Tesi di Laurea LO STRANO CASO DEL DISTRETTO DEL MOBILE

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI UDINE
FACOLTA’ DI LINGUE E LETTERATURE STRANIERE
CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN RELAZIONI PUBBLICHE DI IMPRESA
Tesi di Laurea Specialistica
LO STRANO CASO DEL DISTRETTO DEL MOBILE LIVENZA:
Il ruolo della comunicazione ambientale in funzione del processo di
Registrazione EMAS
Relatrice:
Dott.ssa La Caria Mariapaola
Anno Accademico 2005-2006
Laureanda:
Piccinin Elisa
A mio padre,
che nei miei occhi ha lasciato
considerazione per i fatti
e parsimonia nelle parole.
I
…Dopo tutto, il colpevole era Hyde, e Hyde soltanto.
Jekill restava quello che era;
si risvegliava ogni volta con le sue doti positive apparentemente inalterate;
si affrettava perfino, quando era possibile, a rimediare al male compiuto da Hyde.
E così la sua coscienza sonnecchiava…
R.L. Stevenson
Lo strano caso del Dottor Jekill e del Signor Hyde
…C’è un territorio industriale e giovane ma dalle origini contadine antiche,
che ha una altissima concentrazione di fabbriche ma che contemporaneamente
conserva un alto tasso di ruralizzazione…
Non è solo Friuli, non è tutto Veneto.
Si chiama Alto Livenza, ed è un agglomerato di piccole e medie imprese
fucina dello sviluppo nazionale nel settore industriale del legno-arredo,
che per sopravvivere ha capito di dover ripensare anche all’ambiente,
che ha pensato di farlo partendo dai fatti e non dalle parole,
che faticosamente ha deciso di far vincere il Dottor Jekill…
III
INTRODUZIONE
Il presente lavoro desidera contribuire ad offrire spunti di riflessione su
molteplici tematiche correlate, riguardanti le modalità di comunicazione interna
ed esterna della Corporate Social Responsability (CSR) nelle piccole e medie
imprese.
Analizzando il caso del Distretto del Mobile Livenza, che ha avviato un
processo di certificazione ambientale EMAS coinvolgendo attori sia pubblici che
privati, si cercherà di analizzare e approfondire il ruolo della comunicazione e
del governo delle relazioni finalizzato al raggiungimento di obiettivi di
sostenibilità ambientale.
Considerando in prima istanza le implicazioni comunicative che la norma
prevede, si tenterà di tracciare un quadro di opzioni e possibilità offerte alle
organizzazioni. Tale insieme di strumenti e strategie contribuisce al miglior
raggiungimento degli obiettivi ambientali previsti e di riflesso crea un vantaggio
in termini di reputazione finalizzato alla crescita del valore d’ impresa.
In quest’ottica quindi, la comunicazione non ha finalità meramente pubblicitarie,
bensì diventa un volano del processo di responsabilità sociale, in grado di
creare educazione, coscienza e sviluppo sostenibile.
Tutto ciò impatterà inesorabilmente in un futuro più prossimo di quanto si possa
credere anche sulla professione dei relatori pubblici, che saranno chiamati a
misurarsi ed operare attraverso il nuovo paradigma etico della comunicazione
responsabile.
Il presente studio si prefigge di rispondere alle seguenti questioni:
La CSR è solo una moda che si declina principalmente in forma
comunicativa, oppure è concretamente una nuova filosofia di approccio
all’economia sostenibile?
Esistono degli strumenti di CSR più "buoni", nel senso efficaci e credibili,
in grado di fare realmente la differenza e che non si risolvono in una
mera operazione di immagine? come devono essere declinati, per
risultare tali? E fra questi, le certificazioni ambientali (ed EMAS nello
specifico) possono essere considerate per le loro caratteristiche
IV
intrinseche una garanzia di responsabilità sociale concreta, non effimera
o con scopi puramente di immagine?
Qual è il ruolo e il valore della comunicazione in un processo di
responsabilità sociale di impresa? Che cosa comunicare, la CSR scelta
oppure educare e trasmettere i valori della CSR scelta?
Quali sono le principali implicazioni (e complicazioni) nella gestione e
coordinamento di strategie comunicative, nel caso specifico facenti capo
a diversi soggetti che partecipano al processo di certificazione del
Distretto del Mobile Livenza?
La CSR nelle piccole e medie imprese (PMI) può essere davvero un
fattore competitivo di successo per il rilancio economico del nord-est?
Perché essa può essere in grado di assumere tale valore in questo
contesto territoriale?
Che ruolo possono e devono assumere in questo quadro i relatori
pubblici, chiamati ad operare come esperti della comunicazione?
Al fine di ottenere validi responsi, il lavoro è stato suddiviso in tre parti, in modo
da avviare un percorso graduale che esplicita tutte le componenti e le variabili
utili a trarre le conclusioni.
La prima parte è dedicata alla definizione del concetto di CSR, alla distinzione
fra la responsabilità sociale e l’etica, al ruolo delle relazioni pubbliche e della
comunicazione nei processi di sviluppo, ideazione e progettazione della stessa.
Sarà inoltre approfondita la questione dell’applicazione delle strategie di CSR
nelle piccole e medie imprese.
La seconda parte si concentra su uno specifico strumento di CSR, ovvero le
certificazioni ambientali, con particolare attenzione ad EMAS, alle sue norme,
realizzazioni ed implicazioni (soprattutto comunicative) della sua adozione.
Considerando infine il caso del Distretto del Mobile dell’Alto Livenza, che
rappresenta il primo caso sperimentale in Europa di Certificazione Ambientale
EMAS di tipo produttivo-distrettuale, verranno descritte nella terza parte le
scelte strategiche che i vari soggetti hanno operato in campo di comunicazione
ambientale, al fine di approdare a delle ipotetiche linee guida di riferimento per
le PMI nella comunicazione della CSR ambientale.
1
PARTE PRIMA
In un momento storico in cui è in corso un ampio dibattito sull’argomento, sia da
parte del mondo accademico, sia da parte del mondo dell’impresa, non è facile
scegliere come affrontare il tema della responsabilità sociale delle imprese.
In questo senso, una delle maggiori difficoltà consiste nel cercare innanzitutto di
tenere
presente
le
molteplici
voci
discordanti
che
si
alzano
contemporaneamente dai diversi fronti, tenendo però anche ben presente che
lo stesso dibattito spazia da un approccio di tipo scientifico che può essere
storico, sociologico, o economico-giuridico, per arrivare all’approccio, molto
meno scientifico, di chi vede nella Corporate Social Responsibility un
interessante strumento di marketing e comunicazione, riducendola solamente
ad un’insieme di attrezzi patinati che aiutano l’impresa ad apparire più
responsabile nei confronti dei differenti attori che a vario titolo con essa
interagiscono.
Proprio quest’ultima accezione rappresenta il fulcro di molte questioni ed ha
acceso negli ultimi anni una discussione sia interna al mondo dei professionisti
della comunicazione, sia esterna fra i comunicatori ed altri soggetti ed esperti
del mondo economico. Questo panorama così eterogeneo e frastagliato
costituisce l’orizzonte in cui si sviluppa il dibattito sulla CSR: chi vuole
parteciparvi deve indispensabilmente stabilire e motivare ex ante i confini entro i
quali inquadrare l’analisi che si vuole offrire come contributo.
Questa prima parte desidera esplicitare e sciogliere il nodo cruciale del rapporto
fra CSR e comunicazione.
Nel primo capitolo verranno specificati i concetti di CSR, con riferimento
all’evoluzione
teorico-storica
ed
alla
sua
considerazione
in
ambito
internazionale, europeo ed italiano sia da parte dei soggetti pubblici che di quelli
privati e non profit.
Successivamente il campo verrà ristretto alla declinazione e alle strategie di
CSR che sono state adottate nelle piccole e medie imprese.
Nel secondo capitolo sarà analizzato lo specifico ruolo della comunicazione
nello sviluppo di politiche di CSR. Dopo aver descritto l’importanza della
2
comunicazione nei programmi di responsabilità sociale, saranno analizzati i
principali strumenti di attuazione delle CSR e le seguenti implicazioni
comunicative che ciascun mezzo comporta, con un sguardo più approfondito
nei confronti delle certificazioni di prodotto e di processo per comprenderne
appieno la valenza.
3
Capitolo 1
LA CSR FRA ETICA, MORALE E BUSINESS
“Basterà dunque che io dica di aver compreso
che il mio corpo naturale era semplicemente l’aura e l’emanazione
dei poteri che formavano il mio spirito…”
Dott. Henry Jekill
1.1
COS’ E’ LA CSR
1.1.1 Definizione e storia
La letteratura sulla Responsabilità Sociale di Impresa è sterminata e al suo
interno sono rintracciabili numerosissime definizioni, che spesso però pur non
essendo discordanti, non mettono d’accordo tutti.
In termini generali possiamo definire la CSR come “l'integrazione di
preoccupazioni di natura etica all'interno della visione strategica d'impresa: è
una manifestazione della volontà delle grandi, piccole e medie imprese di
gestire efficacemente le problematiche d’impatto sociale ed etico al loro interno
4
e nelle zone di attività”1. Si tratta di un concetto innovativo e controverso,
espresso per la prima volta nel 1984 da R. Edward Freeman. Molti prima di lui
avevano già cercato di definire e spiegare l’importanza della considerazione di
valori etici nello sviluppo delle organizzazioni.
La CSR infatti nasce negli Stati Uniti nei primi decenni del XX secolo, quando
per effetto del governo Roosvelt si sviluppò una particolare attenzione ai
problemi sociali. La depressione degli anni ’30, causata da una bolla
meramente speculativa dei mercati finanziari e monetari, portò l’argomento alla
ribalta dagli anni ’50 in poi.
Il ‘padre’ della CSR è Howard Bowen2: egli per primo sancisce il dovere per gli
uomini di affari di incidere nel contesto ambientale in maniera positiva.
Negli anni ’70 il dibattito assume una notevole consistenza, alimentato da
movimenti sociali che iniziavano a battersi per la tutela dei consumatori e la
difesa dell’ambiente. Gli studiosi si concentrano principalmente su quattro temi:
le caratteristiche dei comportamenti aziendali definibili responsabilmente sociali,
il peso del contesto socio-culturale di riferimento, le motivazioni ad agire in
maniera socialmente responsabile, le procedure da adottare per interiorizzare
ed anticipare le istanze sociali ed incorporarle nel governo delle politiche
aziendali (la c.d. Corporate Social Responsiveness). In questi anni Carrol
elabora la ‘Piramide della CSR’, che sancisce la discrezionalità e la volontarietà
delle attività filantropiche. In base a questo schema la responsabilità sociale si
realizza in maniera graduale, successiva e secondo le priorità prima a livello
economico,
raggiungendo
il
profitto
(be
profitable),
successivamente
rispettando completamente la legge (obey the law), per poi passare ad operare
in maniera etica e rispettosa delle norme e dei valori sociali (be ethical), ed
infine, l’azienda si attiva in termini volontari con attività filantropiche con
investimenti discrezionali da parte della collettività (be a good corporate
citizen)3.
Ma la svolta arriva negli anni ’80, con la ‘Stakeholder Theory’ di Milton
Freeman4, che individua in concreto i soggetti verso i quali le imprese devono
essere socialmente responsabili. Il termine stakeholder indica “individui o gruppi
1
R.E. Freeman, Strategic Management: a Stakeholder Approach, London, Pitman, 1984;
V. Fazio, C. Luison, Guidarsi – La responsabilià sociale delle imprese, Edizioni Metakom, Venezia 2006,
pag 17;
3
N. Cerana, Comunicare la responsabilità sociale, Franco Angeli, Milano 2004;
4
E.R. Freeman, op. cit.;
2
5
che sono influenzati o che possono influenzare il raggiungimento degli obiettivi
di impresa” e per l’autore si suddividono in primari e secondari in base al loro
grado
di
necessità
o
meno
del
loro
apporto
alla
sopravvivenza
dell’organizzazione. Questa teoria ha messo in discussione l’idea olistica
dell’impresa, la sua unicità ed autoreferenzialità, la sua compattezza attorno ad
un nucleo omogeneo di interessi/comportamenti con motivazioni coerenti fra
loro. In questi anni si consolida anche il concetto di business ethic, che
approfondisce i valori su cui fondare le politiche e le strategie aziendali e di
corporate social performance, in base al quale le imprese devono fare della
CSR una attività con vantaggi economici misurabili e coerente in tutti i campi
d’impiego dell’organizzazione.
Negli anni ’90 una molteplicità di cause correlate fanno conoscere la CSR al
grande
pubblico.
Innanzitutto,
si
diffonde
il
nuovo
processo
della
globalizzazione, che porta le imprese a riorganizzarsi e delocalizzarsi
ripensando alla propria identità ed omogeneità smembrata dall’elemento del
luogo come caratteristica distintiva. Lo sviluppo dei nuovi media ha poi
permesso un accesso più democratico e veloce alle informazioni. Gli scandali
finanziari e le politiche poco ortodosse di alcune multinazionali con
conseguente boicottaggio da parte dei consumatori e del pubblico hanno
dimostrato l’importanza di considerare i consumatori attenti e smaliziati
interlocutori, in grado di smascherare e distinguere bene fra immagine patinata
e realtà dei fatti. Infine l’esplosione prepotente di organizzazioni non
governative
internazionali
e
associazioni
non
profit
che
lottano
per
l’affermazione di diritti e valori fondamentali senza eleggere il lucro economico a
scopo ultimo, ha sensibilizzato e responsabilizzato il pubblico su temi come
l’ambiente e la tutela dei diritti umani e delle minoranze etnico-religiose.
Dai soli modelli teorici si passa quindi a comportamenti pratici più consistenti e
decisi da parte delle organizzazioni, che capiscono in primo luogo (talvolta dopo
crisi e scandali di portata notevole) di non poter più operare in maniera del tutto
discrezionale, perché le scelte eticamente discutibili, seppur legali, vengono
facilmente smascherate e denunciate con gravi perdite a livello di immagine e
conseguentemente di profitto. Secondariamente, interpretando operativamente
gli studi accademici, le organizzazioni iniziano ad imboccare una via proattiva,
riconoscendo il loro ruolo e le loro responsabilità nei confronti della società dalla
6
quale traggono profitto. Alla fine degli anni ’90 si moltiplicano i codici etici e
vengono attivate molte politiche di responsabilità sociale non solo nelle imprese
statunitensi, ma anche in quelle europee, che si distinguono dal modello
anglosassone,
sviluppando
una
diversa
accezione
del
concetto
di
responsabilità sociale.
Negli ultimi anni le riflessioni sulla CSR convergono nel considerarla un
orientamento strategico di fondo, nel quale si riscontrano in particolare tre
elementi: la consapevolezza che i comportamenti responsabili assumano
importanza strategica poiché contribuiscono significativamente a consolidare la
legittimazione aziendale; il concetto di sostenibilità come creazione di valore nel
lungo e lunghissimo periodo che considera stakeholder anche le generazioni
future, ed infine l’importanza della rendicontazione e della comunicazione delle
performance, in un’ottica di trasparenza5.
1.1.2 Caratteristiche
La CSR è un fenomeno molto complesso e frastagliato, che nelle sue
declinazioni
operative
comporta
cambiamenti
significativi
all’interno
dell’organizzazione. Spesso però il termine è usato per definire esclusivamente
una strategia di comunicazione orientata al sociale, oppure al suo interno
confluiscono pratiche come la filantropia. Pertanto, una precisazione sulle sue
peculiarità è necessaria.
La responsabilità sociale delle imprese è ben lungi dall’essere solo un elemento
della comunicazione aziendale composto da una serie di strumenti ad hoc e
non é tantomeno una nuova teoria di marketing: puntare solo sulla
comunicazione e l’immagine potrebbe far raggiungere risultati nel breve
periodo, ma questa declinazione risulta molto limitata e non intacca la sostanza
dell’organizzazione, che è invece chiamata “a fare le cose che ha sempre fatto
in modo diverso”6.
Innanzitutto, il concetto di CSR si lega in maniera logica a quello di sviluppo
sostenibile, ovvero una nuova forma di sviluppo economico, che ingloba
5
V. Fazio, C. Luison, op. cit, pag 20;
K. Annan, Segretario Generale delle Nazioni Unite, durante la Conferenza del Global Compact dell’ONU,
2000;
6
7
all’interno del calcolo del vantaggio economico derivato da una attività
economica anche la dimensione ambientale e sociale. L’impresa non può
perseguire i suoi obiettivi senza tener conto dell’impatto che produce
all’esterno, per sopravvivere e continuare a crescere è necessario considerare
anche queste nuove istanze, in un’ottica di equità, responsabilità ed
integrazione.
Ciò che cambia quindi non è solo il modo di operare, bensì si comprende che le
condizioni stesse attraverso le quali si opera e si ottiene successo sono diverse,
perché è necessaria una prospettiva di lungo periodo, una maggiore attenzione
alla qualità della vita, un approccio preventivo, coerenza nelle politiche,
sensibilizzazione e consapevolezza, oltre a partnership e coinvolgimento. In
quest’ottica la CSR si presenta come una via allo sviluppo sostenibile.
Secondariamente, sostenibilità e CSR sono strettamente correlate al concetto
di etica, in particolare riguardo ai mezzi che un’attività economica mette in
azione per realizzare un determinato fine, individuabile in ultima istanza nel
maggior profitto possibile. L'economia cerca di ottenere i suoi fini col minor
costo possibile, in una prospettiva di efficienza. Di fatto questa efficienza ha
delle implicazioni in termini di etica e di comportamenti che un’impresa può
adottare per realizzare il suo scopo. Tali comportamenti rientrano anche nelle
sfere del diritto e della morale, complicando un quadro che oggi è ampiamente
dibattuto e costantemente smontato ed analizzato da diversi soggetti, che si
interrogano sulla reale importanza che può assumere la CSR come variabile di
efficienza organizzativa.
Gianpaolo Azzoni sintetizza le relazioni fra queste sfere rifacendosi alla
distinzione hegeliana fra le tre componenti della normatività: moralità, diritto ed
eticità. Se la morale “ha come contenuto i valori personali che ci detta la nostra
coscienza individuale, ovvero ciò che ciascuno di noi reputa in cuor suo giusto o
sbagliato”, il diritto invece è costituito da quelle norme che lo Stato sanziona
con i propri tribunali e con la propria forza esecutiva. Intermedia tra la moralità
ed il diritto si pone l’eticità, dove i diritti/doveri non sono né liberamente scelti
(come nella moralità), né imposti da un soggetto titolare dell’esercizio legittimo
della forza (come nel diritto): “nell’eticità i diritti/doveri sono condivisi in una
8
relazione intersoggettiva che si sviluppa entro uno ‘stare-insieme’ relativamente
stabile”7.
Quindi un comportamento etico è l’esito di un incontro tra organizzazione e
stakeholders che scaturisce da un processo eminentemente comunicazionale
ed esistenziale e che trova il suo motivo di esistenza dalla rilevanza e natura
delle azioni compiute dall’azienda. L’eticità si configura essenzialmente come
una pratica inclusiva. In questo senso una azienda etica è una organizzazione
che ricerca la sua licenza di operare anche nel confronto con gli stakeholders e,
in tale confronto, si impegna a comportamenti cui non sarebbe tenuta secondo
il diritto vigente.
In un secondo momento bisogna tenere presente che i requisiti richiesti per
essere un’azienda etica possono variare a seconda che ci si collochi nel
modello anglosassone oppure nel modello della cittadinanza sociale diffuso
nell’Europa continentale8. Il primo riduce i requisiti di eticità di un’impresa al
rispetto delle leggi e dei contratti. In questo contesto la CSR si esaurisce quasi
totalmente nella definizione e nel rispetto della corporate governance, cioè di
quell’insieme di regole, istituzioni e pratiche finalizzate a proteggere gli
investitori esterni da comportamenti opportunistici di imprenditori e manager,
avvicinandosi di più al concetto di business ethic. Il modello anglosassone
valorizza quindi il diritto, ma anche la moralità, cioè quegli atti che scaturiscono
dalla coscienza individuale dei manager.
Nel modello della cittadinanza sociale dell’impresa, l’azienda acquisisce la
propria licenza di operare solo se attua comportamenti strettamente etici, cioè
che tengano conto anche degli stakeholders, e non solo degli shareholders, in
un costante processo dialogico.
Oggi il modello della cittadinanza sociale guadagna consenso a livello mondiale
anche in quei paesi anglosassoni tradizionalmente da esso distanti, perché è
particolarmente adeguato alla attuale congiuntura economica, politica e
valoriale. Tale successo sancisce la diffusione di strategie di CSR sempre più
profonde e strutturali, che delineano politiche aziendali con precisi elementi che
possono essere riassunti in:
7
G.Azzoni, L’Azienda etica, saggio presentato al convegno: Responsabilità sociale dell’impresa e diritto
del lavoro, all’interno di un incontro di Diritto del lavoro, Pavia 17 maggio 2004;
8
G. Azzoni, op. cit, pag 7;
9
Volontarietà: l’azienda sceglie liberamente di attuare comportamenti
socialmente responsabili che vanno oltre agli obblighi della legge in
maniera consapevole.
Sistematicità: l’organizzazione decide di impegnarsi in maniera costante
e nel lungo periodo, al fine di raggiungere degli obiettivi precisi.
Globalità: la CSR influenza in modo significativo tutti gli aspetti
dell’organizzazione, incidendo sui processi gestionali, relazionali ed
operativi.
Accountability: l’azienda si impegna nell’esercizio di un valido reporting
che espliciti ed evidenzi attraverso parametri di tipo numerico i risultati
dell’attività di CSR.
1.1.3 Politiche di CSR
Le istituzioni si sono occupate di CSR a partire dalla seconda metà degli anni
’80, quando iniziò a prendere piede e consapevolezza il problema ambientale
globale e si rendeva necessaria una riflessione sul ruolo e le imputabilità da
assegnare ad imprese ed economia in campo ambientale e più in generale,
sociale.
Dapprima a livello internazionale e successivamente a livello europeo, la CSR
diviene una pratica strategica sostenuta. Nel 1987 il Rapporto Bruntland
elabora il concetto di sviluppo sostenibile, in cui viene sancito per la prima volta
l’impegno per il perseguimento di uno sviluppo che non comprometta le
generazioni future.
Nel 1999 l’OCSE pubblica le Linee Guida sulla governance e la Convenzione
contro il fenomeno della corruzione, a cui fanno seguito nel 2000 le Linee guida
per le multinazionali, che disciplinano questioni relative ai rapporti di lavoro,
concorrenza, fiscalità e corruzione. L’Organizzazione Internazionale del Lavoro
(ILO) nel 1999 pubblica la Tripartite Declaration of Principles concerning
Multinational Enterprises and Social Policy, che stabilisce una serie di principi di
condotta etica per le aziende che operano in un contesto globale.
Sempre nel 1999 nasce poi il Dow Jones Sustainability Index che riflette le
componenti fondamentali del concetto di sostenibilità. Questo indice infatti è il
10
primo a livello mondiale che, per valutare il valore di imprese quotate, prende in
considerazione anche le performance di sostenibilità dell’organizzazione
stessa.
L’iniziativa più importante si realizza nel 2000, quando per volontà del
Segretario Generale Kofi Annan, il Global Compact dell’ONU emana un
documento contenente nove principi per le imprese multinazionali che prevede,
tra le altre, disposizioni relative ai diritti dell’uomo, del lavoro e della tutela
all’ambiente.
A livello europeo il dibattito sulla CSR è più recente e il primo documento è
datato 1995. Un gruppo di aziende firma il Manifesto delle imprese contro
l’esclusione sociale su sollecitazione dell’allora Presidente della Commissione
Europea Jaques Delors.
Una tappa fondamentale è il summit di Lisbona del 2000. In questa occasione i
Capi di Stato e di Governo europeo si impegnano nel fare dell’Europa l’area
economica basata sulla conoscenza più dinamica e competitiva del mondo,
capace di una crescita economica sostenibile, con maggiori opportunità di
lavoro ed più forte coesione sociale. Nel documento prodotto si fa appello alla
Responsabilità Sociale delle Imprese grandi e piccole come un necessario
nuovo modo di operare per raggiungere gli obiettivi previsti.
Sull’onda di Agenda 21, nel luglio dell’ anno seguente la Commissione Europea
pubblica il Libro Verde intitolato Promuovere un quadro europeo per la
Responsabilità sociale delle imprese. Il documento rappresenta uno dei punti
cardine della strategia e del pensiero riguardante la CSR in Europa. Il Libro
Verde definisce la CSR come “l’integrazione su base volontaria, da parte delle
imprese, delle preoccupazioni sociali ed ecologiche nelle loro operazioni
commerciali e nei rapporti con le parti interessate”.
Essere socialmente responsabili significa non solo soddisfare pienamente gli obblighi
giuridici applicabili, ma anche andare al di là investendo ‘di più’ nel capitale umano,
nell’ambiente e nei rapporti con le altre parti interessate. L’esperienza acquisita con gli
investimenti in tecnologie e prassi commerciali ecologicamente responsabili suggerisce
che, andando oltre gli obblighi previsti dalla legislazione, le imprese potevano
aumentare la propria competitività. L’applicazione di norme sociali che superano gli
obblighi giuridici fondamentali, ad esempio nel settore della formazione, delle condizioni
di lavoro o dei rapporti tra la direzione e il personale, può avere dal canto suo un
impatto diretto sulla produttività. Si apre in tal modo una strada che consente di gestire
9
il cambiamento e di conciliare lo sviluppo sociale e una maggiore competitività .
9
COM(2001)366 definitivo, pag 7;
11
Il Libro Verde si sofferma ad analizzare molteplici aspetti e sfumature che può
assumere la CSR, distinguendo fra dimensione interna ed esterna all’impresa.
Di quella interna, le prassi socialmente responsabili posso rivolgersi alla
gestione delle risorse umane (1); alla salute e sicurezza nel lavoro (2); alla
capacità e soluzioni di adattamento alle trasformazioni (3) ed infine alla
gestione degli effetti sull’ambiente e delle risorse naturali(4).
Per quanto concerne la dimensione esterna invece, il Libro sostiene che la
responsabilità sociale delle imprese si estende alle comunità locali (1), ai
partners commerciali, fornitori e consumatori (2), ai diritti dell’uomo (4) ed alle
preoccupazioni ambientali a livello planetario(5).
Il Libro si guarda bene dal considerare la CSR una pura operazione di facciata,
stabilendo il principio e la necessità di una gestione olistica della strategia della
CSR, che modifica e si innerva in tutte le funzioni aziendali.
Successivamente vengono anche esposte le posizioni della UE nei confronti di
diversi strumenti della CSR, come le relazioni e audit sulla responsabilità
sociale, le etichette sociali ed ecologiche e gli investimenti socialmente
responsabili.
Infine, la UE enuncia una serie di questioni cruciali e nodi da sciogliere negli
anni venturi, precisando per ciascuno il suo ruolo e quello degli altri attori. In
particolare il Libro Verde riconosce il suo impegno nel promuovere lo sviluppo
della responsabilità sociale delle imprese a livello europeo e internazionale,
completando le attività socialmente responsabili esistenti e apportando un
valore aggiunto.
Al Libro Verde segue nel 2002 la Comunicazione Responsabilità Sociale: un
contributo delle imprese allo sviluppo sostenibile, che indica la strategia
europea per promuovere la pratica della CSR nelle imprese. Partendo da una
serie di principi, la UE si impegna a sviluppare una strategia di diffusione della
CSR in diversi aspetti:
Fornire
maggiori
informazioni
riguardo
gli
effetti
positivi
della
responsabilità sociale;
Rafforzare lo scambio di esperienze e di buone pratiche;
Promuovere lo sviluppo e la capacità di gestione della CSR;
Incoraggiare la CSR nelle PMI;
Facilitare la convergenza e la trasparenza delle pratiche e degli strumenti;
12
Organizzare L’European Multistakeholder Forum sulla CSR10;
Integrare la CSR nelle politiche comunitarie;
L’attuazione dei principi e delle strategie del Libro Verde e della Comunicazione
ha dato avvio ad una serie di progetti i cui effetti impattano a livello nazionale
sulla promozione e lo sviluppo della CSR.
In Italia il discorso dell’impegno sociale dell’impresa era cosa già nota sin dalle
prime fasi dell’ industrializzazione11 ma è dalla fine degli anni ‘90 che il dibattito
sulla CSR diventa più corposo ed il mercato inizia ad aprirsi a questa nuova
concezione dell’agire e del fare impresa. Sulla spinta propulsiva delle
dichiarazioni internazionali ed europee, i ministeri italiani si sono mossi in più
direzioni.
Il Ministero degli Affari Esteri ha dato sostegno concreto al Global Compact
attraverso il finanziamento del progetto Sviluppo Sostenibile attraverso il Global
Compact. Il Ministero delle Attività Produttive si è mobilitato operativamente per
la diffusione delle Linee Guida dell’OCSE e a sostegno della diffusione della
CSR soprattutto nelle piccole e medie imprese.
Ma il progetto e le azioni più importanti, che rappresentano il contributo italiano
alla diffusione e al dibattito sulla CSR secondo quanto stabilito dal Libro Verde
e dalla Comunicazione UE, sono stati orchestrati dal Ministero del Lavoro e
delle Politiche Sociali, attraverso due programmi collegati fra loro: il progetto
CSR-SC ovvero Corporate Social Responsability - Social Commitment ed il
Forum Italiano Multi-Stakeholder per la Corporate Social Responsibility (CSR
Forum).
Il primo progetto si prefigge di diffondere la cultura della CSR e lo scambio di
buone pratiche, di fornire garanzie al cittadino in merito all’effettivo impegno
sociale comunicato dalle imprese, di realizzare un set di indicatori standard
semplice e modulare che le imprese possano adottare su base volontaria per
valutare la propria performance in ambito CSR, di supportare le piccole e medie
imprese (PMI) nello sviluppo delle politiche e strategie di CSR nonché di
favorire lo scambio di esperienze tra i vari Paesi al fine di identificare e recepire
le migliori pratiche a livello internazionale. Tutto questo è sfociato in una serie di
10
Nato nel 2003, il Forum Europeo sulla CSR è un gruppo di discussione ed orientamento che riunisce 40
organizzazioni rappresentative dei datori di lavoro, sindacati, consumatori, società civile, associazioni
professionali e d’impresa, che si riunisce ogni anno con lo scopo di identificare azioni per lo sviluppo della
responsabilità sociale in Europa.
11
Un esempio per tutti è Adriano Olivetti.
13
importanti iniziative, fra le quali, le più meritevoli di attenzione12 sono
l’organizzazione della Terza Conferenza Europea sulla CSR nel novembre del
2003 a Venezia e l’ideazione dello strumento denominato Social Statement.
Quest’ultimo in particolare nasce come un supporto alle organizzazioni che
vogliono implementare politiche di CSR e, successivamente, comunicarle ai
propri stakeholder. Si compone di una Scheda anagrafica e da un Set di
Indicatori. Questo strumento, pensato e poi adattato in maniera particolare per
le piccole e medie imprese, si pone l’obiettivo di guidare le organizzazioni verso
politiche di responsabilità sociale che non comportino carichi aggiuntivi di costi
ed in grado così di creare maggiore consapevolezza e pratica.
Nel maggio del 2004 prende avvio anche il Forum Italiano Multi-Stakeholder,
che ha coinvolto una cinquantina di organizzazioni a rappresentanza diffusa a
discutere i principali aspetti della responsabilità sociale delle imprese in quattro
tavoli tecnici13. Tra i vari argomenti, quello che ha avuto maggiore importanza è
senza dubbio quello relativo alla diffusione della CSR nelle piccole e medie
imprese.
Gli effetti delle politiche ministeriali e del Forum sono stati molto ampi e di lunga
durata, contribuendo in maniera sostanziale all’avvio di un serio dibattito nella
comunità economico-giuridica. Negli ultimi anni in Italia, accanto ad
organizzazioni storiche si sono moltiplicati gli studi, la letteratura, i dibattiti, le
conferenze e le organizzazioni del Terzo Settore che si occupano di educazione
e diffusione della CSR e della cittadinanza d’impresa.
L’8 marzo 2004 è stata presentata in Parlamento dal Deputato Realacci la
Proposta di Legge: “Disposizioni per la promozione e lo sviluppo della
responsabilità sociale delle imprese”. La bozza prevede l’istituzione dell'Autorità
per la responsabilità sociale delle imprese, con vari compiti, in particolare di
definizione di indicatori di tipo quantitativo e qualitativo per la classificazione dei
comportamenti socialmente responsabili e la predisposizione di strumenti, per
accertare l'impatto sociale e ambientale delle imprese su tutta la filiera
produttiva nonchè per valutare i risultati delle iniziative socialmente responsabili
12
Altre importanti iniziative sono: la realizzazione del CD-Rom: La Responsabilità Sociale delle Imprese: Il
contributo italiano alla campagna di diffusione della Csr in Europa, numerosi convegni e congressi come a
Monza il 7 maggio 2006 e Roma il 29 aprile 2003. Tutte le iniziative e gli atti ufficiali si possono scaricare
dal sito: www.welfare.gov;
13
I tavoli rispettivamente erano: TT01-Diffondere la cultura della CSR e facilitare lo scambio di best
practices; TT02- Diffondere la CSR nelle PMI; TT03-Promuovere la trasparenza e la convergenza delle
pratiche e degli strumenti di CSR (Set di Indicatori); TT04-CSR e sviluppo sostenibile;
14
dalle stesse messe in atto. La Proposta prevede l’istituzione di altri due organi
di supporto all’Authority: un Forum di venticinque esperti con compiti consultivi
e l'Osservatorio nazionale sul dumping sociale. Le imprese riconosciute come
socialmente responsabili godranno di agevolazioni fiscali per la realizzazione di
progetti.
La CSR non è più solo una moda da ormai molto tempo e assume sempre di
più i tratti di un fenomeno da prendere in seria considerazione, sia nel caso si
decida che esso sia in grado davvero di creare valore e reputazione, sia lo si
consideri meramente una declinazione del marketing.
15
1.2
LA CSR NELLE PMI
1.1.3 Esiste una CSR a misura di PMI?
I primi studi che hanno affrontato la questione della responsabilità sociale si
rivolgevano principalmente alle grandi imprese e a multinazionali. Queste ultime
infatti, sono in grado di impattare in maniera significativa e di produrre effetti
nella società con le loro politiche, le scelte e le operazioni. Si riteneva inoltre
che fossero le sole organizzazioni con la possibilità di investire in maniera
sostanziosa in una attività che richiedeva ulteriori e considerevoli sforzi
monetari. In un secondo momento si è compreso però che la CSR è un vestito
che va cucito su ciascuna organizzazione. Spesso un grosso esborso per
l’impiego di strumenti sofisticati non comporta automaticamente risultati
soddisfacenti: ciò che conta non sono gli strumenti usati, ma il percorso che ha
portato alla scelta di determinati mezzi, stabilendo che solo quelli fossero i più
adeguati e congeniali all’azienda (sia economicamente, sia operativamente) per
ottenere il raggiungimento di obiettivi di responsabilità sociale.
Ecco che adottando questa prospettiva, la CSR non diventa solo appannaggio
delle grandi organizzazioni, ma viene presa in considerazione anche dalle
piccole e medie imprese. La dimensione ridotta delle aziende non può e non
deve essere più la giustificazione per sottrarsi ad un forte ripensamento,
considerando il fatto che le PMI costituiscono la maggioranza (19 milioni) delle
imprese europee. Ad un livello macro quindi, il loro impatto e l’insieme degli
effetti che riversano sul territorio, l’ambiente e la società è sostanziale e di gran
lunga superiore ad una multinazionale.
Se a livello europeo le PMI sono una realtà importante, ancora più emblematico
è il caso italiano, dove non solo c’è una maggiore prevalenza di PMI rispetto
alla media europea, con un numero inferiore di dipendenti per ciascuna
azienda14. C’è quindi una netta superiorità di piccolissime e micro imprese,
14
Precisamente: 3.9 dipendenti nelle imprese italiane vs. 6 nei quindici Paesi Membri dell’UE (Germania
8, Francia 7, Regno Unito 6, Spagna 5, Olanda 10, Belgio 6, Svezia 8 e Danimarca 9); Fonte:Osservatorio
Europeo sulle PMI, 2005;
16
tanto che la percentuale di organizzazioni con più di 250 dipendenti è del 19,7%
rispetto ad una media dell’UE di 34%15.
I numeri del contesto imprenditoriale italiano sono evidenti: il 95,2% del sistema
industriale è costituito da micro imprese con meno di 10 addetti ciascuna; una
‘rete’ che produce il 30,1% del fatturato e 33% del valore aggiunto realizzato in
Italia, con la creazione del 90% dei nuovi posti di lavoro degli ultimi 5 anni. Il
99,8% delle imprese ha meno di 250 dipendenti e occupa il 77% degli addetti in
Italia16, fornendo un importante contributo al ruolo internazionale dell’economia
nazionale.
Altra peculiarità fondamentale che caratterizza le PMI italiane dal resto
dell’Europa è l’organizzazione in distretti industriali. Tali dipartimenti sono
prevalentemente concentrati nell’Italia centro-settentrionale, la costa Adriatica e
in alcune aree limitate del meridione ed operano nei settori tradizionali (es.
calzature, mobili, prodotti per l’edilizia, piastrelle/ceramiche) e ingegneristici,
con posizioni di leadership nel mercato globale di nicchia e per i due terzi delle
esportazioni totali.
Queste imprese hanno sviluppato nel corso degli anni delle particolari modalità
operative fondate sulla flessibilità e sullo sviluppo di una rete di relazioni
personali e dinamiche con i vari componenti della filiera produttiva. Il legame
con l’ambiente esterno e la comunità locale ha da sempre ricoperto
un’importanza
fondamentale,
tanto
che
molte
di
loro,
seppur
inconsapevolmente e solo per alcuni aspetti, operano già in un ottica di
responsabilità nei confronti di alcuni stakeholder. Le azioni prevalenti non sono
legate all’attività dell’azienda e perlopiù affondano le loro radici nella visione
etico-morale degli imprenditori, nella loro volontà di coniugare obiettivi di tipo
economico con comportamenti che rispettino e valorizzino l’ambiente e la
società in cui operano: la percezione di quali aspetti sia prioritario
salvaguardare resta soggettiva17.
15
Fonte: Osservatorio Europeo delle PMI;
Raccomandazione della Commissione UE del 6.5.2003 (2003/361/EC). Le definizioni alle quali si fa
riferimento sono in vigore a livello comunitario dall’1.1.2005 dove si intende:
Micro Impresa: meno di 10 dipendenti-massimo 2 milioni di Euro di fatturato/bilancio;
Piccola Impresa: meno di 50 dipendenti-massimo 10 milioni di Euro di fatturato/bilancio;
Media Impresa: meno di 250 dipendenti-massimo 50 milioni di Euro di fatturato o 43 milioni di Euro di
bilancio.
17
AA:VV. Camera di Commercio di Milano e Formaper, La Responsabilità sociale nelle piccole e medie
imprese, Il Sole 24 Ore, Milano 2004;
16
17
Tuttavia è indubbio che nel dna delle piccole imprese le relazioni personali
assumono un ruolo di primo piano, tanto da rappresentare uno dei valori
aggiunti che ne hanno decretato il successo.
Dall’inizio del nuovo millennio il paradigma e lo scenario competitivo è cambiato
e la globalizzazione, unita alle nuove frontiere dei mezzi di comunicazione, ha
azzerato il vantaggio che le piccole imprese erano in grado di offrire. Piccolo
non è più necessariamente bello e bravo come recitava lo slogan del miracolo
del Nordest negli anni ‘70-‘80: il modello è entrato in crisi ed oggi si è reso
necessario un ripensamento delle strategie operative ai fini della sopravvivenza.
In questa prospettiva la CSR è stata proposta come una valida soluzione su cui
concentrare gli sforzi. Sulla base di una caratteristica e tradizione che già è
presente nel modus operandi delle PMI, si sono implementate le prime strategie
di CSR, nel tentativo di un riposizionamento competitivo sul mercato.
Ma molti altri elementi possono essere modificati e trarre beneficio da un avvio
sistematico di politiche di CSR:
Come accennato in precedenza, in base alle loro caratteristiche
peculiari, le PMI possono avere un forte impatto sull’ambiente in cui
operano se non adeguatamente gestite (Tilley, 2000). Se si escludono
SGA ed EMAS, le PMI sono ancora lontane dal formalizzare corrette
strategie a tutela dell’ambiente.
Molto spesso le PMI offrono un contesto lavorativo eccellente, ma
perdono l’opportunità di rendere l’impresa attrattiva nei confronti dei
potenziali dipendenti, poiché mancano di adeguate procedure di
formalizzazione e comunicazione (Greening and Turban, 2000). Se si
pensa al forte legame che le PMI italiane hanno nei confronti delle
comunità locali, la formalizzazione di comportamenti responsabili nei
confronti dei dipendenti assume un ruolo prioritario.
Molte PMI sono ancora lacunose riguardo all’uso di sistemi di controlling
e reporting. Misurare e comunicare la propria performance ha un costo
che può essere anche molto elevato. Le grandi imprese godono di
maggiori risorse e di sistemi informativi più sviluppati. Al contempo però
la dimensione rende complessa la fase di raccolta delle informazioni e
monitoraggio degli impatti. Sebbene dotate di minori risorse disponibili e
inconsapevoli dei vantaggi del reporting nella gestione delle relazioni con
18
gli stakeholder, le PMI hanno una struttura flessibile che le rende
particolarmente adattabili alla sperimentazione di nuove procedure.
Il mondo scientifico ha rivolto così la sua attenzione anche all’universo delle
PMI, alla ricerca di soluzioni ad hoc. Le risorse e la conformazione peculiare di
queste organizzazioni comporta il non poter copiare le strategie di governance
delle multinazionali, bensì necessita di soluzioni in grado di sfruttare i punti di
forza e di opporsi alle difficoltà ed ai problemi specifici delle piccole imprese.
A differenza delle imprese di grandi dimensioni le PMI presentano un aggior
numero di relazioni consolidate con gli stakeholder primari (Adler & Kwon,
2002), un maggior peso degli intangible asset integrati nel capitale sociale
accumulato (Putnam 2003; Spence 2003) nonché un maggiore coinvolgimento
nella comunità locale quale risultato dell’accumulazione del capitale sociale.
Oggi lo studio dei modelli e delle strategie di CSR specifiche per le PMI è
ancora ad uno stadio embrionale18. Sintetizzando, le evidenze empiriche
riconoscono che la dimensione d’impresa ha un impatto rilevante sul grado di
formalizzazione delle strategie e sui modelli di CSR e le PMI presentano
caratteristiche intrinseche che le rendono sensibilmente differenti rispetto alle
imprese di grandi dimensioni, influenzando l’integrazione delle pratiche
responsabili nella gestione e governo d’impresa. Generalmente, le PMI sono
attivamente e volontariamente coinvolte nelle aree della CSR ma in modo
scarsamente sistematico, non integrato nei processi strategici in modo formale,
con limitata visibilità all’esterno ed in assenza di comunicazione.Le indicazioni
più significative si muovono dalla teoria del capitale sociale (Adler e Known,
2002). Perrini afferma che la teoria del social capital adatta alle PMI la
stakeholder view of the firm, ed è quindi un elemento cruciale nel comprendere
le specificità delle PMI e la sostenibilità delle performance nel lungo periodo.
Essa fa riferimento alle relazioni tra gli individui (in termini di network sociali e
norme di reciprocità e fiducia) e al loro impatto sul miglioramento dell’efficienza.
In questo senso, le relazioni sociali sono vettori dell’accumulazione di asset
intangibili e preziosi quali reputazione, fiducia, legittimità e consenso. In questo
contesto diviene fondamentale fornire alle PMI indicazioni e strumenti per
18
Un quadro completo ed esaustivo delle più importanti ricerche sulla CSR nelle PMI è rintracciabile in: F.
Perrini, S. Pogutz e A. Tentati, Developing Corporate Social Responsibility. A European Perspective,
Bocconi University, Milan, Italy 2006;
19
l’implementazione
di
politiche,
processi,
e
comportamenti
socialmente
responsabili basati sul capitale sociale accumulato19.
La Commissione Europea negli anni 2001, 2002 e 2003 ha svolto sondaggi
sulla rilevanza e diffusione di pratiche di CSR nelle PMI20. Da queste ricerche si
evince che, correlate positivamente con la dimensione, ben la metà delle PMI
europee sono coinvolte in azioni socialmente responsabili21. In particolare,
svolgono o hanno svolto attività di CSR:
48% per le microimprese (< 10 addetti)
65% per le piccole imprese (10 – 50 addetti)
70% per le medie imprese (50 – 250 addetti)
Le PMI europee inoltre tendono a definire ordini di priorità, concentrandosi su
un numero ristretto di temi/attività rilevanti, generalmente relativi agli impatti
ambientali delle attività aziendali e al coinvolgimento nella comunità locale.
Risulta inoltre che le PMI europee tendono a essere più attive negli ambiti della
CSR quanto più sono integrate in un fitto network di relazioni, focalizzate sulla
qualità, in contatto con paesi esteri ed operanti nei settori a elevati impatti
ambientali o elevata intensità di capitale intellettuale.
1.2.2 Posizioni istituzionali per lo sviluppo della CSR nelle PMI
La CSR nelle PMI è descritta come una delle soluzioni perseguibili per
raggiungere con successo gli obiettivi di Lisbona, pertanto la UE ha avviato un
programma di ricerca e di sviluppo di materiali e strumenti per questo tipo di
imprese. Durante il tavolo tecnico per le PMI, la Commissione Europea infatti ha
riconosciuto che la formulazione degli attuali concetti di base della CSR e i
principali strumenti sviluppati fino ad ora sono adatti solo per le grandi imprese.
L’UE intende assistere le organizzazioni di minori dimensioni nell’uso e
nell’approccio più organico per facilitare l’adozione volontaria di pratiche di
19
cfr Perrini, Pogutz, Tentati, op. cit;
Indagini condotte dall’ Osservatorio delle PMI europee. L’Observatory of European SMEs è stato fondato
dalla Commissione UE nel dicembre del 1992 con l’obiettivo di incoraggiare il monitoraggio delle
performance economiche delle PMI. Il suo compito è quello di fornire informazioni sulle PMI a politici,
ricercatori, economisti e alle stesse PMI. Dal 2003 l’Osservatorio consiste in una serie di report contenenti
ricerche di specifici ambiti diversi delle PMI. La ricerca è condotta da The ENSR (the European Network
for SME Research).
21
Il concetto di responsabilità sociale a cui si fa riferimento è quello del Libro Verde dell’ UE.
20
20
imprenditorialità responsabile attraverso una politica costruita sui bisogni e
peculiarità di questa tipologia di aziende. La strategia comunitaria prevede
l’incoraggiamento della ricerca sui benefici economici di comportamenti
responsabili e lo sviluppo si strumenti semplificati appositamente ritagliati sulle
esigenze delle PMI.
L’esperienza emblematica è senza dubbio il programma European SMEs Social and Environmental Responsability, 2002, No. 4, da cui è scaturito
SMEkey.
Il progetto SMEKey è sviluppato da CSR Europe e da partner nazionali
corrispondenti ad essa per ciascun paese (per l’Italia sono Sodalitas ed
ImprontaEtica), che all’ interno dell’Observatory of European SMEs che hanno
stabilito per gli anni a venire i seguenti obiettivi:
Coinvolgere altri paesi nella fase sperimentale e di adattamento alle
esigenze nazionali del progetto SMEKey;
Organizzare una serie di seminari di formazione nazionali con la
partecipazione delle Camere di Commercio, delle federazioni di PMI e di
altre parti interessate;
Pubblicare una banca dati europea di buone pratiche per le PMI,
relativamente a diversi settori e paesi;
Incoraggiare le grandi imprese a difendere le pratiche responsabili delle
PMI;
Migliorare il dialogo e il partnerariato con le istituzioni UE, prendendo
come punto di partenza i programmi esistenti nel campo della
cooperazione sociale e il Foro UE multilaterale sulla RSI;
Sottolineare i risultati conseguiti dalle PMI sul piano della responsabilità
sociale;
Smekey
è
il
punto
di
partenza
per
lo
sviluppo
di
strumenti
utili
all’implementazione di politiche di CSR nelle PMI e per l’organizzazione di un
programma composito di formazione ed educazione sulla responsabilità sociale
in tutti i paesi UE. Concretamente SMEKey si presenta come uno strumento di
sostegno online studiato per PMI, federazioni di PMI ed altri canali
rappresentativi. Esso è costituito da tre componenti che nel loro insieme offrono
alle PMI un modo flessibile di valutare e rafforzare le attuali attività e pratiche
socialmente responsabili. Tali elementi sono:
21
Gli argomenti economici: introducono l'utente ai maggiori temi che danno
impulso e forma al futuro della responsabilità sociale delle imprese, aiuta
l'utente ad allacciare rapporti con i portatori di interessi e chiarisce il
nesso tra le esigenze dell'impresa e le pratiche responsabili.
La Guida alla valutazione della responsabilità sociale dell'impresa:
spiega in forma particolareggiata come fare il punto della situazione e
come valutare quanto si è già compiuto. L'utente riceve anche indicazioni
su come progredire su questa strada. La guida si concentra su tre
concetti basilari: la triplice responsabilità delle imprese (economica,
sociale
e
ambientale),
i
rapporti
con
le
parti
interessate,
il
consolidamento delle buone pratiche attuali.
La Banca dati relativi alle pratiche nel campo della responsabilità sociale
delle imprese: offre valutazioni sociali già prodotte dagli utenti, studi
esemplificativi di PMI e responsabilità sociale e rinvii a soggetti operanti
a livello nazionale e internazionale. Il servizio online SMEKey è
accessibile all'indirizzo www.smekey.org in varie lingue.
Per quanto riguarda l’Italia il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali si è
fatto carico di realizzare quanto è stato deciso a livello comunitario, sia in
termini organizzativi che formativi, avviando una complessa e multiforme serie
di iniziative e progetti. Primo fra tutti, il progetto CSR-SC si occupa in maniera
rilevante della diffusione e dello sviluppo della responsabilità sociale nelle PMI.
Sono state numerose le azioni esclusivamente rivolte a queste imprese: è stato
creato un set ridotto di soli 6 indicatori di Social Statement per le PMI e per
promuove la diffusione e l’educazione alla CSR nonchè per svolgere attività di
ricerca e formazione, il Ministero ha firmato protocolli di intesa con numerose
associazioni di categoria22.
22
Il ministero del Lavoro e delle politiche sociali firma i seguenti Protocolli d’Intesa:
Il 27 novembre 2003 con Unioncamere per diffondere la CSR in Italia, anche attraverso la
successiva attivazione degli sportelli denominati CSR-SC;
Il 9 Giugno 2004 con Confapi per diffondere la CSR in Italia.
Il 15 novembre 2004 con ANCL (Associazione Nazionale Consulenti del Lavoro) per diffondere la
CSR in Italia, organizzando eventi informativi rivolti ai propri iscritti e alle imprese da loro assistite,
attraverso i propri strumenti di comunicazione e collaborando con il Ministero nel processo di
adattamento del set di indicatori a specifici settori industriali, anche attraverso test pilota
opportunamente preparati;
il 23 marzo 2005 con Federambiente (Federazione italiana servizi pubblici igiene ambientale)
il 16 marzo 2006 con FITA (Federazione Italiana del Terziario Avanzato per i Servizi Innovativi e
Professionali );
22
Con i finanziamenti messi a disposizione dalla Comunità Europea e dal
Ministero del Welfare sono state realizzate molte ricerche sul tema della CSR
nelle PMI, che hanno fornito un quadro e un disegno di riferimento base utile
allo studio e alla pianificazione strategica delle politiche di responsabilità
sociale.
1.2.3 Evidenze empiriche
Dalle ricerche realizzate in Italia emerge un panorama complesso riguardo le
pratiche di CSR nelle PMI.
L’ISVI23 alla fine del 2003 ha presentato i dati della ricerca ‘L’impegno sociale
delle PMI’ che rappresenta il Primo Rapporto sulla Responsabilità Sociale in
Italia.
Questa ricerca è la prima esauriente indagine sul panorama della CSR in Italia
sia per numero dei casi analizzati e per l’ampiezza dei temi toccati24. Si
concentra su quattro temi: i soggetti operanti nel settore, l’impegno sociale delle
PMI, la responsabilità sociale delle banche e il bilancio sociale
Analizzando le pratiche di CSR nelle PMI, la ricerca ha messo in evidenza che:
L’importanza della CSR è ormai riconosciuta. Le ragioni di tale
riconoscimento
sono
motivi
etici,
rapporti
con
i
dipendenti,
la
fidelizzazione della clientela, la relazione con la comunità. Gli ambiti
connotati da comportamenti maggiormente orientati alla CSR (quali l’area
del Nord-Est) attribuiscono minor peso a motivazioni esclusivamente
23
L’ISVI è una associazione senza scopo di lucro nata per iniziativa di esponenti del mondo economico e
accademico italiano che si pone al servizio dello sviluppo di imprese responsabili, fornendo servizi alle
imprese e organizzando workshop, convegni; pubblicazioni, formazione e soprattutto progetti di ricerca
istituzionali. ISVI infatti intende rendere sempre più sistematica e capillare l’attività di monitoraggio delle
esperienze di CSR in Italia, attraverso tre attività: l’ORSA, l’ Osservatorio bilanci sociali e i Rapporti sulla
CSR in Italia
L’ Osservatorio sulla Responsabilità Sociale delle Aziende è un database on line che si propone di fornire
una visione organica e aggiornata delle più significative esperienze italiane in tema di RSI. L’Osservatorio
è collegato alla rete promossa da CSR Europe . L’Osservatorio sui Bilanci Sociali in Italia riguarda imprese
di ogni ordine e grado e presta particolare attenzione ai modelli di riferimento adottati, agli strumenti di
dialogo con gli stakeholder ed alle innovazioni rispetto all’edizione precedente o previste per il futuro. Il
Rapporto annuale sulla CSR in Italia è una ricerca annuale che focalizza l’attenzione su vari aspetti della
CSR in Italia.
24
Composto da 427 imprese, estratto attingendo alle anagrafiche di Unioncamere e stratificato per le due
classi dimensionali (20-50 e 51-250 addetti), per i due macrosettori economici Industria e Servizi, per le
quattro grandi aree territoriali (Nord Ovest, Nord Est, Centro, Sud e Isole). Sono state incluse nello studio
anche 60 imprese aventi un numero di addetti compreso nell’intervallo 251-500, allo scopo di effettuare un
primo confronto del comportamento sulla RSI in base alle classi dimensionali. Sulle 487 aziende
individuate quindi, Doxa ha realizzato interviste con metodo CATI.
23
etiche, sottolineando invece la rilevanza degli influssi attesi sui risultati
competitivi ed economici.
Per quanto riguarda i rapporti con il personale, nelle PMI si registra la
presenza di sistemi di comunicazione prevalentemente informali, una
buona diffusione dell’orario flessibile e della possibilità di aspettativa, corsi
di formazione diffusi e in crescita con l’aumentare delle dimensioni
aziendali. Tra le aree con spazi di miglioramento le pari opportunità,
sopratutto con riferimento alle donne che sono poco presenti in posizioni
di responsabilità, ed i servizi di supporto per i lavoratori extracomunitari.
La corporate governance delle PMI italiane presenta ancora i tradizionali
punti di debolezza propri del contesto nazionale. E’ indubbio però che ci
sia qualche miglioramento rispetto al passato, perché infatti cresce la
presenza dei rappresentanti di soci di minoranza e dei consiglieri
indipendenti nel CdA ed aumenta la frequenza delle riunioni, oltre
all’incremento del ricorso a incentivi (soprattutto economici) legati ai
risultati.
In relazione all’aspetto ambientale, la legge costituisce il principale
fattore di mobilitazione delle imprese. I temi ecologici sono temi presidiati
in misura crescente, sebbene con maggiore sistematicità da parte delle
imprese più grandi.
Viene confermato il profondo radicamento delle PMI italiane nel territorio
in cui operano. Ciò è dimostrato dal frequente ricorso a donazioni
(soprattutto nei confronti di soggetti attivi nella promozione sociale, nella
ricerca scientifica e nell’assistenza sociale e sanitaria) e dalle crescenti
iniziative di partnership con la comunità. Nelle PMI è stata invece rilevata
una limitata diffusione delle nuove forme di coinvolgimento con la
comunità quali, ad esempio, il volontariato d’impresa e il cause related
marketing.
E’ assai significativo che il 15-20% delle imprese richieda ai propri
fornitori un’attestazione della eticità dei propri processi produttivi o sia
oggetto di analoghe richieste da parte delle aziende a valle.
L’incremento di attenzione alla CSR è testimoniato dalla crescente
diffusione degli strumenti tipici come bilancio sociale e codice etico. Le
PMI dimostrano la loro sensibilità sociale più nei fatti che attraverso gli
24
strumenti formali di comunicazione. Ciò può essere imputato alla
mancanza di tempo, ai costi connessi a tali strumenti, alla necessità di
competenze specialistiche e alla scarsa attenzione alle politiche di
comunicazione caratterizzanti molte PMI.
La ricerca condotta da Formaper e ISTUD25 si concentra esclusivamente su
approcci e motivazioni, ambiti di applicazione della CSR nelle PMI e risultati di
tali azioni.
Alla base delle azioni/iniziative intraprese dalle aziende è possibile individuare
diverse motivazioni, presenti a volte anche congiuntamente. Le pratiche
affondano primariamente le loro radici nella visione etica degli imprenditori,
nella loro volontà di coniugare obiettivi e la percezione di quali aspetti sia
prioritario salvaguardare resta soggettiva.
Nel tempo il riscontro dei risultati ottenuti, se positivi, ha fatto maturare una
graduale consapevolezza dei benefici ottenibili, cosicché alla motivazione
fondante si sono accompagnate anche considerazioni di ordine economico
(senza però sopravanzarla). L’idea di poter conseguire un posizionamento
competitivo non è elevata ed è riscontrabile soprattutto nelle imprese con un
maggior grado di strutturazione strategica.
