodologia per la misurazione del sostegno dato allo sviluppo delle comunità locali; Sigma Guidelines: linee guida di supporto al management nel miglioramento del processo di gestione responsabile; SA 8000: certificazione del rispetto da parte dell’azienda azienda (e dei suoi fornitori) dei diritti dei lavoratori e di diritti umani; Gruppo CSR-SC del Ministero del welfare: set di indicatori da seguire per la rendicontazione e la presentazione di domande di sgravio fiscale; Certificazioni del sistema di gestione ambientale (ISO 14001, EMAS); Requisiti per l’ammissione al DJSI, FTS400, DJSI, FTS400, Ethibel: sono informazioni e dati sulla sostenibilità dell’impresa richieste per l’ammissione a indici di sostenibilità internazionale; Global Global Compact, Dichiarazione OCSE, “core labour standards”, ILO, Norme ONU, ovvero i principi valoriali di riferimento per le imprese che intraprendono attività di CSR. Standard per i principi di verifica della redazione del bilancio: hanno l’obiettivo di valutare se il documento è stato redatto nella forma più completa, esaustiva e trasparente possibile. Tra i più autorevoli ci sono AA1000S ed ISAE 3000. E’ possibile ottenere una certificazione esterna che attesti la conformità nella procedura usata nella redazione dei bilanci sociali. Le organizzazioni autorizzate analizzano e rilasciano la conformità ad uno o più dei seguenti standard: Principi di Revisione dell’International Federation of Accountants (IFAC), Global Reporting Initiative (GRI), AA 1000 Assurance Standard, ISAE 3000 Revised (IAASB), Attestazione di conformità del GBS, Providing Assurance on Sustainability Report della FEE. 48 Il processo di comunicazione del bilancio passa attraverso una attenta fase di pianificazione delle azioni da intraprendere: tale strumento infatti è complesso da comprendere ed è necessaria una semplificazione che evidenzi i risultati più importanti. I principali destinatari del bilancio sono senza dubbio gli azionisti e gli investitori, ma anche i dipendenti, fornitori, clienti. 2.2.2.5 Le certificazioni Il concetto di certificazione è strettamente connesso al concetto di qualità. Qualità significa capacità di soddisfare nel miglior modo possibile le esigenze, di tipo morale e materiale, sociale ed economico, proprie della vita civile e produttiva, opportunamente identificate e tradotte in determinati requisiti concreti e misurabili. Le esigenze che la qualità è chiamata ad assolvere possono essere di carattere primario, connesse cioè con bisogni fondamentali; o di natura accessoria, relative allo sviluppo del sistema economico ed al benessere della società (prestazioni, affidabilità, durata e caratteristiche dei prodotti sia strumentali che di consumo; peculiarità dei servizi intangibili). Oggi la qualità legata al soddisfacimento delle esigenze accessorie diventa sempre più un fattore di competitività, tanto che molte esigenze secondarie sono ora annoverate fra quelle primarie e assume un ruolo importantissimo anche il controllo qualitativo del sistema posto in essere. Ma come distinguere fra le imprese che adottano realmente tali comportamenti virtuosi e quelle che invece lo esprimono soltanto con le parole? Ecco allora l’implementazione di forme di assicurazione della conformità ai requisiti applicabili: le certificazioni. Le certificazioni sono attestazioni rilasciate da un ente esterno che garantiscono l’osservazione da parte di un organizzazione di precisi standard nello svolgimento di una o più attività. Ad oggi infatti è un universo estremamente complesso e variegato al proprio interno, che comprende un’ampia gamma di etichette diverse sia per ambito di intervento che per caratteristiche strutturali. Nata infatti come forma di controllo ex-post sull’output dell’azienda, la certificazione ha col tempo assunto connotati differenti di controllo ex-ante incentrato sui concetti di prevenzione e assicurazione di qualità sviluppando via via un approccio sempre più sistemico. Tuttavia, nonostante la diversità delle 49 varie forme di certificazione esistenti, esse si basano tutte sul medesimo impianto: a capo del sistema è posto un ente che stabilisce gli standard e i requisiti ai quali uniformarsi. Allo stesso tempo il medesimo ente funge da garante dell’intero sistema in quanto responsabile dell’accreditamento degli enti di certificazione, ovvero delle strutture deputate alla verifica sul campo della conformità dell’impresa e dei suoi prodotti agli standard stabiliti, i quali sono a loro volta sottoposti a verifiche periodiche da parte dell’ente accreditante. All’interno di questo contesto possiamo distinguere due principali forme di certificazione, che garantiscono due diverse componenti qualitative: la certificazione di prodotto: l’ente accreditato verifica che le caratteristiche del prodotto siano conformi rispetto ai requisiti fissati dalla norma. In questo caso il prodotto finito risulta conforme rispetto a prestabiliti requisiti di osservanza di specifici criteri sociali o ambientali. Si attua mediante l’applicazione di metodologie di campionamento e analisi di laboratorio. Le certificazioni di prodotto sono molto numerose perché moltissime riguardano specifici prodotti (es. agroalimentari) e ciascuna attesta diverse caratteristiche. In particolare, fra le certificazioni di prodotto applicabili a più categorie di merci si distinguono certificazioni di tipo: ambientale: Ecolabel, DAP; sociale: (equosolidale); omnicomprensive; la certificazione di processo: la verifica verte sulla rispondenza delle modalità di realizzazione del prodotto e delle attività dell’organizzazione ad uno standard predefinito. In genere impone all’impresa di dotarsi di un sistema di gestione e verifica la conformità di quest’ultimo rispetto alle caratteristiche previste dalla norma. Coniuga sia l’attenzione al processo produttivo sia l’attenzione al risultato finale della certificazione di prodotto, anche se con forme e modalità differenti. Di norma si attua mediante visite ispettive. Le principali certificazioni di processo si possono suddividere sulla base degli aspetti che tengono in considerazione. In particolare, si distinguono certificazioni di tipo: Ambientali: ISO 14001, EMAS; 50 Sociali: SA 8000; Omnicomprensive: Sigma, Q-Res, ISO 26000. Ai fini dello sviluppo di politiche di CSR le etichette più importanti sono senza dubbio quelle attestanti i processi produttivi. Ma ciò è valido solo in linea generale, perché molto dipende dalla struttura dell’organizzazione e dal settore in cui opera l’impresa. In ogni caso, che si tratti di certificazioni di prodotto o di processo, gli standard e le relative certificazioni si articolano attorno al concetto di sistema di gestione. Tali sistemi rappresentano degli strumenti di controllo e appunto gestione delle attività aziendali, fondati sull’individuazione delle criticità del sistema e sulla corretta pianificazione delle risorse interne. I sistemi esistenti si sono sviluppati attorno ad un impianto concettuale comune: quello introdotto dalla norma ISO 9000, recentemente revisionata nel 2000 (Vision 200012)44. Sulla base di tale impianto i sistemi di gestione che si sono sviluppati in seguito presentano tratti comuni: Gestione per processi: secondo il quale l’impresa viene concepita come un insieme di processi ed è perciò chiamata ad identificare le proprie procedure, analizzarle, considerare le interconnessioni fra di esse, individuare eventuali punti deboli sui quali intervenire. Coinvolgimento di tutti i settori dell’azienda: rappresenta una diretta conseguenza del primo punto. Miglioramento continuo: diviene obiettivo permanente dell'organizzazione e si basa sul cosiddetto ‘Ciclo di Deming’: plan – do – check – act, secondo il quale l’impresa è tenuta a pianificare inizialmente i propri obiettivi (sulla base dell’analisi dei processi condotta in precedenza), attuarli, verificare periodicamente la corrispondenza dei risultati rispetto agli obiettivi, intervenire con apposite misure correttive. Grazie a questo impianto dunque, i sistemi di gestione privilegiano la prevenzione rispetto al controllo. Leadership: il funzionamento del sistema è responsabilità diretta della direzione aziendale, alla quale è demandata la coscienza di definire la politica, pianificare obiettivi misurabili, effettuare il riesame periodico, definire responsabilità e risorse a disposizione. 44 Con il termine Vision 2000 non si identifica una nuova norma ma il processo di revisione al sistema di norme ISO 9000. 51 Decisione basate su dati di fatto: le decisioni efficaci si basano sull'analisi, logica ed intuitiva, di dati ed informazioni reali. Chiara attribuzione delle responsabilità: in genere i sistemi di gestione prevedono la figura del responsabile di sistema, nominato dalla direzione aziendale. Inoltre, ai fini di una ottimale applicazione del sistema è opportuno che siano chiaramente ripartite le responsabilità fra tutti coloro che sono coinvolti in essa. Formazione dei dipendenti: occorre affiancare all’attribuzione delle responsabilità uno sforzo formativo rivolto ai dipendenti, i quali devono essere adeguatamente sensibilizzati in modo da creare le condizioni affinché ciascuno possa dare correttamente il proprio apporto all’attuazione del sistema. Documentazione: i sistemi di gestione prevedono l’obbligo di documentare la struttura per processi e l’analisi iniziale, il funzionamento del sistema, la sua evoluzione nel tempo, le criticità riscontrate e gli interventi correttivi adottati. Tale documentazione deve a sua volta rispondere a precisi requisiti circa le modalità di redazione. Rapporto con gli stakeholder: a seconda dell’ambito di azione di ciascun sistema di gestione è evidente che si farà riferimento a categorie di stakeholder diverse, tuttavia il tema del rapporto con gli portatori di interesse è ricorrente all’interno di tutti i principali sistemi di gestione. E’ in funzione degli stakeholder infatti che viene redatta la documentazione relativa al sistema, che deve essere possibilmente chiara ed esaustiva al tempo stesso e resa pubblica. Risorse: è compito della Direzione destinare alla realizzazione del sistema di gestione una quantità di risorse idonea ad assicurarne il corretto funzionamento. Audit interni ed esterni: all’interno del sistema sono previste delle revisioni periodiche al fine di valutare l’idoneità delle misure adottate rispetto agli obiettivi stabiliti e individuare eventuali criticità rispetto ad essi e ai requisiti previsti dalla norma, per consentire di intervenire in un secondo momento con azioni correttive. Tali revisioni periodiche sono definite audit interni o audit di prima parte, in quanto condotte internamente all’azienda e sotto la diretta responsabilità della Direzione. Per le imprese che desiderano 52 ottenere e mantenere la certificazione, sono previsti anche degli audit esterni (o audit di terza parte) ad opera di una terzo organismo indipendente. Rapporto di mutuo beneficio con i fornitori: “un rapporto di reciproco beneficio fra l'organizzazione ed i propri fornitori migliora la capacità di entrambi a creare valore”. Tale principio è affermato dalla norma ISO 9000 e ripreso in forme diverse all’interno di altri sistemi di gestione (in particolare si rimanda alla norma SA 8000) e si sostanzia in forme di sensibilizzazione degli stessi e negli audit di seconda parte già citati. Linee guida: in genere la norma che istituisce il sistema di gestione è accompagnata da Linee guida o Manuali volti a facilitarne l’applicazione all’interno dell’impresa e specificare in maniera più dettagliata i contenuti della norma stessa. E’ indubbio che all’interno di questo lungo e complesso procedimento la comunicazione agisce nella doppia veste di leva strategica di supporto alle relazioni fra le diverse parti e di strumento in grado di diffondere verso una platea più vasta azioni e risultati di questa strategia di responsabilità sociale. In quest’ottica, la documentazione prodotta per il funzionamento del sistema di gestione deve anche regolare gli aspetti comunicativi, indicando le azioni specifiche e le modalità di misurazione delle stesse. Ciascuna certificazione stabilisce i contenuti e le modalità che deve possedere la comunicazione per la diffusione ai diversi stakeholder, pertanto è necessario analizzare i regolamenti di ciascuna etichetta. Le certificazioni sono uno strumento che gode di una buona reputazione agli occhi dei portatori di interessi istituzionali, sia perché l’ente che attesta la conformità agli standard è esterno all’organizzazione sia perché gli standard sono regolamentati e studiati da organi internazionali o addirittura da organizzazioni come la UE. Lo strumento della certificazione è quindi un buon investimento strategico a livello operativo e reputazionale. Il punto più critico è rappresentato dalla riconoscibilità. Indubbiamente il sistema delle certificazioni ha senso se esso è conosciuto. Al momento tuttavia questo passaggio culturale non è ancora avvenuto appieno e nella pratica ciò ne causa la mancata affermazione come strategia di CSR. Ciò è provocato dalla numerosità delle possibili certificazioni, dalla loro forte settorializzazione e dalla proliferazione di marchi locali o limitati 53 ad alcuni ambiti territoriali, cosicché il consumatore non è in grado di riconoscere il valore delle singole certificazioni e dunque premiare le imprese che le hanno conseguite. Al mancato riconoscimento del loro valore da parte del consumatore fa seguito quello dell’imprenditore, che non trova conveniente investire in esse, rinunciando così anche al potenziale innovativo che questi strumenti comportano. Viceversa, in questo contesto svolge un ruolo importante la catena di fornitura: pare infatti che le imprese richiedano spesso ai propri fornitori il possesso di determinate certificazioni. Nel mondo del business-to-business si osservano dunque più di frequente quei comportamenti sanzionatori/premianti rispetto ai quali si sollecitano i consumatori. 54 2.3 LA COMUNICAZIONE DI CSR NELLE PMI 2.3.1 Caratteristiche della comunicazione nelle PMI Le Piccole e Medie Imprese possiedono in generale un atteggiamento modesto rispetto alla comunicazione. Unicom45 nel 2002 ha misurato la propensione delle aziende italiane verso la comunicazione rilevando che le dimensioni degli investimenti sono nettamente inferiori se confrontati con quelli europei in materia. In Italia dunque si investono in media in comunicazione 21 euro pro capite, contro i 280 dell'Inghilterra e i 346 della Svizzera. Difatti se l'87% delle aziende asserisce spontaneamente di comunicare in realtà quest'attività resta considerata sostanzialmente opzionale, dato che l'84% di loro non possiede una struttura interna dedicata alla comunicazione, che viene quindi svolta da persone che hanno anche altre mansioni o è data in outsourcing a professionisti. Anche nel secondo caso poi resta un certo grado di diffidenza, soprattutto a livello di delega delle funzioni strategiche (l'80% del campione individua nella dirigenza i decision makers nelle questioni di comunicazione), mentre maggiore spazio è dato ai produttori come grafici e case di produzione. Nella preponderanza dei casi, però, la pubblicità è avvertita come un optional da legare al successo del momento e alla salute del bilancio, senza una programmazione a monte e soprattutto senza il coinvolgimento di addetti specializzati. Un altro aspetto decisamente poco positivo si può rintracciare nella carenza di pianificazione: il 78% del campione affronta ‘volta per volta’ i problemi di comunicazione che si presentano. La comunicazione è ritenuta un costo più che un investimento e di essa viene trascurato lo studio degli effetti. Sul 33% che afferma di avere un budget per la comunicazione, solo un terzo lo definisce 45 L’Unione Nazionale Imprese di Comunicazione è stata costituita nel 1977 con la denominazione di OTEP, divenuta poi Unicom nel 1998, con l’unione delle Imprese Associate AIPAS è attualmente l’Associazione che raccoglie il numero più alto, organico e coordinato di Imprese a capitale italiano aventi precise caratteristiche strutturali atte a coprire ogni esigenza della comunicazione operanti in diversi rami: advertising, promozioni, direct marketing, relazioni pubbliche, sponsorizzazioni, web, brand image, packaging, centri media, etc. 55 in base all'esistenza di un piano di marketing. E solo il 20% effettua una verifica sull'efficacia delle attività di comunicazione realizzate. Rispetto ai mezzi viene molto considerato il marketing one-to-one, con Fiere (24%), Direct Marketing (17%), accompagnati un po' a sorpresa dal sito internet aziendale (18%), con uno sviluppo però molto modesto (sito-vetrina) e che quindi è spesso fonte di delusione rispetto alle grandi aspettative di cui è caricato. Molto ambita sarebbe anche l’uso della televisione a livello nazionale, che però ha costi di pianificazione pubblicitaria che restano ampiamente fuori budget per la maggior parte delle PMI. Infine l'atteggiamento verso l'advertising in genere è critico, poiché le aspettative sono elevate e le delusioni facili, senza contare poi che solo il 20% del campione fa delle verifiche di efficacia dei messaggi. Il quadro dunque non sembra essere roseo. Si riscontra tuttavia che la sensibilità verso la comunicazione sia comunque in aumento, così come una crescente richiesta di professionalità, in opposizione alle delusioni del passato ‘fai da te’. Le PMI ricercano dei comunicatori di fiducia, meglio se a carattere mediopiccolo e locale, in grado di offrire un servizio integrato ed orientato al cliente, che recepisca le peculiarità tipiche di un’impresa di quelle dimensioni e le offra soluzioni ad hoc. 2.3.2 Comunicare la CSR nelle PMI Attualmente non esistono ricerche a livello nazionale che focalizzano l’attenzione esclusivamente sulla comunicazione delle politiche di CSR presso le PMI, l’unico dato monitorato è riconducibile alla ricerca ISVI46 che indica la crescente diffusione degli strumenti tipici come bilancio sociale e codice etico. Come è stato notato in precedenza, tali strumenti però sono primariamente mezzi di organizzazione e gestione della CSR, che non necessariamente sfociano in attività di diffusione e comunicazione esterna ad un pubblico più vasto. Si può affermare che le PMI dimostrano la loro sensibilità sociale più nei fatti che attraverso programmi di comunicazione dei loro comportamenti virtuosi. Ciò può essere imputato alla mancanza di tempo, ai costi connessi a tali strumenti, 46 Vedi capitolo1, pagina 26; 56 alla necessità di competenze specialistiche e alla scarsa attenzione a questo tipo di politiche, come evidenziato nel precedente paragrafo. Incrociando infatti le evidenze riguardanti l’attività di comunicazione dell’organizzazione analizzate nello scorso paragrafo e la diffusione della CSR fra questo tipo di imprese approfondita nel capitolo primo, si può comunque supporre che l’attività di comunicazione ad una vasta platea sia un elemento ancora poco sviluppato nel panorama delle PMI che implementano attività di responsabilità sociale. Ciò è da considerare un grave errore e la soluzione può essere solamente un vasto programma di educazione alla comunicazione che dimostri con evidenza oggettiva i benefici che si possono trarre da una attività che non deve essere più considerata un optional, e deve essere vissuta non come una spesa, ma come un investimento. Tale opera pedagogica deve essere effettuata da associazioni di categoria e dalle istituzioni. Altro elemento che potrebbe fare la differenza e muovere il mondo delle PMI verso la cura e l’adozione di strategie comunicative è sicuramente l’adozione di metodi per la misurazione e la valutazione delle attività di comunicazione implementate, unici mezzi in grado di dimostrare razionalmente l’efficacia di tali pratiche. 57 PARTE SECONDA Senza dubbio, per alcune imprese e alcuni consumatori le odierne esigenze di qualità ambientale appartengono alla categoria dei bisogni primari. Oltre infatti al valore finalizzato alla soddisfazione delle esigenze e aspettative del cliente tipico dei rapporti economici ed imposto dalle leggi di mercato, ogni organizzazione produttrice di beni e servizi è chiamata a realizzare e assicurare la qualità ambientale per gli aspetti di propria competenza e in misura proporzionata ai bisogni cui è tenuta e si impegna a soddisfare. La tematica ambientale ha sempre occupato un ruolo di prim’ordine all’interno delle variabili di responsabilità sociale da considerare. Soprattutto per quanto riguarda le industrie manifatturiere, l’attenzione all’ambiente è fra i principali fattori da tener presente nell’ottica di CSR. Per il futuro, la tendenza di questi riguardi sarà verso l’alto. I motivi sono molteplici: innanzitutto per le aziende rappresenta un fattore tangibile e ben misurabile sottoforma di quantità, emissioni, tributi da versare in base ai rifiuti prodotti; successivamente perché al pari del lavoro, esso incide profondamente nel legame che l’organizzazione ha con la comunità locale. Dagli anni ’70 in poi si è cominciato ad affrontare il problema ecologico come una grande e drammatica questione, che segnerà inesorabilmente il corso della vita dell’uomo sulla Terra. Sembra però che l’allarme ancora non sia stato raccolto in maniera massiccia e costruttiva. Forse, solamente i dati lanciati dalla Commissione Europea nello scorso gennaio 2007, le frequenti catastrofi ambientali causate da eventi atmosferici straordinari che portano il nome di Tsunami o Katrina, nonché un innalzamento preoccupante del livello del mare causato dallo scioglimento dei ghiacci polari, hanno scosso in misura abbastanza ragguardevole le coscienze e produrranno nel breve futuro una escalation verso comportamenti più rispettosi e verso politiche più pulite. Forse. A molti non bastano questi segnali, che si fanno via via sempre meno timidi, sempre più vicini all’uscio di casa. Alcune organizzazioni hanno compreso che è il momento di rispondere alla chiamata non solo per ragioni etiche, ma soprattutto per motivazioni che sono prima di tutto economiche. 58 Attenzione all’ambiente infatti è soprattutto sinonimo di minor spreco delle risorse, migliore gestione delle energie, inferiori costi di smaltimento, possibilità di considerevoli sgravi fiscali e di finanziamenti più agevolati, minori costi sociali, migliori condizioni di lavoro e minore turnover. La qualità ambientale va conseguita innanzitutto garantendo il rispetto delle norme. Trascendendo la stretta conformità legislativa, successivamente é opportuno conseguire obiettivi di miglioramento continuo delle prestazioni ambientali relativamente all’impatto ambientale, dei processi produttivi e dei risultati di detti processi. Per attuare la svolta alla responsabilità ambientale esistono diversi strumenti operativi, tra i quali spiccano le certificazioni o etichette. Tali supporti sono organizzati e regolamentati da organismi internazionali, in grado così di assicurare contemporaneamente un buon livello di garanzia sul fatto che l’impegno dichiarato sia effettivo e un tangibile miglioramento delle performance operative dell’impresa. Il terzo capitolo si concentra sull’aspetto ambientale della CSR individuandone i motivi della sua fondamentale importanza e analizzandone le declinazioni comunicative finora adottate dalle organizzazioni. Successivamente verrà realizzata una ampia descrizione delle certificazioni, in quanto mezzi efficienti per il miglioramento delle performance ambientali. Infine, si esaminerà nel dettaglio la certificazione EMAS, in quanto innovativo strumento per la realizzazione di ottime performance ambientali che individua come strategia fondante la condivisione e trasparenza dei risultati e delle azioni, consacrando così la comunicazione a componente di primo piano. 59 Capitolo 3 GESTIRE L’AMBIENTE CON RESPONSABILITA’ “Vedi, Utterson, la mia è una situazione penosa, una situazione strana…molto strana. Di quelle che non si possono rimediare a parole” Dott Jekill 3.1 LA SALVAGUARDIA AMBIENTALE NELLA CSR 3.1.1 L’ambiente come prima responsabilità sociale Numerosi studi confermano che le prime strategie operative di CSR avevano come protagonista l’ambiente e il tentativo di ridurre l’impatto su di esso. Senza voler fare affermazioni categoriche, è indubbio che la tematica ambientale occupa sin dalle origini della CSR un ruolo di primo piano. 60 Ferraguto dimostra che le aziende che si avvicinano alla CSR partono quasi sempre dalla variabile ambientale, per poi passare ad occuparsi, in una sorta di ‘Seconda generazione di CSR’ a variabili di tipo sociale47. Questo fenomeno può essere spiegato da cospicui motivi, riconducibili in primis a due considerazioni. La prima rimanda alla presenza di una forte regolamentazione sia a livello statuale che sopranazionale, e più in generale, alla presenza di numerosi interventi da parte istituzionale. Questi interventi condizionano le politiche ambientali delle imprese in misura maggiore rispetto ad ambiti di azione dove invece si riscontra una minor ingerenza della mano pubblica. La seconda peculiarità di settore è da riscontrare nella possibilità, più che in altri ambiti, che l’impresa sia sottoposta a pressioni da parte della società civile e delle comunità. Il discorso vale naturalmente soprattutto per quelle attività industriali a forte impatto per l’ambiente, ma può essere esteso in generale anche ad altre imprese, stante la sempre crescente attenzione da parte dei cittadini per i rischi sull’ambiente e sulla salute umana conseguenti alla produzione industriale. Chiarito questo, la terza e più importante osservazione è la considerazione del ruolo di primo piano che l’ambiente possiede all’ interno di una organizzazione. La particolare differenziazione degli aspetti ambientali all’interno della triple bottom line è data dalla importante natura dell’interazione fra impresa ed ambiente naturale, che riguarda principalmente due aspetti. Le esternalità o conseguenze (positive o negative) riversate nell’ambiente conseguenti all’attività dell’ impresa. La natura interna del rapporto tra risorse naturali e azienda. L’azienda infatti ha bisogno dell’ambiente naturale come risorsa e come ricettore delle proprie attività. Questo ha un’implicazione all’interno dell’azienda, in quanto investe il problema della riduzione delle emissioni, con la possibilità di incidere sui costi sostenuti dall’azienda stessa. 47 L. Ferraguto, Dalla responsabilità Ambientale alla Responsabilità Sociale delle Imprese, Rapporto sullo Sviluppo Sostenibile FEEM, nr3.2005; 61 3.1.2 Esternalità riversate nell’ ambiente Per esternalità (o economie e diseconomie esterne) si intendono “gli effetti, positivi o negativi, provocati dalle attività di produzione e/o di consumo di alcuni individui sull’attività di produzione e/o di consumo di altri individui” (Panella, 2002). Tali effetti comportano un costo (o un beneficio nel caso di esternalità positive) non per chi compie una determinata attività, bensì, al contrario, per gli altri soggetti coinvolti. Ci si trova in una situazione di asimmetria fra benefici e costi: nel caso di esternalità negative (e volendosi riferire esclusivamente ad un’ottica di produzione) i primi sono limitati al produttore, mentre i secondi si trovano ad essere diffusi e ricadenti sull’intera comunità. Una conseguenza importante di questa relazione fa si che i prezzi di mercato non riflettono questo genere di effetti susseguenti alla produzione. Nei meccanismi tradizionali di formazione del prezzo non è infatti compresa una componente legata all’inquinamento. In questo modo, il produttore non trova vincoli diretti alla propria attività produttiva, contribuendo a creare questa sorta di ‘non costo’ che incide sul benessere complessivo della collettività. Quest’asimmetria è accentuata anche dalla possibilità che gli effetti negativi della produzione sulla popolazione vengano ad essere distribuiti in maniera ineguale su quest’ultima, creando peraltro un problema di competenze, perché è difficile risalire concretamente al singolo inquinatore (si pensi al c.d. ‘effetto accumulo’ per cui i danni ambientali si manifestano solamente a partire da una determinata concentrazione di inquinante nell’atmosfera), ed alle responsabilità connesse. Tale problema è inoltre esacerbato anche dalla natura ‘transnazionale’ di molte tematiche ambientali, come il cambiamento climatico o la distruzione dello strato d’ozono. Altre caratteristiche spesso collegate al bene ambientale derivano dalla sua natura di bene pubblico, percui non è presente la rivalità nel consumo, ovvero il consumo da parte di un individuo non ne diminuisce l’ammontare a disposizione di altri individui, e dalla non escludibilità, cioè l’impossibilità o non convenienza di escludere altri individui dal godimento di tale bene. La non rivalità nel consumo dà luogo a beni ‘quasi pubblici’, mentre per i ‘beni liberi’ permane la sola condizione non escludibilità dal consumo. 62 La presenza di esternalità e la natura dei beni ambientali conducono al c.d. ‘fallimento del mercato’. Queste distorsioni non consentono un’efficace allocazione delle risorse, creando gli squilibri di cui sopra e distorcendo inoltre il meccanismo di formazione dei prezzi. Davanti a simile inefficienza, i rimedi possono essere molteplici: tutti però chiamano in causa in un modo o nell’altro il decisore pubblico. Si giunge così ad un primo punto importante. L’intervento pubblico è considerato quanto mai rilevante in materia di ambiente. Si tratta forse del settore del triple bottom line dove maggior peso riveste questo intervento. Esso può assumere diverse forme, e la sostanza deve essere quella di un intervento correttivo che ponga rimedio alle inefficienze generate dal rapporto tra impresa e ambiente. L’intervento istituzionale deve poi cercare di contemperare la ricerca del benessere pubblico con l’imposizione di costi che siano il più possibile sopportabili da parte dell’azienda. Sempre a causa di questa configurazione del rapporto tra impresa e ambiente, è possibile riscontrare una forte attenzione nella società civile sulle problematiche connesse alle ripercussioni dell’attività industriale sull’ambiente. Questa consapevolezza ambientale è generalmente legata all’idea di un rischio ambientale incombente sulla popolazione, e alla necessità quindi di ripensare l’attività industriale in modo da abbassare la soglia di tale rischio. Questa percezione non ha avuto uno sviluppo lineare, nel corso degli anni, quanto invece piuttosto irregolare. Si può ad ogni modo datare la nascita di una coscienza ambientalista a partire dagli anni ’60. Da allora, il problema della potenziale nocività delle produzioni industriali rispetto alla salute umana e delle specie animali e vegetali, ha iniziato a prendere piede nella coscienza dei decisori politici e del più vasto pubblico, seguendo diversi passi. In proposito, Buchholz identifica quattro livelli di consapevolezza ambientale, per cui a partire da un’ottica prevalentemente di conservazione e preservazione (basato sulle risorse naturali), si sarebbe giunti all’attuale stadio in cui il problema ambientale viene riconosciuto come problema di carattere globale, inquadrato nell’ottica più vasta della sostenibilità dello sviluppo. Il caso ormai ha quindi raggiunto un livello di attenzione tale da essere avvertito trasversalmente fra i diversi strati della popolazione. 63 L’evoluzione della consapevolezza ambientale non è stata come detto regolare, ma ha vissuto su degli alti e bassi legati ad eventi di particolare impatto. Il rapporto dell’EORG per la Direzione Generale Ambiente relativo all’Attitudine degli Europei riguardo all’ambiente, ha riscontrato che vi è una maggiore percezione di pericolo, e quindi un interesse da parte della popolazione civile, per quelle attività ad alto rischio di inquinamento (ma con bassa probabilità di accadimento), come i rischi collegati alle attività nucleari o industriali in generale, mentre vi è una bassa percezione di pericolo per attività di routine, ma egualmente nocive (come ad esempio il problema dello smaltimento dei rifiuti industriali). Questa digressione ci consente di esprimere un giudizio sulla possibile influenza della pressione della società civile sulle imprese riguardo alla tematica ambientale. Essa gioca un ruolo chiave per intensità e decisione, ma è altrettanto spesso imprevedibile, dagli umori mutevoli e quasi mai continui, essendo legata a circostanze di emergenza, più che ad un omogeneo diffondersi della consapevolezza di intervenire con regolarità sul problema ambiente. La questione ecologica per la società è un problema dai contorni spesso indefiniti, raramente percepibili direttamente e proporzionatamente rispetto al loro manifestarsi. 3.1.3 Il rapporto tra risorse naturali e azienda Se osserviamo il versante “interno” di questo rapporto fra ambiente ed organizzazione, possiamo comprenderne l’importanza e la portata analizzando che cosa significhi ambiente naturale per le decisioni e le attività messe in atto dall’impresa. Frey, afferma che l’ambiente ecologico svolge essenzialmente due funzioni. Da un lato, genera risorse indispensabili al ciclo produttivo come fonti di energia, materie prime, e così via. Dall’altro lato, esso è il corpo recettore dei residui dell’attività di produzione e di consumo. Evidentemente, la seconda funzione è il contraltare della prima. L’ambiente naturale è quindi identificabile come elemento essenziale, a monte ed a valle, per il funzionamento dell’azienda. 64 Data la basilare importanza della variabile ambientale per tutti i motivi descritti sopra, risulta logica la particolare attenzione che le organizzazioni cercano di attuare nei confronti dell’ ambiente. L’ ambiente è una variabile che viene sempre più tenuta in considerazione dagli enti pubblici, dalle istituzioni, nelle strategie e scelte decisionali, in quanto condiziona in modo crescente la redditività di un Paese. Nei grandi come nei piccoli centri abitati, la questione ambientale è un problema molto concreto: si tratta di controllo dell’inquinamento e di qualità del territorio, di politiche di protezione e di opportunità strategiche, di disponibilità delle risorse e della loro distribuzione sociale e in futuro assumerà sempre di più una importanza fondamentale. Per le aziende esistono una molteplicità di azioni e strumenti di CSR in grado di dare una efficace risposta a quest’esigenza, dove il comune denominatore è rappresentato dalla trasparenza e dalla tensione al miglioramento continuo. 3.1.4 La comunicazione della variabile ambientale Per le organizzazioni che si concentrano sulle proprie responsabilità nei riguardi dell’ambiente, la comunicazione delle variabili ambientali assume particolari e specifiche connotazioni che hanno catturato solo negli ultimissimi anni l’attenzione degli studiosi. Le due iniziative di maggior spicco in questo senso sono date da due Osservatori sulla comunicazione ambientale. Il primo è stato formato nel 2004 dall’Editoriale La Nuova Ecologia e Legambiente con i patrocini della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio. Tali soggetti hanno costituito l’Osservatorio nazionale permanente sulla comunicazione e l'impegno sui temi ambientali, etici e sociali delle imprese italiane. Nel giugno 2005 l’Osservatorio ha realizzato una indagine basata su rilevazioni periodiche presso un campione significativo delle imprese italiane di medio- 65 grandi dimensioni48. Con l’obiettivo principale di evidenziare atteggiamenti ed opinioni nonchè registrare le azioni informative in merito alle tematiche ambientali, sono state rilevate: Il tipo di attività di comunicazione I temi affrontati dalle imprese, quali ad esempio la sicurezza, la salubrità, la qualità, la tracciabilità della filiera alimentare, il trattamento dei rifiuti e il riciclaggio, la valorizzazione del patrimonio storico, artistico e ambientale. Le imprese che dichiarano di avere sviluppato negli ultimi due anni comunicazioni di tipo ambientale sono il 73% e circa il 20% di esse ha sviluppato iniziative di comunicazione ambientale negli ultimi 12 mesi, registrando pertanto un incremento rispetto agli anni precedenti (nel 2003 la percentuale era del 14%); nei settori più coinvolti, ovvero facenti capo ad attività industriale ed edile con ingenti impatti ambientali, tale percentuale si colloca tra il 30% e il 50%. Le tematiche ambientali e sociali all’interno dell’impresa determinano per la metà dei casi lo sviluppo strategico della impresa ma per il 30% delle aziende questi temi rappresentano anche un’importante tema di comunicazione. Le iniziative di comunicazione sviluppate sono diverse, ma al primo posto figurano seminari interni e attività di formazione del personale, nonché progetti specifici per la riconversione produttiva in senso ambientale, mentre campagne pubblicitarie su stampa e media sono posizionate al penultimo posto. Altro dato significativo è l’aumento considerevole delle imprese che si sono dotate di certificazione: dal 2003 al 2005 c’è stato un balzo di 10 punti percentuali (dal 71,2% al 82%). Le certificazioni più diffuse in tutti gli aggregati aziendali sondati sono quelle di prodotto (ISO 9000 ed Iso 14000), seguono con proporzioni molto ridotte Ecolabel, SA8000 ed Emas, anche se per quanto riguarda le imprese leader nel settore di appartenenza queste ultime due etichette sono molto più diffuse. Se le certificazioni rappresentano un importante elemento, nelle imprese la diffusione di pubblicazioni di rapporti periodici sull’attività di impresa in campo ambientale e gli strumenti di rendicontazione come il bilancio ambientale e sociale vengono utilizzati ed impiegati in misura minore. 48 Sono stati contattati 1.113 manager di 1098 tra le principali imprese italiane, sia attraverso l’invio di un questionario elettronico mediante e-mail, sia attraverso interviste personali e telefoniche. 66 Per la gestione della comunicazione delle tematiche ambientali la maggior parte delle aziende ha costituito nell’organigramma una apposita funzione che se ne occupa, oppure sono presenti alcune figure di riferimento che svolgono un ruolo di coordinamento e controllo. Solo in seconda battuta si occupa di ambiente anche l’ufficio delle relazioni con l’esterno. Questo dato può significare un preciso focus sulle performance e poco orientato alla comunicazione. Riguardo alle tematiche ambientali le imprese considerano referenti principali le Regioni e le Istituzioni Locali, secondariamente i consumatori e successivamente le Istituzioni Nazionali. Le associazioni sociali e dei consumatori vengono dopo e solo al penultimo posto vengono le associazioni ambientaliste, segno evidente della fatica che fanno le imprese a considerare anch’esse stakeholder, ma dalle quali spesso arrivano le principali azioni di resistenza e boicottaggio. Concludendo, si può affermare che l’impegno ambientale rappresenta un valore diffuso e abbastanza consolidato tra le principali imprese italiane, con un incremento del fenomeno tra le grandi imprese. Si riscontra inoltre una maggiore consapevolezza e fiducia nel considerare le tematiche ambientali un fattore strategico. Anche se però c’è cognizione su quanto è importante comunicare all’esterno le proprie politiche ambientali, le aziende sono restie alla mera promozione dei loro comportamenti virtuosi e sembra che la comunicazione in tema ambientale sia strumentale al solo raggiungimento di obiettivi formativi ed educativi. Spesso infatti comunicare le proprie azioni virtuose non è considerato etico dagli imprenditori, soprattutto fra le PMI. Anche strumenti tipici della comunicazione come il bilancio sociale e di sostenibilità vengono utilizzati spesso principalmente come strumenti per la gestione ed il monitoraggio dell’operato dell’organizzazione. Il secondo centro di studio sulla comunicazione ambientale è l’Osservatorio sulla Comunicazione Ambientale creato nel 1994 dalla Fondazione ENI Enrico Mattei49. Periodicamente svolge attività di ricerca e analisi dei vari strumenti 49 La FEEM nel 1994 promuove il Forum sul Rapporto Ambientale. Comincia così a raccolta di Bilanci e Rapporti Ambientali. Negli anni si aggiungeranno Dichiarazioni EMAS, Bilanci Sociali, Bilanci di Sostenibilità, facendo nascere l’Osservatorio di Comunicazione Ambientale e Sociale, che oggi è un archivio di oltre 1000 documenti, sottoposti a valutazione (check list GRI, elaborazione FEEM) e disponibile per ricercatori interni ed esterni. 67 comunicativi, con particolare ai mezzi di rendicontazione: bilanci sociali, ambientali e di sostenibilità, fungendo da centro di ricerca e monitoraggio che analizza l’evoluzione del settore e del dialogo fra stakeholders, con numerose partecipazioni a networks italiani e internazionali.Dalle ricerche condotte, emerge una sostanziale evoluzione temporale degli strumenti di comunicazione ambientale e sociale ‘tradizionali’. Fra 1990 e 2003 lo sviluppo delle pubblicazioni è stato esponenziale. A partire dai primi anni ‘90 un numero crescente di imprese redige Bilanci e Rapporti Ambientali e dalla rendicontazione pura e semplice si passa a discutere della comunicazione con gli stakeholders (comunità locali, gruppi di opinione, dipendenti, fornitori, media…) per soddisfare le richieste informative che venivano poste da questi soggetti all’organizzazione. La comunicazione di responsabilità sociale attraverso l’utilizzo di questi strumenti si caratterizza per essere un vero e proprio percorso che, una volta intrapreso, porta a necessarie innovazioni. Il nuovo interesse per la relazione con gli stakeholders spinge alla redazione di Bilanci Sociali, strumenti particolarmente idonei per alcuni tipi di imprese come ad esempio il settore dei servizi. Il passaggio successivo è quello del Bilancio di Sostenibilità, che integra aspetti economico-finanziari, sociali e ambientali in un unico documento, ed è proprio in questo momento storico che si trova oggi la comunicazione ambientale.L’interesse nei confronti della comunicazione di responsabilità sociale cresce sempre di più al moltiplicarsi delle pratiche di CSR. L’ingresso di nuovi attori sociali determina un arricchimento del dibattito che porta opportunità e cambiamenti. Per questo gli strumenti di comunicazione cambiano aprendosi a nuove forme, oppure si modifica la funzione degli strumenti tradizionali. Visto che la partecipazione da parte degli stakeholders ai processi di rendicontazione diventa centrale, gli strumenti di comunicazione vengono sempre più intesi come supporti alla gestione delle relazioni interne ed esterne con funzione di governance, piuttosto che di solo strumento consuntivo. Di conseguenza, la comunicazione si fa integrata e questo utilizzo congiunto di diversi mezzi di comunicazione può: 68 Favorire la diffusione di un dibattito più ampio sulla CSR;Aiutare il raggiungimento di una gamma più vasta e differenziata di stakeholders; Avere effetti benefici non solo sull’immagine e la reputazione, ma anche sull’identità dell’impresa (fidelizzazione dei dipendenti, crescita della fiducia nella supply chain…); Anche nella gestione della variabile ambientale la comunicazione si conferma una leva fondamentale, ma risulta valida solo quando è presente l’unione della comunicazione alle azioni concrete: se c’è una scissione fra la funzione di comunicazione e quella di governance, con un uso solamente tattico e pubblicitario degli strumenti, si verificheranno effetti nulli (o, peggio) negativi sulla reputazione aziendale, dovuti alle percezioni di scollamento da parte degli stakeholders fra ciò che l’azienda dichiara e come effettivamente agisce. La soluzione sembra essere quella di scindere molto bene le due diverse fasi: ovvero distinguere la fase di redazione e realizzazione dello strumento di CSR ambientale (bilancio, dichiarazione, certificazione che sia), all’interno della quale la comunicazione svolge una funzione connettiva e di relazione con le diverse parti, dalla fase di diffusione delle politiche di CSR, che rappresenta una vera e propria attività di comunicazione tout court. 