Altre leve motivazionali, spesso semi-inconsapevoli nelle fasi iniziali, sono:
raggiungimento di un buon clima in azienda, attraverso l’attenzione agli
stakeholder interni;
rafforzamento della propria reputazione, attraverso il miglioramento dei
rapporti con gli stakeholder esterni e con il territorio in cui si opera;
differenziazione della propria immagine rispetto agli altri competitors;
ricerca di nuove nicchie di business;
Per quanto concerne gli ambiti di applicazione della CSR nelle PMI le prassi
individuate possono esser ricondotte a cinque principali sfere, comprese tra
quelle elencate dal Libro Verde, presenti a volte anche contemporaneamente:
25
La ricerca, condotta da Formaper ed ISTUD fa parte del progetto REBUS (RElationships between
BUsiness & Society) finanziato dalla Commissione Europea, che ha l’obiettivo di monitorare il grado di
attenzione del management delle PMI nei confronti del concetto di CSR con finalità di individuazione e
scambio di buone prassi che facilitino l’assunzione da parte del management delle imprese europee di
pratiche di gestione responsabile. L’intera indagine è scaricabile dal sito: www.mi.camcom.it;
25
gestione dei collaboratori: finalizzato al mantenimento di un buon clima in
azienda, ma importante anche quando si intende rafforzare la propria
reputazione con azioni a livello locale;
comunità locali: l’impegno si traduce in tradizionali attività di donazione e
di sponsorizzazione, ma vi sono anche esempi di interventi più articolati;
catena dei fornitori e dei clienti: attenzione alla trasparenza ed eticità dei
rapporti con gli stessi, oltre che nel controllo della correttezza;
gestione delle risorse naturali e degli effetti sull’ambiente: con prassi di
gestione dei processi produttivi rispettosi dell’ecosistema.
Per quanto riguarda le ricadute dei comportamenti socialmente responsabili
delle imprese i riscontri maggiormente positivi si sono ottenuti sul fronte del
personale. Nel caso delle imprese su cui ha agito l’aspetto dell’immagine e del
rinforzo della reputazione, le ricadute sul posizionamento competitivo sembrano
di segno discordante. Infine, per le nicchie di business si nota l’ottenimento di
risultati per le iniziative di imprese che colgono la crescente sensibilità del
mercato innanzitutto per aspetti salutistici (come è il caso dei prodotti da
agricoltura biologica) e, in seconda battuta, per aspetti salutistico-ambientali
(ossia per quei prodotti ottenuti con un processo rispettoso dell’ambiente e per i
quali è evidente, nel contempo, l’impatto favorevole sulla salute del
consumatore).
Riassumendo, la ricerca sulle pratiche strategie di CSR nelle PMI è ancora allo
stato embrionale. Tuttavia si possono riscontrare numerosi spunti di riflessione.
Primo fra tutti, l’esigenza e l’importanza di dimostrare alle imprese che la CSR
può costituire un fattore di vantaggio competitivo.
Per quanto riguarda poi i rapporti con clienti e fornitori, la certificazione sociale
ed ambientale della supply chain inizia ad essere considerata fattore di
competitività, probabilmente perché, vista l’obiettività del rilascio da un ente
terzo, rappresenta una attestazione dotata di una certo valore, certezza ed
affidabilità.
Il punto centrale resta la comprensione che, a fronte di un investimento di
risorse materiali o immateriali che l’impresa è tenuta a sostenere, ci sarà in
futuro un riscontro di vantaggi di enorme importanza strategica, destinato a
portare nel lungo periodo risultati economico-finanziari. Ciò è dato dal fatto che
26
tali benefici sono conseguiti anche dai diversi stakeholder che si relazionano
con la piccola media impresa. Spesso però le PMI non sono in grado di
evidenziare e comprendere la portata, il peso, la sostanza di questo processo.
Per rendere questi vantaggi tangibili e riscontrabili si rende necessaria una
rendicontazione al fine di poter evidenziare numericamente (e quindi,
obiettivamente e concretamente) il raggiungimento degli obiettivi prefissati. Lo
sviluppo di tali strumenti è ancora molto sperimentale, ma è oltremodo
necessario procedere in questo senso.
Se sul fronte interno all’azienda appaiono abbastanza evidenti gli effettivi
benefici procurati da una gestione socialmente responsabile del personale, la
difficoltà maggiore e persistente sta nel fatto che ancora manca la possibilità di
conquistare margini di competitività attraverso la valorizzazione dell’immagine e
del significato sociale delle scelte fatte. Con tutta probabilità, ciò è dovuto sia
alla scarsa conoscenza e fiducia della CSR presso il grande pubblico, sia ad
una scarsa attività di informazione e comunicazione che le piccole e medie
imprese attuano. Appare perciò essenziale produrre un vero e proprio salto
culturale generalizzato coinvolgendo tutte le tipologie di stakeholders. La
soluzione è complessa e prevede un intervento su molteplici livelli in grado di
attuare un’azione di sensibilizzazione diffusa dei consumatori attraverso una
maggiore conoscenza e consapevolezza del concetto di CSR, che molto
spesso è ancora visto come un mero strumento di immagine.
Il problema dei costi comunque non è affatto una questione banale, anzi, si
configura come il primo ostacolo, perché spesso preclude ad una piccola o
media azienda di sviluppare la sua CSR su base individuale.
Sulla base di questo presupposto Roberto Zangrandi26 propone una CSR per le
PMI basata sulla filiera produttiva (dal fornitore di materia prima base, al
semilavorato, alle fasi di produzione finale, al canale di distribuzione, al
dettagliante); oppure sul comparto merceologico (ai vari livelli di produzione e
distribuzione); oppure ancora sulla localizzazione geografica (distretti produttivi
omogenei). Ciascun sistema scelto prevede comunque una serie di elementi
che sono:
26
R. Zangrandi, Dalla CSR di Impresa a quella di comparto o di territorio, intervento del 12 maggio 2006 a
Rovigo, scaricabile dal sito www.ferpi.it;
27
l’impegno iniziale di un’istituzione, associazione, gruppo d’interesse che
se ne faccia promotore;
la scelta, e poi la condivisone, di un insieme di comportamenti – ispirati
agli standard di riferimento della CSR e scelti fra quelli che hanno una
connotazione più pratica per l’azienda – che diventino validi per la filiera,
il settore merceologico o il territorio;
il riconoscimento reciproco fra i partecipanti di vantaggi o comportamenti
funzionali agli accordi presi;
un sistema di dialogo con gli stakeholder condiviso e applicato;
un sistema di rendicontazione della CSR collettivo.
Altra soluzione per ovviare al problema dei costi è di ottimizzare gli sforzi e
concentrarsi su una o due dimensioni, interne od esterne, ma scelte in base al
maggior grado di connessione con il business dell’organizzazione.
Ecco che allora per moltissime PMI il punto da cui partire è rappresentato
proprio dall’impatto ambientale provocato.
29
Capitolo 2
LA COMUNICAZIONE NELLA CSR
“Se però preferisce sapere,
le si schiuderanno davanti tutto un universo di cognizioni nuove,
nuove vie alla fama ed al potere, qui, in questa stanza, subito;
e la sua vista sarà abbagliata da un prodigio che scoterebbe l’incredulità di Satana”
Mr. Hyde
2.1
IL RUOLO DELLA COMUNICAZIONE NELLE STRATEGIE
DI CSR
2.1.1 La teoria degli stakeholder come presupposto
Come sottolineato nel precedente capitolo, l’approccio al business per
stakeholders emerge intorno alla metà degli anni ’80 negli USA. Il padre di
questa nuova concezione è Freeman27. Osservando la contingenza economica
egli intuisce che “le attuali teorie sono inconsistenti sia per la portata sia per il
27
E. R. Freeman, Strategic Managment: a stakeholder approach, Pitman Publishing Inc., Boston, 1984;
30
tipo di cambiamento che sta avvenendo nelle imprese. E’ necessario un nuovo
sistema concettuale”28.
Lo scopo era quello di trovare metodi più completi per governare le complesse
relazioni di cui bisogna tener conto nella definizione di una strategia. Freeman
propone allora il suo ‘approccio per stakeholder’. Con quest’ultimo termine egli
individua: “tutti i soggetti e i gruppi ben identificabili da cui l’impresa dipende per
la sua sopravvivenza: azionisti, dipendenti, clienti, fornitori e agenzie
governative chiave”. In senso più ampio, gli stakeholder sono gruppi di soggetti
che possono influenzare o essere influenzati dalle attività dell’organizzazione in
termini di prodotti, politiche e processi lavorativi.
Questa teoria fortemente innovativa ha scardinato la visione di un impresa
come blocco unico e compatto in ogni sua parte, per portare un modello di
sistema aperto ed interattivo con l’esterno. L’idea è che esistono diversi mondi
possibili di vedere e concepire l’azienda ed occorre perciò definire un nuovo
modo di operare in cui al centro, per conseguire profitto e valore nel lungo
periodo, è necessario includere e considerare la visione di più mondi. Ciò è
reso possibile solo dallo sviluppo di relazioni tra le diverse componenti: al
centro di qualsiasi strategia non c’è più il profitto, bensì le persone, che
interagendo fra loro in maniera efficiente, creano valore e profitto per l’azienda
e per la collettività intera.
Il dialogo ed il coinvolgimento diventa quindi fondamentale perché cambia la
percezione del ruolo dell’impresa, ed esso diventa lo strumento attraverso il
quale l’azienda fa suoi principi come trasparenza, onestà, fiducia, inclusività e
condivisione delle informazioni. Non coinvolgere in un dialogo attivo i propri
stakeholder può significare la perdita di imput rilevanti dal mercato e perdita di
reputazione.
Quindi, le motivazioni per impegnarsi nel dialogo e nella costruzione di relazioni
a due vie con gli stakeholder sono sia strategiche che reputazionali.
Certo
è
che
questo
nuovo
approccio
comporta
modalità
operative
completamente nuove, perché ciascun gruppo o soggetto possiede aspettative
totalmente differenti ma ugualmente legittime. La sfida per l’azienda è trovare il
punto di equilibrio tra i diversi interessi e valori, in una sorta di formazione di un
contratto sociale equo ed efficiente tra l’impresa e tutti i suoi stakeholder.
28
E. R. Freeman, op cit;
31
Le evidenze empiriche da un recente studio UNEP/Accountability, mostrano
che gestire l’impresa allargando la rosa delle esigenze da considerare genera
benefici significativi per la gestione strategica29.
Se l’importanza del coinvolgimento è indiscussa, il problema principale nasce
nell’impostazione delle modalità di interazione e di coinvolgimento, che variano
a seconda della natura dell’organizzazione, delle dimensioni della stessa, del
contesto di riferimento, delle risorse e degli obiettivi specifici che si desidera
raggiungere. Quello che è certo, è che l’attività di coinvolgimento degli
stakeholder non può essere una attività sporadica e limitata ad alcuni comparti
organizzativi, bensì deve essere inclusiva di tutti gli organi e funzioni (dai vertici
ai dipendenti) e va effettuata in maniera costante.
Certamente nel dibattito sulla CSR il tema dello stakeholder engagement
diventa un elemento strutturale cardine della responsabilità sociale. Se
inizialmente il processo era meramente consultivo, oggi, conseguita una
maggiore consapevolezza dei benefici e una padronanza degli strumenti, si
passa dal processo di consultazione a quello di inclusione, fino ad arrivare a
vere e proprie forme di coprogettazione e di partecipazione alle scelte
decisionali dell’impresa.
Una delle ricerche più esaustive e approfondite sul tema è senza dubbio quella
realizzata da Impronta Etica30. La fondazione, nel corso di un progetto avviato
nel 2005, ha analizzato le modalità di evoluzione e di rafforzamento del ruolo
che gli stakeholder ricoprono nella fase di definizione e implementazione delle
strategie di sostenibilità delle aziende31.
29
In particolare, il dialogo con gli stakeholder aiuta a:
Condurre uno sviluppo sociale più equo e sostenibile nel tempo;
Consente all’ impresa una migliore gestione del rischio e della reputazione ;
Rende le imprese sensibili ai bisogni dei propri interlocutori;
Permette una maggiore capitalizzazione delle risorse intangibili;
Facilita una migliore comprensione del core business;
Favorisce la crescita della fiducia nell’ impresa e la sua legittimazione sociale;
Questo studio è disponibile presso il sito www.unep.org.
30
Impronta Etica è un’ associazione senza scopo di lucro per la promozione e lo sviluppo della
responsabilità sociale d’impresa, nata nel 2001 per volontà di alcune imprese emiliano-romagnole. Lo
scopo è favorire lo sviluppo sostenibile, creando un network tra imprese e organizzazioni che intendono
l’impegno sociale come parte essenziale della propria missione e si attivano in pratiche di responsabilità
sociale. L’associazione si pone, inoltre, la finalità di rafforzare la presenza italiana nel panorama europeo:
per questo nel 2002 Impronta Etica è divenuta partner del network europeo CSR Europe. L’intento è
quello di favorire lo scambio di buone prassi e partecipare al dibattito apertosi in ambito comunitario.
31
Il progetto di ricerca è pubblicato all’interno del volume di M. Viviani, (a cura di), Il coinvolgimento degli
stakeholder nelle organizzazioni socialmente responsabili, Maggioli Editore, 2006.
La ricerca è stata condotta in diverse fasi. Primo, si è proceduto ad una rilevazione delle imprese che negli
ultimi anni si sono avvicinate al tema della responsabilità sociale e ambientale, a partire da database
italiani e stranieri, concentrando l’attenzione su quelle che avessero avviato un discorso di maggiore
dialogo e coinvolgimento dei propri stakeholder e sulle modalità da loro adottate. Secondariamente sono
32
Le considerazioni più importanti che emergono dall’analisi degli standard e delle
ricerche sono molteplici, in particolare:
La realizzazione di un processo di partecipazione può essere facilitata dalla
definizione di un terreno comune. Le diverse fasi del coinvolgimento devono
sottostare ad alcuni principi basilari che sono: trasparenza, chiarezza,
costruzione
della
fiducia,
bilanciamento
degli
interessi
dei
diversi
stakeholders.
Le diverse fasi di un processo di coinvolgimento possono ricondursi a:
formalizzazione dei principi, definizione degli obiettivi, identificazione degli
stakeholder e dei temi da trattare, scelta della metodologia appropriata,
implementazione del processo ed infine misurazione e verifica dei risultati,
attraverso l’utilizzo di standard ed indici.
Esistono differenti tipi di interazioni e relazioni con gli stakeholder che
possono essere racchiuse sotto il termine di coinvolgimento e che si
suddividono in:
Ascolto, nel senso di comunicazione ad una via, a scopo
informativo;
Consultazione/dialogo, ovvero l’impresa si mette in discussione e
si confronta con i propri interlocutori rendendoli partecipi della
ricerca di soluzioni comuni. L’impresa si preoccupa anche di
dimostrare agli stakeholder, in un secondo momento, se e come
ha mantenuto gli impegni presi nei loro confronti.
Inclusione: gli stakeholder entrano a far parte in maniera organica
e strutturata del processo decisionale dell’azienda.
Collaborazione: partnership, organi consultivi permanenti e altre
forme di collaborazione più informali fra l’impresa e alcuni specifici
stakeholder su progetti comuni.
Nel tentativo di comprendere in quale punto del processo di inclusione sia
posizionata la maggior parte delle imprese che adottano le pratiche di
stakeholder engagement, si nota che è indubbiamente in atto una
evoluzione che riguarda tutti gli aspetti presi in esame, ovvero:
stati chiesti ulteriori approfondimenti ai responsabili di CSR delle aziende per integrare le informazioni
raccolte; e focus group per confrontarsi sui risultati parziali con i referenti di imprese e associazioni.
33
Per quanto riguarda la tipologia di coinvolgimento l’impresa
percorre una via che la conduce dal semplice ascolto alla vera e
propria inclusione, maturando attraverso step intermedi nei quali
sperimenta forme di consultazione sempre più dialogiche. Il
coinvolgimento
degli
stakeholders
si
sviluppa
inizialmente
all’interno del processo di redazione del bilancio sociale, dove
cominciano le relazioni con i portatori di interesse. La struttura del
coinvolgimento segue un’evoluzione nel tempo.
La maggior parte delle imprese soggette ad analisi si concentra
nella fascia delle attività di coinvolgimento definite “continuative”:
in queste si innesca un processo di controllo da parte degli
stakeholder grazie alla ricorsività dei momenti di partecipazione
effettuati che (a differenza di incontri spot svolti periodicamente)
sono in grado di garantire anche una verifica da parte degli
stakeholder sulle decisioni dell’impresa adottate a seguito delle
consultazioni.
Alcune aziende si distinguono per aver costituito organi consultivi
permanenti che consentono una verifica in progress delle
iniziative adottate dall’impresa e per aver realizzato partnership
per raggiungere un determinato e condiviso obiettivo col supporto
di soggetti della società civile o ONG, che in maniera periodica
controllano l’operato dell’impresa.
L’oggetto del coinvolgimento inizialmente è ristretto in prevalenza
agli strumenti di accountability, per estendersi progressivamente
alle performance aziendali (sia legate all’attività caratteristica che
alla sostenibilità dell’impresa), sino a comprendere anche la
definizione di politiche e strategie aziendali;
Gli strumenti del coinvolgimento mutano sempre più verso forme
di tipo qualitativo;
I soggetti coinvolti, se inizialmente sono solo alcune categorie di
stakeholder, diverse a seconda delle caratteristiche dell’impresa,
con il trascorrere del tempo si assiste spesso ad un allargamento
della platea di interlocutori ai quali ci si rivolge.
34
Questa evoluzione è naturalmente il frutto della progressiva maturazione
dell’impresa che si dimostra nel tempo più disponibile al dialogo, poiché
acquisisce
maggiore
consapevolezza
sia
del
significato
assunto
dal
coinvolgimento degli stakeholder che del valore che esso è in grado di
apportare, ma anche grazie a competenze specifiche ed una rinnovata e diffusa
cultura d’impresa al proprio interno. D’altra parte, essa è anche il prodotto della
maturazione degli interlocutori dell’azienda, i quali acquisiscono a loro volta
maggiore conoscenza dell’impresa, riducono il proprio livello di diffidenza e
accrescono la disponibilità al confronto.
2.1.2 La leva della comunicazione nella CSR
In tutte le imprese, indipendentemente dallo stadio di sviluppo raggiunto dalle
strategie di responsabilità sociale, la comunicazione gioca un ruolo cruciale32.
Come evidenziato in precedenza, la logica su cui si fonda l’agire economico
delle organizzazioni tiene in considerazione (e include) le opinioni degli
stakeholder, tanto più nei casi in cui si adottino strategie e prospettive di CSR.
La gestione della comunicazione e delle relazioni è il canale attraverso il quale
si possono realizzare e creare i rapporti con i pubblici influenti, ma l’ampia
diffusione delle strategie è contemporaneamente una leva per il successo.
Il nuovo paradigma che conduce a buoni risultati, soprattutto adottando
strategie di CSR è quindi fare bene (includendo nelle decisioni le aspettativeesigenze degli stakeholder) e farlo sapere.
Mai come in questo momento storico infatti la società vive ed opera grazie alla
comunicazione e le relazioni. La loro forma, gli strumenti utilizzati, i destinatari
ed i messaggi costituiscono le note attraverso le quali si dipanano le politiche
aziendali. Il paradigma classico, che prevede per l’impresa la sola
responsabilità di produrre più valore economico possibile e che assegnava alla
comunicazione un ruolo confinato nel terreno dell’immagine, ha lasciato spazio
ad un’altra concezione, che fa della comunicazione lo strumento strategico in
grado di contribuire alla realizzazione di due vantaggi, che rivestono
un’importanza sempre maggiore per le imprese: fiducia e reputazione.
32
N. Cerana, op cit., pag 32;
35
Questo importante ruolo affidato alla comunicazione diventa ancora più
sostanziale se le organizzazioni implementano politiche di responsabilità
sociale ed operano attraverso il coinvolgimento dei diversi stakeholders,
entrando nel territorio delle relazioni fra impresa e società. In questo contesto,
la comunicazione deve fare uno sforzo ancora maggiore, adottando una
prospettiva a due vie e cercando di presidiare i sistemi di relazione.
Il paradigma della comunicazione cambia in maniera radicale, assumendo
caratteristiche particolari che possono essere sintetizzate nei seguenti cinque
punti33:
Valori come radici: sono la fonte di ispirazione dell’orientamento
strategico e costituiscono contemporaneamente a fonte di legittimazione
esterna e quella di identificazione interna.
A due vie: è sempre un dialogo simmetrico, che considera l’ascolto come
parte fondante e che è finalizzato non alla declinazione del messaggio,
ma all’inclusione delle aspettative dei diversi stakeholder negli obiettivi e
strategie dell’organizzazione34.
Comunicare fatti: la comunicazione è un passaggio fondamentale nella
CSR perché consente contemporaneamente di divulgare i comportamenti
virtuosi moltiplicando la sensibilità ai temi sollevati e di creare valore e
reputazione per l’impresa. Questo è possibile solo se essa è attuata a
valle da programmi e progetti concreti in grado di cambiare veramente il
modus operandi delle imprese, altrimenti essa si limita ad una operazione
di immagine e facciata, che può provocare effetti contrari di quelli sperati.
Spesso accade anche che aziende impegnate nel sociale non
comunichino la loro attività: anche questo non è positivo, perché non
solleva la questione nella collettività e non innesca il meccanismo sociale
dell’imitazione. L’equilibrio fra la comunicazione e l’azione quindi è
davvero molto delicato ed è in gioco la reputazione e il successo non solo
della CSR stessa ma dell’intera organizzazione. Una soluzione potrebbe
essere il tipo di messaggio che si comunica, che dovrebbe essere
prevalentemente razionale e basato su dati numerici ed indici
inconfutabili.
33
34
cfr. Cerana, op. cit., pag 42;
T. Muzi Falconi, GoRel- Governare le Relazioni, Il Sole 24Ore, Milano 2005 (II ed.);
36
Valutare la qualità e l’efficienza: come qualsiasi altra attività attuata da
una organizzazione, anche la comunicazione deve essere efficiente e
per questo va sottoposta a valutazione e a miglioramento continuo.
Approccio sistemico: la comunicazione coinvolge tutti i soggetti che
operano al suo interno, in una prospettiva di stakeholder, che possono
essere primari o secondari, influenti consapevoli o non35. Per influenti si
intendono tutti gli individui o i gruppi che possono influenzare il
raggiungimento degli obiettivi dell’impresa. Incrociando influenti e
stakeholder, si ottengono tre tipologie di stakeholder:
Influenti: coloro che si considerano rilevanti per l’impresa e che
l’impresa considera tali.
Non riconosciuti: soggetti che sono consapevoli di avere un
interesse nell’organizzazione e sono interessati ad interloquire ma
che non vengono considerati tali dall’organizzazione ed ai quali
l’organizzazione non riconosce, o non riconosce ancora, la
titolarità di interloquire.
Influenti non stakeholder: soggetti non consapevoli e non
interessati ad interloquire, anche se l’organizzazione li considera
rilevanti.
Dal punto di vista operativo questa distinzione è fondamentale, perché a
seconda del sentito e della posizione occupata dai diversi soggetti i
messaggi ed il tipo di relazione cambia in maniera sostanziale.
Presidiare ed organizzare la comunicazione secondo criteri che possono
sprigionare tutto il potenziale relazionale e di creazione di valore intangibile
comporta non solo un cambio di prospettiva, ma anche una precisa
metodologia operativa, che si sviluppa nel metodo del Gorel36.
Il Gorel razionalizza le fasi i cui si deve articolare il processo di organizzazione
e gestione delle relazioni e si compone di dieci fasi, che sono:
Visioning: identificazione ed esplicitazione di mission, vision, strategia e
valori guida;
35
Identificazone ed ascolto delle aspettative degli stakeholder;
cfr Muzi Falconi, op cit, pag 166;
Il Gorel è stato sviluppato da un gruppo di professionisti tra cui Toni Muzi Falconi, a partire da un
modello elaborato da James Grunig, docente di relazioni Pubbliche all’Università del Maryland.
36
37
Identificazione degli obiettivi aziendali, al cui raggiungimento le relazioni
pubbliche (e la comunicazione) sono chiamate a contribuire in misura
strategica;
Individuazione delle variabili che possono influenzare il raggiungimento
degli obiettivi aziendali e comprensione di quali fra queste possono
essere influenzatela una attività di relazioni pubbliche;
Per ciascun obiettivo, selezione degli influenti non stakeholder importanti
al raggiungimento degli obiettivi, che l’azienda cercherà di far diventare
consapevoli ed interessati;
Test preliminare dei messaggi chiave, con la fissazione di obiettivi
qualitativi e quantitativi specifici dell’attività di comunicazione;
Fissazione della strategia operativa, ovvero delle modalità, dei canali,
tempi e strumenti su cui puntare l’attenzione;
Trasferimento dei messaggi, attraverso l’uso degli strumenti operativi
specifici delle relazioni pubbliche;
Ascolto e verifica del raggiungimento dei risultati e della loro misurazione;
Se questo rappresenta il migliore dei mondi possibili, c’è da ribadire che in molti
casi le relazioni pubbliche e la comunicazione entrano all’interno di questo
processo solo a partire dall’ottava fase, sviluppando solamente un ruolo
operativo, con il risultato che essa possa risultare inefficiente, perché a monte
non è stato presidiato né il contenuto dei messaggi, né tantomeno la gestione
della relazione con gli stakeholder.
La comunicazione e le relazioni rivendicano un ruolo strategico che non è
ancora condiviso da tutte le stanze dei bottoni, forse perché per troppo tempo
queste due componenti sono state divisioni meramente operative che avevano
l’esclusivo compito di affossare lati scuri, limitare i danni e depistare sospetti
piuttosto che rispondere a domande e cercare il dialogo con i soggetti strategici.
Il passaggio è epocale: da un ruolo reattivo (e operativo) si passa ad un ruolo
propositivo (e strategico) dove l’operato delle relazioni pubbliche contribuisce
alla definizione del piano da adottare, perché alla base della licenza di operare
c’è il nuovo paradigma dello stakeholder engagement.
Da questa prospettiva, la reputazione della comunicazione è un nodo cruciale
che spiega e giustifica i dubbi e le perplessità di chi critica la CSR, perché
quest’ultima, se condotta e implementata esclusivamente dalla direzione
38
comunicazione è da considerarsi come una operazione di facciata e
pubblicitaria, che non intacca la sostanza dell’organizzazione, è una ‘cultura
dell’ apparente e dell’apparenza37’.
Il punto da cui partire non è solamente la funzione alla quale è affidata la
conduzione della CSR (ruolo che in questa prospettiva spetta solo e soltanto al
vertice aziendale), ma l’irradiazione delle politiche di CSR che, come ribadito
più volte, deve coinvolgere tutte le divisioni aziendali, comunicazione compresa.
Quest’ultima è chiamata sia a nuovi compiti strategici per l’avvio ed il
mantenimento delle relazioni con gli stakeholders, sia ad operare essa stessa in
termini ‘responsabili’. La comunicazione quindi ha un doppio ruolo: quello di
leva di sviluppo di buone pratiche di CSR attraverso lo stakeholder
management e quello di strumento per la diffusione delle (buone) pratiche.
Il Primo rapporto FERPI sulla Comunicazione Socialmente Responsabile38 si
propone di sondare questi temi e misurare numericamente il sentito su tutte
queste sfumature del rapporto fra CSR e comunicazione. L’indagine, promossa
da FERPI, si concentra l’attenzione su tre aspetti:
La dimensione organizzativa della comunicazione di CSR;
La comunicazione della CSR nelle organizzazioni;
La responsabilità sociale della comunicazione;
Per quanto riguarda il primo aspetto, se viene evidenziato che la responsabilità
delle politiche di CSR è affidata per la maggior parte dei casi al top
management, confermando il ruolo strategico di questa funzione aziendale, la
responsabilità della comunicazione di CSR è affidata principalmente alla
Direzione Comunicazione. Il 12% del campione ritiene che non sia necessario
dedicare risorse alla comunicazione di queste iniziative, anche se gli intervistati
lavorano in imprese in cui è presente una funzione di comunicazione interna
strutturata, ma la maggioranza (37%) segnala comunque l’esistenza di un
budget dedicato alla comunicazione delle politiche di CSR.
Per analizzare le caratteristiche della comunicazione di CSR, che viene qui
intesa come uno strumento per valorizzare le politiche ed i programmi posti in
37
N. Cerana (a cura di), Rapporto FERPI sulla comunicazione socialmente responsabile, luglio 2006,
scaricabile dal sito www.ferpi.it. Questo è il primo studio nazionale che analizza le opinioni di comunicatori
(operanti in imprese di medio-grande dimensione) e stakeholder tecnici sulle attività di comunicazione
della CSR. Per stakeholder tecnici si intendono i primi destinatari della comunicazione socialmente
responsabile: opinion maker, responsabili di associazioni non profit e rappresentanti di organizzazioni
sindacali e di categoria.
38
Vedi nota 11;
39
essere in ambito di CSR39, si sono esaminati i diversi significati attribuiti alla
comunicazione da stakeholder e influenti, gli strumenti più utilizzati e ritenuti più
efficaci, gli obiettivi che vengono perseguiti e i risultati che ne scaturiscono.
Per quanto riguarda i significati della comunicazione, la maggioranza degli
operatori afferma che la comunicazione delle politiche di CSR è un operazione
di immagine (51,3% dei comunicatori) ma anche uno strumento di governo
strategico (47,1%) e, in questo contesto, il compito del comunicatore è quello di
valorizzare i programmi di CSR ma anche di ascoltare i bisogni degli
stakeholder (51,3%), riconoscendo il proprio ruolo strategico.
Per quanto concerne la diffusione degli strumenti di comunicazione adottati, i
mezzi più usati dai comunicatori di impresa sono le donazioni a cause sociali e
l’ufficio stampa, coerentemente con gli obiettivi perseguiti da questa attività e
più adatti alla comunicazione di massa. L’utilità percepita degli strumenti da
adottare però favorisce anche altri strumenti, come il bilancio sociale e i codici
etici.
Se si incrocia l’utilità degli strumenti con la loro diffusione si scopre infatti che ci
sono incoerenze: le cause sociali sono considerate diffuse ma poco utili, ciò
dovuto soprattutto ad un retaggio del passato e ad una visone restrittiva della
CSR alla mera filantropia. Strumenti che invece sono considerati poco utili e
vengono quindi poco usati sono le certificazioni ed i marchi etici, a
testimonianza di come sia ancora difficile considerare veritieri ed utili gli
strumenti di valutazione oggettiva da parte di terzi per le grandi imprese.
Per quanto riguarda i risultati conseguiti dalla comunicazione nel processo di
CSR, i comunicatori affermano che sono molti i benefici che questa funzione
apporta e gli effetti delle politiche comunicative di CSR sono riscontrabili
soprattutto in un miglioramento dell’immagine e nell’aumento della fiducia
dell’organizzazione. Gli stakeholder tecnici però avvertono un maggiore
miglioramento dell’immagine rispetto ai comunicatori di impresa.
Senza ombra di dubbio quindi le Relazioni Pubbliche sono da considerarsi un
elemento fondamentale della strategia di comunicazione CSR. Tale principio è
sancito anche dalla Global Alliance for Public Relation nel Position Statement
on CSR nel quale si dichiara:
39
cfr Cerana (a cura di), op cit, pag14;
40
Serious cautions should be given due weight in projecting a CSR/PR interface:
Don’t over-promise;
Be aware that CSR is evolving and it has its skeptics and its advocates;
Acknowledge that a successful CSR/PR model requires integration of public
relations with many other professional disciplines;
Recognize the different perspectives of the world’s many traditions and cultures.
But even with such cautions, the case is strong for public relations to be at, or near, the
center of CSR management. The essence of professional public relations practice is to
apply communications to help an organization, in this context a corporation, develop and
maintain reciprocal relationships with the publics (or stakeholders) that can influence its
40
future .
Se molti sono gli spunti positivi infatti, altrettante sono le criticità e le
preoccupazioni che possono minare i benefici dell’attività di comunicazione
della CSR.
I comunicatori affermano che uno dei maggiori problemi è rappresentato dalla
mancanza di cultura aziendale orientata alla responsabilità sociale e
l’incoerenza tra i principi dichiarati e gli interessi effettivamente perseguiti.
I comunicatori sono consapevoli che questa incoerenza influenza in maniera
determinante la credibilità della comunicazione delle politiche di CSR. Molti
comunicatori considerano la comunicazione di CSR non credibile e motiva
questa scelta affermando che essa non è veritiera, è opportunistica e c’è
scetticismo rispetto alla sua utilità. All’opposto, chi considera la comunicazione
di CSR credibile (solo il 52,1 degli stakeholder tecnici ed il 54,7 dei comunicatori
di impresa) individua motivazioni quali la professionalità e la buona volontà.
Per quanto riguarda il tema della responsabilità sociale della comunicazione, i
valori che la identificano come tale sono la chiarezza e la completezza, nonchè
il rispetto dei codici di etica professionale per i comunicatori e per gli
stakeholder tecnici, mentre per i cittadini assume maggior valore la trasparenza
e il dichiarare sempre la verità, anche se scomoda.
Interessante riscontrare che i comunicatori di fronte ad un dilemma etico
seguono per il 51,3% la personale etica professionale e il 29,4% i principi della
40
“Serie accortezze devono avere un doveroso peso nella progettazione di una campagna di relazioni
pubbliche/CSR:
Non fare promesse troppo grandi
Fare attenzione al fatto che la CSR è una materia in via di evoluzione, con difensori e scettici;
Tenere presente che un modello di rp/CSR di successo ha bisogno dell’integrazione delle
relazioni pubbliche con le altre discipline professionali;
Riconoscere le differenti prospettive date da diverse culture e prospettive nel mondo.
Ma anche con tutte queste considerazioni, la questione è forte per le relazioni pubbliche che sono, o
saranno presto, il centro del management della CSR. L’essenza della pratica professionale delle relazioni
pubbliche è quella di declinare la comunicazione per aiutare l’organizzazione, in questo caso un’azienda, a
sviluppare e mantenere reciproci rapporti con i pubblici (o gli stakeholder) che possono influenzare il suo
futuro”.
41
organizzazione di appartenenza. Per quanto riguarda i codici deontologici, li usa
solo il 13,4% e anche se molti li conoscono, davvero pochi comunicatori li
usano. Per ben il 62% degli stakeholder tecnici, la comunicazione è poco o per
nulla responsabile, ovvero caratterizzata da quei valori descritti prima.
La realtà quindi delinea un quadro che sicuramente è in evoluzione, ma che è
ancora restio a considerare positivamente in termini di correttezza non solo la
comunicazione di CSR ma (fatto ancora più grave) l’intera attività di
comunicazione stessa.
Tutto ciò è da considerarsi un campanello d’allarme, perché la sfiducia in una
componente così fondamentale può danneggiare l’intera strategia di CSR.
Quindi quali soluzioni e prospettive comunicative adottare nella CSR?
L’efficacia della comunicazione dipende dalle attese del ricevente.
Pertanto è fondamentale andare verso la direzione degli stakeholder e
comprenderne prima le opinioni ed il sentito attraverso accurate ricerche sul
campo, che indirizzano l’organizzazione verso l’utilizzo degli strumenti di
gestione e di comunicazione della CSR più credibili e verso i quali i destinatari
ripongono maggiore fiducia.
Secondariamente, si rende necessaria un’attività di rendicontazione e di
valutazione dell’efficacia specifica della comunicazione di CSR effettuata,
attraverso standard internazionali e modelli teorici riconosciuti validi dalla
comunità come quello di ERICA. Questa teoria incrocia i diversi livelli di fiducia
(assente, calcolativa, conoscitiva, valoriale) con i diversi livelli di relazione e
comunicazione (assente, informazionale, interazione, partnership) che ciascun
stakeholder possiede nei confronti dell’organizzazione, componendo una griglia
nella quale si collocano i diversi strumenti di comunicazione a seconda della
opinione espressa (sempre in termini di fiducia e relazione sullo strumento) da
ciascun stakeholder: per esempio, come evidenziato dalle ricerche, per avviare
un percorso di partnership fra impresa ed istituzioni lo strumento più efficace è
la certificazione sociale; al contrario il bilancio sociale è un valido strumento di
informazione, ma non è considerato dallo stakeholder istituzionale uno
strumento valido per avviare azioni in partnership41.
Infine, c’è da ribadire il fatto che la comunicazione in prima battuta aiuta a
gestire e migliorare i rapporti con i diversi stakeholder ed in un secondo
41
cfr, Cerana, op cit, pag 69
42
momento comunica i risultati, le performance ed il vantaggio delle globali
politiche di CSR adottate in maniera trasparente, credibile e secondo un criterio
di accountability. L’operazione contraria risulta una attività prettamente di
immagine.
In questo quadro concettuale, la CSR è il terreno nel quale lo scopo primario
della comunicazione e delle relazioni pubbliche riconducibili al pensiero di Muzi
Falconi da una parte ed Invernizzi dall’altra, sembrano perfettamente integrati in
una sorta di circolo virtuoso.
Il pensiero ‘relazionista’ di Toni Muzi Falconi indica come fine ultimo della
comunicazione quello di contribuire allo sviluppo dei sistemi di relazioni positivi
che l’organizzazione instaura coi suoi pubblici influenti. Questa teoria veicola
l’importanza dell’identità dell’organizzazione, ovvero il modo in cui la stessa
viene percepita dai suoi pubblici.
Dall’altra parte Emanuele Invernizzi adotta una visone ‘reputazionista’ che vede
come fine ultimo della comunicazione quello di contribuire alla reputazione
dell’organizzazione, con lo scopo di costruire l’immagine della organizzazione
intesa come percezione dell’organizzazione che la stessa vorrebbe avessero i
suoi pubblici.
Se infatti si instaura un efficiente sistema di dialogo e relazione costante con gli
stakeholder, si contribuirà in prima istanza a far muovere l’organizzazione verso
strategie ed azioni condivise, ed in un secondo tempo la comunicazione e
diffusione di tali politiche non apparirà solamente come un’operazione di
facciata, bensì la condivisone con la comunità di buone prassi attraverso
strumenti di accountability, per un’ulteriore approfondimento e creazione di
reputazione, che alimenterà a sua volta il dialogo con gli stakeholder, facendo
ripartire il ciclo.
43
2.2
GLI
STRUMENTI
DELLA
CSR
FRA
GESTIONE
E
COMUNICAZIONE
2.2.1 L’indissolubilità di gestione e comunicazione
Secondo i principi enunciati in precedenza, quando si parla di strumenti per la
gestione della CSR, si parla obbligatoriamente anche di strumenti di
comunicazione. Per essere implementati al meglio, gli strumenti che possono
venire adottati dalle organizzazioni per l’implementazione di strategie di CSR
tengono conto delle opinioni di diversi stakeholder: per questo la comunicazione
è in essere già dai primi passi di sviluppo di qualsiasi strumento di CSR, in
quanto aiuta ad intercettare e comprendere tali opinioni e flussi informativi
attraverso l’applicazione di specifici metodi, strumenti, canali, attività.
In un secondo momento, la comunicazione usa nuovamente i suoi elementi per
diffondere i contenuti e le buone pratiche risultanti dallo strumento di CSR
adottato, al fine di aumentare la conoscenza verso il vasto pubblico delle sue
buone pratiche e conseguire così maggiore valore reputazionale.
Questi due lati della comunicazione di CSR sono molto diversi, e anche se
strettamente connessi, sono facilmente confusi. Spesso accade di soffermarsi
maggiormente sulla seconda fase, in quanto alcuni strumenti di CSR, per le loro
caratteristiche intrinseche, fanno della diffusione una componente essenziale
per la loro piena realizzazione. Ad esempio, il codice etico potrebbe essere
creato con scarso o addirittura nullo coinvolgimento degli stakeholder e gli può
venire dato ampio risalto a livello comunicativo, con larga diffusione attraverso
l’utilizzo di molti mezzi. Il guaio è che alla base della validità dello strumento ci
deve essere da parte dei collaboratori la piena adesione e riconoscimento della
bontà dei principi enunciati, cosa possibile solo se si è attuato un valido
programma di ascolto e coinvolgimento a monte.
All’interno di qualsiasi strumento di CSR quindi, affinché ciascun strumento
possa essere pienamente efficiente ed efficace, l’equilibrio fra l’aspetto
relazionale (di ascolto e gestione) e quello reputazionale (di divulgazione delle
buone pratiche) della comunicazione deve essere ben calibrato.
44
Di seguito si analizzeranno i principali strumenti di CSR, con una particolare
attenzione all’importanza ricoperta dai ruoli reputazionale e relazionale della
comunicazione.
2.2.2 Gli strumenti di CSR
2.2.2.1
Codice etico
Uno dei pilastri della CSR nonché uno dei primissimi strumenti ad essere
utilizzato è senza ombra di dubbio il codice etico e/o i codici di comportamento.
All’interno di questi strumenti abbastanza agevoli e stringati, l’azienda esplicita
e codifica i propri impegni e le proprie responsabilità nella gestione
dell’organizzazione nei confronti dei clienti e degli stakeholder.
Nelle imprese tale strumento è stato introdotto negli Stati Uniti già nei primi
decenni del XX secolo. Il primo codice che diventa veramente famoso è il Credo
della ‘Johnson & Johnson’, che afferma la responsabilità dell’azienda verso tutti
i suoi interlocutori: azionisti, medici, clienti, dipendenti, comunità. Negli Stati
Uniti, dopo un onda di scandali conseguenti alla rilevazione del pagamento di
tangenti a pubblici ufficiali e la conseguente legge del 1977, la diffusione di
questo strumento diviene consistente. In Europa questa pratica si fa conoscere
tardivamente, successivamente a indicazioni dell’Unione Europea. Il codice può
essere definito come “la dichiarazione dell’insieme di diritti, doveri e delle
responsabilità dell’impresa nei confronti di tutti gli stakeholder: è l’esplicitazione
delle politiche aziendali in materia di etica di impresa e delle norme di
comportamento alle quali i lavoratori devono attenersi42”. Il codice rappresenta
quindi una delle principali fonti di riferimento per la CSR dell’impresa e apporta
molteplici vantaggi sui fronti aziendale ed individuale (del singolo manager),
perché rende espliciti i comportamenti scorretti, nonché a livello settoriale
contribuisce ad alimentare la fiducia del pubblico. Il suo uso è maggiore nelle
imprese di grandi dimensioni e nelle multinazionali, con l’obiettivo di creare una
base di valori condivisi soprattutto con i numerosi dipendenti e collaboratori.
La sua elaborazione non è semplice e per essere efficace e valido, il codice
etico deve aver obbligatoriamente attivato un processo partecipativo in cui è
preso in considerazione soprattutto il sentito dei dipendenti.
42
cfr N. Cerana, op cit, pag 74;
45
Per quanto riguarda la strategia di comunicazione e diffusione, in genere si
registra la realizzazione di stampati ad hoc e di diffusione multimediale, con un
focus all’informazione e alla formazione interna.
2.2.2.2
Volontariato di impresa
Nato alla fine degli anni ’70, il volontariato di impresa è il coinvolgimento attivo
del personale aziendale in azioni rivolte alla comunità. L’azienda esporta e
‘regala’ le competenze e risorse interne ad una platea più allargata. Tale
impegno può assumere la forma di programmi autogestiti dai dipendenti ma
riconosciuti dall’azienda oppure programmi organizzati dall’azienda stessa che
si priva di personale per un tempo determinato, il quale svilupperà un progetto
di
interesse
collettivo
all’interno
della
comunità
di
appartenenza
dell’organizzazione.
Questo strumento di CSR registra ampia soddisfazione soprattutto da parte dei
dipendenti, in quanto costituisce un arricchimento personale e favorisce un
senso di orgoglio e di identificazione con l’organizzazione, supportato da un
dialogo che consente contemporaneamente di scegliere le modalità e di
condividerne le riflessioni maturate ed i risultati materiali conseguiti.
La comunicazione esterna non è usata in moltissimi casi di volontariato di
impresa, ingrediente che invece contribuirebbe a creare una sensibilità
maggiore alle questioni sociali affrontate.
2.2.2.3
Cause Related Marketing
Uno degli strumenti più usati e controversi della CSR è rappresentato da questa
attività commerciale in cui le imprese e le organizzazioni non profit formano
delle partnership temporanee al fine d promuovere un’immagine o un prodotto
traendone reciproco vantaggio43.
Il CRM non è da confondere con la filantropia, che è da ricondurre ad una sfera
meramente personale e morale dei capitani d’impresa, ma spesso comunque si
sono sollevate molte polemiche sul presunto beneficio sociale che apporta
questo strumento: molte aziende sono state accusate di usare questa leva in
maniera esclusivamente comunicativa e di marketing. Innegabile ammettere
43
Definizione tratta dall’opuscolo realizzato da Sodalitas: ”Cause Related Marketing: linee guida”, del
maggio 2003 e scaricabile dal sito www.sodalitas.it;
46
che con questo strumento l’organizzazione ricorre a tutte le tecniche e le
discipline della comunicazione commerciale: dalla pubblicità agli eventi
passando per l’ufficio stampa. Per essere efficace infatti, questo strumento fa
maggiormente leva sulla fase di comunicazione esterna, ed è innegabile che la
scelta di adottare questo strumento deve essere ben ponderata alla reputazione
dell’organizzazione. Inoltre, è bene che nella comunicazione l’equilibrio fra
l’informazione e la causa sostenuta sia sempre a beneficio della seconda, con
un focus sui risultati raggiunti.
2.2.2.4
Bilancio ambientale, sociale e di sostenibilità
Si caratterizzano per essere sistemi di misurazione, organizzazione e
comunicazione di dati relativi all’impatto delle attività dell’organizzazione
sull’ambiente e sulla società in generale. Si tratta di uno strumento riassuntivo
che è in grado di rendicontare in maniera oggettiva i risultati raggiunti rispetto
agli obiettivi precedentemente fissati. Si pone come scopo primario la
rappresentazione dei valori e degli effetti che l’attività dell’azienda produce
sull’ambiente e sull’insieme degli stakeholder.
Questi bilanci dimostrano l‘attenzione e la sensibilità dell’azienda al contesto in
cui operano, focalizzando l’attenzione su una o più variabili. A seconda del
numero di fattori considerati infatti si distinguono fra rendiconti sociali (aspetti
qualitativi degli interventi), bilanci sociali (aspetti quali-quantitativi degli aspetti
economico, ambientale e sociale diretto) e bilanci di sostenibilità (aspetti
quantitativi relativi a variabili micro e macro).
Rendicontare questo tipo di aspetti con un approccio quantitativo può risultare
una operazione particolarmente complessa, ma negli ultimi anni si sono prodotti
molteplici sforzi in questo senso, sulla base del principio che non si può
misurare (e quindi controllare) ciò che non si è in grado di descrivere. Quindi la
qualità passa attraverso la quantità. Per questo sono stati studiati e creati
numerosi standard che identificano diverse tipologie di principi da seguire per la
stesura del bilancio, ovvero:
Standard per principi di processo: analizzano i fattori e gli elementi da
includere nel rendicontare come e se sono stati coinvolti i gli stakeholder
nell’attività aziendali. I più famosi sono AA 1000 (ISEA) e la Copenhaghen
Charter.
47
Standard per principi di contenuto: indicano quali dovrebbero essere gli
argomenti e le questioni da analizzare. I più importanti sono il GRI (Global
Reporting Iniziative) e l’italiano GBS (Gruppo di studio per il Bilancio
Sociale). Ma esistono tantissimi standard che rendicontano solamente
attività specifiche, che possono far parte di vere e proprie certificazioni. I
più importanti sono:
London Benchmarking Group: è una metodologia per la misurazione
del sostegno dato allo sviluppo delle comunità locali;
Sigma Guidelines: linee guida di supporto al management nel
miglioramento del processo di gestione responsabile;
SA 8000: certificazione del rispetto da parte dell’azienda azienda (e
dei suoi fornitori) dei diritti dei lavoratori e di diritti umani;
Gruppo CSR-SC del Ministero del welfare: set di indicatori da seguire
per la rendicontazione e la presentazione di domande di sgravio
fiscale;
Certificazioni del sistema di gestione ambientale (ISO 14001, EMAS);
Requisiti per l’ammissione al DJSI, FTS400, DJSI, FTS400, Ethibel:
sono informazioni e dati sulla sostenibilità dell’impresa richieste per
l’ammissione a indici di sostenibilità internazionale;
Global
Global
Compact,
Dichiarazione
OCSE,
“core
labour
standards”, ILO, Norme ONU, ovvero i principi valoriali di riferimento
per le imprese che intraprendono attività di CSR.
Standard per i principi di verifica della redazione del bilancio: hanno
l’obiettivo di valutare se il documento è stato redatto nella forma più
completa, esaustiva e trasparente possibile. Tra i più autorevoli ci sono
AA1000S ed ISAE 3000. E’ possibile ottenere una certificazione esterna
che attesti la conformità nella procedura usata nella redazione dei bilanci
sociali. Le organizzazioni autorizzate analizzano e rilasciano la
conformità ad uno o più dei seguenti standard: Principi di Revisione
dell’International Federation of Accountants (IFAC), Global Reporting
Initiative (GRI), AA 1000 Assurance Standard, ISAE 3000 Revised
(IAASB), Attestazione di conformità del GBS, Providing Assurance on
Sustainability Report della FEE.
48
Il processo di comunicazione del bilancio passa attraverso una attenta fase di
pianificazione delle azioni da intraprendere: tale strumento infatti è complesso
da comprendere ed è necessaria una semplificazione che evidenzi i risultati più
importanti. I principali destinatari del bilancio sono senza dubbio gli azionisti e
gli investitori, ma anche i dipendenti, fornitori, clienti.
2.2.2.5
Le certificazioni
Il concetto di certificazione è strettamente connesso al concetto di qualità.
Qualità significa capacità di soddisfare nel miglior modo possibile le esigenze,
di tipo morale e materiale, sociale ed economico, proprie della vita civile e
produttiva, opportunamente identificate e tradotte in determinati requisiti
concreti e misurabili.
Le esigenze che la qualità è chiamata ad assolvere possono essere di carattere
primario, connesse cioè con bisogni fondamentali; o di natura accessoria,
relative allo sviluppo del sistema economico ed al benessere della società
(prestazioni, affidabilità, durata e caratteristiche dei prodotti sia strumentali che
di consumo; peculiarità dei servizi intangibili).
Oggi la qualità legata al soddisfacimento delle esigenze accessorie diventa
sempre più un fattore di competitività, tanto che molte esigenze secondarie
sono ora annoverate fra quelle primarie e assume un ruolo importantissimo
anche il controllo qualitativo del sistema posto in essere.
Ma come distinguere fra le imprese che adottano realmente tali comportamenti
virtuosi e quelle che invece lo esprimono soltanto con le parole?
Ecco allora l’implementazione di forme di assicurazione della conformità ai
requisiti applicabili: le certificazioni.
Le certificazioni sono attestazioni rilasciate da un ente esterno che garantiscono
l’osservazione da parte di un organizzazione di precisi standard nello
svolgimento di una o più attività. Ad oggi infatti è un universo estremamente
complesso e variegato al proprio interno, che comprende un’ampia gamma di
etichette diverse sia per ambito di intervento che per caratteristiche strutturali.
Nata infatti come forma di controllo ex-post sull’output dell’azienda, la
certificazione ha col tempo assunto connotati differenti di controllo ex-ante
incentrato sui concetti di prevenzione e assicurazione di qualità sviluppando via
via un approccio sempre più sistemico. Tuttavia, nonostante la diversità delle
49
varie forme di certificazione esistenti, esse si basano tutte sul medesimo
impianto: a capo del sistema è posto un ente che stabilisce gli standard e i
requisiti ai quali uniformarsi. Allo stesso tempo il medesimo ente funge da
garante dell’intero sistema in quanto responsabile dell’accreditamento degli enti
di certificazione, ovvero delle strutture deputate alla verifica sul campo della
conformità dell’impresa e dei suoi prodotti agli standard stabiliti, i quali sono a
loro volta sottoposti a verifiche periodiche da parte dell’ente accreditante.
All’interno di questo contesto possiamo distinguere due principali forme di
certificazione, che garantiscono due diverse componenti qualitative:
la
certificazione
di
prodotto:
l’ente
accreditato
verifica
che
le
caratteristiche del prodotto siano conformi rispetto ai requisiti fissati dalla
norma. In questo caso il prodotto finito risulta conforme rispetto a
prestabiliti requisiti di osservanza di specifici criteri sociali o ambientali. Si
attua mediante l’applicazione di metodologie di campionamento e analisi
di laboratorio. Le certificazioni di prodotto sono molto numerose perché
moltissime riguardano specifici prodotti (es. agroalimentari) e ciascuna
attesta diverse caratteristiche. In particolare, fra le certificazioni di
prodotto applicabili a più categorie di merci si distinguono certificazioni di
tipo:
ambientale: Ecolabel, DAP;
sociale: (equosolidale);
omnicomprensive;
la certificazione di processo: la verifica verte sulla rispondenza delle
modalità di realizzazione del prodotto e delle attività dell’organizzazione
ad uno standard predefinito. In genere impone all’impresa di dotarsi di un
sistema di gestione e verifica la conformità di quest’ultimo rispetto alle
caratteristiche previste dalla norma. Coniuga sia l’attenzione al processo
produttivo sia l’attenzione al risultato finale della certificazione di
prodotto, anche se con forme e modalità differenti. Di norma si attua
mediante visite ispettive.
Le principali certificazioni di processo si possono suddividere sulla base
degli aspetti che tengono in considerazione. In particolare, si distinguono
certificazioni di tipo:
Ambientali: ISO 14001, EMAS;
50
Sociali: SA 8000;
Omnicomprensive: Sigma, Q-Res, ISO 26000.
Ai fini dello sviluppo di politiche di CSR le etichette più importanti sono senza
dubbio quelle attestanti i processi produttivi. Ma ciò è valido solo in linea
generale, perché molto dipende dalla struttura dell’organizzazione e dal settore
in cui opera l’impresa.
In ogni caso, che si tratti di certificazioni di prodotto o di processo, gli standard e
le relative certificazioni si articolano attorno al concetto di sistema di gestione.
Tali sistemi rappresentano degli strumenti di controllo e appunto gestione delle
attività aziendali, fondati sull’individuazione delle criticità del sistema e sulla
corretta pianificazione delle risorse interne.
I sistemi esistenti si sono sviluppati attorno ad un impianto concettuale comune:
quello introdotto dalla norma ISO 9000, recentemente revisionata nel 2000
(Vision 200012)44. Sulla base di tale impianto i sistemi di gestione che si sono
sviluppati in seguito presentano tratti comuni:
Gestione per processi: secondo il quale l’impresa viene concepita come un
insieme di processi ed è perciò chiamata ad identificare le proprie
procedure, analizzarle, considerare le interconnessioni fra di esse,
individuare eventuali punti deboli sui quali intervenire.
Coinvolgimento di tutti i settori dell’azienda: rappresenta una diretta
conseguenza del primo punto.
Miglioramento continuo: diviene obiettivo permanente dell'organizzazione e
si basa sul cosiddetto ‘Ciclo di Deming’: plan – do – check – act, secondo il
quale l’impresa è tenuta a pianificare inizialmente i propri obiettivi (sulla base
dell’analisi dei processi condotta in precedenza), attuarli, verificare
periodicamente la corrispondenza dei risultati rispetto agli obiettivi,
intervenire con apposite misure correttive. Grazie a questo impianto dunque,
i sistemi di gestione privilegiano la prevenzione rispetto al controllo.
Leadership: il funzionamento del sistema è responsabilità diretta della
direzione aziendale, alla quale è demandata la coscienza di definire la
politica, pianificare obiettivi misurabili, effettuare il riesame periodico, definire
responsabilità e risorse a disposizione.
44
Con il termine Vision 2000 non si identifica una nuova norma ma il processo di revisione al sistema di
norme ISO 9000.
51
Decisione basate su dati di fatto: le decisioni efficaci si basano sull'analisi,
logica ed intuitiva, di dati ed informazioni reali.
Chiara attribuzione delle responsabilità: in genere i sistemi di gestione
prevedono la figura del responsabile di sistema, nominato dalla direzione
aziendale. Inoltre, ai fini di una ottimale applicazione del sistema è
opportuno che siano chiaramente ripartite le responsabilità fra tutti coloro
che sono coinvolti in essa.
Formazione
dei
dipendenti:
occorre
affiancare
all’attribuzione
delle
responsabilità uno sforzo formativo rivolto ai dipendenti, i quali devono
essere adeguatamente sensibilizzati in modo da creare le condizioni
affinché ciascuno possa dare correttamente il proprio apporto all’attuazione
del sistema.
Documentazione: i sistemi di gestione prevedono l’obbligo di documentare la
struttura per processi e l’analisi iniziale, il funzionamento del sistema, la sua
evoluzione nel tempo, le criticità riscontrate e gli interventi correttivi adottati.
Tale documentazione deve a sua volta rispondere a precisi requisiti circa le
modalità di redazione.
Rapporto con gli stakeholder: a seconda dell’ambito di azione di ciascun
sistema di gestione è evidente che si farà riferimento a categorie di
stakeholder diverse, tuttavia il tema del rapporto con gli portatori di interesse
è ricorrente all’interno di tutti i principali sistemi di gestione. E’ in funzione
degli stakeholder infatti che viene redatta la documentazione relativa al
sistema, che deve essere possibilmente chiara ed esaustiva al tempo stesso
e resa pubblica.
Risorse: è compito della Direzione destinare alla realizzazione del sistema di
gestione una quantità di risorse idonea ad assicurarne il corretto
funzionamento.
Audit interni ed esterni: all’interno del sistema sono previste delle revisioni
periodiche al fine di valutare l’idoneità delle misure adottate rispetto agli
obiettivi stabiliti e individuare eventuali criticità rispetto ad essi e ai requisiti
previsti dalla norma, per consentire di intervenire in un secondo momento
con azioni correttive. Tali revisioni periodiche sono definite audit interni o
audit di prima parte, in quanto condotte internamente all’azienda e sotto la
diretta responsabilità della Direzione. Per le imprese che desiderano
52
ottenere e mantenere la certificazione, sono previsti anche degli audit esterni
(o audit di terza parte) ad opera di una terzo organismo indipendente.
Rapporto di mutuo beneficio con i fornitori: “un rapporto di reciproco
beneficio fra l'organizzazione ed i propri fornitori migliora la capacità di
entrambi a creare valore”. Tale principio è affermato dalla norma ISO 9000 e
ripreso in forme diverse all’interno di altri sistemi di gestione (in particolare si
rimanda alla norma SA 8000) e si sostanzia in forme di sensibilizzazione
degli stessi e negli audit di seconda parte già citati.
Linee guida: in genere la norma che istituisce il sistema di gestione è
accompagnata da Linee guida o Manuali volti a facilitarne l’applicazione
all’interno dell’impresa e specificare in maniera più dettagliata i contenuti
della norma stessa.
E’ indubbio che all’interno di questo lungo e complesso procedimento la
comunicazione agisce nella doppia veste di leva strategica di supporto alle
relazioni fra le diverse parti e di strumento in grado di diffondere verso una
platea più vasta azioni e risultati di questa strategia di responsabilità sociale.
In quest’ottica, la documentazione prodotta per il funzionamento del sistema di
gestione deve anche regolare gli aspetti comunicativi, indicando le azioni
specifiche e le modalità di misurazione delle stesse.
Ciascuna certificazione stabilisce i contenuti e le modalità che deve possedere
la comunicazione per la diffusione ai diversi stakeholder, pertanto è necessario
analizzare i regolamenti di ciascuna etichetta.
Le certificazioni sono uno strumento che gode di una buona reputazione agli
occhi dei portatori di interessi istituzionali, sia perché l’ente che attesta la
conformità agli standard è esterno all’organizzazione sia perché gli standard
sono regolamentati e studiati da organi internazionali o addirittura da
organizzazioni come la UE.
Lo strumento della certificazione è quindi un buon investimento strategico a
livello operativo e reputazionale. Il punto più critico è rappresentato dalla
riconoscibilità. Indubbiamente il sistema delle certificazioni ha senso se esso è
conosciuto. Al momento tuttavia questo passaggio culturale non è ancora
avvenuto appieno e nella pratica ciò ne causa la mancata affermazione come
strategia di CSR. Ciò è provocato dalla numerosità delle possibili certificazioni,
dalla loro forte settorializzazione e dalla proliferazione di marchi locali o limitati
53
ad alcuni ambiti territoriali, cosicché il consumatore non è in grado di
riconoscere il valore delle singole certificazioni e dunque premiare le imprese
che le hanno conseguite. Al mancato riconoscimento del loro valore da parte
del consumatore fa seguito quello dell’imprenditore, che non trova conveniente
investire in esse, rinunciando così anche al potenziale innovativo che questi
strumenti comportano.
Viceversa, in questo contesto svolge un ruolo importante la catena di fornitura:
pare infatti che le imprese richiedano spesso ai propri fornitori il possesso di
determinate certificazioni. Nel mondo del business-to-business si osservano
dunque più di frequente quei comportamenti sanzionatori/premianti rispetto ai
quali si sollecitano i consumatori.
54
2.3
LA COMUNICAZIONE DI CSR NELLE PMI
2.3.1 Caratteristiche della comunicazione nelle PMI
Le Piccole e Medie Imprese possiedono in generale un atteggiamento modesto
rispetto alla comunicazione.
Unicom45 nel 2002 ha misurato la propensione delle aziende italiane verso la
comunicazione rilevando che le dimensioni degli investimenti sono nettamente
inferiori se confrontati con quelli europei in materia. In Italia dunque si investono
in media in comunicazione 21 euro pro capite, contro i 280 dell'Inghilterra e i
346 della Svizzera.
Difatti se l'87% delle aziende asserisce spontaneamente di comunicare in realtà
quest'attività resta considerata sostanzialmente opzionale, dato che l'84% di
loro non possiede una struttura interna dedicata alla comunicazione, che viene
quindi svolta da persone che hanno anche altre mansioni o è data in
outsourcing a professionisti.
Anche nel secondo caso poi resta un certo grado di diffidenza, soprattutto a
livello di delega delle funzioni strategiche (l'80% del campione individua nella
dirigenza i decision makers nelle questioni di comunicazione), mentre maggiore
spazio è dato ai produttori come grafici e case di produzione. Nella
preponderanza dei casi, però, la pubblicità è avvertita come un optional da
legare al successo del momento e alla salute del bilancio, senza una
programmazione a monte e soprattutto senza il coinvolgimento di addetti
specializzati.
Un altro aspetto decisamente poco positivo si può rintracciare nella carenza di
pianificazione: il 78% del campione affronta ‘volta per volta’ i problemi di
comunicazione che si presentano. La comunicazione è ritenuta un costo più
che un investimento e di essa viene trascurato lo studio degli effetti. Sul 33%
che afferma di avere un budget per la comunicazione, solo un terzo lo definisce
45
L’Unione Nazionale Imprese di Comunicazione è stata costituita nel 1977 con la denominazione di
OTEP, divenuta poi Unicom nel 1998, con l’unione delle Imprese Associate AIPAS è attualmente
l’Associazione che raccoglie il numero più alto, organico e coordinato di Imprese a capitale italiano aventi
precise caratteristiche strutturali atte a coprire ogni esigenza della comunicazione operanti in diversi rami:
advertising, promozioni, direct marketing, relazioni pubbliche, sponsorizzazioni, web, brand image,
packaging, centri media, etc.
55
in base all'esistenza di un piano di marketing. E solo il 20% effettua una verifica
sull'efficacia delle attività di comunicazione realizzate. Rispetto ai mezzi viene
molto considerato il marketing one-to-one, con Fiere (24%), Direct Marketing
(17%), accompagnati un po' a sorpresa dal sito internet aziendale (18%), con
uno sviluppo però molto modesto (sito-vetrina) e che quindi è spesso fonte di
delusione rispetto alle grandi aspettative di cui è caricato. Molto ambita sarebbe
anche l’uso della televisione a livello nazionale, che però ha costi di
pianificazione pubblicitaria che restano ampiamente fuori budget per la maggior
parte delle PMI. Infine l'atteggiamento verso l'advertising in genere è critico,
poiché le aspettative sono elevate e le delusioni facili, senza contare poi che
solo il 20% del campione fa delle verifiche di efficacia dei messaggi. Il quadro
dunque non sembra essere roseo. Si riscontra tuttavia che la sensibilità verso la
comunicazione sia comunque in aumento, così come una crescente richiesta di
professionalità, in opposizione alle delusioni del passato ‘fai da te’.
Le PMI ricercano dei comunicatori di fiducia, meglio se a carattere mediopiccolo e locale, in grado di offrire un servizio integrato ed orientato al cliente,
che recepisca le peculiarità tipiche di un’impresa di quelle dimensioni e le offra
soluzioni ad hoc.
2.3.2 Comunicare la CSR nelle PMI
Attualmente non esistono ricerche a livello nazionale che focalizzano
l’attenzione esclusivamente sulla comunicazione delle politiche di CSR presso
le PMI, l’unico dato monitorato è riconducibile alla ricerca ISVI46 che indica la
crescente diffusione degli strumenti tipici come bilancio sociale e codice etico.
Come è stato notato in precedenza, tali strumenti però sono primariamente
mezzi di organizzazione e gestione della CSR, che non necessariamente
sfociano in attività di diffusione e comunicazione esterna ad un pubblico più
vasto.
Si può affermare che le PMI dimostrano la loro sensibilità sociale più nei fatti
che attraverso programmi di comunicazione dei loro comportamenti virtuosi. Ciò
può essere imputato alla mancanza di tempo, ai costi connessi a tali strumenti,
46
Vedi capitolo1, pagina 26;
56
alla necessità di competenze specialistiche e alla scarsa attenzione a questo
tipo di politiche, come evidenziato nel precedente paragrafo.
Incrociando
infatti
le
evidenze
riguardanti
l’attività
di
comunicazione
dell’organizzazione analizzate nello scorso paragrafo e la diffusione della CSR
fra questo tipo di imprese approfondita nel capitolo primo, si può comunque
supporre che l’attività di comunicazione ad una vasta platea sia un elemento
ancora poco sviluppato nel panorama delle PMI che implementano attività di
responsabilità sociale.
Ciò è da considerare un grave errore e la soluzione può essere solamente un
vasto programma di educazione alla comunicazione che dimostri con evidenza
oggettiva i benefici che si possono trarre da una attività che non deve essere
più considerata un optional, e deve essere vissuta non come una spesa, ma
come un investimento. Tale opera pedagogica deve essere effettuata da
associazioni di categoria e dalle istituzioni.
Altro elemento che potrebbe fare la differenza e muovere il mondo delle PMI
verso la cura e l’adozione di strategie comunicative è sicuramente l’adozione di
metodi per la misurazione e la valutazione delle attività di comunicazione
implementate, unici mezzi in grado di dimostrare razionalmente l’efficacia di tali
pratiche.
57
PARTE SECONDA
Senza dubbio, per alcune imprese e alcuni consumatori le odierne esigenze di
qualità ambientale appartengono alla categoria dei bisogni primari. Oltre infatti
al valore finalizzato alla soddisfazione delle esigenze e aspettative del cliente
tipico dei rapporti economici ed imposto dalle leggi di mercato, ogni
organizzazione produttrice di beni e servizi è chiamata a realizzare e assicurare
la qualità ambientale per gli aspetti di propria competenza e in misura
proporzionata ai bisogni cui è tenuta e si impegna a soddisfare.
La tematica ambientale ha sempre occupato un ruolo di prim’ordine all’interno
delle variabili di responsabilità sociale da considerare. Soprattutto per quanto
riguarda le industrie manifatturiere, l’attenzione all’ambiente è fra i principali
fattori da tener presente nell’ottica di CSR. Per il futuro, la tendenza di questi
riguardi sarà verso l’alto. I motivi sono molteplici: innanzitutto per le aziende
rappresenta un fattore tangibile e ben misurabile sottoforma di quantità,
emissioni, tributi da versare in base ai rifiuti prodotti; successivamente perché al
pari del lavoro, esso incide profondamente nel legame che l’organizzazione ha
con la comunità locale. Dagli anni ’70 in poi si è cominciato ad affrontare il
problema ecologico come una grande e drammatica questione, che segnerà
inesorabilmente il corso della vita dell’uomo sulla Terra. Sembra però che
l’allarme ancora non sia stato raccolto in maniera massiccia e costruttiva.
Forse, solamente i dati lanciati dalla Commissione Europea nello scorso
gennaio 2007, le frequenti catastrofi ambientali causate da eventi atmosferici
straordinari che portano il nome di Tsunami o Katrina, nonché un innalzamento
preoccupante del livello del mare causato dallo scioglimento dei ghiacci polari,
hanno scosso in misura abbastanza ragguardevole le coscienze e produrranno
nel breve futuro una escalation verso comportamenti più rispettosi e verso
politiche più pulite. Forse. A molti non bastano questi segnali, che si fanno via
via sempre meno timidi, sempre più vicini all’uscio di casa. Alcune
organizzazioni hanno compreso che è il momento di rispondere alla chiamata
non solo per ragioni etiche, ma soprattutto per motivazioni che sono prima di
tutto economiche.
58
Attenzione all’ambiente infatti è soprattutto sinonimo di minor spreco delle
risorse, migliore gestione delle energie, inferiori costi di smaltimento, possibilità
di considerevoli sgravi fiscali e di finanziamenti più agevolati, minori costi
sociali, migliori condizioni di lavoro e minore turnover. La qualità ambientale va
conseguita innanzitutto garantendo il rispetto delle norme. Trascendendo la
stretta conformità legislativa, successivamente é opportuno conseguire obiettivi
di miglioramento continuo delle prestazioni ambientali relativamente all’impatto
ambientale, dei processi produttivi e dei risultati di detti processi.
Per attuare la svolta alla responsabilità ambientale esistono diversi strumenti
operativi, tra i quali spiccano le certificazioni o etichette. Tali supporti sono
organizzati e regolamentati da organismi internazionali, in grado così di
assicurare contemporaneamente un buon livello di garanzia sul fatto che
l’impegno dichiarato sia effettivo e un tangibile miglioramento delle performance
operative dell’impresa.
Il terzo capitolo si concentra sull’aspetto ambientale della CSR individuandone i
motivi della sua fondamentale importanza e analizzandone le declinazioni
comunicative finora adottate dalle organizzazioni.
Successivamente verrà realizzata una ampia descrizione delle certificazioni, in
quanto mezzi efficienti per il miglioramento delle performance ambientali.
Infine, si esaminerà nel dettaglio la certificazione EMAS, in quanto innovativo
strumento per la realizzazione di ottime performance ambientali che individua
come strategia fondante la condivisione e trasparenza dei risultati e delle azioni,
consacrando
così
la
comunicazione
a
componente
di
primo
piano.
59
Capitolo 3
GESTIRE L’AMBIENTE CON
RESPONSABILITA’
“Vedi, Utterson,
la mia è una situazione penosa, una situazione strana…molto strana.
Di quelle che non si possono rimediare a parole”
Dott Jekill
3.1
LA SALVAGUARDIA AMBIENTALE NELLA CSR
3.1.1 L’ambiente come prima responsabilità sociale
Numerosi studi confermano che le prime strategie operative di CSR avevano
come protagonista l’ambiente e il tentativo di ridurre l’impatto su di esso. Senza
voler fare affermazioni categoriche, è indubbio che la tematica ambientale
occupa sin dalle origini della CSR un ruolo di primo piano.
60
Ferraguto dimostra che le aziende che si avvicinano alla CSR partono quasi
sempre dalla variabile ambientale, per poi passare ad occuparsi, in una sorta di
‘Seconda generazione di CSR’ a variabili di tipo sociale47.
Questo fenomeno può essere spiegato da cospicui motivi, riconducibili in primis
a due considerazioni.
La prima rimanda alla presenza di una forte regolamentazione sia a livello
statuale che sopranazionale, e più in generale, alla presenza di numerosi
interventi da parte istituzionale. Questi interventi condizionano le politiche
ambientali delle imprese in misura maggiore rispetto ad ambiti di azione dove
invece si riscontra una minor ingerenza della mano pubblica.
La seconda peculiarità di settore è da riscontrare nella possibilità, più che in altri
ambiti, che l’impresa sia sottoposta a pressioni da parte della società civile e
delle comunità. Il discorso vale naturalmente soprattutto per quelle attività
industriali a forte impatto per l’ambiente, ma può essere esteso in generale
anche ad altre imprese, stante la sempre crescente attenzione da parte dei
cittadini per i rischi sull’ambiente e sulla salute umana conseguenti alla
produzione industriale.
Chiarito questo, la terza e più importante osservazione è la considerazione del
ruolo di primo piano che l’ambiente possiede all’ interno di una organizzazione.
La particolare differenziazione degli aspetti ambientali all’interno della triple
bottom line è data dalla importante natura dell’interazione fra impresa ed
ambiente naturale, che riguarda principalmente due aspetti.
Le
esternalità
o
conseguenze
(positive
o
negative)
riversate
nell’ambiente conseguenti all’attività dell’ impresa.
La natura interna del rapporto tra risorse naturali e azienda. L’azienda
infatti ha bisogno dell’ambiente naturale come risorsa e come ricettore
delle proprie attività. Questo ha un’implicazione all’interno dell’azienda, in
quanto investe il problema della riduzione delle emissioni, con la
possibilità di incidere sui costi sostenuti dall’azienda stessa.
47 L. Ferraguto, Dalla responsabilità Ambientale alla Responsabilità Sociale delle Imprese, Rapporto sullo
Sviluppo Sostenibile FEEM, nr3.2005;
61
3.1.2 Esternalità riversate nell’ ambiente
Per esternalità (o economie e diseconomie esterne) si intendono “gli effetti,
positivi o negativi, provocati dalle attività di produzione e/o di consumo di alcuni
individui sull’attività di produzione e/o di consumo di altri individui” (Panella,
2002). Tali effetti comportano un costo (o un beneficio nel caso di esternalità
positive) non per chi compie una determinata attività, bensì, al contrario, per gli
altri soggetti coinvolti. Ci si trova in una situazione di asimmetria fra benefici e
costi: nel caso di esternalità negative (e volendosi riferire esclusivamente ad
un’ottica di produzione) i primi sono limitati al produttore, mentre i secondi si
trovano ad essere diffusi e ricadenti sull’intera comunità.
Una conseguenza importante di questa relazione fa si che i prezzi di mercato
non riflettono questo genere di effetti susseguenti alla produzione. Nei
meccanismi tradizionali di formazione del prezzo non è infatti compresa una
componente legata all’inquinamento. In questo modo, il produttore non trova
vincoli diretti alla propria attività produttiva, contribuendo a creare questa sorta
di ‘non costo’ che incide sul benessere complessivo della collettività.
Quest’asimmetria è accentuata anche dalla possibilità che gli effetti negativi
della produzione sulla popolazione vengano ad essere distribuiti in maniera
ineguale su quest’ultima, creando peraltro un problema di competenze, perché
è difficile risalire concretamente al singolo inquinatore (si pensi al c.d. ‘effetto
accumulo’ per cui i danni ambientali si manifestano solamente a partire da una
determinata concentrazione di inquinante nell’atmosfera), ed alle responsabilità
connesse.
Tale
problema
è
inoltre
esacerbato
anche
dalla
natura
‘transnazionale’ di molte tematiche ambientali, come il cambiamento climatico o
la distruzione dello strato d’ozono.
Altre caratteristiche spesso collegate al bene ambientale derivano dalla sua
natura di bene pubblico, percui non è presente la rivalità nel consumo, ovvero il
consumo da parte di un individuo non ne diminuisce l’ammontare a disposizione
di altri individui, e dalla non escludibilità, cioè l’impossibilità o non convenienza
di escludere altri individui dal godimento di tale bene. La non rivalità nel
consumo dà luogo a beni ‘quasi pubblici’, mentre per i ‘beni liberi’ permane la
sola condizione non escludibilità dal consumo.
62
La presenza di esternalità e la natura dei beni ambientali conducono al c.d.
‘fallimento del mercato’. Queste distorsioni non consentono un’efficace
allocazione delle risorse, creando gli squilibri di cui sopra e distorcendo inoltre il
meccanismo di formazione dei prezzi. Davanti a simile inefficienza, i rimedi
possono essere molteplici: tutti però chiamano in causa in un modo o nell’altro il
decisore pubblico.
Si giunge così ad un primo punto importante. L’intervento pubblico è
considerato quanto mai rilevante in materia di ambiente. Si tratta forse del
settore del triple bottom line dove maggior peso riveste questo intervento. Esso
può assumere diverse forme, e la sostanza deve essere quella di un intervento
correttivo che ponga rimedio alle inefficienze generate dal rapporto tra impresa
e ambiente. L’intervento istituzionale deve poi cercare di contemperare la
ricerca del benessere pubblico con l’imposizione di costi che siano il più
possibile sopportabili da parte dell’azienda.
Sempre a causa di questa configurazione del rapporto tra impresa e ambiente,
è possibile riscontrare una forte attenzione nella società civile sulle
problematiche connesse alle ripercussioni dell’attività industriale sull’ambiente.
Questa consapevolezza ambientale è generalmente legata all’idea di un rischio
ambientale incombente sulla popolazione, e alla necessità quindi di ripensare
l’attività industriale in modo da abbassare la soglia di tale rischio. Questa
percezione non ha avuto uno sviluppo lineare, nel corso degli anni, quanto
invece piuttosto irregolare. Si può ad ogni modo datare la nascita di una
coscienza ambientalista a partire dagli anni ’60. Da allora, il problema della
potenziale nocività delle produzioni industriali rispetto alla salute umana e delle
specie animali e vegetali, ha iniziato a prendere piede nella coscienza dei
decisori politici e del più vasto pubblico, seguendo diversi passi.
In proposito, Buchholz identifica quattro livelli di consapevolezza ambientale,
per cui a partire da un’ottica prevalentemente di conservazione e preservazione
(basato sulle risorse naturali), si sarebbe giunti all’attuale stadio in cui il
problema ambientale viene riconosciuto come problema di carattere globale,
inquadrato nell’ottica più vasta della sostenibilità dello sviluppo. Il caso ormai ha
quindi raggiunto un livello di attenzione tale da essere avvertito trasversalmente
fra i diversi strati della popolazione.
63
L’evoluzione della consapevolezza ambientale non è stata come detto regolare,
ma ha vissuto su degli alti e bassi legati ad eventi di particolare impatto. Il
rapporto dell’EORG per la Direzione Generale Ambiente relativo all’Attitudine
degli Europei riguardo all’ambiente, ha riscontrato che vi è una maggiore
percezione di pericolo, e quindi un interesse da parte della popolazione civile,
per quelle attività ad alto rischio di inquinamento (ma con bassa probabilità di
accadimento), come i rischi collegati alle attività nucleari o industriali in
generale, mentre vi è una bassa percezione di pericolo per attività di routine,
ma egualmente nocive (come ad esempio il problema dello smaltimento dei
rifiuti industriali).
Questa digressione ci consente di esprimere un giudizio sulla possibile
influenza della pressione della società civile sulle imprese riguardo alla tematica
ambientale. Essa gioca un ruolo chiave per intensità e decisione, ma è
altrettanto spesso imprevedibile, dagli umori mutevoli e quasi mai continui,
essendo legata a circostanze di emergenza, più che ad un omogeneo
diffondersi della consapevolezza di intervenire con regolarità sul problema
ambiente. La questione ecologica per la società è un problema dai contorni
spesso indefiniti, raramente percepibili direttamente e proporzionatamente
rispetto al loro manifestarsi.
3.1.3 Il rapporto tra risorse naturali e azienda
Se osserviamo il versante “interno” di questo rapporto fra ambiente ed
organizzazione, possiamo comprenderne l’importanza e la portata analizzando
che cosa significhi ambiente naturale per le decisioni e le attività messe in atto
dall’impresa.
Frey, afferma che l’ambiente ecologico svolge essenzialmente due funzioni. Da
un lato, genera risorse indispensabili al ciclo produttivo come fonti di energia,
materie prime, e così via. Dall’altro lato, esso è il corpo recettore dei residui
dell’attività di produzione e di consumo. Evidentemente, la seconda funzione è il
contraltare della prima. L’ambiente naturale è quindi identificabile come
elemento essenziale, a monte ed a valle, per il funzionamento dell’azienda.
64
Data la basilare importanza della variabile ambientale per tutti i motivi descritti
sopra, risulta logica la particolare attenzione che le organizzazioni cercano di
attuare nei confronti dell’ ambiente.
L’ ambiente è una variabile che viene sempre più tenuta in considerazione dagli
enti pubblici, dalle istituzioni, nelle strategie e scelte decisionali, in quanto
condiziona in modo crescente la redditività di un Paese.
Nei grandi come nei piccoli centri abitati, la questione ambientale è un problema
molto concreto: si tratta di controllo dell’inquinamento e di qualità del territorio,
di politiche di protezione e di opportunità strategiche, di disponibilità delle
risorse e della loro distribuzione sociale e in futuro assumerà sempre di più una
importanza fondamentale.
Per le aziende esistono una molteplicità di azioni e strumenti di CSR in grado di
dare una efficace risposta a quest’esigenza, dove il comune denominatore è
rappresentato dalla trasparenza e dalla tensione al miglioramento continuo.
3.1.4 La comunicazione della variabile ambientale
Per le organizzazioni che si concentrano sulle proprie responsabilità nei riguardi
dell’ambiente, la comunicazione delle variabili ambientali assume particolari e
specifiche connotazioni che hanno catturato solo negli ultimissimi anni
l’attenzione degli studiosi.
Le due iniziative di maggior spicco in questo senso sono date da due
Osservatori sulla comunicazione ambientale.
Il primo è stato formato nel 2004 dall’Editoriale La Nuova Ecologia e
Legambiente con i patrocini della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del
Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio. Tali soggetti hanno
costituito l’Osservatorio nazionale permanente sulla comunicazione e l'impegno
sui temi ambientali, etici e sociali delle imprese italiane.
Nel giugno 2005 l’Osservatorio ha realizzato una indagine basata su rilevazioni
periodiche presso un campione significativo delle imprese italiane di medio-
65
grandi dimensioni48. Con l’obiettivo principale di evidenziare atteggiamenti ed
opinioni nonchè registrare le azioni informative in merito alle tematiche
ambientali, sono state rilevate:
Il tipo di attività di comunicazione
I temi affrontati dalle imprese, quali ad esempio la sicurezza, la salubrità,
la qualità, la tracciabilità della filiera alimentare, il trattamento dei rifiuti e il
riciclaggio, la valorizzazione del patrimonio storico, artistico e ambientale.
Le imprese che dichiarano di avere sviluppato negli ultimi due anni
comunicazioni di tipo ambientale sono il 73% e circa il 20% di esse ha
sviluppato iniziative di comunicazione ambientale negli ultimi 12 mesi,
registrando pertanto un incremento rispetto agli anni precedenti (nel 2003 la
percentuale era del 14%); nei settori più coinvolti, ovvero facenti capo ad attività
industriale ed edile con ingenti impatti ambientali, tale percentuale si colloca tra
il 30% e il 50%.
Le tematiche ambientali e sociali all’interno dell’impresa determinano per la
metà dei casi lo sviluppo strategico della impresa ma per il 30% delle aziende
questi temi rappresentano anche un’importante tema di comunicazione.
Le iniziative di comunicazione sviluppate sono diverse, ma al primo posto
figurano seminari interni e attività di formazione del personale, nonché progetti
specifici per la riconversione produttiva in senso ambientale, mentre campagne
pubblicitarie su stampa e media sono posizionate al penultimo posto.
Altro dato significativo è l’aumento considerevole delle imprese che si sono
dotate di certificazione: dal 2003 al 2005 c’è stato un balzo di 10 punti
percentuali (dal 71,2% al 82%). Le certificazioni più diffuse in tutti gli aggregati
aziendali sondati sono quelle di prodotto (ISO 9000 ed Iso 14000), seguono con
proporzioni molto ridotte Ecolabel, SA8000 ed Emas, anche se per quanto
riguarda le imprese leader nel settore di appartenenza queste ultime due
etichette sono molto più diffuse.
Se le certificazioni rappresentano un importante elemento, nelle imprese la
diffusione di pubblicazioni di rapporti periodici sull’attività di impresa in campo
ambientale e gli strumenti di rendicontazione come il bilancio ambientale e
sociale vengono utilizzati ed impiegati in misura minore.
48
Sono stati contattati 1.113 manager di 1098 tra le principali imprese italiane, sia attraverso l’invio di un
questionario elettronico mediante e-mail, sia attraverso interviste personali e telefoniche.
66
Per la gestione della comunicazione delle tematiche ambientali la maggior parte
delle aziende ha costituito nell’organigramma una apposita funzione che se ne
occupa, oppure sono presenti alcune figure di riferimento che svolgono un ruolo
di coordinamento e controllo. Solo in seconda battuta si occupa di ambiente
anche l’ufficio delle relazioni con l’esterno.
Questo dato può significare un preciso focus sulle performance e poco orientato
alla comunicazione.
Riguardo alle tematiche ambientali le imprese considerano referenti principali le
Regioni
e
le
Istituzioni
Locali,
secondariamente
i
consumatori
e
successivamente le Istituzioni Nazionali. Le associazioni sociali e dei
consumatori vengono dopo e solo al penultimo posto vengono le associazioni
ambientaliste, segno evidente della fatica che fanno le imprese a considerare
anch’esse stakeholder, ma dalle quali spesso arrivano le principali azioni di
resistenza e boicottaggio.
Concludendo, si può affermare che l’impegno ambientale rappresenta un valore
diffuso e abbastanza consolidato tra le principali imprese italiane, con un
incremento del fenomeno tra le grandi imprese. Si riscontra inoltre una
maggiore consapevolezza e fiducia nel considerare le tematiche ambientali un
fattore strategico. Anche se però c’è cognizione su quanto è importante
comunicare all’esterno le proprie politiche ambientali, le aziende sono restie alla
mera promozione dei loro comportamenti virtuosi e sembra che la
comunicazione in tema ambientale sia strumentale al solo raggiungimento di
obiettivi formativi ed educativi. Spesso infatti comunicare le proprie azioni
virtuose non è considerato etico dagli imprenditori, soprattutto fra le PMI. Anche
strumenti tipici della comunicazione come il bilancio sociale e di sostenibilità
vengono utilizzati spesso principalmente come strumenti per la gestione ed il
monitoraggio dell’operato dell’organizzazione.
Il secondo centro di studio sulla comunicazione ambientale è l’Osservatorio
sulla Comunicazione Ambientale creato nel 1994 dalla Fondazione ENI Enrico
Mattei49. Periodicamente svolge attività di ricerca e analisi dei vari strumenti
49 La FEEM nel 1994 promuove il Forum sul Rapporto Ambientale. Comincia così a raccolta di Bilanci e
Rapporti Ambientali. Negli anni si aggiungeranno Dichiarazioni EMAS, Bilanci Sociali, Bilanci di
Sostenibilità, facendo nascere l’Osservatorio di Comunicazione Ambientale e Sociale, che oggi è un
archivio di oltre 1000 documenti, sottoposti a valutazione (check list GRI, elaborazione FEEM) e
disponibile per ricercatori interni ed esterni.
67
comunicativi, con particolare ai mezzi di rendicontazione: bilanci sociali,
ambientali e di sostenibilità, fungendo da centro di ricerca e monitoraggio che
analizza l’evoluzione del settore e del dialogo fra stakeholders, con numerose
partecipazioni a networks italiani e internazionali.Dalle ricerche condotte,
emerge una sostanziale evoluzione temporale degli strumenti di comunicazione
ambientale e sociale ‘tradizionali’. Fra 1990 e 2003 lo sviluppo delle
pubblicazioni è stato esponenziale. A partire dai primi anni ‘90 un numero
crescente
di
imprese
redige
Bilanci
e
Rapporti
Ambientali
e
dalla
rendicontazione pura e semplice si passa a discutere della comunicazione con
gli stakeholders (comunità locali, gruppi di opinione, dipendenti, fornitori,
media…) per soddisfare le richieste informative che venivano poste da questi
soggetti all’organizzazione.
La comunicazione di responsabilità sociale attraverso l’utilizzo di questi
strumenti si caratterizza per essere un vero e proprio percorso che, una volta
intrapreso, porta a necessarie innovazioni.
Il nuovo interesse per la relazione con gli stakeholders spinge alla redazione di
Bilanci Sociali, strumenti particolarmente idonei per alcuni tipi di imprese come
ad esempio il settore dei servizi. Il passaggio successivo è quello del Bilancio di
Sostenibilità, che integra aspetti economico-finanziari, sociali e ambientali in un
unico documento, ed è proprio in questo momento storico che si trova oggi la
comunicazione ambientale.L’interesse nei confronti della comunicazione di
responsabilità sociale cresce sempre di più al moltiplicarsi delle pratiche di
CSR. L’ingresso di nuovi attori sociali determina un arricchimento del dibattito
che porta opportunità e cambiamenti. Per questo gli strumenti di comunicazione
cambiano aprendosi a nuove forme, oppure si modifica la funzione degli
strumenti tradizionali.
Visto che la partecipazione da parte degli stakeholders ai processi di
rendicontazione diventa centrale, gli strumenti di comunicazione vengono
sempre più intesi come supporti alla gestione delle relazioni interne ed esterne
con funzione di governance, piuttosto che di solo strumento consuntivo. Di
conseguenza, la comunicazione si fa integrata e questo utilizzo congiunto di
diversi mezzi di comunicazione può:
68
Favorire la diffusione di un dibattito più ampio sulla CSR;Aiutare il
raggiungimento di una gamma più vasta e differenziata di stakeholders;
Avere effetti benefici non solo sull’immagine e la reputazione, ma anche
sull’identità dell’impresa (fidelizzazione dei dipendenti, crescita della
fiducia nella supply chain…);
Anche nella gestione della variabile ambientale la comunicazione si conferma
una leva fondamentale, ma risulta valida solo quando è presente l’unione della
comunicazione alle azioni concrete: se c’è una scissione fra la funzione di
comunicazione e quella di governance, con un uso solamente tattico e
pubblicitario degli strumenti, si verificheranno effetti nulli (o, peggio) negativi
sulla reputazione aziendale, dovuti alle percezioni di scollamento da parte degli
stakeholders fra ciò che l’azienda dichiara e come effettivamente agisce.
La soluzione sembra essere quella di scindere molto bene le due diverse fasi:
ovvero distinguere la fase di redazione e realizzazione dello strumento di CSR
ambientale (bilancio, dichiarazione, certificazione che sia), all’interno della
quale la comunicazione svolge una funzione connettiva e di relazione con le
diverse parti, dalla fase di diffusione delle politiche di CSR, che rappresenta una
vera e propria attività di comunicazione tout court.
69
3.2
IMPLEMENTARE
LA
CSR
AMBIENTALE
CON
LE
CERTIFICAZIONI
3.1.2 Certificare il grado di qualità ambientale
La variabile ambientale vede nello strumento delle certificazioni un canale
preferenziale per lo sviluppo delle strategie di responsabilità sociale. Le prime
forme e declinazioni di questo fondamentale strumento hanno sempre visto fra i
fattori considerati le implicazioni ecologiche connesse alle attività delle
organizzazioni. Come detto in precedenza, la filosofia di fondo può considerarsi
il concetto di processo di gestione che si declina nell’approccio sistemico o di
prodotto50.
Le soluzioni di certificazione per le variabili ambientali si rifanno ad un contesto
normativo di fondo, ovvero quello definito da ISO nella serie 1400051, dedicata
specificatamente al management ambientale, con lo scopo di:
Minimizzare gli impatti ambientali delle attività produttive;
Raggiungere un costante miglioramento delle performance delle
organizzazioni;
Questo standard, assieme a ISO 9000, è il solo ad essere ‘generic’ e relativo al
‘management system’:
Generic means that the same standards can be applied:
To any organization, large or small, whatever its product
Including whether its "product" is actually a service
In any sector of activity, and
whether it is a business enterprise, a public administration, or a government
department.
"Generic" also signifies that no matter what the organization's scope of activity, if it wants
to establish a quality management system or an environmental management system, then
such a system has a number of essential features for which the relevant standards of the
ISO 9000 or ISO 14000 families provide the requirements.
"Management system" refers to the organization's structure for managing its processes or activities - that transform inputs of resources into a product or service which meet the
organization's objectives, such as satisfying the customer's quality requirements,
52
complying to regulations, or meeting .
50
Capitolo 2, pag 53;
L’International Standard Organisation (ISO) è un’organizzazione non governativa istituita nel 1946, che
studia e progetta norme e standard di performance economica, ambientale e sociale. La stragrande
maggioranza degli standard codificati è altamente specifica e riferita ad un prodotto, un materiale, un
processo. Ma gli standard più famosi ed usati, ovvero ISO 9000 ed ISO 14000 sono generici.
52
Sito ufficiale di ISO: www.iso.org;
51
70
L'intera serie ISO 14000 fornisce quindi strumenti manageriali per le
organizzazioni che vogliono porre sotto controllo i propri aspetti ed impatti
ambientali e migliorare le proprie prestazioni in tale campo. Gli standard non
indicano livelli prescrittivi di miglioramento della prestazione, ma indicano le
modalità per gestire le attività in modo da perseguire gli obiettivi di prestazione
autonomamente determinati.
Una caratteristica chiave di tutti i requisiti ISO 14000 è la loro natura volontaria,
significa che non vi è alcuna costrizione legislativa al loro utilizzo.
La decisione di adottare simili standard prescinde dall'ottica di breve periodo e
la motivazione, oltre ad una prospettiva di responsabilità sociale, può provenire
anche solo dal bisogno di un maggiore controllo del rispetto dei regolamenti
ambientali, dalla ricerca di efficienza nei processi, dalle richieste dei clienti o
dalle pressioni della comunità.
Il gruppo di norme (certificabili e non certificabili) della serie 14000 comprende
la tematica generale dei sistemi di gestione ambientale, e propone tre tipologie
di strumenti utili per la sua attuazione: LCA (Life Cycle Assessment), EPE
(Environmental Performance Evaluation) e Environmental Labelling.
Le norme ISO di questa serie sono sempre in aggiornamento.
L'ISO 14001 è la norma che può essere attuata da qualsiasi tipo di
organizzazione che intenda conseguire un miglioramento nell'esercizio delle
proprie attività attraverso l'adozione di un sistema di gestione ambientale; tale
norma è certificabile ed è anche stata recepita dal nuovo Regolamento EMAS.
Ad essa si sono aggiunte le norme del sottoinsieme ISO 14030 per la
valutazione delle prestazioni ambientali. Il sottoinsieme ISO 14020 disciplina,
invece, diversi tipi di etichette e di dichiarazioni ambientali per i prodotti,
standardizzando diversi livelli di informazione al pubblico sulle prestazioni
ambientali di prodotti e servizi. Sotto questo punto di vista etichette e
dichiarazioni svolgono un ruolo importante ai fini del consumo sostenibile, in
quanto definiscono, in maniera credibile e trasparente, un limite che
contraddistingue i prodotti più compatibili con l'ambiente da quelli meno
compatibili. A queste si aggiunge la ISO 14040 che norma la metodologia da
applicare nello studio sul ciclo di vita.
Recente (2006) è il sottoinsieme ISO 14063 che disciplina le modalità operative
per la comunicazione ambientale.
71
3.2.2 Le principali Certificazioni Ambientali di Prodotto
Esistono tre diversi tipi di etichette ambientali di prodotto, istituite dalle norme
ISO serie 14020:
TIPO I: Etichette ecologiche volontarie basate su un sistema multicriteria
che considera l’intero ciclo di vita del prodotto, sottoposte a certificazione
esterna da parte di un ente indipendente (ISO 14024);
TIPO II: Etichette ecologiche che riportano auto-dichiarazioni ambientali
da parte di produttori, importatori o distributori di prodotti, senza che vi
sia l’intervento di un organismo indipendente di certificazione tra le quali
rientrano: ”Riciclabile”, “Compostabile”, etc. (ISO 14021);
TIPO III: Etichette ecologiche che riportano dichiarazioni basate su
parametri stabiliti e che contengono una quantificazione degli impatti
ambientali associati al ciclo di vita del prodotto calcolato attraverso un
sistema LCA. Sono sottoposte a un controllo indipendente e presentate
in forma chiara e confrontabile (ISO 14025);
Le etichette più diffuse sono quelle di tipo I e III perché la certificazione da parte
di terzi della qualità ottenuta ed implementata è principalmente riconosciuta e
considerata un valore aggiunto. Per ognuno di questi due tipi maggiormente
diffusi, verrà analizzato il marchio più utilizzato a livello internazionale. In ogni
caso, per questa tipologia di etichette la base è da considerarsi il metodo LCA.
Il Life Cycle Assessment (Valutazione del Ciclo di Vita) rappresenta uno degli
strumenti fondamentali per l’attuazione di una Politica Integrata dei Prodotti: si
tratta di un metodo oggettivo di valutazione e quantificazione dei carichi
energetici
ed
ambientali
e
degli
impatti
potenziali
associati
ad
un
prodotto/processo/attività lungo l’intero ciclo di vita, dall’acquisizione delle
materie prime al fine vita (c.d. ‘dalla culla alla tomba’). La rilevanza di tale
tecnica risiede principalmente nel suo approccio innovativo che consiste nel
valutare tutte le fasi di un processo produttivo come correlate e dipendenti. Tra
gli strumenti nati per l’analisi di sistemi industriali l’LCA ha assunto un ruolo
preminente ed è in forte espansione a livello internazionale. La metodologia
LCA è il cardine dalle norme ISO della serie 14040, in base alle quali uno studio
di valutazione del ciclo di vita prevede: la definizione dell’obiettivo e del campo
di applicazione dell’analisi (ISO 14041), la compilazione di un inventario degli
72
input e degli output di un determinato sistema (ISO 14041), la valutazione del
potenziale impatto ambientale correlato a tali input ed output (ISO 14042) e
infine l’interpretazione dei risultati (ISO 14043).
A livello europeo l’importanza strategica dell’adozione della metodologia LCA
come strumento basilare e scientificamente adatto all’identificazione di aspetti
ambientali significativi è espressa chiaramente all’interno del Libro Verde COM
2001/68/CE e della COM 2003/302/CE sulla Politica Integrata dei Prodotti.
Potenzialmente quindi le sue applicazioni sono innumerevoli:
Sviluppo e Miglioramento di prodotti/processi;
Marketing Ambientale;
Pianificazione strategica;
Attuazione di una Politica Pubblica.
Tuttavia poiché uno studio dettagliato di LCA può risultare a volte costoso (in
termini economici e di tempo) e complesso da eseguirsi (si deve acquisire una
notevole quantità di dati ambientali durante ogni fase del ciclo di vita, come
pure conoscere in modo approfondito sia gli aspetti metodologici standardizzati
della metodologia che gli strumenti di supporto quali software e banche dati), si
stanno sempre più sviluppando strumenti di ‘LCA semplificata’ che consentano
una verifica immediata del ciclo di vita dei prodotti anche a coloro che non
possiedono tutte le competenze e le risorse necessarie per realizzare uno
studio dettagliato.
Inoltre poiché di fondamentale importanza per la buona riuscita di uno studio di
LCA è la disponibilità di dati attendibili, in campo internazionale ed europeo si
sta cercando di favorire l’accessibilità, la disponibilità e lo scambio gratuito e
libero di dati LCA attraverso lo sviluppo di Banche Dati pubbliche, protette,
compatibili, trasparenti ed accreditate.
3.2.2.1
TIPO I: ECOLABEL
Ecolabel è la certificazione ambientale europea che contraddistingue prodotti e
servizi a minor impatto ambientale nata nel 1992 con l'adozione del
Regolamento europeo n. 880/92, e aggiornata con il nuovo Regolamento
73
n.1980 del 17 luglio 2000. Ecolabel viene concesso a quei prodotti e servizi che
rispettano criteri ecologici e prestazionali stabiliti.
Tali regole ambientali si applicano a tutti i beni di consumo (eccetto alimenti,
bevande, e medicinali) ed ai servizi, per un totale di circa 250 categorie di
prodotti in Europa (80 in Italia). I criteri sono definiti a livello europeo per gruppi
di prodotto/servizio, rilevando gli impatti dei prodotti sull'ambiente con l’utilizzo
dell'approccio LCA, come precedentemente specificato. Gli aspetti che sono
analizzati sono il consumo di energia, l'inquinamento delle acque e dell'aria, la
produzione di rifiuti, il risparmio di risorse naturali, la sicurezza ambientale e la
protezione dei suoli. Tra gli elementi che hanno un maggior impatto negativo
sull'ambiente vengono individuati i più rilevanti, e per ciascuno di essi sono
stabiliti precisi limiti che non possono essere superati. I criteri così definiti sono
sottoposti ad una ampia consultazione in seno al Comitato dell'UE (CUEME)
che è composto dagli Organismi competenti degli Stati membri, da
rappresentanti delle ONG ambientaliste, da associazioni dei consumatori e
dell'industria, da sindacati nonché da rappresentanti delle PMI e del mondo del
commercio. Infine, i criteri devono essere sottoposti per l'approvazione alla
Commissione delle Comunità Europee. Una volta adottati i criteri restano validi
fino alla successiva revisione, che potrebbe renderli più restrittivi, in relazione al
mercato e ai progressi scientifici e tecnologici, sempre al fine di migliorare le
prestazioni ambientali del prodotto etichettato e di mantenere la selettività del
marchio.
Attualmente possono richiedere l'Ecolabel europeo 23 gruppi di prodotti/servizi:
calzature, tessili, lampadine, materassi, frigoriferi, detersivi (per lavastoviglie,
per bucato, per stoviglie, multiuso e per sanitari), lavastoviglie e lavatrici, carta
per copie, ammendanti, personal computer, carta per uso domestico, pitture e
vernici, piastrelle, lubrificanti e i servizi di ricettività turistica e di campeggio.
Sono in corso di definizione i criteri per i mobili e la carta stampata.
Le domande di assegnazione del marchio di qualità ecologica possono essere
presentate da produttori, importatori, prestatori di servizi e distributori
all'ingrosso e al dettaglio. I distributori possono presentare domanda solo per i
prodotti che immettono in commercio contrassegnandoli con il proprio marchio.
Un prodotto/servizio per ottenere il marchio Ecolabel deve rispettare i requisiti
previsti dai criteri adottati a livello europeo per quel gruppo di prodotti. Un
74
manuale tecnico, concepito per accompagnare il richiedente nell'iter di
attuazione dello schema, è disponibile per ciascun gruppo di prodotto/servizio.
Ciascuno di questi compendi contiene tutte le informazioni sui criteri e sui
rapporti di prova necessari per il rilascio del marchio per quel gruppo di prodotti.
La domanda, insieme con il fascicolo tecnico, tutti i documenti necessari per la
valutazione tecnica è presentata al Comitato Ecolabel-Ecoaudit, Sezione
Ecolabel, che provvede ad inoltrarla ad APAT per l'esecuzione dell'istruttoria
tecnico-amministrativa.
Al consumatore l'Ecolabel europeo garantisce che il prodotto:
ha un minor impatto ambientale rispetto agli altri prodotti presenti sul
mercato;
è stato sottoposto a severissimi test per assicurarne le qualità ambientali
e prestazionali;
Scegliendo prodotti/servizi Ecolabel quindi, il consumatore contribuisce a
migliorare l'ambiente, riceve un'informazione trasparente e credibile, acquista
prodotti che non hanno componenti dannosi alla salute e verificati da un
Organismo indipendente.
al produttore e al distributore l' Ecolabel europeo:
consente di richiedere per i propri prodotti un marchio valido in tutti i
Paesi europei;
accresce la visibilità sul mercato nazionale ed europeo;
una pubblicità aggiuntiva attraverso le campagne di promozione dell'UE e
degli Stati membri, i siti web dedicati, etc.
Ulteriori benefici, infine, possono derivare dal crescente sviluppo del mercato
verde, e dalle iniziative che sono allo studio dell'UE e degli Stati membri per
aumentarne la diffusione53.
3.2.2.2
TIPO III: DAP o EPD
DAP è l’acronimo italiano di Dichiarazione Ambientale di Prodotto equivalente
all’inglese
Environmental
Product
Declaration.
Verso
questa
nuova
certificazione le Autorità di Regolazione, gli Enti di normazione, il mondo della
ricerca, le imprese e i consumatori hanno manifestato considerevole interesse,
sia in Italia, sia in Europa che nel mondo.
53
IPP, Libro Verde, Green Public Procurement, etc.
75
La DAP (o EPD) è un documento che contiene informazioni oggettive,
constatabili e credibili circa l’impatto ambientale di un prodotto vale a dire a
partire dalla sua concezione, attraverso la sua fabbricazione ed utilizzazione,
fino al termine della sua vita utile e relativo smaltimento.
Essa costituisce un importante strumento comunicativo che evidenzia le
performance ambientali di un prodotto, aumentandone la visibilità e
l’accettabilità sociale, rivolto, sia ai consumatori (BtoC), sia agli utilizzatori
industriali e commerciali (BtoB).
Come evidenziato prima, la DAP è basata sulla valutazione del ciclo di vita del
prodotto secondo LCA ed è regolata dalle Norme della serie ISO 14020 e dalla
serie ISO 14040 che ne costituiscono i riferimenti normativi di metodo.
Per rendere le DAP fra loro comparabili e quindi di utilizzabilità generale (e a
differenza di Ecolabel, internazionale) da parte del mercato, vengono
predisposti requisiti specifici, comuni a determinate categorie di prodotti
(servizi), tramite appositi documenti denominati PSR Product Specific
Requirements (o PCR – Product Category Rules) che rappresentano, di fatto, i
riferimenti normativi di “merito” per le certificazioni in oggetto. Tali documenti
sono generalmente elaborati nell’ambito di collaborazioni tra le parti interessate
(associazioni industriali, utilizzatori, università, Organismi di Certificazione,
ecc..), secondo meccanismi del tutto analoghi a quelli adottati per gli altri
schemi di certificazione di prodotto.
La DAP viene predisposta dal produttore e verificata e convalidata da appositi
organismi di parte terza (denominati Organismi Operanti la Verifica e Convalida
delle DAP) che sono chiamati ad accertare ed assicurare la correttezza dello
studio di LCA e la credibilità e veridicità dei dati e delle informazioni contenuti
nella dichiarazione con riferimento ai requisiti delle PSR applicabili. La
competenza di detti Organismi ovviamente deve, a sua volta, essere
riconosciuta da un competente Ente di Accreditamento.
La DAP viene infine diffusa al mercato tramite adeguati meccanismi di
registrazione e comunicazione, secondo criteri che possono ispirarsi a quelli in
uso per le Dichiarazioni Ambientali di Sistema (EMAS).
Il ‘Sistema DAP o EPD’ descritto ha trovato applicazioni in molteplici aree
economiche (Canada, Danimarca, Giappone, Norvegia, Germania, Svezia,
Corea del Sud ed altre) fra loro collegate attraverso una rete mondiale
76
denominata GEDnt (Global Type III Environmental Product Declaration
Network).
Fra i vari sistemi di EPD quello che appare più avanzato e consolidato è quello
Svedese facente capo allo Swedish Environmental Management Council –
SEMC, Agenzia pubblica operante anche in veste di Comitato Nazionale
EMAS, che si avvale dell’Ente di Accreditamento Nazionale Svedese SWEDAC
per l’accreditamento degli Organismi di Certificazione, nel quadro di un’efficace
e sinergica collaborazione54.
3.2.3 Le principali Certificazioni Ambientali di Processo
Anche questi marchi sono regolati dalla normativa quadro della serie ISO 14000
(in particolare ISO 14001:2004). Le più importanti e diffuse certificazioni di
processo sono ISO 14001 ed EMAS.
I meccanismi messi in atto sono molto simili a quelli previsti dalla norma ISO
9000 e la revisione della ISO 14000 è andata proprio nella direzione di rendere i
due sistemi fra loro più integrabili.
3.2.2.1
ISO 14001
Come descritto in precedenza, lo standard ISO 14001 si inquadra all’interno del
più vasto panorama delle norme ISO e ne ricalca pertanto i medesimi tratti
fondamentali. Certificare l’intero processo produttivo è molto diverso dal
certificare un solo prodotto. La norma in vigore attualmente è Iso 14001:2004.
Al fine di ottenere la certificazione, le organizzazioni devono passare attraverso
numerose fasi, necessarie ad implementare un sistema di gestione che tenga in
considerazione tutte le variabili ambientali correlate. Da notare che questo
processo è graduale ed ogni avanzamento comporta mosse diverse che
vengono realizzate con l’utilizzo di strumenti diversi e si concretizzano con la
produzione di diversi documenti fra loro correlati. Possiamo suddividere il
processo di certificazione ISO 14001 nelle seguenti fasi:
54
Da segnalare anche un Progetto conclusosi recentemente e sviluppato con finanziamenti dell’Unione
Europea – denominato Progetto “Intend” – finalizzato alla messa a punto di uno schema europeo di
verifica e convalida delle Dichiarazioni Ambientali i cui risultati, si auspica, possano essere recepiti a livello
europeo, garantendo così un approccio efficace ed armonizzato nei diversi paesi dell’Unione.
77
1. Esecuzione della Analisi Ambientale, grazie alla quale l’azienda
acquisisce una conoscenza dettagliata degli effetti ambientali prodotti
dalla propria attività attraverso l’identificazione delle attività e degli
aspetti ambientali connessi, con le rispettive interazioni fra le due sfere.
Una volta individuati tutti quanti, vengono raggruppati in base a criteri
che devono essere definiti con chiarezza, gli aspetti ambientali
considerati più importanti (denominati Aspetti Ambientali Significativi),
che rappresenteranno gli aspetti chiave sui quali agire nelle fasi
successive. Per quanto riguarda gli effetti ambientali significativi, la
norma prevede che siano considerati quelli derivanti da: condizioni
operative normali; condizioni operative anormali; incidenti, imprevisti e
possibili situazioni di emergenza; attività passate, presenti e previste.
Attraverso l’analisi ambientale l’organizzazione può rendersi conto di
quanto sia distante rispetto ai requisiti previsti dalla norma e identificare
gli aspetti ambientali più significativi. L’analisi ambientale è uno studio
complesso e lungo ma di fondamentale importanza e rappresenta la
base di partenza delle azioni di miglioramento ambientale.
2. Sulla base della nuova consapevolezza data dalla procedura di analisi
ambientale, l’organizzazione definisce i propri obiettivi di miglioramento e
redige un Programma Ambientale attraverso il quale traduce i principi
generali enunciati nella politica ambientale in misure concrete,
definendone inoltre la tempistica e l’attribuzione di responsabilità e
risorse necessarie al loro perseguimento. A questo punto la direzione
nomina anche un Responsabile per la gestione ambientale, che sarà la
figura di coordinamento e controllo di tutte le variabili ambientali
individuate.
3. Redazione di un Manuale di Gestione Ambientale. Questo manuale
descrive in maniera schematica ma completa attraverso delle procedure
tutte le attività operative che l’organizzazione compie al fine di gestire le
variabili connesse con l’ambiente in tutti i processi produttivi dell’impresa,
indicando gli strumenti che ne misurano l’efficienza e l’impatto (Registri)
nonché le istruzioni operative per il compimento di determinate azioni.
Non c’è un numero fisso di procedure, in quanto una organizzazione può
decidere di stabilire quante ne desidera per attuare al meglio la gestione
78
delle sue attività. Ciascuna procedura esplicita il suo scopo, il suo campo
di applicazione, i soggetti responsabili della procedura, le modalità
operative e gli eventuali registri di controllo che vengono utilizzati.
La realizzazione del manuale è uno dei punti centrali del processo, che
coinvolge
l’intero
insieme
delle
attività
messe
in
moto
dall’organizzazione: si va dalla pianificazione (es. procedure per la scelta
di obiettivi, traguardi e programmi) all’attuazione del sistema di gestione
(es. procedure per la gestione dei rifiuti, di comunicazione esterna ed
interna, di formazione, di risposta ad emergenze ambientali) fino ad
arrivare al controllo e verifica (procedure di sorveglianza e misurazione,
di controllo dei registri e procedura di audit interno). E’ molto importante
che tutte le nuove regole operative siano negoziate e stabilite con chi poi
le dovrà applicare, ovvero i collaboratori interni.
4. Attuazione della documentazione realizzata, formando il personale alle
nuove procedure gestionali, impiegando gli strumenti operativi quali le
procedure nonché gli strumenti di controllo quali i registri.
5. Realizzazione di audit ambientali interni, ovvero verifica periodica delle
performance organizzative adottate, attraverso l’analisi dei registri ed
implementando le procedure di controllo previste dal sistema di gestione
ambientale stesso.
6. Esecuzione
del
riesame
da
parte
della
direzione.
Tutta
la
documentazione e delle procedure messe in atto vengono analizzate alla
luce dei risultati conseguiti e dagli esiti degli audit, con successiva
modifica di obiettivi o di strategie operative.
7. Presentazione della domanda di certificazione ad una terza parte
indipendente ed accreditata, corredata dalla documentazione relativa
all’analisi ambientale effettuata, al programma ambientale, al sistema di
gestione ambientale. Da questo momento questo soggetto assume
anche un ruolo di sorveglianza rispetto al processo di miglioramento
continuo ai fini del mantenimento dei requisiti e, quindi, della
certificazione. Per mantenere la registrazione l’organizzazione deve
sottoporre a verifica esterna gli elementi richiesti per la registrazione in
un periodo non superiore a trentasei mesi e aggiornare annualmente la
79
dichiarazione ambientale, ponendo in evidenza le variazioni rispetto alle
versioni precedenti.
3.2.3.2
EMAS
EMAS è l’acronimo di Eco Management Audit Scheme, ed è un etichetta che
attesta l’adozione da parte di un organizzazione pubblica, privata o non-profit di
un sistema di gestione ambientale trasparente e verificabile.
Lanciato nel 1993, è stato sottoposto a revisione nel 2001 e recentemente nel
febbraio del 200655. Tali modifiche hanno introdotto significative novità, in
particolare la possibilità di aderire allo schema per le organizzazioni di tutti i
settori (mentre
precedentemente
era
compatibile
solo
con il settore
manifatturiero), la valutazione non solo degli aspetti ambientali diretti ma anche
di quelli indiretti, l'adozione di un nuovo logo EMAS, il principio di integrazione
della norma UNI EN/ISO 14001 come riferimento per la realizzazione del
sistema di gestione ambientale di EMAS, nonché il ruolo fondamentale della
partecipazione dei dipendenti in tutte le fasi dell’organizzazione del processo di
gestione. Da questa innovazione deriva anche l’abbandono del concetto di
‘sito’, in quanto ora è l’intera ‘organizzazione’ ad essere sottoposta a verifica.
EMAS è una certificazione valida a livello europeo: seppur usando il sistema
ISO 14001 per la realizzazione del sistema di gestione ambientale, presenta
delle peculiarità interessanti, tali da farne una etichetta molto più prestigiosa
dell’adozione di semplice ISO.
Lo schema EMAS prevede gli stessi passaggi fondamentali di ISO 14001, ma li
completa con altri documenti e relative azioni connesse, ovvero la Politica
Ambientale e la Dichiarazione Ambientale.