69 3.2 IMPLEMENTARE LA CSR AMBIENTALE CON LE CERTIFICAZIONI 3.1.2 Certificare il grado di qualità ambientale La variabile ambientale vede nello strumento delle certificazioni un canale preferenziale per lo sviluppo delle strategie di responsabilità sociale. Le prime forme e declinazioni di questo fondamentale strumento hanno sempre visto fra i fattori considerati le implicazioni ecologiche connesse alle attività delle organizzazioni. Come detto in precedenza, la filosofia di fondo può considerarsi il concetto di processo di gestione che si declina nell’approccio sistemico o di prodotto50. Le soluzioni di certificazione per le variabili ambientali si rifanno ad un contesto normativo di fondo, ovvero quello definito da ISO nella serie 1400051, dedicata specificatamente al management ambientale, con lo scopo di: Minimizzare gli impatti ambientali delle attività produttive; Raggiungere un costante miglioramento delle performance delle organizzazioni; Questo standard, assieme a ISO 9000, è il solo ad essere ‘generic’ e relativo al ‘management system’: Generic means that the same standards can be applied: To any organization, large or small, whatever its product Including whether its "product" is actually a service In any sector of activity, and whether it is a business enterprise, a public administration, or a government department. "Generic" also signifies that no matter what the organization's scope of activity, if it wants to establish a quality management system or an environmental management system, then such a system has a number of essential features for which the relevant standards of the ISO 9000 or ISO 14000 families provide the requirements. "Management system" refers to the organization's structure for managing its processes or activities - that transform inputs of resources into a product or service which meet the organization's objectives, such as satisfying the customer's quality requirements, 52 complying to regulations, or meeting . 50 Capitolo 2, pag 53; L’International Standard Organisation (ISO) è un’organizzazione non governativa istituita nel 1946, che studia e progetta norme e standard di performance economica, ambientale e sociale. La stragrande maggioranza degli standard codificati è altamente specifica e riferita ad un prodotto, un materiale, un processo. Ma gli standard più famosi ed usati, ovvero ISO 9000 ed ISO 14000 sono generici. 52 Sito ufficiale di ISO: www.iso.org; 51 70 L'intera serie ISO 14000 fornisce quindi strumenti manageriali per le organizzazioni che vogliono porre sotto controllo i propri aspetti ed impatti ambientali e migliorare le proprie prestazioni in tale campo. Gli standard non indicano livelli prescrittivi di miglioramento della prestazione, ma indicano le modalità per gestire le attività in modo da perseguire gli obiettivi di prestazione autonomamente determinati. Una caratteristica chiave di tutti i requisiti ISO 14000 è la loro natura volontaria, significa che non vi è alcuna costrizione legislativa al loro utilizzo. La decisione di adottare simili standard prescinde dall'ottica di breve periodo e la motivazione, oltre ad una prospettiva di responsabilità sociale, può provenire anche solo dal bisogno di un maggiore controllo del rispetto dei regolamenti ambientali, dalla ricerca di efficienza nei processi, dalle richieste dei clienti o dalle pressioni della comunità. Il gruppo di norme (certificabili e non certificabili) della serie 14000 comprende la tematica generale dei sistemi di gestione ambientale, e propone tre tipologie di strumenti utili per la sua attuazione: LCA (Life Cycle Assessment), EPE (Environmental Performance Evaluation) e Environmental Labelling. Le norme ISO di questa serie sono sempre in aggiornamento. L'ISO 14001 è la norma che può essere attuata da qualsiasi tipo di organizzazione che intenda conseguire un miglioramento nell'esercizio delle proprie attività attraverso l'adozione di un sistema di gestione ambientale; tale norma è certificabile ed è anche stata recepita dal nuovo Regolamento EMAS. Ad essa si sono aggiunte le norme del sottoinsieme ISO 14030 per la valutazione delle prestazioni ambientali. Il sottoinsieme ISO 14020 disciplina, invece, diversi tipi di etichette e di dichiarazioni ambientali per i prodotti, standardizzando diversi livelli di informazione al pubblico sulle prestazioni ambientali di prodotti e servizi. Sotto questo punto di vista etichette e dichiarazioni svolgono un ruolo importante ai fini del consumo sostenibile, in quanto definiscono, in maniera credibile e trasparente, un limite che contraddistingue i prodotti più compatibili con l'ambiente da quelli meno compatibili. A queste si aggiunge la ISO 14040 che norma la metodologia da applicare nello studio sul ciclo di vita. Recente (2006) è il sottoinsieme ISO 14063 che disciplina le modalità operative per la comunicazione ambientale. 71 3.2.2 Le principali Certificazioni Ambientali di Prodotto Esistono tre diversi tipi di etichette ambientali di prodotto, istituite dalle norme ISO serie 14020: TIPO I: Etichette ecologiche volontarie basate su un sistema multicriteria che considera l’intero ciclo di vita del prodotto, sottoposte a certificazione esterna da parte di un ente indipendente (ISO 14024); TIPO II: Etichette ecologiche che riportano auto-dichiarazioni ambientali da parte di produttori, importatori o distributori di prodotti, senza che vi sia l’intervento di un organismo indipendente di certificazione tra le quali rientrano: ”Riciclabile”, “Compostabile”, etc. (ISO 14021); TIPO III: Etichette ecologiche che riportano dichiarazioni basate su parametri stabiliti e che contengono una quantificazione degli impatti ambientali associati al ciclo di vita del prodotto calcolato attraverso un sistema LCA. Sono sottoposte a un controllo indipendente e presentate in forma chiara e confrontabile (ISO 14025); Le etichette più diffuse sono quelle di tipo I e III perché la certificazione da parte di terzi della qualità ottenuta ed implementata è principalmente riconosciuta e considerata un valore aggiunto. Per ognuno di questi due tipi maggiormente diffusi, verrà analizzato il marchio più utilizzato a livello internazionale. In ogni caso, per questa tipologia di etichette la base è da considerarsi il metodo LCA. Il Life Cycle Assessment (Valutazione del Ciclo di Vita) rappresenta uno degli strumenti fondamentali per l’attuazione di una Politica Integrata dei Prodotti: si tratta di un metodo oggettivo di valutazione e quantificazione dei carichi energetici ed ambientali e degli impatti potenziali associati ad un prodotto/processo/attività lungo l’intero ciclo di vita, dall’acquisizione delle materie prime al fine vita (c.d. ‘dalla culla alla tomba’). La rilevanza di tale tecnica risiede principalmente nel suo approccio innovativo che consiste nel valutare tutte le fasi di un processo produttivo come correlate e dipendenti. Tra gli strumenti nati per l’analisi di sistemi industriali l’LCA ha assunto un ruolo preminente ed è in forte espansione a livello internazionale. La metodologia LCA è il cardine dalle norme ISO della serie 14040, in base alle quali uno studio di valutazione del ciclo di vita prevede: la definizione dell’obiettivo e del campo di applicazione dell’analisi (ISO 14041), la compilazione di un inventario degli 72 input e degli output di un determinato sistema (ISO 14041), la valutazione del potenziale impatto ambientale correlato a tali input ed output (ISO 14042) e infine l’interpretazione dei risultati (ISO 14043). A livello europeo l’importanza strategica dell’adozione della metodologia LCA come strumento basilare e scientificamente adatto all’identificazione di aspetti ambientali significativi è espressa chiaramente all’interno del Libro Verde COM 2001/68/CE e della COM 2003/302/CE sulla Politica Integrata dei Prodotti. Potenzialmente quindi le sue applicazioni sono innumerevoli: Sviluppo e Miglioramento di prodotti/processi; Marketing Ambientale; Pianificazione strategica; Attuazione di una Politica Pubblica. Tuttavia poiché uno studio dettagliato di LCA può risultare a volte costoso (in termini economici e di tempo) e complesso da eseguirsi (si deve acquisire una notevole quantità di dati ambientali durante ogni fase del ciclo di vita, come pure conoscere in modo approfondito sia gli aspetti metodologici standardizzati della metodologia che gli strumenti di supporto quali software e banche dati), si stanno sempre più sviluppando strumenti di ‘LCA semplificata’ che consentano una verifica immediata del ciclo di vita dei prodotti anche a coloro che non possiedono tutte le competenze e le risorse necessarie per realizzare uno studio dettagliato. Inoltre poiché di fondamentale importanza per la buona riuscita di uno studio di LCA è la disponibilità di dati attendibili, in campo internazionale ed europeo si sta cercando di favorire l’accessibilità, la disponibilità e lo scambio gratuito e libero di dati LCA attraverso lo sviluppo di Banche Dati pubbliche, protette, compatibili, trasparenti ed accreditate. 3.2.2.1 TIPO I: ECOLABEL Ecolabel è la certificazione ambientale europea che contraddistingue prodotti e servizi a minor impatto ambientale nata nel 1992 con l'adozione del Regolamento europeo n. 880/92, e aggiornata con il nuovo Regolamento 73 n.1980 del 17 luglio 2000. Ecolabel viene concesso a quei prodotti e servizi che rispettano criteri ecologici e prestazionali stabiliti. Tali regole ambientali si applicano a tutti i beni di consumo (eccetto alimenti, bevande, e medicinali) ed ai servizi, per un totale di circa 250 categorie di prodotti in Europa (80 in Italia). I criteri sono definiti a livello europeo per gruppi di prodotto/servizio, rilevando gli impatti dei prodotti sull'ambiente con l’utilizzo dell'approccio LCA, come precedentemente specificato. Gli aspetti che sono analizzati sono il consumo di energia, l'inquinamento delle acque e dell'aria, la produzione di rifiuti, il risparmio di risorse naturali, la sicurezza ambientale e la protezione dei suoli. Tra gli elementi che hanno un maggior impatto negativo sull'ambiente vengono individuati i più rilevanti, e per ciascuno di essi sono stabiliti precisi limiti che non possono essere superati. I criteri così definiti sono sottoposti ad una ampia consultazione in seno al Comitato dell'UE (CUEME) che è composto dagli Organismi competenti degli Stati membri, da rappresentanti delle ONG ambientaliste, da associazioni dei consumatori e dell'industria, da sindacati nonché da rappresentanti delle PMI e del mondo del commercio. Infine, i criteri devono essere sottoposti per l'approvazione alla Commissione delle Comunità Europee. Una volta adottati i criteri restano validi fino alla successiva revisione, che potrebbe renderli più restrittivi, in relazione al mercato e ai progressi scientifici e tecnologici, sempre al fine di migliorare le prestazioni ambientali del prodotto etichettato e di mantenere la selettività del marchio. Attualmente possono richiedere l'Ecolabel europeo 23 gruppi di prodotti/servizi: calzature, tessili, lampadine, materassi, frigoriferi, detersivi (per lavastoviglie, per bucato, per stoviglie, multiuso e per sanitari), lavastoviglie e lavatrici, carta per copie, ammendanti, personal computer, carta per uso domestico, pitture e vernici, piastrelle, lubrificanti e i servizi di ricettività turistica e di campeggio. Sono in corso di definizione i criteri per i mobili e la carta stampata. Le domande di assegnazione del marchio di qualità ecologica possono essere presentate da produttori, importatori, prestatori di servizi e distributori all'ingrosso e al dettaglio. I distributori possono presentare domanda solo per i prodotti che immettono in commercio contrassegnandoli con il proprio marchio. Un prodotto/servizio per ottenere il marchio Ecolabel deve rispettare i requisiti previsti dai criteri adottati a livello europeo per quel gruppo di prodotti. Un 74 manuale tecnico, concepito per accompagnare il richiedente nell'iter di attuazione dello schema, è disponibile per ciascun gruppo di prodotto/servizio. Ciascuno di questi compendi contiene tutte le informazioni sui criteri e sui rapporti di prova necessari per il rilascio del marchio per quel gruppo di prodotti. La domanda, insieme con il fascicolo tecnico, tutti i documenti necessari per la valutazione tecnica è presentata al Comitato Ecolabel-Ecoaudit, Sezione Ecolabel, che provvede ad inoltrarla ad APAT per l'esecuzione dell'istruttoria tecnico-amministrativa. Al consumatore l'Ecolabel europeo garantisce che il prodotto: ha un minor impatto ambientale rispetto agli altri prodotti presenti sul mercato; è stato sottoposto a severissimi test per assicurarne le qualità ambientali e prestazionali; Scegliendo prodotti/servizi Ecolabel quindi, il consumatore contribuisce a migliorare l'ambiente, riceve un'informazione trasparente e credibile, acquista prodotti che non hanno componenti dannosi alla salute e verificati da un Organismo indipendente. al produttore e al distributore l' Ecolabel europeo: consente di richiedere per i propri prodotti un marchio valido in tutti i Paesi europei; accresce la visibilità sul mercato nazionale ed europeo; una pubblicità aggiuntiva attraverso le campagne di promozione dell'UE e degli Stati membri, i siti web dedicati, etc. Ulteriori benefici, infine, possono derivare dal crescente sviluppo del mercato verde, e dalle iniziative che sono allo studio dell'UE e degli Stati membri per aumentarne la diffusione53. 3.2.2.2 TIPO III: DAP o EPD DAP è l’acronimo italiano di Dichiarazione Ambientale di Prodotto equivalente all’inglese Environmental Product Declaration. Verso questa nuova certificazione le Autorità di Regolazione, gli Enti di normazione, il mondo della ricerca, le imprese e i consumatori hanno manifestato considerevole interesse, sia in Italia, sia in Europa che nel mondo. 53 IPP, Libro Verde, Green Public Procurement, etc. 75 La DAP (o EPD) è un documento che contiene informazioni oggettive, constatabili e credibili circa l’impatto ambientale di un prodotto vale a dire a partire dalla sua concezione, attraverso la sua fabbricazione ed utilizzazione, fino al termine della sua vita utile e relativo smaltimento. Essa costituisce un importante strumento comunicativo che evidenzia le performance ambientali di un prodotto, aumentandone la visibilità e l’accettabilità sociale, rivolto, sia ai consumatori (BtoC), sia agli utilizzatori industriali e commerciali (BtoB). Come evidenziato prima, la DAP è basata sulla valutazione del ciclo di vita del prodotto secondo LCA ed è regolata dalle Norme della serie ISO 14020 e dalla serie ISO 14040 che ne costituiscono i riferimenti normativi di metodo. Per rendere le DAP fra loro comparabili e quindi di utilizzabilità generale (e a differenza di Ecolabel, internazionale) da parte del mercato, vengono predisposti requisiti specifici, comuni a determinate categorie di prodotti (servizi), tramite appositi documenti denominati PSR Product Specific Requirements (o PCR – Product Category Rules) che rappresentano, di fatto, i riferimenti normativi di “merito” per le certificazioni in oggetto. Tali documenti sono generalmente elaborati nell’ambito di collaborazioni tra le parti interessate (associazioni industriali, utilizzatori, università, Organismi di Certificazione, ecc..), secondo meccanismi del tutto analoghi a quelli adottati per gli altri schemi di certificazione di prodotto. La DAP viene predisposta dal produttore e verificata e convalidata da appositi organismi di parte terza (denominati Organismi Operanti la Verifica e Convalida delle DAP) che sono chiamati ad accertare ed assicurare la correttezza dello studio di LCA e la credibilità e veridicità dei dati e delle informazioni contenuti nella dichiarazione con riferimento ai requisiti delle PSR applicabili. La competenza di detti Organismi ovviamente deve, a sua volta, essere riconosciuta da un competente Ente di Accreditamento. La DAP viene infine diffusa al mercato tramite adeguati meccanismi di registrazione e comunicazione, secondo criteri che possono ispirarsi a quelli in uso per le Dichiarazioni Ambientali di Sistema (EMAS). Il ‘Sistema DAP o EPD’ descritto ha trovato applicazioni in molteplici aree economiche (Canada, Danimarca, Giappone, Norvegia, Germania, Svezia, Corea del Sud ed altre) fra loro collegate attraverso una rete mondiale 76 denominata GEDnt (Global Type III Environmental Product Declaration Network). Fra i vari sistemi di EPD quello che appare più avanzato e consolidato è quello Svedese facente capo allo Swedish Environmental Management Council – SEMC, Agenzia pubblica operante anche in veste di Comitato Nazionale EMAS, che si avvale dell’Ente di Accreditamento Nazionale Svedese SWEDAC per l’accreditamento degli Organismi di Certificazione, nel quadro di un’efficace e sinergica collaborazione54. 3.2.3 Le principali Certificazioni Ambientali di Processo Anche questi marchi sono regolati dalla normativa quadro della serie ISO 14000 (in particolare ISO 14001:2004). Le più importanti e diffuse certificazioni di processo sono ISO 14001 ed EMAS. I meccanismi messi in atto sono molto simili a quelli previsti dalla norma ISO 9000 e la revisione della ISO 14000 è andata proprio nella direzione di rendere i due sistemi fra loro più integrabili. 3.2.2.1 ISO 14001 Come descritto in precedenza, lo standard ISO 14001 si inquadra all’interno del più vasto panorama delle norme ISO e ne ricalca pertanto i medesimi tratti fondamentali. Certificare l’intero processo produttivo è molto diverso dal certificare un solo prodotto. La norma in vigore attualmente è Iso 14001:2004. Al fine di ottenere la certificazione, le organizzazioni devono passare attraverso numerose fasi, necessarie ad implementare un sistema di gestione che tenga in considerazione tutte le variabili ambientali correlate. Da notare che questo processo è graduale ed ogni avanzamento comporta mosse diverse che vengono realizzate con l’utilizzo di strumenti diversi e si concretizzano con la produzione di diversi documenti fra loro correlati. Possiamo suddividere il processo di certificazione ISO 14001 nelle seguenti fasi: 54 Da segnalare anche un Progetto conclusosi recentemente e sviluppato con finanziamenti dell’Unione Europea – denominato Progetto “Intend” – finalizzato alla messa a punto di uno schema europeo di verifica e convalida delle Dichiarazioni Ambientali i cui risultati, si auspica, possano essere recepiti a livello europeo, garantendo così un approccio efficace ed armonizzato nei diversi paesi dell’Unione. 77 1. Esecuzione della Analisi Ambientale, grazie alla quale l’azienda acquisisce una conoscenza dettagliata degli effetti ambientali prodotti dalla propria attività attraverso l’identificazione delle attività e degli aspetti ambientali connessi, con le rispettive interazioni fra le due sfere. Una volta individuati tutti quanti, vengono raggruppati in base a criteri che devono essere definiti con chiarezza, gli aspetti ambientali considerati più importanti (denominati Aspetti Ambientali Significativi), che rappresenteranno gli aspetti chiave sui quali agire nelle fasi successive. Per quanto riguarda gli effetti ambientali significativi, la norma prevede che siano considerati quelli derivanti da: condizioni operative normali; condizioni operative anormali; incidenti, imprevisti e possibili situazioni di emergenza; attività passate, presenti e previste. Attraverso l’analisi ambientale l’organizzazione può rendersi conto di quanto sia distante rispetto ai requisiti previsti dalla norma e identificare gli aspetti ambientali più significativi. L’analisi ambientale è uno studio complesso e lungo ma di fondamentale importanza e rappresenta la base di partenza delle azioni di miglioramento ambientale. 2. Sulla base della nuova consapevolezza data dalla procedura di analisi ambientale, l’organizzazione definisce i propri obiettivi di miglioramento e redige un Programma Ambientale attraverso il quale traduce i principi generali enunciati nella politica ambientale in misure concrete, definendone inoltre la tempistica e l’attribuzione di responsabilità e risorse necessarie al loro perseguimento. A questo punto la direzione nomina anche un Responsabile per la gestione ambientale, che sarà la figura di coordinamento e controllo di tutte le variabili ambientali individuate. 3. Redazione di un Manuale di Gestione Ambientale. Questo manuale descrive in maniera schematica ma completa attraverso delle procedure tutte le attività operative che l’organizzazione compie al fine di gestire le variabili connesse con l’ambiente in tutti i processi produttivi dell’impresa, indicando gli strumenti che ne misurano l’efficienza e l’impatto (Registri) nonché le istruzioni operative per il compimento di determinate azioni. Non c’è un numero fisso di procedure, in quanto una organizzazione può decidere di stabilire quante ne desidera per attuare al meglio la gestione 78 delle sue attività. Ciascuna procedura esplicita il suo scopo, il suo campo di applicazione, i soggetti responsabili della procedura, le modalità operative e gli eventuali registri di controllo che vengono utilizzati. La realizzazione del manuale è uno dei punti centrali del processo, che coinvolge l’intero insieme delle attività messe in moto dall’organizzazione: si va dalla pianificazione (es. procedure per la scelta di obiettivi, traguardi e programmi) all’attuazione del sistema di gestione (es. procedure per la gestione dei rifiuti, di comunicazione esterna ed interna, di formazione, di risposta ad emergenze ambientali) fino ad arrivare al controllo e verifica (procedure di sorveglianza e misurazione, di controllo dei registri e procedura di audit interno). E’ molto importante che tutte le nuove regole operative siano negoziate e stabilite con chi poi le dovrà applicare, ovvero i collaboratori interni. 4. Attuazione della documentazione realizzata, formando il personale alle nuove procedure gestionali, impiegando gli strumenti operativi quali le procedure nonché gli strumenti di controllo quali i registri. 5. Realizzazione di audit ambientali interni, ovvero verifica periodica delle performance organizzative adottate, attraverso l’analisi dei registri ed implementando le procedure di controllo previste dal sistema di gestione ambientale stesso. 6. Esecuzione del riesame da parte della direzione. Tutta la documentazione e delle procedure messe in atto vengono analizzate alla luce dei risultati conseguiti e dagli esiti degli audit, con successiva modifica di obiettivi o di strategie operative. 7. Presentazione della domanda di certificazione ad una terza parte indipendente ed accreditata, corredata dalla documentazione relativa all’analisi ambientale effettuata, al programma ambientale, al sistema di gestione ambientale. Da questo momento questo soggetto assume anche un ruolo di sorveglianza rispetto al processo di miglioramento continuo ai fini del mantenimento dei requisiti e, quindi, della certificazione. Per mantenere la registrazione l’organizzazione deve sottoporre a verifica esterna gli elementi richiesti per la registrazione in un periodo non superiore a trentasei mesi e aggiornare annualmente la 79 dichiarazione ambientale, ponendo in evidenza le variazioni rispetto alle versioni precedenti. 3.2.3.2 EMAS EMAS è l’acronimo di Eco Management Audit Scheme, ed è un etichetta che attesta l’adozione da parte di un organizzazione pubblica, privata o non-profit di un sistema di gestione ambientale trasparente e verificabile. Lanciato nel 1993, è stato sottoposto a revisione nel 2001 e recentemente nel febbraio del 200655. Tali modifiche hanno introdotto significative novità, in particolare la possibilità di aderire allo schema per le organizzazioni di tutti i settori (mentre precedentemente era compatibile solo con il settore manifatturiero), la valutazione non solo degli aspetti ambientali diretti ma anche di quelli indiretti, l'adozione di un nuovo logo EMAS, il principio di integrazione della norma UNI EN/ISO 14001 come riferimento per la realizzazione del sistema di gestione ambientale di EMAS, nonché il ruolo fondamentale della partecipazione dei dipendenti in tutte le fasi dell’organizzazione del processo di gestione. Da questa innovazione deriva anche l’abbandono del concetto di ‘sito’, in quanto ora è l’intera ‘organizzazione’ ad essere sottoposta a verifica. EMAS è una certificazione valida a livello europeo: seppur usando il sistema ISO 14001 per la realizzazione del sistema di gestione ambientale, presenta delle peculiarità interessanti, tali da farne una etichetta molto più prestigiosa dell’adozione di semplice ISO. Lo schema EMAS prevede gli stessi passaggi fondamentali di ISO 14001, ma li completa con altri documenti e relative azioni connesse, ovvero la Politica Ambientale e la Dichiarazione Ambientale. Successivamente all’individuazione di obiettivi e programma ambientale, la direzione elabora la Politica Ambientale, nella quale dichiara, formalizza e 55 Regolamento comunitario n. 761/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, entrato in vigore il 27/04/2001 a sostituzione del precedente regolamento n. 1836/93 del Consiglio. Il Regolamento Emas è in fase di ulteriore modifica e presso la Commissione UE approverà una ulteriore versione di Emas denominata EMASIII. Nel 2006 il Regolamento ha subito nuove ma non sostanziali modifiche al fine di adeguarlo alla mutata disciplina della norma ISO 14001:2004, in particolare modificando l’Allegato I del Regolamento (CE) n. 761/2001 del Parlamento Europeo e del Consiglio ed abrogando la decisione 97/265/CE. 80 sintetizza i propri obiettivi e principi di azione rispetto alle questioni ambientali. La politica deve risultare appropriata rispetto al tipo di organizzazione e ai suoi impatti, includendo traguardi ambientali. Essa deve essere concretamente scritta in un documento formale che sarà poi diffuso fra i dipendenti e reso disponibile agli stakeholder. Dopo la realizzazione del sistema di gestione ambientale, è necessario redigere un altro documento di sintesi denominato Dichiarazione Ambientale, che comprende: la descrizione dell’ organizzazione e delle sue attività, prodotti e servizi creati dell’organizzazione; la descrizione della politica ambientale e del sistema di gestione ambientale, come descritta e strutturata nel Manuale di Gestione; l’analisi degli impatti ambientali e dei relativi obiettivi; le prestazioni ambientali complessive. In quanto destinata ad un ampio pubblico, la dichiarazione deve essere al tempo stesso chiara, sintetica, leggibile e approfondita, completa ed esaustiva (preferibilmente corredata di riferimenti e allegati tecnici). Infine deve essere convalidata da un verificatore ambientale e resa pubblica. Le imprese che vengono ritenute idonee dall’organo competente successivamente all’invio della documentazione e la verifica dell’organizzazione di verifica vengono aggiunte al Registro Emas e si possono fregiare dell’uso del relativo logo in tutti i documenti e comunicazioni. Oltre al miglioramento continuo attraverso la verifica periodica delle performance quindi, la norma EMAS si basa su un altro principio fondamentale, non contemplato in ISO 14001: la trasparenza. Da un punto di vista concreto, dal momento in cui lo standard ISO è stato assunto quale sistema di gestione di riferimento al fine di ottenere la registrazione Emas, non si può dire che vi siano significative differenze operative. Concettualmente però, nonostante ambedue gli schemi tendano a responsabilizzare l'impresa nei riguardi del miglioramento continuo della loro prestazione ambientale, la diversità chiave sta nei rispettivi obiettivi finali: 81 EMAS porta a produrre una Dichiarazione Ambientale destinata alla comunicazione tra impresa e pubblico, il cui contenuto informativo viene convalidato, per gli aspetti di attendibilità, da un terzo indipendente; La certificazione ISO 14001 porta ad ottenere, da un terzo indipendente, una attestazione di conformità alla norma stessa del sistema di gestione ambientale di un'impresa. Pertanto EMAS si spinge più in là della semplice conformità che è data da ISO 14001. La tabella 1 riporta in maniera schematica le principali differenze tra i due strumenti. Queste minime differenze operative costituiscono le basi un impianto concettuale diverso per le due etichette. EMAS in particolare va oltre ISO, perché mette in primo piano il ruolo di trasparenza e controllo dell’organizzazione da parte delle persone che operano al suo interno (e fra questi in particolar modo, i dipendenti) e dei soggetti interessati alle azioni e politiche della stessa (stakeholder). REGOLAMENTO EMAS NORMA UNI EN ISO 14001 Riconosciuto a livello europeo Riconosciuto a livello internazionale Il verificatore è un soggetto privato, accreditato da una istituzione pubblica (Comitato Ecolabel-Ecoaudit) L’ente di certificazione è un soggetto privato, accreditato da un soggetto privato (Sincert) Viene sottoposta a certificazione DI ATTENDIBILITA’ E VERIDICITA’ una Dichiarazione Ambientale che riassume Attesta la conformità ed il rispetto della normativa ISO e sintetizza tutte le parti del SGA implementato 14001 dall’organizzazione L'accreditamento dei Verificatori è deliberato dall'Organismo di Accreditamento, ovvero dal Comitato Ecoaudit Ecolabel; le attività di istruttoria e verifica sono L'accreditamento dei certificatori è svolto dal SINCERT. svolte da ANPA che opera in collaborazione con il SINCERT per le parti comuni tra EMAS ed ISO 14001. Tab 1 Differenze fra Emas ed Iso14001 EMAS pone al centro il rapporto che l’organizzazione intrattiene con la collettività. L’imposizione di comunicare i propri impegni instaurando e mantenendo relazioni con diversi pubblici è considerata la molla che fa scattare automaticamente comportamenti virtuosi: l’obbligo alla trasparenza imposto da EMAS viene eretto a garanzia e controllo dei comportamenti 82 dell’organizzazione in campo ambientale, in quanto i pubblici sono a conoscenza delle promesse dell’organizzazione. La Dichiarazione Ambientale (DA) non è quindi solo una descrizione del sistema di gestione ambientale, ma è la pubblica enunciazione degli impegni e della strategia per conseguirli, con la garanzia sulla veridicità di tali affermazioni data dalla convalida di un Organismo indipendente. La DA è lo strumento con il quale l’azienda è tenuta ad improntare le sue relazioni all’esterno ed all’interno. Proprio per l’importanza di questo documento, l’UE ha disposto delle particolari condizioni per la sua redazione. Il Regolamento 1836/93 infatti ne prevedeva la predisposizione, ma senza specifici riferimenti per quanto riguarda la sua struttura ed il dettaglio dei contenuti. Tale esperienza operativa ha dimostrato che la carenza, in termini prescrittivi e d’indirizzo, porta ad una notevole difformità di comportamenti e d’interpretazioni all’interno dell’Unione Europea. Gli Organismi nazionali competenti, che hanno anche il compito di promuovere e di vigilare sulla corretta applicazione dello schema, non sempre hanno emanato proprie linee guida interpretative e n’è conseguito che le imprese, di fronte al problema di come compilare la dichiarazione ambientale, hanno cercato propri modelli di comunicazione ispirandosi spesso ad esempi, non sempre adeguati, provenienti da altri settori produttivi e/o da altri stati membri della UE. Molte aziende hanno preso come riferimento i propri rapporti ambientali. Sulla base di questa esperienza, in fase di revisione del regolamento EMAS, la Commissione ha voluto regolamentare il tema della qualità della comunicazione esterna partendo anzitutto dal testo normativo ed indicando una serie d’informazioni su come la dichiarazione ambientale deve essere strutturata. Secondariamente la Commissione ha deciso di approfondire ulteriormente l’argomento in una specifica ‘linea guida dal titolo Orientamenti relativi alla dichiarazione ambientale EMAS. La linea guida, elaborata con una visione più mirata a fornire indicazioni pratiche intende supportare le imprese, i verificatori ambientali e gli organismi competenti, a comprendere più a fondo lo spirito del Regolamento in tema di comunicazione ambientale e di creare un quadro di riferimento, omogeneo in tutta la UE, all’interno del quale ogni organizzazione può trovare il proprio modo di esprimersi senza tralasciare alcuno dei requisiti 83 obbligatori di EMAS. Le linee guida infatti descrivono i principi generali che regolano la Dichiarazione Ambientale, i contenuti che devono essere obbligatoriamente inseriti nel documento, ed infine le modalità di predisposizione di parti con informazioni mirate a destinatari specifici suggerendo, per alcuni dei principali interlocutori dell’organizzazione, quelli che possono essere gli argomenti di specifico interesse. a. Applicazione di EMAS Il Regolamento 761/2001:EMAS (modificato nell’Allegato I dal regolamento 196/2006:EMAS) adottato dal parlamento e dal Consiglio dell’Unione Europea è stato oggetto di un attento e lungo dibattito in sede Comunitaria in quanto ritenuto, da tutte le parti politiche, sociali ed economiche, strumento fondamentale della politica ambientale dell’Unione. Rispetto all’ applicazione della norma stessa e con lo scopo di favorirne la diffusione all’interno degli Stati membri della UE, quasi tutti i Paesi hanno introdotto elementi di flessibilità, in particolare rispetto alla domanda di autorizzazione, ai requisiti per i rapporti di sorveglianza e alla diminuzione delle ispezioni. Infine, sono previsti in numerosi casi provvedimenti di incentivazione a livello di appalti pubblici e di supporto finanziario, tecnico e informativo. Il Regolamento infatti non si delinea come un percorso rigido prestabilito ma è piuttosto uno strumento da interpretare ed adattare alle specifiche realtà aziendali, che può essere applicato alle attività indipendentemente dalle dimensioni del sito e dell'azienda, dalla laboriosità del processo produttivo e del prodotto, dalla complessità organizzativo/gestionale dell'impresa. Sulla base della considerazione che l'adesione ad EMAS può comportare molti benefici, traducibili in risparmi riscontrabili ed in vantaggi strategici ed economici sul medio lungo periodo, i governi e la UE si sono sforzati di specificare e di semplificare la normativa affinché possa essere applicata dal maggior numero di organizzazioni possibile. C'è infatti il rischio che l'impresa possa essere spaventata dalla apparente complessità ed onerosità dei provvedimenti da attuare per soddisfare il Regolamento e quindi abbandoni il proposito di aderire ad EMAS. La Commissione Europea vigila sull’applicazione della norma e sul funzionamento dello schema attraverso un apposito Comitato, nell’ambito del 84 quale sono state proposte azioni per coprire alcuni aspetti del nuovo Regolamento che necessitavano di chiarimento. I relativi atti sono stati recepiti dalla Commissione con la pubblicazione, in Gazzetta Ufficiale dell’UE 247/1 e 247/24 del 17 settembre 2001 delle seguenti raccomandazioni e decisioni: 1. Raccomandazione della Commissione [2001/680/CE del 7/9/2001] relativa agli orientamenti per l’attuazione del Regolamento CE n. 761/2001 (EMAS) relativamente ai contenuti della Dichiarazione ambientale, alla partecipazione dei dipendenti, alla valutazione degli aspetti ambientali ed alla verifica delle PMI; 2. Decisione della Commissione [2001/681/CE del 7/9/2001] relativa agli orientamenti per l’attuazione del Regolamento CE n. 761/2001 (EMAS) relativamente all’identificazione del soggetto registrabile (entità), all’uso del logo ed alla periodicità dell’audit di verifica e convalida della dichiarazione ambientale. Ai fini del presente lavoro, è di indiscussa importanza l’AllegatoI della Decisione, relativo all’ identificazione del soggetto registrabile. La Decisone della Commissione descrive in maniera dettagliata quali sono le organizzazioni che possono conseguire la certificazione. La linea guida identifica il soggetto registrabile come entità ossia un “Sito o parte di esso, organizzazione, parte o gruppi di organizzazioni che intendono registrarsi con un unico numero56.” Il documento contempla otto macro classificazioni di queste entità, ma non si esclude la possibilità di una estensione della trattazione di questa materia man mano che viene acquisita esperienza operativa negli anni. Le organizzazioni riconosciute come aventi diritto di richiedere la certificazione sono: 1. Organizzazioni che operano in un unico sito: è il più semplice dei casi previsti e si riferisce essenzialmente alle organizzazioni per le quali l’entità da registrare è interamente compresa in un’area geografica delimitata e definita e per le quali il sistema di gestione ambientale comprende tutte le attività che vengono svolte al suo interno. 56 Allegato I della Decisone nr. 2001/681/CE del 7/9/2001 85 2. Circostanze eccezionali per la registrazione di un’entità più piccola di un sito. E’ stato concessa questa opzione con una serie di prescrizioni aggiuntive nella consapevolezza generale che deve trattarsi di casi eccezionali. La prima, e più rilevante di queste condizioni, è legata alla dimostrazione che la scelta deriva sostanzialmente da problemi operativi, commerciali o di strategia globale dell’impresa e non da un’operazione di cherry picking57. La seconda condizione da rispettare riguarda l’aspetto comunicativo verso il pubblico e le parti interessate, in quanto la dichiarazione ambientale deve evidenziare che la registrazione EMAS riguarda solo una parte del sito e la direzione aziendale deve giustificare in essa la scelta operata. 3. Organizzazioni che operano in più siti. Si distingue fra: Le organizzazioni con prodotti o servizi identici o simili, che sono ramificate sul territorio con uffici, filiali e succursali, caratterizzate essenzialmente da aspetti ambientali indiretti, come le banche, le assicurazioni, le società di consulenza, le agenzie di viaggio e le catene di distribuzione. Il sistema di gestione ambientale sarà pertanto governato dalla sede centrale con un manuale unico. Le attività periferiche potranno essere classificate per tipologie simili e governate da procedure di settore. Le organizzazioni con prodotti o servizi diversi, che sono caratterizzate soprattutto da aspetti ambientali diretti. Viene data la possibilità di registrare uno o più siti a seconda dell’assetto gestionale interno all’azienda. 4. Organizzazioni per le quali non è possibile definire adeguatamente un territorio specifico. Questo è il caso tipico di attività diffuse su un territorio, più o meno vasto, nel quale coesistono anche altre realtà produttive gestite da soggetti pubblici e privati sui quali l’organizzazione non ha alcun controllo gestionale né può esercitare un influenza diretta. L’aspetto più rilevante consiste nel fatto che queste organizzazioni operano in un sito allargato nel quale convivono anche le popolazioni 57 Cherry picking è una espressione idiomatica che indica lo sfruttamento di una situazione contingente a proprio vantaggio. 86 residenti che sono potenzialmente esposte alle conseguenze degli impatti ambientali delle attività sia in fase di normale funzionamento sia in fase di eventuale emergenza e/o condizione incidentale. L’attività si svolge a macchia di leopardo ed è radicata su tutto il territorio senza possibilità di confinamento e quindi si rende necessario porre in essere una serie di misure di prevenzione e di comunicazione con le popolazioni residenti. Il cittadino deve avere la certezza che sono state correttamente valutate tutte le variabili ambientali e quelle relative alla sicurezza delle comunità e che sono state attuate le misure necessarie per far fronte alle relative situazioni di emergenza. Tipicamente appartengono a questa categoria le società di servizi (distribuzione di gas, elettricità, acqua, teleriscaldamento), società di raccolta dei rifiuti, società di telecomunicazione e di trasporto pubbliche e private. 5. Organizzazioni che controllano siti temporanei, ovvero quei soggetti che effettuano attività di servizio o di altro genere per periodi di tempo più o meno lunghi, ma sempre comunque definiti, operando su siti, aree, edifici, magazzini, impianti, appartenenti ad altre organizzazioni. La linea guida richiede che l’organizzazione dimostri la propria capacità di pianificare e gestire correttamente le attività. Diventano quindi molto importanti sia l’aspetto tecnologico che quello gestionale per le attività svolte in sede e presso i siti operativi. 6. Organizzazioni indipendenti che operano in un’area limitata registrata come un’unica organizzazione comune. Sono aree più o meno vaste nelle quali imprese, che non necessariamente appartengono alla stessa organizzazione o corporate, si trovano nella necessità di gestire problematiche ambientali comuni derivanti da particolari situazioni di sensibilità e/o di pressione sul territorio e per le quali è difficile valutare il contributo dei singoli aspetti ambientali all’impatto globale. Questa situazione è tipica di aree industriali nelle quali gli stabilimenti sono localizzati in modo contiguo e non vi è soluzione di continuità tra di essi, oppure di imprese che usano la stessa infrastruttura per i servizi essenziali (acqua, smaltimenti rifiuti, linee elettriche, depurazione, ecc.). Le imprese in questa realtà possono avere l’interesse di perseguire l’obiettivo di un’unica registrazione EMAS poiché questa soluzione, oltre 87 che auspicabile per i benefici che ne derivano in termini di rapporti con le comunità locali e con le autorità, consente di ottimizzare le risorse da impegnare su attività comuni. E’ il caso di complessi turistici o parchi naturali. 