Successivamente all’individuazione di obiettivi e programma ambientale, la
direzione elabora la Politica Ambientale, nella quale dichiara, formalizza e
55
Regolamento comunitario n. 761/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, entrato in vigore il
27/04/2001 a sostituzione del precedente regolamento n. 1836/93 del Consiglio. Il Regolamento Emas è in
fase di ulteriore modifica e presso la Commissione UE approverà una ulteriore versione di Emas
denominata EMASIII. Nel 2006 il Regolamento ha subito nuove ma non sostanziali modifiche al fine di
adeguarlo alla mutata disciplina della norma ISO 14001:2004, in particolare modificando l’Allegato I del
Regolamento (CE) n. 761/2001 del Parlamento Europeo e del Consiglio ed abrogando la decisione
97/265/CE.
80
sintetizza i propri obiettivi e principi di azione rispetto alle questioni ambientali.
La politica deve risultare appropriata rispetto al tipo di organizzazione e ai suoi
impatti, includendo traguardi ambientali. Essa deve essere concretamente
scritta in un documento formale che sarà poi diffuso fra i dipendenti e reso
disponibile agli stakeholder.
Dopo la realizzazione del sistema di gestione ambientale, è necessario redigere
un altro documento di sintesi denominato Dichiarazione Ambientale, che
comprende:
la descrizione dell’ organizzazione e delle sue attività,
prodotti e servizi creati dell’organizzazione;
la descrizione della politica ambientale e del sistema di gestione
ambientale, come descritta e strutturata nel Manuale di Gestione;
l’analisi degli impatti ambientali e dei relativi obiettivi;
le prestazioni ambientali complessive.
In quanto destinata ad un ampio pubblico, la dichiarazione deve essere al
tempo stesso chiara, sintetica, leggibile e approfondita, completa ed esaustiva
(preferibilmente corredata di riferimenti e allegati tecnici). Infine deve essere
convalidata da un verificatore ambientale e resa pubblica.
Le
imprese
che
vengono
ritenute
idonee
dall’organo
competente
successivamente all’invio della documentazione e la verifica dell’organizzazione
di verifica vengono aggiunte al Registro Emas e si possono fregiare dell’uso del
relativo logo in tutti i documenti e comunicazioni.
Oltre al miglioramento continuo attraverso la verifica periodica delle
performance quindi, la norma EMAS si basa su un altro principio fondamentale,
non contemplato in ISO 14001: la trasparenza.
Da un punto di vista concreto, dal momento in cui lo standard ISO è stato
assunto quale sistema di gestione di riferimento al fine di ottenere la
registrazione Emas, non si può dire che vi siano significative differenze
operative.
Concettualmente
però,
nonostante
ambedue
gli
schemi
tendano
a
responsabilizzare l'impresa nei riguardi del miglioramento continuo della loro
prestazione ambientale, la diversità chiave sta nei rispettivi obiettivi finali:
81
EMAS porta a produrre una Dichiarazione Ambientale destinata alla
comunicazione tra impresa e pubblico, il cui contenuto informativo viene
convalidato, per gli aspetti di attendibilità, da un terzo indipendente;
La certificazione ISO 14001 porta ad ottenere, da un terzo indipendente,
una attestazione di conformità alla norma stessa del sistema di gestione
ambientale di un'impresa.
Pertanto EMAS si spinge più in là della semplice conformità che è data da ISO
14001.
La tabella 1 riporta in maniera schematica le principali differenze tra i due
strumenti. Queste minime differenze operative costituiscono le basi un impianto
concettuale diverso per le due etichette. EMAS in particolare va oltre ISO,
perché
mette
in
primo
piano
il
ruolo
di
trasparenza
e
controllo
dell’organizzazione da parte delle persone che operano al suo interno (e fra
questi in particolar modo, i dipendenti) e dei soggetti interessati alle azioni e
politiche della stessa (stakeholder).
REGOLAMENTO EMAS
NORMA UNI EN ISO 14001
Riconosciuto a livello europeo
Riconosciuto a livello internazionale
Il verificatore è un soggetto privato, accreditato da una
istituzione pubblica (Comitato Ecolabel-Ecoaudit)
L’ente di certificazione è un soggetto privato, accreditato
da un soggetto privato (Sincert)
Viene sottoposta a certificazione DI ATTENDIBILITA’ E
VERIDICITA’ una Dichiarazione Ambientale che riassume Attesta la conformità ed il rispetto della normativa ISO
e
sintetizza
tutte
le
parti
del
SGA
implementato 14001
dall’organizzazione
L'accreditamento
dei
Verificatori
è
deliberato
dall'Organismo di Accreditamento, ovvero dal Comitato
Ecoaudit Ecolabel; le attività di istruttoria e verifica sono
L'accreditamento dei certificatori è svolto dal SINCERT.
svolte da ANPA che opera in collaborazione con il
SINCERT per le parti comuni tra EMAS ed ISO 14001.
Tab 1 Differenze fra Emas ed Iso14001
EMAS pone al centro il rapporto che l’organizzazione intrattiene con la
collettività. L’imposizione di comunicare i propri impegni instaurando e
mantenendo relazioni con diversi pubblici è considerata la molla che fa scattare
automaticamente comportamenti virtuosi: l’obbligo alla trasparenza imposto da
EMAS
viene
eretto
a
garanzia
e
controllo
dei
comportamenti
82
dell’organizzazione in campo ambientale, in quanto i pubblici sono a
conoscenza delle promesse dell’organizzazione.
La Dichiarazione Ambientale (DA) non è quindi solo una descrizione del
sistema di gestione ambientale, ma è la pubblica enunciazione degli impegni e
della strategia per conseguirli, con la garanzia sulla veridicità di tali affermazioni
data dalla convalida di un Organismo indipendente.
La DA è lo strumento con il quale l’azienda è tenuta ad improntare le sue
relazioni all’esterno ed all’interno. Proprio per l’importanza di questo
documento, l’UE ha disposto delle particolari condizioni per la sua redazione.
Il Regolamento 1836/93 infatti ne prevedeva la predisposizione, ma senza
specifici riferimenti per quanto riguarda la sua struttura ed il dettaglio dei
contenuti. Tale esperienza operativa ha dimostrato che la carenza, in termini
prescrittivi e d’indirizzo, porta ad una notevole difformità di comportamenti e
d’interpretazioni all’interno dell’Unione Europea. Gli Organismi nazionali
competenti, che hanno anche il compito di promuovere e di vigilare sulla
corretta applicazione dello schema, non sempre hanno emanato proprie linee
guida interpretative e n’è conseguito che le imprese, di fronte al problema di
come compilare la dichiarazione ambientale, hanno cercato propri modelli di
comunicazione
ispirandosi
spesso
ad
esempi,
non
sempre
adeguati,
provenienti da altri settori produttivi e/o da altri stati membri della UE. Molte
aziende hanno preso come riferimento i propri rapporti ambientali. Sulla base di
questa esperienza, in fase di revisione del regolamento EMAS, la Commissione
ha voluto regolamentare il tema della qualità della comunicazione esterna
partendo anzitutto dal testo normativo ed indicando una serie d’informazioni su
come la dichiarazione ambientale deve essere strutturata.
Secondariamente la Commissione ha deciso di approfondire ulteriormente
l’argomento in una specifica ‘linea guida dal titolo Orientamenti relativi alla
dichiarazione ambientale EMAS. La linea guida, elaborata con una visione più
mirata a fornire indicazioni pratiche intende supportare le imprese, i verificatori
ambientali e gli organismi competenti, a comprendere più a fondo lo spirito del
Regolamento in tema di comunicazione ambientale e di creare un quadro di
riferimento, omogeneo in tutta la UE, all’interno del quale ogni organizzazione
può trovare il proprio modo di esprimersi senza tralasciare alcuno dei requisiti
83
obbligatori di EMAS. Le linee guida infatti descrivono i principi generali che
regolano la Dichiarazione Ambientale, i contenuti che devono essere
obbligatoriamente
inseriti
nel
documento,
ed
infine
le
modalità
di
predisposizione di parti con informazioni mirate a destinatari specifici
suggerendo, per alcuni dei principali interlocutori dell’organizzazione, quelli che
possono essere gli argomenti di specifico interesse.
a. Applicazione di EMAS
Il Regolamento 761/2001:EMAS (modificato nell’Allegato I dal regolamento
196/2006:EMAS) adottato dal parlamento e dal Consiglio dell’Unione Europea è
stato oggetto di un attento e lungo dibattito in sede Comunitaria in quanto
ritenuto, da tutte le parti politiche, sociali ed economiche, strumento
fondamentale della politica ambientale dell’Unione.
Rispetto all’ applicazione della norma stessa e con lo scopo di favorirne la
diffusione all’interno degli Stati membri della UE, quasi tutti i Paesi hanno
introdotto elementi di flessibilità, in particolare rispetto alla domanda di
autorizzazione, ai requisiti per i rapporti di sorveglianza e alla diminuzione delle
ispezioni. Infine, sono previsti in numerosi casi provvedimenti di incentivazione
a livello di appalti pubblici e di supporto finanziario, tecnico e informativo. Il
Regolamento infatti non si delinea come un percorso rigido prestabilito ma è
piuttosto uno strumento da interpretare ed adattare alle specifiche realtà
aziendali, che può essere applicato alle attività indipendentemente dalle
dimensioni del sito e dell'azienda, dalla laboriosità del processo produttivo e del
prodotto, dalla complessità organizzativo/gestionale dell'impresa.
Sulla base della considerazione che l'adesione ad EMAS può comportare molti
benefici, traducibili in risparmi riscontrabili ed in vantaggi strategici ed economici
sul medio lungo periodo, i governi e la UE si sono sforzati di specificare e di
semplificare la normativa affinché possa essere applicata dal maggior numero
di organizzazioni possibile. C'è infatti il rischio che l'impresa possa essere
spaventata dalla apparente complessità ed onerosità dei provvedimenti da
attuare per soddisfare il Regolamento e quindi abbandoni il proposito di aderire
ad EMAS.
La
Commissione
Europea
vigila
sull’applicazione
della
norma
e
sul
funzionamento dello schema attraverso un apposito Comitato, nell’ambito del
84
quale sono state proposte azioni per coprire alcuni aspetti del nuovo
Regolamento che necessitavano di chiarimento. I relativi atti sono stati recepiti
dalla Commissione con la pubblicazione, in Gazzetta Ufficiale dell’UE 247/1 e
247/24 del 17 settembre 2001 delle seguenti raccomandazioni e decisioni:
1. Raccomandazione della Commissione [2001/680/CE del 7/9/2001]
relativa agli orientamenti per l’attuazione del Regolamento CE n.
761/2001 (EMAS) relativamente ai contenuti della Dichiarazione
ambientale, alla partecipazione dei dipendenti, alla valutazione degli
aspetti ambientali ed alla verifica delle PMI;
2. Decisione della Commissione [2001/681/CE del 7/9/2001] relativa agli
orientamenti per l’attuazione del Regolamento CE n. 761/2001 (EMAS)
relativamente all’identificazione del soggetto registrabile (entità), all’uso
del logo ed alla periodicità dell’audit di verifica e convalida della
dichiarazione ambientale.
Ai fini del presente lavoro, è di indiscussa importanza l’AllegatoI della
Decisione, relativo all’ identificazione del soggetto registrabile.
La Decisone della Commissione descrive in maniera dettagliata quali sono le
organizzazioni che possono conseguire la certificazione.
La linea guida identifica il soggetto registrabile come entità ossia un “Sito o
parte di esso, organizzazione, parte o gruppi di organizzazioni che intendono
registrarsi con un unico numero56.” Il documento contempla otto macro
classificazioni di queste entità, ma non si esclude la possibilità di una
estensione della trattazione di questa materia man mano che viene acquisita
esperienza operativa negli anni.
Le organizzazioni riconosciute come aventi diritto di richiedere la certificazione
sono:
1. Organizzazioni che operano in un unico sito: è il più semplice dei casi
previsti e si riferisce essenzialmente alle organizzazioni per le quali
l’entità da registrare è interamente compresa in un’area geografica
delimitata e definita e per le quali il sistema di gestione ambientale
comprende tutte le attività che vengono svolte al suo interno.
56
Allegato I della Decisone nr. 2001/681/CE del 7/9/2001
85
2. Circostanze eccezionali per la registrazione di un’entità più piccola di un
sito. E’ stato concessa questa opzione con una serie di prescrizioni
aggiuntive nella consapevolezza generale che deve trattarsi di casi
eccezionali. La prima, e più rilevante di queste condizioni, è legata alla
dimostrazione che la scelta deriva sostanzialmente da problemi operativi,
commerciali o di strategia globale dell’impresa e non da un’operazione di
cherry picking57. La seconda condizione da rispettare riguarda l’aspetto
comunicativo verso il pubblico e le parti interessate, in quanto la
dichiarazione ambientale deve evidenziare che la registrazione EMAS
riguarda solo una parte del sito e la direzione aziendale deve giustificare
in essa la scelta operata.
3. Organizzazioni che operano in più siti. Si distingue fra:
Le organizzazioni con prodotti o servizi identici o simili, che
sono ramificate sul territorio con uffici, filiali e succursali,
caratterizzate essenzialmente da aspetti ambientali indiretti,
come le banche, le assicurazioni, le società di consulenza, le
agenzie di viaggio e le catene di distribuzione. Il sistema di
gestione ambientale sarà pertanto governato dalla sede
centrale con un manuale unico. Le attività periferiche potranno
essere classificate per tipologie simili e governate da procedure
di settore.
Le organizzazioni con prodotti o servizi diversi, che sono
caratterizzate soprattutto da aspetti ambientali diretti. Viene
data la possibilità di registrare uno o più siti a seconda
dell’assetto gestionale interno all’azienda.
4. Organizzazioni per le quali non è possibile definire adeguatamente un
territorio specifico. Questo è il caso tipico di attività diffuse su un
territorio, più o meno vasto, nel quale coesistono anche altre realtà
produttive gestite da soggetti pubblici e privati sui quali l’organizzazione
non ha alcun controllo gestionale né può esercitare un influenza diretta.
L’aspetto più rilevante consiste nel fatto che queste organizzazioni
operano in un sito allargato nel quale convivono anche le popolazioni
57
Cherry picking è una espressione idiomatica che indica lo sfruttamento di una situazione contingente a
proprio vantaggio.
86
residenti che sono potenzialmente esposte alle conseguenze degli
impatti ambientali delle attività sia in fase di normale funzionamento sia
in fase di eventuale emergenza e/o condizione incidentale. L’attività si
svolge a macchia di leopardo ed è radicata su tutto il territorio senza
possibilità di confinamento e quindi si rende necessario porre in essere
una serie di misure di prevenzione e di comunicazione con le popolazioni
residenti. Il cittadino deve avere la certezza che sono state correttamente
valutate tutte le variabili ambientali e quelle relative alla sicurezza delle
comunità e che sono state attuate le misure necessarie per far fronte alle
relative situazioni di emergenza. Tipicamente appartengono a questa
categoria le società di servizi (distribuzione di gas, elettricità, acqua,
teleriscaldamento),
società
di
raccolta
dei
rifiuti,
società
di
telecomunicazione e di trasporto pubbliche e private.
5. Organizzazioni che controllano siti temporanei, ovvero quei soggetti che
effettuano attività di servizio o di altro genere per periodi di tempo più o
meno lunghi, ma sempre comunque definiti, operando su siti, aree,
edifici, magazzini, impianti, appartenenti ad altre organizzazioni. La linea
guida richiede che l’organizzazione dimostri la propria capacità di
pianificare e gestire correttamente le attività. Diventano quindi molto
importanti sia l’aspetto tecnologico che quello gestionale per le attività
svolte in sede e presso i siti operativi.
6. Organizzazioni indipendenti che operano in un’area limitata registrata
come un’unica organizzazione comune. Sono aree più o meno vaste
nelle quali imprese, che non necessariamente appartengono alla stessa
organizzazione o corporate, si trovano nella necessità di gestire
problematiche ambientali comuni derivanti da particolari situazioni di
sensibilità e/o di pressione sul territorio e per le quali è difficile valutare il
contributo dei singoli aspetti ambientali all’impatto globale. Questa
situazione è tipica di aree industriali nelle quali gli stabilimenti sono
localizzati in modo contiguo e non vi è soluzione di continuità tra di essi,
oppure di imprese che usano la stessa infrastruttura per i servizi
essenziali (acqua, smaltimenti rifiuti, linee elettriche, depurazione, ecc.).
Le imprese in questa realtà possono avere l’interesse di perseguire
l’obiettivo di un’unica registrazione EMAS poiché questa soluzione, oltre
87
che auspicabile per i benefici che ne derivano in termini di rapporti con le
comunità locali e con le autorità, consente di ottimizzare le risorse da
impegnare su attività comuni. E’ il caso di complessi turistici o parchi
naturali.
7. Autorità locali ed istituzioni governative. La linea guida, più che
classificare tipologie di entità pubbliche registrabili secondo EMAS,
fornisce alcuni suggerimenti a coloro che hanno una responsabilità
politica e programmatica su un territorio. In particolare, viene posta
particolare attenzione ad una serie di punti che dovrebbero essere i
riferimenti per l’attuazione di EMAS nella pubblica amministrazione con
l’obiettivo prioritario della qualità delle vita presente e futura dei cittadini.
La specificità di questo caso consiste nel fatto che il cittadino diventa uno
degli elementi cardine del sistema e la sua partecipazione al progetto
EMAS è tanto più efficace quanto maggiore è la conoscenza e la
consapevolezza dell’importanza del proprio ruolo nel raggiungimento
dell’obiettivo
comune.
Quindi
le
linee
guida
raccomandano
le
amministrazioni pubbliche di:
Ricercare quanto più possibile la condivisione delle scelte
attraverso una costante campagna di informazione e di
confronto con le parti economiche e non economiche
interessate nelle fasi di attuazione del progetto. Una volta
attuato lo schema, deve essere garantita una costante
informativa sui traguardi raggiunti e sulle azioni per le quali
l'amministrazione sta concentrando i propri sforzi. Il cittadino
e/o le parti interessate dovrebbero avere la possibilità di
indicare situazioni di devianza rispetto ai risultati attesi.
Garantire la trasparenza al cittadino con verifica indipendente
dei
dati
ambientali
richiesti
dal
Regolamento
per
la
dichiarazione ambientale.
Pubblicare il monitoraggio continuo, che contribuisce ad
individuare problemi e situazioni di devianza rispetto alla ipotesi
di lavoro e consente di adottare misure correttive adeguate ed
in tempi ragionevoli.
88
Curare la comunicazione esterna ed interna, che assume un
ruolo importante nell’abbattimento della barriera esistente fra
cittadino e pubblica amministrazione e che raramente trova altri
strumenti anche legali per essere superata. La necessità del
raggiungimento dell’obiettivo comune crea le premesse per
aggirare ostacoli, diffidenze e, soprattutto, inerzie delle strutture
pubbliche nei confronti del cittadino.
Ricercare soluzioni strategiche alternative rispetto a programmi
di sviluppo al fine di trovare un giusto equilibrio fra l’iniziativa
privata e le esigenze della collettività.
La linea guida indica che i comuni piccoli dovrebbero raggiungere la
registrazione di tutto il territorio senza possibilità di suddivisione in entità
più piccole (es. servizi municipali, gli assessorati, ecc). Per i comuni
grandi invece, la registrazione dell’intera amministrazione appare una
impresa ardua ed possibile procedere per sezioni.
Come ultima riflessione le linee guida rimarcano che il cittadino si aspetta
da un comune/provincia EMAS un rigore ed un impegno più sostanziale
e più orientato alla trasparenza di quanto non lo richieda per un’impresa
privata. Gli ambiti di competenza di queste amministrazioni, infatti,
riguardano aspetti particolarmente sensibili della vita presente e futura
dei cittadini quali la qualità dell’ambiente e la salute.
8. Piccole imprese che operano in un determinato territorio di grandi
dimensioni e producono prodotti di identici o simili, che richiedono la
registrazione individuale. E’ il caso delle imprese che operano all’ interno
dei distretti, o Ambiti Territoriali Omogenei (ATO), caratterizzati dalla
presenza di piccole, piccolissime e medie imprese che sono attive in un
unico settore industriale. Nel territorio coesistono, con queste realtà
produttive, anche la popolazione residente ed altre organizzazioni
pubbliche
e
private
che
contribuiscono
alla
pressione
totale
sull’ambiente.
Anche se composto di molte parti, a livello economico un territorio con
simili caratteristiche è abbastanza omogeneo, o comunque, le parti si
influenzano a vicenda. Nel caso del distretto non si può pensare, vista la
complessità (territoriale, numero di imprese, ecc.) di poter delegare le
89
funzioni ambientali ad un unico organismo in analogia a quanto visto nei
casi precedenti (in particolare i punti 6 e 7) ma l’adozione di sistemi di
gestione ambientale deve essere fatta da più soggetti, in primis, da un
numero più elevato possibile di imprese e pubbliche amministrazioni.
Al momento però, la norma EMAS non ha predisposto strumenti in grado
di certificare ambiti così complessi e stratificati, ma la Commissione UE
ha avviato una sperimentazione. Per avviare il processo in queste realtà
si suggerisce uno schema che vede il ruolo prevalente e trainante della
parte pubblica attraverso le proprie strutture regionali, provinciali,
comunali, le agenzie per la protezione dell’ambiente (in Italia: ARPA) per
la raccolta e messa a disposizione dei dati ambientali e per la
caratterizzazione del territorio di competenza.
L’analisi ambientale iniziale deve necessariamente interessare tutto il
territorio e perciò risulta complessa ed onerosa e non può che essere
supportata da soggetti pubblici che possiedono i mezzi tecnici ed
economici e soprattutto l’interesse a rilevare le criticità ambientali
determinate dalla specifica attività produttiva. Anche le associazioni di
categoria e le CCIAA dovrebbero invece farsi parte attiva, sin dalla fasi
iniziali e di concerto con la pubblica amministrazione, presso le singole
imprese per promuovere la partecipazione ad EMAS fornendo il supporto
tecnico necessario per attuare le fasi operative (sistema di gestione
ambientale,
associazioni
audit
interni,
possono,
dichiarazione
attraverso
ambientale,
un’azione
verifica).
coordinata,
Le
stabilire
convenzioni con consulenti, enti di certificazione e verificatori ambientali,
revisori ambientali per abbattere i costi delle singole imprese.
L’opportunità, in questo schema, è quella di consentire al distretto di
dialogare con il pubblico e con le autorità di controllo su un’ampia
tematica che investe la qualità dell’ambiente condizionata non solo dal
settore produttivo ma anche da tutte le altre attività presenti sul territorio.
La collaborazione ha anche l’obiettivo di comprendere appieno le
responsabilità ed il contributo del distretto alla qualità dell’ambiente e di
cercare una strada comune, condivisa ed incentivata, ad una riduzione
dell’impatto ambientale del territorio. Seguendo lo schema indicato dalle
linee guida per questo caso, le PMI hanno la possibilità di ricercare ed
90
individuare soluzioni gestionali e tecnologiche comuni per abbattere
l’inquinamento e risolvere situazioni ambientali tipiche del settore
produttivo, nonché di scambiarsi esperienze nell’identificare gli aspetti ed
impatti ambientali. Lo schema proposto parte dalla necessità di istituire
un protocollo d’intesa a livello locale, attraverso un comitato promotore,
che veda la partecipazione dei soggetti pubblici e privati all’iniziativa.
L’analisi del territorio, promossa e finanziata da soggetti pubblici, ha lo
scopo di identificare, per il settore industriale in questione, i contributi
all’impatto nel territorio. Da questo lavoro devono essere estratti gli
obiettivi ed i target ambientali di distretto. Il Programma ambientale che
ne consegue dovrebbe essere condiviso dalle PMI e reso pubblico per
una discussione ed un contributo di tutte le parti interessate. Il
programma di distretto è il punto cardine dello schema; esso costituisce il
quadro di riferimento per gli obiettivi ambientali di ogni singola impresa
che, individualmente, deciderà di proseguire verso la registrazione
EMAS.
In Italia, le parti governative che vigilano ed applicano il Regolamento EMAS nel
territorio nazionale, hanno compreso subito che l’applicazione di EMAS a
queste tipologie di entità largamente diffuse nel paese, potrebbe essere una
efficiente via alla gestione più sostenibile di ampi spazi di territorio.
Contestualmente però si evidenzia che un impianto normativo di questo tipo è
complicato e necessita di tempi lunghi per il raggiungimento degli obiettivi. Il
Comitato Ecolabel Ecoaudit ha istituito al suo interno il Gruppo di Lavoro Ambiti
Produttivi Omogenei, che analizza le possibilità e le modalità di applicazione di
queste linee guida ai casi specifici.
La sezione EMAS del Comitato il 28/01/2005 ha approvato, su proposta del
Gruppo APO, la “Posizione del Comitato per l’Ecolabel e per l’Ecoaudit
sull’applicazione del Regolamento EMAS sviluppato in ambiti produttivi
omogenei”. Tale Posizione prevede per le entità distrettuali due percorsi:
1. La Registrazione EMAS dell’Organizzazione con funzione di Gestore
dell’Ambito Produttivo Omogeneo, ove possibile ai sensi del
Regolamento
58
EMAS58.
Regolamento UE 761/2001 art.2 lettera s.
La
registrazione
presuppone
il
91
soddisfacimento, da parte dell’Organizzazione, dei requisiti del
Regolamento EMAS, la cui verifica viene effettuata da un Verificatore
Accreditato con una particolare attenzione al contesto locale, al
settore produttivo ed ai requisiti per il rilascio dell’Attestato. Dal
momento in cui l’organizzazione con funzione di Gestore è registrata,
le organizzazioni appartenenti ai settori inclusi nel campo di
applicazione della registrazione potranno sviluppare il loro sistema di
gestione ambientale beneficiando delle semplificazioni del percorso
EMAS (descritte nel capitolo “Semplificazioni e sinergie”).
2.
Rilascio dell’Attestato al Soggetto Promotore dell’Ambito Produttivo
Omogeneo. L’attestato rilasciato dal Comitato ha l’obiettivo di
identificare e dare riconoscimento formale al/ai soggetto/i che si sono
prodigati a livello locale per diffondere il Regolamento EMAS e per
creare le sinergie necessarie all’adesione delle aziende (ed in
particolare delle piccole e medie imprese). Le azioni messe in atto dal
Soggetto Promotore devono essere indirizzate a fornire un supporto
metodologico alle singole organizzazioni appartenenti all’ambito
produttivo nell’attuazione delle varie fasi dell’EMAS, pur mantenendo
un approccio globale verso il miglioramento della qualità ambientale
del territorio. Le azioni promosse, inoltre, devono essere in grado di
rimuovere ostacoli che la singola impresa non potrebbe affrontare
con le sole proprie forze (es. viabilità, infrastrutture, servizi comuni,
formazione,
ecc.).
L’attestato
consentirà
alle
organizzazioni
appartenenti ai settori prevalenti (per i quali è effettuata l’analisi di
criticità) di sviluppare il loro sistema di gestione ambientale
beneficiando delle semplificazioni del percorso EMAS (descritte nel
capitolo “Semplificazioni e sinergie”), derivanti dall’appartenenza
all’ambito produttivo omogeneo
Il documento di Posizione del Comitato avvia un’attività sperimentale sul
territorio italiano i cui risultati potranno essere utilizzati come contributo Italiano
alla prevista revisione del Regolamento EMAS. La norma infatti è in via di
modifica e quella che viene definita EMASIII, andrà ad interessare la
92
compatibilità tra gli strumenti di certificazione ambientale e quelli previsti per il
sociale, se non addirittura ipotesi di convergenza tra EMAS ed Ecolabel.
Le esperienze operative messe in moto in Italia e nel gli altri Paesi dell'area
Comunitaria sono oggi alla base di un continuo confronto in previsione di
EMASIII. Il contributo italiano più importante sarà rappresentato proprio dalla
sperimentazione dell’applicazione di EMAS nei Distretti Industriali.
b. La comunicazione in EMAS: prescrizioni della norma ISO 14001 e la
nuova norma ISO 14063
EMAS eleva i processi di comunicazione e di relazioni connesse a strumenti
della trasparenza. Se un requisito fondamentale della Dichiarazione Ambientale
è quello di dover essere resa disponibile e diffuso nei confronti del pubblico, è
altresì vero che si debbano regolamentare al meglio i processi di
comunicazione attivati dall’organizzazione, sia che siano rivolti al suo interno o
all’esterno.
L’attività di comunicazione per fungere da garante all’elemento cardine della
trasparenza assume una doppia veste: da una parte è funzione che
somministra informazioni di carattere ambientale all’esterno e dall’altra è
dispositivo che governa le relazioni con gli stakeholder. A tale scopo è
necessario stabilire delle procedure per una ottimale gestione dei processi di
comunicazione ambientale, che contribuiranno così allo sviluppo sostenibile e
contemporaneamente pianificare azioni di comunicazione adeguate a fornire le
informazioni ambientali ai propri interlocutori.
I legislatori hanno preso coscienza che il ruolo della comunicazione è
notevolmente cresciuto negli ultimi anni grazie anche alle attività di CSR
ambientale, e che tale attività necessita di importanti operazioni di ascolto
dell’esterno, per ottenere informazioni che implementino efficaci strategie di
gestione ambientale. Ma la comunicazione può essere attivata anche in ragione
di un possibile rischio ambientale, o dalla necessità di rispondere a particolari
categorie come i dipendenti, la comunità, etc.
I processi usati e i contenuti della comunicazione ambientale di un
organizzazione variano in base agli obiettivi e alle circostanze, e portano
all’utilizzo di differenti forme ed approcci (una o due vie). Senza dubbio però, il
processo più efficace di comunicazione ambientale include costanti relazioni
93
con le parti interne ed esterne, considerate frazioni dell’intera strategia di
comunicazione dell’ organizzazione59.
L’attività di comunicazione ambientale è regolata da norme ISO 14001 e dalla
recente ISO 14063. Se la prima disposizione stabilisce degli standard generici e
piuttosto operativi ai quali deve sottendere questa attività, la seconda descrive
in maniera più dettagliata e puntigliosa come deve essere concepita e condotta
la comunicazione ambientale all’interno dell’organizzazione, individuando in
essa non solo una leva di diffusione, ma di ascolto e relazione con le parti
interessate. Di seguito, verranno analizzate le tematiche affrontate dalle
rispettive prescrizioni.
b1
ISO 14001
Questa norma regola l’attività di comunicazione in più parti.
Innanzitutto, afferma l’obbligo della diffusione della politica ambientale, che,
oltre dover essere resa disponibile al pubblico, deve essere comunicata a tutte
le persone che lavorano per l’organizzazione o per conto di essa. Come
precedentemente specificato, tale attività in EMAS viene potenziata e ampliata,
perché nel Regolamento non è solo la Politica a dover essere diffusa, bensì il
più composito documento di Dichiarazione Ambientale.
Negli articoli che regolano l’attuazione ed il funzionamento del Sistema di
Gestione Ambientale (SGA) è citata esplicitamente l’attività di comunicazione,
specificando che l’organizzazione è tenuta a stabilire, attuare e mantenere
attive in relazione ai propri aspetti ambientali ed al proprio SGA una o più
procedure miranti al doppio scopo di:
assicurare la comunicazione interna fra i differenti livelli e diverse funzioni
dell’organizzazione;
ricevere, documentare e rispondere alle richieste pertinenti provenienti
dalle parti interessate esterne.
L’organizzazione inoltre, deve decidere se comunicare all’esterno riguardo ai
propri aspetti ambientali significativi e deve documentare la propria decisone.
59
“The most effective environmental communication process involves ongoing contact by the organization
with internal and external interested parties, as part of the organizations overall communications strategy”,
in DRAFT for Public Coment of INTERNATIONAL STANDARD ISO/DIS 14063 elaborato dal BSI (British
Standard.), dicembre 2004;
94
Se l’organizzazione decide di farlo, deve stabilire uno o più metodi di
comunicazione esterna.
Le linee guida delle norma precisano maggiormente queste disposizioni.
Innanzitutto, la comunicazione interna è fondamentale per assicurare
l’attuazione efficace del sistema di gestione ambientale e pertanto le
organizzazioni devono adottare una specifica procedura che regolamenti la
ricezione, la documentazione e la risposta alle comunicazioni pertinenti
provenenti
dalle
parti
interessate.
Tale
procedura
può
(ma
non
obbligatoriamente deve) comprendere un dialogo con le parti interessate e
l’attivazione verso le loro preoccupazioni pertinenti, anche se è indubbio che
tale operazione possa portare benefici sia dal punto di vista dell’efficienza sia
da quello del coinvolgimento (tale principio verrà espressamente dichiarato
nella norma ISO 14063). Per quanto riguarda invece la comunicazione esterna
degli aspetti ambientali, le linee guida raccomandano di creare una procedura
che tenga conto di molti fattori, come il tipo di informazioni da veicolare, il
destinatario, le singole situazioni circostanti.
Volendo estrapolare da queste disposizioni i principi che soggiacciono, è
possibile affermare che questa norma adotta un approccio comunicativo volto
maggiormente alla gestione degli imput che arrivano dalle diverse parti. Non
disponendo l’obbligatorietà di innescare processi di dialogo la norma sembra
che tenda a considerare la comunicazione come una processo più operativo
che strategico, in grado di controllare il flusso di informazioni che provengono
da più parti ma che non si attiva per mettere in moto tale flusso, soprattutto nei
riguardi dell’esterno. L’obbligo di diffondere solo informazioni di aspetti
ambientali significativi ha il doppio scopo di rendere contemporaneamente la
comunicazione efficiente (strumentale al raggiungimento di un obiettivo di
carattere ambientale, non promozionale) e significativa (contribuendo a evitare
ulteriore inquinamento informativo).
b2
ISO 14063
La recente Norma ISO 14063 (settembre 2006) è stata emanata con lo scopo di
aiutare le organizzazioni nella gestione ottimale della attività di comunicazione,
specificandone i principi generali, la strategia e le attività relative alle modalità
interne ed esterne. ISO 14063 non è uno standard certificabile, ma è una norma
95
che specifica e puntualizza le modalità di comunicazione che si devono
adottare per gli standard certificabili. Come precedentemente descritto, EMAS
si basa sulla norma ISO 14001 per la realizzazione del sistema di gestione
ambientale, pertanto ISO 14063 è da considerarsi a pieno titolo un’integrazione,
da usarsi in combinazione con gli altri standard della serie ISO 1400060.
La norma definisce la comunicazione ambientale come un processo condotto
dall’organizzazione per dare e ottenere informazioni, nonché stabilire un dialogo
con i soggetti interessati sia interni che esterni, al fine di incoraggiare la
comprensione delle issue, degli aspetti e delle performance ambientali.
Il modello di riferimento della norma per la gestione del processo di
comunicazione ambientale è costituito da tre macrocomponenti, ciascuno dei
quali necessita di operazioni diverse, che tengano conto in primis dei principi
generali di comunicazione ambientale e degli stakeholder o “interested parties”.
Fig 1: Schema della normativa ISO 14063
60
"This international standard is not intended for use as a specification standard for certification or
registration purposes or for the establishment of any other environmental management system conformity
requirements. It may be used in combination with any other standard within the ISO 14000 series or on its
ow”, ibidem;
96
Principi di comunicazione ambientale
In qualsiasi attività di comunicazione ambientale implementata, l’organizzazione
deve applicare i quattro principi di:
Trasparenza: le procedure, i metodi, i dati usati per comunicare
informazioni ambientali devono essere disponibili per tutti gli stakeholder,
questi ultimi a loro volta devono essere a conoscenza del ruolo che
ricoprono all’interno della comunicazione ambientale dell’impresa.
Appropriatezza: le informazioni ambientali fornite dalla comunicazione
devono essere rilevanti per i soggetti interessati, con un uso di linguaggio
e scelta del media che incontra i loro interessi e bisogni, i grado di
renderli partecipi.
Credibilità: la comunicazione ambientale deve essere condotta in modo
onesto e le informazioni fornite devono caratterizzarsi per veritiere,
accurate, reali e non ingannevoli per le parti. Le informazioni ed i dati
devono essere sviluppati utilizzando metodi ed indicatori riconosciuti e
riproducibili.
Responsabilità: la comunicazione ambientale deve essere aperta ai
bisogni delle parti interessate. Le domande e gli interessi degli
stakeholder devono ottenere una risposta completa e tempestiva. Gli
stakeholder devono altresì sapere come sono state prodotte dette
risposte.
Chiarezza: gli approcci e i linguaggi della comunicazione ambientale
devono essere comprensibili e con un il minor livello possibile di
ambiguità.
Il Processo di comunicazione ambientale
Le tre macrocomponenti di questo processo si presentano fortemente
interdipendenti e successive una all’altra. Esse sono:
La politica di comunicazione ambientale
La strategia di comunicazione ambientale
Le attività di comunicazione ambientale.
97
Per Politica di comunicazione ambientale la norma intende l’insieme delle
intenzioni e convinzioni che la direzione nutre nei confronti della comunicazione
ambientale. Tali convinzioni devono essere formalmente espresse dal top
management.
La Politica deve chiaramente definire:
Il mandato (commitment) che la porta l’organizzazione ad avviare un
dialogo con le parti interessate;
il mandato che muove l’organizzazione a svelare informazioni sulle sue
performance ambientali;
la
significatività
della
comunicazione
interna
ed
esterna
nell’organizzazione;
I motivi delle scelte di politica effettuate ;
Il commitment dell’indirizzo delle issue ambientali locali e globali scelte.
La norma specifica che la Politica di comunicazione ambientale può essere
parte integrante della politica comunicativa generale dell’organizzazione,
oppure essere una strategia separata. La norma sottolinea altresì che nello
sviluppo di tale azione di diffusione delle informazioni, il responsabile del
management ambientale deve interagire e collaborare per assicurare che tale
fase sia consistente e coerente con le altre politiche e valori della
organizzazione.
La norma esplicita chiaramente che non è necessario essere molto dettagliati
nell’enunciazione della Politica di comunicazione, ma è importante che
trasmetta agli stakeholder l’importanza che l’organizzazione attribuisce alla
comunicazione di variabili, aspetti e cultura ambientali.
La Strategia di comunicazione ambientale è il secondo passo, che viene
definito come il lavoro di sfondo attuato dall’organizzazione per implementare la
sua politica di comunicazione ambientale e per la messa in opera degli obiettivi
ed i target di comunicazione ambientale. La definizione di una strategia è
necessaria. Infatti quest’ultima, in quanto parte di una più vasta attività
ambientale attivata dall’organizzazione, deve essere allineata con gli elementi
del sistema di management ambientale.
La strategia si compone di tre elementi:
98
La fissazione degli obiettivi di comunicazione ambientale, che diverranno
poi la base di partenza per la valutazione dell’intera attività di
comunicazione effettuata. Tali obiettivi ovviamente devono essere
coerenti con i principi generali e la politica di comunicazione ambientale,
nonchè tenere conto delle opinioni e visioni degli stakeholder interni ed
esterni.
Identificazione degli stakeholder, che vengono definiti sempre “interested
parties”, cioè di quei soggetti che hanno espresso un interesse nelle
attività, nei prodotti o servizi dell’organizzazione e le persone con alle
quali l’azienda ritiene sia importante fornire informazioni di carattere
ambientale. In un secondo momento poi verranno identificati i pubblici
target, su cui focalizzare una specifica attività di comunicazione
ambientale.
Considerare le risorse per ciascuna issue. E’ necessaria una mappatura
delle risorse umane, tecniche e finanziarie delle attività di comunicazione
ambientale.
Infine, la norma descrive in maniera approfondita le Attività di comunicazione
ambientale. Tali attività sono molteplici e rappresentano il momento veramente
operativo dell’attività di comunicazione ambientale. La noma distingue quattro
fasi, ciascuna suddivisibile per altre microazioni:
Pianificazione. Dopo un lavoro di analisi del contesto e ricognizione delle
informazioni e dei mezzi disponibili, si passa alla progettazione delle
attività di comunicazione ambientale, prevedendo per ciascuna l’utilizzo
di specifici strumenti (verbali o scritti), con la definizione dei ruoli di
ciascun collaboratore. La norma descrive in maniera approfondita l’intera
gamma di strumenti comunicativi utilizzabili, fornendo un vero e proprio
campionario dal quale attingere l’iniziativa che si adatta maggiormente
alle esigenze dell’organizzazione.
Attuazione. In questa fase vengono messe in atto le attività, e si risponde
immediatamente al feedback degli interlocutori, oltre a raccogliere e
classificare tutte le informazioni che serviranno successivamente a
valutare l’attività di comunicazione ambientale.
99
Valutazione. I dati riferiti alle attività di comunicazione precedentemente
raccolti vengono interpretati per sondare l’efficacia della comunicazione
rispetto al raggiungimento degli obiettivi operativi previsti.
Revisione. Il management aziendale effettua una valutazione che mira a
modificare gli obiettivi di politica, operativi oppure strategici sulla base dei
feedback raccolti e sulle valutazioni della comunicazione ambientale.
Questo processo di valutazione dell’attività di comunicazione diventa un
tassello importante nella comprensione e valutazione della più generale
relazione con i pubblici influenti, che a sua volta determinerà la reputazione
dell’organizzazione.
Si può notare come la norma ISO 14063 a monte applichi appieno la
metodologia dell’inclusione e del governo delle relazioni, che sono parte
integrante del processo di organizzazione e implementazione delle attività di
comunicazione. Al tempo stesso il buon governo delle relazioni è determinato in
misura principale dalle attività di comunicazione, che se ben eseguite, sono in
grado di gestire in maniera veramente efficiente i rapporti con le parti
interessate.
E’ opportuno sottolineare anche che nelle PMI, viste le dimensioni ed i mezzi a
disposizione, tutti questi passaggi risultano piuttosto semplificati, ma tuttavia è
fondamentale concepire anche in questo tipo di imprese l’attività di
comunicazione con questo impianto logico.
Volendo riassumere brevemente ed in maniera schematica, si può affermare
complessivamente che l’analisi dell’attività di comunicazione ambientale
secondo lo schema EMAS così come è implementata da una organizzazione
può essere effettuata attraverso:
L’individuazione e l’analisi delle procedure di comunicazione (interna ed
esterna) contenute nel Sistema di Gestione Ambientale;
L’individuazione delle attività operative di comunicazione ambientale tout
court, fra le quali sono distinte quelle di tipo:
Obbligatorio,
come
ad
esempio
la
diffusione
della
dichiarazione ambientale;
Facoltativo, ovvero attività relative agli aspetti ambientali
significativi (se l’organizzazione ha deciso di comunicarli)
100
oppure
azioni
di
comunicazione
finalizzate
al
raggiungimento di obiettivi di programma ambientale
specifici
(es.
per
favorire
l’aumento
della
raccolta
differenziata viene organizzato un seminario o diffuso un
opuscolo).
101
PARTE TERZA
Se le piccole e medie imprese sono una peculiarità europea, il fenomeno che
va sotto il nome di distretti, per cui si verifica una concentrazione all’interno di
un territorio ristretto di un gran numero di PMI operanti nella stessa filiera
produttiva, è una peculiarità italiana. Sin dalla sua teorizzazione, il fenomeno è
stato ampiamente analizzato dal mondo accademico. Quest’ultimo ha
riconosciuto nel modello distrettuale molteplici vantaggi riconducibili in ultima
istanza
a
flessibilità,
facilità
di
rapporti
interpersonali,
velocità.
La
globalizzazione ed altre cause hanno però prodotto nei tempi odierni uno
stravolgimento di molti dei presupposti in grado di riprodurre questi vantaggi
all’interno dei distretti. Il modello è in crisi ed è necessario ripensare e ricreare
la formula competitiva che meglio si adatti alla nuova congiuntura.
Tra le tante soluzioni e questioni da affrontare, un nodo che deve essere
necessariamente considerato è la tutela ambientale, non solo perché le parti
sociali lo richiedono con insistenza, ma anche perché una corretta ed efficiente
gestione di questa risorsa può produrre risparmi prima, e vantaggi economici
poi.
Lo sforzo però deve essere congiunto e coordinato fra una molteplicità di
soggetti molto diversi fra loro: in quest’ottica, le relazioni e la comunicazione
possono essere lo strumento strategico in grado di governare e coordinare con
efficienza gli sforzi di ciascuna componente.
Nel quarto capitolo, saranno presentate le principali caratteristiche dei distretti
industriali, con particolare attenzione ai distretti del Friuli Venezia Giulia ed ai
distretti italiani operanti nel settore del legno-arredo. La riflessione verrà poi
accentrata esclusivamente sul Distretto del Mobile Livenza, al fine di
individuarne le peculiarità, i punti di forza, di debolezza e le tendenze degli
ultimi anni.
Nel quinto capitolo verrà presentato il progetto di certificazione EMAS del
Distretto del Mobile dell’Alto Livenza, che si prefigge migliori e competitive
performance economiche attraverso una più efficiente gestione della risorsa
ambientale da parte di tutti i soggetti operanti nel territorio.
102
Sarà effettuata l’analisi dei processi di relazione e comunicazione di tre tipologie
di attori rappresentanti le autentiche anime di questo progetto di responsabilità
ambientale: una azienda, una pubblica amministrazione e l’ente Distretto.
Al fine di comprendere le opportunità ed il contributo che una adeguata e
completa attività di relazioni comunicative può offrire al miglioramento delle
performance ambientali, saranno analizzati i documenti di Dichiarazione
Ambientale, che stabiliscono per ciascun soggetto le politiche di comunicazione
interna ed esterna adottate.
In particolare, tali processi riguardano la comunicazione:
Nel distretto: ovvero le relazioni e la comunicazione di tipo ambientale
che ciascun attore attiva e intrattiene con le diverse componenti che
fanno come lui parte del progetto di certificazione EMAS (concorrenti,
associazioni di categoria, sindacati, regione, provincia etc)
Al distretto: ovvero le relazioni e la comunicazione di tipo ambientale che
i tre attori attivano nei confronti dei propri stakeholder presenti nel
territorio o che operano a monte o a valle all’interno della stessa attività
economica, come i fornitori, i concorrenti, gli altri distretti, le altre imprese
distrettuali che non partecipano al Progetto di certificazione EMAS.
Per il distretto: ovvero le relazioni e la comunicazione di tipo ambientale
che i tre soggetti attivano con soggetti esterni al distretto ma
appartenenti alla filiera o al settore produttivo, miranti all’affermazione di
una identificazione precisa del prodotto del legno-arredo proveniente dal
distretto quale bene con caratteristiche intrinseche di qualità, design,
innovazione e sostenibilità ambientale.
103
Capitolo 4
UN DISTRETTO, TANTI ATTORI, UN
PROGETTO AMBIENTALE DI RILANCIO
“Quell’incidente inspiegabile,
quel capovolgimento delle mie precedenti esperienze,
(…)sembrava tracciare le lettere della mia condanna
e incominciai a riflettere
con maggiore serietà di quanto mi fosse mai accaduto prima
alle conseguenze e alle incognite della mia doppia esistenza”
Dott. Henry Jekill
4.1
IL
MODELLO
DISTRETTUALE
ITALIANO
FRA
L’INSASPETTATO SUCCESSO E L’INEVITABILE CRISI
4.1.1 Definizione e caratteristiche
Il concetto di ‘distretto industriale’ è stato introdotto dall’economista
Marshall, che nel suo Principi di economia del 1972 dedica un capitolo alla
104
“concentrazione di industrie specializzate in località particolari” che vengono
denominate distretti industriali. Per Marshall questi agglomerati sono
connotati in termini di specializzazione settoriale dell’attività industriale: si
hanno perciò distretti lanieri, delle calzature, del vetro etc. Tale
specializzazione però non implica l’omogeneità produttiva, bensì le
organizzazioni operanti nel contesto ben definito creano un insieme di
relazioni verticali, laterali o di servizio all’interno dello stesso processo
produttivo, non dello stesso prodotto. Le relazioni verticali o convergenti si
caratterizzano per essere fasi differenti di uno stesso processo produttivo,
ovvero una serie di processi legati l’uno all’altro che contribuiscono alla
graduale trasformazione della materia prima in prodotto finito. Le relazioni
orizzontali o laterali sono rapporti tra imprese che trasferiscono i componenti
verso un’unica impresa finale che si occupa dell’ assemblaggio; mentre i
rapporti di servizio o diagonali trattano diverse attività correlate alle industrie
del distretto (trasporti, finanziamento, etc). Marshall sottolinea come le
imprese che appartengono ai distretti possiedano un importante vantaggio
competitivo rispetto alle imprese isolate, poiché possono godere di
economie esterne all’impresa ma interne al distretto, ed in particolare di
economie esterne di agglomerazione, intese come effetti utili che una
singola impresa da sola non può produrre al suo interno, ma che può solo
ricevere dall’esterno se si localizza là dove sono presenti certe condizioni
favorevoli.
All’interno del distretto, alla popolazione di queste imprese medie e piccole,
si affianca in modo attivo la società locale, ed esercita una funzione
indipendente sull’organizzazione della produzione in ragione della sua
cultura sociale61.
In Italia fu Beccattini a introdurre il concetto di distretto industriale,
proponendolo come strumento per caratterizzare lo sviluppo economico di
alcune aree a partire dagli anni ‘70. Secondo la sua interpretazione il
distretto
industriale
è
“un
ispessimento
localizzato
delle
relazioni
interindustriali che presenta un carattere di ragionevole stabilità nel
tempo62”. La letteratura che analizza i distretti è davvero corposa e ha
61
F. Sforzi, F. Lorenzini, I distretti industriali, in Istituto per la Promozione Industriale (IPI), L’esperienza
italiana dei distretti industriali, Stampato in proprio, 2002;
62
G. Beccattini (a cura di), Mercato e forze locali: il distretto industriale, Il Mulino, Bologna 1987;
105
prodotto numerose definizioni per i distretti che vengono definiti di volta in
volta sistemi locali o aree sistema, milieu o sistemi produttivi territoriali
(SPT), fino a sistemi economici e sociali territoriali (SEST).
Secondo Signorini63, ciò che maggiormente conta sottolineare e che
accomuna tutte queste definizioni è l’aver basato l’analisi su entità
caratterizzate dai seguenti elementi economici:
Divisione del lavoro: la produzione delle aziende raggiunge elevati
livelli di flessibilità e produttività poiché ogni impresa distrettuale si
specializza in una specifica fase di produzione.
Ambiente o milieu: tale elemento è costituito a sua volta dalla
componente culturale dalla componente infrastrutturale. Usando una
metafora tecnologica, si può affermare che la prima è il software,
ovvero è legata all’identità locale e comprende atteggiamenti,
conoscenze, storia e tradizioni; la seconda invece è l’hardware perché
si compone di elementi materiali (terreni, fattori ambientali, reti di
trasporto) e di servizi (banche, servizi alla produzione).
Rete esterna: si tratta di un sistema di connessioni a monte e a valle
che conferisce al distretto in quanto tale un certo potere di mercato
come acquirente o fornitore ed è identificato attraverso un’immagine
ben precisa.
La combinazione di questi elementi permette, secondo Corò e Grandinetti64,
di individuare in un distretto industriale i seguenti caratteri distintivi:
Un elevato numero di piccole e medie imprese che sono specializzate
sia orizzontalmente che verticalmente;
Competenze ampie ed integrate, che sono radicate in una particolare
area geografica e che determinano uno specifico mercato del lavoro;
Un sistema di relazioni che permette alla produzione di essere
efficientemente coordinata all’interno di un settore, sia attraverso la
competizione, sia attraverso la cooperazione. Rispetto a questo
63
L. F. Signorini, L’ ‘effetto distretto’: motivazioni e risultati di un progetto di ricerca, in F.Lorenzini (a cura
di), Sviluppo Locale: un’indagine della Banca d’Italia sui distretti industriali, Meridiana Libri, Corigliano
Calabro 2000;
64
G. Corò e R. Grandinetti, Evolutionary patterns of the italian industrial district, in Human System
Management n.18: 117-129, 1999;
106
Capecchi65 afferma che la competitività tra le imprese del distretto
deve risultare inferiore a quella con le imprese fuori del distretto.
La combinazione di tali elementi peculiari in numerose imprese specializzate e
concentrate geograficamente permette di organizzare la produzione in modo
efficiente, analogamente a quanto avviene all’interno di un singolo grande
stabilimento. Ciò è reso possibile dai flussi di economie esterne che si
generano localmente fra le imprese e che derivano dall’insieme di conoscenze,
valori, comportamenti tipici ed istituzioni attraverso i quali la società locale
agisce sull’organizzazione industriale.
In definitiva, il dinamismo dei distretti industriali si alimenta di iniziative che tendono
a ricostruire un ambiente a partire dalle peculiarità e dalle ricchezze di ciascun
territorio. Esse combinano le dimensioni economiche con quelle sociali, la cura
della crescita con quella della coesione, la sfera pubblica con quella privata, le
tecnologie di comunicazione sofisticata con i saperi contestuali. La loro ricchezza
risiede precisamente in questa mistura che si adatta in ogni paese a formule
diverse.
Riassumendo quindi, il conseguimento di economie e di vantaggi nella
produzione per le imprese distrettuali dipende non tanto dalle dimensioni delle
singole imprese, quanto dal modo in cui la produzione è organizzata localmente
ed interagisce con l’ambiente sociale e produttivo dove essa si svolge.
L’espressione che riassume tutto questo può essere quella usata da Sforzi e
Lorenzini66: atmosfera industriale, che condensa l’insieme delle caratteristiche
sociali e produttive che costituiscono il distretto industriale, facendone un tutto
unico e qualificandolo come vero e proprio sistema sociale cognitivo.
I distretti produttivi iniziano ad affermarsi con forza sul panorama economico
italiano a partire dagli anni ‘60, ma è dalla fine degli anni ‘70 fino ai primi anni
‘90 che contribuiscono in maniera determinante alla produzione di una
ricchezza che diventa ben presto diffusa e dilagante, in particolare nel Nord
Italia.
Analizzando questo processo di creazione di ricchezza attraverso questa nuova
formazione, Rullani e Romanoi67 affermano che i distretti sono stati la risposta
ai difetti del fordismo della grande impresa, caratterizzata da regole
65
V. Capecchi, Nuove imprese per la qualità della vita, in Impresa e Stato n.37/38: 33-42, 1997;
cfr Sforzi e Lorenzini, op cit;
67
E. Rullani, L. Romano (a cura di), Il postfordismo. Idee per il capitalismo prossimo venturo, Etaslibri,
Milano 1998;
66
107
burocratiche abbastanza rigide (calcolo, regole, programmi, ruoli prestabiliti e
ben definiti) a favore del recupero dell’energia e dell’intelligenza delle persone,
mettendole al servizio di un problem solving informale, in un sistema che ‘lavora
sull’orlo del caos’ cercando non di governarlo con l’efficienza tecnica, le
economie di scala e di replicazione, bensì cercando di rispondere a basso costo
ed in tempi brevi a situazioni (di mercato, di tecnologia e di concorrenza)
sempre meno prevedibili, controllabili e dinamici68. Questa soluzione ha
determinato anche la scelta di indirizzo verso l’industria leggera. Anche per
questo il modello produttivo distrettuale della PMI ha avuto ampi spazi di
sviluppo, perché è stato in grado di raccogliere la chance della flessibilità in un
epoca in cui le grandi organizzazioni fordiste erano relativamente stabili su
prodotti e processi preesistenti sulla rigidità accumulata. Il mercato del
consumismo di massa richiedeva design, qualità, diversificazione e le PMI
cavalcarono semplicemente l’onda di una congiuntura favorevole.
Nei Distretti italiani operano oltre 60.000 imprese con circa 600.000 addetti che
realizzano circa 120.000 miliardi di lire di fatturato, pari ad una quota del 10%
circa del Prodotto Interno Lordo industriale italiano.
La legislazione italiana ha riconosciuto i distretti industriali nel 1991 (art.36 Lg
317/91). In questo provvedimento, volto a rilanciare l’economia, l’artigianato e le
piccole e medie imprese, si individuano come distretti industriali “le aree
territoriali locali caratterizzate da elevata concentrazione di piccole imprese, con
particolare riferimento al rapporto tra la presenza delle imprese e la popolazione
residente nonché alla specializzazione produttiva dell’insieme delle imprese69”.
La legge 317/91 prevedeva che fossero le regioni, sentite le unioni regionali
delle camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura, ad individuare i
distretti industriali sul loro territorio di competenza e rimandava ad un
successivo Decreto del Ministero dell’Industria la definizione dei parametri in
base ai quali individuare i distretti industriali. L’atteso DM, emanato in data 21
aprile 1993, fissava i criteri per l’individuazione dei distretti prendendo a
riferimento le aree classificate come “Sistemi Locali del lavoro” dall’ISTAT sulla
base del Censimento Industriale del 1991. Tra queste aree le regioni avrebbero
68
E. Rullani, I distretti cambiano pelle, in Quaderni del management, nr 16 luglio agosto 2005, pp10-24;
In accordo alla disciplina comunitaria (Raccomandazione della Commissione Europea 2003/361/CE)
recepita dal Governo Italiano (Decreto Ministero delle Attività Produttive del 18.04.2005) per la definizione
di piccola e media impresa ci si riferisce alle unità produttive con meno di 250 addetti.
69
108
poi individuato i distretti industriali attraverso l’esame di alcuni parametri
economici. Tuttavia, le difficoltà incontrate nell’applicazione di rigide griglie
statistiche a realtà varie quali i sistemi locali di PMI hanno di fatto limitato le
possibilità di applicazione della normativa, per questo alcune regioni hanno
disciplinato le modalità attuative dei distretti industriali ricorrendo ad
interpretazioni meno restrittive degli indicatori stabiliti dal decreto. La
semplificazione dei criteri di individuazione dei distretti a livello nazionale è
intervenuta con la Lg 140/99, che introduce una nuova tipologia di area, il
Sistema Produttivo Locale, caratterizzato da:
Contesti produttivi omogenei;
Elevata concentrazione di imprese, non solo industriali, prevalentemente
di piccole e medie dimensioni;
Una peculiare organizzazione interna.
Il distretto industriale è definito dalla legge come un Sistema Produttivo Locale
che deve possedere due caratteristiche aggiuntive:
Elevata concentrazione di imprese industriali;
Elevata specializzazione produttiva di sistemi di imprese.