7. Autorità locali ed istituzioni governative. La linea guida, più che classificare tipologie di entità pubbliche registrabili secondo EMAS, fornisce alcuni suggerimenti a coloro che hanno una responsabilità politica e programmatica su un territorio. In particolare, viene posta particolare attenzione ad una serie di punti che dovrebbero essere i riferimenti per l’attuazione di EMAS nella pubblica amministrazione con l’obiettivo prioritario della qualità delle vita presente e futura dei cittadini. La specificità di questo caso consiste nel fatto che il cittadino diventa uno degli elementi cardine del sistema e la sua partecipazione al progetto EMAS è tanto più efficace quanto maggiore è la conoscenza e la consapevolezza dell’importanza del proprio ruolo nel raggiungimento dell’obiettivo comune. Quindi le linee guida raccomandano le amministrazioni pubbliche di: Ricercare quanto più possibile la condivisione delle scelte attraverso una costante campagna di informazione e di confronto con le parti economiche e non economiche interessate nelle fasi di attuazione del progetto. Una volta attuato lo schema, deve essere garantita una costante informativa sui traguardi raggiunti e sulle azioni per le quali l'amministrazione sta concentrando i propri sforzi. Il cittadino e/o le parti interessate dovrebbero avere la possibilità di indicare situazioni di devianza rispetto ai risultati attesi. Garantire la trasparenza al cittadino con verifica indipendente dei dati ambientali richiesti dal Regolamento per la dichiarazione ambientale. Pubblicare il monitoraggio continuo, che contribuisce ad individuare problemi e situazioni di devianza rispetto alla ipotesi di lavoro e consente di adottare misure correttive adeguate ed in tempi ragionevoli. 88 Curare la comunicazione esterna ed interna, che assume un ruolo importante nell’abbattimento della barriera esistente fra cittadino e pubblica amministrazione e che raramente trova altri strumenti anche legali per essere superata. La necessità del raggiungimento dell’obiettivo comune crea le premesse per aggirare ostacoli, diffidenze e, soprattutto, inerzie delle strutture pubbliche nei confronti del cittadino. Ricercare soluzioni strategiche alternative rispetto a programmi di sviluppo al fine di trovare un giusto equilibrio fra l’iniziativa privata e le esigenze della collettività. La linea guida indica che i comuni piccoli dovrebbero raggiungere la registrazione di tutto il territorio senza possibilità di suddivisione in entità più piccole (es. servizi municipali, gli assessorati, ecc). Per i comuni grandi invece, la registrazione dell’intera amministrazione appare una impresa ardua ed possibile procedere per sezioni. Come ultima riflessione le linee guida rimarcano che il cittadino si aspetta da un comune/provincia EMAS un rigore ed un impegno più sostanziale e più orientato alla trasparenza di quanto non lo richieda per un’impresa privata. Gli ambiti di competenza di queste amministrazioni, infatti, riguardano aspetti particolarmente sensibili della vita presente e futura dei cittadini quali la qualità dell’ambiente e la salute. 8. Piccole imprese che operano in un determinato territorio di grandi dimensioni e producono prodotti di identici o simili, che richiedono la registrazione individuale. E’ il caso delle imprese che operano all’ interno dei distretti, o Ambiti Territoriali Omogenei (ATO), caratterizzati dalla presenza di piccole, piccolissime e medie imprese che sono attive in un unico settore industriale. Nel territorio coesistono, con queste realtà produttive, anche la popolazione residente ed altre organizzazioni pubbliche e private che contribuiscono alla pressione totale sull’ambiente. Anche se composto di molte parti, a livello economico un territorio con simili caratteristiche è abbastanza omogeneo, o comunque, le parti si influenzano a vicenda. Nel caso del distretto non si può pensare, vista la complessità (territoriale, numero di imprese, ecc.) di poter delegare le 89 funzioni ambientali ad un unico organismo in analogia a quanto visto nei casi precedenti (in particolare i punti 6 e 7) ma l’adozione di sistemi di gestione ambientale deve essere fatta da più soggetti, in primis, da un numero più elevato possibile di imprese e pubbliche amministrazioni. Al momento però, la norma EMAS non ha predisposto strumenti in grado di certificare ambiti così complessi e stratificati, ma la Commissione UE ha avviato una sperimentazione. Per avviare il processo in queste realtà si suggerisce uno schema che vede il ruolo prevalente e trainante della parte pubblica attraverso le proprie strutture regionali, provinciali, comunali, le agenzie per la protezione dell’ambiente (in Italia: ARPA) per la raccolta e messa a disposizione dei dati ambientali e per la caratterizzazione del territorio di competenza. L’analisi ambientale iniziale deve necessariamente interessare tutto il territorio e perciò risulta complessa ed onerosa e non può che essere supportata da soggetti pubblici che possiedono i mezzi tecnici ed economici e soprattutto l’interesse a rilevare le criticità ambientali determinate dalla specifica attività produttiva. Anche le associazioni di categoria e le CCIAA dovrebbero invece farsi parte attiva, sin dalla fasi iniziali e di concerto con la pubblica amministrazione, presso le singole imprese per promuovere la partecipazione ad EMAS fornendo il supporto tecnico necessario per attuare le fasi operative (sistema di gestione ambientale, associazioni audit interni, possono, dichiarazione attraverso ambientale, un’azione verifica). coordinata, Le stabilire convenzioni con consulenti, enti di certificazione e verificatori ambientali, revisori ambientali per abbattere i costi delle singole imprese. L’opportunità, in questo schema, è quella di consentire al distretto di dialogare con il pubblico e con le autorità di controllo su un’ampia tematica che investe la qualità dell’ambiente condizionata non solo dal settore produttivo ma anche da tutte le altre attività presenti sul territorio. La collaborazione ha anche l’obiettivo di comprendere appieno le responsabilità ed il contributo del distretto alla qualità dell’ambiente e di cercare una strada comune, condivisa ed incentivata, ad una riduzione dell’impatto ambientale del territorio. Seguendo lo schema indicato dalle linee guida per questo caso, le PMI hanno la possibilità di ricercare ed 90 individuare soluzioni gestionali e tecnologiche comuni per abbattere l’inquinamento e risolvere situazioni ambientali tipiche del settore produttivo, nonché di scambiarsi esperienze nell’identificare gli aspetti ed impatti ambientali. Lo schema proposto parte dalla necessità di istituire un protocollo d’intesa a livello locale, attraverso un comitato promotore, che veda la partecipazione dei soggetti pubblici e privati all’iniziativa. L’analisi del territorio, promossa e finanziata da soggetti pubblici, ha lo scopo di identificare, per il settore industriale in questione, i contributi all’impatto nel territorio. Da questo lavoro devono essere estratti gli obiettivi ed i target ambientali di distretto. Il Programma ambientale che ne consegue dovrebbe essere condiviso dalle PMI e reso pubblico per una discussione ed un contributo di tutte le parti interessate. Il programma di distretto è il punto cardine dello schema; esso costituisce il quadro di riferimento per gli obiettivi ambientali di ogni singola impresa che, individualmente, deciderà di proseguire verso la registrazione EMAS. In Italia, le parti governative che vigilano ed applicano il Regolamento EMAS nel territorio nazionale, hanno compreso subito che l’applicazione di EMAS a queste tipologie di entità largamente diffuse nel paese, potrebbe essere una efficiente via alla gestione più sostenibile di ampi spazi di territorio. Contestualmente però si evidenzia che un impianto normativo di questo tipo è complicato e necessita di tempi lunghi per il raggiungimento degli obiettivi. Il Comitato Ecolabel Ecoaudit ha istituito al suo interno il Gruppo di Lavoro Ambiti Produttivi Omogenei, che analizza le possibilità e le modalità di applicazione di queste linee guida ai casi specifici. La sezione EMAS del Comitato il 28/01/2005 ha approvato, su proposta del Gruppo APO, la “Posizione del Comitato per l’Ecolabel e per l’Ecoaudit sull’applicazione del Regolamento EMAS sviluppato in ambiti produttivi omogenei”. Tale Posizione prevede per le entità distrettuali due percorsi: 1. La Registrazione EMAS dell’Organizzazione con funzione di Gestore dell’Ambito Produttivo Omogeneo, ove possibile ai sensi del Regolamento 58 EMAS58. Regolamento UE 761/2001 art.2 lettera s. La registrazione presuppone il 91 soddisfacimento, da parte dell’Organizzazione, dei requisiti del Regolamento EMAS, la cui verifica viene effettuata da un Verificatore Accreditato con una particolare attenzione al contesto locale, al settore produttivo ed ai requisiti per il rilascio dell’Attestato. Dal momento in cui l’organizzazione con funzione di Gestore è registrata, le organizzazioni appartenenti ai settori inclusi nel campo di applicazione della registrazione potranno sviluppare il loro sistema di gestione ambientale beneficiando delle semplificazioni del percorso EMAS (descritte nel capitolo “Semplificazioni e sinergie”). 2. Rilascio dell’Attestato al Soggetto Promotore dell’Ambito Produttivo Omogeneo. L’attestato rilasciato dal Comitato ha l’obiettivo di identificare e dare riconoscimento formale al/ai soggetto/i che si sono prodigati a livello locale per diffondere il Regolamento EMAS e per creare le sinergie necessarie all’adesione delle aziende (ed in particolare delle piccole e medie imprese). Le azioni messe in atto dal Soggetto Promotore devono essere indirizzate a fornire un supporto metodologico alle singole organizzazioni appartenenti all’ambito produttivo nell’attuazione delle varie fasi dell’EMAS, pur mantenendo un approccio globale verso il miglioramento della qualità ambientale del territorio. Le azioni promosse, inoltre, devono essere in grado di rimuovere ostacoli che la singola impresa non potrebbe affrontare con le sole proprie forze (es. viabilità, infrastrutture, servizi comuni, formazione, ecc.). L’attestato consentirà alle organizzazioni appartenenti ai settori prevalenti (per i quali è effettuata l’analisi di criticità) di sviluppare il loro sistema di gestione ambientale beneficiando delle semplificazioni del percorso EMAS (descritte nel capitolo “Semplificazioni e sinergie”), derivanti dall’appartenenza all’ambito produttivo omogeneo Il documento di Posizione del Comitato avvia un’attività sperimentale sul territorio italiano i cui risultati potranno essere utilizzati come contributo Italiano alla prevista revisione del Regolamento EMAS. La norma infatti è in via di modifica e quella che viene definita EMASIII, andrà ad interessare la 92 compatibilità tra gli strumenti di certificazione ambientale e quelli previsti per il sociale, se non addirittura ipotesi di convergenza tra EMAS ed Ecolabel. Le esperienze operative messe in moto in Italia e nel gli altri Paesi dell'area Comunitaria sono oggi alla base di un continuo confronto in previsione di EMASIII. Il contributo italiano più importante sarà rappresentato proprio dalla sperimentazione dell’applicazione di EMAS nei Distretti Industriali. b. La comunicazione in EMAS: prescrizioni della norma ISO 14001 e la nuova norma ISO 14063 EMAS eleva i processi di comunicazione e di relazioni connesse a strumenti della trasparenza. Se un requisito fondamentale della Dichiarazione Ambientale è quello di dover essere resa disponibile e diffuso nei confronti del pubblico, è altresì vero che si debbano regolamentare al meglio i processi di comunicazione attivati dall’organizzazione, sia che siano rivolti al suo interno o all’esterno. L’attività di comunicazione per fungere da garante all’elemento cardine della trasparenza assume una doppia veste: da una parte è funzione che somministra informazioni di carattere ambientale all’esterno e dall’altra è dispositivo che governa le relazioni con gli stakeholder. A tale scopo è necessario stabilire delle procedure per una ottimale gestione dei processi di comunicazione ambientale, che contribuiranno così allo sviluppo sostenibile e contemporaneamente pianificare azioni di comunicazione adeguate a fornire le informazioni ambientali ai propri interlocutori. I legislatori hanno preso coscienza che il ruolo della comunicazione è notevolmente cresciuto negli ultimi anni grazie anche alle attività di CSR ambientale, e che tale attività necessita di importanti operazioni di ascolto dell’esterno, per ottenere informazioni che implementino efficaci strategie di gestione ambientale. Ma la comunicazione può essere attivata anche in ragione di un possibile rischio ambientale, o dalla necessità di rispondere a particolari categorie come i dipendenti, la comunità, etc. I processi usati e i contenuti della comunicazione ambientale di un organizzazione variano in base agli obiettivi e alle circostanze, e portano all’utilizzo di differenti forme ed approcci (una o due vie). Senza dubbio però, il processo più efficace di comunicazione ambientale include costanti relazioni 93 con le parti interne ed esterne, considerate frazioni dell’intera strategia di comunicazione dell’ organizzazione59. L’attività di comunicazione ambientale è regolata da norme ISO 14001 e dalla recente ISO 14063. Se la prima disposizione stabilisce degli standard generici e piuttosto operativi ai quali deve sottendere questa attività, la seconda descrive in maniera più dettagliata e puntigliosa come deve essere concepita e condotta la comunicazione ambientale all’interno dell’organizzazione, individuando in essa non solo una leva di diffusione, ma di ascolto e relazione con le parti interessate. Di seguito, verranno analizzate le tematiche affrontate dalle rispettive prescrizioni. b1 ISO 14001 Questa norma regola l’attività di comunicazione in più parti. Innanzitutto, afferma l’obbligo della diffusione della politica ambientale, che, oltre dover essere resa disponibile al pubblico, deve essere comunicata a tutte le persone che lavorano per l’organizzazione o per conto di essa. Come precedentemente specificato, tale attività in EMAS viene potenziata e ampliata, perché nel Regolamento non è solo la Politica a dover essere diffusa, bensì il più composito documento di Dichiarazione Ambientale. Negli articoli che regolano l’attuazione ed il funzionamento del Sistema di Gestione Ambientale (SGA) è citata esplicitamente l’attività di comunicazione, specificando che l’organizzazione è tenuta a stabilire, attuare e mantenere attive in relazione ai propri aspetti ambientali ed al proprio SGA una o più procedure miranti al doppio scopo di: assicurare la comunicazione interna fra i differenti livelli e diverse funzioni dell’organizzazione; ricevere, documentare e rispondere alle richieste pertinenti provenienti dalle parti interessate esterne. L’organizzazione inoltre, deve decidere se comunicare all’esterno riguardo ai propri aspetti ambientali significativi e deve documentare la propria decisone. 59 “The most effective environmental communication process involves ongoing contact by the organization with internal and external interested parties, as part of the organizations overall communications strategy”, in DRAFT for Public Coment of INTERNATIONAL STANDARD ISO/DIS 14063 elaborato dal BSI (British Standard.), dicembre 2004; 94 Se l’organizzazione decide di farlo, deve stabilire uno o più metodi di comunicazione esterna. Le linee guida delle norma precisano maggiormente queste disposizioni. Innanzitutto, la comunicazione interna è fondamentale per assicurare l’attuazione efficace del sistema di gestione ambientale e pertanto le organizzazioni devono adottare una specifica procedura che regolamenti la ricezione, la documentazione e la risposta alle comunicazioni pertinenti provenenti dalle parti interessate. Tale procedura può (ma non obbligatoriamente deve) comprendere un dialogo con le parti interessate e l’attivazione verso le loro preoccupazioni pertinenti, anche se è indubbio che tale operazione possa portare benefici sia dal punto di vista dell’efficienza sia da quello del coinvolgimento (tale principio verrà espressamente dichiarato nella norma ISO 14063). Per quanto riguarda invece la comunicazione esterna degli aspetti ambientali, le linee guida raccomandano di creare una procedura che tenga conto di molti fattori, come il tipo di informazioni da veicolare, il destinatario, le singole situazioni circostanti. Volendo estrapolare da queste disposizioni i principi che soggiacciono, è possibile affermare che questa norma adotta un approccio comunicativo volto maggiormente alla gestione degli imput che arrivano dalle diverse parti. Non disponendo l’obbligatorietà di innescare processi di dialogo la norma sembra che tenda a considerare la comunicazione come una processo più operativo che strategico, in grado di controllare il flusso di informazioni che provengono da più parti ma che non si attiva per mettere in moto tale flusso, soprattutto nei riguardi dell’esterno. L’obbligo di diffondere solo informazioni di aspetti ambientali significativi ha il doppio scopo di rendere contemporaneamente la comunicazione efficiente (strumentale al raggiungimento di un obiettivo di carattere ambientale, non promozionale) e significativa (contribuendo a evitare ulteriore inquinamento informativo). b2 ISO 14063 La recente Norma ISO 14063 (settembre 2006) è stata emanata con lo scopo di aiutare le organizzazioni nella gestione ottimale della attività di comunicazione, specificandone i principi generali, la strategia e le attività relative alle modalità interne ed esterne. ISO 14063 non è uno standard certificabile, ma è una norma 95 che specifica e puntualizza le modalità di comunicazione che si devono adottare per gli standard certificabili. Come precedentemente descritto, EMAS si basa sulla norma ISO 14001 per la realizzazione del sistema di gestione ambientale, pertanto ISO 14063 è da considerarsi a pieno titolo un’integrazione, da usarsi in combinazione con gli altri standard della serie ISO 1400060. La norma definisce la comunicazione ambientale come un processo condotto dall’organizzazione per dare e ottenere informazioni, nonché stabilire un dialogo con i soggetti interessati sia interni che esterni, al fine di incoraggiare la comprensione delle issue, degli aspetti e delle performance ambientali. Il modello di riferimento della norma per la gestione del processo di comunicazione ambientale è costituito da tre macrocomponenti, ciascuno dei quali necessita di operazioni diverse, che tengano conto in primis dei principi generali di comunicazione ambientale e degli stakeholder o “interested parties”. Fig 1: Schema della normativa ISO 14063 60 "This international standard is not intended for use as a specification standard for certification or registration purposes or for the establishment of any other environmental management system conformity requirements. It may be used in combination with any other standard within the ISO 14000 series or on its ow”, ibidem; 96 Principi di comunicazione ambientale In qualsiasi attività di comunicazione ambientale implementata, l’organizzazione deve applicare i quattro principi di: Trasparenza: le procedure, i metodi, i dati usati per comunicare informazioni ambientali devono essere disponibili per tutti gli stakeholder, questi ultimi a loro volta devono essere a conoscenza del ruolo che ricoprono all’interno della comunicazione ambientale dell’impresa. Appropriatezza: le informazioni ambientali fornite dalla comunicazione devono essere rilevanti per i soggetti interessati, con un uso di linguaggio e scelta del media che incontra i loro interessi e bisogni, i grado di renderli partecipi. Credibilità: la comunicazione ambientale deve essere condotta in modo onesto e le informazioni fornite devono caratterizzarsi per veritiere, accurate, reali e non ingannevoli per le parti. Le informazioni ed i dati devono essere sviluppati utilizzando metodi ed indicatori riconosciuti e riproducibili. Responsabilità: la comunicazione ambientale deve essere aperta ai bisogni delle parti interessate. Le domande e gli interessi degli stakeholder devono ottenere una risposta completa e tempestiva. Gli stakeholder devono altresì sapere come sono state prodotte dette risposte. Chiarezza: gli approcci e i linguaggi della comunicazione ambientale devono essere comprensibili e con un il minor livello possibile di ambiguità. Il Processo di comunicazione ambientale Le tre macrocomponenti di questo processo si presentano fortemente interdipendenti e successive una all’altra. Esse sono: La politica di comunicazione ambientale La strategia di comunicazione ambientale Le attività di comunicazione ambientale. 97 Per Politica di comunicazione ambientale la norma intende l’insieme delle intenzioni e convinzioni che la direzione nutre nei confronti della comunicazione ambientale. Tali convinzioni devono essere formalmente espresse dal top management. La Politica deve chiaramente definire: Il mandato (commitment) che la porta l’organizzazione ad avviare un dialogo con le parti interessate; il mandato che muove l’organizzazione a svelare informazioni sulle sue performance ambientali; la significatività della comunicazione interna ed esterna nell’organizzazione; I motivi delle scelte di politica effettuate ; Il commitment dell’indirizzo delle issue ambientali locali e globali scelte. La norma specifica che la Politica di comunicazione ambientale può essere parte integrante della politica comunicativa generale dell’organizzazione, oppure essere una strategia separata. La norma sottolinea altresì che nello sviluppo di tale azione di diffusione delle informazioni, il responsabile del management ambientale deve interagire e collaborare per assicurare che tale fase sia consistente e coerente con le altre politiche e valori della organizzazione. La norma esplicita chiaramente che non è necessario essere molto dettagliati nell’enunciazione della Politica di comunicazione, ma è importante che trasmetta agli stakeholder l’importanza che l’organizzazione attribuisce alla comunicazione di variabili, aspetti e cultura ambientali. La Strategia di comunicazione ambientale è il secondo passo, che viene definito come il lavoro di sfondo attuato dall’organizzazione per implementare la sua politica di comunicazione ambientale e per la messa in opera degli obiettivi ed i target di comunicazione ambientale. La definizione di una strategia è necessaria. Infatti quest’ultima, in quanto parte di una più vasta attività ambientale attivata dall’organizzazione, deve essere allineata con gli elementi del sistema di management ambientale. La strategia si compone di tre elementi: 98 La fissazione degli obiettivi di comunicazione ambientale, che diverranno poi la base di partenza per la valutazione dell’intera attività di comunicazione effettuata. Tali obiettivi ovviamente devono essere coerenti con i principi generali e la politica di comunicazione ambientale, nonchè tenere conto delle opinioni e visioni degli stakeholder interni ed esterni. Identificazione degli stakeholder, che vengono definiti sempre “interested parties”, cioè di quei soggetti che hanno espresso un interesse nelle attività, nei prodotti o servizi dell’organizzazione e le persone con alle quali l’azienda ritiene sia importante fornire informazioni di carattere ambientale. In un secondo momento poi verranno identificati i pubblici target, su cui focalizzare una specifica attività di comunicazione ambientale. Considerare le risorse per ciascuna issue. E’ necessaria una mappatura delle risorse umane, tecniche e finanziarie delle attività di comunicazione ambientale. Infine, la norma descrive in maniera approfondita le Attività di comunicazione ambientale. Tali attività sono molteplici e rappresentano il momento veramente operativo dell’attività di comunicazione ambientale. La noma distingue quattro fasi, ciascuna suddivisibile per altre microazioni: Pianificazione. Dopo un lavoro di analisi del contesto e ricognizione delle informazioni e dei mezzi disponibili, si passa alla progettazione delle attività di comunicazione ambientale, prevedendo per ciascuna l’utilizzo di specifici strumenti (verbali o scritti), con la definizione dei ruoli di ciascun collaboratore. La norma descrive in maniera approfondita l’intera gamma di strumenti comunicativi utilizzabili, fornendo un vero e proprio campionario dal quale attingere l’iniziativa che si adatta maggiormente alle esigenze dell’organizzazione. Attuazione. In questa fase vengono messe in atto le attività, e si risponde immediatamente al feedback degli interlocutori, oltre a raccogliere e classificare tutte le informazioni che serviranno successivamente a valutare l’attività di comunicazione ambientale. 99 Valutazione. I dati riferiti alle attività di comunicazione precedentemente raccolti vengono interpretati per sondare l’efficacia della comunicazione rispetto al raggiungimento degli obiettivi operativi previsti. Revisione. Il management aziendale effettua una valutazione che mira a modificare gli obiettivi di politica, operativi oppure strategici sulla base dei feedback raccolti e sulle valutazioni della comunicazione ambientale. Questo processo di valutazione dell’attività di comunicazione diventa un tassello importante nella comprensione e valutazione della più generale relazione con i pubblici influenti, che a sua volta determinerà la reputazione dell’organizzazione. Si può notare come la norma ISO 14063 a monte applichi appieno la metodologia dell’inclusione e del governo delle relazioni, che sono parte integrante del processo di organizzazione e implementazione delle attività di comunicazione. Al tempo stesso il buon governo delle relazioni è determinato in misura principale dalle attività di comunicazione, che se ben eseguite, sono in grado di gestire in maniera veramente efficiente i rapporti con le parti interessate. E’ opportuno sottolineare anche che nelle PMI, viste le dimensioni ed i mezzi a disposizione, tutti questi passaggi risultano piuttosto semplificati, ma tuttavia è fondamentale concepire anche in questo tipo di imprese l’attività di comunicazione con questo impianto logico. Volendo riassumere brevemente ed in maniera schematica, si può affermare complessivamente che l’analisi dell’attività di comunicazione ambientale secondo lo schema EMAS così come è implementata da una organizzazione può essere effettuata attraverso: L’individuazione e l’analisi delle procedure di comunicazione (interna ed esterna) contenute nel Sistema di Gestione Ambientale; L’individuazione delle attività operative di comunicazione ambientale tout court, fra le quali sono distinte quelle di tipo: Obbligatorio, come ad esempio la diffusione della dichiarazione ambientale; Facoltativo, ovvero attività relative agli aspetti ambientali significativi (se l’organizzazione ha deciso di comunicarli) 100 oppure azioni di comunicazione finalizzate al raggiungimento di obiettivi di programma ambientale specifici (es. per favorire l’aumento della raccolta differenziata viene organizzato un seminario o diffuso un opuscolo). 101 PARTE TERZA Se le piccole e medie imprese sono una peculiarità europea, il fenomeno che va sotto il nome di distretti, per cui si verifica una concentrazione all’interno di un territorio ristretto di un gran numero di PMI operanti nella stessa filiera produttiva, è una peculiarità italiana. Sin dalla sua teorizzazione, il fenomeno è stato ampiamente analizzato dal mondo accademico. Quest’ultimo ha riconosciuto nel modello distrettuale molteplici vantaggi riconducibili in ultima istanza a flessibilità, facilità di rapporti interpersonali, velocità. La globalizzazione ed altre cause hanno però prodotto nei tempi odierni uno stravolgimento di molti dei presupposti in grado di riprodurre questi vantaggi all’interno dei distretti. Il modello è in crisi ed è necessario ripensare e ricreare la formula competitiva che meglio si adatti alla nuova congiuntura. Tra le tante soluzioni e questioni da affrontare, un nodo che deve essere necessariamente considerato è la tutela ambientale, non solo perché le parti sociali lo richiedono con insistenza, ma anche perché una corretta ed efficiente gestione di questa risorsa può produrre risparmi prima, e vantaggi economici poi. Lo sforzo però deve essere congiunto e coordinato fra una molteplicità di soggetti molto diversi fra loro: in quest’ottica, le relazioni e la comunicazione possono essere lo strumento strategico in grado di governare e coordinare con efficienza gli sforzi di ciascuna componente. Nel quarto capitolo, saranno presentate le principali caratteristiche dei distretti industriali, con particolare attenzione ai distretti del Friuli Venezia Giulia ed ai distretti italiani operanti nel settore del legno-arredo. La riflessione verrà poi accentrata esclusivamente sul Distretto del Mobile Livenza, al fine di individuarne le peculiarità, i punti di forza, di debolezza e le tendenze degli ultimi anni. Nel quinto capitolo verrà presentato il progetto di certificazione EMAS del Distretto del Mobile dell’Alto Livenza, che si prefigge migliori e competitive performance economiche attraverso una più efficiente gestione della risorsa ambientale da parte di tutti i soggetti operanti nel territorio. 102 Sarà effettuata l’analisi dei processi di relazione e comunicazione di tre tipologie di attori rappresentanti le autentiche anime di questo progetto di responsabilità ambientale: una azienda, una pubblica amministrazione e l’ente Distretto. Al fine di comprendere le opportunità ed il contributo che una adeguata e completa attività di relazioni comunicative può offrire al miglioramento delle performance ambientali, saranno analizzati i documenti di Dichiarazione Ambientale, che stabiliscono per ciascun soggetto le politiche di comunicazione interna ed esterna adottate. In particolare, tali processi riguardano la comunicazione: Nel distretto: ovvero le relazioni e la comunicazione di tipo ambientale che ciascun attore attiva e intrattiene con le diverse componenti che fanno come lui parte del progetto di certificazione EMAS (concorrenti, associazioni di categoria, sindacati, regione, provincia etc) Al distretto: ovvero le relazioni e la comunicazione di tipo ambientale che i tre attori attivano nei confronti dei propri stakeholder presenti nel territorio o che operano a monte o a valle all’interno della stessa attività economica, come i fornitori, i concorrenti, gli altri distretti, le altre imprese distrettuali che non partecipano al Progetto di certificazione EMAS. Per il distretto: ovvero le relazioni e la comunicazione di tipo ambientale che i tre soggetti attivano con soggetti esterni al distretto ma appartenenti alla filiera o al settore produttivo, miranti all’affermazione di una identificazione precisa del prodotto del legno-arredo proveniente dal distretto quale bene con caratteristiche intrinseche di qualità, design, innovazione e sostenibilità ambientale. 103 Capitolo 4 UN DISTRETTO, TANTI ATTORI, UN PROGETTO AMBIENTALE DI RILANCIO “Quell’incidente inspiegabile, quel capovolgimento delle mie precedenti esperienze, (…)sembrava tracciare le lettere della mia condanna e incominciai a riflettere con maggiore serietà di quanto mi fosse mai accaduto prima alle conseguenze e alle incognite della mia doppia esistenza” Dott. Henry Jekill 4.1 IL MODELLO DISTRETTUALE ITALIANO FRA L’INSASPETTATO SUCCESSO E L’INEVITABILE CRISI 4.1.1 Definizione e caratteristiche Il concetto di ‘distretto industriale’ è stato introdotto dall’economista Marshall, che nel suo Principi di economia del 1972 dedica un capitolo alla 104 “concentrazione di industrie specializzate in località particolari” che vengono denominate distretti industriali. Per Marshall questi agglomerati sono connotati in termini di specializzazione settoriale dell’attività industriale: si hanno perciò distretti lanieri, delle calzature, del vetro etc. Tale specializzazione però non implica l’omogeneità produttiva, bensì le organizzazioni operanti nel contesto ben definito creano un insieme di relazioni verticali, laterali o di servizio all’interno dello stesso processo produttivo, non dello stesso prodotto. Le relazioni verticali o convergenti si caratterizzano per essere fasi differenti di uno stesso processo produttivo, ovvero una serie di processi legati l’uno all’altro che contribuiscono alla graduale trasformazione della materia prima in prodotto finito. Le relazioni orizzontali o laterali sono rapporti tra imprese che trasferiscono i componenti verso un’unica impresa finale che si occupa dell’ assemblaggio; mentre i rapporti di servizio o diagonali trattano diverse attività correlate alle industrie del distretto (trasporti, finanziamento, etc). Marshall sottolinea come le imprese che appartengono ai distretti possiedano un importante vantaggio competitivo rispetto alle imprese isolate, poiché possono godere di economie esterne all’impresa ma interne al distretto, ed in particolare di economie esterne di agglomerazione, intese come effetti utili che una singola impresa da sola non può produrre al suo interno, ma che può solo ricevere dall’esterno se si localizza là dove sono presenti certe condizioni favorevoli. All’interno del distretto, alla popolazione di queste imprese medie e piccole, si affianca in modo attivo la società locale, ed esercita una funzione indipendente sull’organizzazione della produzione in ragione della sua cultura sociale61. In Italia fu Beccattini a introdurre il concetto di distretto industriale, proponendolo come strumento per caratterizzare lo sviluppo economico di alcune aree a partire dagli anni ‘70. Secondo la sua interpretazione il distretto industriale è “un ispessimento localizzato delle relazioni interindustriali che presenta un carattere di ragionevole stabilità nel tempo62”. La letteratura che analizza i distretti è davvero corposa e ha 61 F. Sforzi, F. Lorenzini, I distretti industriali, in Istituto per la Promozione Industriale (IPI), L’esperienza italiana dei distretti industriali, Stampato in proprio, 2002; 62 G. Beccattini (a cura di), Mercato e forze locali: il distretto industriale, Il Mulino, Bologna 1987; 105 prodotto numerose definizioni per i distretti che vengono definiti di volta in volta sistemi locali o aree sistema, milieu o sistemi produttivi territoriali (SPT), fino a sistemi economici e sociali territoriali (SEST). Secondo Signorini63, ciò che maggiormente conta sottolineare e che accomuna tutte queste definizioni è l’aver basato l’analisi su entità caratterizzate dai seguenti elementi economici: Divisione del lavoro: la produzione delle aziende raggiunge elevati livelli di flessibilità e produttività poiché ogni impresa distrettuale si specializza in una specifica fase di produzione. Ambiente o milieu: tale elemento è costituito a sua volta dalla componente culturale dalla componente infrastrutturale. Usando una metafora tecnologica, si può affermare che la prima è il software, ovvero è legata all’identità locale e comprende atteggiamenti, conoscenze, storia e tradizioni; la seconda invece è l’hardware perché si compone di elementi materiali (terreni, fattori ambientali, reti di trasporto) e di servizi (banche, servizi alla produzione). Rete esterna: si tratta di un sistema di connessioni a monte e a valle che conferisce al distretto in quanto tale un certo potere di mercato come acquirente o fornitore ed è identificato attraverso un’immagine ben precisa. La combinazione di questi elementi permette, secondo Corò e Grandinetti64, di individuare in un distretto industriale i seguenti caratteri distintivi: Un elevato numero di piccole e medie imprese che sono specializzate sia orizzontalmente che verticalmente; Competenze ampie ed integrate, che sono radicate in una particolare area geografica e che determinano uno specifico mercato del lavoro; Un sistema di relazioni che permette alla produzione di essere efficientemente coordinata all’interno di un settore, sia attraverso la competizione, sia attraverso la cooperazione. Rispetto a questo 63 L. F. Signorini, L’ ‘effetto distretto’: motivazioni e risultati di un progetto di ricerca, in F.Lorenzini (a cura di), Sviluppo Locale: un’indagine della Banca d’Italia sui distretti industriali, Meridiana Libri, Corigliano Calabro 2000; 64 G. Corò e R. Grandinetti, Evolutionary patterns of the italian industrial district, in Human System Management n.18: 117-129, 1999; 106 Capecchi65 afferma che la competitività tra le imprese del distretto deve risultare inferiore a quella con le imprese fuori del distretto. La combinazione di tali elementi peculiari in numerose imprese specializzate e concentrate geograficamente permette di organizzare la produzione in modo efficiente, analogamente a quanto avviene all’interno di un singolo grande stabilimento. Ciò è reso possibile dai flussi di economie esterne che si generano localmente fra le imprese e che derivano dall’insieme di conoscenze, valori, comportamenti tipici ed istituzioni attraverso i quali la società locale agisce sull’organizzazione industriale. In definitiva, il dinamismo dei distretti industriali si alimenta di iniziative che tendono a ricostruire un ambiente a partire dalle peculiarità e dalle ricchezze di ciascun territorio. Esse combinano le dimensioni economiche con quelle sociali, la cura della crescita con quella della coesione, la sfera pubblica con quella privata, le tecnologie di comunicazione sofisticata con i saperi contestuali. La loro ricchezza risiede precisamente in questa mistura che si adatta in ogni paese a formule diverse. Riassumendo quindi, il conseguimento di economie e di vantaggi nella produzione per le imprese distrettuali dipende non tanto dalle dimensioni delle singole imprese, quanto dal modo in cui la produzione è organizzata localmente ed interagisce con l’ambiente sociale e produttivo dove essa si svolge. L’espressione che riassume tutto questo può essere quella usata da Sforzi e Lorenzini66: atmosfera industriale, che condensa l’insieme delle caratteristiche sociali e produttive che costituiscono il distretto industriale, facendone un tutto unico e qualificandolo come vero e proprio sistema sociale cognitivo. I distretti produttivi iniziano ad affermarsi con forza sul panorama economico italiano a partire dagli anni ‘60, ma è dalla fine degli anni ‘70 fino ai primi anni ‘90 che contribuiscono in maniera determinante alla produzione di una ricchezza che diventa ben presto diffusa e dilagante, in particolare nel Nord Italia. Analizzando questo processo di creazione di ricchezza attraverso questa nuova formazione, Rullani e Romanoi67 affermano che i distretti sono stati la risposta ai difetti del fordismo della grande impresa, caratterizzata da regole 65 V. Capecchi, Nuove imprese per la qualità della vita, in Impresa e Stato n.37/38: 33-42, 1997; cfr Sforzi e Lorenzini, op cit; 67 E. Rullani, L. Romano (a cura di), Il postfordismo. Idee per il capitalismo prossimo venturo, Etaslibri, Milano 1998; 66 107 burocratiche abbastanza rigide (calcolo, regole, programmi, ruoli prestabiliti e ben definiti) a favore del recupero dell’energia e dell’intelligenza delle persone, mettendole al servizio di un problem solving informale, in un sistema che ‘lavora sull’orlo del caos’ cercando non di governarlo con l’efficienza tecnica, le economie di scala e di replicazione, bensì cercando di rispondere a basso costo ed in tempi brevi a situazioni (di mercato, di tecnologia e di concorrenza) sempre meno prevedibili, controllabili e dinamici68. Questa soluzione ha determinato anche la scelta di indirizzo verso l’industria leggera. Anche per questo il modello produttivo distrettuale della PMI ha avuto ampi spazi di sviluppo, perché è stato in grado di raccogliere la chance della flessibilità in un epoca in cui le grandi organizzazioni fordiste erano relativamente stabili su prodotti e processi preesistenti sulla rigidità accumulata. Il mercato del consumismo di massa richiedeva design, qualità, diversificazione e le PMI cavalcarono semplicemente l’onda di una congiuntura favorevole. Nei Distretti italiani operano oltre 60.000 imprese con circa 600.000 addetti che realizzano circa 120.000 miliardi di lire di fatturato, pari ad una quota del 10% circa del Prodotto Interno Lordo industriale italiano. La legislazione italiana ha riconosciuto i distretti industriali nel 1991 (art.36 Lg 317/91). In questo provvedimento, volto a rilanciare l’economia, l’artigianato e le piccole e medie imprese, si individuano come distretti industriali “le aree territoriali locali caratterizzate da elevata concentrazione di piccole imprese, con particolare riferimento al rapporto tra la presenza delle imprese e la popolazione residente nonché alla specializzazione produttiva dell’insieme delle imprese69”. La legge 317/91 prevedeva che fossero le regioni, sentite le unioni regionali delle camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura, ad individuare i distretti industriali sul loro territorio di competenza e rimandava ad un successivo Decreto del Ministero dell’Industria la definizione dei parametri in base ai quali individuare i distretti industriali. L’atteso DM, emanato in data 21 aprile 1993, fissava i criteri per l’individuazione dei distretti prendendo a riferimento le aree classificate come “Sistemi Locali del lavoro” dall’ISTAT sulla base del Censimento Industriale del 1991. Tra queste aree le regioni avrebbero 68 E. Rullani, I distretti cambiano pelle, in Quaderni del management, nr 16 luglio agosto 2005, pp10-24; In accordo alla disciplina comunitaria (Raccomandazione della Commissione Europea 2003/361/CE) recepita dal Governo Italiano (Decreto Ministero delle Attività Produttive del 18.04.2005) per la definizione di piccola e media impresa ci si riferisce alle unità produttive con meno di 250 addetti. 69 108 poi individuato i distretti industriali attraverso l’esame di alcuni parametri economici. Tuttavia, le difficoltà incontrate nell’applicazione di rigide griglie statistiche a realtà varie quali i sistemi locali di PMI hanno di fatto limitato le possibilità di applicazione della normativa, per questo alcune regioni hanno disciplinato le modalità attuative dei distretti industriali ricorrendo ad interpretazioni meno restrittive degli indicatori stabiliti dal decreto. La semplificazione dei criteri di individuazione dei distretti a livello nazionale è intervenuta con la Lg 140/99, che introduce una nuova tipologia di area, il Sistema Produttivo Locale, caratterizzato da: Contesti produttivi omogenei; Elevata concentrazione di imprese, non solo industriali, prevalentemente di piccole e medie dimensioni; Una peculiare organizzazione interna. Il distretto industriale è definito dalla legge come un Sistema Produttivo Locale che deve possedere due caratteristiche aggiuntive: Elevata concentrazione di imprese industriali; Elevata specializzazione produttiva di sistemi di imprese. La maggior parte delle regioni italiane ha emanato delle apposite leggi regionali per l’individuazione dei distretti industriali. Toscana, Lombardia e Friuli Venezia Giulia hanno recepito rapidamente la legge 317/91 e hanno poi aggiornato la perimetrazione in base ai criteri previsti dalla 140/99; altre regioni hanno usato solo i criteri di una o dell’altra legge, altre ancora non hanno individuato nel loro territorio distretti industriali preferendo attuare politiche industriali diverse. Sulla base dei provvedimenti regionali si possono identificare in Italia circa 160 distretti70. Oltre ad interessare provvedimenti legislativi, l’individuazione dei distretti industriali sul territorio nazionale è un argomento che ha impegnato, e continua ad impegnare, gli studiosi di economia e non solo:la delimitazione e la classificazione dei distretti sono state oggetto di numerosi lavori svolti da economisti, insieme a sociologi e pianificatori, i quali hanno sfruttato algoritmi via via più complessi per definire una corretta base territoriale del fenomeno. Dai risultati di queste analisi è stato possibile costruire delle “mappe empiriche” 70 Fonte: IPI-Dipartimento Economia Applicata-Servizio di analisi Economiche, aggiornamento al 1.04.2005; 109 basate su algoritmi ad hoc definiti a seconda di scelte di volta in volta dichiarate e dipendenti dallo scopo dell’indagine. Nella pratica quindi, la numerosità e l’estensione dei distretti varia grandemente a seconda delle procedura di individuazione adottate. 4.1.2 La crisi dei distretti Verso a metà degli anni ’90, le elefantiache grandi industrie si incamminano verso una un nuovo paradigma dell’ agire economico, orientato al postfordismo. Le grandi organizzazioni iniziano a praticare la specializzazione sul core business, l’outsourcing a filiere esterne, una produzione più snella e dinamica, una tensione all’innovazione continua, il decentramento, la deverticalizzazione e le pratiche collaborative con l’esterno, il recupero della centralità delle persone e dei dipendenti in modo particolare. Insomma, le grandi imprese fanno proprie alcune delle specificità delle piccole imprese distrettuali, riconquistando terreno nel campo della competitività ed azzerando la rendita delle piccole imprese. La causa di questo cambiamento e nuova primavera è da attribuire alla prontezza con cui le grandi imprese hanno raccolto e alimentato la rivoluzione multimediale. Quest’ultima ha prodotto due fenomeni di ampio raggio: la globalizzazione e la smaterializzazione dell’economia. Con il termine globalizzazione si indica il fenomeno di crescita progressiva delle relazioni e degli scambi a livello mondiale in diversi ambiti osservato a partire dalla fine del XX secolo. Sebbene con questo termine ci si riferisca prevalentemente agli aspetti economici delle relazioni fra popoli e grandi aziende, il fenomeno va inquadrato anche nel contesto dei cambiamenti sociali, tecnologici e politici. In campo economico la globalizzazione denota la forte integrazione nel commercio mondiale e la crescente dipendenza dei paesi gli uni dagli altri. Per smaterializzazione si intende quel processo per il quale assumono importanza fondamentale e valore economico gli asset intangibili di una organizzazione. Nel mercato globale viaggiano prima dei prodotti anche le conoscenze e le idee, che vengono incorporate in un secondo momento nei prodotti stessi. Le reti cognitive assumono importanza e diventano anch’esse mondiali, spostando flussi di know how in macchine, nuovi materiali, licenze, 110 software, consulenze, reti di collaborazione, ma anche semplicemente attraverso attività di imitazione, remake e reinvenzione di soluzioni ricavate da una apprendimento incrociato, che ibrida esperienze e materiali di partenza molto diversi fra loro. Non è più possibile arroccarsi su una rete molto buona ma ristretta al locale difendendo il valore di un vantaggio competitivo basato su di essa, perché i mezzi a disposizione dei concorrenti sono di gran lunga superiori. Per sopravvivere, è necessario rimettersi in gioco su questi nuovi terreni, ed essere in grado di acquisire e vendere conoscenza e competitività anche nelle reti ampie. Questa prospettiva però comporta molti problemi per le imprese distrettuali: esse infatti non sono in grado di competere con gli investimenti messi in campo da organizzazioni più grandi, che possono assicurarsi un vantaggio competitivo derivato dagli investimenti in ricerca ed innovazione messi in campo. Di fronte a questi scenari, sono state molte le voci che si sono alzate a cantare il requiem del modello distrettuale. Molti economisti si sono lanciati in esercizi di stile strutturalista che evidenziavano la inevitabile conclusione dei distretti, perchè le performance negative degli anni ’90 non dimostravano una fase discendente, bensì un inesorabile declino. Fortunatamente, le profezie fin ora non hanno mai avuto conferma nella realtà. I distretti hanno ancora la possibilità di essere un esempio di efficienza e ricchezza? Nel nuovo scenario economico, ci sono poche certezze e molte probabilità. Per capire se i distretti hanno ancora delle chance in questo senso gli studiosi hanno analizzato due ordini di elementi: Le caratteristiche e le conseguenze, in termini sia di pericoli sia di opportunità, della nuova congiuntura economica per i distretti industriali I punti di debolezza che il sistema attuale dei distretti dimostra nell’agire in questo nuovo paradigma. Per quanto riguarda il primo punto, gli studiosi concordano nell’affermare che la nuova congiuntura è molto complessa e tale complessità si costituisce di un grado così ampio di varietà, variabilità e indeterminazione che ha fortemente cambiato i recinti in cui si svolgeva la concorrenza un tempo, abbassando i 111 confini fra settori, paesi e funzioni di consumo, tra l’altro quasi mai sotto l’egida di chi era protagonista nella situazione precedente. I modelli e le ricette che potevano sussistere ed essere validi ora devono essere fortemente ripensati sulla base di uno scenario congiunturale fortemente modificato, con numerose variabili in più. In riferimento all’altrettanto complesso secondo punto, si possono individuare due elementi: il grado di internazionalizzazione delle imprese distrettuali; le tipologie di relazioni che intercorrono fra gli operatori interni al sistema distrettuale. Le imprese collocate nei distretti industriali, hanno avuto significativi successi nella penetrazione dei mercati esteri, tuttavia oggi internazionalizzazione ed esportazioni non sono più sinonimi. Il modo con cui l'impresa si mantiene ‘internazionale’ nella generazione dei vantaggi competitivi non coincide con l’esportare. Da un lato infatti ciò non basta: l'impresa deve impegnarsi all'estero in forme più complesse della semplice commercializzazione del prodotto finito. Dall'altro lato, esportare può essere non significativo o non essenziale per acquisire uno status internazionale, world class, nella competizione transnazionale, in tutti quei casi in cui le esportazioni non bastano ad intercettare i vantaggi competitivi che si generano nelle diverse aree mondiali. Imprese che esportano poco possono cioè avere uno standard competitivo internazionale, mentre, al contrario, imprese che esportano molto possono non averlo. Ci sono almeno due campi di internazionalizzazione molto promettenti, che devono essere esplorati al di là dell'export: la distribuzione transnazionale delle diverse attività che compongono l'attuale catena del valore (varie fasi del ciclo, servizi), in modo da poter sfruttare a proprio vantaggio i differenziali nazionali specifici dei diversi paesi; la partecipazione attiva a reti internazionali di divisione del lavoro nel campo della produzione e utilizzazione della conoscenza; Nella loro accezione tradizionale i distretti si configuravano come catene di fornitura locali, chiuse ad apporti esterni nelle fasi a monte, e fortemente 112 internazionalizzate invece nelle fasi terminali, di vendita e assistenza al cliente. Finora, sono stati i prodotti finiti ad andare, attraverso le imprese dotate di reti commerciali internazionali, sui mercati esterni: le lavorazioni a monte e le competenze relative sono rimaste invece sedimentate localmente. Si trattava, in definitiva, di un modello chiaramente export-oriented: un modello, dunque, che, per quanto detto, oggi si trova nell'occhio del ciclone, che si deve adeguare alle nuove forme di produzione transnazionale del valore. Se si vogliono conseguire i vantaggi relativi ai differenziali nazionali e alla divisione internazionale del lavoro cognitivo occorre, infatti, che le imprese distrettuali di subfornitura che operano a monte comincino a guardare a mercati più estesi di quelli loro garantiti dai committenti locali; e che i committenti, che operano anche a valle, superino l'orizzonte delle esportazioni per articolare la loro presenza internazionale in modo più pregnante. In altri termini, occorre che i distretti in quanto sistemi collettivi di azione agiscano essi stessi come attori dell'economia internazionale in formazione, seguendo o anticipando le imprese in questa nuova dimensione del loro agire. Da ciò dipende, in gran parte, la possibilità dei modelli di successo italiani di sopravvivere alle nuove regole della concorrenza internazionale. Il nuovo modo di vedere l'internazionalizzazione chiarisce che il discorso va condotto a due livelli: da un lato occorre vedere la dinamica complessiva del distretto (la sua internazionalizzazione come sistema, attraverso i diversi anelli della catena del valore che lo compongono); dall'altro occorre vedere la posizione delle singole imprese, distinguendo fra quelle operanti a monte (di subfornitura) e quelle operanti a valle. L’altro punto di fondamentale importanza è rappresentato dal tipo di relazioni che devono legare i diversi componenti del sistema distrettuale. Gli attori dei sistemi distrettuali hanno sempre coltivato delle relazioni interne molto intense, tuttavia oggi è necessaria una condivisione più intensa e con contenuti diversi. Le relazioni cruciali nel nuovo paradigma sono quelle che consentono di diffondere la conoscenza ed il sapere sia tacito (che viene dall’esperienza diretta di imprenditori e lavoratori) che sapere codificato: tali sfere devono imparare a convivere e ad essere scambiate, perché, entrambe sono necessarie ed in grado di produrre e generare vantaggio economico. Da un lato infatti il sapere tacito dell’esperienza non è semplicemente una 113 sopravvivenza del passato e dall’altro il sapere codificato non è semplicemente qualcosa che si limita a standardizzare i linguaggi e la comunicazione. Questo scambio di conoscenze è legato al concetto di flusso, caratteristica della società moderna che allude alla comunicazione e interconnessione tra ambiti diversi e spesso anche lontani. E’ un carattere tipico della globalizzazione e della rete ma che consente realmente di produrre vantaggio economico per tutti. La questione da porre è quella di non ‘svendere’ le competenze e i vantaggi del distretto, ma di espandere il tessuto relazionale interno facendogli perdere i suoi caratteri captive e la sua ristrettezza geografica. Si tratta di innescare reti globali su un nucleo portante ancora valido di competenze e di cicli localizzati nel distretto, che può divenire il punto focale di relazioni estese verso l'esterno. La variabile strategica quindi non è più né l'esportazione di merci, di macchine o componenti, ma è la formazione di canali di scambio regolato delle conoscenze e di accumulazione congiunta di nuove conoscenze. L'ingresso in rete di nuovi partners (anche esteri) deve essere visto anche come un'occasione di apprendimento: ci sono nuovi mercati e nuove competenze che, scambiandosi con quelle tradizionali del distretto, possono aprire nuovi business, esplorare nuovi bisogni, suggerire nuovi prodotti e nuove utilizzazioni dei prodotti tradizionali. Solo in questo modo l'evoluzione verso l'esterno, che è inevitabile, potrà non essere un momento di impoverimento del distretto, ma innescarne un'evoluzione verso varietà e competenze non ancora esplorate. L’economia postfordista odierna è aperta, e hanno possibilità di successo le imprese che intraprendono una via nuova ed originale. Paradossalmente, il nuovo mercato globale premia il particolare e tale originalità può essere prodotta solo da un sistema fondato su risorse distintive. Ecco allora che i distretti sono, ancora una volta, i migliori candidati per vincere la sfida della competitività con le grandi imprese ma la crescente competizione globale, la massiccia introduzione delle tecnologie nonché l’evoluzione dei modelli di consumo impongono di ripensare la formula imprenditoriale su cui è stato costruito il successo. 114 4.1.3 Le soluzioni concrete per uscire dalla crisi Il modello distrettuale quindi può ancora essere concorrenziale, perché è in sintonia con alcune caratteristiche strutturali del nuovo paradigma economico, ma urge subito un ripensamento e la modificazione di alcuni tratti, con l’integrazione di nuovi elementi. Numerosi esperti in questi anni hanno cercato di formulare delle risposte concrete proponendo delle soluzioni operative. Innanzitutto, il pieno recupero della vitalità competitiva del modello distrettuale è legato alla capacità ed al coraggio di introdurre tali innovazioni: tale attitudine non deve essere data per scontata e dipende da tanti fattori. Rullani in particolare afferma che molto dipenderà dalla qualità della classe dirigente. Se quest’ultima optasse per scelte che coinvolgono poco l’apparato strutturale profondo, all’economia distrettuale spetterà un ruolo di follower, non di leader. Gli studiosi concordano sul fatto che la questione è di tipo strutturale: per i distretti la strada verso una nuova competitività postfordista passa attraverso un adattamento delle filiere produttive, in grado di sfruttare (e non di sopravvivere) alla produzione globale e immateriale. Tale passaggio comporta un coraggioso e congiunto sforzo da parte di più attori operanti nei distretti. Le formule che sono state enunciate negli anni sono moltissime, e ciascuna di esse pone in primo piano diverse priorità. Senza cercare di capire quali siano le operazioni da effettuarsi prima, le due variabili che sono in grado di innescare processi replicabili su cui sembra maggiormente necessario fare leva sono: la tecnologia e le reti. Le strade da intraprendere sono quindi due: da un lato la differenziazione dell’offerta ed un maggiore investimento in innovazione sia dal punto di vista tecnologico che semantico, dall’altro la gestione di reti produttive decentrate all’interno delle quali presidiare le attività di maggiore valore aggiunto. 4.1.3.1 Investimenti per l’innovazione Nella storia economica, da Schumpeter in avanti, è reputato molto importante il ruolo che l’innovazione produce all’interno di un sistema economico71. Oggi 71 Schumpeter distingue fra invenzione ed innovazione, indicando con il primo termine un miglioramento di tipo puramente tecnologico e meccanico, con il secondo invece l’introduzione di un nuovo processo di combinazione dei fattori produttivi. Entrambe possono portare a notevoli miglioramenti dal punto di vista dell’efficienza produttiva, tuttavia è fondamentale che entrambi i processi siano attivati. 115 come ieri, i progressi della tecnologia innescano meccanismi con conseguenze dalla portata strepitosa, che nei casi più significativi passano alla storia con il nome di rivoluzioni industriali. Aiutare e favorire la ricerca e la diffusione delle nuove tecnologie è un passaggio fondamentale per assicurarsi vantaggi competitivi: l’innovazione è una spirale che viene alimentata contemporaneamente da produzione e gestione delle nuove conoscenze, in una sorta di circolo virtuoso. In passato, i processi di innovazione radicale assegnavano maggiore importanza alla produzione ex novo di conoscenze, con un ruolo di protagonista per la grande impresa. Attraverso un’organizzazione formalizzata e fortemente codificata, le grandi imprese hanno identificato nella funzione di ricerca e sviluppo (R&S) il principale imput dell’innovazione. Tale approccio è rigidamente sequenziale e costoso, e solo attraverso la produzione di massa si trovava una via di recupero. La grande impresa ha anche guardato in misura minore a fonti di innovazione esterne, quali le università, i parchi scientifici, i centri di ricerca. Ma i meccanismi di integrazione tra interno ed esterno sono stati regolati in modo prevalentemente formale, ricorrendo, ad esempio, ai brevetti. Solo negli anni ’90 emerge con sempre maggiore chiarezza come l’impresa possa trarre valore dagli stimoli e dai valori connessi a forme di apprendimento diverse (learning by doing) non gerarchicamente organizzate e formalizzate, ma che trovano soprattutto nelle dinamiche sociali la loro forma rilevante di governo. Sarà poi l’organizzazione a farsi carico di ordinare, sistematizzare e selezionare le conoscenze migliori o più adeguate alle necessità ed opportunità aziendali, facendole diventare patrimonio dell’impresa. Questo è stato il modus operandi tipico delle PMI nei distretti industriali, che, impossibilitate nell’investimento per la ricerca, ottimizzava il suo agire raccogliendo stimoli non solo dai lavoratori a tutti i livelli, ma anche dai collaboratori esterni come i fornitori e dai concorrenti, cercando di gestire al meglio gli stimoli esterni al sistema distrettuale. Anche la grande azienda oggi ha compreso l’importanza della gestione di tale flusso di informazioni: in uno scenario economico estremamente complesso la gestione di idee nuove ed efficienti diventa di fondamentale importanza. 116 Inoltre, la velocità con la quale si muove l’economia moderna implica la necessità di un aggiornamento continuo delle proprie conoscenze e know how, in un’ottica di formazione permanente che avvii essa stessa innovazione. Nell’economia moderna quindi il capitale intangibile rappresenta un fattore importante in grado di produrre reale valore aggiunto. Gli strumenti che vengono individuati oggi per aiutare e alimentare nei distretti questo flusso di innovazioni sono la formazione, la ricerca e le tecnologie moderne di informazione e comunicazione (ITC). Per formazione si intendono sia i processi attuati nelle agenzie preposte come le scuole, sia l’importanza attribuita oggi alla formazione permanente, che permette di aggiornare costantemente le conoscenze e di modificare quindi le competenze della forza lavoro operante all’interno dei distretti. La ricerca è altrettanto importante e deve essere affidata ad istituzioni e centri di lavoro: in un sistema distrettuale le imprese non sono in grado di sobbarcarsi ingenti oneri, si rende quindi necessario confluire tutti gli sforzi verso strutture specializzate. Tali compagini devono essere specifiche e diversificate fra loro tali da costituire in un territorio una struttura diversificata di supporto e sostegno: bisogna evitare nel futuro le micro-replicazioni di stampo campanilista che troppo spesso in passato si sono verificate, colpevoli di scarsa efficienza e mediocrità72. L’ultimo essenziale elemento per lo sviluppo dell’innovazione è rappresentato dalle ITC. Le tecnologie moderne permettono una notevole riduzione dei costi di acquisizione, gestione e scambio di informazioni, accelerando l’interazione fra le imprese, le istituzioni ed i sistemi economici. Da un lato le ITC diminuiscono le distanze tra le diverse localizzazioni produttive ed avvicinano le imprese, dall’altro lato, la ridefinizione del concetto di spazio diventa un aspetto cruciale e da controllare in quanto permette la compresenza dei rapporti fra imprese molto distanti fra loro geograficamente, ma molto vicine per il tipo di business generato. Micelli73 Individua tre fondamentali categorie di ITC che devono essere introdotte: 72 Un esempio che ultimamente innesca molte polemiche è dato dall’enorme replicazione e parcellizzazione dell’educazione accademica, che incontra in territori relativamente contenuti anche trequattro poli universitari diversi e rei di offrire gli stessi corsi di laurea per lo stesso bacino d’utenza. 73 S. Micelli, Imprese, reti, comunità, Etas, Milano 2000; 117 Sistemi informativi aziendali (Enterprise Computing) come EDI, ERP, datawarehouse, business intelligence74; Tecnologie per il lavoro cooperativo (groupware75) come database, forum di discussione, gestione dei flussi di lavoro, sistemi di posta elettronica; Web e multimedialità; Le tecnologie ITC si trasformano da semplici strumenti di supporto delle attività operative dell’impresa a vere soluzioni in grado di incrementare e potenziare le capacità decisionali e di indirizzo strategico dei vertici. L’importanza fondamentale attribuita alle ITC non deve caricarle di troppi significati: queste tecnologie infatti non sono il baricentro dell’innovazione aziendale, ma costituiscono uno strumento abilitante rispetto a strategie innovative per l’impresa. La vera rivoluzione infatti riguarda i modi attraverso cui queste tecnologie vengono utilizzate. Tutto ciò consente di rimettere in gioco in forme e con modalità nuove settori tradizionali, che hanno la possibilità di dimostrare le proprie capacità strategiche e competitive a partire da uno scenario rinnovato fondato anche sulle ITC. 4.1.3.2 Le reti di relazione Le ITC rappresentano solo lo strato più superficiale di un processo di trasformazione, innescato dalla globalizzazione, che riguarda in modo più ampio il sistema di relazioni economiche e sociali, nonché i processi innovativi di generazione e di diffusione del sapere. Avere a disposizione innovazione e tecnologia non basta più: deve mutare anche il modo di lavorare. Allo stesso modo con cui il grande sistema gerarchizzato della tradizione fordista con la globalizzazione si rompe in molte unità di business autonome, ciascuna delle quali cerca un proprio rapporto col mercato e con partners esterni sviluppando una missione specifica e competenze più esclusive e focalizzate, nel distretto le diverse unità (imprese) devono accrescere il proprio 74 EDI è l’acronimo di Eletronic Data Interchange ed è un insieme di standard utilizzati per controllare il trasferimento di documenti d’affari da un computer all’atro. La sua adozione permette di eliminare i documenti cartacei ed i ritardi postali. L’ERP (Enterprise Resource Planning) è un pacchetto software completo per la gestione aziendale, multipiattaforma e di solito lavora in rete locale (LAN). Il Datawharehouse è un sistema per l’archiviazione dei dati ed elaborazione degli stessi. I Business Intelligence sono applicativi per l’elaborazione di informazioni aziendali con finalità di supporto alle decisioni strategiche del vertice. 75 Software che consente la collaborazione di più persone, per più computer collegati in rete. 118 patrimonio di relazioni, senza affidarlo in maniera automatica e spontanea all’ambiente, ma cercando di gestirlo, incoraggiarlo, monitorarlo e formalizzarlo. Tale necessario processo di relazione ha due dimensioni, interna ed esterna al distretto, con obiettivi diversi. Per quanto riguarda la dimensione esterna, come precedentemente affermato, i distretti hanno bisogno di qualcosa di più dello spazio di mercato di esportazione. Hanno bisogno di sistemi di comunicazione e garanzia che mettano in contatto imprese extra-distrettuali che non si sono mai incontrate e che sanno fare cose diverse l’una dall’altra. Il cavalcare l’onda del mercato va quindi di pari passo con la conoscenza delle dinamiche di tale mercato. Per quanto riguarda poi la dimensione interna al distretto, gli attori hanno bisogno di conoscere profondamente le dinamiche territoriali per poterle gestire e sfruttare al meglio. Tutto ciò è reso possibile dalla costruzione di reti., ovvero dei sistemi di relazione immateriali, in grado di diffondere concorrenziali conoscenze, competenze ed informazioni a tutti gli attori del sistema distrettuale. Le reti svolgono quindi la doppia funzione di apertura internazionale e gestione delle dinamiche e risorse interne al distretto. La costruzione delle reti diventa così un imperativo, e le imprese non possono essere lasciate sole nella loro costruzione di tale strumento. Del resto, nessun singolo attore (istituzioni pubbliche, rappresentanze economiche, imprese) può operare da solo per migliorare le capacità competitive del proprio distretto. Il compito di costruire reti richiede attitudini ed esperienze di cui sono tipicamente e maggiormente depositari due soggetti: le associazioni e la politica pubblica. Le associazioni di rappresentanza svolgono la funzione di sensori nell’intercettare i fabbisogni, di interpretare ed elaborare la domanda, di intermediare con le politiche pubbliche, di canalizzare le risorse, configurando attività che in certa misura richiedono la presa di distanza dall’interesse immediato, di breve periodo e individuale. Allo stesso modo, diventa sempre più importante la funzione dell’associazionismo nell’assistenza alle imprese per la costruzione dei legami con l’ambiente di riferimento come di accreditamento presso clienti, banche e di controllo e analisi committenza/subfornitura e delle relazioni industriali. delle regole della 119 La stessa sfida, seppur con compiti differenti, riguarda la pubblica amministrazione. Qui è in gioco in primo luogo un problema di chiarezza circa il ruolo delle istituzioni nella promozione dello sviluppo. Limitando il discorso alle istituzioni locali, è certamente vero che in questi anni si è registrata la maturazione di un ceto politico-amministrativo sul quale puntare per la modernizzazione delle autonomie locali; ma non sempre a questo ha corrisposto la consapevolezza del proprio ruolo riguardo agli impegni sul versante dello sviluppo locale. In particolare nel rapporto con le imprese, questo deficit di consapevolezza lo si evince nella difficoltà ad operare in maniera differenziata secondo le diverse caratteristiche dei soggetti imprenditoriali e nella mancata comprensione delle dinamiche economiche distrettuali. Se si considera l’aspetto della mobilità territoriale di capitale e imprese, si nota che gli amministratori non hanno ancora operato una distinzione fra le strategie rivolte a imprese fortemente radicate nel territorio ed imprese che invece sono caratterizzate da una elevata mobilità. Nel medesimo territorio convivono infatti differenti interessi di impresa, da quelli temporaneamente localizzati e che negoziano la loro permanenza a quelli radicati nel territorio e che si identificano con esso nel bene e nel male. Le imprese piccole e artigiane dei distretti sono imprese che non si possono permettere la mobilità delle altre e che quindi con il proprio territorio hanno un rapporto di identificazione piuttosto che di negoziazione. Al territorio vi sono ancorate, le loro radici sono lì, e di conseguenza cercheranno di utilizzare i servizi e le opportunità che vi sono, tante o poche che siano. Dal territorio dipendono e per questo sono anche le imprese che alle istituzioni locali si rivolgono avanzando richieste e facendo pressioni. Ma il territorio dei distretti è popolato anche da aziende sempre più mobili, che cioè intrattengono rapporti con una molteplicità di territori senza radicarvisi in alcuno di essi. Semplicemente, utilizzano le risorse specifiche che vi sono disponibili: agevolazioni fiscali, manodopera qualificata, manodopera a basso costo, vicinanza ai clienti finali, incentivi pubblici, ecc. Il rapporto che queste imprese intrattengono con il territorio è di tipo contrattuale perché basato sulla convenienza a permanere o insediarsi. Le istituzioni locali non sono oggi preparate a gestire questa complessità perché non distinguono tra chi negozia nell’ambito di uno scambio territoriale e chi invece si identifica con il territorio. 120 Da un lato, non sono pronte ad esercitare quell’autorevolezza che è richiesta nei rapporti negoziali, specie con imprese che vengono da altri paesi, dall’altro, se si escludono alcuni casi di aree distrettuali, non danno sufficiente importanza a quelle imprese che, essendo radicate sul territorio, chiedono più servizi di qualità, più competenze, un ambiente migliore. Imparare a comprendere appieno le dinamiche economiche innescate in un territorio, conoscere a fondo le caratteristiche degli attori, nonché iniziare a gestire il territorio partendo dall’ascolto delle esigenze delle parti sono i traguardi più importanti da raggiungere attraverso l’implementazione delle reti. Riassumendo quindi, l’affermarsi dei processi di globalizzazione esalta uno dei tratti distintivi della modernità, quello che distingue e poi connette i luoghi e i flussi. I luoghi si definiscono per la loro natura localizzata, puntuale e fisicospaziale. Come tali alludono a pratiche sociali e comportamenti che nascono e si esauriscono entro i confini di specifici ambiti territoriali. Dal punto di vista economico i luoghi sono tradizionalmente assunti come i contesti nei quali operano i fattori che sono alla base della generazione di valore. Caratteristici esempi di commistione tra società locale ed economia di luogo sono proprio i distretti industriali storici, nei quali la commistione di produzioni tipiche e di culture locali ha prodotto modelli di organizzazione dell’economia e della società a base strettamente territoriale. Il concetto di flussi descrive invece quella caratteristica della società moderna che allude alla comunicazione e interconnessione tra ambiti diversi e spesso anche lontani. E’ un carattere tipico della globalizzazione e della rete quello di connettere stili di vita, modelli organizzativi, culture. In questo senso, i flussi hanno a che fare con le relazioni più che con i soggetti intesi in senso puntuale e situato, territori, società locali, imprese, distretti. L’assumere questa polarizzazione tra luoghi e flussi non deve considerare i due concetti come alternativi l’uno all’altro o l’uno come negazione dell’altro. Anzi, al contrario. Letture semplificatrici non mancano di illustrare come la competizione a scala globale decreterebbe la fine della dimensione locale, o, viceversa, emergono studi che insistono nel considerare come proprio esclusivo ambito di espansione i contesti locali circoscritti alle relazioni di compresenza fisica. 121 Si tratta di un equivoco che ha origine nel fatto di non considerare che i flussi interconnettono, tra le altre cose, proprio i luoghi. E che anzi l’interconnessione è davvero tale se vengono fatte valere tutte le ragioni dei luoghi. Questo significa anche che i territori non possono più essere considerati come entità conchiuse, autoconsistenti. Perché vi sia interconnessione, rete, servono luoghi densi di significati, ricchi di identità, ma anche disponibili ad aprirsi verso l’esterno, a confrontarsi con altri luoghi altrettanto densi, ricchi e disponibili al confronto. Infatti il modo in cui si combinano insieme la componente flusso e quella luogo cambia i significati attraverso cui i soggetti vivono la dimensione territoriale. Rullani e Corò distinguono emblematicamente tre tipi ideali di spazio che definiscono non solo una fenomenologia dei distretti, ma modi di essere e di pensare il territorio in generale. Lo spazio di sorvolo del territorio, dove si condensa l’economia dei flussi globali fatto di internet company, di finanza e spazi finanziari sempre più globali, di economia dei marchi, del logo simbolo di merci e servizi globali, di modelli di intrattenimento, di culture e lingue veicolari. Territori/luoghi che fanno trivella, che assumono, come unico spazio di resistenza e di futuro, il locale. Qui, si trivella, ‘avvitandosi’ sul territorio, tutte le risorse locali di manodopera, di ambiente, di identità, stressando in una coazione a ripetere i luoghi nei quali si vive e si opera. E’ il locale che si fa localismo. Si assume come riferimento unico la comunità originaria, la lingua originaria. Poco importa se sono entrambe depotenziate. Se è il caso, si inventa la tradizione e in nome di una identità originaria si respinge l’altro da sè. Appare una società in preda alla nostalgia e caratterizzata dalla paura del futuro. Territori/luoghi che fanno molla, i quali, rimbalzando dal locale al globale, interconnettono economie dei luoghi ed economie dei flussi, facendo investimenti diretti all’estero ed attirando localmente investimenti e flussi globali. Appaiono società glocali in grado di governare l’interdipendenza tra locale e globale arricchendo la lingua originaria, non perdendola, l’identità locale, trasformandola nel rapporto con l’altro da sè, facendo comunità aperta adeguata ai tempi di transizione e turbolenza. Appare una società in grado di immaginare e progettare il proprio futuro. 122 A questi tre diversi spazi di posizione e spazi di rappresentazione del vivere luoghi e territori, corrispondono altrettanti comportamenti degli attori sociali, ovvero: I sorvolatori, coloro che assumono come unico spazio di rappresentazione i flussi, lo spazio virtuale, tendono a sentirsi parte della Businnes Community o della comunità della tecnica. Frequentano e vivono tra gli augéani ‘non luoghi’ e che sarebbe più pertinente considerare invece ‘iperluoghi’ che caratterizzano l’economia dei flussi: la rete, gli aereoporti, le quotazioni delle borse, le autonomie funzionali della velocità delle merci e delle informazioni, come le fiere e i grandi eventi globali. Assumono lo spaesamento, l’essere senza paese e senza luogo, come un destino e traggono il senso di sé dall’invenzione quotidiana di comunità virtuali, siano queste date dalle nuove appartenenze evocate dalla rete della business economy o dal vivere in comunità perimetrate di luoghi e i soggetti reali. Snobbano con uno strano gergo da lingua veicolare tutto ciò che è locale come ‘provinciale’, provincia di un impero di flussi e segni virtuali. Gli uomini trivella assumono come unico spazio di senso, quello perimetrato delle relazioni di prossimità. Hanno nel localismo metodologico, più che nella simultaneità, il codice del fare economia e del fare società. Questo li porta a costruire modelli economici e sociali chiusi in se stessi, orientati ai tempi in cui il massimo spazio economico e sociale identitario era dato dalla dimensione nazionale, la rete massima di espansione immaginaria del fare economia e dall’essere società perimetrata da un unico codice linguistico. Quando non avviene che il percorso venga interpretato alla rovescia ed allora, dallo spazio massimo dato dalle reti di prossimità, la nazione, si regredisce alle comunità territoriali date dai fondamenti delle appartenenze linguistiche e religiose. Gli uomini molla, invece, assumono come dimensione del fare società e del vivere entrambe le polarità del moderno: luoghi e flussi. Ma, a differenza dei sorvolatori, assumono come spazio di senso e di innovazione il luogo, il locale, quel che resta della comunità originaria della società locale, della lingua originaria. Si naviga in rete non tanto 123 per cercare la propria comunità virtuale ma per selezionare e cogliere nel magma informativo tutto ciò che diventa utile ad aumentare il patrimonio informativo locale. Si parte dal luogo per ampliarne lo spazio informativo e comunicativo e non viceversa. Più che sostenitori delle autonomie funzionali del moderno, più che produrre eventi, alimentano i processi di autorganizzazione dal basso del vivere, dell’abitare, del fare società, del fare impresa che permettano di confrontarsi con l’economia dei flussi. Alimentano il sogno che abbia ancora senso il fare e costruire società da una dimensione del tempo e dello spazio caratterizzato dalla simultaneità. Non è difficile riconoscere in questa classificazione il posto dove si collocano territori e soggetti che contraddistinguono le esperienze più evolute tra i distretti industriali. Territori e uomini molla descrivono le caratteristiche degli ambiti locali e gli attori distrettuali dove con più coraggio e coerenza si sapranno accettare le sfide di una globalizzazione che richiedono, contemporaneamente, adesione ai luoghi e proiezione internazionale. 124 4.2 IL NORDEST ED I DISTRETTI INDUSTRIALI 4.2.1 La Terza Italia Dal punto di vista geografico, il modello distrettuale si è diffuso in tutta Italia, creando circuiti allargati di ricchezza. Tuttavia, è innegabile che una regione ben delimitata dello stivale è cresciuta e si è enormemente arricchita prevalentemente sotto l’egida di tale modello, tanto da esser stato teorizzato da molti come un modello a sé stante: il Nordest. Che lo si voglia considerare o no un modello, il Nordest è senza alcun dubbio un territorio che ha saputo passare in due decadi da una condizione di estrema arretratezza a un volume di benessere nazionale fra i più alti e che ha sviluppato eccellenze distrettuali nei settori produttivi più disparati. Nelle regioni del Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia la maggior parte delle unità economiche è data da piccole e piccolissime imprese, che nei settori di appartenenza occupano posizioni di leadership nel mercato nazionale ed internazionale. Il Nordest agli inizi del decollo produttivo era considerato dagli studiosi una sorta di anomalia, definito attraverso la dichiarazione di ciò che non era e a cui non corrispondeva. Il Nordest non corrispondeva alla ‘Prima Italia’ del triangolo industrializzato di Torino-Milano-Genova, ma neanche alla ‘Seconda Italia’ del mancato sviluppo riconoscibile nel Meridione. Il Nordest aveva tratti dell’uno e dell’altro: nella prima guerra mondiale e nell’immediato dopoguerra era interiorizzata in questi territori la sindrome di uno sviluppo che tardava ad arrivare, che contribuiva a sottolineare nella popolazione vissuti di emigrazione e povertà. Ma negli anni del miracolo economico italiano il Nordest si è ampiamente smentito, sviluppando una azienda che non era però la grande fabbrica del modello fordista. Il Nordest non è né carne né pesce: lo spettro della povertà è alle spalle, ma l’organizzazione economica in senso postfordista ancora tutta da sperimentare ed inventare. Si inizia a supporre una ‘Terza Italia’, un modello che ingloba un reale bisogno di mantenere la propria identità tradizionale senza rinunciare ai cambiamenti positivi legati alla modernizzazione produttiva. L’idea del modello infatti aveva una valenza conservatrice riconoscibile, che si basava sull’assunto della ricongiunzione delle tecniche 125 produttive moderne con la tradizione dei valori (cattolici), della cultura (localista, se non addirittura campanilista) e dell’organizzazione sociale (policentrica). La periferia si erige a schema di successo: si mostra un conglomerato dinamico, leggero, irrequieto, che non ha pesi né responsabilità, tantomeno protezioni ed eredità economiche importanti. Il sistema produttivo frammentato, diffuso, immerso nel territorio e nella tradizione sociale intercetta la modernità delle tecniche industriali e utilizza tutto per operare in segmenti di mercato particolari. Negli anni ‘80 e ’90 il Nordest viene consacrato definitivamente come un successo che identifica un possibile percorso al postfordismo, erigendolo a punto di riferimento di uno sviluppo diverso e possibile. Ma l’economia di questa regione ha mancato altresì in questi anni molti passaggi, che si sono evidenziati immediatamente al cambio della congiuntura economica, portando alla crisi il successo conseguito. Le regioni del Nordest (Veneto, Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia) sono rimaste tre realtà molto ben distinte e con davvero pochi punti di intersezione: ciascuna con equilibri politici, amministrazioni e servizi propri. Ciò vale anche per la classe dirigente, che nella sua formazione resta ancorata a circuiti localistici di ampiezza limitata e di corto respiro. Senza contare che l’apprendimento tecnico è rimasto legato alla esperienza pratica del learning by doing e nei circuiti manageriali la famiglia è ancora il soggetto più diffuso, assistito e protetto da banche e mediatori politici. Ma non basta: la flessibilità è ancora alta, ma non sono stati innescati processi di ammortizzazione sociale per lo stuolo di lavoratori atipici e le partite IVA. In un momento di straordinaria congiuntura positiva, il Nordest è stato in grado di raccogliere l’opportunità da parte di numerose iniziative individuali, ma che non hanno avuto un peso specifico (data la loro dimensione) tale da incidere anche sulla realtà complessiva; le iniziative collettive poi sono state orientate alla conservazione dei ruoli, dei poteri e dei confini. In definitiva, si è gestito ciò che si aveva di fronte senza pensare al futuro, in modo tale da non aprire ulteriori nuovi mondi e nuovi modi di essere. La congiuntura è cambiata, ed il modello ha subito una profonda crisi di involuzione. 126 Con la crisi, ci si è interrogati sulla correttezza teorica di considerare questo territorio un vero e proprio modello, o se fosse più opportuno ritornare a ragionare con il solo concetto di distretto. La questione è oggi più che mai aperta. Anche se le voci sono discordanti, è indubbio che le sorti dei distretti dipendono molto dalla specializzazione produttiva di ciascuno, com’è innegabile che il tessuto sociale di valori comuni riscontrabile in queste terre influisca in una certa misura nell’agire e nell’operare dei suoi attori. Rullani76 identifica tra caratteri positivi e distintivi nel modello del Nordest. Tali caratteristiche se potenziate e declinate nella nuova congiuntura economica, sono in grado di far ripartire uno sviluppo economico competitivo. Esse sono: La capacità di lavorare collaborando con altri soggetti. Come precedentemente affermato, il piccolo imprenditore non è in grado di controllare tutti i processi dell’intera filiera (tipico dell’impresa fordista) ed accetta di dipendere fortemente da lavorazioni, competenze, capitali e buona disponibilità di altri, conseguendo così economie di scala, frazionando gli investimenti, i rischi, le competenze ed i mercati. Le imprese del Nordest pur restando piccole, sono diventate più di altre leaders nella nicchia di specializzazione perché hanno creato numerosissimi legami con altre organizzazioni. Il radicamento territoriale. Le imprese distrettuali utilizzano professionalità, terzisti, servizi ed infrastrutture (comunicazioni, acqua, energia, smaltimento dei rifiuti ecc) che il territorio offre e che l’impresa non deve autoprodursi, come facevano invece le grandi organizzazioni fordiste, nel tentativo di plasmare il territorio alle loro esigenze. L’impiego diretto e personale dell’imprenditore in azienda, con un sovrapporsi della vita privata e della vita lavorativa che, nel bene e nel male, ne costituisce un grande tratto distintivo. L’azienda si personalizza, diventando una struttura costruita sulle capacità e sulla personalità dell’imprenditore-uomo e la persona si aziendalizza, portando la vita aziendale ad interferire e condizionare la sua vita privata e familiare. 