La maggior parte delle regioni italiane ha emanato delle apposite leggi regionali
per l’individuazione dei distretti industriali. Toscana, Lombardia e Friuli Venezia
Giulia hanno recepito rapidamente la legge 317/91 e hanno poi aggiornato la
perimetrazione in base ai criteri previsti dalla 140/99; altre regioni hanno usato
solo i criteri di una o dell’altra legge, altre ancora non hanno individuato nel loro
territorio distretti industriali preferendo attuare politiche industriali diverse. Sulla
base dei provvedimenti regionali si possono identificare in Italia circa 160
distretti70.
Oltre ad interessare provvedimenti legislativi, l’individuazione dei distretti
industriali sul territorio nazionale è un argomento che ha impegnato, e continua
ad impegnare, gli studiosi di economia e non solo:la delimitazione e la
classificazione dei distretti sono state oggetto di numerosi lavori svolti da
economisti, insieme a sociologi e pianificatori, i quali hanno sfruttato algoritmi
via via più complessi per definire una corretta base territoriale del fenomeno.
Dai risultati di queste analisi è stato possibile costruire delle “mappe empiriche”
70
Fonte: IPI-Dipartimento Economia Applicata-Servizio di analisi Economiche, aggiornamento al
1.04.2005;
109
basate su algoritmi ad hoc definiti a seconda di scelte di volta in volta dichiarate
e dipendenti dallo scopo dell’indagine. Nella pratica quindi, la numerosità e
l’estensione dei distretti varia grandemente a seconda delle procedura di
individuazione adottate.
4.1.2 La crisi dei distretti
Verso a metà degli anni ’90, le elefantiache grandi industrie si incamminano
verso una un nuovo paradigma dell’ agire economico, orientato al postfordismo.
Le grandi organizzazioni iniziano a praticare la specializzazione sul core
business, l’outsourcing a filiere esterne, una produzione più snella e dinamica,
una tensione all’innovazione continua, il decentramento, la deverticalizzazione
e le pratiche collaborative con l’esterno, il recupero della centralità delle
persone e dei dipendenti in modo particolare. Insomma, le grandi imprese fanno
proprie alcune delle specificità delle piccole imprese distrettuali, riconquistando
terreno nel campo della competitività ed azzerando la rendita delle piccole
imprese. La causa di questo cambiamento e nuova primavera è da attribuire
alla prontezza con cui le grandi imprese hanno raccolto e alimentato la
rivoluzione multimediale. Quest’ultima ha prodotto due fenomeni di ampio
raggio: la globalizzazione e la smaterializzazione dell’economia. Con il termine
globalizzazione si indica il fenomeno di crescita progressiva delle relazioni e
degli scambi a livello mondiale in diversi ambiti osservato a partire dalla fine del
XX secolo. Sebbene con questo termine ci si riferisca prevalentemente agli
aspetti economici delle relazioni fra popoli e grandi aziende, il fenomeno va
inquadrato anche nel contesto dei cambiamenti sociali, tecnologici e politici. In
campo economico la globalizzazione denota la forte integrazione nel
commercio mondiale e la crescente dipendenza dei paesi gli uni dagli altri.
Per smaterializzazione si intende quel processo per il quale assumono
importanza fondamentale e valore economico gli asset intangibili di una
organizzazione. Nel mercato globale viaggiano prima dei prodotti anche le
conoscenze e le idee, che vengono incorporate in un secondo momento nei
prodotti stessi. Le reti cognitive assumono importanza e diventano anch’esse
mondiali, spostando flussi di know how in macchine, nuovi materiali, licenze,
110
software, consulenze, reti di collaborazione, ma anche semplicemente
attraverso attività di imitazione, remake e reinvenzione di soluzioni ricavate da
una apprendimento incrociato, che ibrida esperienze e materiali di partenza
molto diversi fra loro.
Non è più possibile arroccarsi su una rete molto buona ma ristretta al locale
difendendo il valore di un vantaggio competitivo basato su di essa, perché i
mezzi a disposizione dei concorrenti sono di gran lunga superiori. Per
sopravvivere, è necessario rimettersi in gioco su questi nuovi terreni, ed essere
in grado di acquisire e vendere conoscenza e competitività anche nelle reti
ampie.
Questa prospettiva però comporta molti problemi per le imprese distrettuali:
esse infatti non sono in grado di competere con gli investimenti messi in campo
da organizzazioni più grandi, che possono assicurarsi un vantaggio competitivo
derivato dagli investimenti in ricerca ed innovazione messi in campo.
Di fronte a questi scenari, sono state molte le voci che si sono alzate a cantare
il requiem del modello distrettuale. Molti economisti si sono lanciati in esercizi di
stile strutturalista che evidenziavano la inevitabile conclusione dei distretti,
perchè le performance negative degli anni ’90 non dimostravano una fase
discendente, bensì un inesorabile declino. Fortunatamente, le profezie fin ora
non hanno mai avuto conferma nella realtà.
I distretti hanno ancora la possibilità di essere un esempio di efficienza e
ricchezza? Nel nuovo scenario economico, ci sono poche certezze e molte
probabilità. Per capire se i distretti hanno ancora delle chance in questo senso
gli studiosi hanno analizzato due ordini di elementi:
Le caratteristiche e le conseguenze, in termini sia di pericoli sia di
opportunità, della nuova congiuntura economica per i distretti industriali
I punti di debolezza che il sistema attuale dei distretti dimostra nell’agire
in questo nuovo paradigma.
Per quanto riguarda il primo punto, gli studiosi concordano nell’affermare che la
nuova congiuntura è molto complessa e tale complessità si costituisce di un
grado così ampio di varietà, variabilità e indeterminazione che ha fortemente
cambiato i recinti in cui si svolgeva la concorrenza un tempo, abbassando i
111
confini fra settori, paesi e funzioni di consumo, tra l’altro quasi mai sotto l’egida
di chi era protagonista nella situazione precedente.
I modelli e le ricette che potevano sussistere ed essere validi ora devono
essere fortemente ripensati sulla base di uno scenario congiunturale fortemente
modificato, con numerose variabili in più.
In riferimento all’altrettanto complesso secondo punto, si possono individuare
due elementi:
il grado di internazionalizzazione delle imprese distrettuali;
le tipologie di relazioni che intercorrono fra gli operatori interni al sistema
distrettuale.
Le imprese collocate nei distretti industriali, hanno avuto significativi successi
nella penetrazione dei mercati esteri, tuttavia oggi internazionalizzazione ed
esportazioni non sono più sinonimi. Il modo con cui l'impresa si mantiene
‘internazionale’ nella generazione dei vantaggi competitivi non coincide con
l’esportare. Da un lato infatti ciò non basta: l'impresa deve impegnarsi all'estero
in forme più complesse della semplice commercializzazione del prodotto finito.
Dall'altro lato, esportare può essere non significativo o non essenziale per
acquisire
uno
status
internazionale,
world
class,
nella
competizione
transnazionale, in tutti quei casi in cui le esportazioni non bastano ad
intercettare i vantaggi competitivi che si generano nelle diverse aree mondiali.
Imprese che esportano poco possono cioè avere uno standard competitivo
internazionale, mentre, al contrario, imprese che esportano molto possono non
averlo.
Ci sono almeno due campi di internazionalizzazione molto promettenti, che
devono essere esplorati al di là dell'export:
la distribuzione transnazionale delle diverse attività che compongono
l'attuale catena del valore (varie fasi del ciclo, servizi), in modo da poter
sfruttare a proprio vantaggio i differenziali nazionali specifici dei diversi
paesi;
la partecipazione attiva a reti internazionali di divisione del lavoro nel
campo della produzione e utilizzazione della conoscenza;
Nella loro accezione tradizionale i distretti si configuravano come catene di
fornitura locali, chiuse ad apporti esterni nelle fasi a monte, e fortemente
112
internazionalizzate invece nelle fasi terminali, di vendita e assistenza al cliente.
Finora, sono stati i prodotti finiti ad andare, attraverso le imprese dotate di reti
commerciali internazionali, sui mercati esterni: le lavorazioni a monte e le
competenze relative sono rimaste invece sedimentate localmente. Si trattava, in
definitiva, di un modello chiaramente export-oriented: un modello, dunque, che,
per quanto detto, oggi si trova nell'occhio del ciclone, che si deve adeguare alle
nuove forme di produzione transnazionale del valore.
Se si vogliono conseguire i vantaggi relativi ai differenziali nazionali e alla
divisione internazionale del lavoro cognitivo occorre, infatti, che le imprese
distrettuali di subfornitura che operano a monte comincino a guardare a mercati
più estesi di quelli loro garantiti dai committenti locali; e che i committenti, che
operano anche a valle, superino l'orizzonte delle esportazioni per articolare la
loro presenza internazionale in modo più pregnante. In altri termini, occorre che
i distretti in quanto sistemi collettivi di azione agiscano essi stessi come attori
dell'economia internazionale in formazione, seguendo o anticipando le imprese
in questa nuova dimensione del loro agire. Da ciò dipende, in gran parte, la
possibilità dei modelli di successo italiani di sopravvivere alle nuove regole della
concorrenza internazionale.
Il nuovo modo di vedere l'internazionalizzazione chiarisce che il discorso va
condotto a due livelli: da un lato occorre vedere la dinamica complessiva del
distretto (la sua internazionalizzazione come sistema, attraverso i diversi anelli
della catena del valore che lo compongono); dall'altro occorre vedere la
posizione delle singole imprese, distinguendo fra quelle operanti a monte (di
subfornitura) e quelle operanti a valle.
L’altro punto di fondamentale importanza è rappresentato dal tipo di relazioni
che devono legare i diversi componenti del sistema distrettuale.
Gli attori dei sistemi distrettuali hanno sempre coltivato delle relazioni interne
molto intense, tuttavia oggi è necessaria una condivisione più intensa e con
contenuti diversi. Le relazioni cruciali nel nuovo paradigma sono quelle che
consentono di diffondere la conoscenza ed il sapere sia tacito (che viene
dall’esperienza diretta di imprenditori e lavoratori) che sapere codificato: tali
sfere devono imparare a convivere e ad essere scambiate, perché, entrambe
sono necessarie ed in grado di produrre e generare vantaggio economico. Da
un lato infatti il sapere tacito dell’esperienza non è semplicemente una
113
sopravvivenza del passato e dall’altro il sapere codificato non è semplicemente
qualcosa che si limita a standardizzare i linguaggi e la comunicazione.
Questo scambio di conoscenze è legato al concetto di flusso, caratteristica della
società moderna che allude alla comunicazione e interconnessione tra ambiti
diversi e spesso anche lontani. E’ un carattere tipico della globalizzazione e
della rete ma che consente realmente di produrre vantaggio economico per
tutti. La questione da porre è quella di non ‘svendere’ le competenze e i
vantaggi del distretto, ma di espandere il tessuto relazionale interno facendogli
perdere i suoi caratteri captive e la sua ristrettezza geografica. Si tratta di
innescare reti globali su un nucleo portante ancora valido di competenze e di
cicli localizzati nel distretto, che può divenire il punto focale di relazioni estese
verso l'esterno.
La variabile strategica quindi non è più né l'esportazione di merci, di macchine o
componenti, ma è la formazione di canali di scambio regolato delle conoscenze
e di accumulazione congiunta di nuove conoscenze. L'ingresso in rete di nuovi
partners (anche esteri) deve essere visto anche come un'occasione di
apprendimento: ci sono nuovi mercati e nuove competenze che, scambiandosi
con quelle tradizionali del distretto, possono aprire nuovi business, esplorare
nuovi bisogni, suggerire nuovi prodotti e nuove utilizzazioni dei prodotti
tradizionali. Solo in questo modo l'evoluzione verso l'esterno, che è inevitabile,
potrà non essere un momento di impoverimento del distretto, ma innescarne
un'evoluzione verso varietà e competenze non ancora esplorate.
L’economia postfordista odierna è aperta, e hanno possibilità di successo le
imprese che intraprendono una via nuova ed originale. Paradossalmente, il
nuovo mercato globale premia il particolare e tale originalità può essere
prodotta solo da un sistema fondato su risorse distintive.
Ecco allora che i distretti sono, ancora una volta, i migliori candidati per vincere
la sfida della competitività con le grandi imprese ma la crescente competizione
globale, la massiccia introduzione delle tecnologie nonché l’evoluzione dei
modelli di consumo impongono di ripensare la formula imprenditoriale su cui è
stato costruito il successo.
114
4.1.3 Le soluzioni concrete per uscire dalla crisi
Il modello distrettuale quindi può ancora essere concorrenziale, perché è in
sintonia con alcune caratteristiche strutturali del nuovo paradigma economico,
ma urge subito un ripensamento e la modificazione di alcuni tratti, con
l’integrazione di nuovi elementi. Numerosi esperti in questi anni hanno cercato
di formulare delle risposte concrete proponendo delle soluzioni operative.
Innanzitutto, il pieno recupero della vitalità competitiva del modello distrettuale è
legato alla capacità ed al coraggio di introdurre tali innovazioni: tale attitudine
non deve essere data per scontata e dipende da tanti fattori. Rullani in
particolare afferma che molto dipenderà dalla qualità della classe dirigente. Se
quest’ultima optasse per scelte che coinvolgono poco l’apparato strutturale
profondo, all’economia distrettuale spetterà un ruolo di follower, non di leader.
Gli studiosi concordano sul fatto che la questione è di tipo strutturale: per i
distretti la strada verso una nuova competitività postfordista passa attraverso un
adattamento delle filiere produttive, in grado di sfruttare (e non di sopravvivere)
alla produzione globale e immateriale. Tale passaggio comporta un coraggioso
e congiunto sforzo da parte di più attori operanti nei distretti.
Le formule che sono state enunciate negli anni sono moltissime, e ciascuna di
esse pone in primo piano diverse priorità. Senza cercare di capire quali siano le
operazioni da effettuarsi prima, le due variabili che sono in grado di innescare
processi replicabili su cui sembra maggiormente necessario fare leva sono: la
tecnologia e le reti.
Le strade da intraprendere sono quindi due: da un lato la differenziazione
dell’offerta ed un maggiore investimento in innovazione sia dal punto di vista
tecnologico che semantico, dall’altro la gestione di reti produttive decentrate
all’interno delle quali presidiare le attività di maggiore valore aggiunto.
4.1.3.1
Investimenti per l’innovazione
Nella storia economica, da Schumpeter in avanti, è reputato molto importante il
ruolo che l’innovazione produce all’interno di un sistema economico71. Oggi
71
Schumpeter distingue fra invenzione ed innovazione, indicando con il primo termine un miglioramento di
tipo puramente tecnologico e meccanico, con il secondo invece l’introduzione di un nuovo processo di
combinazione dei fattori produttivi. Entrambe possono portare a notevoli miglioramenti dal punto di vista
dell’efficienza produttiva, tuttavia è fondamentale che entrambi i processi siano attivati.
115
come ieri, i progressi della tecnologia innescano meccanismi con conseguenze
dalla portata strepitosa, che nei casi più significativi passano alla storia con il
nome di rivoluzioni industriali.
Aiutare e favorire la ricerca e la diffusione delle nuove tecnologie è un
passaggio fondamentale per assicurarsi vantaggi competitivi: l’innovazione è
una spirale che viene alimentata contemporaneamente da produzione e
gestione delle nuove conoscenze, in una sorta di circolo virtuoso.
In passato, i processi di innovazione radicale assegnavano maggiore
importanza alla produzione ex novo di conoscenze, con un ruolo di protagonista
per la grande impresa. Attraverso un’organizzazione formalizzata e fortemente
codificata, le grandi imprese hanno identificato nella funzione di ricerca e
sviluppo (R&S) il principale imput dell’innovazione. Tale approccio è
rigidamente sequenziale e costoso, e solo attraverso la produzione di massa si
trovava una via di recupero. La grande impresa ha anche guardato in misura
minore a fonti di innovazione esterne, quali le università, i parchi scientifici, i
centri di ricerca. Ma i meccanismi di integrazione tra interno ed esterno sono
stati regolati in modo prevalentemente formale, ricorrendo, ad esempio, ai
brevetti. Solo negli anni ’90 emerge con sempre maggiore chiarezza come
l’impresa possa trarre valore dagli stimoli e dai valori connessi a forme di
apprendimento diverse (learning by doing) non gerarchicamente organizzate e
formalizzate, ma che trovano soprattutto nelle dinamiche sociali la loro forma
rilevante di governo. Sarà poi l’organizzazione a farsi carico di ordinare,
sistematizzare e selezionare le conoscenze migliori o più adeguate alle
necessità ed opportunità aziendali, facendole diventare patrimonio dell’impresa.
Questo è stato il modus operandi tipico delle PMI nei distretti industriali, che,
impossibilitate nell’investimento per la ricerca, ottimizzava il suo agire
raccogliendo stimoli non solo dai lavoratori a tutti i livelli, ma anche dai
collaboratori esterni come i fornitori e dai concorrenti, cercando di gestire al
meglio gli stimoli esterni al sistema distrettuale.
Anche la grande azienda oggi ha compreso l’importanza della gestione di tale
flusso di informazioni: in uno scenario economico estremamente complesso la
gestione di idee nuove ed efficienti diventa di fondamentale importanza.
116
Inoltre, la velocità con la quale si muove l’economia moderna implica la
necessità di un aggiornamento continuo delle proprie conoscenze e know how,
in un’ottica di formazione permanente che avvii essa stessa innovazione.
Nell’economia moderna quindi il capitale intangibile rappresenta un fattore
importante in grado di produrre reale valore aggiunto.
Gli strumenti che vengono individuati oggi per aiutare e alimentare nei distretti
questo flusso di innovazioni sono la formazione, la ricerca e le tecnologie
moderne di informazione e comunicazione (ITC).
Per formazione si intendono sia i processi attuati nelle agenzie preposte come
le scuole, sia l’importanza attribuita oggi alla formazione permanente, che
permette di aggiornare costantemente le conoscenze e di modificare quindi le
competenze della forza lavoro operante all’interno dei distretti.
La ricerca è altrettanto importante e deve essere affidata ad istituzioni e centri
di lavoro: in un sistema distrettuale le imprese non sono in grado di sobbarcarsi
ingenti oneri, si rende quindi necessario confluire tutti gli sforzi verso strutture
specializzate. Tali compagini devono essere specifiche e diversificate fra loro
tali da costituire in un territorio una struttura diversificata di supporto e
sostegno: bisogna evitare nel futuro le micro-replicazioni di stampo campanilista
che troppo spesso in passato si sono verificate, colpevoli di scarsa efficienza e
mediocrità72.
L’ultimo essenziale elemento per lo sviluppo dell’innovazione è rappresentato
dalle ITC. Le tecnologie moderne permettono una notevole riduzione dei costi di
acquisizione, gestione e scambio di informazioni, accelerando l’interazione fra
le imprese, le istituzioni ed i sistemi economici. Da un lato le ITC diminuiscono
le distanze tra le diverse localizzazioni produttive ed avvicinano le imprese,
dall’altro lato, la ridefinizione del concetto di spazio diventa un aspetto cruciale
e da controllare in quanto permette la compresenza dei rapporti fra imprese
molto distanti fra loro geograficamente, ma molto vicine per il tipo di business
generato. Micelli73 Individua tre fondamentali categorie di ITC che devono
essere introdotte:
72
Un esempio che ultimamente innesca molte polemiche è dato dall’enorme replicazione e
parcellizzazione dell’educazione accademica, che incontra in territori relativamente contenuti anche trequattro poli universitari diversi e rei di offrire gli stessi corsi di laurea per lo stesso bacino d’utenza.
73
S. Micelli, Imprese, reti, comunità, Etas, Milano 2000;
117
Sistemi informativi aziendali (Enterprise Computing) come EDI, ERP,
datawarehouse, business intelligence74;
Tecnologie per il lavoro cooperativo (groupware75) come database, forum
di discussione, gestione dei flussi di lavoro, sistemi di posta elettronica;
Web e multimedialità;
Le tecnologie ITC si trasformano da semplici strumenti di supporto delle attività
operative dell’impresa a vere soluzioni in grado di incrementare e potenziare le
capacità decisionali e di indirizzo strategico dei vertici. L’importanza
fondamentale attribuita alle ITC non deve caricarle di troppi significati: queste
tecnologie infatti non sono il baricentro dell’innovazione aziendale, ma
costituiscono uno strumento abilitante rispetto a strategie innovative per
l’impresa.
La vera rivoluzione infatti riguarda i modi attraverso cui queste tecnologie
vengono utilizzate. Tutto ciò consente di rimettere in gioco in forme e con
modalità nuove settori tradizionali, che hanno la possibilità di dimostrare le
proprie capacità strategiche e competitive a partire da uno scenario rinnovato
fondato anche sulle ITC.
4.1.3.2
Le reti di relazione
Le ITC rappresentano solo lo strato più superficiale di un processo di
trasformazione, innescato dalla globalizzazione, che riguarda in modo più
ampio il sistema di relazioni economiche e sociali, nonché i processi innovativi
di generazione e di diffusione del sapere. Avere a disposizione innovazione e
tecnologia non basta più: deve mutare anche il modo di lavorare.
Allo stesso modo con cui il grande sistema gerarchizzato della tradizione
fordista con la globalizzazione si rompe in molte unità di business autonome,
ciascuna delle quali cerca un proprio rapporto col mercato e con partners
esterni sviluppando una missione specifica e competenze più esclusive e
focalizzate, nel distretto le diverse unità (imprese) devono accrescere il proprio
74
EDI è l’acronimo di Eletronic Data Interchange ed è un insieme di standard utilizzati per controllare il
trasferimento di documenti d’affari da un computer all’atro. La sua adozione permette di eliminare i
documenti cartacei ed i ritardi postali. L’ERP (Enterprise Resource Planning) è un pacchetto software
completo per la gestione aziendale, multipiattaforma e di solito lavora in rete locale (LAN). Il
Datawharehouse è un sistema per l’archiviazione dei dati ed elaborazione degli stessi. I Business
Intelligence sono applicativi per l’elaborazione di informazioni aziendali con finalità di supporto alle
decisioni strategiche del vertice.
75
Software che consente la collaborazione di più persone, per più computer collegati in rete.
118
patrimonio di relazioni, senza affidarlo in maniera automatica e spontanea
all’ambiente, ma cercando di gestirlo, incoraggiarlo, monitorarlo e formalizzarlo.
Tale necessario processo di relazione ha due dimensioni, interna ed esterna al
distretto, con obiettivi diversi.
Per quanto riguarda la dimensione esterna, come precedentemente affermato, i
distretti hanno bisogno di qualcosa di più dello spazio di mercato di
esportazione. Hanno bisogno di sistemi di comunicazione e garanzia che
mettano in contatto imprese extra-distrettuali che non si sono mai incontrate e
che sanno fare cose diverse l’una dall’altra. Il cavalcare l’onda del mercato va
quindi di pari passo con la conoscenza delle dinamiche di tale mercato.
Per quanto riguarda poi la dimensione interna al distretto, gli attori hanno
bisogno di conoscere profondamente le dinamiche territoriali per poterle gestire
e sfruttare al meglio.
Tutto ciò è reso possibile dalla costruzione di reti., ovvero dei sistemi di
relazione immateriali, in grado di diffondere concorrenziali conoscenze,
competenze ed informazioni a tutti gli attori del sistema distrettuale.
Le reti svolgono quindi la doppia funzione di apertura internazionale e gestione
delle dinamiche e risorse interne al distretto.
La costruzione delle reti diventa così un imperativo, e le imprese non possono
essere lasciate sole nella loro costruzione di tale strumento. Del resto, nessun
singolo attore (istituzioni pubbliche, rappresentanze economiche, imprese) può
operare da solo per migliorare le capacità competitive del proprio distretto.
Il compito di costruire reti richiede attitudini ed esperienze di cui sono
tipicamente e maggiormente depositari due soggetti: le associazioni e la politica
pubblica.
Le
associazioni
di
rappresentanza
svolgono
la
funzione
di
sensori
nell’intercettare i fabbisogni, di interpretare ed elaborare la domanda, di
intermediare con le politiche pubbliche, di canalizzare le risorse, configurando
attività che in certa misura richiedono la presa di distanza dall’interesse
immediato, di breve periodo e individuale. Allo stesso modo, diventa sempre più
importante la funzione dell’associazionismo nell’assistenza alle imprese per la
costruzione dei legami con l’ambiente di riferimento come di accreditamento
presso
clienti,
banche
e
di
controllo
e
analisi
committenza/subfornitura e delle relazioni industriali.
delle
regole
della
119
La stessa sfida, seppur con compiti differenti, riguarda la pubblica
amministrazione. Qui è in gioco in primo luogo un problema di chiarezza circa il
ruolo delle istituzioni nella promozione dello sviluppo. Limitando il discorso alle
istituzioni locali, è certamente vero che in questi anni si è registrata la
maturazione di un ceto politico-amministrativo sul quale puntare per la
modernizzazione delle autonomie locali; ma non sempre a questo ha
corrisposto la consapevolezza del proprio ruolo riguardo agli impegni sul
versante dello sviluppo locale. In particolare nel rapporto con le imprese, questo
deficit di consapevolezza lo si evince nella difficoltà ad operare in maniera
differenziata secondo le diverse caratteristiche dei soggetti imprenditoriali e
nella mancata comprensione delle dinamiche economiche distrettuali. Se si
considera l’aspetto della mobilità territoriale di capitale e imprese, si nota che gli
amministratori non hanno ancora operato una distinzione fra le strategie rivolte
a imprese fortemente radicate nel territorio ed imprese che invece sono
caratterizzate da una elevata mobilità. Nel medesimo territorio convivono infatti
differenti interessi di impresa, da quelli temporaneamente localizzati e che
negoziano la loro permanenza a quelli radicati nel territorio e che si identificano
con esso nel bene e nel male. Le imprese piccole e artigiane dei distretti sono
imprese che non si possono permettere la mobilità delle altre e che quindi con il
proprio territorio hanno un rapporto di identificazione piuttosto che di
negoziazione. Al territorio vi sono ancorate, le loro radici sono lì, e di
conseguenza cercheranno di utilizzare i servizi e le opportunità che vi sono,
tante o poche che siano. Dal territorio dipendono e per questo sono anche le
imprese che alle istituzioni locali si rivolgono avanzando richieste e facendo
pressioni.
Ma il territorio dei distretti è popolato anche da aziende sempre più mobili, che
cioè intrattengono rapporti con una molteplicità di territori senza radicarvisi in
alcuno di essi. Semplicemente, utilizzano le risorse specifiche che vi sono
disponibili: agevolazioni fiscali, manodopera qualificata, manodopera a basso
costo, vicinanza ai clienti finali, incentivi pubblici, ecc. Il rapporto che queste
imprese intrattengono con il territorio è di tipo contrattuale perché basato sulla
convenienza a permanere o insediarsi. Le istituzioni locali non sono oggi
preparate a gestire questa complessità perché non distinguono tra chi negozia
nell’ambito di uno scambio territoriale e chi invece si identifica con il territorio.
120
Da un lato, non sono pronte ad esercitare quell’autorevolezza che è richiesta
nei rapporti negoziali, specie con imprese che vengono da altri paesi, dall’altro,
se si escludono alcuni casi di aree distrettuali, non danno sufficiente importanza
a quelle imprese che, essendo radicate sul territorio, chiedono più servizi di
qualità, più competenze, un ambiente migliore.
Imparare a comprendere appieno le dinamiche economiche innescate in un
territorio, conoscere a fondo le caratteristiche degli attori, nonché iniziare a
gestire il territorio partendo dall’ascolto delle esigenze delle parti sono i
traguardi più importanti da raggiungere attraverso l’implementazione delle reti.
Riassumendo quindi, l’affermarsi dei processi di globalizzazione esalta uno dei
tratti distintivi della modernità, quello che distingue e poi connette i luoghi e i
flussi. I luoghi si definiscono per la loro natura localizzata, puntuale e fisicospaziale. Come tali alludono a pratiche sociali e comportamenti che nascono e
si esauriscono entro i confini di specifici ambiti territoriali. Dal punto di vista
economico i luoghi sono tradizionalmente assunti come i contesti nei quali
operano i fattori che sono alla base della generazione di valore. Caratteristici
esempi di commistione tra società locale ed economia di luogo sono proprio i
distretti industriali storici, nei quali la commistione di produzioni tipiche e di
culture locali ha prodotto modelli di organizzazione dell’economia e della
società a base strettamente territoriale.
Il concetto di flussi descrive invece quella caratteristica della società moderna
che allude alla comunicazione e interconnessione tra ambiti diversi e spesso
anche lontani. E’ un carattere tipico della globalizzazione e della rete quello di
connettere stili di vita, modelli organizzativi, culture. In questo senso, i flussi
hanno a che fare con le relazioni più che con i soggetti intesi in senso puntuale
e situato, territori, società locali, imprese, distretti.
L’assumere questa polarizzazione tra luoghi e flussi non deve considerare i due
concetti come alternativi l’uno all’altro o l’uno come negazione dell’altro. Anzi, al
contrario. Letture semplificatrici non mancano di illustrare come la competizione
a scala globale decreterebbe la fine della dimensione locale, o, viceversa,
emergono studi che insistono nel considerare come proprio esclusivo ambito di
espansione i contesti locali circoscritti alle relazioni di compresenza fisica.
121
Si tratta di un equivoco che ha origine nel fatto di non considerare che i flussi
interconnettono, tra le altre cose, proprio i luoghi. E che anzi l’interconnessione
è davvero tale se vengono fatte valere tutte le ragioni dei luoghi. Questo
significa anche che i territori non possono più essere considerati come entità
conchiuse, autoconsistenti. Perché vi sia interconnessione, rete, servono luoghi
densi di significati, ricchi di identità, ma anche disponibili ad aprirsi verso
l’esterno, a confrontarsi con altri luoghi altrettanto densi, ricchi e disponibili al
confronto.
Infatti il modo in cui si combinano insieme la componente flusso e quella luogo
cambia i significati attraverso cui i soggetti vivono la dimensione territoriale.
Rullani e Corò distinguono emblematicamente tre tipi ideali di spazio che
definiscono non solo una fenomenologia dei distretti, ma modi di essere e di
pensare il territorio in generale.
Lo spazio di sorvolo del territorio, dove si condensa l’economia dei flussi
globali fatto di internet company, di finanza e spazi finanziari sempre più
globali, di economia dei marchi, del logo simbolo di merci e servizi
globali, di modelli di intrattenimento, di culture e lingue veicolari.
Territori/luoghi che fanno trivella, che assumono, come unico spazio di
resistenza e di futuro, il locale. Qui, si trivella, ‘avvitandosi’ sul territorio,
tutte le risorse locali di manodopera, di ambiente, di identità, stressando
in una coazione a ripetere i luoghi nei quali si vive e si opera. E’ il locale
che si fa localismo. Si assume come riferimento unico la comunità
originaria, la lingua originaria. Poco importa se sono entrambe
depotenziate. Se è il caso, si inventa la tradizione e in nome di una
identità originaria si respinge l’altro da sè. Appare una società in preda
alla nostalgia e caratterizzata dalla paura del futuro.
Territori/luoghi che fanno molla, i quali, rimbalzando dal locale al globale,
interconnettono economie dei luoghi ed economie dei flussi, facendo
investimenti diretti all’estero ed attirando localmente investimenti e flussi
globali. Appaiono società glocali in grado di governare l’interdipendenza
tra locale e globale arricchendo la lingua originaria, non perdendola,
l’identità locale, trasformandola nel rapporto con l’altro da sè, facendo
comunità aperta adeguata ai tempi di transizione e turbolenza. Appare
una società in grado di immaginare e progettare il proprio futuro.
122
A questi tre diversi spazi di posizione e spazi di rappresentazione del vivere
luoghi e territori, corrispondono altrettanti comportamenti degli attori sociali,
ovvero:
I
sorvolatori,
coloro
che
assumono
come
unico
spazio
di
rappresentazione i flussi, lo spazio virtuale, tendono a sentirsi parte
della Businnes Community o della comunità della tecnica. Frequentano
e vivono tra gli augéani ‘non luoghi’ e che sarebbe più pertinente
considerare invece ‘iperluoghi’ che caratterizzano l’economia dei flussi:
la rete, gli aereoporti, le quotazioni delle borse, le autonomie funzionali
della velocità delle merci e delle informazioni, come le fiere e i grandi
eventi globali. Assumono lo spaesamento, l’essere senza paese e
senza luogo, come un destino e traggono il senso di sé dall’invenzione
quotidiana di comunità virtuali, siano queste date dalle nuove
appartenenze evocate dalla rete della business economy o dal vivere in
comunità perimetrate di luoghi e i soggetti reali. Snobbano con uno
strano gergo da lingua veicolare tutto ciò che è locale come ‘provinciale’,
provincia di un impero di flussi e segni virtuali.
Gli uomini trivella assumono come unico spazio di senso, quello
perimetrato
delle
relazioni
di
prossimità.
Hanno
nel
localismo
metodologico, più che nella simultaneità, il codice del fare economia e
del fare società. Questo li porta a costruire modelli economici e sociali
chiusi in se stessi, orientati ai tempi in cui il massimo spazio economico
e sociale identitario era dato dalla dimensione nazionale, la rete
massima di espansione immaginaria del fare economia e dall’essere
società perimetrata da un unico codice linguistico. Quando non avviene
che il percorso venga interpretato alla rovescia ed allora, dallo spazio
massimo dato dalle reti di prossimità, la nazione, si regredisce alle
comunità territoriali date dai fondamenti delle appartenenze linguistiche
e religiose.
Gli uomini molla, invece, assumono come dimensione del fare società e
del vivere entrambe le polarità del moderno: luoghi e flussi. Ma, a
differenza dei sorvolatori, assumono come spazio di senso e di
innovazione il luogo, il locale, quel che resta della comunità originaria
della società locale, della lingua originaria. Si naviga in rete non tanto
123
per cercare la propria comunità virtuale ma per selezionare e cogliere
nel magma informativo tutto ciò che diventa utile ad aumentare il
patrimonio informativo locale. Si parte dal luogo per ampliarne lo spazio
informativo e comunicativo e non viceversa. Più che sostenitori delle
autonomie funzionali del moderno, più che produrre eventi, alimentano i
processi di autorganizzazione dal basso del vivere, dell’abitare, del fare
società, del fare impresa che permettano di confrontarsi con l’economia
dei flussi. Alimentano il sogno che abbia ancora senso il fare e costruire
società da una dimensione del tempo e dello spazio caratterizzato dalla
simultaneità. Non è difficile riconoscere in questa classificazione il posto
dove si collocano territori e soggetti che contraddistinguono le
esperienze più evolute tra i distretti industriali. Territori e uomini molla
descrivono le caratteristiche degli ambiti locali e gli attori distrettuali dove
con più coraggio e coerenza si sapranno accettare le sfide di una
globalizzazione che richiedono, contemporaneamente, adesione ai
luoghi e proiezione internazionale.
124
4.2
IL NORDEST ED I DISTRETTI INDUSTRIALI
4.2.1 La Terza Italia
Dal punto di vista geografico, il modello distrettuale si è diffuso in tutta Italia,
creando circuiti allargati di ricchezza. Tuttavia, è innegabile che una regione
ben delimitata dello stivale è cresciuta e si è enormemente arricchita
prevalentemente sotto l’egida di tale modello, tanto da esser stato teorizzato da
molti come un modello a sé stante: il Nordest. Che lo si voglia considerare o no
un modello, il Nordest è senza alcun dubbio un territorio che ha saputo passare
in due decadi da una condizione di estrema arretratezza a un volume di
benessere nazionale fra i più alti e che ha sviluppato eccellenze distrettuali nei
settori produttivi più disparati.
Nelle regioni del Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia la maggior
parte delle unità economiche è data da piccole e piccolissime imprese, che nei
settori di appartenenza occupano posizioni di leadership nel mercato nazionale
ed internazionale. Il Nordest agli inizi del decollo produttivo era considerato
dagli studiosi una sorta di anomalia, definito attraverso la dichiarazione di ciò
che non era e a cui non corrispondeva. Il Nordest non corrispondeva alla ‘Prima
Italia’ del triangolo industrializzato di Torino-Milano-Genova, ma neanche alla
‘Seconda Italia’ del mancato sviluppo riconoscibile nel Meridione. Il Nordest
aveva tratti dell’uno e dell’altro: nella prima guerra mondiale e nell’immediato
dopoguerra era interiorizzata in questi territori la sindrome di uno sviluppo che
tardava ad arrivare, che contribuiva a sottolineare nella popolazione vissuti di
emigrazione e povertà. Ma negli anni del miracolo economico italiano il Nordest
si è ampiamente smentito, sviluppando una azienda che non era però la grande
fabbrica del modello fordista. Il Nordest non è né carne né pesce: lo spettro
della povertà è alle spalle, ma l’organizzazione economica in senso postfordista
ancora tutta da sperimentare ed inventare. Si inizia a supporre una ‘Terza
Italia’, un modello che ingloba un reale bisogno di mantenere la propria identità
tradizionale senza rinunciare ai cambiamenti positivi legati alla modernizzazione
produttiva. L’idea del modello infatti aveva una valenza conservatrice
riconoscibile, che si basava sull’assunto della ricongiunzione delle tecniche
125
produttive moderne con la tradizione dei valori (cattolici), della cultura (localista,
se non addirittura campanilista) e dell’organizzazione sociale (policentrica).
La periferia si erige a schema di successo: si mostra un conglomerato
dinamico, leggero, irrequieto, che non ha pesi né responsabilità, tantomeno
protezioni ed eredità economiche importanti. Il sistema produttivo frammentato,
diffuso, immerso nel territorio e nella tradizione sociale intercetta la modernità
delle tecniche industriali e utilizza tutto per operare in segmenti di mercato
particolari.
Negli anni ‘80 e ’90 il Nordest viene consacrato definitivamente come un
successo che identifica un possibile percorso al postfordismo, erigendolo a
punto di riferimento di uno sviluppo diverso e possibile.
Ma l’economia di questa regione ha mancato altresì in questi anni molti
passaggi, che si sono evidenziati immediatamente al cambio della congiuntura
economica, portando alla crisi il successo conseguito.
Le regioni del Nordest (Veneto, Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia)
sono rimaste tre realtà molto ben distinte e con davvero pochi punti di
intersezione: ciascuna con equilibri politici, amministrazioni e servizi propri. Ciò
vale anche per la classe dirigente, che nella sua formazione resta ancorata a
circuiti localistici di ampiezza limitata e di corto respiro. Senza contare che
l’apprendimento tecnico è rimasto legato alla esperienza pratica del learning by
doing e nei circuiti manageriali la famiglia è ancora il soggetto più diffuso,
assistito e protetto da banche e mediatori politici.
Ma non basta: la flessibilità è ancora alta, ma non sono stati innescati processi
di ammortizzazione sociale per lo stuolo di lavoratori atipici e le partite IVA.
In un momento di straordinaria congiuntura positiva, il Nordest è stato in grado
di raccogliere l’opportunità da parte di numerose iniziative individuali, ma che
non hanno avuto un peso specifico (data la loro dimensione) tale da incidere
anche sulla realtà complessiva; le iniziative collettive poi sono state orientate
alla conservazione dei ruoli, dei poteri e dei confini. In definitiva, si è gestito ciò
che si aveva di fronte senza pensare al futuro, in modo tale da non aprire
ulteriori nuovi mondi e nuovi modi di essere.
La congiuntura è cambiata, ed il modello ha subito una profonda crisi di
involuzione.
126
Con la crisi, ci si è interrogati sulla correttezza teorica di considerare questo
territorio un vero e proprio modello, o se fosse più opportuno ritornare a
ragionare con il solo concetto di distretto. La questione è oggi più che mai
aperta. Anche se le voci sono discordanti, è indubbio che le sorti dei distretti
dipendono molto dalla specializzazione produttiva di ciascuno, com’è innegabile
che il tessuto sociale di valori comuni riscontrabile in queste terre influisca in
una certa misura nell’agire e nell’operare dei suoi attori.
Rullani76 identifica tra caratteri positivi e distintivi nel modello del Nordest. Tali
caratteristiche se potenziate e declinate nella nuova congiuntura economica,
sono in grado di far ripartire uno sviluppo economico competitivo. Esse sono:
La
capacità
di
lavorare
collaborando
con
altri
soggetti.
Come
precedentemente affermato, il piccolo imprenditore non è in grado di
controllare tutti i processi dell’intera filiera (tipico dell’impresa fordista) ed
accetta di dipendere fortemente da lavorazioni, competenze, capitali e
buona disponibilità di altri, conseguendo così economie di scala,
frazionando gli investimenti, i rischi, le competenze ed i mercati. Le
imprese del Nordest pur restando piccole, sono diventate più di altre
leaders
nella
nicchia
di
specializzazione
perché
hanno
creato
numerosissimi legami con altre organizzazioni.
Il
radicamento
territoriale.
Le
imprese
distrettuali
utilizzano
professionalità, terzisti, servizi ed infrastrutture (comunicazioni, acqua,
energia, smaltimento dei rifiuti ecc) che il territorio offre e che l’impresa
non deve autoprodursi, come facevano invece le grandi organizzazioni
fordiste, nel tentativo di plasmare il territorio alle loro esigenze.
L’impiego diretto e personale dell’imprenditore in azienda, con un
sovrapporsi della vita privata e della vita lavorativa che, nel bene e nel
male, ne costituisce un grande tratto distintivo. L’azienda si personalizza,
diventando una struttura costruita sulle capacità e sulla personalità
dell’imprenditore-uomo e la persona si aziendalizza, portando la vita
aziendale ad interferire e condizionare la sua vita privata e familiare.
76
E. Rullani, Dove va il Nordest. Vita, morte e miracoli di un modello, Marsilio Editore, Venezia, 2006;
127
4.2.2 I distretti del Friuli Venezia Giulia
Come già sottolineato in precedenza, la legge 317/91 prevedeva che fossero le
regioni, sentite le unioni regionali delle camere di commercio, industria,
artigianato e agricoltura, ad individuare i distretti industriali sul loro territorio di
competenza. Con la Deliberazione della Giunta Regionale del FGV n. 2179 del
27 maggio 1994 vennero individuati in Friuli Venezia Giulia quattro distretti
industriali:
Distretto industriale di Maniago per la fabbricazione di prodotti in metallo
Distretto industriale di San Daniele per la produzione di calzature,
abbigliamento e biancheria per la casa;
Distretto industriale di Manzano per l’industria del legno e del mobile in
legno;
Distretto industriale di Sacile per l’industria del legno e del mobile in
legno.
Per queste ragioni, la prima delimitazione dei distretti fu modificata nel 1999
dalla LG Reg. nr27 dal titolo “Per lo sviluppo dei Distretti Industriali”. L’art. 1
definisce il distretto industriale “quale ambito di sviluppo economico
occupazionale e quale sede di promozione e di coordinamento delle iniziative
locali di politica industriale, allo scopo di rafforzare la competitività del sistema
produttivo, perseguire l’uso più efficace degli strumenti di politica industriale,
ricercare e attivare nuove linee di intervento”.
La Legge prevede la realizzazione di Piani di Sviluppo del distretto. Tali
documenti hanno lo scopo di stabilire una politica industriale volta al progresso
dell’ area economica attraverso le seguenti iniziative:
Incremento della tecnologia, ricerca, sviluppo, innovazione;
Progetti di formazione delle risorse umane;
Miglioramento delle condizioni ambientali e di sicurezza del lavoro;
Conquista di nuovi mercati (esteri in particolare);
Creazione e potenziamento delle infrastrutture e opere pubbliche;
Attuazione di progetti comuni a più imprese;
Il Programma di Sviluppo ha, di norma, durata triennale e viene aggiornato
almeno annualmente su iniziativa del Comitato di Distretto, ricostituendone la
medesima estensione triennale. Il documento deve contenere:
128
le linee strategiche dell'operato del distretto;
le scelte prioritarie di investimento privato per lo sviluppo del distretto;
gli interventi prioritari infrastrutturali nel territorio del distretto;
la possibilita' di accesso di specifici progetti alle risorse previste;
L’articolo 2 di questa legge regionale stabilisce che i distretti industriali saranno
individuati e costituiti con deliberazione della Giunta regionale che il 3 marzo
2000 dispone l’istituzione dei quattro distretti friulani, in particolare:
con delibera n. 456, istituisce il distretto industriale denominato “Distretto
della Sedia”;
con delibera n. 457, istituisce il “Distretto del Mobile”;
con delibera n. 458, istituisce il “Distretto dell’alimentare”;
con delibera n. 460, istituisce il “Distretto del Coltello”.
In particolare, per il distretto di San Daniele, viste le dinamiche espansive
presentate nel settore alimentare, si modifica la produzione del distretto in
riferimento alla categoria economica “industrie alimentari e bevande”, e si
modifica l’estensione territoriale che diventa ora corrispondente al territorio di
sei comuni.
Per l’individuazione dei nuovi distretti la regione ha ritenuto di seguire i seguenti
criteri:
Le caratteristiche produttive di ogni distretto industriale devono essere
inerenti ad attività che tradizionalmente e storicamente siano da ritenere
peculiari per l’area;
I distretti sono compresi nell’ambito territoriale di uno o più comuni
contigui nei quali si è sviluppata la specificità produttiva caratteristica che
il distretto intende tutelare;
Possono essere compresi nel distretto gli ambiti territoriali di comuni
attigui ad un nucleo centrale tradizionale, purchè presentino prospettive di
sviluppo nell’attività caratteristica del distretto.
Tali criteri sono stati tradotti in un set di 6 indicatori economici basati sul numero
di addetti nell’ industria manifatturiera e nell’attività di specializzazione, sulla
quota di piccole e medie imprese e sul confronto con medie regionali e
nazionali.
129
La Lg Reg 27/99 stabilisce anche che per ciascun ambito territoriale individuato,
vengano istituiti dei Comitati di distretto, idonei al conseguimento delle finalita'
della legge stessa. Tale Comitato di distretto rappresenta il Distretto industriale
e sono rappresentati i Comuni territorialmente competenti, le Province e le
Camere di Commercio, industria, artigianato e agricoltura, nonché le
Associazioni imprenditoriali e le Organizzazioni sindacali. Ogni Comitato di
Distretto ha sede e segreteria presso il Comune con maggiore popolazione fra
quelli appartenenti al distretto. L’articolo 6 stabilisce i compiti del Comitato, fra i
quali risaltano:
l’adozione del Programma di sviluppo e la sorveglianza sul suo stato di
attuazione;
l’approvazione dei progetti predisposti dalle reti di enti e dai gruppi
progettuali privati, al fine di ammetterli all'accesso delle risorse per lo
sviluppo del Distretto;
la delega all'effettuazione di singoli interventi esecutivi del Comitato di
distretto da parte del Presidente;
la convocazione ogni sei mesi dei rappresentanti di tutti i Comuni del
distretto industriale, delle Province e delle Camere di commercio,
industria, artigianato e agricoltura competenti per territorio, delle
Associazioni imprenditoriali e delle Organizzazioni sindacali, e tutte le
altre realtà economico-associative operanti nel distretto, al fine di
assicurare la più ampia partecipazione.
Nel 2005 alcuni articoli della Lg Reg 27/99 sono stati sostituiti dagli articoli della
Lg Reg nr 4 del 4 marzo, aventi titolo ”Interventi per il sostegno e lo sviluppo
competitivo delle piccole e medie imprese del Friuli-Venezia Giulia”. Con l’art.
13 si modifica la definizione di distretto industriale, che diventa ora “un sistema
locale formato da imprese volontariamente specializzate, sia manifatturiere che
di servizi, sia artigiane che industriali o che comunque partecipano alla
medesima filiera produttiva o a filiere collegate, nonché dagli attori istituzionali
che svolgono un’attività rilevante all’interno del contesto locale”.
Si sottolinea quindi che, mentre con la disciplina della Lg Reg 27/99 ci si riferiva
al distretto industriale su base territoriale, provinciale e regionale ora, con la
nuova definizione, ci si riporta ai distretti industriali su base merceologica, come
filiera di specializzazione produttiva: il distretto industriale tende sempre
130
maggiormente ad essere identificato non più come territorio su cui le imprese
risiedono, bensì come filiera di specializzazione produttiva che si distingue per
la densità imprenditoriale dell’industria manifatturiera.
La Lg Reg 4/2005 ha inoltre stabilito una nuova figura istituzionale per il
governo del distretto: l’Agenzia per lo sviluppo del Distretto Industriale (ASDI),
definita attraverso il confronto con le parti istituzionali, economiche e sociali
operanti nell’area distrettuale e dalla cui iniziativa le ASDI sono promosse.
L’istituzione delle ASDI muove dal “concetto di filiera produttiva allargata agli
attori istituzionali che svolgono attività al servizio delle imprese del distretto,
ridefinendo le priorità volte al rafforzamento della loro competitività77”.
Infatti, i Comitati di Distretto, privi di strutture per lo svolgimento dei propri
compiti nonchè di personalità giuridica, non avevano la possibilità di intervento
che la Regione intende ora affidare alle ASDI.
Al fine di rafforzare e sviluppare i distretti italiani, la Regione e le ASDI
promuovono in questi sistemi78:
la diffusione della cultura del distretto intesa come risorsa importante da
preservare come mezzo di educazione e formazione;
la
promozione
fondamentale
distrettuale
ad
dell’immagine
per
rafforzare
all’esterno
il
del
distretto
intesa
all’interno
l’identità
confronto
e
lo
come
risorsa
della
comunità
scambio
culturale,
commerciale, produttivo;
l’aumento delle capacità di innovazione delle imprese, in tutte le attività
della catena del valore, anche attraverso la diffusione delle tecnologie
dell’informazione e della comunicazione;
il potenziamento e l’evoluzione qualitativa degli approcci al mercato delle
imprese
distrettuali,
indipendentemente
dalla
posizione
occupata
nell’ambito della filiera produttiva;
l’aggregazione di imprese finalizzata al rafforzamento competitivo e la
cooperazione tra imprese in progetti che perseguano il medesimo
obiettivo;
la creazione e lo sviluppo di strutture e risorse, come i centri di servizi
alle imprese ed i marchi collettivi di qualità, in grado di sostenere
77
Ermes Moras, Presidente del Comitato di Distretto del Mobile Livenza intervento al convegno:
Governace e sviluppo locale: il distretto del mobile, Pordenone, 3 febbraio 2006;
78
Art.1, comma3, Lg Rg 4/2005;
131
l’evoluzione e la competitività delle imprese insediate nel distretto e di
generare benefici collettivi;
lo sviluppo e la valorizzazione del fattore imprenditoriale e delle altre
risorse umane del distretto attraverso attività di istruzione e formazione
mirata;
il miglioramento delle condizioni ambientali del distretto;
l’internazionalizzazione delle imprese e la penetrazione in nuovi mercati,
in particolare quando connessa con l’aumento della capacità di regia
degli insediati nel distretto;
lo stimolo e lo sviluppo di opere o sistemi infrastrutturali e impiantistici, in
particolare in abbinamento fra soggetti pubblici e privati;
il coordinamento per il riordino delle politiche territoriali;
il miglioramento delle condizioni di sicurezza sul lavoro;
il miglioramento della qualità della vita nei contesti distrettuali.
L’ASDI è una società consortile a capitale misto pubblico e privato, costituita ai
sensi dell’articolo 27 della Lg. 317/91, avente come scopo statutario la
promozione dell’evoluzione competitiva del sistema produttivo locale e la
prestazione di servizi a supporto de processi innovativi delle imprese localizzate
nell’area territoriale di riferimento.
I compiti dell’Agenzia per lo sviluppo del distretto industriale sono definiti
dall’articolo 18: essa può svolgere attività di monitoraggio e di studio dei
fenomeni rilevanti per il distretto soprattutto di quelli che ne modificano la
configurazione e le fonti del vantaggio competitivo come, ad esempio, i fattori di
inquinamento al fine di migliorare le condizioni ambientali del distretto. Inoltre,
questo soggetto è titolare, ove esista, del marchio distrettuale di qualità. Infine,
anche il Programma di Sviluppo per i distretti industriali viene in parte
modificato dall’articolo 19 della nuova legge. il nuovo Programma di Sviluppo
deve infatti contenere:
l’analisi della situazione, ed in particolare l’individuazione delle criticità e
delle opportunità nell’ambiente competitivo di riferimento, dei punti di
forza e di debolezza a livello di imprese e di sistema locale;
le linee strategiche della politica industriale in ambito locale, finalizzate
allo
sviluppo
e
all’evoluzione
competitiva
precisazione degli interventi prioritari;
del distretto,
con
la
132
i progetti di iniziativa pubblica, privata o mista, anche non richiedenti
l’accesso al finanziamento della Regione, che costituiscono la parte
realizzativa del Programma e devono risultare definiti negli obiettivi,
contenuti e risorse. Le stesse ASDI possono proporre progetti di propria
iniziativa, eventualmente in collaborazione con altri soggetti.
Attualmente i distretti friulani sono in fase di applicazione della nuova legge,
ancora tutti in fase di costituzione dell’ASDI: tutti hanno elaborato lo statuto
costitutivo, che deve però ancora essere recepito da tutti i comuni appartenenti
al Distretto.
4.2.3 I distretti del mobile
Uno dei settori produttivi che si è sviluppato maggiormente sotto forma di
distretti industriali ed artigianali è sicuramente quello legato alla produzione di
mobili. Il mobile italiano è uno dei prodotti che ha contribuito alla costruzione del
concetto del “Made in Italy” nei paesi esteri. Per mobile si comprendono
l’insieme dei componenti dell’arredamento di cucine, salotti, camere da letto,
bagni, arredo urbano, per l’ufficio e per esterni, ma anche sedie, divani e
poltrone. Per settore del legno invece è da intendersi anche la serie di
produzioni connesse in via indiretta con la catena del mobile, come la
lavorazione per la produzione di pannelli, truciolati, fogli di compensato,
lavorazioni forestali, segati, strutture portanti, legno lamellare, etc.
In Italia si possono contare circa nove distretti industriali specializzati nella
produzione di particolari tipologie di mobili79. Essi sono:
79
Distretto deI Mobile della VAL CAVALLINA, provincia Bergamo;
Distretto del Mobile della BRIANZA, province di Como e Milano;
Distretto del Mobile del LIVENZA, province di Pordenone e Treviso;
Distretto del Mobile di PESARO;
Dati estrapolati dal “Rapporto sui principali Distretti Industriali Italiani“ redatto per Confartigianato dal
Consorzio A.A.S.T.E.R., 28 giugno 2001. La nota metodologia specifica che nell’individuazione dei distretti
si è fatto ricorso a più fonti (Istat, Unioncamere, Il Sole 24 Ore) privilegiando quelle che, caso per caso,
riportavano i dati più aggiornati, nel tentativo di costruire una mappa non esaustiva dei distretti industriali
italiani, ma che fosse la più rispondente alla realtà economica e sociale del Paese, in termini di indagine
territoriale e di attualità degli elementi conoscitivi riportati. Analizzare il fenomeno dal solo punto di vista
legislativo infatti comporta una distorsione notevole, in quanto molte regioni non hanno ancora
riconosciuto sistemi di imprese territoriali che possono essere considerate a tutti gli effetti dei distretti.
133
Distretto del Mobile di CASCINA E PONSACCO, provincia di Pisa;
Distretto del Mobile dell’ABRUZZO CENTRO SETTENTRIONALE,
provincia di Teramo e Pescara;
Distretto del Mobile Imbottito della provincia di Forlì;
Distretto del Mobile Imbottito e del salotto di MATERA, provincia di Bari;
Distretto del Mobile Imbottito di QUARRATA, provincia di Pistoia;
Distretto della Sedia di MANZANO, provincia di Udine;
Per le finalità del presente lavoro, verranno decritti solo i distretti della Brianza e
di Pesaro che per caratteristiche, tipologia di prodotto, composizione e quantità,
si presentano come i principali attori italiani nonché diretti concorrenti del
Distretto del Mobile Livenza.
4.2.3.1
IL DISTRETTO DEL MOBILE DELLA BRIANZA
Il distretto è stato riconosciuto dalla Regione Lombardia, con deliberazione della
Giunta Regionale del 16 marzo 2001, ai sensi della legge 317, art. 36, del 5
ottobre 1991, e successive modificazioni e integrazioni. Rispetto alla
precedente delimitazione distrettuale, effettuata dalla Regione Lombardia nel
1993, il nuovo distretto del mobile della Brianza (in precedenza denominato
Cantù) è stato notevolmente ampliato per quanto riguarda il territorio,
comprendendo, numerosi comuni della Provincia di Milano. L’ambito territoriale
del Distretto insiste infatti sulle province di Como (16 comuni, il cui centro
principale è Cantù) e di Milano (20 comuni, il cui centri principali sono Desio e
Seregno), per una superficie totale di 258 kmq; la popolazione residente è di
450.000 abitanti circa. Nel distretto operano complessivamente 35.747 unità
locali,
con
137.817
addetti,
mentre
nel
settore
di
specializzazione,
mobile/arredo, operano 4.695 aziende con 22.500 addetti. La dimensione
media delle unità locali del comparto legno-arredo è di 4,7 addetti: l'area è
infatti caratterizzata non solo da un significativo numero di imprese artigiane ma
anche da una elevata frammentazione del ciclo produttivo80.
80
Fonte: sito web Unioncamere Lombardia, 2001 I dati relativi alla superficie ed alla popolazione del
distretto sono di fonte Istat al 31.12.1999; quelli relativi alle unità locali ed agli addetti, di fonte Aspo e Istat
sono all’1.1.1998
134
La nascita del distretto industriale canturino risale alla metà del secolo XIX,
come attività integrativa di un’economia rurale la cui povertà era dovuta alla
scarsa fertilità della terra e alla sua concentrazione nelle mani di poche famiglie
nobili. Essa fu probabilmente favorita, in un primo momento, dalla presenza in
loco di residenze nobile borghesi, il cui arredamento richiedeva mobili in stile di
alta qualità e successivamente, dalla vicinanza del mercato urbano milanese.
La produzione di tipo artigianale ha conservato nel tempo questa sua
connotazione, fino a giungere ai giorni nostri, dove anche le realtà
imprenditoriali più significative mantengono tale carattere artigianale. Le
capacità tecnico-esecutive, il ‘saper fare’, sono state e sono tuttora prevalenti
rispetto a quelle prettamente imprenditoriali. Tali capacità sono sorrette ancora
oggi da un reticolo di interrelazioni fra imprese complementari, che si
concretizzano in veri e propri rapporti di collaborazione per la promozione e la
vendita dei mobili prodotti dal distretto, tra i quali assumono particolare
rilevanza le Esposizioni permanenti. Altro punto di forza è costituito dalla
formazione professionale, svolta dalla Scuola Arti e Mestieri, ora Istituto d’Arte,
che risale al 1882.
Il distretto canturino ha vissuto una fase di sviluppo fino alla fine degli anni ‘60,
con un andamento eccezionale nell’immediato periodo postbellico, fra il 1945
ed il 1960, per l’elevata domanda di mobilio, come conseguenza delle esigenze
della ricostruzione del Paese, e per la presenza di strutture dedite alla vendita.
Tre sono state le circostanze favorevoli in quel periodo:
l’esistenza di un artigianato già formato professionalmente ed in
possesso delle attrezzature fondamentali;
la rapida nascita di nuove unità operative, perché occorrevano impianti e
spazi modesti (ricavati spesso presso gli stessi locali abitativi), reperibili
anche con il modico impiego di capitali;
l’esistenza in loco delle Esposizioni Permanenti.
Alla produzione artigianale del mobilio si affiancarono in via collaterale un
complesso di altre attività: l’intaglio, l’intarsio, la lucidatura, la laccatura, la
doratura, l’imbottito, la lavorazione del metallo, dei marmi, dei vetri e dei cristalli;
nonché imprese commerciali dedite alla vendita di materie prime. Nel distretto
di Cantù l’organizzazione del processo produttivo, le caratteristiche del tessuto
imprenditoriale, i rapporti fra le imprese, sono rimasti sostanzialmente immutati
135
nel tempo. La crisi del distretto cominciò negli anni ‘70, quando la Scuola d’Arte
e Mestieri abbandonò il suo ruolo di formazione professionale per divenire
Istituto Statale d’Arte con scopi e funzioni non sempre allineati con quelli della
piccola impresa, e cominciarono a manifestarsi i primi problemi legati al
passaggio generazionale; anche le Esposizioni cominciarono ad andare in crisi,
non reggendo più la politica di vendita su attesa del consumatore e le imprese
dovettero rielaborare una propria politica commerciale non senza difficoltà. E’ a
partire dagli anni ‘70 che si assiste ad un ridimensionamento del numero di
imprese e ad un importante mutamento nelle strategie imprenditoriali come
adeguamento alle mutate condizioni ambientali: il riposizionamento del sistema
di prodotto sul su misura, ossia su di una produzione personalizzata.
Contemporaneamente, nascono alcune ipotesi di subfornitura.
Il distretto sembra cioè aver subito un’evoluzione contraria rispetto agli altri:
mentre, per i più, si è passati da una subfornitura ad una forma di autonomia,
qui si assiste al passaggio dall’autonomia ad alcune forme di subfornitura che
rimangono, però, a tutt’oggi assai limitate. Il momento presente vede in atto un
ulteriore processo di riposizionamento del distretto dal su misura al su disegno,
ossia su di una produzione sempre più personalizzata.
Il distretto della Brianza Comasca e Milanese è specializzato nella produzione
di mobili e oggetti in legno, nonché mobili in metallo e complementi di
arredamento: prodotti che tradizionalmente si distinguono sia per la qualità dei
materiali e delle rifiniture, sia per il design e lo stile. L'attività del comparto si
concentra soprattutto nella fabbricazione di mobili per l'arredamento della casa,
e di articoli per la decorazione, arredamento per esterni, pavimenti, infissi, ecc.
Consistente è anche il numero di imprese specializzate in produzioni
complementari (componenti meccanici, plastica, vetro), mentre di scarso rilievo
è la presenza di imprese fornitrici di servizi tecnici e di ricerca. La produzione
dell'area è ancora, in gran parte, destinata al mercato interno: meno del 25%
del fatturato deriva dalle esportazioni.
4.2.3.2
IL DISTRETTO DEL MOBILE DI PESARO
I comuni marchigiani che rientrano nel distretto sono quelli di Montelabbate,
Corboraldo, Sant’Angelo in Lizzola e Pesaro. Le aziende che costituiscono il
136
distretto sono 1.380, di cui 500 producono mobili ‘finiti’. Se si considerano
anche gli altri componenti della filiera del mobile (macchine per la lavorazione
del legno,
produttori di semilavorati,
seconda
lavorazione
del vetro,
arredamento per uffici e negozi) si arriva alla cifra di oltre 2.000.
Complessivamente gli addetti sono oltre 10.000, compresi anche gli addetti alla
produzione di macchine per la lavorazione del legno, di componenti in vetro o
marmo per il mobile che incidono per circa un 15% del totale.
Il fatturato è stimato in circa 2.520 miliardi, con un export di circa 800 miliardi ed
ha come principali mercati di sbocco i Paesi dell’Unione Europea (45%), l’area
del Medio Oriente (30%), gli USA (10%), l’America del Sud, i Paesi dell’Est
Europa (10%), l’Estremo Oriente (5%). Negli ultimi 20 anni l'economia pesarese
ha conosciuto tassi di sviluppo molto elevati, principalmente nel settore
manifatturiero e nel terziario produttivo. L'area-sistema pesarese risulta
articolata in circa 500 unità produttive di tipo industriale, integrate da più di 700
aziende artigiane che, oltre a dedicarsi alla creazione di prodotti finiti, svolgono
un'attività di "servizio" all'industria del mobile, producendo parti e accessori
d'arredamento o "coprendo" alcune fasi del ciclo produttivo. Il distretto del
mobile è l’asse portante dello sviluppo economico della provincia di Pesaro ed è
uno dei sistemi produttivi locali meglio conosciuti in Italia.
La sua origine risale alla fine degli anni ‘40, quando dal contesto agrario
mezzadrile locale, prendono avvio le prime esperienze produttive del settore. Le
caratteristiche tecniche dell’attività produttiva mobiliera, da una parte, e una
situazione congiunturale favorevole (rappresentata da una domanda di fascia
non elevata in rapida evoluzione) dall’altra, hanno favorito una crescita
sostenuta ed ininterrotta del distretto fino ai primi anni ‘70. Successivamente si
è verificato un processo di decentramento spinto delle lavorazioni, che ha dato
origine ad un terzismo specializzato su singole fasi o lavorazioni che viene
definito libero in virtù delle caratteristiche di committenza multipla che fin
dall’origine presenta e che è una delle principali peculiarità del distretto
pesarese.
A
partire
dagli
anni
‘80,
il
distretto
entra
in
una
fase
di
prima
internazionalizzazione, caratterizzata dall’apertura verso i mercati del Medio
Oriente. Oggi, il distretto pesarese è caratterizzato dalla compresenza di due
realtà distinte, dal punto di vista produttivo, organizzativo e strategico e di
137
posizionamento sul mercato. Da una parte, ci sono alcune grandi aziende
leader, che operano nel comparto cuciniero (4 o 5 in tutto) e, dall’altra, una
miriade di piccole e piccolissime imprese (sia cuciniere che mobiliere),
prevalentemente terziste, che rappresentano il 90-95% delle aziende del
distretto. Le differenze tra queste due realtà sono tali da identificarle
effettivamente come due mondi a parte, che seguono logiche di sviluppo e
politiche d’azione completamente diverse:
Le grandi imprese (come Scavolini, Berloni e Febal) sono dei produttori
molto integrati che hanno costruito nel tempo un sistema di accordi
strutturali con poche aziende terziste, selezionate sulla base di criteri
qualitativi e fiduciari (modello gerarchico-strutturale)81. Queste imprese
realizzano prodotti di alta qualità i cui punti di forza sono la varietà della
gamma, l’immagine ed il marchio, oltre ad un pieno controllo della
distribuzione. In particolare, per quest’ultimo aspetto si differenziano da
tutte le altre tipologie d’impresa presenti nel distretto;
Le altre aziende costituiscono la trama produttiva tipica del distretto, in
quanto ricorrono in maniera molto consistente al decentramento
produttivo, che garantendo loro un’elevata flessibilità, rappresenta il
fattore critico di successo per l’area. Le aziende di questo gruppo hanno
con i loro terzisti un rapporto sostanzialmente paritario, prevalentemente
di tipo contrattuale e negoziale, che in qualche caso assume
caratteristiche di dipendenza e subordinazione, di fronte ai terzisti più
strutturati. Si può parlare di un modello d’area sistema integrata per
definire questa realtà imprenditoriale che, pur rimanendo segnata da
accesi individualismi, si avvicina fortemente a un modello di ‘holding’ di
area. Questa zona-sistema integrata risulta articolata in circa 500 unità
produttive di tipo industriale, integrate da più di 700 aziende artigiane
che, oltre a dedicarsi alla creazione di prodotti finiti, svolgono un’attività
di servizio all’industria del mobile, producendo parti e accessori
d’arredamento o coprendo alcune fasi del ciclo produttivo.
In questo contesto, in termini di dinamiche evolutive, il fenomeno più
significativo sembra rappresentato dalla tendenza manifestata da parte di
81
La Scavolini, ad esempio, nel 1995 ha fatturato oltre 170 miliardi con circa 300 dipendenti diretti, mentre
altri 2.000 addetti lavorano per lei come indotto; la Febal sempre nel 1995 ha fatturato 80 miliardi con 220
diretti e altri 1.500-2.000 nell’indotto;
138
alcune imprese, di media o piccola dimensione, sia in conto proprio, sia terziste,
di reagire all’eccessiva frammentazione del processo produttivo (nata per
l’esigenza di contenere i costi), per recuperare il controllo del prodotto,
attraverso la nuova internalizzazione di alcune fasi lavorative. Questa politica
trova ragione alla luce dei cambiamenti che stanno interessando la domanda (la
forte contrazione dei consumi interni combinata con il forte aumento dei prezzi
del legno) ed i rapporti tra le aziende operanti nel settore mobiliero, in chiave
soprattutto di fattori critici di successo (oltre al costo e alla qualità anche il
rispetto di standard e normative certificabili, i tempi di consegna). Queste
dinamiche potrebbero delineare, se accompagnate anche dall’affermarsi di una
organizzazione distributiva del prodotto più concentrata un progressivo
spostamento
del
distretto
pesarese
verso
un
modello
di
possibile
gerarchizzazione perseguita attraverso una crescita per linee prevalentemente
interne.
139
4.3
IL DISTRETTO DEL MOBILE LIVENZA
4.3.1 Un distretto, due regioni
Il distretto si estende in tutta l’area compresa tra la Foresta del Consiglio e la
pianura attraversata dal corso del fiume Livenza: tale corso d’acqua funge
anche da confine fra le due Regioni del Veneto e Friuli Venezia Giulia. Ai fini
della presentazione e dell’inquadramento del valore economico espresso da
tale contesto produttivo territoriale, è doveroso presentare unitariamente i dati di
consistenza di questa realtà per coglierne i notevoli aspetti produttivi, anche se
da un punto di vista normativo si distinguono due diverse entità, ovvero il
Distretto del Mobile dell’ Alto Livenza e il Distretto del Legno-Arredo della
Sinistra Piave.
Il Distretto del Mobile del Livenza82, istituito con delibera di Giunta Regionale
del Friuli Venezia Giulia nr. 457 il 3.03.2000, è compreso nel territorio dei
seguenti undici comuni della Provincia di Pordenone: Azzano Decimo, Bugnera,
Budoia, Caneva, Chions, Fontanafredda, Pasiano di Pordenone, Polcenigo,
Prata di Pordenone, Pravisdomini e Sacile. In questo territorio sono rispettati
tutti gli indici previsti dalla Lg Reg FVG 27/99 per l’individuazione di un distretto
industriale83 che si riferisce alla categoria economica “Fabbricazione di mobili”
secondo la classificazione ISTAT 36.1.
La Regione Veneto ha individuato ufficialmente i distretti più tardi, con
Deliberazione del Consiglio Regionale 22 novembre 1999, n. 79, riconoscendo
il ‘Distretto del legno e mobile della Sinistra Piave’ in un territorio che si estende
82
Con la denominazione”Distretto del Mobile del Livenza” si fa riferimento all’organo istituito dalla Delibera
di Giunta Regionale del FVG nr 457 del 03.03.2000 mentre con il termine “distretto liventino” o “distretto
Livenza” si fa riferimento all’ area compresa fra il Veneto ed il Friuli a cavallo fra le Province di Pordenone
e Treviso, che si caratterizza per essere una zona industriale di specializzazione produttiva nel settore del
legno- arredo.
83
Ovvero:
La presenza di un indice di industrializzazione manifatturiera che sia superiore del 20%
del’analogodato regionaleo di quello nazionale;
Un indice di densità imprenditoriale dell’ industria manifatturiera superiore alla media regionale;
Un indice di specializzazione produttiva superiore al 30% dell’analogo dato regionale;
Un livello di occupazione nell’attività manifatturiera che sia superiore al 25% degli occupati
manifatturieri dell’area;
Una quota di occupazione nelle piccole e medie imprese operanti nell’attività manifatturiera di
specializzazione che sia superiore al 50% degli occupanti in tutte le imprese operanti nell’attività
di specializzazione dell’area.
140
in 52 comuni84 appartenenti ai sistemi locali del lavoro di Oderzo, Conegliano,
Vittorio Veneto, Pieve di Soligo e in qualche comune limitrofo delle province di
Venezia e Belluno85. Lo studio per l’individuazione dei distretti realizzato dalla
Regione rileva che il distretto della Sinistra Piave risulta dalla saldatura delle
due aree del Quartier del Piave e del Livenza (a sua volta confinante con il
distretto pordenonese), fra cui si inseriscono i sistemi locali di Conegliano e
Vittorio Veneto a struttura industriale più diversificata, con un’importante
presenza della filiera metalmeccanica e dell’elettrodomestico. Vista la stretta
connessione esistente tra la parte veneta e quella friulana dell’area liventina,
volendo articolare l’analisi, appare preferibile innanzitutto non adottare un’ottica
regionale (parlando di distretto veneto della Sinistra Piave e distretto friulano del
sacilese) ma piuttosto dividere il distretto della Sinistra Piave tra Quartier del
Piave (Conegliano, Vittorio Veneto, Pieve) e Livenza trevigiana (Oderzo-Motta
di Livenza)86. Tale opzione, peraltro, è stata adottata anche da ricerche
condotte in precedenza sull’area87.
Infatti le delibere delle due Regioni, se esaminate singolarmente, offrono una
fotografia parziale dei distretti mobilieri: ciascuna Regione ha ovviamente
legiferato solo per il territorio di propria competenza, limitandosi al massimo a
rilevare la contiguità territoriale con il distretto dell’altra Regione. Per ottenere
un quadro completo è quindi necessario ricomporre le due fotografie, adottando
una prospettiva di osservazione sovraregionale.
84
I 52 comuni distrettuali sono: Alano di Piave, Farra d’Alpago, Puos d’Alpago, Quero, Vas, Cappella
Maggiore, Chiarano, Cimadolmo, Cison di Valmarino, Codognè, Colle Umberto, Conegliano, Cordignano,
Farra di Soligo, Follina, Fontanelle, Fregona, Gaiarine, Godega di Sant'Urbano, Gorgo al Monticano,
Mansuè, Mareno di Piave, Meduna di Livenza, Miane, Moriago della Battaglia, Motta di Livenza, Oderzo,
Ormelle, Orsago, Pieve di Soligo, Ponte di Piave, Portobuffolè, Refrontolo, Revine Lago, Salgareda, San
Fior, San Pietro di Feletto, San Polo di Piave, San Vendemiano, Santa Lucia di Piave, Sarmede,
Segusino, Sernaglia della Battaglia, Susegana, Tarzo, Valdobbiadene, Vazzola, Vidor, Vittorio Veneto,
Annone Veneto, Pramaggiore, Santo Stino di Livenza.
85
I 52 comuni distrettuali sono: Alano di Piave, Farra d’Alpago, Puos d’Alpago, Quero, Vas, Cappella
Maggiore, Chiarano, Cimadolmo, Cison di Valmarino, Codognè, Colle Umberto, Conegliano, Cordignano,
Farra di Soligo, Follina, Fontanelle, Fregona, Gaiarine, Godega di Sant'Urbano, Gorgo al Monticano,
Mansuè, Mareno di Piave, Meduna di Livenza, Miane, Moriago della Battaglia, Motta di Livenza, Oderzo,
Ormelle, Orsago, Pieve di Soligo, Ponte di Piave, Portobuffolè, Refrontolo, Revine Lago, Salgareda, San
Fior, San Pietro di Feletto, San Polo di Piave, San Vendemiano, Santa Lucia di Piave, Sarmede,
Segusino, Sernaglia della Battaglia, Susegana, Tarzo, Valdobbiadene, Vazzola, Vidor, Vittorio Veneto,
Annone Veneto, Pramaggiore, Santo Stino di Livenza.
86
Grandinetti in particolare inserisce nel sistema distrettuale liventino trevigiano tutti i comuni del sistema
locale di Oderzo ed alcuni comuni limitrofi delle province di Treviso e Venezia ad alta specializzazione
mobiliera, ovvero: Cessalto, Chiarano, Cimadolmo, Codognè, Cordignano, Fontanelle, Gaiarine, Godega
di Sant’Urbano, Gorgo al Monticano, Mansuè, Meduna di Livenza, Motta di Livenza, Oderzo, Ormelle,
Orsago, Ponte di Piave, Portobuffolè, Salgareda, San Polo di Piave, Annone Veneto, Pramaggiore.
87
Guerra, op. cit., 1995; Corò, op. cit., 1996;
141
A livello pratico c’è la necessità di considerare questa concentrazione produttiva
come unitaria. Tale esigenza la si avverte anche da parte degli operatori, dai
consumatori e dalle istituzioni di competenza un unico distretto, anche è
innegabile la presenza di difficoltà politico-amministrative di far capo a due
province diverse di due regioni diverse, di cui una a statuto speciale.
Ultimamente, entrambe le Regioni hanno compiuto i primi passi. In sede di
riforma della legge sui distretti (L.R. n.5/2006) la Regione Veneto ha introdotto il
concetto di metadistretto, che è rappresentato da agglomerati di imprese
appartenenti anche a più province e con la possibilità di ottenere
preferenzialmente finanziamenti su progetti che prevedano la collaborazione
anche di imprese appartenenti a province confinanti a quelle del Veneto. La
Regione Friuli Venezia Giulia invece ha previsto che nella costituzione delle
ASDI vi sia la possibilità di partecipazione anche di imprese appartenenti a
province diverse. Molto è ancora da fare, ma questi nuovi strumenti a
disposizione fanno ben sperare in un futuro fatto di inevitabile integrazione delle
norme e delle politiche.
Del resto, questo territorio è già strettamente interconnesso (anche se molto
diversificato) a livello operativo e insieme costituisce il nucleo territoriale più
vasto ed importante per il settore del legno arredo.
Si tratta infatti di ben 65 comuni (55 in provincia di Treviso e 10 in provincia di
Pordenone)
L’importanza produttiva del distretto è evidente se si scorrono i dati del
Censimento delle imprese 2001 (ultimi dati ufficiali disponibili in maniera
uniforme).
I numeri sono veramente notevoli: si tratta complessivamente di ben 2289 unità
locali88 per un totale di 31885 addetti, suddivisi nei due settori del legno e del
mobilio, che rappresentano una concentrazione eccezionale, la più grande in
Italia. Il mobilio in particolare costituisce il 65,4% delle unità locali ed il 76,7%
degli addetti operanti nel settore delle due province di Treviso e Pordenone (in
la cui produzione è molto diffusa) ed il 3,5% delle unità locali ed il 10,7% degli
addetti di tutti i mobilifici italiani.
88
Per l’ISTAT una unità locale è da considerarsi la unità di rilevazione che corrisponde al luogo fisico in
cui le unità giuridico-economiche esercitano una o più attività economiche.
142
Ciò significa che oltre un decimo di tutti gli occupanti italiani nell’industria del
mobile lavora in un ristretto territorio (Sinistra Piave–Livenza) comprendente 65
comuni contigui nelle province di Treviso e Pordenone. Il core del distretto è
posto proprio a cavallo del corso del fiume Livenza; nella parte friulana i comuni
che concentrano il maggior numero di imprese ed addetti ed esibiscono
elevatissimi indici di specializzazione, superiori al 70% : Brugnera, Prata (con
oltre 2.000 addetti ciascuno) e Pasiano (1.500). Nel Trevigiano i comuni
principali sono localizzati proprio al di là del fiume: Gaiarine, Motta di Livenza
(con più di 1.200 addetti a testa) e Mansuè (870). Anche Pramaggiore, in
provincia di Venezia, ha un alto numero di occupati (oltre 700).
Inoltre in questo distretto, sempre nel settore mobilio, la dimensione delle unità
locali è ben superiore alla media nazionale, indice indicativo del carattere
industriale della produzione (17,6 addetti per unità locale rispetto ai 5,8 della
media italiana, nel trevigiano essa è il triplo della nazionale, mentre nel
pordenonese addirittura il quadruplo). Nel distretto del Livenza le imprese con
più di 100 lavoratori sono 25 ed occupano un quarto dei dipendenti totali. Quelle
tra i 50 ed i 99 sono più numerose nel Pordenonese (28% dei dipendenti) che
nel Trevigiano (18%).
Il settore di specializzazione è chiaramente identificabile nel settore del legnomobilio, definito dai codici 20 (Industria del legno e dei prodotti in legno) e 36.1
(Fabbricazione di mobili) della classificazione ISTAT delle attività economiche.
La produzione locale comprende due diverse distinzioni: la produzione e
assemblaggio di mobili e la subfornitura di componentistica.
Per quanto riguarda la prima categoria, le imprese producono diverse tipologie
di mobili per la casa, soprattutto soggiorni, camere, camerette, cucine; minore è
la presenza di mobili destinati ai segmenti ufficio e contract, che comunque
hanno conosciuto una maggiore diffusione in tempi recenti. Le imprese
distrettuali realizzano generalmente un prodotto di fascia media, con punte
verso il medio alto ed il medio basso. All’interno dei sistemi locali operano
alcuni dei più importanti produttori italiani del settore mobiliero, come i gruppi
Doimo, Atma, San Giacomo che occupano posizioni di leadership a livello
143
nazionale e mantengono una certa visibilità anche a livello internazionale, pur
non avendo marchi molto noti al grande pubblico89.
Alla produzione di mobili si affianca quella di componentistica (ante, cassetti,
semilavorati, ecc.) che, pur appartenendo alla filiera produttiva del mobile,
costituisce oramai, almeno in parte, un segmento dotato di una propria
autonomia. Anche questo comparto può contare su alcune presenze di rilievo,
soprattutto nella produzione di ante.
Alcuni mobili prodotti nel liventino negli anni del II dopoguerra
4.3.2 Evoluzione storica e caratteristiche odierne
Lo sviluppo storico dell’industria del mobile tra le province di Treviso e
Pordenone è un fenomeno relativamente recente, anche se nella zona esisteva
una
tradizione
artigianale.
All’inizio
degli
anni
’50
nell’area,
ancora
prevalentemente agricola, esisteva infatti un artigianato diffuso ma non si
riscontrava una specializzazione particolarmente rilevante. L’industria mobiliera
ha iniziato a crescere negli anni ’50 in modo piuttosto veloce, espandendosi poi
negli anni ’60.
In questa prima fase la diffusione delle produzioni del mobile è avvenuta sia
mediante la trasformazione di alcune falegnamerie artigiane in mobilifici
industriali, sia attraverso la nascita di nuove imprese ad opera di imprenditori
imitativi. Solo alcuni di loro hanno ereditato e sviluppato l’azienda artigiana
avviata nel periodo prebellico dal padre o dal nonno. Nella stragrande
maggioranza dei casi i fondatori delle prime imprese sono stati imprenditori di
89
G Lojacono, Le imprese del sistema arredamento. Strategie di design, prodotto e distribuzione, Etas,
Milano, 2001;
144
prima generazione, provenienti spesso da famiglie contadine (coltivatori diretti e
mezzadri), che dopo aver lavorato per qualche tempo come dipendenti
(soprattutto come operai) in altre aziende locali, ne sono fuoriusciti ed hanno
dato vita ad una propria attività autonoma.
Guerra90 individua tre fattori esogeni che hanno promosso lo sviluppo
dell’industria mobiliera locale:
l’aumento della domanda interna di mobili, trainata dalle necessità della
ricostruzione post-bellica e successivamente dalla diffusione di nuovi
modelli di consumo che hanno aumentato la propensione al consumo
delle famiglie nei confronti dei beni d’arredamento, caricando l’acquisto
del mobile di nuovi significati;
il progresso tecnico, che ha portato all’introduzione di nuovi materiali e di
nuove tecnologie. Sotto il primo profilo il fattore determinante è stato la
diffusione dei pannelli (di compensato prima, di truciolare poi), una nuova
‘materia prima’ a basso costo che poteva essere usata al posto del legno
massiccio (materiale naturale il cui prezzo tendeva storicamente ad
aumentare e le cui proprietà tecniche mal si prestavano alla lavorazione
in serie) e lavorata secondo criteri industriali, grazie alle sue
caratteristiche di omogeneità e stabilità dimensionale. L’innovazione nei
materiali è avvenuta in concomitanza al progresso delle tecniche e
dell’organizzazione produttiva; si può dire che la disponibilità del nuovo
materiale ha nel contempo indotto e consentito il passaggio dal sistema
di produzione artigianale al sistema industriale. In sostanza il nuovo ciclo
di produzione del mobile ha portato gradualmente alla scomposizione
delle lavorazioni in interventi su superfici piane (i pannelli), movimentate
secondo un preciso flusso e montate solo alla fine delle lavorazioni.
Le promettenti possibilità di vendita conseguenti all’aumento della domanda e le
opportunità produttive aperte dal progresso tecnico si sono accoppiate con
condizioni endogene favorevoli quali la mobilitazione sociale di mercato, la
presenza in ambito locale di un’offerta di lavoro flessibile e a basso costo e
quindi funzionale alle esigenze della domanda.
90
P. Guerra, I sistemi produttivi del Livenza e del Quartier del Piave, in G. Corò, E. Rullani (a cura di),
Percorsi locali di internazionalizzazione. Competenze e auto-organizzazione nei distretti industriali del
Nord-Est, Franco Angeli, Milano 1998;
145
Negli anni ’70 la catena del valore distrettuale si è modificata in seguito a due
distinti processi: il decentramento produttivo e l’avvio dell’export.
Il decentramento produttivo, che ha iniziato a manifestarsi sin dalla fine degli
anni ’60, è stato caratterizzato dalla scomposizione del ciclo produttivo e dalla
specializzazione in senso verticale delle imprese mobiliere, le quali si sono
orientate a svolgere solo alcune fasi del ciclo tecnico. A monte dei mobilifici,
sono nate imprese specializzate nell’esecuzione di un componente, di una
particolare fase o di una sola lavorazione, alle quali i mobilifici stessi hanno
decentrato parte della produzione, attuando una politica di disintegrazione
verticale a monte dei cicli. Questo fenomeno ha determinato sia una
ristrutturazione interna delle imprese, sia una ristrutturazione della catena del
valore distrettuale, promuovendo la nascita di nuovi subsettori produttivi, la
formazione di nuovi mercati di fase ed una crescente divisione del lavoro tra
mobilifici e subfornitori. Ha anche contribuito alla diffusione dell’industria
mobiliera nel territorio e quindi all’estensione dell’area distrettuale nelle zone
circostanti.
Nei decenni successivi il comparto della componentistica ha realizzato una
graduale crescita sia di tipo quantitativo che di tipo qualitativo. Alcune imprese
di subfornitura sono cresciute sotto il profilo dimensionale e si sono innovate
sotto il profilo tecnologico o organizzativo sino a divenire dei produttori di fase,
autonomi rispetto ai mobilifici locali. Si è registrata anche un’evoluzione delle
relazioni esistenti tra mobilifici e subfornitori: le forme di subfornitura di capacità
sono state sempre più spesso affiancate o sostituite da forme di subfornitura di
specialità e da relazioni di tipo più evoluto. La divisione del lavoro che si è
instaurata tra mobilifici e fornitori ha costituito un importante fattore di vantaggio
per le imprese locali, concorrendo ad assicurare la flessibilità e la varietà
produttiva che sono risultate fondamentali per competere nei decenni
successivi.
Il secondo processo, quello dell’export, è incominciato attorno alla metà degli
anni ’70 in alcuni dei maggiori mobilifici, che sino ad allora erano cresciuti
ampliando progressivamente l’area di vendita in ambito nazionale, hanno
iniziato ad introdursi nei mercati esteri. Germania e Francia sono i due paesi
che tuttora costituiscono mete importanti delle esportazioni locali. Lungo il
percorso indicato da queste aziende pioniere negli anni successivi si sono
146
incamminate altre imprese locali, innescando un processo che è proseguito
sino ai giorni nostri con il graduale aumento della propensione all’export del
distretto e la progressiva estensione dei mercati di sbocco.
Tra gli anni ’80 e la fine dei ’90 il sistema competitivo del settore del mobile è
stato sottoposto alla pressione di diversi fattori di trasformazione che hanno
costituito un articolato insieme di minacce ed opportunità: un modesto tasso di
crescita della domanda interna, l’evoluzione della distribuzione (che ha avviato
strategie di concentrazione e politiche di selezione dei distributori), la
globalizzazione
dell’economia,
l’introduzione
delle
nuove
tecnologie
dell’informazione e della comunicazione, l’evoluzione della domanda in
direzione di una maggiore varietà e variabilità, senza contare l’aumento della
concorrenza straniera e il rafforzamento del potere contrattuale dei clienti.
Le imprese mobiliere si sono dunque trovate ad operare in uno scenario
ambientale contraddistinto da un crescente livello di complessità.
Per rispondere a tali nuove ed impegnative sfide competitive le imprese
distrettuali più dinamiche hanno rinnovato la propria formula imprenditoriale. I
processi evolutivi avviati da tali imprese portano a definire il distretto come un
sistema in fase fortemente evolutiva. Le tendenze più significative possono
essere sintetizzate in cinque punti, ovvero:
L’emergere di alcune imprese leader che, attraverso operazioni di
acquisizione o filiazione di altri mobilifici, hanno costituito dei gruppi di
imprese. Tale processo di formazione dei gruppi non ha inciso solo a
livello aziendale, rinnovando le formule imprenditoriali delle imprese
interessate, ma ha avuto un forte impatto anche a livello distrettuale sul
sistema di relazioni locale. La costituzione dei gruppi ha quindi prodotto
un processo di selezione delle imprese e di concentrazione del fatturato
e del valore aggiunto distrettuale. E soprattutto ha determinato una vera
trasformazione del sistema distrettuale che si è evoluto in direzione di
una maggiore gerarchizzazione interna riorganizzandosi attorno ad
alcune imprese leader, ovvero gruppi con strategie e strutture
chiaramente definite.
L’innovazione in diversi processi aziendali, con la adozione di tecnologie
di automazione flessibile (macchine a controllo numerico, Cad, Cad-
147
Cam, etc.), atte ad aumentare la flessibilità produttiva, a ridurre i tempi di
risposta al mercato e a contenere nel contempo i costi di produzione. Si
è passati inoltre da una da una produzione to stock ad una to order,
spesso con l’adozione di un sistema che prevede la produzione per
magazzino dei semilavorati e dei componenti-base dei mobili, i quali
vengono poi finiti e/o assemblati dopo il ricevimento dell’ordine dal
cliente (assemble to order).
L’attenzione alla qualità del prodotto, tra le leve del marketing mix il
prodotto è sicuramente la variabile su cui le imprese liventine del mobile
hanno principalmente costruito il proprio vantaggio competitivo e su cui
hanno investito (e stanno continuando ad investire) per renderlo
sostenibile nel tempo. Gli attuali punti di forza delle imprese distrettuali
attengono
infatti
all’area
del
prodotto.
Oltre
alle
strategie
di
diversificazione produttiva e le politiche di modularizzazione, volte ad
aumentare la varietà offerta, si verificano anche politiche di ampliamento
del prodotto, finalizzate a migliorare il livello di servizio ai clienti. C’è poi
l’universo molto innovativo degli asset intangibili che negli ultimi anni sta
cercando prepotentemente di imporsi. Tale vantaggio è legato alla
doppia sfera del design e della qualità. Tale struttura dei fattori di
vantaggio competitivo mira a fronteggiare la crescente complessità
dell’ambiente competitivo, in particolare l’intensificarsi della concorrenza
di paesi emergenti che sono in grado di abbattere i costi di produzione
ed offrire un prodotto di qualità simile ad un importo inferiore. In questo
senso sono da interpretarsi la proliferazione delle certificazioni di qualità
del prodotto come ISO 9000 e anche gli sforzi che negli ultimissimi tempi
compiono diverse imprese verso la dimostrazione di altri valori e concetti
intrinseci nel prodotto, come le certificazioni ambientali di prodotto o
processo.
L’apertura per certi versi obbligata della catena del valore locale
all’economia globale, attraverso diverse azioni, come l’evoluzione dei
canali di entrata e distribuzione nei mercati occidentali con il passaggio
da forme tradizionali (esportatori, agenti, etc.) ad investimenti diretti di
tipo commerciale (punti vendita all’estero). Molte imprese poi hanno
sviluppato verso l’estero le esportazioni di semilavorati e componenti e
148
sono riuscite ad inserirsi in reti internazionali di divisione del lavoro, tanto
da divenire alcune delle più forti esportatrici distrettuali. Importante
ricordare anche la delocalizzazione di parte del ciclo produttivo nei paesi
a minor costo del lavoro, testimoniata dallo sviluppo delle importazioni di
semilavorati o di prodotti finiti, dalla stesura di accordi di fornitura con
imprese estere e, in qualche caso, dalla costituzione di joint venture o
consociate produttive in paesi esteri. L’avvio dell’internazionalizzazione
ha costituito la proiezione all’esterno del distretto di anelli intermedi della
catena del valore locale. Per il momento il processo appare ai primi stadi
dato che il coinvolgimento internazionale delle imprese rimane per lo più
circoscritto alle funzioni di vendita, di fornitura e (in parte) di produzione.
La ricostruzione del processo di sviluppo realizzato dai distretti mobilieri negli
ultimi decenni mostra chiaramente che il sistema del mobile liventino ha avuto
la capacità di rinnovarsi per rispondere alle modificazioni dello scenario
ambientale e riprodurre le condizioni di vantaggio competitivo. Nonostante
l’evoluzione compiuta, la produzione costituisce ancora oggi l’attività centrale
della catena del valore delle imprese locali e continua a svolgere un ruolo
primario nella produzione del valore.
Tra i fattori su cui le imprese fanno leva oggi per sostenere la propria
competitività continuano quindi a comparire l’organizzazione della produzione,
l’attenzione all’innovazione tecnologica, la divisione del lavoro tra imprese, la
capacità
di
sviluppare
prodotti
contraddistinti
da
un
buon
rapporto
qualità/prezzo e capaci di rispondere ai bisogni vari e variabili dei consumatori.
Altre direttrici di sviluppo, in particolare le politiche di marketing, sono state
piuttosto trascurate.
Una ricerca svolta per Unioncamere nel 200191 con questionario sottoposto alle
imprese del distretto del Livenza (friulano e trevigiano) e del quartiere del Piave
si proponeva di rilevare le modalità e gli strumenti utilizzati per comunicare
prodotti e offerte commerciali al mercato, ovvero le caratteristiche del cosiddetto
communication mix delle imprese. Gli strumenti tipici fondamentali sondati
91
R. Grandinetti, M. Chiarvesio, P. Guerra, R. Tabacco (a cura di), Le politiche commerciali e di marketing
nel settore dell’arredamento, Ricerca sui distretti industriali del Livenza e del Quartier del Piave, Novembre
2001; scaricabile dal sito www.statser.unioncamere.it;
149
fanno riferimento alla classificazione di Cozzi e Ferrero92 che individua cinque
possibilità: la pubblicità, la sponsorizzazione, le pubbliche relazioni, la
promozione delle vendite, la comunicazione personale.
L’ indagine ha focalizzato l’attenzione sui primi due canali, quello pubblicitario,
esploso in relazione ai diversi possibili media utilizzabili, e quello della
sponsorizzazione; a questi sono stati aggiunti ulteriori specifici strumenti di
marketing diretto, come le fiere, destinate al trade o al consumatore finale, il
telemarketing, il marketing diretto postale e il sito web, strumento di
comunicazione emergente e in rapida diffusione. Il communication mix, inoltre,
è stato studiato separatamente per il mercato italiano e per i mercati esteri.
In entrambi i casi emerge che la comunicazione è sicuramente il punto debole
nell’approccio delle imprese ai mercati, confermato anche dalle imprese stesse
nella autovalutazione dei propri punti di forza e debolezza competitiva.
Nonostante una corretta strategia di comunicazione al mercato sia una risorsa
sempre più critica in un contesto competitivo a complessità crescente, nell’area
del distretto liventino questa è un mezzo su cui le imprese non stanno facendo
ancora investimenti mirati di tipo strategico. Ovvero, investono sulla
comunicazione di tipo personale al trade al fine di accrescere il livello di
interazione con il canale distributivo e con questo migliorare il rapporto con il
mercato, ma la comunicazione diretta al consumatore, al contrario, riceve
ancora un’attenzione e un budget limitati nella maggior parte delle imprese.
La tabella1 sotto riportata evidenzia in particolar tre dati fondamentali e
riassuntivi:
lo strumento di comunicazione che oggi risulta più diffuso tra le imprese
è il sito web, presente nell’85,7% dei casi;
la partecipazione a fiere di settore si posiziona al secondo posto: il
69,2% delle imprese partecipa ad almeno una fiera, con preferenza per
quelle organizzate in regioni diverse rispetto al Veneto o al Friuli Venezia
Giulia, a cui si presenta il 58,6% delle imprese intervistate (si ricorda
d’altra parte che la più importante fiera italiana di settore ha luogo a
Milano);
92
G. Cozzi, G. Ferrero, Marketing. Principi, metodi, tendenze evolutive, Giappichelli Editore, Torino, 1996;
150
la pubblicità su riviste è il terzo canale di comunicazione adottato, su cui
investe il 45,9% delle imprese, con maggiore incidenza delle imprese
operanti nella fascia alta e medio-alta del mercato.
Per quanto riguarda il mercato italiano, le imprese utilizzano mediamente 2,8
strumenti; se però dal calcolo dell’indice di diversificazione dei canali di
comunicazione vengono esclusi il sito web e le fiere, il valore scende
drasticamente a 0,9.
Questi sono quindi gli unici tre strumenti di comunicazione utilizzati con una
certa frequenza dalle imprese dei due distretti mobilieri.
Tab1- Le forme di comunicazione utilizzate sui mercati interni*
Forme di comunicazione
Livenza
Quartier
del
Piave
Totale
v.a.
%
v.a.
%
Pubblicità su quotidiani
5
5,3
10
25,6
15
11,3
Pubblicità su riviste
42
44,7
19
48,7
61
45,9
Pubblicità televisiva
0
0,0
1
2,5
1
0,7
Pubblicità radiofonica
1
1,1
2
5,1
3
2,3
Sponsorizzazioni
14
14,9
11
28,2
25
18,8
Telemarketing
0
0,0
0
0,0
0
0,0
Direct marketing postale
18
19,1
0
0,0
18
13,5
Sito Web
78
83,0
36
92,3
114
85,7
Fiere in Veneto e Friuli-V. G. 40
42,6
13
33,3
53
39,8
Fiere in altre regioni italiane
61,7
20
51,3
78
58,6
58
* Le percentuali sono calcolate sulle imprese che operano almeno parzialmente sul mercato
italiano
Considerazioni analoghe a quelle fin qui svolte valgono per i mercati esteri, in
cui la comunicazione di marketing delle imprese è ancora più debole. La tabella
2 riporta i dati relativi al mix comunicativo delle imprese che esportano almeno
parte del fatturato aziendale.
151
Tab2 – Le forme di comunicazione utilizzate sui mercati esteri*
Quartier del
Forme di
comunicazione
Livenza
Totale
Piave
v.a.
%
v.a.
%
v.a. %
Pubblicità su quotidiani
4
4,6
1
3,1
5
4,2
Pubblicità su riviste
27
31,0
10
31,3
37
31,1
Pubblicità televisiva
1
1,1
0
0,0
1
0,8
Pubblicità radiofonica
1
1,1
0
0,0
1
0,8
Sponsorizzazioni
2
2,3
1
3,1
3
2,5
Telemarketing
0
0,0
0
0,0
0
0,0
Direct marketing postale 12
13,8
1
3,1
13
10,9
Sito Web
75
85,2
30
93,8
105 87,5
Fiere in paesi esteri
49
55,7
12
37,5
61
50,8
*Le percentuali sono calcolate sulle imprese che operano almeno parzialmente sui mercati
esteri
Mediamente le imprese usano 1,9 strumenti di comunicazione, che si riducono
a 0,5 se escludiamo il sito web e le fiere.
Dopo il sito Web, la fiera è il momento privilegiato per presentare il catalogo, i
nuovi prodotti ed entrare in contatto diretto con operatori, agenti, importatori.
Quasi un terzo delle imprese pubblicizza i propri prodotti sulle riviste
d’arredamento,
mentre
tutte
le
altre
forme
comunicative
rivestono
un’importanza molto bassa. Il 9,2% delle imprese non fa ricorso a nessuno dei
canali segnalati e il 61,3% fa ricorso solamente al sito Web o alle fiere93.
La debolezza dimostrata delle imprese relativamente alle attività di marketing,
spesso determinata dalla disponibilità limitata di risorse da investire, non viene
compensata dalla ricerca di collaborazioni con altre imprese. Meno del 10%
delle aziende ha sviluppato rapporti di collaborazione in campo commerciale
con altre imprese di produzione e, nei casi rilevati, si tratta perlopiù di accordi
che si inseriscono in un più ampio sistema di relazioni tipico dei molti gruppi
informali sorti nel distretto. Si conferma dunque ancora una volta la difficoltà
delle piccole e medie imprese dei sistemi locali a sviluppare progetti di
93
Bisogna tuttavia considerare che molte imprese sostengono che la miglior forma di comunicazione per
l’estero sia una forte presenza e notorietà sul mercato nazionale, che consentono di far leva sul fattore
made in Italy.
152
cooperazione orizzontale al fine di superare alcuni dei limiti propri delle piccole
dimensioni aziendali.
Una considerazione doverosa è relativa al nuovo canale comunicativo
emergente: il sito web. Questo strumento ha in questi due sistemi locali una
diffusione molto alta, al di sopra delle medie nazionali. Questo è certamente
indicativo di un percorso di diversificazione delle forme comunicative che le
imprese hanno ormai intrapreso e che le sta portando a sfruttare le potenzialità
di Internet. Tuttavia, almeno due sono gli aspetti a cui si deve prestare
attenzione. Innanzitutto in molti casi il sito si presenta ancora come una
semplice vetrina, che non sfrutta nessuna delle potenzialità avanzate della rete
(la possibilità di poter interagire direttamente con il mercato ed il consumatore,
offrire maggiori servizi informativi, sfruttare l’economicità del mezzo per
sviluppare relazioni con i diversi stakeholder) con limitate ricadute positive sulle
aziende. In secondo luogo, il sito web diventa un vero strumento comunicativo e
interattivo solamente se inserito nell’ambito di una strategia di investimento più
complessiva che da un lato porta a predisporre tutte le risorse aziendali, umane
prima di tutto, necessarie per la progettazione e organizzazione dei contenuti,
gli aggiornamenti, l’analisi dei dati, la pronta risposta alle richieste; dall’altro
prevede le misure per dare visibilità al sito stesso, attraverso un ulteriore sforzo
comunicativo organizzato a livello aziendale o territoriale.
Senza ombra di dubbio, le sfide competitive che le imprese sono chiamate ad
affrontare nel nuovo scenario globale richiedono che sia velocemente compiuto
un salto evolutivo passando ad un orientamento più complesso che consideri
come elemento fondamentale i sistemi di comunicazione, sia come leva di
marketing sia più in generale come strumento per la gestione e sviluppo delle
relazioni fra le diverse componenti dell’impresa e del distretto. Le imprese
hanno infatti saputo sviluppare quella del prodotto, hanno iniziato ad investire
sulla
distribuzione,
ma
devono
fare
ancora
molto
nel
campo
della
comunicazione. Si tratta di un aspetto cruciale, in quanto l’attuale debolezza
comunicativa rischia davvero di vanificare gli altri investimenti. Come affermato
nei capitoli precedenti, governare tali relazioni implica conoscere al meglio lo
153
scenario in cui si opera e, conseguentemente, indirizzare al meglio le proprie
strategie.
In questo un supporto importante può venire dalle tecnologie dell’informazione
e della comunicazione, che favoriscono l’interazione e la cooperazione tra i vari
attori del canale (impresa, distributore, consumatore) e più in generale del
sistema del valore; siano esse usate per sviluppare attività di co-design con il
consumatore o migliorare la qualità delle informazioni distribuite lungo i canali di
vendita, ovvero per dialogare direttamente con il mercato supportando le attività
svolte dal distributore o superando, nel caso di inerzia di quest’ultimo, la
strozzatura informativa del punto vendita.
Per effettuare tale salto l’impresa deve sviluppare competenze nuove, che si
differenziano e si specializzano rispetto alle più tradizionali abilità di tipo
commerciale.
4.3.3 Anno Domini 2000: progetti e sfide competitive del
Distretto del Mobile per il nuovo millennio
I primi anni del 2000 furono anni davvero difficili per tutto il sistema economico
italiano. Come per il resto delle imprese, fra il 2000 ed il 2002 anche i distretti si
sono ritrovati a fronteggiare una situazione di stagnazione economica che non
vedevano più da anni. La congiuntura è risultata particolarmente sfavorevole
per questa tipologia di imprese in quanto impreparata a fare fronte a molteplici,
contemporanei e rapidi mutamenti. Le imprese liventine in questi anni
subiscono forti contrazioni alle esportazioni e sono costrette a implementare
una fase di ripensamento complessivo della attività in termini più concorrenziali.
154
Come descritto in precedenza, i fattori su cui le imprese decidono di fare leva
per sostenere la competitività sono legati al prodotto, attraverso la
riorganizzazione della produzione, l’attenzione all’innovazione tecnologica, la
divisione del lavoro tra imprese, la capacità di sviluppare prodotti contraddistinti
da un buon rapporto qualità/prezzo e capaci di rispondere ai bisogni vari e
variabili dei consumatori.
Anche se le direttrici di sviluppo che puntano anche alla produzione di idee e
nuovi know how, nonché a settori del management storicamente trascurati
come la comunicazione sono ancora molto scarse, le organizzazioni operanti
nel distretto sembrano aver dato anche segnali della comprensione di una
necessaria svolta, che implichi maggiormente lo sviluppo di nuovi ambiti e
conoscenze.
I pionieri di questo nuovo corso sembrano essere in particolare le Associazioni
di Categoria che si dimostrano particolarmente volenterose nel raccogliere la
sfida del futuro. Vista la necessità di piena comprensione del nuovo mercato,
questi soggetti si impegnano in attività di ricerca e focalizzano la loro attenzione
alla formazione, esprimendo maggior interesse e volontà di collaborazione con i
centri responsabili dell’ educazione di tutti gli ordini e categorie.
In linea generale si comprende l’importanza di effettuare una operazione
congiunta fra più soggetti all’interno del distretto e di puntare allo sviluppo
coordinato verso obiettivi competitivi comuni. Solo lavorando insieme su più
fronti, cercando di aggregare le competenze di ciascuno e di convogliarle verso
dei progetti mirati di sviluppo, si è in grado di far fronte ai molteplici
cambiamenti della congiuntura.
Una importante ricerca condotta dalla Fondazione Nordest nel 200594 afferma
in particolare che le linee strategiche lungo le quali è necessario incamminarsi
per offrire un orizzonte allo sviluppo economico provinciale fanno leva sulle
peculiarità del territorio pordenonese (forte contatto con l’estero grazie ad un
buon export, grande importanza del settore manifatturiero e limitazione degli
effetti negativi della globalizzazione rispetto ad altri distretti) e tengono in
94
D. Marini, F. Ferraro (a cura di), Pordenone ieri, oggi, domani. Dinamiche della società e prospettive del
manifatturiero, Il Sole 24 Ore, Milano 2005.
155
considerazione
le
nuove
dinamiche
interne
della
società
(aumento
dell’immigrazione, invecchiamento della popolazione, stagnazione del mercato
del lavoro derivata da mancanza di manodopera specializzata). La soluzione
individuata è il “Modello CO.CO.PRO”: Coesione, Competitività, Promozione;
dove si ritengono fondamentali:
Una maggiore coesione e raccordo fra imprese e lavoro e fra sistema
produttivo ed istruzione.
Uno sforzo alla competitività internazionale che deve passare attraverso
un miglioramento delle infrastrutture reali, ma soprattutto, virtuali.
Una promozione dell’identità comune, che offra una rappresentazione di
sé più coerente con le proprie trasformazioni, in grado poi di rapportarsi
ad un conteso più ampio.
In questo quadro, la tutela ambientale e la volontà di gestire in maniera più
efficiente l’importante risorsa del territorio sembra essere un elemento che può
unire e combinare tutti questi punti. Non a caso quindi, la spinta alla ricerca di
soluzioni per il miglioramento competitivo ha portato all’ideazione di un progetto
che interviene proprio su questa variabile.
157
Capitolo 5
LA COMUNICAZIONE NEL DISTRETTO, AL
DISTRETTO, PER IL DISTRETTO
“Risolsi con la mia condotta futura di redimere il passato
e posso affermare onestamente che questa mia decisione fu fruttuosa
e recò un certo bene”
Dott. Henry Jekill
5.1
UN PROGETTO DI RIPRISTINO AMBIENTALE
5.1.1 L’ideazione e realizzazione del Progetto di Sviluppo EMAS
del Distretto
Come è stato dimostrato nel capitolo precedente, in questi ultimi anni le
organizzazioni e le associazioni sia pubbliche che private presenti nel Distretto
del Mobile Livenza hanno acquisito maggiore coscienza dell’importanza di
avviare strategie comuni per la gestione di alcune dinamiche economiche
158
contemporanee, caratterizzate da un livello di complessità molto elevato. Le
piccole imprese seppur molto vitali a livello operativo, riscontrano il bisogno di
comprendere e presidiare anche le sovrastrutture macroeconomiche di settore,
che possono portare le organizzazioni a stabilire nuove e competitive direttrici di
sviluppo. Le imprese del Distretto del Livenza avvertono sempre più l’esigenza
di presentarsi unite di fronte al mercato internazionale, di coordinare la
partecipazione alle manifestazioni e di evitare di promuoversi in ordine sparso.
Le amministrazioni pubbliche si muovono in direzione di scelte partecipate e di
processi decisionali inclusivi95.
E’ altresì vero che in questi anni il mondo accademico ha dato molta importanza
al bisogno di creazione di reti e di sinergie, per tutti i settori e le organizzazioni
pubbliche, private e non profit.
Uscire da una secolare tendenza alla chiusura e alla filosofia individualista che
caratterizza l’imprenditoria nordestina non né facile né veloce. Tuttavia ciò è
necessario e le spinte in questa direzione provengono da tutti versanti. A
ricoprire un ruolo da protagonista in questo processo sono senza dubbio le
imprese leader (che tendenzialmente sono maggiormente attente agli
orientamenti macroeconomici) e le associazioni di categoria, punto di
riferimento delle piccole imprese.
Negli anni passati sono stati fatti dei tentativi per rispondere in modo unitario a
specifiche problematiche. Ad esempio è stato costituito il Consorzio COMAD
che si occupa di garantire lo smaltimento delle acque reflue delle varie fasi della
lavorazione. Oppure il Consorzio Export, nato nel ’72 e attivo fino ai primi anni
’80, che doveva favorire i contatti tra le aziende associate (circa una trentina) e
gli operatori commerciali stranieri. Il Consorzio Export intendeva inoltre
promuovere l’immagine della zona con il marchio «L» (di Livenza). Infine nei
primi anni ‘90, l’Associazione Civiltà Altolivenza propose la costituzione del
marchio Alto Livenza che aveva come scopo la promozione della locale
produzione mobiliera. Ma si è sempre trattato di iniziative pionieristiche, con
scarsa collaborazione da parte delle associazioni e delle amministrazioni
pubbliche, unici attori in grado di attivare una rete di relazioni veramente
allargata, collegando a rete una molteplicità di soggetti.
95
L. Bobbio (a cura di), A più voci, Dipartimento della Funzione Pubblica, Edizioni Scientifiche Italiane,
Roma 2002.
159
Ciò che è fondamentale infatti è una sinergia che apporti risorse e una visione
di insieme veramente completa.
I primi passi verso questo modus operandi sono da identificarsi proprio nella
istituzione dei Distretti. Il Comitato di Distretto96 è composto da diverse tipologie
di attori (Sindaci dei Comuni territorialmente competenti, le Provincia/e, le
Camere di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura, nonché le
Associazioni imprenditoriali e le organizzazioni sindacali), con compiti di natura
fortemente coordinativa e programmatica, riassumibili principalmente nella
formulazione del Programma di Sviluppo. Se ciò potrebbe rappresentare un
passo importante verso il trasferimento dei poteri verso il basso, delegando una
istituzione che rappresenta il territorio a definire un programma basato su
specifiche esigenze espresse dai soggetti appartenenti all’area, dall’altro
accentra nella Giunta Regionale un potere decisionale che si esplica con
l’approvazione del Programma97.
Il BUR del 10 dicembre 2001 pubblica il Programma di Sviluppo del Distretto del
Mobile approvato per la prima volta per il triennio 2001/2003 e successivamente
riconfermato per il 2004/2006, fino all’avvenuta istituzione della Agenzia per lo
Sviluppo dei Distretto Industriale del Mobile. La scelta di fondo del Comitato che
diviene la base di tutta l’attività del Programma di Sviluppo è la tensione verso
la qualità ambientale. Il Programma è diviso in diversi interventi98, ma il focus
più significativo riguarda senza dubbio l’ambiente con le questioni intitolate ‘La
gestione ambientale del Distretto’ e ‘Smaltimento rifiuti’.
Il Programma infatti precisa che “promuovere ed attuare azioni di difesa
ambientale diventa sempre più imprescindibile per preparare una società che
sappia coniugare ambiente e sviluppo sociale ed economico, in modo durevole
ed accessibile per le generazioni future”. L’obiettivo che viene individuato è il
cosiddetto “miglioramento continuo” attraverso un processo che si origina dalla
definizione di una strategia ambientale comune, per poi attuarsi attraverso la
pianificazione, l’attuazione delle azioni, la verifica ed il riesame delle politiche
stesse.
96
Lg Reg FVG 27/99;
Tale impostazione è stata modificata con l’istitizione delle ASDI, ma come specificato nei precedenti
capitoli a tutt’oggi le parti sono ancora in fase di lenta costituzione del nuovo ente.
98
Rispettivamente, “Gestione ambientale del distretto”, “Smaltimento rifiuti”, “Innovazione e formazione”,
“Innovazione tecnologica”, “Progetto viabilità”, “Costruzione di un sistema operativo informatico
distrettuale”;
97
160
Il Programma poi dichiara che affinché l’azione di tutela possa concretizzarsi, è
necessario predisporre un progetto di analisi ambientale iniziale, che
rappresenta il punto di partenza, da svolgersi in modo corretto e tenendo conto
del contesto in cui si trova. Il percorso logico da adottare per giungere all’analisi
ambientale iniziale viene sintetizzato in:
identificazione aspetti ambientali;
identificazione impatti ambientali;
valutazione impatti ambientali;
azioni conseguenti.
Il Programma ipotizza che il coordinamento del progetto può essere demandato
ad un «Comitato d’Indirizzo» presieduto dalla Provincia, a cui partecipano i
soggetti pubblici e privati. Tale Progetto viene diviso in due parti: nella prima
fase le imprese implementano l’Analisi Ambientale Iniziale, finalizzata alla
individuazione degli obiettivi di miglioramento, con la definizione del progetto
per il perseguimento di tali obiettivi. La seconda fase del percorso delineato è
strettamente legata alla definizione degli strumenti e delle azioni necessarie al
perseguimento dei miglioramento. Si può notare che senza aver individuato in
EMAS un possibile strumento per conseguire una migliore gestione ambientale,
l’impianto concettuale individuato per questo specifico obiettivo di Programma si
dirige verso quello schema.
Per quanto riguarda lo smaltimento dei rifiuti, la questione viene riconosciuta
come “uno dei problemi maggiori che la realtà industriale, i cui oneri, in virtù di
una legislazione sempre più severa e cautelativa, pesano in maniera
consistente nel bilancio aziendale”. Il Programma ammette che nel territorio le
imprese producano grossi quantitativi di rifiuti che vengono prevalentemente
gettati in discarica, con tutti i costi ed il grave impatto ambientale che ne
comporta.
Il Programma individua le seguenti soluzioni:
Un idoneo impianto di adeguata capacità a combustione controllata per
la produzione in cogenerazione di energia elettrica e termica;
Un intervento per la depurazione delle acque residuali da lavorazione
che valga per l’intero comparto industriale del distretto;
La creazione di un «Office Information» deputato alla raccolta,
distribuzione e consulenza di primo livello di norme, leggi, circolari ed
161
obblighi inerenti la tematica ambientale, patrocinando in tal modo il
corretto svolgersi dell’attività produttiva delle aziende del comparto
mobili-arredamento.