76 E. Rullani, Dove va il Nordest. Vita, morte e miracoli di un modello, Marsilio Editore, Venezia, 2006; 127 4.2.2 I distretti del Friuli Venezia Giulia Come già sottolineato in precedenza, la legge 317/91 prevedeva che fossero le regioni, sentite le unioni regionali delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, ad individuare i distretti industriali sul loro territorio di competenza. Con la Deliberazione della Giunta Regionale del FGV n. 2179 del 27 maggio 1994 vennero individuati in Friuli Venezia Giulia quattro distretti industriali: Distretto industriale di Maniago per la fabbricazione di prodotti in metallo Distretto industriale di San Daniele per la produzione di calzature, abbigliamento e biancheria per la casa; Distretto industriale di Manzano per l’industria del legno e del mobile in legno; Distretto industriale di Sacile per l’industria del legno e del mobile in legno. Per queste ragioni, la prima delimitazione dei distretti fu modificata nel 1999 dalla LG Reg. nr27 dal titolo “Per lo sviluppo dei Distretti Industriali”. L’art. 1 definisce il distretto industriale “quale ambito di sviluppo economico occupazionale e quale sede di promozione e di coordinamento delle iniziative locali di politica industriale, allo scopo di rafforzare la competitività del sistema produttivo, perseguire l’uso più efficace degli strumenti di politica industriale, ricercare e attivare nuove linee di intervento”. La Legge prevede la realizzazione di Piani di Sviluppo del distretto. Tali documenti hanno lo scopo di stabilire una politica industriale volta al progresso dell’ area economica attraverso le seguenti iniziative: Incremento della tecnologia, ricerca, sviluppo, innovazione; Progetti di formazione delle risorse umane; Miglioramento delle condizioni ambientali e di sicurezza del lavoro; Conquista di nuovi mercati (esteri in particolare); Creazione e potenziamento delle infrastrutture e opere pubbliche; Attuazione di progetti comuni a più imprese; Il Programma di Sviluppo ha, di norma, durata triennale e viene aggiornato almeno annualmente su iniziativa del Comitato di Distretto, ricostituendone la medesima estensione triennale. Il documento deve contenere: 128 le linee strategiche dell'operato del distretto; le scelte prioritarie di investimento privato per lo sviluppo del distretto; gli interventi prioritari infrastrutturali nel territorio del distretto; la possibilita' di accesso di specifici progetti alle risorse previste; L’articolo 2 di questa legge regionale stabilisce che i distretti industriali saranno individuati e costituiti con deliberazione della Giunta regionale che il 3 marzo 2000 dispone l’istituzione dei quattro distretti friulani, in particolare: con delibera n. 456, istituisce il distretto industriale denominato “Distretto della Sedia”; con delibera n. 457, istituisce il “Distretto del Mobile”; con delibera n. 458, istituisce il “Distretto dell’alimentare”; con delibera n. 460, istituisce il “Distretto del Coltello”. In particolare, per il distretto di San Daniele, viste le dinamiche espansive presentate nel settore alimentare, si modifica la produzione del distretto in riferimento alla categoria economica “industrie alimentari e bevande”, e si modifica l’estensione territoriale che diventa ora corrispondente al territorio di sei comuni. Per l’individuazione dei nuovi distretti la regione ha ritenuto di seguire i seguenti criteri: Le caratteristiche produttive di ogni distretto industriale devono essere inerenti ad attività che tradizionalmente e storicamente siano da ritenere peculiari per l’area; I distretti sono compresi nell’ambito territoriale di uno o più comuni contigui nei quali si è sviluppata la specificità produttiva caratteristica che il distretto intende tutelare; Possono essere compresi nel distretto gli ambiti territoriali di comuni attigui ad un nucleo centrale tradizionale, purchè presentino prospettive di sviluppo nell’attività caratteristica del distretto. Tali criteri sono stati tradotti in un set di 6 indicatori economici basati sul numero di addetti nell’ industria manifatturiera e nell’attività di specializzazione, sulla quota di piccole e medie imprese e sul confronto con medie regionali e nazionali. 129 La Lg Reg 27/99 stabilisce anche che per ciascun ambito territoriale individuato, vengano istituiti dei Comitati di distretto, idonei al conseguimento delle finalita' della legge stessa. Tale Comitato di distretto rappresenta il Distretto industriale e sono rappresentati i Comuni territorialmente competenti, le Province e le Camere di Commercio, industria, artigianato e agricoltura, nonché le Associazioni imprenditoriali e le Organizzazioni sindacali. Ogni Comitato di Distretto ha sede e segreteria presso il Comune con maggiore popolazione fra quelli appartenenti al distretto. L’articolo 6 stabilisce i compiti del Comitato, fra i quali risaltano: l’adozione del Programma di sviluppo e la sorveglianza sul suo stato di attuazione; l’approvazione dei progetti predisposti dalle reti di enti e dai gruppi progettuali privati, al fine di ammetterli all'accesso delle risorse per lo sviluppo del Distretto; la delega all'effettuazione di singoli interventi esecutivi del Comitato di distretto da parte del Presidente; la convocazione ogni sei mesi dei rappresentanti di tutti i Comuni del distretto industriale, delle Province e delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura competenti per territorio, delle Associazioni imprenditoriali e delle Organizzazioni sindacali, e tutte le altre realtà economico-associative operanti nel distretto, al fine di assicurare la più ampia partecipazione. Nel 2005 alcuni articoli della Lg Reg 27/99 sono stati sostituiti dagli articoli della Lg Reg nr 4 del 4 marzo, aventi titolo ”Interventi per il sostegno e lo sviluppo competitivo delle piccole e medie imprese del Friuli-Venezia Giulia”. Con l’art. 13 si modifica la definizione di distretto industriale, che diventa ora “un sistema locale formato da imprese volontariamente specializzate, sia manifatturiere che di servizi, sia artigiane che industriali o che comunque partecipano alla medesima filiera produttiva o a filiere collegate, nonché dagli attori istituzionali che svolgono un’attività rilevante all’interno del contesto locale”. Si sottolinea quindi che, mentre con la disciplina della Lg Reg 27/99 ci si riferiva al distretto industriale su base territoriale, provinciale e regionale ora, con la nuova definizione, ci si riporta ai distretti industriali su base merceologica, come filiera di specializzazione produttiva: il distretto industriale tende sempre 130 maggiormente ad essere identificato non più come territorio su cui le imprese risiedono, bensì come filiera di specializzazione produttiva che si distingue per la densità imprenditoriale dell’industria manifatturiera. La Lg Reg 4/2005 ha inoltre stabilito una nuova figura istituzionale per il governo del distretto: l’Agenzia per lo sviluppo del Distretto Industriale (ASDI), definita attraverso il confronto con le parti istituzionali, economiche e sociali operanti nell’area distrettuale e dalla cui iniziativa le ASDI sono promosse. L’istituzione delle ASDI muove dal “concetto di filiera produttiva allargata agli attori istituzionali che svolgono attività al servizio delle imprese del distretto, ridefinendo le priorità volte al rafforzamento della loro competitività77”. Infatti, i Comitati di Distretto, privi di strutture per lo svolgimento dei propri compiti nonchè di personalità giuridica, non avevano la possibilità di intervento che la Regione intende ora affidare alle ASDI. Al fine di rafforzare e sviluppare i distretti italiani, la Regione e le ASDI promuovono in questi sistemi78: la diffusione della cultura del distretto intesa come risorsa importante da preservare come mezzo di educazione e formazione; la promozione fondamentale distrettuale ad dell’immagine per rafforzare all’esterno il del distretto intesa all’interno l’identità confronto e lo come risorsa della comunità scambio culturale, commerciale, produttivo; l’aumento delle capacità di innovazione delle imprese, in tutte le attività della catena del valore, anche attraverso la diffusione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione; il potenziamento e l’evoluzione qualitativa degli approcci al mercato delle imprese distrettuali, indipendentemente dalla posizione occupata nell’ambito della filiera produttiva; l’aggregazione di imprese finalizzata al rafforzamento competitivo e la cooperazione tra imprese in progetti che perseguano il medesimo obiettivo; la creazione e lo sviluppo di strutture e risorse, come i centri di servizi alle imprese ed i marchi collettivi di qualità, in grado di sostenere 77 Ermes Moras, Presidente del Comitato di Distretto del Mobile Livenza intervento al convegno: Governace e sviluppo locale: il distretto del mobile, Pordenone, 3 febbraio 2006; 78 Art.1, comma3, Lg Rg 4/2005; 131 l’evoluzione e la competitività delle imprese insediate nel distretto e di generare benefici collettivi; lo sviluppo e la valorizzazione del fattore imprenditoriale e delle altre risorse umane del distretto attraverso attività di istruzione e formazione mirata; il miglioramento delle condizioni ambientali del distretto; l’internazionalizzazione delle imprese e la penetrazione in nuovi mercati, in particolare quando connessa con l’aumento della capacità di regia degli insediati nel distretto; lo stimolo e lo sviluppo di opere o sistemi infrastrutturali e impiantistici, in particolare in abbinamento fra soggetti pubblici e privati; il coordinamento per il riordino delle politiche territoriali; il miglioramento delle condizioni di sicurezza sul lavoro; il miglioramento della qualità della vita nei contesti distrettuali. L’ASDI è una società consortile a capitale misto pubblico e privato, costituita ai sensi dell’articolo 27 della Lg. 317/91, avente come scopo statutario la promozione dell’evoluzione competitiva del sistema produttivo locale e la prestazione di servizi a supporto de processi innovativi delle imprese localizzate nell’area territoriale di riferimento. I compiti dell’Agenzia per lo sviluppo del distretto industriale sono definiti dall’articolo 18: essa può svolgere attività di monitoraggio e di studio dei fenomeni rilevanti per il distretto soprattutto di quelli che ne modificano la configurazione e le fonti del vantaggio competitivo come, ad esempio, i fattori di inquinamento al fine di migliorare le condizioni ambientali del distretto. Inoltre, questo soggetto è titolare, ove esista, del marchio distrettuale di qualità. Infine, anche il Programma di Sviluppo per i distretti industriali viene in parte modificato dall’articolo 19 della nuova legge. il nuovo Programma di Sviluppo deve infatti contenere: l’analisi della situazione, ed in particolare l’individuazione delle criticità e delle opportunità nell’ambiente competitivo di riferimento, dei punti di forza e di debolezza a livello di imprese e di sistema locale; le linee strategiche della politica industriale in ambito locale, finalizzate allo sviluppo e all’evoluzione competitiva precisazione degli interventi prioritari; del distretto, con la 132 i progetti di iniziativa pubblica, privata o mista, anche non richiedenti l’accesso al finanziamento della Regione, che costituiscono la parte realizzativa del Programma e devono risultare definiti negli obiettivi, contenuti e risorse. Le stesse ASDI possono proporre progetti di propria iniziativa, eventualmente in collaborazione con altri soggetti. Attualmente i distretti friulani sono in fase di applicazione della nuova legge, ancora tutti in fase di costituzione dell’ASDI: tutti hanno elaborato lo statuto costitutivo, che deve però ancora essere recepito da tutti i comuni appartenenti al Distretto. 4.2.3 I distretti del mobile Uno dei settori produttivi che si è sviluppato maggiormente sotto forma di distretti industriali ed artigianali è sicuramente quello legato alla produzione di mobili. Il mobile italiano è uno dei prodotti che ha contribuito alla costruzione del concetto del “Made in Italy” nei paesi esteri. Per mobile si comprendono l’insieme dei componenti dell’arredamento di cucine, salotti, camere da letto, bagni, arredo urbano, per l’ufficio e per esterni, ma anche sedie, divani e poltrone. Per settore del legno invece è da intendersi anche la serie di produzioni connesse in via indiretta con la catena del mobile, come la lavorazione per la produzione di pannelli, truciolati, fogli di compensato, lavorazioni forestali, segati, strutture portanti, legno lamellare, etc. In Italia si possono contare circa nove distretti industriali specializzati nella produzione di particolari tipologie di mobili79. Essi sono: 79 Distretto deI Mobile della VAL CAVALLINA, provincia Bergamo; Distretto del Mobile della BRIANZA, province di Como e Milano; Distretto del Mobile del LIVENZA, province di Pordenone e Treviso; Distretto del Mobile di PESARO; Dati estrapolati dal “Rapporto sui principali Distretti Industriali Italiani“ redatto per Confartigianato dal Consorzio A.A.S.T.E.R., 28 giugno 2001. La nota metodologia specifica che nell’individuazione dei distretti si è fatto ricorso a più fonti (Istat, Unioncamere, Il Sole 24 Ore) privilegiando quelle che, caso per caso, riportavano i dati più aggiornati, nel tentativo di costruire una mappa non esaustiva dei distretti industriali italiani, ma che fosse la più rispondente alla realtà economica e sociale del Paese, in termini di indagine territoriale e di attualità degli elementi conoscitivi riportati. Analizzare il fenomeno dal solo punto di vista legislativo infatti comporta una distorsione notevole, in quanto molte regioni non hanno ancora riconosciuto sistemi di imprese territoriali che possono essere considerate a tutti gli effetti dei distretti. 133 Distretto del Mobile di CASCINA E PONSACCO, provincia di Pisa; Distretto del Mobile dell’ABRUZZO CENTRO SETTENTRIONALE, provincia di Teramo e Pescara; Distretto del Mobile Imbottito della provincia di Forlì; Distretto del Mobile Imbottito e del salotto di MATERA, provincia di Bari; Distretto del Mobile Imbottito di QUARRATA, provincia di Pistoia; Distretto della Sedia di MANZANO, provincia di Udine; Per le finalità del presente lavoro, verranno decritti solo i distretti della Brianza e di Pesaro che per caratteristiche, tipologia di prodotto, composizione e quantità, si presentano come i principali attori italiani nonché diretti concorrenti del Distretto del Mobile Livenza. 4.2.3.1 IL DISTRETTO DEL MOBILE DELLA BRIANZA Il distretto è stato riconosciuto dalla Regione Lombardia, con deliberazione della Giunta Regionale del 16 marzo 2001, ai sensi della legge 317, art. 36, del 5 ottobre 1991, e successive modificazioni e integrazioni. Rispetto alla precedente delimitazione distrettuale, effettuata dalla Regione Lombardia nel 1993, il nuovo distretto del mobile della Brianza (in precedenza denominato Cantù) è stato notevolmente ampliato per quanto riguarda il territorio, comprendendo, numerosi comuni della Provincia di Milano. L’ambito territoriale del Distretto insiste infatti sulle province di Como (16 comuni, il cui centro principale è Cantù) e di Milano (20 comuni, il cui centri principali sono Desio e Seregno), per una superficie totale di 258 kmq; la popolazione residente è di 450.000 abitanti circa. Nel distretto operano complessivamente 35.747 unità locali, con 137.817 addetti, mentre nel settore di specializzazione, mobile/arredo, operano 4.695 aziende con 22.500 addetti. La dimensione media delle unità locali del comparto legno-arredo è di 4,7 addetti: l'area è infatti caratterizzata non solo da un significativo numero di imprese artigiane ma anche da una elevata frammentazione del ciclo produttivo80. 80 Fonte: sito web Unioncamere Lombardia, 2001 I dati relativi alla superficie ed alla popolazione del distretto sono di fonte Istat al 31.12.1999; quelli relativi alle unità locali ed agli addetti, di fonte Aspo e Istat sono all’1.1.1998 134 La nascita del distretto industriale canturino risale alla metà del secolo XIX, come attività integrativa di un’economia rurale la cui povertà era dovuta alla scarsa fertilità della terra e alla sua concentrazione nelle mani di poche famiglie nobili. Essa fu probabilmente favorita, in un primo momento, dalla presenza in loco di residenze nobile borghesi, il cui arredamento richiedeva mobili in stile di alta qualità e successivamente, dalla vicinanza del mercato urbano milanese. La produzione di tipo artigianale ha conservato nel tempo questa sua connotazione, fino a giungere ai giorni nostri, dove anche le realtà imprenditoriali più significative mantengono tale carattere artigianale. Le capacità tecnico-esecutive, il ‘saper fare’, sono state e sono tuttora prevalenti rispetto a quelle prettamente imprenditoriali. Tali capacità sono sorrette ancora oggi da un reticolo di interrelazioni fra imprese complementari, che si concretizzano in veri e propri rapporti di collaborazione per la promozione e la vendita dei mobili prodotti dal distretto, tra i quali assumono particolare rilevanza le Esposizioni permanenti. Altro punto di forza è costituito dalla formazione professionale, svolta dalla Scuola Arti e Mestieri, ora Istituto d’Arte, che risale al 1882. Il distretto canturino ha vissuto una fase di sviluppo fino alla fine degli anni ‘60, con un andamento eccezionale nell’immediato periodo postbellico, fra il 1945 ed il 1960, per l’elevata domanda di mobilio, come conseguenza delle esigenze della ricostruzione del Paese, e per la presenza di strutture dedite alla vendita. Tre sono state le circostanze favorevoli in quel periodo: l’esistenza di un artigianato già formato professionalmente ed in possesso delle attrezzature fondamentali; la rapida nascita di nuove unità operative, perché occorrevano impianti e spazi modesti (ricavati spesso presso gli stessi locali abitativi), reperibili anche con il modico impiego di capitali; l’esistenza in loco delle Esposizioni Permanenti. Alla produzione artigianale del mobilio si affiancarono in via collaterale un complesso di altre attività: l’intaglio, l’intarsio, la lucidatura, la laccatura, la doratura, l’imbottito, la lavorazione del metallo, dei marmi, dei vetri e dei cristalli; nonché imprese commerciali dedite alla vendita di materie prime. Nel distretto di Cantù l’organizzazione del processo produttivo, le caratteristiche del tessuto imprenditoriale, i rapporti fra le imprese, sono rimasti sostanzialmente immutati 135 nel tempo. La crisi del distretto cominciò negli anni ‘70, quando la Scuola d’Arte e Mestieri abbandonò il suo ruolo di formazione professionale per divenire Istituto Statale d’Arte con scopi e funzioni non sempre allineati con quelli della piccola impresa, e cominciarono a manifestarsi i primi problemi legati al passaggio generazionale; anche le Esposizioni cominciarono ad andare in crisi, non reggendo più la politica di vendita su attesa del consumatore e le imprese dovettero rielaborare una propria politica commerciale non senza difficoltà. E’ a partire dagli anni ‘70 che si assiste ad un ridimensionamento del numero di imprese e ad un importante mutamento nelle strategie imprenditoriali come adeguamento alle mutate condizioni ambientali: il riposizionamento del sistema di prodotto sul su misura, ossia su di una produzione personalizzata. Contemporaneamente, nascono alcune ipotesi di subfornitura. Il distretto sembra cioè aver subito un’evoluzione contraria rispetto agli altri: mentre, per i più, si è passati da una subfornitura ad una forma di autonomia, qui si assiste al passaggio dall’autonomia ad alcune forme di subfornitura che rimangono, però, a tutt’oggi assai limitate. Il momento presente vede in atto un ulteriore processo di riposizionamento del distretto dal su misura al su disegno, ossia su di una produzione sempre più personalizzata. Il distretto della Brianza Comasca e Milanese è specializzato nella produzione di mobili e oggetti in legno, nonché mobili in metallo e complementi di arredamento: prodotti che tradizionalmente si distinguono sia per la qualità dei materiali e delle rifiniture, sia per il design e lo stile. L'attività del comparto si concentra soprattutto nella fabbricazione di mobili per l'arredamento della casa, e di articoli per la decorazione, arredamento per esterni, pavimenti, infissi, ecc. Consistente è anche il numero di imprese specializzate in produzioni complementari (componenti meccanici, plastica, vetro), mentre di scarso rilievo è la presenza di imprese fornitrici di servizi tecnici e di ricerca. La produzione dell'area è ancora, in gran parte, destinata al mercato interno: meno del 25% del fatturato deriva dalle esportazioni. 4.2.3.2 IL DISTRETTO DEL MOBILE DI PESARO I comuni marchigiani che rientrano nel distretto sono quelli di Montelabbate, Corboraldo, Sant’Angelo in Lizzola e Pesaro. Le aziende che costituiscono il 136 distretto sono 1.380, di cui 500 producono mobili ‘finiti’. Se si considerano anche gli altri componenti della filiera del mobile (macchine per la lavorazione del legno, produttori di semilavorati, seconda lavorazione del vetro, arredamento per uffici e negozi) si arriva alla cifra di oltre 2.000. Complessivamente gli addetti sono oltre 10.000, compresi anche gli addetti alla produzione di macchine per la lavorazione del legno, di componenti in vetro o marmo per il mobile che incidono per circa un 15% del totale. Il fatturato è stimato in circa 2.520 miliardi, con un export di circa 800 miliardi ed ha come principali mercati di sbocco i Paesi dell’Unione Europea (45%), l’area del Medio Oriente (30%), gli USA (10%), l’America del Sud, i Paesi dell’Est Europa (10%), l’Estremo Oriente (5%). Negli ultimi 20 anni l'economia pesarese ha conosciuto tassi di sviluppo molto elevati, principalmente nel settore manifatturiero e nel terziario produttivo. L'area-sistema pesarese risulta articolata in circa 500 unità produttive di tipo industriale, integrate da più di 700 aziende artigiane che, oltre a dedicarsi alla creazione di prodotti finiti, svolgono un'attività di "servizio" all'industria del mobile, producendo parti e accessori d'arredamento o "coprendo" alcune fasi del ciclo produttivo. Il distretto del mobile è l’asse portante dello sviluppo economico della provincia di Pesaro ed è uno dei sistemi produttivi locali meglio conosciuti in Italia. La sua origine risale alla fine degli anni ‘40, quando dal contesto agrario mezzadrile locale, prendono avvio le prime esperienze produttive del settore. Le caratteristiche tecniche dell’attività produttiva mobiliera, da una parte, e una situazione congiunturale favorevole (rappresentata da una domanda di fascia non elevata in rapida evoluzione) dall’altra, hanno favorito una crescita sostenuta ed ininterrotta del distretto fino ai primi anni ‘70. Successivamente si è verificato un processo di decentramento spinto delle lavorazioni, che ha dato origine ad un terzismo specializzato su singole fasi o lavorazioni che viene definito libero in virtù delle caratteristiche di committenza multipla che fin dall’origine presenta e che è una delle principali peculiarità del distretto pesarese. A partire dagli anni ‘80, il distretto entra in una fase di prima internazionalizzazione, caratterizzata dall’apertura verso i mercati del Medio Oriente. Oggi, il distretto pesarese è caratterizzato dalla compresenza di due realtà distinte, dal punto di vista produttivo, organizzativo e strategico e di 137 posizionamento sul mercato. Da una parte, ci sono alcune grandi aziende leader, che operano nel comparto cuciniero (4 o 5 in tutto) e, dall’altra, una miriade di piccole e piccolissime imprese (sia cuciniere che mobiliere), prevalentemente terziste, che rappresentano il 90-95% delle aziende del distretto. Le differenze tra queste due realtà sono tali da identificarle effettivamente come due mondi a parte, che seguono logiche di sviluppo e politiche d’azione completamente diverse: Le grandi imprese (come Scavolini, Berloni e Febal) sono dei produttori molto integrati che hanno costruito nel tempo un sistema di accordi strutturali con poche aziende terziste, selezionate sulla base di criteri qualitativi e fiduciari (modello gerarchico-strutturale)81. Queste imprese realizzano prodotti di alta qualità i cui punti di forza sono la varietà della gamma, l’immagine ed il marchio, oltre ad un pieno controllo della distribuzione. In particolare, per quest’ultimo aspetto si differenziano da tutte le altre tipologie d’impresa presenti nel distretto; Le altre aziende costituiscono la trama produttiva tipica del distretto, in quanto ricorrono in maniera molto consistente al decentramento produttivo, che garantendo loro un’elevata flessibilità, rappresenta il fattore critico di successo per l’area. Le aziende di questo gruppo hanno con i loro terzisti un rapporto sostanzialmente paritario, prevalentemente di tipo contrattuale e negoziale, che in qualche caso assume caratteristiche di dipendenza e subordinazione, di fronte ai terzisti più strutturati. Si può parlare di un modello d’area sistema integrata per definire questa realtà imprenditoriale che, pur rimanendo segnata da accesi individualismi, si avvicina fortemente a un modello di ‘holding’ di area. Questa zona-sistema integrata risulta articolata in circa 500 unità produttive di tipo industriale, integrate da più di 700 aziende artigiane che, oltre a dedicarsi alla creazione di prodotti finiti, svolgono un’attività di servizio all’industria del mobile, producendo parti e accessori d’arredamento o coprendo alcune fasi del ciclo produttivo. In questo contesto, in termini di dinamiche evolutive, il fenomeno più significativo sembra rappresentato dalla tendenza manifestata da parte di 81 La Scavolini, ad esempio, nel 1995 ha fatturato oltre 170 miliardi con circa 300 dipendenti diretti, mentre altri 2.000 addetti lavorano per lei come indotto; la Febal sempre nel 1995 ha fatturato 80 miliardi con 220 diretti e altri 1.500-2.000 nell’indotto; 138 alcune imprese, di media o piccola dimensione, sia in conto proprio, sia terziste, di reagire all’eccessiva frammentazione del processo produttivo (nata per l’esigenza di contenere i costi), per recuperare il controllo del prodotto, attraverso la nuova internalizzazione di alcune fasi lavorative. Questa politica trova ragione alla luce dei cambiamenti che stanno interessando la domanda (la forte contrazione dei consumi interni combinata con il forte aumento dei prezzi del legno) ed i rapporti tra le aziende operanti nel settore mobiliero, in chiave soprattutto di fattori critici di successo (oltre al costo e alla qualità anche il rispetto di standard e normative certificabili, i tempi di consegna). Queste dinamiche potrebbero delineare, se accompagnate anche dall’affermarsi di una organizzazione distributiva del prodotto più concentrata un progressivo spostamento del distretto pesarese verso un modello di possibile gerarchizzazione perseguita attraverso una crescita per linee prevalentemente interne. 139 4.3 IL DISTRETTO DEL MOBILE LIVENZA 4.3.1 Un distretto, due regioni Il distretto si estende in tutta l’area compresa tra la Foresta del Consiglio e la pianura attraversata dal corso del fiume Livenza: tale corso d’acqua funge anche da confine fra le due Regioni del Veneto e Friuli Venezia Giulia. Ai fini della presentazione e dell’inquadramento del valore economico espresso da tale contesto produttivo territoriale, è doveroso presentare unitariamente i dati di consistenza di questa realtà per coglierne i notevoli aspetti produttivi, anche se da un punto di vista normativo si distinguono due diverse entità, ovvero il Distretto del Mobile dell’ Alto Livenza e il Distretto del Legno-Arredo della Sinistra Piave. Il Distretto del Mobile del Livenza82, istituito con delibera di Giunta Regionale del Friuli Venezia Giulia nr. 457 il 3.03.2000, è compreso nel territorio dei seguenti undici comuni della Provincia di Pordenone: Azzano Decimo, Bugnera, Budoia, Caneva, Chions, Fontanafredda, Pasiano di Pordenone, Polcenigo, Prata di Pordenone, Pravisdomini e Sacile. In questo territorio sono rispettati tutti gli indici previsti dalla Lg Reg FVG 27/99 per l’individuazione di un distretto industriale83 che si riferisce alla categoria economica “Fabbricazione di mobili” secondo la classificazione ISTAT 36.1. La Regione Veneto ha individuato ufficialmente i distretti più tardi, con Deliberazione del Consiglio Regionale 22 novembre 1999, n. 79, riconoscendo il ‘Distretto del legno e mobile della Sinistra Piave’ in un territorio che si estende 82 Con la denominazione”Distretto del Mobile del Livenza” si fa riferimento all’organo istituito dalla Delibera di Giunta Regionale del FVG nr 457 del 03.03.2000 mentre con il termine “distretto liventino” o “distretto Livenza” si fa riferimento all’ area compresa fra il Veneto ed il Friuli a cavallo fra le Province di Pordenone e Treviso, che si caratterizza per essere una zona industriale di specializzazione produttiva nel settore del legno- arredo. 83 Ovvero: La presenza di un indice di industrializzazione manifatturiera che sia superiore del 20% del’analogodato regionaleo di quello nazionale; Un indice di densità imprenditoriale dell’ industria manifatturiera superiore alla media regionale; Un indice di specializzazione produttiva superiore al 30% dell’analogo dato regionale; Un livello di occupazione nell’attività manifatturiera che sia superiore al 25% degli occupati manifatturieri dell’area; Una quota di occupazione nelle piccole e medie imprese operanti nell’attività manifatturiera di specializzazione che sia superiore al 50% degli occupanti in tutte le imprese operanti nell’attività di specializzazione dell’area. 140 in 52 comuni84 appartenenti ai sistemi locali del lavoro di Oderzo, Conegliano, Vittorio Veneto, Pieve di Soligo e in qualche comune limitrofo delle province di Venezia e Belluno85. Lo studio per l’individuazione dei distretti realizzato dalla Regione rileva che il distretto della Sinistra Piave risulta dalla saldatura delle due aree del Quartier del Piave e del Livenza (a sua volta confinante con il distretto pordenonese), fra cui si inseriscono i sistemi locali di Conegliano e Vittorio Veneto a struttura industriale più diversificata, con un’importante presenza della filiera metalmeccanica e dell’elettrodomestico. Vista la stretta connessione esistente tra la parte veneta e quella friulana dell’area liventina, volendo articolare l’analisi, appare preferibile innanzitutto non adottare un’ottica regionale (parlando di distretto veneto della Sinistra Piave e distretto friulano del sacilese) ma piuttosto dividere il distretto della Sinistra Piave tra Quartier del Piave (Conegliano, Vittorio Veneto, Pieve) e Livenza trevigiana (Oderzo-Motta di Livenza)86. Tale opzione, peraltro, è stata adottata anche da ricerche condotte in precedenza sull’area87. Infatti le delibere delle due Regioni, se esaminate singolarmente, offrono una fotografia parziale dei distretti mobilieri: ciascuna Regione ha ovviamente legiferato solo per il territorio di propria competenza, limitandosi al massimo a rilevare la contiguità territoriale con il distretto dell’altra Regione. Per ottenere un quadro completo è quindi necessario ricomporre le due fotografie, adottando una prospettiva di osservazione sovraregionale. 84 I 52 comuni distrettuali sono: Alano di Piave, Farra d’Alpago, Puos d’Alpago, Quero, Vas, Cappella Maggiore, Chiarano, Cimadolmo, Cison di Valmarino, Codognè, Colle Umberto, Conegliano, Cordignano, Farra di Soligo, Follina, Fontanelle, Fregona, Gaiarine, Godega di Sant'Urbano, Gorgo al Monticano, Mansuè, Mareno di Piave, Meduna di Livenza, Miane, Moriago della Battaglia, Motta di Livenza, Oderzo, Ormelle, Orsago, Pieve di Soligo, Ponte di Piave, Portobuffolè, Refrontolo, Revine Lago, Salgareda, San Fior, San Pietro di Feletto, San Polo di Piave, San Vendemiano, Santa Lucia di Piave, Sarmede, Segusino, Sernaglia della Battaglia, Susegana, Tarzo, Valdobbiadene, Vazzola, Vidor, Vittorio Veneto, Annone Veneto, Pramaggiore, Santo Stino di Livenza. 85 I 52 comuni distrettuali sono: Alano di Piave, Farra d’Alpago, Puos d’Alpago, Quero, Vas, Cappella Maggiore, Chiarano, Cimadolmo, Cison di Valmarino, Codognè, Colle Umberto, Conegliano, Cordignano, Farra di Soligo, Follina, Fontanelle, Fregona, Gaiarine, Godega di Sant'Urbano, Gorgo al Monticano, Mansuè, Mareno di Piave, Meduna di Livenza, Miane, Moriago della Battaglia, Motta di Livenza, Oderzo, Ormelle, Orsago, Pieve di Soligo, Ponte di Piave, Portobuffolè, Refrontolo, Revine Lago, Salgareda, San Fior, San Pietro di Feletto, San Polo di Piave, San Vendemiano, Santa Lucia di Piave, Sarmede, Segusino, Sernaglia della Battaglia, Susegana, Tarzo, Valdobbiadene, Vazzola, Vidor, Vittorio Veneto, Annone Veneto, Pramaggiore, Santo Stino di Livenza. 86 Grandinetti in particolare inserisce nel sistema distrettuale liventino trevigiano tutti i comuni del sistema locale di Oderzo ed alcuni comuni limitrofi delle province di Treviso e Venezia ad alta specializzazione mobiliera, ovvero: Cessalto, Chiarano, Cimadolmo, Codognè, Cordignano, Fontanelle, Gaiarine, Godega di Sant’Urbano, Gorgo al Monticano, Mansuè, Meduna di Livenza, Motta di Livenza, Oderzo, Ormelle, Orsago, Ponte di Piave, Portobuffolè, Salgareda, San Polo di Piave, Annone Veneto, Pramaggiore. 87 Guerra, op. cit., 1995; Corò, op. cit., 1996; 141 A livello pratico c’è la necessità di considerare questa concentrazione produttiva come unitaria. Tale esigenza la si avverte anche da parte degli operatori, dai consumatori e dalle istituzioni di competenza un unico distretto, anche è innegabile la presenza di difficoltà politico-amministrative di far capo a due province diverse di due regioni diverse, di cui una a statuto speciale. Ultimamente, entrambe le Regioni hanno compiuto i primi passi. In sede di riforma della legge sui distretti (L.R. n.5/2006) la Regione Veneto ha introdotto il concetto di metadistretto, che è rappresentato da agglomerati di imprese appartenenti anche a più province e con la possibilità di ottenere preferenzialmente finanziamenti su progetti che prevedano la collaborazione anche di imprese appartenenti a province confinanti a quelle del Veneto. La Regione Friuli Venezia Giulia invece ha previsto che nella costituzione delle ASDI vi sia la possibilità di partecipazione anche di imprese appartenenti a province diverse. Molto è ancora da fare, ma questi nuovi strumenti a disposizione fanno ben sperare in un futuro fatto di inevitabile integrazione delle norme e delle politiche. Del resto, questo territorio è già strettamente interconnesso (anche se molto diversificato) a livello operativo e insieme costituisce il nucleo territoriale più vasto ed importante per il settore del legno arredo. Si tratta infatti di ben 65 comuni (55 in provincia di Treviso e 10 in provincia di Pordenone) L’importanza produttiva del distretto è evidente se si scorrono i dati del Censimento delle imprese 2001 (ultimi dati ufficiali disponibili in maniera uniforme). I numeri sono veramente notevoli: si tratta complessivamente di ben 2289 unità locali88 per un totale di 31885 addetti, suddivisi nei due settori del legno e del mobilio, che rappresentano una concentrazione eccezionale, la più grande in Italia. Il mobilio in particolare costituisce il 65,4% delle unità locali ed il 76,7% degli addetti operanti nel settore delle due province di Treviso e Pordenone (in la cui produzione è molto diffusa) ed il 3,5% delle unità locali ed il 10,7% degli addetti di tutti i mobilifici italiani. 88 Per l’ISTAT una unità locale è da considerarsi la unità di rilevazione che corrisponde al luogo fisico in cui le unità giuridico-economiche esercitano una o più attività economiche. 142 Ciò significa che oltre un decimo di tutti gli occupanti italiani nell’industria del mobile lavora in un ristretto territorio (Sinistra Piave–Livenza) comprendente 65 comuni contigui nelle province di Treviso e Pordenone. Il core del distretto è posto proprio a cavallo del corso del fiume Livenza; nella parte friulana i comuni che concentrano il maggior numero di imprese ed addetti ed esibiscono elevatissimi indici di specializzazione, superiori al 70% : Brugnera, Prata (con oltre 2.000 addetti ciascuno) e Pasiano (1.500). Nel Trevigiano i comuni principali sono localizzati proprio al di là del fiume: Gaiarine, Motta di Livenza (con più di 1.200 addetti a testa) e Mansuè (870). Anche Pramaggiore, in provincia di Venezia, ha un alto numero di occupati (oltre 700). Inoltre in questo distretto, sempre nel settore mobilio, la dimensione delle unità locali è ben superiore alla media nazionale, indice indicativo del carattere industriale della produzione (17,6 addetti per unità locale rispetto ai 5,8 della media italiana, nel trevigiano essa è il triplo della nazionale, mentre nel pordenonese addirittura il quadruplo). Nel distretto del Livenza le imprese con più di 100 lavoratori sono 25 ed occupano un quarto dei dipendenti totali. Quelle tra i 50 ed i 99 sono più numerose nel Pordenonese (28% dei dipendenti) che nel Trevigiano (18%). Il settore di specializzazione è chiaramente identificabile nel settore del legnomobilio, definito dai codici 20 (Industria del legno e dei prodotti in legno) e 36.1 (Fabbricazione di mobili) della classificazione ISTAT delle attività economiche. La produzione locale comprende due diverse distinzioni: la produzione e assemblaggio di mobili e la subfornitura di componentistica. Per quanto riguarda la prima categoria, le imprese producono diverse tipologie di mobili per la casa, soprattutto soggiorni, camere, camerette, cucine; minore è la presenza di mobili destinati ai segmenti ufficio e contract, che comunque hanno conosciuto una maggiore diffusione in tempi recenti. Le imprese distrettuali realizzano generalmente un prodotto di fascia media, con punte verso il medio alto ed il medio basso. All’interno dei sistemi locali operano alcuni dei più importanti produttori italiani del settore mobiliero, come i gruppi Doimo, Atma, San Giacomo che occupano posizioni di leadership a livello 143 nazionale e mantengono una certa visibilità anche a livello internazionale, pur non avendo marchi molto noti al grande pubblico89. Alla produzione di mobili si affianca quella di componentistica (ante, cassetti, semilavorati, ecc.) che, pur appartenendo alla filiera produttiva del mobile, costituisce oramai, almeno in parte, un segmento dotato di una propria autonomia. Anche questo comparto può contare su alcune presenze di rilievo, soprattutto nella produzione di ante. Alcuni mobili prodotti nel liventino negli anni del II dopoguerra 4.3.2 Evoluzione storica e caratteristiche odierne Lo sviluppo storico dell’industria del mobile tra le province di Treviso e Pordenone è un fenomeno relativamente recente, anche se nella zona esisteva una tradizione artigianale. All’inizio degli anni ’50 nell’area, ancora prevalentemente agricola, esisteva infatti un artigianato diffuso ma non si riscontrava una specializzazione particolarmente rilevante. L’industria mobiliera ha iniziato a crescere negli anni ’50 in modo piuttosto veloce, espandendosi poi negli anni ’60. In questa prima fase la diffusione delle produzioni del mobile è avvenuta sia mediante la trasformazione di alcune falegnamerie artigiane in mobilifici industriali, sia attraverso la nascita di nuove imprese ad opera di imprenditori imitativi. Solo alcuni di loro hanno ereditato e sviluppato l’azienda artigiana avviata nel periodo prebellico dal padre o dal nonno. Nella stragrande maggioranza dei casi i fondatori delle prime imprese sono stati imprenditori di 89 G Lojacono, Le imprese del sistema arredamento. Strategie di design, prodotto e distribuzione, Etas, Milano, 2001; 144 prima generazione, provenienti spesso da famiglie contadine (coltivatori diretti e mezzadri), che dopo aver lavorato per qualche tempo come dipendenti (soprattutto come operai) in altre aziende locali, ne sono fuoriusciti ed hanno dato vita ad una propria attività autonoma. Guerra90 individua tre fattori esogeni che hanno promosso lo sviluppo dell’industria mobiliera locale: l’aumento della domanda interna di mobili, trainata dalle necessità della ricostruzione post-bellica e successivamente dalla diffusione di nuovi modelli di consumo che hanno aumentato la propensione al consumo delle famiglie nei confronti dei beni d’arredamento, caricando l’acquisto del mobile di nuovi significati; il progresso tecnico, che ha portato all’introduzione di nuovi materiali e di nuove tecnologie. Sotto il primo profilo il fattore determinante è stato la diffusione dei pannelli (di compensato prima, di truciolare poi), una nuova ‘materia prima’ a basso costo che poteva essere usata al posto del legno massiccio (materiale naturale il cui prezzo tendeva storicamente ad aumentare e le cui proprietà tecniche mal si prestavano alla lavorazione in serie) e lavorata secondo criteri industriali, grazie alle sue caratteristiche di omogeneità e stabilità dimensionale. L’innovazione nei materiali è avvenuta in concomitanza al progresso delle tecniche e dell’organizzazione produttiva; si può dire che la disponibilità del nuovo materiale ha nel contempo indotto e consentito il passaggio dal sistema di produzione artigianale al sistema industriale. In sostanza il nuovo ciclo di produzione del mobile ha portato gradualmente alla scomposizione delle lavorazioni in interventi su superfici piane (i pannelli), movimentate secondo un preciso flusso e montate solo alla fine delle lavorazioni. Le promettenti possibilità di vendita conseguenti all’aumento della domanda e le opportunità produttive aperte dal progresso tecnico si sono accoppiate con condizioni endogene favorevoli quali la mobilitazione sociale di mercato, la presenza in ambito locale di un’offerta di lavoro flessibile e a basso costo e quindi funzionale alle esigenze della domanda. 