Il Programma precisa che questo progetto complessivo, molto impegnativo per i
soggetti coinvolti, è sintomo di un cambiamento culturale e gestionale da parte
delle imprese, in quanto obbliga a perseguire obiettivi di efficacia nella gestione
e nell’implementazione dei processi produttivi. Tale progetto si rivela molto utile
anche
al
miglioramento
delle
prestazioni
ambientali
della
Pubblica
Amministrazione, in quanto dovranno essere colte quelle opportunità di dialogo
e trasparenza che il sistema legislativo (formato da innumerevoli norme) rende
più spesso di carattere repressivo anziché preventivo.
Finalmente c’è consapevolezza ed intenzione di intervento analitico. Tutto ciò
scaturisce dalla volontà degli attori economici e delle pubbliche amministrazioni
di proteggere l’ambiente favorendo lo sviluppo ed il ripristino di un contesto
particolare e di pregio, che costituisce una ricchezza troppo spesso data per
scontata. Il territorio ed in particolare il fiume Livenza, sono stati da sempre una
risorsa fondamentale che nel corso di questo secolo di sviluppo sono stati
sottoposti a notevoli pressioni urbanistiche. Tali incidenze negative si sono
palesate con frequenti alluvioni e piene, dalle conseguenze gravi anche per le
attività produttive. Questi segnali hanno indotto tutti ad una riflessione generale
e si è compresa l’urgenza di correre ai ripari, ripesando con nuovi mezzi a tutta
la politica ambientale degli ultimi decenni, caratterizzata da uno sviluppo
urbanistico incontrollato e poco razionale, che ha fatto proliferare i capannoni
vicino alle case ed ha sprecato risorse energetiche.
La tutela ambientale oltre che doverosa diventa quindi necessaria, completando
di un nuovo tassello l’insieme delle strategie di rilancio dei distretti produttivi.
Nasce così la sfida ambientale del distretto liventino, che per essere attuata nel
modo più efficiente possibile, vede la costituzione dal parte del Comitato (come
definito nel Programma) di una nuova organizzazione con personalità giuridica,
dinamica e snella, in grado di tradurre tutte queste spinte in progetti concreti e
di creare nuove prospettive di sviluppo, nonché contemporaneamente dare
visibilità a tutto il distretto, valorizzando l’immagine, la coscienza e l’unicità della
storia del territorio e delle imprese che vi appartengono.
162
In data 19 novembre 2001 viene istituito dal Comitato di Distretto il Consorzio
del Mobile Livenza. Il Consorzio non ha finalità di lucro e svolge la sua attività
per la promozione dello sviluppo economico, sociale e culturale del Distretto del
Mobile Livenza. In particolare, il Consorzio si prefigge di:
promuovere la conoscenza del prodotto e valorizzare l’immagine delle
imprese e del territorio in cui esse operano nei confronti dei mercati
nazionali ed esteri anche attraverso una costante azione divulgativa
incentrata sulle moderne tecnologie di comunicazione;
predisporre studi e ricerche di mercato al fine di favorire un consistente e
qualificato flusso di incontri tra l’imprenditoria consorziata e partner
commerciali per l’incremento di esportazioni;
promuovere iniziative per l’addestramento, la formazione, la creazione, di
figure professionali atte a garantire lo sviluppo di una moderna cultura
d’impresa sul territorio;
favorire la diffusione di interventi mirati alla salvaguardia dell’ambiente
attraverso azioni e strutture in grado di utilizzare energie rinnovabili;
realizzare, promuovere e favorire tutti quei servizi ritenuti utili e necessari
al perseguimento degli obiettivi consortili e degli interessi economici e
sociali dei consorziati99.
Il Consorzio si configura pertanto come il braccio operativo del Distretto del
Mobile del Livenza e vi possono aderire i componenti del Comitato del Distretto,
99
Art. 3 dello Statuto del Consorzio del Mobile Livenza.
163
oltre ad aziende operanti nel settore della produzione, dei servizi e
commercializzazione del legno, del mobile, dell’arredamento in genere, altri
Enti, Associazioni ed Istituti pubblici o privati che per l’attività svolta e
l’esperienza acquisita, possano contribuire alla più proficua realizzazione degli
scopi del Consorzio.
Per la prima volta un mondo imprenditoriale abituato ad operare in modo
autonomo si aggrega intorno ad un programma comune.
Il 22 marzo 2002 il Consorzio del Mobile Livenza presenta ufficialmente il brand
destinato a promuoverne l’immagine in tutto il mondo. Al teatro Pileo di Parta di
Pordenone davanti ad una numerosa platea di imprenditori locali viene svelato il
marchio disegnato d’art director Carlo Spoldi per l’agenzia di comunicazione
Uoma. Il logo che il Distretto del mobile del Livenza ha scelto per lasciare il
segno nella storia e nella comunicazione è una matita.
Apparentemente è una semplice matita artigianale in legno con la mina blu e la
denominazione incisa nel fusto. Anche se molto semplice, in questo oggetto sono
racchiusi la storia, la tradizione ed il futuro del distretto. Dalla matita inizia tutto il
processo produttivo che fa nascere i mobili: un progetto comincia sempre da una matita
e da un foglio di carta.
Così hanno fatto i grandi maestri dell’arte, così accade ancora oggi ed accadrà domani,
perché il futuro è nel design, in quel valore aggiunto di fantasia e di genialità che da
sempre i mobilieri del Livenza trasmettono ai loro prodotti per renderli unici. Il legno
della matita rimanda alla materia prima con cui sono costruititi i mobili. Perciò non è
stata raffigurata una comune matita in legno chiaro, bensì di una tonalità più calda,
significativo di una qualità superiore, in modo da sottolineare l’artigianalità, l’attenzione
ai materiali e la cura nella produzione, adottate dalla aziende liventine. Anche il font
usato per la denominazione “Distretto del Mobile Livenza” segue questa logica e
sembra più un intarsio che un marchio impresso a caldo. La mina della matita è
insolitamente blu. E’ il colore dell’acqua del Livenza, il fiume a cavallo del quale si è
sviluppato il miracolo del mobile.
All’estremo opposto della punta la matita è forata e ricompare l’azzurro, proprio a
simboleggiare l’acqua che entra, esce e vivifica il territorio del Livenza. Ma da quel blu
parte anche una associazione mentale che conduce alla tradizione della vicina Venezia,
città costruita sull’acqua, al mare Adriatico e alla vocazione internazionale del distretto,
fino al mare delle idee, vero patrimonio delle aziende del Livenza. Nella scelta del
simbolo è stata data massima attenzione alla creazione di un emblema universale. Un
segno riconoscibile non solo nel contesto culturale, italiano od occidentale, ma
100
comprensibile e positivo anche per le altre culture .
A questo punto non resta che mettersi al lavoro, cercando di individuare quale
possa essere lo strumento da adottare per svolgere al meglio questa importante
missione di miglioramento delle condizioni ambientali territoriali.
100
M Bortolin, Aspetti economici del distretto, in B. Lucchetta (a cura di), Distretto del Mobile Livenza.
Origine, sviluppo e aspetti produttivi, Distretto del Mobile Livenza 2003, Stampato in proprio.
164
Il 2002 è l’Anno della Qualità Ambientale ed Unindustria si impegna in un
Progetto denominato Ecoimpresa che, con la collaborazione del Ministero per
l’Ambiente, si prefigge di diffondere la cultura e l’importanza dello strumento
delle certificazioni ambientali, al fine di incentivarne l’adozione prima e di far
conseguire dei vantaggi economici di tipo fiscale e di finanziamento alle
imprese che ne entrano in possesso.
Il Consorzio individua nella certificazione ambientale EMAS un efficace mezzo
per poter raggiungere gli scopi generali prefissati, e il Comitato in data
12.07.2002 con la Delibera nr.8 dichiara di voler avviare un percorso finalizzato
all’ottenimento di tale registrazione. Il COMAD, finanziato dalla Regione FVG,
commissiona uno studio di fattibilità alla società di consulenza IGEAM.
IGEAM presenta il 16 maggio 2003 un dossier intitolato: “Studio di fattibilità per
la registrazione EMAS dell’organizzazione ‘Distretto del Mobile Livenza’ e
promozione di EMAS nel territorio del Distretto” nel quale si specifica le
modalità operative attraverso le quali è possibile raggiungere al meglio questo
traguardo.
A questo punto, il Consorzio sottopone al Comitato di Distretto tale studio.
Quest’ultimo, dopo aver espresso parere positivo, in data 7.06.2004 sottoscrive
un Accordo di Programma con il Ministero dell’Ambiente e della tutela del
Territorio, la Regione Friuli Venezia Giulia, la Provincia di Pordenone, la
Camera di Commercio di Pordenone, l’Unione degli Industriali di Pordenone, il
Consorzio del Mobile e COMAD. Tale accordo prevede la realizzazione delle
seguenti operazioni:
La registrazione EMAS dell’organizzazione Distretto del Mobile;
La registrazione di 10 aziende campione appartenenti al Distretto del
Mobile, che potranno predisporre una documentazione più semplificata in
quanto potranno usufruire dello schema messo a disposizione dal
Distretto e già approvato e registrato EMAS nella fase precedente;
La registrazione di un Comune Campione del Distretto;
La redazione di Linee Guida per la semplificazione alla successiva
adesione di EMAS delle aziende e dei Comuni del Distretto;
165
La realizzazione di un modello per un Sistema di Gestione Ambientale
orientato al Prodotto del Mobile (POEMS);
L’accordo fra le parti sottolinea in particolare la complessità dell’azione, che è
condotta in via sperimentale, in quanto potrà generare positivi riflessi e spunti
anche per gli altri sistemi distrettuali italiani. Il Ministero dell’Ambiente si dichiara
“parte attiva dell’ipotesi progettuale, affiancando i soggetti promotori ed offrendo
promozione, indirizzo e supervisione”.
Il Consorzio, che viene individuato come l’ente coordinatore di tutto il Progetto,
a questo punto si mette al lavoro, ideando uno specifico programma esecutivo
di sviluppo ambientale, che viene presentato ed approvato in data 01.10.2004
con il titolo: “Sviluppo sostenibile del sistema produttivo del Mobile”. Il
programma descrive le fasi attuative del progetto in maniera precisa, indicando
anche le competenze di ciascun soggetto e le risorse finanziarie.
Per raggiungere i traguardi dell’Accordo vengono predisposte cinque macro
fasi, che si scompongono poi in singole azioni. In particolare:
Fase 0-Gestione del Progetto, che prevede l’azione di Creazione di un
comitato di gestione e coordinamento (CGC) con compiti di promozione,
indirizzo e di supervisione delle varie fasi, che si riunisce trimestralmente
e verifica e l’azione di creazione dell’ufficio Coordinamento del Progetto
(GdL)101.
Fase 1- Sensibilizzazione ed informazione ambientale, che prevede una
azione di comunicazione ai soggetti del distretto per favorire l’attuazione
delle fasi dell’Analisi Ambientale e una azione di creazione e gestione di
un forum virtuale.
Fase 3- Effettuazione dell’Analisi del contesto territoriale, prevedendo sei
azioni: analisi del conteso territoriale, analisi delle attività produttive del
distretto,
inquadramento
amministrativo-gestionale,
inquadramento
sociale, identificazione degli aspetti ambientali significativi e redazione
del documento di analisi.
101
Il Comitato di Gestione e coordinamento del Progetto EMAS è presieduto dalla Provincia di Pordenone
e composto dal Ministero dell’Ambiente, Regione Autonoma FVG, Comitato del Distretto del Mobile,
Unione degli Industriali e Associazioni Sindacali. Il Gruppo di Lavoro è la risorsa maggiormente impegnata
nell’attuazione del progetto ed è composto da un responsabile del progetto, un coordinatore locale e i
Responsabili di Fase che hanno competenze specifiche in funzione della fase di progetto che deve essere
svolta, che garantiscono lo sviluppo coordinato del progetto e partecipano all’ Ufficio di Coordinamento
Progetto (UCP) presieduto dal Responsabile di Progetto.
166
Fase 3- Redazione del Programma ambientale territoriale attraverso una
singola azione di redazione, verifica ed approvazione del Programma.
Fase 4- Registrazione dell’organizzazione “Distretto del Mobile” con una
serie
di
otto
azioni,
ovvero:
Definizione
della
struttura
dell’Organizzazione e rappresentatività, Progettazione ed elaborazione
della documentazione del Sistema di Gestione Ambientale, Attuazione
del SGA, Verifica ispettiva interna e riesame della Direzione,
Elaborazione della Dichiarazione Ambientale, Richiesta di Registrazione
e Rilascio dell’attestato EMAS da parte del Comitato Ecolabel ed
Ecoaudit.
Fase 5 – Promozione sul territorio, con le azioni di registrazione EMAS
delle aziende e del Comune campione.
La durata complessiva prevista per il raggiungimento degli obiettivi è di due
anni, ma c’è da sottolineare che tale programma esecutivo rappresenta uno
scheletro che può subire modificazioni in itinere soprattutto per la variabile
temporale, così come accade l’8 marzo 2005, quando, in seguito alla
conclusione della fase di divulgazione e sensibilizzazione, altri due Comuni
chiedono di poter partecipare al progetto.
L’approvazione di questo programma esecutivo rappresenta l’avvio effettivo del
progetto, che vede coinvolti nell’ottenimento della registrazione in definitiva:
Il Consorzio del Mobile in qualità di ente promotore per conto del
Distretto del Mobile,
I tre comuni di Brugnera, Pasiano di Pordenone e Prata di Pordenone.
Le aziende:
ACOP srl;
COPAT srl;
DELLA VALENTINA OFFICE spa;
MARTEX spa;
MEETING srl;
PRESOTTO INDUSTRIE srl;
SANTAROSSA MARINO & C. sas;
MERCURY ARREDAMENTI spa;
CMC srl;
TEMPOR spa;
167
P.M.T. srl;
In data 06.07.2006 il Consorzio del Mobile Livenza viene registrato EMAS in
qualità di Soggetto promotore dell’Ambito Produttivo Omogeneo del Distretto
del Mobile Livenza, perchè ha effettuato attività di promozione e diffusione di
EMAS e ha creato le sinergie necessarie sia per l’adesione delle aziende allo
schema del Regolamento sia per il miglioramento ambientale dell’Ambito
Produttivo Omogeneo nel suo complesso.
Con questa attestazione si conclude il Progetto fino alla fase 4. Altrettanto
essenziale è raggiungere la registrazione delle tre amministrazioni comunali e
delle dieci aziende, che avverrà nel corso del 2007.
Senza dubbio, la strada è stata tracciata ed ora non resta che percorrerla in
maniera congiunta, con una tensione ed una volontà di miglioramento continuo,
possibile e auspicabile anche grazie ad una attività coordinata di relazioni fra
tutti i soggetti coinvolti.
168
5.1.2 Il ruolo della comunicazione nel Progetto EMAS del
Distretto del Mobile Livenza
Il Progetto sopra descritto rappresenta un caso pilota nel panorama italiano e le
osservazioni che sono e che verranno effettuate nell’attuazione di tutte le fasi
costituiranno materiale sulla base del quale l’Unione Europea rivedrà e
modificherà il Regolamento di EMAS.
La complessità dell’insieme è data sopratutto dal numero degli attori, che vanno
coordinati ed aggiornati costantemente. La comunicazione si caratterizza per
avere un ruolo chiave, in particolare perché, come sottolineato nei precedenti
capitoli, funge contemporaneamente da ‘gestore’ e ‘amplificatore’ delle azioni e
delle pratiche ambientali da seguire. Il ruolo di gestore consiste nel prendere in
considerazione tutte le informazioni e le variabili provenienti dagli altri soggetti
esterni all’organizzazione (nei modi descritti dalla ISO 14063) mentre il ruolo di
amplificatore si esplicita nel momento in cui la comunicazione (attraverso i suoi
strumenti ed attività) aiuta a raggiungere uno o più obiettivi ambientali
perseguiti. A livello comunicativo ciascun partecipante al progetto deve avere
un preciso ruolo ed operare in modo che non si verifichino replicazioni fra i
flussi di informazioni, ma anzi, è preferibile attuare azioni comuni, in grado di
ottimizzare le risorse e di produrre valore per più soggetti.
Questa capacità di gestione delle relazioni non è affatto scontata ed è
necessario che vi sia una riflessione sulle modalità di realizzazione all’interno di
ciascuna organizzazione.
Nei paragrafi seguenti sarà analizzata l’organizzazione della attività di
comunicazione di tre soggetti che hanno aderito al Progetto del Distretto del
Mobile Livenza. Tali entità diverse fra loro, rappresentano i tre principali attori di
tutto il sistema, in quanto le loro dinamiche gestionali (e quindi) comunicative
inglobano una ampia quantità di soggetti. Essi sono:
Il Consorzio del Mobile Livenza in quanto soggetto promotore del
Progetto di Registrazione ambientale EMAS;
Il Comune di Pasiano di Pordenone, in quanto prima amministrazione
locale ad aver aderito al Progetto di Registrazione Ambientale EMAS;
169
L’azienda ACOP, in quanto unica impresa localizzata nel territorio del
Comune di Pasiano ad aver aderito al Progetto di Registrazione
Ambientale EMAS;
Per ciascun soggetto nei paragrafi seguenti, saranno analizzate:
la struttura, le caratteristiche, le finalità e gli strumenti della attività di
comunicazione presente in ciascuna organizzazione;
gli obiettivi che la comunicazione attivata intende raggiungere;
le attività previste per il raggiungimento di tali obiettivi;
Per fare ciò ci si è avvalsi della documentazione EMAS disponibile per ciascuno
dei soggetti, ovvero:
Il Manuale di Gestione Ambientale
Il Piano di Comunicazione, che scaturisce dalla somma delle azioni di
comunicazione individuate negli obiettivi ambientali da raggiungere. Più
precisamente, nel documento denominato ‘Obiettivi e Programma
ambientale’ vengono elencati i traguardi di carattere ambientale che
l’organizzazione si prefigge di ottenere. Tali obiettivi sono suddivisi per
azioni, fra le quali può essere prevista anche una attività di
comunicazione. La somma delle azioni di comunicazione individuate è
riassunta nel ‘Piano di Comunicazione’, che viene integrato poi con la
descrizione degli strumenti a disposizione.
Eventuali registri delle procedure di comunicazione interna o esterna
170
5.2
SISTEMI DI COMUNICAZIONE A CONFRONTO
5.2.1 Il Consorzio del Mobile Livenza
Il Consorzio è già stato descritto nel paragrafo 5.1, ma si precisa che con
l’introduzione
delle
ASDI
molto
probabilmente
tale
soggetto
verrà
automaticamente inglobato da quest’ultimo, in quanto ne rappresenta
l’evoluzione naturale.
5.2.1.1
Struttura, caratteristiche, finalità e strumenti della attività di
comunicazione
La comunicazione del Progetto è interamente affidata al Consorzio del Mobile,
che si avvale della collaborazione e del patrocinio della Provincia e dell’Unione
Industriali di Pordenone per quanto riguarda l’organizzazione di eventi rilevanti,
ma non viene mai affidata ad agenzie esterne. L’obiettivo centrale di questo
biennio è stato il conseguimento della certificazione ambientale e la
comunicazione effettuata è stata complessivamente una attività di reporting con
incontri sullo stato di attuazione della Registrazione Ambientale, che ha
coinvolto principalmente i partecipanti al progetto. Le riunioni di tipo tecnico (fra
il Gruppo di Lavoro) si distinguevano dalle riunioni di tipo consuntivo del
Comitato di Gestione e Coordinamento.
Sopratutto per la diversa tipologia di compiti, le prime fra le riunioni citate hanno
avuto cadenza più costante e regolare, spesso di tipo non plenario. Le seconde
riunioni invece sono avvenute in quattro date102 ed ogni volta è stato prodotto
un documento denominato “Stato di Avanzamento”, che si presentava
costantemente con il seguente schema:
Breve descrizione della registrazione ambientale EMAS
Breve descrizione delle tappe principali che hanno portato all’avvio del
Progetto nel Distretto del Mobile Livenza (16 maggio 2003, 7 giugno
2004, 10 ottobre 2004);
Fasi del Progetto, elenco partecipanti, ed esplicazione del ruolo di
coordinatore che è effettuato dal Consorzio;
102
Composizione Comitato Gestione e Coordinamento e date delle riunioni.
Precisamente, 8 marzo 2005, 30 giugno 2005; 18 ottobre 2005, 7
171
Descrizione delle azioni intraprese nei periodi intercorsi fra uno stato di
avanzamento e l’altro.
Il linguaggio utilizzato è di tipo tecnico, con una costruzione morfologica che
predilige la struttura coordinativa predicativa.
Lo Stato di Avanzamento veniva distribuito ai partecipanti, pubblicato nel sito
web del Distretto e trasmesso ai quotidiani locali in allegato a brevi comunicati
stampa.
Il coinvolgimento dei cittadini e del mondo imprenditoriale allargato all’intero
Distretto è stato realizzato in due occasioni importanti per mezzo di tre
convegni. Il primo di questi, è stato effettuato in data 11 dicembre 2004 al
Teatro Pileo di Prata di Pordenone ed è la Presentazione Ufficiale del Progetto
e si prefiggeva di “informare le varie componenti sociali ed economiche del
Distretto sui contenuti e sugli obiettivi103”.
Il secondo incontro si è svolto in data 23.11.2005 presso alla sala convegni
della Provincia di Pordenone con il titolo “Il Distretto del Mobile verso la
Registrazione Ambientale EMAS”; ed aveva lo scopo di aggiornamento
pubblico sullo stato di avanzamento del progetto. Il convegno ha visto la
partecipazione dell’allora Ministro dell’Ambiente Altero Matteoli, nonché del
Presidente del Comitato Ecolabel-Ecoaudit Pino Lucchesi. Il terzo convegno
invece spostava l’attenzione da EMAS alla necessita dello sviluppo coordinato
e reticolare con il titolo: “Governance e sviluppo locale: il Distretto del Mobile”.
Con l’occasione è stata presentata la ricerca svolta dal Professore Roberto
Grandinetti dell’Università degli Studi di Padova per conto della CCIAA
Pordenone ed Unindustria relativo alla diffusione ed alle tipologie di tecnologie
dell’informazione e della comunicazione (ITC) utilizzate dalle industrie e dalle
imprese artigiane pordenonesi e si è introdotto ufficialmente la questione del
necessario allargamento legislativo al Veneto, in quanto l’area liventina è da
considerarsi
un
unicum
economicamente
omogeneo.
La
provincia
di
Pordenone, con la costituenda ASDI, si candida a “ruolo di ente che deve fare
da cerniera tra due realtà molto vicine, perché molti imprenditori del trevigiano
103
Stato di avanzamento nr. 1 in data 8.03.2005;
172
hanno trovato spazio nella nostra Provincia, ma anche molti pordenonesi hanno
aziende nel vicino Veneto”104.
In tutte le occasioni la presenza dei cittadini non è risultata molto alta, ma si è
registrata invece una buona attenzione da parte del mondo economico ed
imprenditoriale. Ciò è stato molto importante soprattutto nella terza occasione,
nella quale si sono offerti spunti teorici molto innovativi soprattutto nella tavola
rotonda finale, in cui il Professor Grandinetti ha rimarcato l’importanza
fondamentale del “fare rete e sistema” per tutti i distretti.
Sempre allo scopo di favorire la promozione e la conoscenza del progetto
EMAS non è mancata la produzione di brochure e volantini che sono stati
distribuiti ai comuni del Distretto secondo un Piano definito in accordo con la
Provincia.
Per quanto riguarda invece il coinvolgimento attivo e l’ascolto dei cittadini, è
stato avviato un forum virtuale all’interno del sito internet del Distretto105. Tale
forum è intitolato: “Ambiente: quale significato ha per il territorio del distretto in
cui vivi?”. Con le stesse finalità è stato ideato un questionario di valutazione
della percezione dello Stato ambientale per i cittadini, che è stato somministrato
attraverso interviste dirette e tramite l’accesso al sito internet del Distretto.
La complessità e la molteplicità dei soggetti che partecipano al Progetto è
indiscussa quindi lo strumento di comunicazione maggiormente impiegato è
quello multimediale. Il sito del Distretto è lo spazio nel quale il Consorzio
pubblica e diffonde notizie, documenti e Piani con aggiornamenti a cadenza
mediamente bimestrale. Sono previste poche tipologie di interazione: il forum
predisposto non è molto attivo e non è previsto l’invio di newsletter.
Con il conseguimento dell’Attestato di promozione Ambientale EMAS il
Consorzio non ha concluso il Progetto (manca infatti la fase numero 5) ma
passa ad uno stadio in cui i suoi compiti e scopi principali diventano
maggiormente comunicativi, in particolare deve:
promuovere
la
tutela
ambientale
con
l’avvio
del
processo
di
Registrazione EMAS da parte di nuove organizzazioni ed imprese;
pubblicizzare e diffondere le caratteristiche del sistema produttivo del
Distretto del Mobile.
104
Elio De Anna, intervento al Convegno Governance e Sviluppo Locale: il Distretto del Mobile,
Pordenone 3 febbraio 2006;
105
Stato di avanzamento nr. 3 in data 18.10.2005;
173
Far conoscere le attività dell’organizzazione ‘Consorzio del Mobile
Livenza’;
Per fare ciò è stato prodotto un Piano di Comunicazione che verrà analizzato
nel seguente paragrafo.
5.2.1.2
Future attività di comunicazione
Il Piano di Comunicazione è composto di tre parti:
Prima: obiettivi comunicativi, target di riferimento e strategia individuata.
Seconda: descrizione della strategia con la descrizione delle iniziative
individuate;
Terza: ripartizione del budget per ciascuna iniziativa.
Come precedentemente accennato, il piano individua come obiettivi di
comunicazione:
La diffusione della notorietà, immagine, valore ed attività del Distretto;
Far aderire quante più aziende possibili al Distretto ed al progetto EMAS;
Informare e coinvolgere il territorio, le istituzioni e gli opinion leader;
Il Piano distingue tra diversi target di riferimento ai quali indirizzare l’attività di
comunicazione, ovvero:
Aziende;
Territorio ed opinione pubblica in generale;;
Stakeholders;
Il piano usa la metafora del tempio per descrivere l’impianto strategico adottato.
Alla base infatti troviamo tre iniziative di comunicazione, ciascuna delle quali
sorregge due o più azioni di comunicazione. Come architrave-requisito di fondo
è posto il coordinamento e l’organizzazione delle iniziative. Il timpano del
tempio contiene il risultato finale del raggiungimento degli obiettivi e della più
generale affermazione degli obiettivi.
Le iniziative di comunicazione individuate sono:
Eventi, Media Relation e Relazioni Pubbliche in generale;
Pubblicità;
Internet;
Tali elementi rappresentano la base sulle quali si implementano azioni di
comunicazione diverse, in particolare:
174
Per le relazioni pubbliche si individuano azioni di:
Eventi-iniziative;
Media Relation suddivise a loro volta in:
o Attività di ufficio stampa;
o Piano integrato delle Attività di Ufficio Stampa;
Newsletter;
Per la pubblicità si individuano azioni di:
Campagna pubblicitaria locale;
Brochures;
Merchandising-fiere;
Per internet invece si individuano azioni sequenziali di:
Implementazione - miglioramento del sito del Distretto;
Creazione di Database;
Direct E-mail marketing;
Ufficio stampa e PR on line,
Ciascuna azione poi viene sinteticamente descritta all’interno della sua sezione.
Per quanto riguarda gli eventi, essi si prefiggono di coinvolgere e favorire la
partecipazione al Distretto e ad EMAS le Amministrazioni e la popolazione
residente negli 11 Comuni nonché costruire elementi di notizia a valore
aggiunto che consentano di accedere alla stampa locale e a riviste di settore
nazionale. Il Piano elenca due iniziative possibili:
Il Concorso “La natura premia”, indirizzato alle scuole del territorio, con il
coinvolgimento di Provveditorato agli studi, WWF, Associazioni giovanili
varie per la promozione di uno studio o ricerca di compatibilità con la
premiazione in merchandising legato alla natura (zainetti, binocoli, etc.)
dei migliori lavori.
La giornata delle fabbriche aperte rivolto agli alunni delle scuole
elementari e medie dove l’attenzione sarà focalizzata al rapporto
azienda-persona-ambiente.
L’azione di media relation intende creare in maniera stabile ed organizzata
l’attività di ufficio stampa, in grado di garantire la massima visibilità agli eventi
promossi ed alle attività. Nella prima sub-attitivà vengono individuati due settori
175
(denominati fronti) su cui concentrare gli sforzi, ovvero l’off line (quotidiani, radio
e TV locali, interviste, stampa di settore, stampa specializzata, trasmissioni
telematiche) e on line o web (portali di settore ambientale, news sul sito internet
del Distretto e news sui siti delle aziende aderenti). La seconda azione prevede
la realizzazione e l’esecuzione di un Piano integrato delle Attività di Ufficio
Stampa, ovvero elenca tutte le attività da implementare nell’Ufficio Stampa:
Per l’off line sono previste azioni di elaborazione mailing list, cartelle
stampa, ed archivio fotografico, redazione e diffusione comunicati,
monitoraggio dei piani editoriali, organizzazione di educational per
giornalisti e opinion leader, organizzazione del supporto agli eventi ed alle
attività fieristiche, gestione di flussi di comunicazione one to one ed infine
rassegna stampa periodica.
Per l’on line sono previste azioni di predisposizione mailing list, gestione
delle news in rete, rassegna on-line, attività mirate di mailing e media
evaluation.
Per quanto riguarda l’azione di newsletter, il Piano indica che è necessaria
l’introduzione di questo importante strumento nel sito del Distretto, che deve
essere distribuito alle aziende che operano nel territorio con invito di diffusione
La campagna pubblicitaria coinvolge la stampa e tv locali allo scopo di far
conoscere ad aziende, stakeholders e popolazione il Distretto del Mobile e le
sue attività, nonché di far acquisire notorietà alla certificazione EMAS ed agli
eventi previsti. Inoltre si suggerisce di impiegare cartellonistica stradale
stanziale che indichi il territorio del distretto del Mobile Livenza, al fine di
conferire una ‘sensazione fisica’ del territorio a chi accede o transita con l’auto
in quest’area.
Le brochures intendono integrare ed estendere la pubblicità del Distretto e ne
vengono prospettate di due tipologie:
Tipo istituzionale: più complete e dettagliate su area, imprese, filosofia,
obiettivi.
176
Tipo divulgativo: che viene definito come “un ricco biglietto da visita” più
riassuntivo delle informazioni previste i precedenza da usare in fiere e
manifestazioni.
Il merchandising viene ritenuta una valida azione che aiuta la valorizzazione del
marchio e la diffusione di informazioni, da attuarsi in collaborazione delle
aziende aderenti al Progetto EMAS che partecipano a Fiere di carattere
nazionale ed internazionale, in quanto i costi di uno stand fieristico in proprio del
Distretto sono proibitivi.
Per quanto riguarda l’azione di miglioramento del sito, si prevede la
realizzazione di Event Site per le iniziative che verranno programmate, nonché
la attivazione di un forum in cu è possibile chattare su argomenti ambientali da
parte di specifiche tipologie di soggetti come i rivenditori e altri produttori di
mobili italiani e non.
Successivamente, l’azione di creazione del database prevede la catalogazione
di diversi stakeholder e del sistema di distribuzione dei mobili in Italia. Queste
operazioni sono finalizzate al conseguimento e presidio finale di modalità di
comunicazione propria, diretta, e a basso costo verso i rivenditori, che
conferirebbe al Distretto una prerogativa di informazione e di rispetto da parte
delle aziende produttrici che aderiscono al Distretto.
L’azione di direct e-mailing marketing vuole stabilire “un dialogo/rapporto con la
filiera della distribuzione verso la quale conferire valore alle iniziative avviate nei
confronti di questo target e conseguire un valore aggiunto alle aziende che
aderiscono al Distretto” con lo scopo prioritario di marcare il focus alla
responsabilità sociale delle aziende del Distretto.
L’azione di Ufficio Stampa e PR on line prevede la predisposizione delle testate
on-line, dei portali internet e dei relativi indirizzi, la successiva creazione e
diffusione di comunicati stampa tramite e-mail presso opinion leader e a luoghi
di discussione on line come riviste, portali di settore, gruppi di discussione,
newsletter. Tale azione include anche la gestione e l’invio della newsletter
177
consortile, nonché l’aggiornamento periodico dei contenuti del sito e delle news
che devono essere inviate anche alle aziende partecipanti.
5.2.1.3
Osservazioni
Le azioni di comunicazione intraprese e programmate dal Consorzio del Mobile
Livenza si predispongono a molteplici considerazioni.
Prima della consegna dell’ Attestazione EMAS al Consorzio del Mobile Livenza,
si può affermare che l’attività di comunicazione era incentrata principalmente
sulla gestione degli avanzamenti ed all’aggiornamento dei partecipanti al
Progetto medesimo attraverso le riunioni. Pur osservando l’effettuazione di
comunicazione ad un’opinione pubblica più generale con l’organizzazione di
attività di diffusione dei contenuti del Progetto EMAS, nel complesso è possibile
essere più efficaci. Le iniziative congressuali sono state importanti, ma
indubbiamente c’era la possibilità di riscontrare un più ampio successo di
pubblico e una maggiore rilevanza a livello mediatico106, soprattutto nella fase
precedente all’evento, che notoriamente crea interesse ed attira pubblico. Ciò è
dato dal fatto che la promozione delle tre iniziative è avvenuta in misura
maggiore fra gli addetti ai lavori e fra gli iscritti alle associazioni di categoria
partecipanti, facendo poco leva sulla cittadinanza. Nel corso dei convegni sono
stati registrati i partecipanti (nome, cognome, indirizzo e-mail ed eventuale
organizzazione di appartenenza), ma non risulta l’impiego di tali dati per
comunicazioni successive (news, comunicati stampa etc.), che invece
costituiscono una prima e preziosa base di stakeholder consapevoli ed
interessati all’avvio di un dialogo.
La migliore soluzione informativa e divulgativa degli eventi poteva essere una
attività di ufficio stampa più organizzata, che avesse predisposto strumenti ad
hoc (cartelle stampa, archivio foto, database contatti stampa etc.) utilizzabili
anche in un secondo momento ed in altre occasioni.
Il rapporto con la stampa risulta un anello debole della catena della
comunicazione di natura ambientale consorziale, dimostrato anche dalla scarsa
attenzione ricevuta successivamente all’invio dei diversi Stati di Avanzamento.
Il comunicato infatti risultava molto breve, con rimando quasi immediato al
106
Da rassegna stampa condotta, sono stati individuati articoli solamente a livello locale ed una singola e
non troppo estesa uscita nelle maggiori testate locali ad uscita settimanale.
178
documento in questione, che è stato inviato in allegato. Tale documento non si
prestava ad un uso ‘giornalistico’, in quanto ricco di locuzioni tecniche, di
abbreviazioni e di costruzioni sintattiche complesse.
Anche i volantini formato A2 realizzati presentano delle incoerenze linguistiche
quali ad esempio l’eccessiva formalità della descrizione del progetto EMAS nel
Distretto del Mobile Livenza posta nel retro e il fumetto introduttivo presente
nelle prime due facciate interne.
Assolutamente positiva invece risulta l’azione di ascolto per la comprensione
della percezione ambientale, effettuata attraverso il questionario a gruppi di
stakeholder individuati e con l’attivazione del forum virtuale nel sito del distretto.
Tale attività ha rappresentato la prima iniziativa mirante alla comprensione e
all’ascolto della cittadinanza indirettamente coinvolta nel Progetto EMAS. Le
informazioni raccolte costituiscono una delle variabili considerate per la
formazione del successivo Piano di Comunicazione. Per quanto riguarda il
questionario, esso ha ottenuto un buon livello di risposta, peggio è andato il
forum on-line, che non è stato accompagnato da nessun tipo di promozione né
on né off line. Anche in questo caso, l’uso delle media relations avrebbe forse
potuto sortire effetti migliori.
Passando invece all’organizzazione delle attività previste nei prossimi mesi dal
Piano di Comunicazione, complessivamente si riscontra un approccio più
complesso e oculato a questa attività.
Innanzitutto, vengono chiaramente stabiliti ed enunciati gli obiettivi che guidano
la pianificazione di attività ed azioni di comunicazione, inoltre il Piano
contribuisce a fissare dei confini netti. Le osservazioni in senso positivo e
negativo che si possono effettuare sono di due tipi: relative al documento in sé
stesso e alle azioni di comunicazione individuate.
Per quanto riguarda le azioni, si nota un positivo ampliamento delle azioni di
comunicazione, destinate al raggiungimento di pubblici più definiti, specifici e
settoriali. Viene dato un forte peso all’attività di ricerca e di creazione di
database che serviranno alla migliore attuazione delle azioni future e viene
ampliata la rosa degli strumenti, con un impegno verso nuove forme come
l’house organ oppure con una differenziazione di diversi modelli di strumento a
seconda del target a cui sono destinati (es. i volantini). Molto positiva anche la
179
‘svolta interattiva’ che viene data allo strumento telematico, con la volontà di
introduzione del forum e di event site collegati al sito principale del Distretto,
nonché l’introduzione della semplice ma sempre efficace newsletter.
E’ necessario altresì considerare che tali strumenti vanno gestiti in maniera
costante con monitoraggi almeno settimanali e aggiornamenti almeno
quindicinali: il presupposto del vantaggio per lo strumento telematico infatti è la
velocità e la facile disponibilità di informazioni aggiornate. Il successo ed il
raggiungimento degli obiettivi sembra dipendere molto anche dal grado di
accuratezza con cui verranno predisposti ed aggiornati nel tempo i database dei
vari stakeholders. Discutibile risulta la scelta di organizzare viaggi educational
per giornalisti ed opinion leader, in quanto considerati da molti portatori di
interessi il primo step di junkets107.
Per quanto riguarda poi l’azione di predisposizione delle Attività dell’Ufficio
Stampa, si rileverebbe utile la creazione di un database con le informazioni o i
riferimenti relativi agli Uffici Stampa delle altre organizzazioni con cui
interagisce il Consorzio.
Il Piano complessivamente è concepito in modo agevole e comprensibile, e
riassume in maniera semplice e chiara la concezione del ruolo e delle attività di
comunicazione dell’ente. Tuttavia sono riscontrabili dei vuoti che andrebbero
colmati, al fine di produrre uno strumento di pianificazione veramente esaustivo.
Spesso nella descrizione delle azioni non vengono esplicitati i soggetti
destinatari e viene fatto solo un riferimento generico allo strumento, senza
indicazioni più specifiche sulle caratteristiche tecniche oppure ai criteri per
l’individuazione della declinazione più adatta (es. merchandising o la citazione
di due eventi futuribili, ma per nulla certi). Per ogni strumento vanno
necessariamente indicate quindi:
Caratteristiche scelte (descrizione, esempi o criteri per l’individuazione del
giusto strumento all’interno della gamma)
Target a cui si rivolge
A chi viene affidata la progettazione e la gestione dello strumento, e se
tale soggetto è interno o esterno al Consorzio.
107
I junkets sono “viaggi di gruppo che vengono offerti a giornalisti o ad altri segmenti di opinion leader in
luoghi esotici o comunque attraenti per presentare un prodotto, un servizio o un’idea che potrebbero
benissimo essere presentati in luoghi meno ameni e costosi”. Il termine è dispregiativo e viene usato da
quei giornalisti sempre più numerosi, che deprecano questa condotta poco etica. Da Muzi Falconi, Gorel.
Governare le relazioni, Il Sole 24 Ore, Milano 2005;
180
Risulta inoltre curiosa e non coerente la considerazione di internet come una
iniziativa indipendente di comunicazione. Internet nella fattispecie risulta uno
strumento, del quale si sfruttano alcune tecnologie e possibilità che portano ad
implementare attività che possono essere annoverate fra la pubblicità (es. direct
e-mailing marketing) o fra quelle di relazioni pubbliche (es. Ufficio stampa e PR
on-line).
E’ importante poi non confondere gli strumenti con le attività di comunicazione:
anche se ci sono eccezioni, gli uni declinano e determinano le altre e non
viceversa.
Una ultima osservazione riguarda l’uso della terminologia, della quale non viene
mai specificato il concetto a cui esattamente ci si riferisce, con la preventiva
esplicazione di parole come ‘stakeholder’ e ‘target’.
5.2.2 Il Comune di Pasiano di Pordenone
Il Comune di Pasiano di Pordenone è una delle tre amministrazioni che hanno
deciso di intraprendere il percorso di Registrazione EMAS. L’amministrazione
nel corso degli ultimi anni ha effettuato molti interventi di opere pubbliche
dotandosi di nuovi impianti. Inoltre ha affidato molte delle sue attività a forte
valenza ambientale (gestione della raccolta dei rifiuti, gestione verde pubblico,
illuminazione, piscina, impianti sportivi) in appalto a società o ad Associazioni
non profit. Per questi motivi, il Comune ha ritenuto che EMAS potesse essere
un valido strumento per il monitoraggio, la valutazione ed il controllo delle
risorse territoriali. Attualmente il Comune non è ancora registrato, ma ha già
completato la stesura del Manuale di Gestione Ambientale e ha già stabilito
quale sarà la sua Politica ed il suo Programma di gestione ambientale.
Pasiano di Pordenone è il terzo fra i principali comuni del Distretto per il numero
di imprese del settore legno-arredo, con una percentuale di circa il 17%
dell’intero numero di aziende-industria del settore all’interno degli 11 Comuni,
con 31 industrie su un totale di 387108.
108
29;
Rapporto Analisi Ambientale del Distretto del Mobile Livenza, Censimento attività produttive, pag 22-
181
All’interno dei suoi confini sono individuabili due zone industriali consistenti,
localizzate a Cecchini e Pasiano capoluogo.
Il suo territorio ha una superficie di 45,50 km² e una popolazione di 7832
abitanti.
Le elezioni amministrative del 2004 hanno visto la riconferma alla Lista Civica
“Insieme”, di orientamento centro-sinistra.
I dipendenti dell’amministrazione comunale sono in totale 38, suddivisi in
quattro aree ciascuna con a capo un responsabile generale. Il Segretario
comunale è anche Direttore Generale.
5.2.2.1
Struttura, caratteristiche, finalità e strumenti della attività di
comunicazione
L’attività di comunicazione del Comune di Pasiano è svolta da ciascun ufficio in
maniera indipendente ed è sottoposta al controllo del responsabile di Area
competente. Non esiste un ufficio che coordina le attività e gli strumenti di
comunicazione a disposizione, ma l’Area Affari Generali-Cultura-Servizi
Informatici gestisce interamente alcuni strumenti di comunicazione dell’ente, in
particolare il sito web e il bollettino comunale. Da questa area vengono inoltre
progettate la quasi totalità delle attività di comunicazione esterna più importanti,
visto che un ufficio si occupa della organizzazione e promozione delle
manifestazioni ed eventi. In occasione di un solo evento di respiro provinciale e
regionale109 il Comune affida l’attività di promozione e comunicazione ad una
agenzia esterna. L’ente non dispone di un Ufficio Stampa, eventuali comunicati
sono predisposti ed inviati sempre dagli uffici di quest’Area.
Altri due uffici molto attivi sul piano comunicativo esterno fanno capo all’Area
Demografica e Servizi Socio Assistenziali e sono il Progetto Giovani e la
Biblioteca
Civica,
che
periodicamente
organizzano
manifestazioni
e
coinvolgono i propri target attraverso l’invio di mail, la distribuzione di volantini
presso gli esercizi commerciali e le affissioni.
All’interno degli abituali e principali interlocutori dell’ente figurano i membri delle
Associazioni (sportive, d’arma, culturali e sociali) con i quali l’amministrazione
109
“Isola della Musica” è una manifestazione giunta nel 2006 alla sua III edizione, finanziata dalla
Regione. Si compone di una tre-giorni di concerti completamente gratuiti, con ospiti di fama nazionale.
182
collabora spesso per la realizzazione di manifestazioni. Al secondo posto ci
sono gli alunni delle scuole elementari e medie, con i genitori.
Il Comune dispone di diversi strumenti di comunicazione, ma spesso alcuni di
essi vengono privilegiati in quanto ne risulta più veloce la predisposizione. Gli
strumenti sono:
Manifesti, locandine e volantini. Vengono adottati in quasi tutte le
occasioni per la promozione e la pubblicità di eventi. A tirature elevate si
affida il progetto grafico ad una tipografia.
Convenzione tv con Telepordenone, che prevede la garanzia di
creazione e trasmissione di 12 servizi tv da parte di una famosa emittente
locale privata sulle manifestazioni più importanti segnalate e proposte dal
Comune.
Bollettino comunale semestrale la cui redazione dei è a cura dell’
amministrazione con la sponsorizzazione delle aziende commerciali ed
artigiane
del
territorio.
Veicola
principalmente
informazioni
ed
approfondimenti sui servizi dell’ente.
Depliant, brochure Strumenti ‘storici’ predisposti da tutti gli uffici, mirano
ad offrire informazioni approfondite in merito a questioni permanenti o di
una certa durata.
Comunicati stampa.
Sito web.
Le attività di comunicazione ambientale che sono state organizzate dall’avvio
del progetto di certificazione EMAS non sono particolarmente numerose, e si
compongono di eventi e di una azione di informazione dell’avvio del Progetto di
Registrazione ambientale.
Gli eventi rappresentano momenti di grande rilevanza e svolta per il comune,
perché per la prima volta si è cercato un approccio non solo informativo ma
anche relazionale con le parti. Essi sono:
Il Progetto BimbInBici: Pasiano ha aderito alla rete nazionale di Città
Sane, che intende promuove una nuova cultura della salute. Il 2006 era
dedicato al tema della mobilità sostenibile e l’amministrazione ha istituito
un Comitato che si riuniva periodicamente per predisporre azioni di
educazione
stradale.
Sono
state
organizzate
due
competitive con i bambini delle scuole elementari e medie.
pedalate
non
183
Riunioni con la cittadinanza per la spiegazione del nuovo sistema di
raccolta dei rifiuti, con la proiezione di filmati che analizzavano le
motivazioni ed i vantaggi ambientali del nuovo metodo.
L’azione di diffusione della adesione del Comune al Progetto EMAS è avvenuta
principalmente attraverso una attività di ufficio stampa temporaneo, alla stesura
di articoli per il bollettino comunale e all’inserimento delle nuove informazioni
nel sito web, spiegando in maniera semplice e concisa che cos’è EMAS e quali
sono i vantaggi che può apportare a Pasiano.
In generale è possibile affermare che l’attività di comunicazione del Comune di
Pasiano è di tipo prettamente informativo ad una via e le iniziative di ascolto e
coinvolgimento della popolazione sono abbastanza sporadiche e legate a
tematiche ben precise, come ad esempio incontri con l’amministrazione.
Ciò non è dovuto alla mancanza di sensibilità degli addetti, che riconoscono i
vantaggi di una buona attività di sondaggio ed ascolto dei pubblici, bensì alla
carenza di personale. Tuttavia è riscontrato che nel momento in cui i cittadini o
un qualsiasi altro soggetto richiede informazioni di qualsiasi tipo, i dipendenti
sono in grado di soddisfare velocemente tutte le richieste.
Per quanto riguarda la comunicazione di tipo ambientale, essa rappresenta solo
una parte dell’insieme di comunicazione dell’ente, ma si caratterizza per essere
improntata maggiormente alla relazione, all’ascolto e al coinvolgimento dei
pubblici nella sua stessa programmazione ed organizzazione.
5.2.2.2
Future attività di comunicazione
Con l’avvio del processo di Registrazione Ambientale, il Comune di Pasiano per
la prima volta adotta uno strumento di organizzazione della comunicazione
rivolta verso l’esterno. Il Piano dell’ente è stato progettato in modo da essere
non solo un documento di sintesi delle attività di comunicazione ambientale
programmate, ma anche come una specie di panoramica generale sulle
possibili azioni comunicative effettuabili, che guidi i dipendenti all’utilizzo degli
strumenti più adeguati e alla considerazione di più variabili. Il motivo alla base
di questa scelta è proprio il fatto che ogni dipendente è chiamato ad
organizzare anche l’aspetto comunicativo esterno di un suo qualsiasi compito
ed è pertanto utile possedere un catalogo delle possibili leve da vagliare.
184
Il Piano di Comunicazione esterna del Comune di Pasiano è diviso in tre
sezioni, ovvero:
Principi generali;
Le leve e gli elementi;
Piano operativo di comunicazione ambientale;
Nella prima sezione vengono ripresi i criteri e i principi che si sono tenuti in
considerazione nella stesura del Piano, ovvero l’impianto normativo che
disciplina l’attività di comunicazione negli enti pubblici e le disposizioni del
Regolamento EMAS, che fanno riferimento solo alla normativa ISO 14001 in
quanto alla stesura del documento (giugno 2006) la norma ISO 14063 non era
ancora entrata in vigore.
La seconda sezione quindi descrive le principali variabili da considerare nella
definizione di una azione di comunicazione. Si suddivide in:
Obiettivi.
Si distingue fra gli obiettivi ambientali generali per i quali si è ritenuto
appropriato avviare una attività di comunicazione e gli obiettivi specifici
dell’attività di comunicazione esterna. I primi sono:
Mantenimento e miglioramento della raccolta differenziata;
Diminuire il consumo di risorsa idrica;
Sensibilizzazione della popolazione al risparmio energetico;
Riqualificazione del Parco Molini;
Analisi della fiducia e collaborazione stakeholder ;
Promuovere e stimolare la diffusione dell’educazione ambientale
nelle scuole;
Gli obiettivi dell’attività di comunicazione sono:
Consentire maggiore pubblicità e diffusione delle attività dell’ ente,
al fine di aumentare la partecipazione e l’affluenza del pubblico
alle manifestazioni culturali e alle iniziative organizzate dal
Comune anche in collaborazione con altri soggetti;
Informare in maniera esaustiva sui servizi erogati e le modalità di
accesso ad essi;
185
Avvicinare i cittadini all’ ente, fare sentire il Comune come
un’organizzazione di cui si è soprattutto parte attiva, non passivoreattiva.
Strumenti, ovvero l’insieme di veicoli già a disposizione dell’ ente
attraverso i quali verrà declinata l’attività di comunicazione
esterna.
Si distinguono in:
Manifesti, locandine e volantini pubblicitari
Convenzione tv con Telepordenone
Bollettino comunale
Depliant, brochure
Comunicati stampa
Sito internet, che a parte un servizio di newsletter e di un mini
sondaggio non è dotato di altri dispositivi di interazione.
Attività, ovvero “l’insieme delle occasioni nelle quali risulta fondamentale
organizzare una sistematica attività di comunicazione e promozione”.
Esse sono:
Eventi
Inaugurazioni
Presentazioni
Informazione sui servizi
Destinatari. Non vengono distinti in target ma solo in stakeholders. Per
ciascuno vengono descritte le caratteristiche sociodemografiche, l’ufficio
o l’Area amministrativa con la quale maggiormente interagisce, gli
interessi. Sono:
La comunità;
I cittadini attivi;
Il mondo economico produttivo: imprenditori, commercianti,
artigiani e professionisti;
Cittadini extracomunitari;
Genitori con ragazzi frequentanti le scuole elementari e medie
Alunni delle scuole;
186
Nella terza parte il Piano è dedicato esclusivamente all’attività di comunicazione
ambientale dell’ente. Si compone di sei azioni, ciascuna delle quali è ottenuta
mescolando in maniera diversa alcune componenti delle variabili indicate nella
seconda parte. Ciascuna azione viene pertanto descritta esplicitandone le
scelte. Di seguito verranno esposte in maniera sintetica.
Azione 1 “Diffondiamo il verbo”
Obiettivo specifico: diffusione della politica ambientale del Comune di
Pasiano.
Strumenti utilizzati: depliant, sito internet e bollettino comunale;
Attività di informazione e di sensibilizzazione, che verrà effettuata in due
creando momenti e luoghi specifici attraverso alcuni incontri pubblici, ed
utilizzando le altre manifestazioni ed eventi come occasione per far
conoscere Emas e la politica dell’ ente;
Destinatari: la comunità;
Azione 2 “Miglioriamo la differenziata”
Obiettivo specifico: miglioramento delle quantità di raccolta differenziata
del rifiuto e la diminuzione del fenomeno dell’abbandono dei rifiuti su
strade o discariche abusive a cielo aperto;
Strumenti: Sito, bollettino comunale e depliant riassuntivo- educativo sul
sistema di raccolta differenziata nel Comune di Pasiano;
Attività di informazione e di sensibilizzazione, che diffonda un messaggio
razionale e supportato da dati;
Destinatari: la comunità;
Azione 3 “Risparmiamo l’acqua e l’energia”
Obiettivo specifico: educazione al risparmio e uso razionale di acqua e di
risorse energetiche in generale all’ interno del territorio comunale da
parte dei cittadini e delle attività produttive.
Strumenti: depliant;
187
Attività: di informazione e di sensibilizzazione, che diffonda un
messaggio razionale (supportato da dati) presso i negozi rivenditori di
elettrodomestici presenti nel Comune e con l’invio delle bollette;
Destinatari: comunità, cittadini attivi;
Azione 4 “Pasiano si ascolta”
Obiettivo: mappare gli stakeholder dell’ente e comprenderne le opinioni
in merito a tematiche di tipo ambientale;
Strumenti: sito internet e newsletter, depliant;
Attività di ascolto con sondaggio e di promozione del sondaggio stesso.
Azione 5 “Educazione ambientale nelle scuole”
Obiettivo: portare all’attenzione dei ragazzi tematiche ambientali
facendoli riflettere sulle soluzioni possibili;
Attività: sono previste una mostra curata da Larea, che si compone di un
percorso guidato di pannelli colorati che affrontano la questione
ambientale suddivisa per i temi acqua, aria, suolo, sottosuolo. Inoltre è
prevista la riapparizione della manifestazione “Festa degli Alberi” con il
concorso: “Così vorrei il mio Parco”;
Destinatari: per la mostra, alunni delle scuole medie, per il concorso e la
Festa gli alunni delle scuole elementari;
Azione 6 “Mobilità sostenibile”
Obiettivo: rimarcare e organizzare altre iniziative proposte dal Comitato
Mobilità del Progetto Città Sane, in grado di aumentare l’attenzione a
queste tematiche.
Attività: Serata di dibattito con i genitori volontari dell’ Associazione
DiDaFa che illustreranno il progetto “Treno a Pedali” attuato nel Comune
di Porcia.
Destinatari:sia i genitori che i bambini.
Strumenti: depliant, newsletter.
188
5.2.2.3
Osservazioni
Anche per il Comune di Pasiano si può procedere con l’osservazione della
attività di comunicazione ambientale attuata distinguendo fra la situazione di
partenza e le azioni progettate nel Piano.
Per quanto riguarda il primo punto, si osserva che i deficit strutturali di organico
incidono profondamente nell’organizzazione dell’attività di comunicazione.
Anche se infatti ne viene compreso il ruolo e ne vengono apprezzati i benefici,
questa funzione rimane pressoché accessoria ed in secondo piano rispetto a
tutte le altre attività. Si è cercato di rimediare recentemente, con l’avvio di
collaborazioni con le università organizzando progetti di stage formativi con
mansioni di tipo comunicativo per studenti dalla adeguata formazione. Tali
attività però devono essere continuative e prevedere un periodo di stage
congruo con gli obiettivi da raggiungere: spesso c’è disparità fra il monte ore
lavorative necessarie e le ore totali di stage previste per ciascun studente.
Lo scarso coordinamento delle attività di comunicazione risulta comunque un
grave deficit, sul quale l’amministrazione dovrà riflettere molto presto,
considerando il fatto che quest’ultima è sempre più intenzionata ad aprirsi e
condividere anche la progettazione di eventi con i suoi cittadini.
Sarebbe utile anche una adeguata formazione dei Responsabili di Area prima,
e dei dipendenti poi, sulle possibilità e progettazione delle attività di
comunicazione. Per quanto riguarda la comunicazione ambientale, risulta di
fondamentale peso che il Responsabile del SGA del Comune, individuato nella
persona del Responsabile dell’Ufficio Ambiente, inizi ad avviare una stretta
collaborazione con gli uffici dell’Area Affari Generali, in quanto oltre che ad
essere gli organizzatori di tutti gli eventi e manifestazioni del Comune di
Pasiano, anche quelli di stampo ambientale, essi sono i gestori di due strumenti
di comunicazione fondamentali: il sito web (e tutte le tecnologie multimediali) ed
il bollettino comunale.
Per quanto riguarda il sito web, si rileva che è un tecnico specializzato
dell’Ufficio Affari Generali a gestire l’aggiornamento del sito, e che quindi
potrebbero essere affidati alla gestione ed al monitoraggio di questa figura
anche altri nuovi sevizi multimediali da individuare, come un area forum oppure
addirittura un blog.
189
Nel complesso, il Piano delle attività di comunicazione dell’ente risulta uno
strumento informativo e programmatico, creato su misura per i presupposti che
sussistono nell’ente. Questo può costituire sia un punto di forza che uno di
debolezza, in quanto potrebbe essere considerato come un mero progetto
esecutivo, mentre alcune azioni di comunicazione possono ancora essere
sviluppate e approfondite con una maggiore ottimizzazione delle risorse
impiegate. Inoltre è importante definire meglio il concetto di attività espresso nel
piano: per come è strutturato, ciascuna attività si compone di più azioni
comunicative, che possono essere pubblicitarie, di ascolto, di coinvolgimento.
Per motivi di completezza, tali micro-azioni all’interno di ciascuna azione
andrebbero specificate.
Questo primo piano rappresenta una sperimentazione, ma in un secondo
momento sarà utile distinguere fra destinatari della attività di comunicazione e
stakeholders, soprattutto se verranno implementate azioni di tipo pubblicitario. I
destinatari poi vanno a loro volta suddivisi per target da colpire.
Le azioni individuate hanno caratteristiche di economicità, semplicità e
pragmatismo, ideali per una organizzazione che non ha strutture deputate
esclusivamente alla comunicazione.