90 P. Guerra, I sistemi produttivi del Livenza e del Quartier del Piave, in G. Corò, E. Rullani (a cura di), Percorsi locali di internazionalizzazione. Competenze e auto-organizzazione nei distretti industriali del Nord-Est, Franco Angeli, Milano 1998; 145 Negli anni ’70 la catena del valore distrettuale si è modificata in seguito a due distinti processi: il decentramento produttivo e l’avvio dell’export. Il decentramento produttivo, che ha iniziato a manifestarsi sin dalla fine degli anni ’60, è stato caratterizzato dalla scomposizione del ciclo produttivo e dalla specializzazione in senso verticale delle imprese mobiliere, le quali si sono orientate a svolgere solo alcune fasi del ciclo tecnico. A monte dei mobilifici, sono nate imprese specializzate nell’esecuzione di un componente, di una particolare fase o di una sola lavorazione, alle quali i mobilifici stessi hanno decentrato parte della produzione, attuando una politica di disintegrazione verticale a monte dei cicli. Questo fenomeno ha determinato sia una ristrutturazione interna delle imprese, sia una ristrutturazione della catena del valore distrettuale, promuovendo la nascita di nuovi subsettori produttivi, la formazione di nuovi mercati di fase ed una crescente divisione del lavoro tra mobilifici e subfornitori. Ha anche contribuito alla diffusione dell’industria mobiliera nel territorio e quindi all’estensione dell’area distrettuale nelle zone circostanti. Nei decenni successivi il comparto della componentistica ha realizzato una graduale crescita sia di tipo quantitativo che di tipo qualitativo. Alcune imprese di subfornitura sono cresciute sotto il profilo dimensionale e si sono innovate sotto il profilo tecnologico o organizzativo sino a divenire dei produttori di fase, autonomi rispetto ai mobilifici locali. Si è registrata anche un’evoluzione delle relazioni esistenti tra mobilifici e subfornitori: le forme di subfornitura di capacità sono state sempre più spesso affiancate o sostituite da forme di subfornitura di specialità e da relazioni di tipo più evoluto. La divisione del lavoro che si è instaurata tra mobilifici e fornitori ha costituito un importante fattore di vantaggio per le imprese locali, concorrendo ad assicurare la flessibilità e la varietà produttiva che sono risultate fondamentali per competere nei decenni successivi. Il secondo processo, quello dell’export, è incominciato attorno alla metà degli anni ’70 in alcuni dei maggiori mobilifici, che sino ad allora erano cresciuti ampliando progressivamente l’area di vendita in ambito nazionale, hanno iniziato ad introdursi nei mercati esteri. Germania e Francia sono i due paesi che tuttora costituiscono mete importanti delle esportazioni locali. Lungo il percorso indicato da queste aziende pioniere negli anni successivi si sono 146 incamminate altre imprese locali, innescando un processo che è proseguito sino ai giorni nostri con il graduale aumento della propensione all’export del distretto e la progressiva estensione dei mercati di sbocco. Tra gli anni ’80 e la fine dei ’90 il sistema competitivo del settore del mobile è stato sottoposto alla pressione di diversi fattori di trasformazione che hanno costituito un articolato insieme di minacce ed opportunità: un modesto tasso di crescita della domanda interna, l’evoluzione della distribuzione (che ha avviato strategie di concentrazione e politiche di selezione dei distributori), la globalizzazione dell’economia, l’introduzione delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, l’evoluzione della domanda in direzione di una maggiore varietà e variabilità, senza contare l’aumento della concorrenza straniera e il rafforzamento del potere contrattuale dei clienti. Le imprese mobiliere si sono dunque trovate ad operare in uno scenario ambientale contraddistinto da un crescente livello di complessità. Per rispondere a tali nuove ed impegnative sfide competitive le imprese distrettuali più dinamiche hanno rinnovato la propria formula imprenditoriale. I processi evolutivi avviati da tali imprese portano a definire il distretto come un sistema in fase fortemente evolutiva. Le tendenze più significative possono essere sintetizzate in cinque punti, ovvero: L’emergere di alcune imprese leader che, attraverso operazioni di acquisizione o filiazione di altri mobilifici, hanno costituito dei gruppi di imprese. Tale processo di formazione dei gruppi non ha inciso solo a livello aziendale, rinnovando le formule imprenditoriali delle imprese interessate, ma ha avuto un forte impatto anche a livello distrettuale sul sistema di relazioni locale. La costituzione dei gruppi ha quindi prodotto un processo di selezione delle imprese e di concentrazione del fatturato e del valore aggiunto distrettuale. E soprattutto ha determinato una vera trasformazione del sistema distrettuale che si è evoluto in direzione di una maggiore gerarchizzazione interna riorganizzandosi attorno ad alcune imprese leader, ovvero gruppi con strategie e strutture chiaramente definite. L’innovazione in diversi processi aziendali, con la adozione di tecnologie di automazione flessibile (macchine a controllo numerico, Cad, Cad- 147 Cam, etc.), atte ad aumentare la flessibilità produttiva, a ridurre i tempi di risposta al mercato e a contenere nel contempo i costi di produzione. Si è passati inoltre da una da una produzione to stock ad una to order, spesso con l’adozione di un sistema che prevede la produzione per magazzino dei semilavorati e dei componenti-base dei mobili, i quali vengono poi finiti e/o assemblati dopo il ricevimento dell’ordine dal cliente (assemble to order). L’attenzione alla qualità del prodotto, tra le leve del marketing mix il prodotto è sicuramente la variabile su cui le imprese liventine del mobile hanno principalmente costruito il proprio vantaggio competitivo e su cui hanno investito (e stanno continuando ad investire) per renderlo sostenibile nel tempo. Gli attuali punti di forza delle imprese distrettuali attengono infatti all’area del prodotto. Oltre alle strategie di diversificazione produttiva e le politiche di modularizzazione, volte ad aumentare la varietà offerta, si verificano anche politiche di ampliamento del prodotto, finalizzate a migliorare il livello di servizio ai clienti. C’è poi l’universo molto innovativo degli asset intangibili che negli ultimi anni sta cercando prepotentemente di imporsi. Tale vantaggio è legato alla doppia sfera del design e della qualità. Tale struttura dei fattori di vantaggio competitivo mira a fronteggiare la crescente complessità dell’ambiente competitivo, in particolare l’intensificarsi della concorrenza di paesi emergenti che sono in grado di abbattere i costi di produzione ed offrire un prodotto di qualità simile ad un importo inferiore. In questo senso sono da interpretarsi la proliferazione delle certificazioni di qualità del prodotto come ISO 9000 e anche gli sforzi che negli ultimissimi tempi compiono diverse imprese verso la dimostrazione di altri valori e concetti intrinseci nel prodotto, come le certificazioni ambientali di prodotto o processo. L’apertura per certi versi obbligata della catena del valore locale all’economia globale, attraverso diverse azioni, come l’evoluzione dei canali di entrata e distribuzione nei mercati occidentali con il passaggio da forme tradizionali (esportatori, agenti, etc.) ad investimenti diretti di tipo commerciale (punti vendita all’estero). Molte imprese poi hanno sviluppato verso l’estero le esportazioni di semilavorati e componenti e 148 sono riuscite ad inserirsi in reti internazionali di divisione del lavoro, tanto da divenire alcune delle più forti esportatrici distrettuali. Importante ricordare anche la delocalizzazione di parte del ciclo produttivo nei paesi a minor costo del lavoro, testimoniata dallo sviluppo delle importazioni di semilavorati o di prodotti finiti, dalla stesura di accordi di fornitura con imprese estere e, in qualche caso, dalla costituzione di joint venture o consociate produttive in paesi esteri. L’avvio dell’internazionalizzazione ha costituito la proiezione all’esterno del distretto di anelli intermedi della catena del valore locale. Per il momento il processo appare ai primi stadi dato che il coinvolgimento internazionale delle imprese rimane per lo più circoscritto alle funzioni di vendita, di fornitura e (in parte) di produzione. La ricostruzione del processo di sviluppo realizzato dai distretti mobilieri negli ultimi decenni mostra chiaramente che il sistema del mobile liventino ha avuto la capacità di rinnovarsi per rispondere alle modificazioni dello scenario ambientale e riprodurre le condizioni di vantaggio competitivo. Nonostante l’evoluzione compiuta, la produzione costituisce ancora oggi l’attività centrale della catena del valore delle imprese locali e continua a svolgere un ruolo primario nella produzione del valore. Tra i fattori su cui le imprese fanno leva oggi per sostenere la propria competitività continuano quindi a comparire l’organizzazione della produzione, l’attenzione all’innovazione tecnologica, la divisione del lavoro tra imprese, la capacità di sviluppare prodotti contraddistinti da un buon rapporto qualità/prezzo e capaci di rispondere ai bisogni vari e variabili dei consumatori. Altre direttrici di sviluppo, in particolare le politiche di marketing, sono state piuttosto trascurate. Una ricerca svolta per Unioncamere nel 200191 con questionario sottoposto alle imprese del distretto del Livenza (friulano e trevigiano) e del quartiere del Piave si proponeva di rilevare le modalità e gli strumenti utilizzati per comunicare prodotti e offerte commerciali al mercato, ovvero le caratteristiche del cosiddetto communication mix delle imprese. Gli strumenti tipici fondamentali sondati 91 R. Grandinetti, M. Chiarvesio, P. Guerra, R. Tabacco (a cura di), Le politiche commerciali e di marketing nel settore dell’arredamento, Ricerca sui distretti industriali del Livenza e del Quartier del Piave, Novembre 2001; scaricabile dal sito www.statser.unioncamere.it; 149 fanno riferimento alla classificazione di Cozzi e Ferrero92 che individua cinque possibilità: la pubblicità, la sponsorizzazione, le pubbliche relazioni, la promozione delle vendite, la comunicazione personale. L’ indagine ha focalizzato l’attenzione sui primi due canali, quello pubblicitario, esploso in relazione ai diversi possibili media utilizzabili, e quello della sponsorizzazione; a questi sono stati aggiunti ulteriori specifici strumenti di marketing diretto, come le fiere, destinate al trade o al consumatore finale, il telemarketing, il marketing diretto postale e il sito web, strumento di comunicazione emergente e in rapida diffusione. Il communication mix, inoltre, è stato studiato separatamente per il mercato italiano e per i mercati esteri. In entrambi i casi emerge che la comunicazione è sicuramente il punto debole nell’approccio delle imprese ai mercati, confermato anche dalle imprese stesse nella autovalutazione dei propri punti di forza e debolezza competitiva. Nonostante una corretta strategia di comunicazione al mercato sia una risorsa sempre più critica in un contesto competitivo a complessità crescente, nell’area del distretto liventino questa è un mezzo su cui le imprese non stanno facendo ancora investimenti mirati di tipo strategico. Ovvero, investono sulla comunicazione di tipo personale al trade al fine di accrescere il livello di interazione con il canale distributivo e con questo migliorare il rapporto con il mercato, ma la comunicazione diretta al consumatore, al contrario, riceve ancora un’attenzione e un budget limitati nella maggior parte delle imprese. La tabella1 sotto riportata evidenzia in particolar tre dati fondamentali e riassuntivi: lo strumento di comunicazione che oggi risulta più diffuso tra le imprese è il sito web, presente nell’85,7% dei casi; la partecipazione a fiere di settore si posiziona al secondo posto: il 69,2% delle imprese partecipa ad almeno una fiera, con preferenza per quelle organizzate in regioni diverse rispetto al Veneto o al Friuli Venezia Giulia, a cui si presenta il 58,6% delle imprese intervistate (si ricorda d’altra parte che la più importante fiera italiana di settore ha luogo a Milano); 92 G. Cozzi, G. Ferrero, Marketing. Principi, metodi, tendenze evolutive, Giappichelli Editore, Torino, 1996; 150 la pubblicità su riviste è il terzo canale di comunicazione adottato, su cui investe il 45,9% delle imprese, con maggiore incidenza delle imprese operanti nella fascia alta e medio-alta del mercato. Per quanto riguarda il mercato italiano, le imprese utilizzano mediamente 2,8 strumenti; se però dal calcolo dell’indice di diversificazione dei canali di comunicazione vengono esclusi il sito web e le fiere, il valore scende drasticamente a 0,9. Questi sono quindi gli unici tre strumenti di comunicazione utilizzati con una certa frequenza dalle imprese dei due distretti mobilieri. Tab1- Le forme di comunicazione utilizzate sui mercati interni* Forme di comunicazione Livenza Quartier del Piave Totale v.a. % v.a. % Pubblicità su quotidiani 5 5,3 10 25,6 15 11,3 Pubblicità su riviste 42 44,7 19 48,7 61 45,9 Pubblicità televisiva 0 0,0 1 2,5 1 0,7 Pubblicità radiofonica 1 1,1 2 5,1 3 2,3 Sponsorizzazioni 14 14,9 11 28,2 25 18,8 Telemarketing 0 0,0 0 0,0 0 0,0 Direct marketing postale 18 19,1 0 0,0 18 13,5 Sito Web 78 83,0 36 92,3 114 85,7 Fiere in Veneto e Friuli-V. G. 40 42,6 13 33,3 53 39,8 Fiere in altre regioni italiane 61,7 20 51,3 78 58,6 58 * Le percentuali sono calcolate sulle imprese che operano almeno parzialmente sul mercato italiano Considerazioni analoghe a quelle fin qui svolte valgono per i mercati esteri, in cui la comunicazione di marketing delle imprese è ancora più debole. La tabella 2 riporta i dati relativi al mix comunicativo delle imprese che esportano almeno parte del fatturato aziendale. 151 Tab2 – Le forme di comunicazione utilizzate sui mercati esteri* Quartier del Forme di comunicazione Livenza Totale Piave v.a. % v.a. % v.a. % Pubblicità su quotidiani 4 4,6 1 3,1 5 4,2 Pubblicità su riviste 27 31,0 10 31,3 37 31,1 Pubblicità televisiva 1 1,1 0 0,0 1 0,8 Pubblicità radiofonica 1 1,1 0 0,0 1 0,8 Sponsorizzazioni 2 2,3 1 3,1 3 2,5 Telemarketing 0 0,0 0 0,0 0 0,0 Direct marketing postale 12 13,8 1 3,1 13 10,9 Sito Web 75 85,2 30 93,8 105 87,5 Fiere in paesi esteri 49 55,7 12 37,5 61 50,8 *Le percentuali sono calcolate sulle imprese che operano almeno parzialmente sui mercati esteri Mediamente le imprese usano 1,9 strumenti di comunicazione, che si riducono a 0,5 se escludiamo il sito web e le fiere. Dopo il sito Web, la fiera è il momento privilegiato per presentare il catalogo, i nuovi prodotti ed entrare in contatto diretto con operatori, agenti, importatori. Quasi un terzo delle imprese pubblicizza i propri prodotti sulle riviste d’arredamento, mentre tutte le altre forme comunicative rivestono un’importanza molto bassa. Il 9,2% delle imprese non fa ricorso a nessuno dei canali segnalati e il 61,3% fa ricorso solamente al sito Web o alle fiere93. La debolezza dimostrata delle imprese relativamente alle attività di marketing, spesso determinata dalla disponibilità limitata di risorse da investire, non viene compensata dalla ricerca di collaborazioni con altre imprese. Meno del 10% delle aziende ha sviluppato rapporti di collaborazione in campo commerciale con altre imprese di produzione e, nei casi rilevati, si tratta perlopiù di accordi che si inseriscono in un più ampio sistema di relazioni tipico dei molti gruppi informali sorti nel distretto. Si conferma dunque ancora una volta la difficoltà delle piccole e medie imprese dei sistemi locali a sviluppare progetti di 93 Bisogna tuttavia considerare che molte imprese sostengono che la miglior forma di comunicazione per l’estero sia una forte presenza e notorietà sul mercato nazionale, che consentono di far leva sul fattore made in Italy. 152 cooperazione orizzontale al fine di superare alcuni dei limiti propri delle piccole dimensioni aziendali. Una considerazione doverosa è relativa al nuovo canale comunicativo emergente: il sito web. Questo strumento ha in questi due sistemi locali una diffusione molto alta, al di sopra delle medie nazionali. Questo è certamente indicativo di un percorso di diversificazione delle forme comunicative che le imprese hanno ormai intrapreso e che le sta portando a sfruttare le potenzialità di Internet. Tuttavia, almeno due sono gli aspetti a cui si deve prestare attenzione. Innanzitutto in molti casi il sito si presenta ancora come una semplice vetrina, che non sfrutta nessuna delle potenzialità avanzate della rete (la possibilità di poter interagire direttamente con il mercato ed il consumatore, offrire maggiori servizi informativi, sfruttare l’economicità del mezzo per sviluppare relazioni con i diversi stakeholder) con limitate ricadute positive sulle aziende. In secondo luogo, il sito web diventa un vero strumento comunicativo e interattivo solamente se inserito nell’ambito di una strategia di investimento più complessiva che da un lato porta a predisporre tutte le risorse aziendali, umane prima di tutto, necessarie per la progettazione e organizzazione dei contenuti, gli aggiornamenti, l’analisi dei dati, la pronta risposta alle richieste; dall’altro prevede le misure per dare visibilità al sito stesso, attraverso un ulteriore sforzo comunicativo organizzato a livello aziendale o territoriale. Senza ombra di dubbio, le sfide competitive che le imprese sono chiamate ad affrontare nel nuovo scenario globale richiedono che sia velocemente compiuto un salto evolutivo passando ad un orientamento più complesso che consideri come elemento fondamentale i sistemi di comunicazione, sia come leva di marketing sia più in generale come strumento per la gestione e sviluppo delle relazioni fra le diverse componenti dell’impresa e del distretto. Le imprese hanno infatti saputo sviluppare quella del prodotto, hanno iniziato ad investire sulla distribuzione, ma devono fare ancora molto nel campo della comunicazione. Si tratta di un aspetto cruciale, in quanto l’attuale debolezza comunicativa rischia davvero di vanificare gli altri investimenti. Come affermato nei capitoli precedenti, governare tali relazioni implica conoscere al meglio lo 153 scenario in cui si opera e, conseguentemente, indirizzare al meglio le proprie strategie. In questo un supporto importante può venire dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, che favoriscono l’interazione e la cooperazione tra i vari attori del canale (impresa, distributore, consumatore) e più in generale del sistema del valore; siano esse usate per sviluppare attività di co-design con il consumatore o migliorare la qualità delle informazioni distribuite lungo i canali di vendita, ovvero per dialogare direttamente con il mercato supportando le attività svolte dal distributore o superando, nel caso di inerzia di quest’ultimo, la strozzatura informativa del punto vendita. Per effettuare tale salto l’impresa deve sviluppare competenze nuove, che si differenziano e si specializzano rispetto alle più tradizionali abilità di tipo commerciale. 4.3.3 Anno Domini 2000: progetti e sfide competitive del Distretto del Mobile per il nuovo millennio I primi anni del 2000 furono anni davvero difficili per tutto il sistema economico italiano. Come per il resto delle imprese, fra il 2000 ed il 2002 anche i distretti si sono ritrovati a fronteggiare una situazione di stagnazione economica che non vedevano più da anni. La congiuntura è risultata particolarmente sfavorevole per questa tipologia di imprese in quanto impreparata a fare fronte a molteplici, contemporanei e rapidi mutamenti. Le imprese liventine in questi anni subiscono forti contrazioni alle esportazioni e sono costrette a implementare una fase di ripensamento complessivo della attività in termini più concorrenziali. 154 Come descritto in precedenza, i fattori su cui le imprese decidono di fare leva per sostenere la competitività sono legati al prodotto, attraverso la riorganizzazione della produzione, l’attenzione all’innovazione tecnologica, la divisione del lavoro tra imprese, la capacità di sviluppare prodotti contraddistinti da un buon rapporto qualità/prezzo e capaci di rispondere ai bisogni vari e variabili dei consumatori. Anche se le direttrici di sviluppo che puntano anche alla produzione di idee e nuovi know how, nonché a settori del management storicamente trascurati come la comunicazione sono ancora molto scarse, le organizzazioni operanti nel distretto sembrano aver dato anche segnali della comprensione di una necessaria svolta, che implichi maggiormente lo sviluppo di nuovi ambiti e conoscenze. I pionieri di questo nuovo corso sembrano essere in particolare le Associazioni di Categoria che si dimostrano particolarmente volenterose nel raccogliere la sfida del futuro. Vista la necessità di piena comprensione del nuovo mercato, questi soggetti si impegnano in attività di ricerca e focalizzano la loro attenzione alla formazione, esprimendo maggior interesse e volontà di collaborazione con i centri responsabili dell’ educazione di tutti gli ordini e categorie. In linea generale si comprende l’importanza di effettuare una operazione congiunta fra più soggetti all’interno del distretto e di puntare allo sviluppo coordinato verso obiettivi competitivi comuni. Solo lavorando insieme su più fronti, cercando di aggregare le competenze di ciascuno e di convogliarle verso dei progetti mirati di sviluppo, si è in grado di far fronte ai molteplici cambiamenti della congiuntura. Una importante ricerca condotta dalla Fondazione Nordest nel 200594 afferma in particolare che le linee strategiche lungo le quali è necessario incamminarsi per offrire un orizzonte allo sviluppo economico provinciale fanno leva sulle peculiarità del territorio pordenonese (forte contatto con l’estero grazie ad un buon export, grande importanza del settore manifatturiero e limitazione degli effetti negativi della globalizzazione rispetto ad altri distretti) e tengono in 94 D. Marini, F. Ferraro (a cura di), Pordenone ieri, oggi, domani. Dinamiche della società e prospettive del manifatturiero, Il Sole 24 Ore, Milano 2005. 155 considerazione le nuove dinamiche interne della società (aumento dell’immigrazione, invecchiamento della popolazione, stagnazione del mercato del lavoro derivata da mancanza di manodopera specializzata). La soluzione individuata è il “Modello CO.CO.PRO”: Coesione, Competitività, Promozione; dove si ritengono fondamentali: Una maggiore coesione e raccordo fra imprese e lavoro e fra sistema produttivo ed istruzione. Uno sforzo alla competitività internazionale che deve passare attraverso un miglioramento delle infrastrutture reali, ma soprattutto, virtuali. Una promozione dell’identità comune, che offra una rappresentazione di sé più coerente con le proprie trasformazioni, in grado poi di rapportarsi ad un conteso più ampio. In questo quadro, la tutela ambientale e la volontà di gestire in maniera più efficiente l’importante risorsa del territorio sembra essere un elemento che può unire e combinare tutti questi punti. Non a caso quindi, la spinta alla ricerca di soluzioni per il miglioramento competitivo ha portato all’ideazione di un progetto che interviene proprio su questa variabile. 157 Capitolo 5 LA COMUNICAZIONE NEL DISTRETTO, AL DISTRETTO, PER IL DISTRETTO “Risolsi con la mia condotta futura di redimere il passato e posso affermare onestamente che questa mia decisione fu fruttuosa e recò un certo bene” Dott. Henry Jekill 5.1 UN PROGETTO DI RIPRISTINO AMBIENTALE 5.1.1 L’ideazione e realizzazione del Progetto di Sviluppo EMAS del Distretto Come è stato dimostrato nel capitolo precedente, in questi ultimi anni le organizzazioni e le associazioni sia pubbliche che private presenti nel Distretto del Mobile Livenza hanno acquisito maggiore coscienza dell’importanza di avviare strategie comuni per la gestione di alcune dinamiche economiche 158 contemporanee, caratterizzate da un livello di complessità molto elevato. Le piccole imprese seppur molto vitali a livello operativo, riscontrano il bisogno di comprendere e presidiare anche le sovrastrutture macroeconomiche di settore, che possono portare le organizzazioni a stabilire nuove e competitive direttrici di sviluppo. Le imprese del Distretto del Livenza avvertono sempre più l’esigenza di presentarsi unite di fronte al mercato internazionale, di coordinare la partecipazione alle manifestazioni e di evitare di promuoversi in ordine sparso. Le amministrazioni pubbliche si muovono in direzione di scelte partecipate e di processi decisionali inclusivi95. E’ altresì vero che in questi anni il mondo accademico ha dato molta importanza al bisogno di creazione di reti e di sinergie, per tutti i settori e le organizzazioni pubbliche, private e non profit. Uscire da una secolare tendenza alla chiusura e alla filosofia individualista che caratterizza l’imprenditoria nordestina non né facile né veloce. Tuttavia ciò è necessario e le spinte in questa direzione provengono da tutti versanti. A ricoprire un ruolo da protagonista in questo processo sono senza dubbio le imprese leader (che tendenzialmente sono maggiormente attente agli orientamenti macroeconomici) e le associazioni di categoria, punto di riferimento delle piccole imprese. Negli anni passati sono stati fatti dei tentativi per rispondere in modo unitario a specifiche problematiche. Ad esempio è stato costituito il Consorzio COMAD che si occupa di garantire lo smaltimento delle acque reflue delle varie fasi della lavorazione. Oppure il Consorzio Export, nato nel ’72 e attivo fino ai primi anni ’80, che doveva favorire i contatti tra le aziende associate (circa una trentina) e gli operatori commerciali stranieri. Il Consorzio Export intendeva inoltre promuovere l’immagine della zona con il marchio «L» (di Livenza). Infine nei primi anni ‘90, l’Associazione Civiltà Altolivenza propose la costituzione del marchio Alto Livenza che aveva come scopo la promozione della locale produzione mobiliera. Ma si è sempre trattato di iniziative pionieristiche, con scarsa collaborazione da parte delle associazioni e delle amministrazioni pubbliche, unici attori in grado di attivare una rete di relazioni veramente allargata, collegando a rete una molteplicità di soggetti. 95 L. Bobbio (a cura di), A più voci, Dipartimento della Funzione Pubblica, Edizioni Scientifiche Italiane, Roma 2002. 159 Ciò che è fondamentale infatti è una sinergia che apporti risorse e una visione di insieme veramente completa. I primi passi verso questo modus operandi sono da identificarsi proprio nella istituzione dei Distretti. Il Comitato di Distretto96 è composto da diverse tipologie di attori (Sindaci dei Comuni territorialmente competenti, le Provincia/e, le Camere di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura, nonché le Associazioni imprenditoriali e le organizzazioni sindacali), con compiti di natura fortemente coordinativa e programmatica, riassumibili principalmente nella formulazione del Programma di Sviluppo. Se ciò potrebbe rappresentare un passo importante verso il trasferimento dei poteri verso il basso, delegando una istituzione che rappresenta il territorio a definire un programma basato su specifiche esigenze espresse dai soggetti appartenenti all’area, dall’altro accentra nella Giunta Regionale un potere decisionale che si esplica con l’approvazione del Programma97. Il BUR del 10 dicembre 2001 pubblica il Programma di Sviluppo del Distretto del Mobile approvato per la prima volta per il triennio 2001/2003 e successivamente riconfermato per il 2004/2006, fino all’avvenuta istituzione della Agenzia per lo Sviluppo dei Distretto Industriale del Mobile. La scelta di fondo del Comitato che diviene la base di tutta l’attività del Programma di Sviluppo è la tensione verso la qualità ambientale. Il Programma è diviso in diversi interventi98, ma il focus più significativo riguarda senza dubbio l’ambiente con le questioni intitolate ‘La gestione ambientale del Distretto’ e ‘Smaltimento rifiuti’. Il Programma infatti precisa che “promuovere ed attuare azioni di difesa ambientale diventa sempre più imprescindibile per preparare una società che sappia coniugare ambiente e sviluppo sociale ed economico, in modo durevole ed accessibile per le generazioni future”. L’obiettivo che viene individuato è il cosiddetto “miglioramento continuo” attraverso un processo che si origina dalla definizione di una strategia ambientale comune, per poi attuarsi attraverso la pianificazione, l’attuazione delle azioni, la verifica ed il riesame delle politiche stesse. 96 Lg Reg FVG 27/99; Tale impostazione è stata modificata con l’istitizione delle ASDI, ma come specificato nei precedenti capitoli a tutt’oggi le parti sono ancora in fase di lenta costituzione del nuovo ente. 98 Rispettivamente, “Gestione ambientale del distretto”, “Smaltimento rifiuti”, “Innovazione e formazione”, “Innovazione tecnologica”, “Progetto viabilità”, “Costruzione di un sistema operativo informatico distrettuale”; 97 160 Il Programma poi dichiara che affinché l’azione di tutela possa concretizzarsi, è necessario predisporre un progetto di analisi ambientale iniziale, che rappresenta il punto di partenza, da svolgersi in modo corretto e tenendo conto del contesto in cui si trova. Il percorso logico da adottare per giungere all’analisi ambientale iniziale viene sintetizzato in: identificazione aspetti ambientali; identificazione impatti ambientali; valutazione impatti ambientali; azioni conseguenti. Il Programma ipotizza che il coordinamento del progetto può essere demandato ad un «Comitato d’Indirizzo» presieduto dalla Provincia, a cui partecipano i soggetti pubblici e privati. Tale Progetto viene diviso in due parti: nella prima fase le imprese implementano l’Analisi Ambientale Iniziale, finalizzata alla individuazione degli obiettivi di miglioramento, con la definizione del progetto per il perseguimento di tali obiettivi. La seconda fase del percorso delineato è strettamente legata alla definizione degli strumenti e delle azioni necessarie al perseguimento dei miglioramento. Si può notare che senza aver individuato in EMAS un possibile strumento per conseguire una migliore gestione ambientale, l’impianto concettuale individuato per questo specifico obiettivo di Programma si dirige verso quello schema. Per quanto riguarda lo smaltimento dei rifiuti, la questione viene riconosciuta come “uno dei problemi maggiori che la realtà industriale, i cui oneri, in virtù di una legislazione sempre più severa e cautelativa, pesano in maniera consistente nel bilancio aziendale”. Il Programma ammette che nel territorio le imprese producano grossi quantitativi di rifiuti che vengono prevalentemente gettati in discarica, con tutti i costi ed il grave impatto ambientale che ne comporta. Il Programma individua le seguenti soluzioni: Un idoneo impianto di adeguata capacità a combustione controllata per la produzione in cogenerazione di energia elettrica e termica; Un intervento per la depurazione delle acque residuali da lavorazione che valga per l’intero comparto industriale del distretto; La creazione di un «Office Information» deputato alla raccolta, distribuzione e consulenza di primo livello di norme, leggi, circolari ed 161 obblighi inerenti la tematica ambientale, patrocinando in tal modo il corretto svolgersi dell’attività produttiva delle aziende del comparto mobili-arredamento. Il Programma precisa che questo progetto complessivo, molto impegnativo per i soggetti coinvolti, è sintomo di un cambiamento culturale e gestionale da parte delle imprese, in quanto obbliga a perseguire obiettivi di efficacia nella gestione e nell’implementazione dei processi produttivi. Tale progetto si rivela molto utile anche al miglioramento delle prestazioni ambientali della Pubblica Amministrazione, in quanto dovranno essere colte quelle opportunità di dialogo e trasparenza che il sistema legislativo (formato da innumerevoli norme) rende più spesso di carattere repressivo anziché preventivo. Finalmente c’è consapevolezza ed intenzione di intervento analitico. Tutto ciò scaturisce dalla volontà degli attori economici e delle pubbliche amministrazioni di proteggere l’ambiente favorendo lo sviluppo ed il ripristino di un contesto particolare e di pregio, che costituisce una ricchezza troppo spesso data per scontata. Il territorio ed in particolare il fiume Livenza, sono stati da sempre una risorsa fondamentale che nel corso di questo secolo di sviluppo sono stati sottoposti a notevoli pressioni urbanistiche. Tali incidenze negative si sono palesate con frequenti alluvioni e piene, dalle conseguenze gravi anche per le attività produttive. Questi segnali hanno indotto tutti ad una riflessione generale e si è compresa l’urgenza di correre ai ripari, ripesando con nuovi mezzi a tutta la politica ambientale degli ultimi decenni, caratterizzata da uno sviluppo urbanistico incontrollato e poco razionale, che ha fatto proliferare i capannoni vicino alle case ed ha sprecato risorse energetiche. La tutela ambientale oltre che doverosa diventa quindi necessaria, completando di un nuovo tassello l’insieme delle strategie di rilancio dei distretti produttivi. Nasce così la sfida ambientale del distretto liventino, che per essere attuata nel modo più efficiente possibile, vede la costituzione dal parte del Comitato (come definito nel Programma) di una nuova organizzazione con personalità giuridica, dinamica e snella, in grado di tradurre tutte queste spinte in progetti concreti e di creare nuove prospettive di sviluppo, nonché contemporaneamente dare visibilità a tutto il distretto, valorizzando l’immagine, la coscienza e l’unicità della storia del territorio e delle imprese che vi appartengono. 162 In data 19 novembre 2001 viene istituito dal Comitato di Distretto il Consorzio del Mobile Livenza. Il Consorzio non ha finalità di lucro e svolge la sua attività per la promozione dello sviluppo economico, sociale e culturale del Distretto del Mobile Livenza. In particolare, il Consorzio si prefigge di: promuovere la conoscenza del prodotto e valorizzare l’immagine delle imprese e del territorio in cui esse operano nei confronti dei mercati nazionali ed esteri anche attraverso una costante azione divulgativa incentrata sulle moderne tecnologie di comunicazione; predisporre studi e ricerche di mercato al fine di favorire un consistente e qualificato flusso di incontri tra l’imprenditoria consorziata e partner commerciali per l’incremento di esportazioni; promuovere iniziative per l’addestramento, la formazione, la creazione, di figure professionali atte a garantire lo sviluppo di una moderna cultura d’impresa sul territorio; favorire la diffusione di interventi mirati alla salvaguardia dell’ambiente attraverso azioni e strutture in grado di utilizzare energie rinnovabili; realizzare, promuovere e favorire tutti quei servizi ritenuti utili e necessari al perseguimento degli obiettivi consortili e degli interessi economici e sociali dei consorziati99. Il Consorzio si configura pertanto come il braccio operativo del Distretto del Mobile del Livenza e vi possono aderire i componenti del Comitato del Distretto, 99 Art. 3 dello Statuto del Consorzio del Mobile Livenza. 163 oltre ad aziende operanti nel settore della produzione, dei servizi e commercializzazione del legno, del mobile, dell’arredamento in genere, altri Enti, Associazioni ed Istituti pubblici o privati che per l’attività svolta e l’esperienza acquisita, possano contribuire alla più proficua realizzazione degli scopi del Consorzio. Per la prima volta un mondo imprenditoriale abituato ad operare in modo autonomo si aggrega intorno ad un programma comune. Il 22 marzo 2002 il Consorzio del Mobile Livenza presenta ufficialmente il brand destinato a promuoverne l’immagine in tutto il mondo. Al teatro Pileo di Parta di Pordenone davanti ad una numerosa platea di imprenditori locali viene svelato il marchio disegnato d’art director Carlo Spoldi per l’agenzia di comunicazione Uoma. Il logo che il Distretto del mobile del Livenza ha scelto per lasciare il segno nella storia e nella comunicazione è una matita. Apparentemente è una semplice matita artigianale in legno con la mina blu e la denominazione incisa nel fusto. Anche se molto semplice, in questo oggetto sono racchiusi la storia, la tradizione ed il futuro del distretto. Dalla matita inizia tutto il processo produttivo che fa nascere i mobili: un progetto comincia sempre da una matita e da un foglio di carta. Così hanno fatto i grandi maestri dell’arte, così accade ancora oggi ed accadrà domani, perché il futuro è nel design, in quel valore aggiunto di fantasia e di genialità che da sempre i mobilieri del Livenza trasmettono ai loro prodotti per renderli unici. Il legno della matita rimanda alla materia prima con cui sono costruititi i mobili. Perciò non è stata raffigurata una comune matita in legno chiaro, bensì di una tonalità più calda, significativo di una qualità superiore, in modo da sottolineare l’artigianalità, l’attenzione ai materiali e la cura nella produzione, adottate dalla aziende liventine. Anche il font usato per la denominazione “Distretto del Mobile Livenza” segue questa logica e sembra più un intarsio che un marchio impresso a caldo. La mina della matita è insolitamente blu. E’ il colore dell’acqua del Livenza, il fiume a cavallo del quale si è sviluppato il miracolo del mobile. All’estremo opposto della punta la matita è forata e ricompare l’azzurro, proprio a simboleggiare l’acqua che entra, esce e vivifica il territorio del Livenza. Ma da quel blu parte anche una associazione mentale che conduce alla tradizione della vicina Venezia, città costruita sull’acqua, al mare Adriatico e alla vocazione internazionale del distretto, fino al mare delle idee, vero patrimonio delle aziende del Livenza. Nella scelta del simbolo è stata data massima attenzione alla creazione di un emblema universale. Un segno riconoscibile non solo nel contesto culturale, italiano od occidentale, ma 100 comprensibile e positivo anche per le altre culture . A questo punto non resta che mettersi al lavoro, cercando di individuare quale possa essere lo strumento da adottare per svolgere al meglio questa importante missione di miglioramento delle condizioni ambientali territoriali. 100 M Bortolin, Aspetti economici del distretto, in B. Lucchetta (a cura di), Distretto del Mobile Livenza. Origine, sviluppo e aspetti produttivi, Distretto del Mobile Livenza 2003, Stampato in proprio. 164 Il 2002 è l’Anno della Qualità Ambientale ed Unindustria si impegna in un Progetto denominato Ecoimpresa che, con la collaborazione del Ministero per l’Ambiente, si prefigge di diffondere la cultura e l’importanza dello strumento delle certificazioni ambientali, al fine di incentivarne l’adozione prima e di far conseguire dei vantaggi economici di tipo fiscale e di finanziamento alle imprese che ne entrano in possesso. Il Consorzio individua nella certificazione ambientale EMAS un efficace mezzo per poter raggiungere gli scopi generali prefissati, e il Comitato in data 12.07.2002 con la Delibera nr.8 dichiara di voler avviare un percorso finalizzato all’ottenimento di tale registrazione. Il COMAD, finanziato dalla Regione FVG, commissiona uno studio di fattibilità alla società di consulenza IGEAM. IGEAM presenta il 16 maggio 2003 un dossier intitolato: “Studio di fattibilità per la registrazione EMAS dell’organizzazione ‘Distretto del Mobile Livenza’ e promozione di EMAS nel territorio del Distretto” nel quale si specifica le modalità operative attraverso le quali è possibile raggiungere al meglio questo traguardo. A questo punto, il Consorzio sottopone al Comitato di Distretto tale studio. Quest’ultimo, dopo aver espresso parere positivo, in data 7.06.2004 sottoscrive un Accordo di Programma con il Ministero dell’Ambiente e della tutela del Territorio, la Regione Friuli Venezia Giulia, la Provincia di Pordenone, la Camera di Commercio di Pordenone, l’Unione degli Industriali di Pordenone, il Consorzio del Mobile e COMAD. Tale accordo prevede la realizzazione delle seguenti operazioni: La registrazione EMAS dell’organizzazione Distretto del Mobile; La registrazione di 10 aziende campione appartenenti al Distretto del Mobile, che potranno predisporre una documentazione più semplificata in quanto potranno usufruire dello schema messo a disposizione dal Distretto e già approvato e registrato EMAS nella fase precedente; La registrazione di un Comune Campione del Distretto; La redazione di Linee Guida per la semplificazione alla successiva adesione di EMAS delle aziende e dei Comuni del Distretto; 165 La realizzazione di un modello per un Sistema di Gestione Ambientale orientato al Prodotto del Mobile (POEMS); L’accordo fra le parti sottolinea in particolare la complessità dell’azione, che è condotta in via sperimentale, in quanto potrà generare positivi riflessi e spunti anche per gli altri sistemi distrettuali italiani. Il Ministero dell’Ambiente si dichiara “parte attiva dell’ipotesi progettuale, affiancando i soggetti promotori ed offrendo promozione, indirizzo e supervisione”. Il Consorzio, che viene individuato come l’ente coordinatore di tutto il Progetto, a questo punto si mette al lavoro, ideando uno specifico programma esecutivo di sviluppo ambientale, che viene presentato ed approvato in data 01.10.2004 con il titolo: “Sviluppo sostenibile del sistema produttivo del Mobile”. Il programma descrive le fasi attuative del progetto in maniera precisa, indicando anche le competenze di ciascun soggetto e le risorse finanziarie. Per raggiungere i traguardi dell’Accordo vengono predisposte cinque macro fasi, che si scompongono poi in singole azioni. In particolare: Fase 0-Gestione del Progetto, che prevede l’azione di Creazione di un comitato di gestione e coordinamento (CGC) con compiti di promozione, indirizzo e di supervisione delle varie fasi, che si riunisce trimestralmente e verifica e l’azione di creazione dell’ufficio Coordinamento del Progetto (GdL)101. Fase 1- Sensibilizzazione ed informazione ambientale, che prevede una azione di comunicazione ai soggetti del distretto per favorire l’attuazione delle fasi dell’Analisi Ambientale e una azione di creazione e gestione di un forum virtuale. Fase 3- Effettuazione dell’Analisi del contesto territoriale, prevedendo sei azioni: analisi del conteso territoriale, analisi delle attività produttive del distretto, inquadramento amministrativo-gestionale, inquadramento sociale, identificazione degli aspetti ambientali significativi e redazione del documento di analisi. 101 Il Comitato di Gestione e coordinamento del Progetto EMAS è presieduto dalla Provincia di Pordenone e composto dal Ministero dell’Ambiente, Regione Autonoma FVG, Comitato del Distretto del Mobile, Unione degli Industriali e Associazioni Sindacali. Il Gruppo di Lavoro è la risorsa maggiormente impegnata nell’attuazione del progetto ed è composto da un responsabile del progetto, un coordinatore locale e i Responsabili di Fase che hanno competenze specifiche in funzione della fase di progetto che deve essere svolta, che garantiscono lo sviluppo coordinato del progetto e partecipano all’ Ufficio di Coordinamento Progetto (UCP) presieduto dal Responsabile di Progetto. 166 Fase 3- Redazione del Programma ambientale territoriale attraverso una singola azione di redazione, verifica ed approvazione del Programma. Fase 4- Registrazione dell’organizzazione “Distretto del Mobile” con una serie di otto azioni, ovvero: Definizione della struttura dell’Organizzazione e rappresentatività, Progettazione ed elaborazione della documentazione del Sistema di Gestione Ambientale, Attuazione del SGA, Verifica ispettiva interna e riesame della Direzione, Elaborazione della Dichiarazione Ambientale, Richiesta di Registrazione e Rilascio dell’attestato EMAS da parte del Comitato Ecolabel ed Ecoaudit. Fase 5 – Promozione sul territorio, con le azioni di registrazione EMAS delle aziende e del Comune campione. La durata complessiva prevista per il raggiungimento degli obiettivi è di due anni, ma c’è da sottolineare che tale programma esecutivo rappresenta uno scheletro che può subire modificazioni in itinere soprattutto per la variabile temporale, così come accade l’8 marzo 2005, quando, in seguito alla conclusione della fase di divulgazione e sensibilizzazione, altri due Comuni chiedono di poter partecipare al progetto. L’approvazione di questo programma esecutivo rappresenta l’avvio effettivo del progetto, che vede coinvolti nell’ottenimento della registrazione in definitiva: Il Consorzio del Mobile in qualità di ente promotore per conto del Distretto del Mobile, I tre comuni di Brugnera, Pasiano di Pordenone e Prata di Pordenone. Le aziende: ACOP srl; COPAT srl; DELLA VALENTINA OFFICE spa; MARTEX spa; MEETING srl; PRESOTTO INDUSTRIE srl; SANTAROSSA MARINO & C. sas; MERCURY ARREDAMENTI spa; CMC srl; TEMPOR spa; 167 P.M.T. srl; In data 06.07.2006 il Consorzio del Mobile Livenza viene registrato EMAS in qualità di Soggetto promotore dell’Ambito Produttivo Omogeneo del Distretto del Mobile Livenza, perchè ha effettuato attività di promozione e diffusione di EMAS e ha creato le sinergie necessarie sia per l’adesione delle aziende allo schema del Regolamento sia per il miglioramento ambientale dell’Ambito Produttivo Omogeneo nel suo complesso. Con questa attestazione si conclude il Progetto fino alla fase 4. Altrettanto essenziale è raggiungere la registrazione delle tre amministrazioni comunali e delle dieci aziende, che avverrà nel corso del 2007. Senza dubbio, la strada è stata tracciata ed ora non resta che percorrerla in maniera congiunta, con una tensione ed una volontà di miglioramento continuo, possibile e auspicabile anche grazie ad una attività coordinata di relazioni fra tutti i soggetti coinvolti. 