Il taglio che è stato dato alla comunicazione ambientale è di tipo relazionale e a
due vie. Ciò potrebbe risultare molto difficile per i dipendenti, e l’ideale sarebbe
quindi affidare l’organizzazione delle azioni e la supervisione del Piano ad una
agenzia esterna, in grado però di collaborare in stretta sinergia con l’ente e tutti
i suoi dipendenti. Le competenze di una agenzia esterna sarebbero utili nel
momento in cui si debbano predisporre e decidere le modalità di ascolto, la
predisposizione di varie ricerche sugli stakeholder, la misurazione e la
valutazione delle attività attuate, in quanto questi soggetti sono professionisti.
Complessivamente, le azioni di comunicazione ambientale individuate sono
strettamente connesse al miglioramento delle performance ambientali del
Comune. La base da cui si parte è il tentativo di avviare un processo di
educazione ambientale e una relazione di ascolto. Tale ascolto sembra però
rivolto solo alla comprensione delle opinioni dei cittadini, più che una volontà
reale di condivisione delle scelte, come auspica EMAS: questo ulteriore salto
deve essere obbligatoriamente attuato da una pubblica amministrazione, in
190
quanto più di qualsiasi altro ente o soggetto, una amministrazione ha il dovere
di perseguire la volontà della propria collettività.
5.2.3 ACOP srl
ACOP nasce nel 1979 da Giorgio Zanetti ed altri tre soci, avviando la
produzione di svariati componenti per mobili. Nel 1990 il signor Zanetti decide di
liquidare i soci e cedere ai figli, Gianluigi ed Alessandro, il 50% delle quote.
L’azienda ha 10 dipendenti e fattura 700.000€.
Nel ‘97-’98 si decide una virata strategica con la specializzazione in antine.
Oggi ACOP conta 50 dipendenti, una azienda controllata ubicata a S. Stino di
Livenza, 10.000.000€ di fatturato. Si occupa di produzione di antine al grezzo,
levigatura e verniciatura. La controllata MBSS si occupa di carteggiatura del
fondo. Le antine sono una componente fondamentale dei mobili, vengono
acquistate dai produttori e successivamente assemblate con le altre parti per la
vendita al consumatore finale. Pur esercitando una attività di subfornitura, i
prodotti hanno una loro identità precisa e la loro ideazione nasce all’interno di
ACOP.
L’organizzazione aziendale è caratterizzata da una piramide molto schiacciata,
dove vengono eliminate al massimo le figure intermedie. I tre titolari lavorano
all’interno dell’impresa occupandosi ciascuno di presidiare diverse funzioni. In
particolare:
Giorgio Zanetti si occupa della funzione levigatura;
Gianluigi
Zanetti
si
occupa
della
produzione
e
della
funzione
commerciale, italia ed estero;
Alessandro Zanetti si occupa di amministrazione, comunicazione,
Assicurazione Qualità e Sicurezza e Ambiente (figure previste dalle
norme ISO 9000 e ISO 14001);
Il fatturato conseguito deriva circa per il 90% dall’Italia, per il 10% dalla Gran
Bretagna.
L’azienda ha conseguito nel 2001 la certificazione ISO 9001 e nel 2003 la
certificazione ISO 14001. Dalla certificazione ISO è derivata la certificazione
191
FSC110. Nel 2004 ACOP decide di aderire al Progetto EMAS. Attualmente è in
fase di implementazione del Sistema di Gestione Ambientale.
La CSR di ACOP fa leva su pochi ma chiari valori, condivisi con tutti i
collaboratori, esterni ed interni. Primo fra tutti è la centralità dell’uomo, in tutti i
contesti operativi e verso tutti gli ambiti in cui agisce. Questo si traduce in
attenzione verso i collaboratori, nell’inclusione delle esigenze e delle aspettative
dei fornitori,
nell’attenzione
alla
comunità
territoriale.
Tutte
le
azioni
implementate hanno l’obiettivo di conseguire valore anche per questi soggetti.
Anche la qualità ambientale è vista sotto il duplice beneficio che arreca ai
dipendenti e alla comunità. Esemplificando, ACOP afferma che adottando
sistemi per la riduzione delle sostanze volatili di verniciatura non aiuta solo
l’ambiente: ciò che è importante è il fatto che saranno migliorate le condizioni di
lavoro dei collaboratori e la comunità beneficerà di una diminuzione degli odori
provenienti da questa attività.
5.2.3.1
Struttura, caratteristiche, finalità e strumenti della attività di
comunicazione
La gestione della funzione di comunicazione è riservata alla dirigenza, che si
avvale di collaboratori saltuari con nessun potere decisionale in delega.
Le relazioni interne in azienda fanno leva sulla condivisione di esperienze, in
modo da far sentire i collaboratori parte di una squadra. I numero di addetti è
piccolo e la formazione sembra essere lo strumento più adatto. Tale attività non
si focalizza solo sull’acquisizione di nuove conoscenze, ma sullo sviluppo di
capacità personali quali l’ascolto e la collaborazione, con formatori specializzati.
Anche ai fornitori vengono offerte queste possibilità di arricchimento personale,
puntando l’attenzione verso la gestione dei conflitti ed il problem solving.
L’idea di comunicazione esterna in ACOP è strettamente connessa con il
marchio. Si fa leva su questo elemento per trasmettere tutti i valori con cui ci si
identifica ovvero il dinamismo, l’effervescenza, la sicurezza della qualità. Il
budget riservato alle attività di comunicazione non è molto elevato, ma si
110
La certificazione FSC è una certificazione del prodotto derivato dal legno che attesta ai clienti che ne
fanno richiesta che il legno usato nella produzione del prodotto non proviene da foresta primaria e che lo
stesso quantitativo di legno usato per la produzione è stato ripiantumato.
192
cercano sempre soluzioni economiche in grado di offrire ampia visibilità e che
siano coerenti con i valori in cui l’azienda si identifica.
Per due anni ACOP è stata uno degli sponsor ufficiali dell’Udinese Calcio, unica
società calcistica friulana in seria A, caratterizzata da un’immagine di semplicità
e passione. Grazie a questa sponsorizzazione, i titolari hanno potuto offrire a
numerosi collaboratori e fornitori la possibilità di assistere a numerose partite.
Lo sport è un attività che ben si appresta a personificare e rappresentare
ACOP: l’azienda sponsorizza anche la squadra locale Visinale Calcio categoria
Eccellenza ed ha acquistato il nuovo pullman per la squadra dei Pulcini.
In occasione della fiera ZOW! di Pordenone111 si utilizzano manifesti stradali
posizionati sui principali assi urbani: questa è l’unica attività di tipo meramente
pubblicitario. Le fiere sono un’occasione importante per questa azienda, che
sceglie di partecipare a pochi eventi ma con collocazioni ed allestimenti
strategici.
Altro strumento di comunicazione è il sito web, che funge da portale informativo
e completa vetrina, attraverso cui si possono ottenere approfondite informazioni
sull’azienda. I titolari hanno anche un rapporto diretto e personale con le
principali testate giornalistiche ma questa attività è usata sporadicamente e con
parsimonia.
5.2.3.2
Future attività di comunicazione ambientale
ACOP in futuro intende proseguire per la via tracciata, secondo una strategia
che fa della comunicazione un ulteriore mezzo per esplicitare il proprio impegno
e le proprie concezioni.
La comunicazione ambientale è parte di questo sentito e verrà declinata in
diverse accezioni. Innanzitutto, verso i collaboratori si effettueranno attività di
formazione ed educazione ambientale. Per quanto riguarda la comunicazione
esterna, l’approccio punterà ad una maggiore collaborazione con altre
componenti territoriali, soprattutto enti locali, in modo tale da riuscire a legarsi
ancora di più al territorio e fare in modo di dare il contributo ad azioni in grado di
fare emergere valori legati a tematiche sociali di tipo ambientale. Le sinergie in
ACOP sono considerate delle grandi opportunità comunicative e relazionali:
111
ZOW! è il salone della componentistica del mobile più grande di tutta Europa, si svolge a Pordenone
verso novembre-dicembre. Giunto alla sua terza edizione nel 2006, si è definitivamente consacrato in
poco tempo una delle vetrine più specifiche ed importanti per il settore.
193
l’azienda è disponibile ad attuare progetti in cooperazione con altre imprese e
con le istituzioni soprattutto per queste tematiche, anche se per il momento non
si sono profilate occasioni concrete di collaborazione.
5.2.2.3
Osservazioni
ACOP ha una identità e caratteristiche molto precise, che fanno della
responsabilità sociale una componente fondamentale. Come evidenziano le
ricerche empiriche esposte nel capitolo 1, la CSR nella PMI è una attività
strettamente connessa all’etica ed al sentito dell’imprenditore, che ne sancisce i
confini e la concezione. Fare responsabilità sociale per una piccola impresa
significa innanzitutto rivolgersi al proprio interno e beneficiare positivamente del
clima di cooperazione che ne consegue. Sembra che ACOP rispecchi
totalmente questo schema: del resto, in aziende così piccole è quasi
impossibile non fare riferimento alle concezioni e convinzioni personali del
vertice. ACOP però non fa l’errore di identificarsi completamente nella sua
dirigenza: l’azienda è un soggetto a sé, con la propria identità, ed è ben lungi
dall’essere solo una creatura della famiglia Zanetti. Le scelte di comunicazione
esterna riflettono ed influiscono molto sull’ottenimento di tale risultato in quanto
la comunicazione è pragmatica, essenziale ed orientata alle azioni.
Lo slancio percepito verso una maggiore cooperazione con altri soggetti per
quanto riguarda le tematiche ambientali previsto per il futuro potrebbe far
conseguire all’impresa maggiore consapevolezza sulle potenzialità e sbocchi (in
termini di reputazione) che offre tale modalità ed aprire nuove prospettive.
La nota negativa può essere il fatto di non aver previsto strumenti di
monitoraggio e valutazione della comunicazione effettuata: tale attività di
misurazione dei risultati con dati razionali potrebbe evidenziare in maniera
inconfutabile il valore ottenuto dall’esercizio di questa funzione.
5.2.4 Deduzioni riassuntive
Dall’analisi della struttura, delle caratteristiche, degli strumenti, delle attività
presenti e future della comunicazione (in generale) e di quella ambientale (nel
194
particolare), si evince che le tre organizzazioni hanno approcci molto diversi a
livello comunicativo. Ciò è dovuto alla loro essenza stessa in quanto
costituzionalmente esse perseguono finalità diverse, anche se complementari.
In campo ambientale tale complementarietà è maggiore che in alti ambiti,
perché solo attraverso delle politiche comuni si può conseguire risultati
soddisfacenti.
Tale comunanza in campo operativo risulta oltremodo implementata con
l’attivazione
del
Sistema
di
Gestione
Ambientale
e
la
conseguente
Registrazione Ambientale EMAS all’interno di un progetto che comprende
organizzazioni di una intera area territoriale. Molte però sono ancora le cose da
progettare ed integrare al meglio all’interno di tali processi: la comunicazione
risulta essere una di queste.
Osservando la struttura dei piani di comunicazione si possono evincere delle
notevoli differenze di linguaggio che dimostrano concezioni molto diverse della
attività di comunicazione. Termini come stakeholder e target sono usati con
diverse accezioni, generando una ovvia confusione nel momento in cui tali
organizzazioni devono interagire fra loro. Accordarsi sul preciso significato di
alcuni termini significa ricondurli ad un preciso concetto, che legato ad altri
forma un’altrettanto preciso impianto concettuale. Pertanto risulta auspicabile
per un futuro dotarsi di uno schema di programmazione simile per tutte le
organizzazioni territoriali distrettuali, che utilizzi gli stessi concetti declinabili
nelle
diverse
organizzazioni.
Ciò,
oltre
ad
una
semplificazione
e
razionalizzazione delle attività di comunicazione comporterebbe la possibilità di
comparazione delle strategie e delle azioni comunicative implementate dai
diverse tipologie di soggetti sia a livello orizzontale (fra enti simili, es. fra i tre
comuni) sia a livello verticale (fra organizzazioni diverse, es. comuni ed
imprese). Uno schema potrebbe essere quello proposto dalla Norma ISO
14063.
Con questo metodo comune sarebbe anche più facile individuare le possibili
azioni da svolgere in partnership con altre organizzazioni, in modo da
razionalizzare gli interventi e condividere strumenti efficaci, realizzando una
sorta di ‘economia di scala’ della comunicazione.
In nessun piano o programma si fa riferimento ad attività di valutazione della
comunicazione: ciò è da considerarsi una carenza a cui far fronte il più presto
195
possibile, in quanto un monitoraggio dei risultati apporterebbe il doppio
vantaggio di riconoscere immediatamente le carenze da migliorare, ma anche
di identificare in maniera palese e razionale i vantaggi ed i risultati ottenuti dalle
attività di comunicazione.
Molto è ancora da fare per raggiungere questi traguardi, ma EMAS e la
comunicazione ambientale che esso attiva sembra essere una buona leva
iniziale, all’interno della quale sperimentare le prime collaborazioni in azioni
semplici, come la partecipazione distrettuale alle fiere attraverso gli stand delle
aziende.
Il ruolo di regia non deve essere accentrato gerarchicamente al Consorzio,
bensì deve essere diffuso fra tutti i soggetti in maniera reticolare, che di volta in
volta saranno detentori di specificità comunicative da utilizzare in condivisione
con e altre organizzazioni.
Al Consorzio (ed alla futura ASDI) è affidato il compito di conoscere tali flussi e
competenze comunicative, in modo da poter aiutare le organizzazioni ad
intercettare ed inserirsi nei circuiti più adatti alle loro esigenze e capacità.
197
CONCLUSIONI
“Quella notte ero giunto al bivio fatale.
Se mi fossi accostato alla mia scoperta con animo più nobile,
se avessi rischiato l’esperimento sotto l’impulso di aspirazioni generose o devote,
tutto sarebbe andato diversamente
e da quelle angosce di morte e di nascita sarei uscito un angelo
anziché un demonio”.
Dott. Henry Jekill
Attraverso il percorso creato nel corso di questi cinque capitoli, si è tentato di
rispondere a una sere di interrogativi che si ripropongono spesso nel mondo
economico, accademico e dei professionisti della comunicazione.
In particolare, si fa riferimento a tre ordini di argomenti: il rapporto che intercorre
fra la CSR e la comunicazione nell’attuazione delle diverse azioni di
responsabilità sociale; i vantaggi della comunicazione e della realizzazione di
politiche di CSR per le piccole medie imprese; il possibile ruolo di moltiplicatore
di buone pratiche ambientali che viene assunto dalla comunicazione.
Il Distretto del Mobile Livenza è un caso emblematico che racchiude in maniera
complessa tutti questi temi: analizzarne le strutture di riferimento può offrire
degli spunti per rispondere alle controverse questioni sopracitate.
Nelle prime due parti del lavoro si è cercato di sviscerare il panorama
concettuale degli argomenti interessati. In particolare:
I concetti di CSR in ambito internazionale, europeo ed italiano da parte
dei soggetti pubblici, privati, non profit sia di grandi che di piccole
dimensioni;
198
Il ruolo della comunicazione nello sviluppo di politiche di CSR e l’analisi
dei principali strumenti di attuazione, con le seguenti implicazioni
comunicative che ciascun mezzo comporta;
L’importanza fondamentale della tematica ambientale nella CSR, con
l’individuazione di motivazioni e declinazioni comunicative finora adottate
dalle organizzazioni. Si sono poi analizzati nel dettaglio gli strumenti
delle certificazioni, ovvero uno degli strumenti di gestione della CSR più
efficienti ed il ruolo che al suo interno ricopre la comunicazione.
Sulla base di questo esame si è passati nella terza parte all’analisi del caso del
Distretto del Mobile Livenza, al fine di individuare in un congiuntura pratica i
riscontri dei concetti scaturiti precedentemente.
L’insieme di questi elementi costituisce la base delle riflessioni conclusive che
verranno esposte qui di seguito. Esse verranno suddivise in tre livelli ed
esposte in un ordine che va dal caso particolare al generale.
Il primo gruppo comprende le deduzioni che si possono fare in riferimento al
caso analizzato del Distretto del Mobile Livenza. Senza dubbio, il Progetto
analizzato è altamente innovativo e segna una svolta di prim’ordine nella storia
di questo sistema produttivo per due ragioni. Per la prima volta infatti vi è la
tensione verso strategie non orientate esclusivamente alla produzione. Questo
progetto riporta un certo livello di attenzione alle radici ed alla tradizione sociale
di questo territorio, concentrandosi sul rispetto di una ricchezza unica e non
replicabile come l’ambiente, che sarà sempre di più elemento fondante della
qualità della vita. Ma non basta: anche il prodotto che risulta da questo sistema
produttivo verrà irradiato di nuove qualità connesse con valori più intangibili.
Tale fattore può essere una leva molto competitiva nei mercati intenazionali,
soprattutto perché tali valori sono supportati a monte da un sistema di
certificazioni che ne assicura la veridicità.
L’input che questo Progetto vuole offrire al territorio e ai suoi sempre scettici
mobilieri è la dimostrazione della validità di strategie congiunte su variabili
strategiche di medio-lungo periodo, per debellare definitivamente la politica
individualista tipicamente nordestina. Per le PMI diventa sempre più importante
connettersi e lavorare insieme e si auspica che il successo di questa azione
199
possa scardinare questa ideologia pericolosa e arcaica, dimostrando la validità
dell’avvicinamento ad asset nuovi ed intangibili. Tali caratteristiche vengono
sviluppate da competenze diverse da quelle usate fin ora: fra queste in primis si
trovano la gestione delle relazioni e la comunicazione. Le azioni informative ad
una via con un ruolo operativo non bastano più, è fondamentale sviluppare
attività a due vie con un ruolo strategico avvalendosi dell’ausilio di professionisti
competenti, al fine di captare ed includere i bisogni dei propri stakeholders fra le
considerazioni operative da effettuare.
Il caso del Distretto del Mobile è anche un formidabile esempio di innovative
strategie competitive avviate da un sistema di Piccole e Medie Imprese allo
scopo di assicurasi un vantaggio. Ciò conduce alla possibilità di avviare un
secondo livello di considerazioni.
La cooperazione fra i diversi attori risulta essere la soluzione operativa
competitivamente ottimale per le piccole medie imprese, in quanto i mezzi che
può mettere in campo una singola organizzazione nell’esercizio di una attività
produttiva,
saranno
sempre
inferiori
della
somma
dei mezzi
di
più
organizzazioni. Condividere mezzi e competenze attraverso lo sviluppo di
progetti comuni significa moltiplicare le risorse, i canali e le possibilità.
Questi nuovi scenari per i sistemi territoriali, queste dinamiche di sviluppo
reticolare, sono destinate ad incidere profondi cambiamenti in molte
organizzazioni del territorio.
Alcuni soggetti all’interno dei sistemi sociali vedranno modificato il loro ruolo:
per esempio le Associazioni di Categoria saranno autentiche catalizzatrici e
promotrici di aggregazioni, con una crescita della loro importanza come centro
di riferimento di idee e di linee per il futuro.
Anche la pubblica amministrazione è chiamata a modificare il suo modo di
operare: è necessario che sia molto più consapevole ed aperta al dialogo con i
diversi comparti del territorio. Costruire relazione simmetriche e a due vie risulta
pressoché essenziale per gli enti locali, in modo da evitare situazioni di
contrasto come ad esempio una sindrome NIMBY. Il primo passo da compiere
sembra quello di presidiare e gestire in maniera ottimale le relazioni con i
200
soggetti appaltatori dei servizi pubblici, in quanto questi ultimi soggetti spesso
sono i fornitori di importanti servizi collettivi di base.
Per quanto riguarda le direttrici strategiche dello sviluppo, la leva della CSR per
le PMI rappresenta una prospettiva di sviluppo efficace (come per le grandi
imprese)
ma
deve
essere
implementata
in
modalità
congeniali
all’organizzazione, con una scelta accurata dello strumento di CSR, pena
l’inefficacia, o peggio, il sospetto che non esista una strategia di CSR, bensì
solo una azione di comunicazione di CSR.
Il terzo ordine di riflessioni riguarda il controverso e dibattuto rapporto fra CSR e
l’attività di comunicazione.
Alla fine di questo lavoro risulta evidente che il contenitore è la CSR, all’interno
del quale la comunicazione svolge l’importante ruolo di facilitatore. La CSR non
è una sola attività, bensì è un caleidoscopico insieme di azioni e leve che
possono venire implementate da un singolo strumento oppure dall’utilizzo
congiunto di più soluzioni. La comunicazione svolge in prima battuta il ruolo di
coordinamento e gestione dell’enorme flusso di informazioni derivante
dall’attivazione di tale processo. Alcuni strumenti di CSR fanno più leva sulle
attività di comunicazione e l’equilibrio fra azione e comunicazione è molto
delicato: lo sbilanciamento a favore della comunicazione può essere molto
pericoloso. Gli effetti nella reputazione e nel valore dell’organizzazione possono
essere deleteri. Se spesso nel passato si sono verificati tali accadimenti è
soprattutto dovuto all’errore di fondo di aver confuso strumenti di CSR
esclusivamente come strumenti di comunicazione di CSR. Solo chi gode di
maggiore
fiducia
e
credibilità,
può
esporsi
maggiormente
sul
piano
comunicativo esterno.
Il compito dell’organizzazione è individuare lo strumento che maggiormente si
adatta al livello di fiducia e credibilità di cui l’organizzazione gode nei confronti
degli stakeholders e della comunità.
CSR è anche comunicazione, ma non solo. Prima di questo, è fatti concreti
esplicitati in obiettivi di miglioramento che non sono affatto di tipo comunicativo
e non sono affatto di tipo esclusivamente reputazionale. Gli obiettivi primari
201
sono ad esempio una più efficiente razionalizzazione delle materie prime e delle
risorse o la riduzione del costo di turnover.
All’interno di questa visione d’insieme, le relazioni pubbliche quindi svolgono
l’importante ruolo di ottimale gestore dei flussi di comunicazione, concorrendo
così con il loro apporto al raggiungimento complessivo degli obiettivi di
responsabilità sociale dell’organizzazione. Non sono il perno centrale della
CSR, ma ne costituiscono un ingranaggio fondamentale.
Assegnare tale ruolo alle relazioni pubbliche non significa affatto metterle in
secondo piano: al contrario le innalzano a funzione determinante in quanto
fungono da connettore fra i soggetti e gestiscono processi importanti quali
l’ascolto ed il decision making attraverso processi decisionali inclusivi.
A lungo andare condurre l’attività di relazioni pubbliche con questo tipo di
modalità (e responsabilità) può sicuramente innalzare la credibilità di questa
disciplina, allontanandone quell’aura di reputazione discutibile che ancora oggi
la caratterizza. Il successivo riconoscimento del vantaggio che apporta tale
disciplina potrebbe far compiere alle relazioni pubbliche il passaggio da
funzione operativa ed accessoria a funzione strategica e basilare.
203
APPENDICE
204
INTERVISTA AD ALESSANDRO ZANETTI
Titolare di ACOP srl
Presidente dei Giovani Industriali della Provincia di Pordenone
Alessandro Zanetti, 39 anni, è titolare di ACOP srl. assieme al fratello ed al
padre In azienda si occupa di amministrazione e comunicazione, oltre ad
essere il Responsabile dei sistemi di Assicurazione Qualità e Sicurezza ed
Ambiente previsti dalle norme ISO 9001 ed ISO 14001.
Nel 2003 è stato eletto Presidente dei Giovani Industriali della Provincia di
Pordenone.
Che significa fare CSR per un piccolo imprenditore del nordest?
A mio parere esistono due tipologie di responsabilità: un punto di vista
micro ed uno macro. Il primo è quello più vicino all’agire ed all’operare di
tutti i giorni, quello che ti mette di fronte alla scelta di fare le cose
tenendo conto anche dei bisogni dei tuoi dipendenti, dei tuoi fornitori, dei
pasianesi e di Pasiano. Il secondo riguarda invece questioni di più ampio
respiro, dove noi non siamo che la infinitesima parte di un tutto, come le
dinamiche del settore in cui operiamo o l’ambiente. Ma credere di non
incidere o di incidere poco in queste componenti è sbagliato. Infatti
rapportate al livello micro, quindi alla nostra incidenza indiretta su tali
variabili, influiamo eccome! Se ci si sforza di migliorare tutti gli aspetti su
cui si agisce, direttamente ed indirettamente, si contribuirà sicuramente
al miglioramento del complesso. Pertanto è necessario assumersi in
pieno i propri doveri, certi che nel lungo periodo l’aver tenuto conto
anche di tutto questo ci porterà un vantaggio.
Quali sono i vantaggi che auspica per ACOP con l’avvio di queste politiche?
Ciò che auspichiamo è la creazione di una reputazione che si tramuta poi
vantaggio economico. Il punto è quanto veloce sia questo processo di
trasformazione. Per le piccole imprese, il processo è lento, perché i
205
mezzi, le politiche, le azioni sono sconosciute ai più, riguardano i
collaboratori quotidiani. Per un organizzazione come il distretto il
processo è molto più veloce perché le azioni sono più complesse e
rivolte a target più ampi.
La cosa importante e che molti non colgono è che il vantaggio
economico con l’adozione di queste politiche è immediato: ci sono
strumenti, come EMAS, che prima di dare un ritorno di immagine ci
hanno permesso di ridurre i costi di produzione perché obbligano a
monitorare e misurare quantitativamente variabili che prima erano solo
approssimative. La reputazione è un ulteriore plus, che dipende anche
da altri fattori.
Qual è il vantaggio più grande che ha portato EMAS in ACOP?
Come ho detto prima, ci sono stati considerevoli diminuzioni dei costi di
produzione per alcuni processi, in quanto si è obbligati a ragionare sulla
base di dati ed indici concreti: ‘spaccando il capello in quattro’ abbiamo
individuato inefficienze che prima di tutto erano costi di materie prime,
maggiori consumi sul sistema dei trasporti, spreco di materiale. Tutta
questa riflessione poi ha portato ad un aumento delle competenze ed un
arricchimento delle conoscenze, una maggiore disciplina nella gestione
dei processi, perché ha fornito un metodo preciso. Prima ancora di
arrivare ad un aumento della reputazione, tutto questo mi sembra già un
ottimo risultato…
Comunicare la sua responsabilità ambientale fa conseguire un vantaggio alla
sua impresa?
Certo che lo fa. Ma come dicevo prima, queste politiche non si fanno in
primis per essere poi comunicate. Si fanno perché migliorano le
prestazioni dell’azienda. ACOP è un’azienda BtoB e nel comprare i nostri
prodotti influiscono prima di tutto altre variabili per i nostri clienti, tra le
quali il prezzo è la componente fondamentale. Ma se si riesce a
206
mantenere il prezzo competitivo ed a offrire un ulteriore plus che è
ricavato dalla mia attività di comunicazione, allora ha senso.
Da Presidente degli Giovani Industriali, cosa crede che manchi ai piccoli
imprenditori del Nordest oggi?
Senza dubbio, un po’ di grinta… quella che avevano i nostri padri. I
giovani imprenditori sono senza dubbio più preparati, più colti, molti sono
in gamba, ma manca una profonda voglia di responsabilità, di prendere
le redini dell’azienda di famiglia con gli oneri e gli onori che questo
comporta. Il passaggio generazionale non è cosa da poco: i padri spesso
non lasciano crescere i loro figli, oppure ai figli va di prendere le redini,
ma di poter partire dall’alto…in una piccola impresa devi crescere giorno
per giorno, in modo che quando arrivi in cima, sai bene che cosa andrai
a gestire.
Quale crede che sia l’opinione degli imprenditori pordenonesi nei confronti della
comunicazione? È solo ancora pubblicità? Anche per i giovani?
Purtroppo…si. E non solo ad un livello concettuale, ma anche ad un
livello di strumenti usati: si usano sempre le stesse cose, gli stessi canali,
le stesse modalità, facendo della comunicazione una attività operativa di
contorno, della quale si può fare anche a meno. Bisognerebbe davvero
far capire attraverso le cifre il valore ed il vantaggio di dare anche a
questo aspetto il giusto valore: 10 anni fa, eravamo sconosciuti e
anonimi, oggi ACOP è un’azienda con una reputazione giovane e
dinamica ed i nostri fornitori, oltre al prezzo e alla qualità, comprano
anche questo.
Avviare progetti come EMAS per fare comprendere l’importanza della
comunicazione può essere utile per far cambiare idea agli imprenditori
pordenonesi?
207
Definirei devastante l’impatto comunicativo che avrà EMAS. Perché
punta sull’identità, sull’appartenenza, sulla condivisione di un progetto e
di un ideale per il territorio, che è un elemento molto caro alle comunità di
questi paesi, oltre ad essere un nuovo biglietto da visita per i nostri
prodotti nei mercati internazionali e nazionali, che nessun altro prodotto
del legno-arredo possiede. Dal mio punto di vista, non è stato ancora
compreso appieno da tutti quanti noi la quantità di benefici che arrecherà
e quanto EMAS fungerà da spinta qualitativa. Tutto questo è possibile
fondamentalmente dalla partecipazione delle pubbliche amministrazioni,
che davvero hanno dimostrato la loro forza aggregatrice. Nel futuro sarà
fondamentale mantenere e sviluppare questa stretta collaborazione.
Quanto crede che la CSR sia una questione di etica personale per un piccolo
imprenditore?
La CSR è sempre una scelta etica, solo che per il caso delle piccole
imprese l’elemento del sentito personale dell’imprenditore è ancora più
forte, perché è lui che indirizza in maniera vigorosa le azioni da compiere
e le questioni da affrontare…ma questa è una caratteristica tipica delle
PMI. A differenza delle grandi imprese, credo che nell’etica del piccolo
imprenditore ci sia un maggiore valore attribuito ai propri fornitori e
collaboratori, che con le loro competenze ed esperienze, contribuiscono
al cambiamento ed alla positiva evoluzione dell’agire aziendale. Ciò che
è indubbio nelle PMI è che le azioni di CSR siano strettamente correlate
con l’etica, equazione che invece non è automaticamente riscontrabile
nelle grandi imprese, perché CSR spesso equivale a operazioni di sola
facciata.
Parliamo un po’ dei nuovi mezzi di comunicazione usati dai piccoli
imprenditori…cosa pensa del web e delle ITC connesse?
Quando c’è stata la ‘corsa al sito web’ tutti pensavano ad un nuovo
canale per vendere i propri prodotti. Oggi, quando ancora nessun
imprenditore ha venduto un mobile via internet, si è capito che i vantaggi
208
sono molti altri: in pochi secondi infatti sei in grado di farti una idea ed un
quadro dell’impresa che ti ha contattato, di visionare cataloghi, di capire
com’è organizzata, insomma, di esprimere un primo giudizio. Le mail poi
sono un veloce metodo di interazione. Per il momento, tutta la tecnologia
multimediale utilizzata dalla maggioranza delle PMI si ferma qui. Il motivo
è semplicemente perché questi due mezzi permettono di svolgere al
meglio la comunicazione di cui necessita un piccolo imprenditore. Non ha
senso organizzare un forum oppure un blog, se non ne viene percepito
né il valore né il vantaggio: questi strumenti sono oltremodo futili fintanto
che per i piccoli imprenditori la comunicazione a due vie e l’ascolto non
diventano degli aspetti importanti da considerare.
Quale crede che possa essere il fattore propulsivo che promuoverà la CSR
nelle PMI?
Come ho detto prima, sicuramente la pubblica amministrazione ha un
ruolo primario, ma credo che altrettanto importante sia Basilea 2, che
considera anche questi aspetti nella valutazione del rating: credo che la
maggior parte dello sconto che si possa ottenere derivi proprio dalla
considerazione di questi fattori. Tempo al tempo.
Quale crede che possa essere il fattore propulsivo che promuoverà la
comunicazione nelle PMI?
La CSR. In qualsiasi azione di responsabilità sociale c’è la necessità e la
spinta a mettersi in contatto con più soggetti, ascoltare, relazionarsi,
condividere informazioni, comprendere, scambiare: per effettuare tutto
questo è necessario l’uso di strumenti e metodi di comunicazione
specifici…quando la molla scatterà, allora le cose cambieranno davvero.
Tempo al tempo.
Il mondo però corre…nell’ambito della comunicazione, il tempo delle PMI non
sembra lo stesso del mondo economico…
209
Condivido. Questa è la sfida e la missione che devono portare avanti le
Associazioni di Categoria come Unindustria: far capire che è tempo di
cambiare e di aprirsi anche a questi nuovi mondi, che non sono più
accessori, ma fondamentali. Il Progetto EMAS del Distretto del Mobile
vuole essere il primo, grande passo verso questa presa di coscienza.
211
BIBLIOGRAFIA
AIPEM (a cura di), Rapporto su orientamenti di investimenti delle aziende del
Nord Est su strategie, risorse e mezzi di comunicazione, Udine, 4 novembre
2005; Stampato in proprio.
L. Andriola, R. Ceccacci, La certificazione ambientale del territorio e degli enti
locali: le applicazioni sperimentali dei sistemi di gestione ambientale, ENEA
(RT/2002/16/PROT) 2002; Stampato in proprio.
ANPA-Dipartimento di strategie integrate, promozione, comunicazione settore
qualità ambientale delle Imprese, Linee guida per l'applicazione del
Regolamento CEE 1836/93 (EMAS) e della Norma ISO 14001 da parte della
Piccola e Media Impresa, Agenzia Nazionale per la Protezione dell’Ambiente,
09.1998; Stampato in proprio.
Atti del convegno, L’impegno sociale delle PMI, Sodalitas, Milano, 10 febbraio
2003; Stampato in proprio.
Atti del convegno, Verso il Piano di comunicazione- Guida operativa all’ analisi
del contesto, Forum PA, Bologna 24 25 28 febbraio 2005; Stampato in proprio.
Atti della tavola rotonda La responsabilità sociale di impresa. Una sfida per il
futuro, Associazione Veneto Responsabile; Venezia, 3.05.2003; Stampato in
proprio.
AA.VV., Corporate Social Responsability: essere, non apparire; I quaderni della
comunicazione, nr 49, luglio 2006.
G. Azzoni, L’azienda etica, intervento all’incontro Responsabilità sociale dell’
impresa e diritto al lavoro, Collegio dei Ghislieri, Pavia 17.04.2004; Stampato in
proprio.
G. Azzoni, Le religioni aziendali, intervento al convegno Diritto/Diritti,
Morale/Morali, Religione/Religioni, Università degli Studi di Cagliari, 19-20
settembre 2003; Stampato in proprio.
G. Azzoni, Una missione per le RP: un nuovo linguaggio per dire l’etica,
Prefazione a: P. Parson, L’etica delle relazioni pubbliche. Valutare i dilemmi
quotidiani per decidere meglio, Il Sole 24Ore, Milano 2005.
M. Bartolomeo, S. Marchese Daelli, Rapporto sugli acquisti verdi in Europa ed
in Italia, Associazione AVANZI, Bologna, 27.10.2006; Stampato in proprio.
G. Beccattini (a cura di), Mercato e forze locali: il distretto industriale, Il Mulino,
Bologna 1987.
212
D. Bianchi, D. Mauri e G. Sanmarco, Dal bilancio sociale al Bilancio di
sostenibilità: metodologie ed esperienze a confronto, Rapporto sullo sviluppo
sostenibile, Fondazione ENI Enrico Mattei, 03.2001; Stampato in proprio.
L. Bobbio (a cura di), A più voci. Amministrazioni pubbliche, imprese,
associazioni e cittadini nei processi decisionali inclusivi, Edizioni Scientifiche
Italiane, Roma 2004.
A. Bonomi, E. Rullani (a cura di), Rapporto sui principali Distretti Industriali
Italiani, Confartigianato e Consorzio A.A.S.T.E.R., 06.2001; Stampato in
proprio.
British Standard Organisation, Draft ISO 14063 Environmental management Environmental communication - Guidelines and Examples, 05.01.2005;
Stampato in proprio.
R. Buchholz Principles of environmental management – The greening of
business, Prentice Hall, Boston 1993.
Camera di commercio, industria artigianato e agricoltura di Milano (a cura di),
La responsabilità sociale nelle piccole e medie imprese, Il Sole 24Ore, Milano
2003.
V. Capecchi, Nuove imprese per la qualità della vita, in Impresa e Stato
n.37/38: 33-42, 1997.
N. Cerana, Comunicare la responsabilità sociale, Franco Angeli, Milano 2004.
N. Cerana (a cura di), Rapporto FERPI sulla comunicazione socialmente
responsabile, Luglio 2006; Stampato in proprio.
S. Cherubini, R. Magrini, Il management della sostenibilità, Franco Angeli,
Milano 2004.
A. Citterio, I. Lenzi, Reti di Territorio, Reti di Responsabilità Sociale, Rapporto
sullo sviluppo sostenibile, Fondazione ENI Enrico Mattei, 08.2005; Stampato in
proprio.
A. Citterio, G. Noci, C’è una RSI a misura d’ artigianato?, Il Sole 24 Ore del 12
luglio 2004.
A. Citterio, G. Noci: La leva etica premia le PMI, Il Sole 24 Ore del 31 gennaio
2005.
Commissione Europea, Comunicazione relativa alla Responsabilità sociale
delle imprese: un contributo delle imprese allo sviluppo sostenibile, Bruxelles,
2.07.2002; Stampato in proprio.
Commissione Europea, ENSR. European SMEs and Social Environmental
Responsability, 2002; Stampato in proprio.
213
Commissione Europea, Libro Verde: promuovere un quadro europeo per a
responsabilità sociale delle imprese, 2001; Stampato in proprio.
Commissione Europea, Il partenariato per la crescita e l’occupazione: fare
dell’Europa un polo di eccellenza in materia di Responsabilità Sociale delle
Imprese, Comunicazione al Parlamento, al Consiglio e al Comitato Economico,
03.2006; Stampato in proprio.
Comitato per l’Ecolabel e l’Ecoaudit, Posizione del ComItato per l’Ecolabel e
l’Ecoaudit sull’applicazione del Regolamento EMAS sviluppato in ambiti
produttivi omogenei, 2005; Stampato in proprio.
Consorzio AASTER, Rapporto sui principali distretti italiani, giugno 2001;
Stampato in proprio.
Consorzio del Mobile Livenza (a cura di), Il distretto del mobile verso
l’ecogestione, Atti del Convegno di presentazione del Progetto Esecutivo
EMAS, Prata di Pordenone 11.12.2004; Stampato in proprio.
Consorzio del Mobile Livenza, Atti del Convegno Sviluppo e Gorvernance
locale: quale opportunità per il Distretto?, Pordenone, 3 febbraio 2006;
Stampato in proprio.
Consorzio del Mobile Livenza, Programma Ambientale Territoriale, Distretto del
Mobile Livenza 2006; Stampato in proprio.
Consorzio del Mobile Livenza, Rapporto di Analisi Ambientale, Distretto del
Mobile Livenza 2006; Stampato in proprio.
G. Corò e R. Grandinetti, Evolutionary patterns of the italian industrial district, in
Human System Management n.18: 117-129, 1999.
G. Cozzi, G. Ferrero, Marketing. Principi, metodi, tendenze evolutive,
Giappichelli Editore, Torino, 1996;
CSR FORUM, Promuovere la RSI tra le PMI italiane, Relazione finale Tavolo
Tecnico nr2 del Forum PA, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali,
Bologna 24-25-28.02.2005; Stampato in proprio.
CSR Forum, Social Statement e Set di indicatori. Relazione finale Forum
Italiano Multi stakeholder per la Corporate Social Responsibility, aggiornato al
20.12.2005; Stampato in proprio.
A. Danese (a cura di), Rendere conto ai cittadini, Dipartimento della Funzione
Pubblica, Edizioni scientifiche italiane, Roma 2004.
A. Danese, E. De Filippo, R. Rennie (a cura di), La pianificazione strategica per
lo sviluppo dei territori, Rubbettino Editore, Cosenza 2006.
214
Direzione Regionale della Pianificazione territoriale, La tutela del paesaggio in
Friuli-Venezia Giulia, Ufficio stampa e pubbliche relazioni della Regione Friuli
Venezia Giulia, Trieste 1993; Stampato in proprio.
ERVET-Emilia Romagna Valorizzazione Economica del Territorio (Funzione
Efficienza Ambientale), La diffusione degli strumenti volontari per la gestione
ambientale in Emilia-Romagna, 2005; Stampato in proprio.
A.Fabris, Guida alle etiche della comunicazione, Edizioni ETS, Pisa 2004.
V. Fazio, C. Luison, Guidarsi. La responsabilità sociale delle imprese, Edizioni
Metakom, Venezia 2006.
L. Ferraguto, Dalla responsabilità ambientale alla responsabilità sociale delle
imprese, Rapporto sullo sviluppo sostenibile, Fondazione ENI Enrico Mattei,
03.2005; Stampato in proprio.
N. Ferro, Una panoramica sugli standard internazionali per la Responsabilità
d’impresa, Rapporto sullo sviluppo sostenibile, Fondazione ENI Enrico Mattei,
02.2005; Stampato in proprio.
Fondazione Veneto Responsabile, La responsabilità sociale di impresa: una
sfida per il futuro, Atti della Tavola Rotonda del Convegno,Venezia 3 maggio
2003; Stampato in proprio.
R.E. Freeman, Strategic Management: a Stakeholder Approach, Pitman,
London 1984.
M. Frey, Il management ambientale, Franco Angeli, Milano1995.
Global Alliance For Public Relations And Communications Management,
Position Statement on Corporate Social Responsability, 2003; Stampato in
proprio.
R. Grandinetti, M. Chiarvesio, P. Guerra, R. Tabacco (a cura di), Le politiche
commerciali e di marketing nel settore dell’arredamento. Ricerca sui distretti
industriali del Livenza e del Quartier del Piave, Unioncamere, 11.2001;
Stampato in proprio.
P Guerra, I sistemi produttivi del Livenza e del Quartier del Piave, in G. Corò, E.
Rullani (a cura di), Percorsi locali di internazionalizzazione. Competenze e autoorganizzazione nei distretti industriali del Nord-Est, Franco Angeli, Milano 1998.
R. Ielasi, P. Molinas, EMAS quale strumento di gestione del territorio da parte di
una amministrazione comunale, ANPA - Unità Supporto Tecnico Attività CEE
Ecogestione, 2005; Stampato in proprio.
F. Iraldo, Ambiente, impresa e distretti industriali – Gestione delle relazioni
interorganizzative e ruolo degli stakeholders, Franco Angeli, Milano 2002.
215
N.Levi, Poligoni irregolari: la struttura di coordinamento e la funzione di
comunicazione nelle amministrazioni pubbliche italiane, Dipartimento Funzione
Pubblica - Progetto URP degli URP, Reggio Emilia 2005; Stampato in proprio.
M. Lucchetta (a cura di), Distretto del Mobile Livenza: origine, sviluppo e aspetti
economici, Consorzio del Mobile Livenza, 2005; Stampato in proprio.
A.Mancinelli, Sviluppo Sostenibile & Buona Reputazione, intervento al COM.ON
Festival di Scienze della Comunicazione, Roma, 20 Novembre 2006; Stampato
in proprio.
L. Mariano, Responsabilità etica ed impegno sociale nei valori d’ impresa,
Liguori Editori, Roma 2005.
D. Marini, F. Ferraro, Pordenone ieri, oggi, domani. Dinamiche della società e
prospettive del manifatturiero, Il Sole 24 Ore, Milano 2005.
D. Marini (a cura di), Nord est 2005, rapporto sulla società e l’economia,
Venezia, Marsilio 2005.
A. Mavellia, Il ROI nella comunicazione di impresa, intervento alla Quinta
Giornata per la comunicazione di Impresa, Milano, 14 Novembre 2006;
Stampato in proprio.
S. Meacci (a cura di), Osservatorio sulla comunicazione ambientale d’impresaIndagine 2005, Presentazione ufficiale, Roma 23 giugno 2005; Stampato in
proprio.
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (a cura di), Progetto CSR-SC. Il
contributo italiano alla campagna di diffusione della CSR in Europa, Terza
Conferenza Europea sulla CSR, Venezia, 14 novembre 2003; Stampato in
proprio.
P. Molinas, Orientamenti relativi alla dichiarazione ambientale EMAS, Schede
APAT-Unità supporto tecnico Attività CEE Ecogestione, 2005; Stampato in
proprio.
M. Molteni (a cura di), Primo Rapporto sulla Responsabilità Sociale d’Impresa in
Italia, ISVI & ALTIS, 2004; Stampato in proprio.
F. Montelli, La responsabilità sociale nelle PMI, intervento al convegno
Responsabilità sociale: opportunità per la piccola impresa, Formaper e Camera
di Commercio, Milano 15 marzo 2004; Stampato in proprio.
G. Moro, A. Profumo, Plusvalori- la responsabilità sociale d’impresa, Baldini e
Castaldi, Milano 2003.
T. Muzi Falconi, GoRel-Governare le relazioni, Il Sole 24 Ore; Milano 2004 (II
ed).
T. Muzi Falconi, Responsabilità sociale, da che pulpito…, in Etica e finanza nr.
03.2006; pag 20-21.
216
V. Nobili, La responsabilità sociale e la responsabilità penale delle imprese,
Rapporto sullo sviluppo sostenibile, Fondazione ENI Enrico Mattei, 04.2003;
Stampato in proprio.
V. Nobili, Riflettendo sulla Responsabilità Sociale delle Imprese. Il processo di
CSR come motore di crescita sostenibile delle imprese, di responsabilizzazione
del mercato e di promozione e corretta attuazione della legge, Rapporto sullo
sviluppo sostenibile, Fondazione Eni Enrico Mattei, 9.2005; Stampato in
proprio.
Observatory of European SMEs, European SMEs and Social
Environmental Responsibility, 4th Report, 2002; Stampato in proprio.
and
Osservatorio Comunicazione Responsabile, Dalla comunicazione al Consumo
Responsabile, Ricerca a cura di Ehos-Pentapolis, Milano, 2006; Stampato in
proprio.
G. Panella, Economia e Politiche dell’ambiente, Carocci, Roma 2002.
S. Rolando (a cura di), Situazione e tendenza della comunicazione istituzionale
in Italia(2000-2004), Rapporto per il Ministro della Funzione Pubblica, 2005;
Stampato in proprio.
E. Rullani, I distretti cambiano pelle, in Quaderni del management, nr 16 luglio
agosto 2005, pp10-24.
E. Rullani, Dove va il Nordest. Vita, morte e miracoli di un modello, Marsilio
Editore, Venezia 2006.
E. Rullani, L. Romano (a cura di), Il postfordismo. Idee per il capitalismo
prossimo venturo, Etaslibri, Milano 1998.
G. Rusconi, M. Dorigatti, La responsabilità sociale d’impresa, Franco Angeli,
Milano 2004.
C. Pasqualetto, Dialoghi sul Nordest, Marsilio Editore, Venezia 2005.
F. Scopelliti, Comunicazione ambientale presso i cittadini di una
amministrazione pubblica certificata EMAS, intervento al Second Forum of
EMAS in Local Authorities, Ravenna 10 febbraio 2006, Stampato in proprio.
L.F. Signorini, L’ “effetto distretto”: motivazioni e risultati di un progetto di
ricerca, in L.F. Lorenzini (a cura di), Sviluppo Locale:un’indagine della Banca
d’Italia sui distretti industriali, Meridiana Libri, Corigliano Calabro, 2000.
Sodalitas (a cura di), Cause Related Marketing: codice di comportamento,
Ottobre 2004; Stampato in proprio.
UNIONCAMERE-CLUB DEI DISTRETTI INDUSTRIALI (a cura di), Guida ai
distretti industriali italiani. FrancoAngeli, Milano 2004.
217
E. Valdani, La comunicazione di impresa quale leva di management, intervento
alla Quinta Giornata della Comunicazione di impresa - Comunicare per
crescere dall'Italia all'Estero, Milano 14 Novembre 2006; Stampato in proprio.
M. Viviani (a cura di), Il coinvolgimento degli stakeholder nelle organizzazioni
socialmente responsabili, Maggioli Editore, Firenze 2006.
218
SITOGRAFIA
www.acop.it
ACOP srl
www.apat.gov.it/emas
Agenzia per la protezione dell’ambiente ed i servizi tecnici
www.assocomunicazione.it
Associazione delle imprese di Comunicazione
www.bicaonline.it
Biennale internazionale di comunicazione ambientale
www.cantieripa.it/inside.asp?id=2065
Dipartimento della Funzione Pubblica, programma per l’innovazione della
Pubblica Amministrazione – Piani di Comunicazione nella PA
www.cittadinanzattiva.org
Cittadinanza Attiva
www.csrcampaign.org
Ministero del Welfare – Campagna di diffusione della CSR
www.csreurope.org/uploadstore/cms/docs/SMEKey.pdf
Smekey - Programma sviluppo e diffusione della responsabilità sociale nelle
imprese europee
www.daldirealfare.eu
Salone della Responsabilità sociale di Impresa
www.distrettodelmobilelivenza.it
Portale del Distretto-Consorzio del Mobile Livenza
219
www.eticare.it
Eticare - Associazione per lo sviluppo di un economia sostenibile
www.ervet.it/emas
Emilia Romagna Valorizzazione Economica del Territorio
www.europa.eu.int/comm/enterprise/entrepreneurship.htm
Imprenditoria socialmente responsabile nelle PMI:
www.ec.europa.eu/enterprise/csr/index_en.htm
Sito della Commissione Europea ,sezione dedicata alla CSR nelle imprese
www.federlegno.it/associazioni
Federazione italiana industriali del settore legno
www.feem.it/Feem/Pub/Publications/default.htm
Fondazione Enrico Mattei
www.ferpi.it
Sito ufficiale della Federazione Italiana Relazioni Pubbliche
www.fondazionenordest.net
Fondazione Nord-Est - per lo sviluppo economico e sociale del Triveneto
www.global reporting.org
GRI-Guidelines for Sustainability Reporting
www.i-csr.it
italian Centre of CSR (I-CSR)
www.improntaetica.it
Associazione di promozione di pratiche etiche nelle imprese
220
www.iso.org
International standard organisation
www.istud.it/articoli&pubblicazioni/2006.htm
Fondazione ISTUD per la cultura di impresa e di gestione
www.isvi/ricerche.htm
Istituto per la Ricerca dei Problemi Sociali dello Sviluppo
www.lavoroetico.it
Portale delle professionalità socialmente responsabili
www.mi.camcom.it
Camera di Commercio di Milano
www.pentapolis.it
Associazione per la diffusione della Responsabilità Sociale d’Impresa
www.praxa.it/news
Portale delle PMI
www.provincia.re.it/ambiente
Sezione Ambiente sito della Provincia di Reggio Emilia
www.rsinews.it
Giornale on-line di notizie sulla CSR
www.sa8000.it
Norma SA 8000
www.sodalitas.org
Sodalitas-Associazione per la promozione dell’imprenditoria sociale facente
capo ad Assolombarda
221
www.sportellocsr-sc.roma.it
Sportello CSR della Camera di Commercio di Roma
www.starnet.unioncamere.it
Servizio di Statistica delle Camere di Commercio
www.unioncamere.it/csr.htm
Sito Unioncamere sulla CSR
www.welfare.gov/csr
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali per la CSR
223
INDICE
Introduzione
III-IV
PARTE PRIMA
Capitolo 1
La CSR fra etica, morale e business
1.1
pag
7
Cos’è la CSR
1.1.1 Definizione e storia
3
1.1.2 Caratteristiche
6
1.1.3 Politiche di CSR
9
1.2
La CSR nelle PMI
1.2.1 Esiste una CSR a misura di PMI?
15
1.2.2 Posizioni istituzionali per lo sviluppo della CSR nelle PMI
19
1.2.3 Evidenze empiriche
22
Capitolo 2
La comunicazione nella CSR
2.1
pag 29
Il ruolo della comunicazione nelle strategie di CSR
2.1.1 La teoria degli stakeholder come presupposto
29
2.1.2 La leva della comunicazione nella CSR
34
2.2
Gli strumenti di CSR fra gestione e comunicazione
2.2.1 L’indissolubilità di gestione e comunicazione
43
2.2.2 Strumenti di CSR
44
2.2.2.1 Codice etico
2.2.2.2 Volontariato di impresa
2.2.2.3 Cause Related Marketing
224
2.2.2.4 Bilancio sociale, ambientale, di sostenibilità
2.2.2.5 Le certificazioni
2.3
La comunicazione di CSR nelle PMI
2.3.1 Caratteristiche della comunicazione nelle PMI
54
2.3.2 Comunicare la CSR nelle PMI
55
PARTE SECONDA
Capitolo 3
Gestire l’ambiente con responsabilità
3.1
pag 59
La salvaguardia ambientale nella CSR
3.1.1 L’ambiente come prima responsabilità sociale
59
3.1.2 Esternalità riversate nell’ambiente
61
3.1.3 Il rapporto fra risorse naturali ed azienda
63
3.1.4 La comunicazione della variabile ambientale
64
3.2
Implementare la CSR ambientale con le certificazioni
3.2.1 Certificare il grado di qualità ambientale
69
3.2.2 Le principali certificazioni di prodotto
71
3.2.2.1 TIPO I: Ecolabel
3.2.2.2 TIPO III: Dap o Epd
3.2.3 Le certificazioni di processo
3.2.3.1 ISO 14001
3.2.3.2 Emas
a. Applicazione di Emas
b. La comunicazione in Emas: prescrizioni
della norma ISO 14001 e la nuova norma ISO 14063
PARTE TERZA
76
225
Capitolo 4
Un Distretto, tanti attori, un progetto ambientale di rilancio
pag 103
4.1
Il modello distrettuale italiano fra l’inaspettato
successo e l’inevitabile crisi
4.1.1 Definizione e caratteristiche
103
4.1.2 La crisi dei distretti
109
4.1.3 Le soluzioni concrete per uscire dalla crisi
114
4.2
Il Nordest ed i distretti industriali
4.2.1 La Terza Italia
124
4.2.2 I distretti del Friuli Venezia Giulia
127
4.2.3 I distretti del Mobile
132
4.2.3.1 Il distretto del mobile della Brianza
4.2.3.2 Il distretto del mobile di Pesaro
4.3
Il Distretto del Mobile del Livenza
4.3.1 Un distretto, due regioni
139
4.3.2 Evoluzione storica e caratteristiche odierne
143
4.3.3 Anno Domini 2000:progetti e sfide competitive del
Distretto del Mobile per il nuovo millennio
153
Capitolo 5
La comunicazione nel distretto, al distretto per il distretto
pag 157
5.1
Un progetto di ripristino ambientale
5.1.1 L’ideazione e realizzazione del Progetto di Sviluppo
EMAS del Distretto
5.1.2 Il ruolo della comunicazione nel Progetto EMAS
157
168
del Distretto del Mobile Livenza
5.2
Sistemi di comunicazione a confronto
5.2.1 Il consorzio del Mobile Livenza
5.2.1.1 Struttura, caratteristiche, finalità e strumenti
170
226
della attività di comunicazione
5.2.1.2 Future attività di comunicazione ambientale
5.2.1.3 Osservazioni
5.2.2 Il Comune di Pasiano
180
5.2.2.1 Struttura, caratteristiche, finalità e strumenti
della attività di comunicazione
5.2.2.2 Future attività di comunicazione ambientale
5.2.2.3 Osservazioni
5.2.3 ACOP srl
190
5.2.3.1 Struttura, caratteristiche, finalità e strumenti
della attività di comunicazione
5.2.3.2 Future attività di comunicazione ambientale
5.2.3.3 Osservazioni
5.2.4 Deduzioni riassuntive
193
Conclusioni
pag 197
Appendice
pag 203
Intervista ad Alessandro Zanetti
204
Bibliografia
pag 211
Sitografia
pag 218
Indice
pag 223
Ringraziamenti
227
RINGRAZIAMENTI
La vita ci riserva cose inaspettate e capire di far solamente parte della giostra ti
rende di colpo più fragile, più insicuro, più sfiduciato.
Allora, ho cercato di guardarmi attorno, cercando delle risposte.
Ho trovato Emanuela, Flavia, Angela: tre modelli di donne a cui vorrei
assomigliare, prima ancora di essere le mie adorate sorelle.
Ho scoperto, incredula, la forza rivelata e tutta la fragilità celata di mia madre.
Ho trovato la disponibilità e la pazienza della professoressa Mariapaola
LaCaria, un’insegnante che oltre alla sua professionalità regala con garbo e
senza riserve la sua morale, la sua passione ed il suo affetto.
Ho visto la fiducia del Sindaco del Comune di Pasiano Claudio Fornasieri e di
tutti gli Assessori ed i Consiglieri della maggioranza, che mi hanno permesso di
operare ed agire sempre a pieno titolo come collaboratrice e non come stagista
presso il Comune.
Ho ascoltato parole, battute, idee, ironia, coraggio, entusiasmo e l’intelligenza
davvero sensibile del Vicesindaco Pier Carlo Begotti, al quale devo molte delle
possibilità che mi sono state regalate.
Ho stimato il travolgente entusiasmo ed apertura del Presidente dei Giovani
Industriali di Pordenone Alessandro Zanetti, che mi fa sperare in un Nordest più
comunicativo e…grintoso.
Ho apprezzato il pragmatismo del Presidente del Consorzio del Mobile Livenza
Omero Ronchese.
Ho tentato di emulare la leggerezza della precisione di Giada, con cui ho
condiviso le emozioni di fiducia per questo progetto e quasi simultaneamente
un immenso dolore.
Ho cercato negli occhi pieni di emozioni e di empatia di Candu, nei silenzi nella
rispettosa perspicacia di Marina, nelle parole lontane di Menchi, e soprattutto
nel sorriso e nell’instancabile, travolgente, impetuoso e fiducioso entusiasmo
per la vita di Vania…
…e le mie amiche hanno sempre regalato(?).
Ho trovato sette anni di innocente trasporto alla bellezza del quotidiano, di
magia, di pensieri semplici ma profondi in tutti i ragazzi che ho avuto la fortuna
di animare e conoscere in colonia a Lignano Sabbiadoro…ed ho incontrato
persone come Elena, Giovanna, Ivan, Ema, Mattia, Macca, che si sono
innamorati di questa trasparenza e come me si sforzano di non dimenticare la
lezione.
A ciascuno di voi devo molto. Grazie.