168 5.1.2 Il ruolo della comunicazione nel Progetto EMAS del Distretto del Mobile Livenza Il Progetto sopra descritto rappresenta un caso pilota nel panorama italiano e le osservazioni che sono e che verranno effettuate nell’attuazione di tutte le fasi costituiranno materiale sulla base del quale l’Unione Europea rivedrà e modificherà il Regolamento di EMAS. La complessità dell’insieme è data sopratutto dal numero degli attori, che vanno coordinati ed aggiornati costantemente. La comunicazione si caratterizza per avere un ruolo chiave, in particolare perché, come sottolineato nei precedenti capitoli, funge contemporaneamente da ‘gestore’ e ‘amplificatore’ delle azioni e delle pratiche ambientali da seguire. Il ruolo di gestore consiste nel prendere in considerazione tutte le informazioni e le variabili provenienti dagli altri soggetti esterni all’organizzazione (nei modi descritti dalla ISO 14063) mentre il ruolo di amplificatore si esplicita nel momento in cui la comunicazione (attraverso i suoi strumenti ed attività) aiuta a raggiungere uno o più obiettivi ambientali perseguiti. A livello comunicativo ciascun partecipante al progetto deve avere un preciso ruolo ed operare in modo che non si verifichino replicazioni fra i flussi di informazioni, ma anzi, è preferibile attuare azioni comuni, in grado di ottimizzare le risorse e di produrre valore per più soggetti. Questa capacità di gestione delle relazioni non è affatto scontata ed è necessario che vi sia una riflessione sulle modalità di realizzazione all’interno di ciascuna organizzazione. Nei paragrafi seguenti sarà analizzata l’organizzazione della attività di comunicazione di tre soggetti che hanno aderito al Progetto del Distretto del Mobile Livenza. Tali entità diverse fra loro, rappresentano i tre principali attori di tutto il sistema, in quanto le loro dinamiche gestionali (e quindi) comunicative inglobano una ampia quantità di soggetti. Essi sono: Il Consorzio del Mobile Livenza in quanto soggetto promotore del Progetto di Registrazione ambientale EMAS; Il Comune di Pasiano di Pordenone, in quanto prima amministrazione locale ad aver aderito al Progetto di Registrazione Ambientale EMAS; 169 L’azienda ACOP, in quanto unica impresa localizzata nel territorio del Comune di Pasiano ad aver aderito al Progetto di Registrazione Ambientale EMAS; Per ciascun soggetto nei paragrafi seguenti, saranno analizzate: la struttura, le caratteristiche, le finalità e gli strumenti della attività di comunicazione presente in ciascuna organizzazione; gli obiettivi che la comunicazione attivata intende raggiungere; le attività previste per il raggiungimento di tali obiettivi; Per fare ciò ci si è avvalsi della documentazione EMAS disponibile per ciascuno dei soggetti, ovvero: Il Manuale di Gestione Ambientale Il Piano di Comunicazione, che scaturisce dalla somma delle azioni di comunicazione individuate negli obiettivi ambientali da raggiungere. Più precisamente, nel documento denominato ‘Obiettivi e Programma ambientale’ vengono elencati i traguardi di carattere ambientale che l’organizzazione si prefigge di ottenere. Tali obiettivi sono suddivisi per azioni, fra le quali può essere prevista anche una attività di comunicazione. La somma delle azioni di comunicazione individuate è riassunta nel ‘Piano di Comunicazione’, che viene integrato poi con la descrizione degli strumenti a disposizione. Eventuali registri delle procedure di comunicazione interna o esterna 170 5.2 SISTEMI DI COMUNICAZIONE A CONFRONTO 5.2.1 Il Consorzio del Mobile Livenza Il Consorzio è già stato descritto nel paragrafo 5.1, ma si precisa che con l’introduzione delle ASDI molto probabilmente tale soggetto verrà automaticamente inglobato da quest’ultimo, in quanto ne rappresenta l’evoluzione naturale. 5.2.1.1 Struttura, caratteristiche, finalità e strumenti della attività di comunicazione La comunicazione del Progetto è interamente affidata al Consorzio del Mobile, che si avvale della collaborazione e del patrocinio della Provincia e dell’Unione Industriali di Pordenone per quanto riguarda l’organizzazione di eventi rilevanti, ma non viene mai affidata ad agenzie esterne. L’obiettivo centrale di questo biennio è stato il conseguimento della certificazione ambientale e la comunicazione effettuata è stata complessivamente una attività di reporting con incontri sullo stato di attuazione della Registrazione Ambientale, che ha coinvolto principalmente i partecipanti al progetto. Le riunioni di tipo tecnico (fra il Gruppo di Lavoro) si distinguevano dalle riunioni di tipo consuntivo del Comitato di Gestione e Coordinamento. Sopratutto per la diversa tipologia di compiti, le prime fra le riunioni citate hanno avuto cadenza più costante e regolare, spesso di tipo non plenario. Le seconde riunioni invece sono avvenute in quattro date102 ed ogni volta è stato prodotto un documento denominato “Stato di Avanzamento”, che si presentava costantemente con il seguente schema: Breve descrizione della registrazione ambientale EMAS Breve descrizione delle tappe principali che hanno portato all’avvio del Progetto nel Distretto del Mobile Livenza (16 maggio 2003, 7 giugno 2004, 10 ottobre 2004); Fasi del Progetto, elenco partecipanti, ed esplicazione del ruolo di coordinatore che è effettuato dal Consorzio; 102 Composizione Comitato Gestione e Coordinamento e date delle riunioni. Precisamente, 8 marzo 2005, 30 giugno 2005; 18 ottobre 2005, 7 171 Descrizione delle azioni intraprese nei periodi intercorsi fra uno stato di avanzamento e l’altro. Il linguaggio utilizzato è di tipo tecnico, con una costruzione morfologica che predilige la struttura coordinativa predicativa. Lo Stato di Avanzamento veniva distribuito ai partecipanti, pubblicato nel sito web del Distretto e trasmesso ai quotidiani locali in allegato a brevi comunicati stampa. Il coinvolgimento dei cittadini e del mondo imprenditoriale allargato all’intero Distretto è stato realizzato in due occasioni importanti per mezzo di tre convegni. Il primo di questi, è stato effettuato in data 11 dicembre 2004 al Teatro Pileo di Prata di Pordenone ed è la Presentazione Ufficiale del Progetto e si prefiggeva di “informare le varie componenti sociali ed economiche del Distretto sui contenuti e sugli obiettivi103”. Il secondo incontro si è svolto in data 23.11.2005 presso alla sala convegni della Provincia di Pordenone con il titolo “Il Distretto del Mobile verso la Registrazione Ambientale EMAS”; ed aveva lo scopo di aggiornamento pubblico sullo stato di avanzamento del progetto. Il convegno ha visto la partecipazione dell’allora Ministro dell’Ambiente Altero Matteoli, nonché del Presidente del Comitato Ecolabel-Ecoaudit Pino Lucchesi. Il terzo convegno invece spostava l’attenzione da EMAS alla necessita dello sviluppo coordinato e reticolare con il titolo: “Governance e sviluppo locale: il Distretto del Mobile”. Con l’occasione è stata presentata la ricerca svolta dal Professore Roberto Grandinetti dell’Università degli Studi di Padova per conto della CCIAA Pordenone ed Unindustria relativo alla diffusione ed alle tipologie di tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ITC) utilizzate dalle industrie e dalle imprese artigiane pordenonesi e si è introdotto ufficialmente la questione del necessario allargamento legislativo al Veneto, in quanto l’area liventina è da considerarsi un unicum economicamente omogeneo. La provincia di Pordenone, con la costituenda ASDI, si candida a “ruolo di ente che deve fare da cerniera tra due realtà molto vicine, perché molti imprenditori del trevigiano 103 Stato di avanzamento nr. 1 in data 8.03.2005; 172 hanno trovato spazio nella nostra Provincia, ma anche molti pordenonesi hanno aziende nel vicino Veneto”104. In tutte le occasioni la presenza dei cittadini non è risultata molto alta, ma si è registrata invece una buona attenzione da parte del mondo economico ed imprenditoriale. Ciò è stato molto importante soprattutto nella terza occasione, nella quale si sono offerti spunti teorici molto innovativi soprattutto nella tavola rotonda finale, in cui il Professor Grandinetti ha rimarcato l’importanza fondamentale del “fare rete e sistema” per tutti i distretti. Sempre allo scopo di favorire la promozione e la conoscenza del progetto EMAS non è mancata la produzione di brochure e volantini che sono stati distribuiti ai comuni del Distretto secondo un Piano definito in accordo con la Provincia. Per quanto riguarda invece il coinvolgimento attivo e l’ascolto dei cittadini, è stato avviato un forum virtuale all’interno del sito internet del Distretto105. Tale forum è intitolato: “Ambiente: quale significato ha per il territorio del distretto in cui vivi?”. Con le stesse finalità è stato ideato un questionario di valutazione della percezione dello Stato ambientale per i cittadini, che è stato somministrato attraverso interviste dirette e tramite l’accesso al sito internet del Distretto. La complessità e la molteplicità dei soggetti che partecipano al Progetto è indiscussa quindi lo strumento di comunicazione maggiormente impiegato è quello multimediale. Il sito del Distretto è lo spazio nel quale il Consorzio pubblica e diffonde notizie, documenti e Piani con aggiornamenti a cadenza mediamente bimestrale. Sono previste poche tipologie di interazione: il forum predisposto non è molto attivo e non è previsto l’invio di newsletter. Con il conseguimento dell’Attestato di promozione Ambientale EMAS il Consorzio non ha concluso il Progetto (manca infatti la fase numero 5) ma passa ad uno stadio in cui i suoi compiti e scopi principali diventano maggiormente comunicativi, in particolare deve: promuovere la tutela ambientale con l’avvio del processo di Registrazione EMAS da parte di nuove organizzazioni ed imprese; pubblicizzare e diffondere le caratteristiche del sistema produttivo del Distretto del Mobile. 104 Elio De Anna, intervento al Convegno Governance e Sviluppo Locale: il Distretto del Mobile, Pordenone 3 febbraio 2006; 105 Stato di avanzamento nr. 3 in data 18.10.2005; 173 Far conoscere le attività dell’organizzazione ‘Consorzio del Mobile Livenza’; Per fare ciò è stato prodotto un Piano di Comunicazione che verrà analizzato nel seguente paragrafo. 5.2.1.2 Future attività di comunicazione Il Piano di Comunicazione è composto di tre parti: Prima: obiettivi comunicativi, target di riferimento e strategia individuata. Seconda: descrizione della strategia con la descrizione delle iniziative individuate; Terza: ripartizione del budget per ciascuna iniziativa. Come precedentemente accennato, il piano individua come obiettivi di comunicazione: La diffusione della notorietà, immagine, valore ed attività del Distretto; Far aderire quante più aziende possibili al Distretto ed al progetto EMAS; Informare e coinvolgere il territorio, le istituzioni e gli opinion leader; Il Piano distingue tra diversi target di riferimento ai quali indirizzare l’attività di comunicazione, ovvero: Aziende; Territorio ed opinione pubblica in generale;; Stakeholders; Il piano usa la metafora del tempio per descrivere l’impianto strategico adottato. Alla base infatti troviamo tre iniziative di comunicazione, ciascuna delle quali sorregge due o più azioni di comunicazione. Come architrave-requisito di fondo è posto il coordinamento e l’organizzazione delle iniziative. Il timpano del tempio contiene il risultato finale del raggiungimento degli obiettivi e della più generale affermazione degli obiettivi. Le iniziative di comunicazione individuate sono: Eventi, Media Relation e Relazioni Pubbliche in generale; Pubblicità; Internet; Tali elementi rappresentano la base sulle quali si implementano azioni di comunicazione diverse, in particolare: 174 Per le relazioni pubbliche si individuano azioni di: Eventi-iniziative; Media Relation suddivise a loro volta in: o Attività di ufficio stampa; o Piano integrato delle Attività di Ufficio Stampa; Newsletter; Per la pubblicità si individuano azioni di: Campagna pubblicitaria locale; Brochures; Merchandising-fiere; Per internet invece si individuano azioni sequenziali di: Implementazione - miglioramento del sito del Distretto; Creazione di Database; Direct E-mail marketing; Ufficio stampa e PR on line, Ciascuna azione poi viene sinteticamente descritta all’interno della sua sezione. Per quanto riguarda gli eventi, essi si prefiggono di coinvolgere e favorire la partecipazione al Distretto e ad EMAS le Amministrazioni e la popolazione residente negli 11 Comuni nonché costruire elementi di notizia a valore aggiunto che consentano di accedere alla stampa locale e a riviste di settore nazionale. Il Piano elenca due iniziative possibili: Il Concorso “La natura premia”, indirizzato alle scuole del territorio, con il coinvolgimento di Provveditorato agli studi, WWF, Associazioni giovanili varie per la promozione di uno studio o ricerca di compatibilità con la premiazione in merchandising legato alla natura (zainetti, binocoli, etc.) dei migliori lavori. La giornata delle fabbriche aperte rivolto agli alunni delle scuole elementari e medie dove l’attenzione sarà focalizzata al rapporto azienda-persona-ambiente. L’azione di media relation intende creare in maniera stabile ed organizzata l’attività di ufficio stampa, in grado di garantire la massima visibilità agli eventi promossi ed alle attività. Nella prima sub-attitivà vengono individuati due settori 175 (denominati fronti) su cui concentrare gli sforzi, ovvero l’off line (quotidiani, radio e TV locali, interviste, stampa di settore, stampa specializzata, trasmissioni telematiche) e on line o web (portali di settore ambientale, news sul sito internet del Distretto e news sui siti delle aziende aderenti). La seconda azione prevede la realizzazione e l’esecuzione di un Piano integrato delle Attività di Ufficio Stampa, ovvero elenca tutte le attività da implementare nell’Ufficio Stampa: Per l’off line sono previste azioni di elaborazione mailing list, cartelle stampa, ed archivio fotografico, redazione e diffusione comunicati, monitoraggio dei piani editoriali, organizzazione di educational per giornalisti e opinion leader, organizzazione del supporto agli eventi ed alle attività fieristiche, gestione di flussi di comunicazione one to one ed infine rassegna stampa periodica. Per l’on line sono previste azioni di predisposizione mailing list, gestione delle news in rete, rassegna on-line, attività mirate di mailing e media evaluation. Per quanto riguarda l’azione di newsletter, il Piano indica che è necessaria l’introduzione di questo importante strumento nel sito del Distretto, che deve essere distribuito alle aziende che operano nel territorio con invito di diffusione La campagna pubblicitaria coinvolge la stampa e tv locali allo scopo di far conoscere ad aziende, stakeholders e popolazione il Distretto del Mobile e le sue attività, nonché di far acquisire notorietà alla certificazione EMAS ed agli eventi previsti. Inoltre si suggerisce di impiegare cartellonistica stradale stanziale che indichi il territorio del distretto del Mobile Livenza, al fine di conferire una ‘sensazione fisica’ del territorio a chi accede o transita con l’auto in quest’area. Le brochures intendono integrare ed estendere la pubblicità del Distretto e ne vengono prospettate di due tipologie: Tipo istituzionale: più complete e dettagliate su area, imprese, filosofia, obiettivi. 176 Tipo divulgativo: che viene definito come “un ricco biglietto da visita” più riassuntivo delle informazioni previste i precedenza da usare in fiere e manifestazioni. Il merchandising viene ritenuta una valida azione che aiuta la valorizzazione del marchio e la diffusione di informazioni, da attuarsi in collaborazione delle aziende aderenti al Progetto EMAS che partecipano a Fiere di carattere nazionale ed internazionale, in quanto i costi di uno stand fieristico in proprio del Distretto sono proibitivi. Per quanto riguarda l’azione di miglioramento del sito, si prevede la realizzazione di Event Site per le iniziative che verranno programmate, nonché la attivazione di un forum in cu è possibile chattare su argomenti ambientali da parte di specifiche tipologie di soggetti come i rivenditori e altri produttori di mobili italiani e non. Successivamente, l’azione di creazione del database prevede la catalogazione di diversi stakeholder e del sistema di distribuzione dei mobili in Italia. Queste operazioni sono finalizzate al conseguimento e presidio finale di modalità di comunicazione propria, diretta, e a basso costo verso i rivenditori, che conferirebbe al Distretto una prerogativa di informazione e di rispetto da parte delle aziende produttrici che aderiscono al Distretto. L’azione di direct e-mailing marketing vuole stabilire “un dialogo/rapporto con la filiera della distribuzione verso la quale conferire valore alle iniziative avviate nei confronti di questo target e conseguire un valore aggiunto alle aziende che aderiscono al Distretto” con lo scopo prioritario di marcare il focus alla responsabilità sociale delle aziende del Distretto. L’azione di Ufficio Stampa e PR on line prevede la predisposizione delle testate on-line, dei portali internet e dei relativi indirizzi, la successiva creazione e diffusione di comunicati stampa tramite e-mail presso opinion leader e a luoghi di discussione on line come riviste, portali di settore, gruppi di discussione, newsletter. Tale azione include anche la gestione e l’invio della newsletter 177 consortile, nonché l’aggiornamento periodico dei contenuti del sito e delle news che devono essere inviate anche alle aziende partecipanti. 5.2.1.3 Osservazioni Le azioni di comunicazione intraprese e programmate dal Consorzio del Mobile Livenza si predispongono a molteplici considerazioni. Prima della consegna dell’ Attestazione EMAS al Consorzio del Mobile Livenza, si può affermare che l’attività di comunicazione era incentrata principalmente sulla gestione degli avanzamenti ed all’aggiornamento dei partecipanti al Progetto medesimo attraverso le riunioni. Pur osservando l’effettuazione di comunicazione ad un’opinione pubblica più generale con l’organizzazione di attività di diffusione dei contenuti del Progetto EMAS, nel complesso è possibile essere più efficaci. Le iniziative congressuali sono state importanti, ma indubbiamente c’era la possibilità di riscontrare un più ampio successo di pubblico e una maggiore rilevanza a livello mediatico106, soprattutto nella fase precedente all’evento, che notoriamente crea interesse ed attira pubblico. Ciò è dato dal fatto che la promozione delle tre iniziative è avvenuta in misura maggiore fra gli addetti ai lavori e fra gli iscritti alle associazioni di categoria partecipanti, facendo poco leva sulla cittadinanza. Nel corso dei convegni sono stati registrati i partecipanti (nome, cognome, indirizzo e-mail ed eventuale organizzazione di appartenenza), ma non risulta l’impiego di tali dati per comunicazioni successive (news, comunicati stampa etc.), che invece costituiscono una prima e preziosa base di stakeholder consapevoli ed interessati all’avvio di un dialogo. La migliore soluzione informativa e divulgativa degli eventi poteva essere una attività di ufficio stampa più organizzata, che avesse predisposto strumenti ad hoc (cartelle stampa, archivio foto, database contatti stampa etc.) utilizzabili anche in un secondo momento ed in altre occasioni. Il rapporto con la stampa risulta un anello debole della catena della comunicazione di natura ambientale consorziale, dimostrato anche dalla scarsa attenzione ricevuta successivamente all’invio dei diversi Stati di Avanzamento. Il comunicato infatti risultava molto breve, con rimando quasi immediato al 106 Da rassegna stampa condotta, sono stati individuati articoli solamente a livello locale ed una singola e non troppo estesa uscita nelle maggiori testate locali ad uscita settimanale. 178 documento in questione, che è stato inviato in allegato. Tale documento non si prestava ad un uso ‘giornalistico’, in quanto ricco di locuzioni tecniche, di abbreviazioni e di costruzioni sintattiche complesse. Anche i volantini formato A2 realizzati presentano delle incoerenze linguistiche quali ad esempio l’eccessiva formalità della descrizione del progetto EMAS nel Distretto del Mobile Livenza posta nel retro e il fumetto introduttivo presente nelle prime due facciate interne. Assolutamente positiva invece risulta l’azione di ascolto per la comprensione della percezione ambientale, effettuata attraverso il questionario a gruppi di stakeholder individuati e con l’attivazione del forum virtuale nel sito del distretto. Tale attività ha rappresentato la prima iniziativa mirante alla comprensione e all’ascolto della cittadinanza indirettamente coinvolta nel Progetto EMAS. Le informazioni raccolte costituiscono una delle variabili considerate per la formazione del successivo Piano di Comunicazione. Per quanto riguarda il questionario, esso ha ottenuto un buon livello di risposta, peggio è andato il forum on-line, che non è stato accompagnato da nessun tipo di promozione né on né off line. Anche in questo caso, l’uso delle media relations avrebbe forse potuto sortire effetti migliori. Passando invece all’organizzazione delle attività previste nei prossimi mesi dal Piano di Comunicazione, complessivamente si riscontra un approccio più complesso e oculato a questa attività. Innanzitutto, vengono chiaramente stabiliti ed enunciati gli obiettivi che guidano la pianificazione di attività ed azioni di comunicazione, inoltre il Piano contribuisce a fissare dei confini netti. Le osservazioni in senso positivo e negativo che si possono effettuare sono di due tipi: relative al documento in sé stesso e alle azioni di comunicazione individuate. Per quanto riguarda le azioni, si nota un positivo ampliamento delle azioni di comunicazione, destinate al raggiungimento di pubblici più definiti, specifici e settoriali. Viene dato un forte peso all’attività di ricerca e di creazione di database che serviranno alla migliore attuazione delle azioni future e viene ampliata la rosa degli strumenti, con un impegno verso nuove forme come l’house organ oppure con una differenziazione di diversi modelli di strumento a seconda del target a cui sono destinati (es. i volantini). Molto positiva anche la 179 ‘svolta interattiva’ che viene data allo strumento telematico, con la volontà di introduzione del forum e di event site collegati al sito principale del Distretto, nonché l’introduzione della semplice ma sempre efficace newsletter. E’ necessario altresì considerare che tali strumenti vanno gestiti in maniera costante con monitoraggi almeno settimanali e aggiornamenti almeno quindicinali: il presupposto del vantaggio per lo strumento telematico infatti è la velocità e la facile disponibilità di informazioni aggiornate. Il successo ed il raggiungimento degli obiettivi sembra dipendere molto anche dal grado di accuratezza con cui verranno predisposti ed aggiornati nel tempo i database dei vari stakeholders. Discutibile risulta la scelta di organizzare viaggi educational per giornalisti ed opinion leader, in quanto considerati da molti portatori di interessi il primo step di junkets107. Per quanto riguarda poi l’azione di predisposizione delle Attività dell’Ufficio Stampa, si rileverebbe utile la creazione di un database con le informazioni o i riferimenti relativi agli Uffici Stampa delle altre organizzazioni con cui interagisce il Consorzio. Il Piano complessivamente è concepito in modo agevole e comprensibile, e riassume in maniera semplice e chiara la concezione del ruolo e delle attività di comunicazione dell’ente. Tuttavia sono riscontrabili dei vuoti che andrebbero colmati, al fine di produrre uno strumento di pianificazione veramente esaustivo. Spesso nella descrizione delle azioni non vengono esplicitati i soggetti destinatari e viene fatto solo un riferimento generico allo strumento, senza indicazioni più specifiche sulle caratteristiche tecniche oppure ai criteri per l’individuazione della declinazione più adatta (es. merchandising o la citazione di due eventi futuribili, ma per nulla certi). Per ogni strumento vanno necessariamente indicate quindi: Caratteristiche scelte (descrizione, esempi o criteri per l’individuazione del giusto strumento all’interno della gamma) Target a cui si rivolge A chi viene affidata la progettazione e la gestione dello strumento, e se tale soggetto è interno o esterno al Consorzio. 107 I junkets sono “viaggi di gruppo che vengono offerti a giornalisti o ad altri segmenti di opinion leader in luoghi esotici o comunque attraenti per presentare un prodotto, un servizio o un’idea che potrebbero benissimo essere presentati in luoghi meno ameni e costosi”. Il termine è dispregiativo e viene usato da quei giornalisti sempre più numerosi, che deprecano questa condotta poco etica. Da Muzi Falconi, Gorel. Governare le relazioni, Il Sole 24 Ore, Milano 2005; 180 Risulta inoltre curiosa e non coerente la considerazione di internet come una iniziativa indipendente di comunicazione. Internet nella fattispecie risulta uno strumento, del quale si sfruttano alcune tecnologie e possibilità che portano ad implementare attività che possono essere annoverate fra la pubblicità (es. direct e-mailing marketing) o fra quelle di relazioni pubbliche (es. Ufficio stampa e PR on-line). E’ importante poi non confondere gli strumenti con le attività di comunicazione: anche se ci sono eccezioni, gli uni declinano e determinano le altre e non viceversa. Una ultima osservazione riguarda l’uso della terminologia, della quale non viene mai specificato il concetto a cui esattamente ci si riferisce, con la preventiva esplicazione di parole come ‘stakeholder’ e ‘target’. 5.2.2 Il Comune di Pasiano di Pordenone Il Comune di Pasiano di Pordenone è una delle tre amministrazioni che hanno deciso di intraprendere il percorso di Registrazione EMAS. L’amministrazione nel corso degli ultimi anni ha effettuato molti interventi di opere pubbliche dotandosi di nuovi impianti. Inoltre ha affidato molte delle sue attività a forte valenza ambientale (gestione della raccolta dei rifiuti, gestione verde pubblico, illuminazione, piscina, impianti sportivi) in appalto a società o ad Associazioni non profit. Per questi motivi, il Comune ha ritenuto che EMAS potesse essere un valido strumento per il monitoraggio, la valutazione ed il controllo delle risorse territoriali. Attualmente il Comune non è ancora registrato, ma ha già completato la stesura del Manuale di Gestione Ambientale e ha già stabilito quale sarà la sua Politica ed il suo Programma di gestione ambientale. Pasiano di Pordenone è il terzo fra i principali comuni del Distretto per il numero di imprese del settore legno-arredo, con una percentuale di circa il 17% dell’intero numero di aziende-industria del settore all’interno degli 11 Comuni, con 31 industrie su un totale di 387108. 108 29; Rapporto Analisi Ambientale del Distretto del Mobile Livenza, Censimento attività produttive, pag 22- 181 All’interno dei suoi confini sono individuabili due zone industriali consistenti, localizzate a Cecchini e Pasiano capoluogo. Il suo territorio ha una superficie di 45,50 km² e una popolazione di 7832 abitanti. Le elezioni amministrative del 2004 hanno visto la riconferma alla Lista Civica “Insieme”, di orientamento centro-sinistra. I dipendenti dell’amministrazione comunale sono in totale 38, suddivisi in quattro aree ciascuna con a capo un responsabile generale. Il Segretario comunale è anche Direttore Generale. 5.2.2.1 Struttura, caratteristiche, finalità e strumenti della attività di comunicazione L’attività di comunicazione del Comune di Pasiano è svolta da ciascun ufficio in maniera indipendente ed è sottoposta al controllo del responsabile di Area competente. Non esiste un ufficio che coordina le attività e gli strumenti di comunicazione a disposizione, ma l’Area Affari Generali-Cultura-Servizi Informatici gestisce interamente alcuni strumenti di comunicazione dell’ente, in particolare il sito web e il bollettino comunale. Da questa area vengono inoltre progettate la quasi totalità delle attività di comunicazione esterna più importanti, visto che un ufficio si occupa della organizzazione e promozione delle manifestazioni ed eventi. In occasione di un solo evento di respiro provinciale e regionale109 il Comune affida l’attività di promozione e comunicazione ad una agenzia esterna. L’ente non dispone di un Ufficio Stampa, eventuali comunicati sono predisposti ed inviati sempre dagli uffici di quest’Area. Altri due uffici molto attivi sul piano comunicativo esterno fanno capo all’Area Demografica e Servizi Socio Assistenziali e sono il Progetto Giovani e la Biblioteca Civica, che periodicamente organizzano manifestazioni e coinvolgono i propri target attraverso l’invio di mail, la distribuzione di volantini presso gli esercizi commerciali e le affissioni. All’interno degli abituali e principali interlocutori dell’ente figurano i membri delle Associazioni (sportive, d’arma, culturali e sociali) con i quali l’amministrazione 109 “Isola della Musica” è una manifestazione giunta nel 2006 alla sua III edizione, finanziata dalla Regione. Si compone di una tre-giorni di concerti completamente gratuiti, con ospiti di fama nazionale. 182 collabora spesso per la realizzazione di manifestazioni. Al secondo posto ci sono gli alunni delle scuole elementari e medie, con i genitori. Il Comune dispone di diversi strumenti di comunicazione, ma spesso alcuni di essi vengono privilegiati in quanto ne risulta più veloce la predisposizione. Gli strumenti sono: Manifesti, locandine e volantini. Vengono adottati in quasi tutte le occasioni per la promozione e la pubblicità di eventi. A tirature elevate si affida il progetto grafico ad una tipografia. Convenzione tv con Telepordenone, che prevede la garanzia di creazione e trasmissione di 12 servizi tv da parte di una famosa emittente locale privata sulle manifestazioni più importanti segnalate e proposte dal Comune. Bollettino comunale semestrale la cui redazione dei è a cura dell’ amministrazione con la sponsorizzazione delle aziende commerciali ed artigiane del territorio. Veicola principalmente informazioni ed approfondimenti sui servizi dell’ente. Depliant, brochure Strumenti ‘storici’ predisposti da tutti gli uffici, mirano ad offrire informazioni approfondite in merito a questioni permanenti o di una certa durata. Comunicati stampa. Sito web. Le attività di comunicazione ambientale che sono state organizzate dall’avvio del progetto di certificazione EMAS non sono particolarmente numerose, e si compongono di eventi e di una azione di informazione dell’avvio del Progetto di Registrazione ambientale. Gli eventi rappresentano momenti di grande rilevanza e svolta per il comune, perché per la prima volta si è cercato un approccio non solo informativo ma anche relazionale con le parti. Essi sono: Il Progetto BimbInBici: Pasiano ha aderito alla rete nazionale di Città Sane, che intende promuove una nuova cultura della salute. Il 2006 era dedicato al tema della mobilità sostenibile e l’amministrazione ha istituito un Comitato che si riuniva periodicamente per predisporre azioni di educazione stradale. Sono state organizzate due competitive con i bambini delle scuole elementari e medie. pedalate non 183 Riunioni con la cittadinanza per la spiegazione del nuovo sistema di raccolta dei rifiuti, con la proiezione di filmati che analizzavano le motivazioni ed i vantaggi ambientali del nuovo metodo. L’azione di diffusione della adesione del Comune al Progetto EMAS è avvenuta principalmente attraverso una attività di ufficio stampa temporaneo, alla stesura di articoli per il bollettino comunale e all’inserimento delle nuove informazioni nel sito web, spiegando in maniera semplice e concisa che cos’è EMAS e quali sono i vantaggi che può apportare a Pasiano. In generale è possibile affermare che l’attività di comunicazione del Comune di Pasiano è di tipo prettamente informativo ad una via e le iniziative di ascolto e coinvolgimento della popolazione sono abbastanza sporadiche e legate a tematiche ben precise, come ad esempio incontri con l’amministrazione. Ciò non è dovuto alla mancanza di sensibilità degli addetti, che riconoscono i vantaggi di una buona attività di sondaggio ed ascolto dei pubblici, bensì alla carenza di personale. Tuttavia è riscontrato che nel momento in cui i cittadini o un qualsiasi altro soggetto richiede informazioni di qualsiasi tipo, i dipendenti sono in grado di soddisfare velocemente tutte le richieste. Per quanto riguarda la comunicazione di tipo ambientale, essa rappresenta solo una parte dell’insieme di comunicazione dell’ente, ma si caratterizza per essere improntata maggiormente alla relazione, all’ascolto e al coinvolgimento dei pubblici nella sua stessa programmazione ed organizzazione. 5.2.2.2 Future attività di comunicazione Con l’avvio del processo di Registrazione Ambientale, il Comune di Pasiano per la prima volta adotta uno strumento di organizzazione della comunicazione rivolta verso l’esterno. Il Piano dell’ente è stato progettato in modo da essere non solo un documento di sintesi delle attività di comunicazione ambientale programmate, ma anche come una specie di panoramica generale sulle possibili azioni comunicative effettuabili, che guidi i dipendenti all’utilizzo degli strumenti più adeguati e alla considerazione di più variabili. Il motivo alla base di questa scelta è proprio il fatto che ogni dipendente è chiamato ad organizzare anche l’aspetto comunicativo esterno di un suo qualsiasi compito ed è pertanto utile possedere un catalogo delle possibili leve da vagliare. 184 Il Piano di Comunicazione esterna del Comune di Pasiano è diviso in tre sezioni, ovvero: Principi generali; Le leve e gli elementi; Piano operativo di comunicazione ambientale; Nella prima sezione vengono ripresi i criteri e i principi che si sono tenuti in considerazione nella stesura del Piano, ovvero l’impianto normativo che disciplina l’attività di comunicazione negli enti pubblici e le disposizioni del Regolamento EMAS, che fanno riferimento solo alla normativa ISO 14001 in quanto alla stesura del documento (giugno 2006) la norma ISO 14063 non era ancora entrata in vigore. La seconda sezione quindi descrive le principali variabili da considerare nella definizione di una azione di comunicazione. Si suddivide in: Obiettivi. Si distingue fra gli obiettivi ambientali generali per i quali si è ritenuto appropriato avviare una attività di comunicazione e gli obiettivi specifici dell’attività di comunicazione esterna. I primi sono: Mantenimento e miglioramento della raccolta differenziata; Diminuire il consumo di risorsa idrica; Sensibilizzazione della popolazione al risparmio energetico; Riqualificazione del Parco Molini; Analisi della fiducia e collaborazione stakeholder ; Promuovere e stimolare la diffusione dell’educazione ambientale nelle scuole; Gli obiettivi dell’attività di comunicazione sono: Consentire maggiore pubblicità e diffusione delle attività dell’ ente, al fine di aumentare la partecipazione e l’affluenza del pubblico alle manifestazioni culturali e alle iniziative organizzate dal Comune anche in collaborazione con altri soggetti; Informare in maniera esaustiva sui servizi erogati e le modalità di accesso ad essi; 185 Avvicinare i cittadini all’ ente, fare sentire il Comune come un’organizzazione di cui si è soprattutto parte attiva, non passivoreattiva. Strumenti, ovvero l’insieme di veicoli già a disposizione dell’ ente attraverso i quali verrà declinata l’attività di comunicazione esterna. Si distinguono in: Manifesti, locandine e volantini pubblicitari Convenzione tv con Telepordenone Bollettino comunale Depliant, brochure Comunicati stampa Sito internet, che a parte un servizio di newsletter e di un mini sondaggio non è dotato di altri dispositivi di interazione. Attività, ovvero “l’insieme delle occasioni nelle quali risulta fondamentale organizzare una sistematica attività di comunicazione e promozione”. Esse sono: Eventi Inaugurazioni Presentazioni Informazione sui servizi Destinatari. Non vengono distinti in target ma solo in stakeholders. Per ciascuno vengono descritte le caratteristiche sociodemografiche, l’ufficio o l’Area amministrativa con la quale maggiormente interagisce, gli interessi. Sono: La comunità; I cittadini attivi; Il mondo economico produttivo: imprenditori, commercianti, artigiani e professionisti; Cittadini extracomunitari; Genitori con ragazzi frequentanti le scuole elementari e medie Alunni delle scuole; 186 Nella terza parte il Piano è dedicato esclusivamente all’attività di comunicazione ambientale dell’ente. Si compone di sei azioni, ciascuna delle quali è ottenuta mescolando in maniera diversa alcune componenti delle variabili indicate nella seconda parte. Ciascuna azione viene pertanto descritta esplicitandone le scelte. Di seguito verranno esposte in maniera sintetica. Azione 1 “Diffondiamo il verbo” Obiettivo specifico: diffusione della politica ambientale del Comune di Pasiano. Strumenti utilizzati: depliant, sito internet e bollettino comunale; Attività di informazione e di sensibilizzazione, che verrà effettuata in due creando momenti e luoghi specifici attraverso alcuni incontri pubblici, ed utilizzando le altre manifestazioni ed eventi come occasione per far conoscere Emas e la politica dell’ ente; Destinatari: la comunità; Azione 2 “Miglioriamo la differenziata” Obiettivo specifico: miglioramento delle quantità di raccolta differenziata del rifiuto e la diminuzione del fenomeno dell’abbandono dei rifiuti su strade o discariche abusive a cielo aperto; Strumenti: Sito, bollettino comunale e depliant riassuntivo- educativo sul sistema di raccolta differenziata nel Comune di Pasiano; Attività di informazione e di sensibilizzazione, che diffonda un messaggio razionale e supportato da dati; Destinatari: la comunità; Azione 3 “Risparmiamo l’acqua e l’energia” Obiettivo specifico: educazione al risparmio e uso razionale di acqua e di risorse energetiche in generale all’ interno del territorio comunale da parte dei cittadini e delle attività produttive. Strumenti: depliant; 187 Attività: di informazione e di sensibilizzazione, che diffonda un messaggio razionale (supportato da dati) presso i negozi rivenditori di elettrodomestici presenti nel Comune e con l’invio delle bollette; Destinatari: comunità, cittadini attivi; Azione 4 “Pasiano si ascolta” Obiettivo: mappare gli stakeholder dell’ente e comprenderne le opinioni in merito a tematiche di tipo ambientale; Strumenti: sito internet e newsletter, depliant; Attività di ascolto con sondaggio e di promozione del sondaggio stesso. Azione 5 “Educazione ambientale nelle scuole” Obiettivo: portare all’attenzione dei ragazzi tematiche ambientali facendoli riflettere sulle soluzioni possibili; Attività: sono previste una mostra curata da Larea, che si compone di un percorso guidato di pannelli colorati che affrontano la questione ambientale suddivisa per i temi acqua, aria, suolo, sottosuolo. Inoltre è prevista la riapparizione della manifestazione “Festa degli Alberi” con il concorso: “Così vorrei il mio Parco”; Destinatari: per la mostra, alunni delle scuole medie, per il concorso e la Festa gli alunni delle scuole elementari; Azione 6 “Mobilità sostenibile” Obiettivo: rimarcare e organizzare altre iniziative proposte dal Comitato Mobilità del Progetto Città Sane, in grado di aumentare l’attenzione a queste tematiche. Attività: Serata di dibattito con i genitori volontari dell’ Associazione DiDaFa che illustreranno il progetto “Treno a Pedali” attuato nel Comune di Porcia. Destinatari:sia i genitori che i bambini. Strumenti: depliant, newsletter. 188 5.2.2.3 Osservazioni Anche per il Comune di Pasiano si può procedere con l’osservazione della attività di comunicazione ambientale attuata distinguendo fra la situazione di partenza e le azioni progettate nel Piano. Per quanto riguarda il primo punto, si osserva che i deficit strutturali di organico incidono profondamente nell’organizzazione dell’attività di comunicazione. Anche se infatti ne viene compreso il ruolo e ne vengono apprezzati i benefici, questa funzione rimane pressoché accessoria ed in secondo piano rispetto a tutte le altre attività. Si è cercato di rimediare recentemente, con l’avvio di collaborazioni con le università organizzando progetti di stage formativi con mansioni di tipo comunicativo per studenti dalla adeguata formazione. Tali attività però devono essere continuative e prevedere un periodo di stage congruo con gli obiettivi da raggiungere: spesso c’è disparità fra il monte ore lavorative necessarie e le ore totali di stage previste per ciascun studente. Lo scarso coordinamento delle attività di comunicazione risulta comunque un grave deficit, sul quale l’amministrazione dovrà riflettere molto presto, considerando il fatto che quest’ultima è sempre più intenzionata ad aprirsi e condividere anche la progettazione di eventi con i suoi cittadini. Sarebbe utile anche una adeguata formazione dei Responsabili di Area prima, e dei dipendenti poi, sulle possibilità e progettazione delle attività di comunicazione. Per quanto riguarda la comunicazione ambientale, risulta di fondamentale peso che il Responsabile del SGA del Comune, individuato nella persona del Responsabile dell’Ufficio Ambiente, inizi ad avviare una stretta collaborazione con gli uffici dell’Area Affari Generali, in quanto oltre che ad essere gli organizzatori di tutti gli eventi e manifestazioni del Comune di Pasiano, anche quelli di stampo ambientale, essi sono i gestori di due strumenti di comunicazione fondamentali: il sito web (e tutte le tecnologie multimediali) ed il bollettino comunale. Per quanto riguarda il sito web, si rileva che è un tecnico specializzato dell’Ufficio Affari Generali a gestire l’aggiornamento del sito, e che quindi potrebbero essere affidati alla gestione ed al monitoraggio di questa figura anche altri nuovi sevizi multimediali da individuare, come un area forum oppure addirittura un blog. 189 Nel complesso, il Piano delle attività di comunicazione dell’ente risulta uno strumento informativo e programmatico, creato su misura per i presupposti che sussistono nell’ente. Questo può costituire sia un punto di forza che uno di debolezza, in quanto potrebbe essere considerato come un mero progetto esecutivo, mentre alcune azioni di comunicazione possono ancora essere sviluppate e approfondite con una maggiore ottimizzazione delle risorse impiegate. Inoltre è importante definire meglio il concetto di attività espresso nel piano: per come è strutturato, ciascuna attività si compone di più azioni comunicative, che possono essere pubblicitarie, di ascolto, di coinvolgimento. Per motivi di completezza, tali micro-azioni all’interno di ciascuna azione andrebbero specificate. Questo primo piano rappresenta una sperimentazione, ma in un secondo momento sarà utile distinguere fra destinatari della attività di comunicazione e stakeholders, soprattutto se verranno implementate azioni di tipo pubblicitario. I destinatari poi vanno a loro volta suddivisi per target da colpire. Le azioni individuate hanno caratteristiche di economicità, semplicità e pragmatismo, ideali per una organizzazione che non ha strutture deputate esclusivamente alla comunicazione. Il taglio che è stato dato alla comunicazione ambientale è di tipo relazionale e a due vie. Ciò potrebbe risultare molto difficile per i dipendenti, e l’ideale sarebbe quindi affidare l’organizzazione delle azioni e la supervisione del Piano ad una agenzia esterna, in grado però di collaborare in stretta sinergia con l’ente e tutti i suoi dipendenti. Le competenze di una agenzia esterna sarebbero utili nel momento in cui si debbano predisporre e decidere le modalità di ascolto, la predisposizione di varie ricerche sugli stakeholder, la misurazione e la valutazione delle attività attuate, in quanto questi soggetti sono professionisti. Complessivamente, le azioni di comunicazione ambientale individuate sono strettamente connesse al miglioramento delle performance ambientali del Comune. La base da cui si parte è il tentativo di avviare un processo di educazione ambientale e una relazione di ascolto. Tale ascolto sembra però rivolto solo alla comprensione delle opinioni dei cittadini, più che una volontà reale di condivisione delle scelte, come auspica EMAS: questo ulteriore salto deve essere obbligatoriamente attuato da una pubblica amministrazione, in 190 quanto più di qualsiasi altro ente o soggetto, una amministrazione ha il dovere di perseguire la volontà della propria collettività. 5.2.3 ACOP srl ACOP nasce nel 1979 da Giorgio Zanetti ed altri tre soci, avviando la produzione di svariati componenti per mobili. Nel 1990 il signor Zanetti decide di liquidare i soci e cedere ai figli, Gianluigi ed Alessandro, il 50% delle quote. L’azienda ha 10 dipendenti e fattura 700.000€. Nel ‘97-’98 si decide una virata strategica con la specializzazione in antine. Oggi ACOP conta 50 dipendenti, una azienda controllata ubicata a S. Stino di Livenza, 10.000.000€ di fatturato. Si occupa di produzione di antine al grezzo, levigatura e verniciatura. La controllata MBSS si occupa di carteggiatura del fondo. Le antine sono una componente fondamentale dei mobili, vengono acquistate dai produttori e successivamente assemblate con le altre parti per la vendita al consumatore finale. Pur esercitando una attività di subfornitura, i prodotti hanno una loro identità precisa e la loro ideazione nasce all’interno di ACOP. L’organizzazione aziendale è caratterizzata da una piramide molto schiacciata, dove vengono eliminate al massimo le figure intermedie. I tre titolari lavorano all’interno dell’impresa occupandosi ciascuno di presidiare diverse funzioni. In particolare: Giorgio Zanetti si occupa della funzione levigatura; Gianluigi Zanetti si occupa della produzione e della funzione commerciale, italia ed estero; Alessandro Zanetti si occupa di amministrazione, comunicazione, Assicurazione Qualità e Sicurezza e Ambiente (figure previste dalle norme ISO 9000 e ISO 14001); Il fatturato conseguito deriva circa per il 90% dall’Italia, per il 10% dalla Gran Bretagna. L’azienda ha conseguito nel 2001 la certificazione ISO 9001 e nel 2003 la certificazione ISO 14001. Dalla certificazione ISO è derivata la certificazione 191 FSC110. Nel 2004 ACOP decide di aderire al Progetto EMAS. Attualmente è in fase di implementazione del Sistema di Gestione Ambientale. La CSR di ACOP fa leva su pochi ma chiari valori, condivisi con tutti i collaboratori, esterni ed interni. Primo fra tutti è la centralità dell’uomo, in tutti i contesti operativi e verso tutti gli ambiti in cui agisce. Questo si traduce in attenzione verso i collaboratori, nell’inclusione delle esigenze e delle aspettative dei fornitori, nell’attenzione alla comunità territoriale. Tutte le azioni implementate hanno l’obiettivo di conseguire valore anche per questi soggetti. Anche la qualità ambientale è vista sotto il duplice beneficio che arreca ai dipendenti e alla comunità. Esemplificando, ACOP afferma che adottando sistemi per la riduzione delle sostanze volatili di verniciatura non aiuta solo l’ambiente: ciò che è importante è il fatto che saranno migliorate le condizioni di lavoro dei collaboratori e la comunità beneficerà di una diminuzione degli odori provenienti da questa attività. 5.2.3.1 Struttura, caratteristiche, finalità e strumenti della attività di comunicazione La gestione della funzione di comunicazione è riservata alla dirigenza, che si avvale di collaboratori saltuari con nessun potere decisionale in delega. Le relazioni interne in azienda fanno leva sulla condivisione di esperienze, in modo da far sentire i collaboratori parte di una squadra. I numero di addetti è piccolo e la formazione sembra essere lo strumento più adatto. Tale attività non si focalizza solo sull’acquisizione di nuove conoscenze, ma sullo sviluppo di capacità personali quali l’ascolto e la collaborazione, con formatori specializzati. Anche ai fornitori vengono offerte queste possibilità di arricchimento personale, puntando l’attenzione verso la gestione dei conflitti ed il problem solving. L’idea di comunicazione esterna in ACOP è strettamente connessa con il marchio. Si fa leva su questo elemento per trasmettere tutti i valori con cui ci si identifica ovvero il dinamismo, l’effervescenza, la sicurezza della qualità. Il budget riservato alle attività di comunicazione non è molto elevato, ma si 110 La certificazione FSC è una certificazione del prodotto derivato dal legno che attesta ai clienti che ne fanno richiesta che il legno usato nella produzione del prodotto non proviene da foresta primaria e che lo stesso quantitativo di legno usato per la produzione è stato ripiantumato. 192 cercano sempre soluzioni economiche in grado di offrire ampia visibilità e che siano coerenti con i valori in cui l’azienda si identifica. Per due anni ACOP è stata uno degli sponsor ufficiali dell’Udinese Calcio, unica società calcistica friulana in seria A, caratterizzata da un’immagine di semplicità e passione. Grazie a questa sponsorizzazione, i titolari hanno potuto offrire a numerosi collaboratori e fornitori la possibilità di assistere a numerose partite. Lo sport è un attività che ben si appresta a personificare e rappresentare ACOP: l’azienda sponsorizza anche la squadra locale Visinale Calcio categoria Eccellenza ed ha acquistato il nuovo pullman per la squadra dei Pulcini. In occasione della fiera ZOW! di Pordenone111 si utilizzano manifesti stradali posizionati sui principali assi urbani: questa è l’unica attività di tipo meramente pubblicitario. Le fiere sono un’occasione importante per questa azienda, che sceglie di partecipare a pochi eventi ma con collocazioni ed allestimenti strategici. Altro strumento di comunicazione è il sito web, che funge da portale informativo e completa vetrina, attraverso cui si possono ottenere approfondite informazioni sull’azienda. I titolari hanno anche un rapporto diretto e personale con le principali testate giornalistiche ma questa attività è usata sporadicamente e con parsimonia. 5.2.3.2 Future attività di comunicazione ambientale ACOP in futuro intende proseguire per la via tracciata, secondo una strategia che fa della comunicazione un ulteriore mezzo per esplicitare il proprio impegno e le proprie concezioni. La comunicazione ambientale è parte di questo sentito e verrà declinata in diverse accezioni. Innanzitutto, verso i collaboratori si effettueranno attività di formazione ed educazione ambientale. Per quanto riguarda la comunicazione esterna, l’approccio punterà ad una maggiore collaborazione con altre componenti territoriali, soprattutto enti locali, in modo tale da riuscire a legarsi ancora di più al territorio e fare in modo di dare il contributo ad azioni in grado di fare emergere valori legati a tematiche sociali di tipo ambientale. Le sinergie in ACOP sono considerate delle grandi opportunità comunicative e relazionali: 111 ZOW! è il salone della componentistica del mobile più grande di tutta Europa, si svolge a Pordenone verso novembre-dicembre. Giunto alla sua terza edizione nel 2006, si è definitivamente consacrato in poco tempo una delle vetrine più specifiche ed importanti per il settore. 193 l’azienda è disponibile ad attuare progetti in cooperazione con altre imprese e con le istituzioni soprattutto per queste tematiche, anche se per il momento non si sono profilate occasioni concrete di collaborazione. 5.2.2.3 Osservazioni ACOP ha una identità e caratteristiche molto precise, che fanno della responsabilità sociale una componente fondamentale. Come evidenziano le ricerche empiriche esposte nel capitolo 1, la CSR nella PMI è una attività strettamente connessa all’etica ed al sentito dell’imprenditore, che ne sancisce i confini e la concezione. Fare responsabilità sociale per una piccola impresa significa innanzitutto rivolgersi al proprio interno e beneficiare positivamente del clima di cooperazione che ne consegue. Sembra che ACOP rispecchi totalmente questo schema: del resto, in aziende così piccole è quasi impossibile non fare riferimento alle concezioni e convinzioni personali del vertice. ACOP però non fa l’errore di identificarsi completamente nella sua dirigenza: l’azienda è un soggetto a sé, con la propria identità, ed è ben lungi dall’essere solo una creatura della famiglia Zanetti. Le scelte di comunicazione esterna riflettono ed influiscono molto sull’ottenimento di tale risultato in quanto la comunicazione è pragmatica, essenziale ed orientata alle azioni. Lo slancio percepito verso una maggiore cooperazione con altri soggetti per quanto riguarda le tematiche ambientali previsto per il futuro potrebbe far conseguire all’impresa maggiore consapevolezza sulle potenzialità e sbocchi (in termini di reputazione) che offre tale modalità ed aprire nuove prospettive. La nota negativa può essere il fatto di non aver previsto strumenti di monitoraggio e valutazione della comunicazione effettuata: tale attività di misurazione dei risultati con dati razionali potrebbe evidenziare in maniera inconfutabile il valore ottenuto dall’esercizio di questa funzione. 5.2.4 Deduzioni riassuntive Dall’analisi della struttura, delle caratteristiche, degli strumenti, delle attività presenti e future della comunicazione (in generale) e di quella ambientale (nel 194 particolare), si evince che le tre organizzazioni hanno approcci molto diversi a livello comunicativo. Ciò è dovuto alla loro essenza stessa in quanto costituzionalmente esse perseguono finalità diverse, anche se complementari. In campo ambientale tale complementarietà è maggiore che in alti ambiti, perché solo attraverso delle politiche comuni si può conseguire risultati soddisfacenti. Tale comunanza in campo operativo risulta oltremodo implementata con l’attivazione del Sistema di Gestione Ambientale e la conseguente Registrazione Ambientale EMAS all’interno di un progetto che comprende organizzazioni di una intera area territoriale. Molte però sono ancora le cose da progettare ed integrare al meglio all’interno di tali processi: la comunicazione risulta essere una di queste. Osservando la struttura dei piani di comunicazione si possono evincere delle notevoli differenze di linguaggio che dimostrano concezioni molto diverse della attività di comunicazione. Termini come stakeholder e target sono usati con diverse accezioni, generando una ovvia confusione nel momento in cui tali organizzazioni devono interagire fra loro. Accordarsi sul preciso significato di alcuni termini significa ricondurli ad un preciso concetto, che legato ad altri forma un’altrettanto preciso impianto concettuale. Pertanto risulta auspicabile per un futuro dotarsi di uno schema di programmazione simile per tutte le organizzazioni territoriali distrettuali, che utilizzi gli stessi concetti declinabili nelle diverse organizzazioni. Ciò, oltre ad una semplificazione e razionalizzazione delle attività di comunicazione comporterebbe la possibilità di comparazione delle strategie e delle azioni comunicative implementate dai diverse tipologie di soggetti sia a livello orizzontale (fra enti simili, es. fra i tre comuni) sia a livello verticale (fra organizzazioni diverse, es. comuni ed imprese). Uno schema potrebbe essere quello proposto dalla Norma ISO 14063. Con questo metodo comune sarebbe anche più facile individuare le possibili azioni da svolgere in partnership con altre organizzazioni, in modo da razionalizzare gli interventi e condividere strumenti efficaci, realizzando una sorta di ‘economia di scala’ della comunicazione. In nessun piano o programma si fa riferimento ad attività di valutazione della comunicazione: ciò è da considerarsi una carenza a cui far fronte il più presto 195 possibile, in quanto un monitoraggio dei risultati apporterebbe il doppio vantaggio di riconoscere immediatamente le carenze da migliorare, ma anche di identificare in maniera palese e razionale i vantaggi ed i risultati ottenuti dalle attività di comunicazione. Molto è ancora da fare per raggiungere questi traguardi, ma EMAS e la comunicazione ambientale che esso attiva sembra essere una buona leva iniziale, all’interno della quale sperimentare le prime collaborazioni in azioni semplici, come la partecipazione distrettuale alle fiere attraverso gli stand delle aziende. Il ruolo di regia non deve essere accentrato gerarchicamente al Consorzio, bensì deve essere diffuso fra tutti i soggetti in maniera reticolare, che di volta in volta saranno detentori di specificità comunicative da utilizzare in condivisione con e altre organizzazioni. Al Consorzio (ed alla futura ASDI) è affidato il compito di conoscere tali flussi e competenze comunicative, in modo da poter aiutare le organizzazioni ad intercettare ed inserirsi nei circuiti più adatti alle loro esigenze e capacità. 197 CONCLUSIONI “Quella notte ero giunto al bivio fatale. Se mi fossi accostato alla mia scoperta con animo più nobile, se avessi rischiato l’esperimento sotto l’impulso di aspirazioni generose o devote, tutto sarebbe andato diversamente e da quelle angosce di morte e di nascita sarei uscito un angelo anziché un demonio”. Dott. Henry Jekill Attraverso il percorso creato nel corso di questi cinque capitoli, si è tentato di rispondere a una sere di interrogativi che si ripropongono spesso nel mondo economico, accademico e dei professionisti della comunicazione. In particolare, si fa riferimento a tre ordini di argomenti: il rapporto che intercorre fra la CSR e la comunicazione nell’attuazione delle diverse azioni di responsabilità sociale; i vantaggi della comunicazione e della realizzazione di politiche di CSR per le piccole medie imprese; il possibile ruolo di moltiplicatore di buone pratiche ambientali che viene assunto dalla comunicazione. Il Distretto del Mobile Livenza è un caso emblematico che racchiude in maniera complessa tutti questi temi: analizzarne le strutture di riferimento può offrire degli spunti per rispondere alle controverse questioni sopracitate. Nelle prime due parti del lavoro si è cercato di sviscerare il panorama concettuale degli argomenti interessati. In particolare: I concetti di CSR in ambito internazionale, europeo ed italiano da parte dei soggetti pubblici, privati, non profit sia di grandi che di piccole dimensioni; 198 Il ruolo della comunicazione nello sviluppo di politiche di CSR e l’analisi dei principali strumenti di attuazione, con le seguenti implicazioni comunicative che ciascun mezzo comporta; L’importanza fondamentale della tematica ambientale nella CSR, con l’individuazione di motivazioni e declinazioni comunicative finora adottate dalle organizzazioni. Si sono poi analizzati nel dettaglio gli strumenti delle certificazioni, ovvero uno degli strumenti di gestione della CSR più efficienti ed il ruolo che al suo interno ricopre la comunicazione. Sulla base di questo esame si è passati nella terza parte all’analisi del caso del Distretto del Mobile Livenza, al fine di individuare in un congiuntura pratica i riscontri dei concetti scaturiti precedentemente. L’insieme di questi elementi costituisce la base delle riflessioni conclusive che verranno esposte qui di seguito. Esse verranno suddivise in tre livelli ed esposte in un ordine che va dal caso particolare al generale. Il primo gruppo comprende le deduzioni che si possono fare in riferimento al caso analizzato del Distretto del Mobile Livenza. Senza dubbio, il Progetto analizzato è altamente innovativo e segna una svolta di prim’ordine nella storia di questo sistema produttivo per due ragioni. Per la prima volta infatti vi è la tensione verso strategie non orientate esclusivamente alla produzione. Questo progetto riporta un certo livello di attenzione alle radici ed alla tradizione sociale di questo territorio, concentrandosi sul rispetto di una ricchezza unica e non replicabile come l’ambiente, che sarà sempre di più elemento fondante della qualità della vita. Ma non basta: anche il prodotto che risulta da questo sistema produttivo verrà irradiato di nuove qualità connesse con valori più intangibili. Tale fattore può essere una leva molto competitiva nei mercati intenazionali, soprattutto perché tali valori sono supportati a monte da un sistema di certificazioni che ne assicura la veridicità. L’input che questo Progetto vuole offrire al territorio e ai suoi sempre scettici mobilieri è la dimostrazione della validità di strategie congiunte su variabili strategiche di medio-lungo periodo, per debellare definitivamente la politica individualista tipicamente nordestina. Per le PMI diventa sempre più importante connettersi e lavorare insieme e si auspica che il successo di questa azione 199 possa scardinare questa ideologia pericolosa e arcaica, dimostrando la validità dell’avvicinamento ad asset nuovi ed intangibili. Tali caratteristiche vengono sviluppate da competenze diverse da quelle usate fin ora: fra queste in primis si trovano la gestione delle relazioni e la comunicazione. Le azioni informative ad una via con un ruolo operativo non bastano più, è fondamentale sviluppare attività a due vie con un ruolo strategico avvalendosi dell’ausilio di professionisti competenti, al fine di captare ed includere i bisogni dei propri stakeholders fra le considerazioni operative da effettuare. Il caso del Distretto del Mobile è anche un formidabile esempio di innovative strategie competitive avviate da un sistema di Piccole e Medie Imprese allo scopo di assicurasi un vantaggio. Ciò conduce alla possibilità di avviare un secondo livello di considerazioni. La cooperazione fra i diversi attori risulta essere la soluzione operativa competitivamente ottimale per le piccole medie imprese, in quanto i mezzi che può mettere in campo una singola organizzazione nell’esercizio di una attività produttiva, saranno sempre inferiori della somma dei mezzi di più organizzazioni. Condividere mezzi e competenze attraverso lo sviluppo di progetti comuni significa moltiplicare le risorse, i canali e le possibilità. Questi nuovi scenari per i sistemi territoriali, queste dinamiche di sviluppo reticolare, sono destinate ad incidere profondi cambiamenti in molte organizzazioni del territorio. Alcuni soggetti all’interno dei sistemi sociali vedranno modificato il loro ruolo: per esempio le Associazioni di Categoria saranno autentiche catalizzatrici e promotrici di aggregazioni, con una crescita della loro importanza come centro di riferimento di idee e di linee per il futuro. Anche la pubblica amministrazione è chiamata a modificare il suo modo di operare: è necessario che sia molto più consapevole ed aperta al dialogo con i diversi comparti del territorio. Costruire relazione simmetriche e a due vie risulta pressoché essenziale per gli enti locali, in modo da evitare situazioni di contrasto come ad esempio una sindrome NIMBY. Il primo passo da compiere sembra quello di presidiare e gestire in maniera ottimale le relazioni con i 200 soggetti appaltatori dei servizi pubblici, in quanto questi ultimi soggetti spesso sono i fornitori di importanti servizi collettivi di base. Per quanto riguarda le direttrici strategiche dello sviluppo, la leva della CSR per le PMI rappresenta una prospettiva di sviluppo efficace (come per le grandi imprese) ma deve essere implementata in modalità congeniali all’organizzazione, con una scelta accurata dello strumento di CSR, pena l’inefficacia, o peggio, il sospetto che non esista una strategia di CSR, bensì solo una azione di comunicazione di CSR. Il terzo ordine di riflessioni riguarda il controverso e dibattuto rapporto fra CSR e l’attività di comunicazione. Alla fine di questo lavoro risulta evidente che il contenitore è la CSR, all’interno del quale la comunicazione svolge l’importante ruolo di facilitatore. La CSR non è una sola attività, bensì è un caleidoscopico insieme di azioni e leve che possono venire implementate da un singolo strumento oppure dall’utilizzo congiunto di più soluzioni. La comunicazione svolge in prima battuta il ruolo di coordinamento e gestione dell’enorme flusso di informazioni derivante dall’attivazione di tale processo. Alcuni strumenti di CSR fanno più leva sulle attività di comunicazione e l’equilibrio fra azione e comunicazione è molto delicato: lo sbilanciamento a favore della comunicazione può essere molto pericoloso. Gli effetti nella reputazione e nel valore dell’organizzazione possono essere deleteri. Se spesso nel passato si sono verificati tali accadimenti è soprattutto dovuto all’errore di fondo di aver confuso strumenti di CSR esclusivamente come strumenti di comunicazione di CSR. Solo chi gode di maggiore fiducia e credibilità, può esporsi maggiormente sul piano comunicativo esterno. Il compito dell’organizzazione è individuare lo strumento che maggiormente si adatta al livello di fiducia e credibilità di cui l’organizzazione gode nei confronti degli stakeholders e della comunità. CSR è anche comunicazione, ma non solo. Prima di questo, è fatti concreti esplicitati in obiettivi di miglioramento che non sono affatto di tipo comunicativo e non sono affatto di tipo esclusivamente reputazionale. Gli obiettivi primari 201 sono ad esempio una più efficiente razionalizzazione delle materie prime e delle risorse o la riduzione del costo di turnover. All’interno di questa visione d’insieme, le relazioni pubbliche quindi svolgono l’importante ruolo di ottimale gestore dei flussi di comunicazione, concorrendo così con il loro apporto al raggiungimento complessivo degli obiettivi di responsabilità sociale dell’organizzazione. Non sono il perno centrale della CSR, ma ne costituiscono un ingranaggio fondamentale. Assegnare tale ruolo alle relazioni pubbliche non significa affatto metterle in secondo piano: al contrario le innalzano a funzione determinante in quanto fungono da connettore fra i soggetti e gestiscono processi importanti quali l’ascolto ed il decision making attraverso processi decisionali inclusivi. A lungo andare condurre l’attività di relazioni pubbliche con questo tipo di modalità (e responsabilità) può sicuramente innalzare la credibilità di questa disciplina, allontanandone quell’aura di reputazione discutibile che ancora oggi la caratterizza. Il successivo riconoscimento del vantaggio che apporta tale disciplina potrebbe far compiere alle relazioni pubbliche il passaggio da funzione operativa ed accessoria a funzione strategica e basilare. 203 APPENDICE 204 INTERVISTA AD ALESSANDRO ZANETTI Titolare di ACOP srl Presidente dei Giovani Industriali della Provincia di Pordenone Alessandro Zanetti, 39 anni, è titolare di ACOP srl. assieme al fratello ed al padre In azienda si occupa di amministrazione e comunicazione, oltre ad essere il Responsabile dei sistemi di Assicurazione Qualità e Sicurezza ed Ambiente previsti dalle norme ISO 9001 ed ISO 14001. Nel 2003 è stato eletto Presidente dei Giovani Industriali della Provincia di Pordenone. Che significa fare CSR per un piccolo imprenditore del nordest? A mio parere esistono due tipologie di responsabilità: un punto di vista micro ed uno macro. Il primo è quello più vicino all’agire ed all’operare di tutti i giorni, quello che ti mette di fronte alla scelta di fare le cose tenendo conto anche dei bisogni dei tuoi dipendenti, dei tuoi fornitori, dei pasianesi e di Pasiano. Il secondo riguarda invece questioni di più ampio respiro, dove noi non siamo che la infinitesima parte di un tutto, come le dinamiche del settore in cui operiamo o l’ambiente. Ma credere di non incidere o di incidere poco in queste componenti è sbagliato. Infatti rapportate al livello micro, quindi alla nostra incidenza indiretta su tali variabili, influiamo eccome! Se ci si sforza di migliorare tutti gli aspetti su cui si agisce, direttamente ed indirettamente, si contribuirà sicuramente al miglioramento del complesso. Pertanto è necessario assumersi in pieno i propri doveri, certi che nel lungo periodo l’aver tenuto conto anche di tutto questo ci porterà un vantaggio. Quali sono i vantaggi che auspica per ACOP con l’avvio di queste politiche? Ciò che auspichiamo è la creazione di una reputazione che si tramuta poi vantaggio economico. Il punto è quanto veloce sia questo processo di trasformazione. Per le piccole imprese, il processo è lento, perché i 205 mezzi, le politiche, le azioni sono sconosciute ai più, riguardano i collaboratori quotidiani. Per un organizzazione come il distretto il processo è molto più veloce perché le azioni sono più complesse e rivolte a target più ampi. La cosa importante e che molti non colgono è che il vantaggio economico con l’adozione di queste politiche è immediato: ci sono strumenti, come EMAS, che prima di dare un ritorno di immagine ci hanno permesso di ridurre i costi di produzione perché obbligano a monitorare e misurare quantitativamente variabili che prima erano solo approssimative. La reputazione è un ulteriore plus, che dipende anche da altri fattori. Qual è il vantaggio più grande che ha portato EMAS in ACOP? Come ho detto prima, ci sono stati considerevoli diminuzioni dei costi di produzione per alcuni processi, in quanto si è obbligati a ragionare sulla base di dati ed indici concreti: ‘spaccando il capello in quattro’ abbiamo individuato inefficienze che prima di tutto erano costi di materie prime, maggiori consumi sul sistema dei trasporti, spreco di materiale. Tutta questa riflessione poi ha portato ad un aumento delle competenze ed un arricchimento delle conoscenze, una maggiore disciplina nella gestione dei processi, perché ha fornito un metodo preciso. Prima ancora di arrivare ad un aumento della reputazione, tutto questo mi sembra già un ottimo risultato… Comunicare la sua responsabilità ambientale fa conseguire un vantaggio alla sua impresa? Certo che lo fa. Ma come dicevo prima, queste politiche non si fanno in primis per essere poi comunicate. Si fanno perché migliorano le prestazioni dell’azienda. ACOP è un’azienda BtoB e nel comprare i nostri prodotti influiscono prima di tutto altre variabili per i nostri clienti, tra le quali il prezzo è la componente fondamentale. Ma se si riesce a 206 mantenere il prezzo competitivo ed a offrire un ulteriore plus che è ricavato dalla mia attività di comunicazione, allora ha senso. Da Presidente degli Giovani Industriali, cosa crede che manchi ai piccoli imprenditori del Nordest oggi? Senza dubbio, un po’ di grinta… quella che avevano i nostri padri. I giovani imprenditori sono senza dubbio più preparati, più colti, molti sono in gamba, ma manca una profonda voglia di responsabilità, di prendere le redini dell’azienda di famiglia con gli oneri e gli onori che questo comporta. Il passaggio generazionale non è cosa da poco: i padri spesso non lasciano crescere i loro figli, oppure ai figli va di prendere le redini, ma di poter partire dall’alto…in una piccola impresa devi crescere giorno per giorno, in modo che quando arrivi in cima, sai bene che cosa andrai a gestire. Quale crede che sia l’opinione degli imprenditori pordenonesi nei confronti della comunicazione? È solo ancora pubblicità? Anche per i giovani? Purtroppo…si. E non solo ad un livello concettuale, ma anche ad un livello di strumenti usati: si usano sempre le stesse cose, gli stessi canali, le stesse modalità, facendo della comunicazione una attività operativa di contorno, della quale si può fare anche a meno. Bisognerebbe davvero far capire attraverso le cifre il valore ed il vantaggio di dare anche a questo aspetto il giusto valore: 10 anni fa, eravamo sconosciuti e anonimi, oggi ACOP è un’azienda con una reputazione giovane e dinamica ed i nostri fornitori, oltre al prezzo e alla qualità, comprano anche questo. Avviare progetti come EMAS per fare comprendere l’importanza della comunicazione può essere utile per far cambiare idea agli imprenditori pordenonesi? 207 Definirei devastante l’impatto comunicativo che avrà EMAS. Perché punta sull’identità, sull’appartenenza, sulla condivisione di un progetto e di un ideale per il territorio, che è un elemento molto caro alle comunità di questi paesi, oltre ad essere un nuovo biglietto da visita per i nostri prodotti nei mercati internazionali e nazionali, che nessun altro prodotto del legno-arredo possiede. Dal mio punto di vista, non è stato ancora compreso appieno da tutti quanti noi la quantità di benefici che arrecherà e quanto EMAS fungerà da spinta qualitativa. Tutto questo è possibile fondamentalmente dalla partecipazione delle pubbliche amministrazioni, che davvero hanno dimostrato la loro forza aggregatrice. Nel futuro sarà fondamentale mantenere e sviluppare questa stretta collaborazione. Quanto crede che la CSR sia una questione di etica personale per un piccolo imprenditore? La CSR è sempre una scelta etica, solo che per il caso delle piccole imprese l’elemento del sentito personale dell’imprenditore è ancora più forte, perché è lui che indirizza in maniera vigorosa le azioni da compiere e le questioni da affrontare…ma questa è una caratteristica tipica delle PMI. A differenza delle grandi imprese, credo che nell’etica del piccolo imprenditore ci sia un maggiore valore attribuito ai propri fornitori e collaboratori, che con le loro competenze ed esperienze, contribuiscono al cambiamento ed alla positiva evoluzione dell’agire aziendale. Ciò che è indubbio nelle PMI è che le azioni di CSR siano strettamente correlate con l’etica, equazione che invece non è automaticamente riscontrabile nelle grandi imprese, perché CSR spesso equivale a operazioni di sola facciata. Parliamo un po’ dei nuovi mezzi di comunicazione usati dai piccoli imprenditori…cosa pensa del web e delle ITC connesse? Quando c’è stata la ‘corsa al sito web’ tutti pensavano ad un nuovo canale per vendere i propri prodotti. Oggi, quando ancora nessun imprenditore ha venduto un mobile via internet, si è capito che i vantaggi 208 sono molti altri: in pochi secondi infatti sei in grado di farti una idea ed un quadro dell’impresa che ti ha contattato, di visionare cataloghi, di capire com’è organizzata, insomma, di esprimere un primo giudizio. Le mail poi sono un veloce metodo di interazione. Per il momento, tutta la tecnologia multimediale utilizzata dalla maggioranza delle PMI si ferma qui. Il motivo è semplicemente perché questi due mezzi permettono di svolgere al meglio la comunicazione di cui necessita un piccolo imprenditore. Non ha senso organizzare un forum oppure un blog, se non ne viene percepito né il valore né il vantaggio: questi strumenti sono oltremodo futili fintanto che per i piccoli imprenditori la comunicazione a due vie e l’ascolto non diventano degli aspetti importanti da considerare. Quale crede che possa essere il fattore propulsivo che promuoverà la CSR nelle PMI? Come ho detto prima, sicuramente la pubblica amministrazione ha un ruolo primario, ma credo che altrettanto importante sia Basilea 2, che considera anche questi aspetti nella valutazione del rating: credo che la maggior parte dello sconto che si possa ottenere derivi proprio dalla considerazione di questi fattori. Tempo al tempo. Quale crede che possa essere il fattore propulsivo che promuoverà la comunicazione nelle PMI? La CSR. In qualsiasi azione di responsabilità sociale c’è la necessità e la spinta a mettersi in contatto con più soggetti, ascoltare, relazionarsi, condividere informazioni, comprendere, scambiare: per effettuare tutto questo è necessario l’uso di strumenti e metodi di comunicazione specifici…quando la molla scatterà, allora le cose cambieranno davvero. Tempo al tempo. Il mondo però corre…nell’ambito della comunicazione, il tempo delle PMI non sembra lo stesso del mondo economico… 209 Condivido. Questa è la sfida e la missione che devono portare avanti le Associazioni di Categoria come Unindustria: far capire che è tempo di cambiare e di aprirsi anche a questi nuovi mondi, che non sono più accessori, ma fondamentali. Il Progetto EMAS del Distretto del Mobile vuole essere il primo, grande passo verso questa presa di coscienza. 211 BIBLIOGRAFIA AIPEM (a cura di), Rapporto su orientamenti di investimenti delle aziende del Nord Est su strategie, risorse e mezzi di comunicazione, Udine, 4 novembre 2005; Stampato in proprio. L. Andriola, R. Ceccacci, La certificazione ambientale del territorio e degli enti locali: le applicazioni sperimentali dei sistemi di gestione ambientale, ENEA (RT/2002/16/PROT) 2002; Stampato in proprio. ANPA-Dipartimento di strategie integrate, promozione, comunicazione settore qualità ambientale delle Imprese, Linee guida per l'applicazione del Regolamento CEE 1836/93 (EMAS) e della Norma ISO 14001 da parte della Piccola e Media Impresa, Agenzia Nazionale per la Protezione dell’Ambiente, 09.1998; Stampato in proprio. Atti del convegno, L’impegno sociale delle PMI, Sodalitas, Milano, 10 febbraio 2003; Stampato in proprio. 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Viviani (a cura di), Il coinvolgimento degli stakeholder nelle organizzazioni socialmente responsabili, Maggioli Editore, Firenze 2006. 218 SITOGRAFIA www.acop.it ACOP srl www.apat.gov.it/emas Agenzia per la protezione dell’ambiente ed i servizi tecnici www.assocomunicazione.it Associazione delle imprese di Comunicazione www.bicaonline.it Biennale internazionale di comunicazione ambientale www.cantieripa.it/inside.asp?id=2065 Dipartimento della Funzione Pubblica, programma per l’innovazione della Pubblica Amministrazione – Piani di Comunicazione nella PA www.cittadinanzattiva.org Cittadinanza Attiva www.csrcampaign.org Ministero del Welfare – Campagna di diffusione della CSR www.csreurope.org/uploadstore/cms/docs/SMEKey.pdf Smekey - Programma sviluppo e diffusione della responsabilità sociale nelle imprese europee www.daldirealfare.eu Salone della Responsabilità sociale di Impresa www.distrettodelmobilelivenza.it Portale del Distretto-Consorzio del Mobile Livenza 219 www.eticare.it Eticare - Associazione per lo sviluppo di un economia sostenibile www.ervet.it/emas Emilia Romagna Valorizzazione Economica del Territorio www.europa.eu.int/comm/enterprise/entrepreneurship.htm Imprenditoria socialmente responsabile nelle PMI: www.ec.europa.eu/enterprise/csr/index_en.htm Sito della Commissione Europea ,sezione dedicata alla CSR nelle imprese www.federlegno.it/associazioni Federazione italiana industriali del settore legno www.feem.it/Feem/Pub/Publications/default.htm Fondazione Enrico Mattei www.ferpi.it Sito ufficiale della Federazione Italiana Relazioni Pubbliche www.fondazionenordest.net Fondazione Nord-Est - per lo sviluppo economico e sociale del Triveneto www.global reporting.org GRI-Guidelines for Sustainability Reporting www.i-csr.it italian Centre of CSR (I-CSR) www.improntaetica.it Associazione di promozione di pratiche etiche nelle imprese 220 www.iso.org International standard organisation www.istud.it/articoli&pubblicazioni/2006.htm Fondazione ISTUD per la cultura di impresa e di gestione www.isvi/ricerche.htm Istituto per la Ricerca dei Problemi Sociali dello Sviluppo www.lavoroetico.it Portale delle professionalità socialmente responsabili www.mi.camcom.it Camera di Commercio di Milano www.pentapolis.it Associazione per la diffusione della Responsabilità Sociale d’Impresa www.praxa.it/news Portale delle PMI www.provincia.re.it/ambiente Sezione Ambiente sito della Provincia di Reggio Emilia www.rsinews.it Giornale on-line di notizie sulla CSR www.sa8000.it Norma SA 8000 www.sodalitas.org Sodalitas-Associazione per la promozione dell’imprenditoria sociale facente capo ad Assolombarda 221 www.sportellocsr-sc.roma.it Sportello CSR della Camera di Commercio di Roma www.starnet.unioncamere.it Servizio di Statistica delle Camere di Commercio www.unioncamere.it/csr.htm Sito Unioncamere sulla CSR www.welfare.gov/csr Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali per la CSR 223 INDICE Introduzione III-IV PARTE PRIMA Capitolo 1 La CSR fra etica, morale e business 1.1 pag 7 Cos’è la CSR 1.1.1 Definizione e storia 3 1.1.2 Caratteristiche 6 1.1.3 Politiche di CSR 9 1.2 La CSR nelle PMI 1.2.1 Esiste una CSR a misura di PMI? 15 1.2.2 Posizioni istituzionali per lo sviluppo della CSR nelle PMI 19 1.2.3 Evidenze empiriche 22 Capitolo 2 La comunicazione nella CSR 2.1 pag 29 Il ruolo della comunicazione nelle strategie di CSR 2.1.1 La teoria degli stakeholder come presupposto 29 2.1.2 La leva della comunicazione nella CSR 34 2.2 Gli strumenti di CSR fra gestione e comunicazione 2.2.1 L’indissolubilità di gestione e comunicazione 43 2.2.2 Strumenti di CSR 44 2.2.2.1 Codice etico 2.2.2.2 Volontariato di impresa 2.2.2.3 Cause Related Marketing 224 2.2.2.4 Bilancio sociale, ambientale, di sostenibilità 2.2.2.5 Le certificazioni 2.3 La comunicazione di CSR nelle PMI 2.3.1 Caratteristiche della comunicazione nelle PMI 54 2.3.2 Comunicare la CSR nelle PMI 55 PARTE SECONDA Capitolo 3 Gestire l’ambiente con responsabilità 3.1 pag 59 La salvaguardia ambientale nella CSR 3.1.1 L’ambiente come prima responsabilità sociale 59 3.1.2 Esternalità riversate nell’ambiente 61 3.1.3 Il rapporto fra risorse naturali ed azienda 63 3.1.4 La comunicazione della variabile ambientale 64 3.2 Implementare la CSR ambientale con le certificazioni 3.2.1 Certificare il grado di qualità ambientale 69 3.2.2 Le principali certificazioni di prodotto 71 3.2.2.1 TIPO I: Ecolabel 3.2.2.2 TIPO III: Dap o Epd 3.2.3 Le certificazioni di processo 3.2.3.1 ISO 14001 3.2.3.2 Emas a. Applicazione di Emas b. La comunicazione in Emas: prescrizioni della norma ISO 14001 e la nuova norma ISO 14063 PARTE TERZA 76 225 Capitolo 4 Un Distretto, tanti attori, un progetto ambientale di rilancio pag 103 4.1 Il modello distrettuale italiano fra l’inaspettato successo e l’inevitabile crisi 4.1.1 Definizione e caratteristiche 103 4.1.2 La crisi dei distretti 109 4.1.3 Le soluzioni concrete per uscire dalla crisi 114 4.2 Il Nordest ed i distretti industriali 4.2.1 La Terza Italia 124 4.2.2 I distretti del Friuli Venezia Giulia 127 4.2.3 I distretti del Mobile 132 4.2.3.1 Il distretto del mobile della Brianza 4.2.3.2 Il distretto del mobile di Pesaro 4.3 Il Distretto del Mobile del Livenza 4.3.1 Un distretto, due regioni 139 4.3.2 Evoluzione storica e caratteristiche odierne 143 4.3.3 Anno Domini 2000:progetti e sfide competitive del Distretto del Mobile per il nuovo millennio 153 Capitolo 5 La comunicazione nel distretto, al distretto per il distretto pag 157 5.1 Un progetto di ripristino ambientale 5.1.1 L’ideazione e realizzazione del Progetto di Sviluppo EMAS del Distretto 5.1.2 Il ruolo della comunicazione nel Progetto EMAS 157 168 del Distretto del Mobile Livenza 5.2 Sistemi di comunicazione a confronto 5.2.1 Il consorzio del Mobile Livenza 5.2.1.1 Struttura, caratteristiche, finalità e strumenti 170 226 della attività di comunicazione 5.2.1.2 Future attività di comunicazione ambientale 5.2.1.3 Osservazioni 5.2.2 Il Comune di Pasiano 180 5.2.2.1 Struttura, caratteristiche, finalità e strumenti della attività di comunicazione 5.2.2.2 Future attività di comunicazione ambientale 5.2.2.3 Osservazioni 5.2.3 ACOP srl 190 5.2.3.1 Struttura, caratteristiche, finalità e strumenti della attività di comunicazione 5.2.3.2 Future attività di comunicazione ambientale 5.2.3.3 Osservazioni 5.2.4 Deduzioni riassuntive 193 Conclusioni pag 197 Appendice pag 203 Intervista ad Alessandro Zanetti 204 Bibliografia pag 211 Sitografia pag 218 Indice pag 223 Ringraziamenti 227 RINGRAZIAMENTI La vita ci riserva cose inaspettate e capire di far solamente parte della giostra ti rende di colpo più fragile, più insicuro, più sfiduciato. Allora, ho cercato di guardarmi attorno, cercando delle risposte. Ho trovato Emanuela, Flavia, Angela: tre modelli di donne a cui vorrei assomigliare, prima ancora di essere le mie adorate sorelle. Ho scoperto, incredula, la forza rivelata e tutta la fragilità celata di mia madre. Ho trovato la disponibilità e la pazienza della professoressa Mariapaola LaCaria, un’insegnante che oltre alla sua professionalità regala con garbo e senza riserve la sua morale, la sua passione ed il suo affetto. Ho visto la fiducia del Sindaco del Comune di Pasiano Claudio Fornasieri e di tutti gli Assessori ed i Consiglieri della maggioranza, che mi hanno permesso di operare ed agire sempre a pieno titolo come collaboratrice e non come stagista presso il Comune. Ho ascoltato parole, battute, idee, ironia, coraggio, entusiasmo e l’intelligenza davvero sensibile del Vicesindaco Pier Carlo Begotti, al quale devo molte delle possibilità che mi sono state regalate. Ho stimato il travolgente entusiasmo ed apertura del Presidente dei Giovani Industriali di Pordenone Alessandro Zanetti, che mi fa sperare in un Nordest più comunicativo e…grintoso. Ho apprezzato il pragmatismo del Presidente del Consorzio del Mobile Livenza Omero Ronchese. Ho tentato di emulare la leggerezza della precisione di Giada, con cui ho condiviso le emozioni di fiducia per questo progetto e quasi simultaneamente un immenso dolore. Ho cercato negli occhi pieni di emozioni e di empatia di Candu, nei silenzi nella rispettosa perspicacia di Marina, nelle parole lontane di Menchi, e soprattutto nel sorriso e nell’instancabile, travolgente, impetuoso e fiducioso entusiasmo per la vita di Vania… …e le mie amiche hanno sempre regalato(?). Ho trovato sette anni di innocente trasporto alla bellezza del quotidiano, di magia, di pensieri semplici ma profondi in tutti i ragazzi che ho avuto la fortuna di animare e conoscere in colonia a Lignano Sabbiadoro…ed ho incontrato persone come Elena, Giovanna, Ivan, Ema, Mattia, Macca, che si sono innamorati di questa trasparenza e come me si sforzano di non dimenticare la lezione. A ciascuno di voi devo molto. Grazie.
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