26 VENERDÌ 31 GENNAIO 2014 Graffiti LE STORIE DEL PASSATO Il Professore Aveva un caratterino da “prima donna” Quando Raffaele decise di fondare l’F.B.C. Casale Pubblichiamo un estratto del racconto di Giancarlo Ramezzana su Jaffe contenuto del libro “Campioni d’Italia” CASALE MONFERRATO Raffaele Jaffe, era nato ad Asti l’11 ottobre 1877 e scomparirà nel campo di sterminio di Auschwitz (Polonia) vittima del fanatismo razziale nel 1944. Dalla lettura del Libro della Memoria di Liliana Picciotto Fargion - Mursia 1991 - apprendiamo che venne arrestato a Casale Monferrato mercoledì 2 febbraio 1944 a seguito della sua passata appartenenza alla fede ebraica e che a nulla gli valse l’attenuante di essersi da anni convertito al cattolicesimo. Rinchiuso nelle carceri casalesi di via Leardi, successivamente trasferito al campo di Fossoli (MO) e poi a quello di Verona da dove, il 2 agosto, partì con uno degli ultimi convogli di deportati destinati al tristemente noto campo di sterminio. Come molti, appena arrivato, non avendo superato la selezione iniziale, venne subito eliminato. Era il 6 agosto 1944 e non aveva ancora compiuto 67 anni. In gioventù il Professore Raffaele Jaffe era stato ideatore e fondatore della società “FootBall Club Casalese” della quale resse le sorti in qualità di presidente effettivo sino all’arrivo dell’ingegnere Oreste Simonotti. Figura eterogenea nella storia del calcio casalese, ha sempre goduto delle simpatie dei casalaschi di ogni epoca oltre che per la triste sorte capitatagli anche per l’immagine austera, compassata resa ancor più interessante dagli occhialini alla Cavour che portava come simbolo intellettuale che non, per quanto traspare dal suo agire, dalla vera conoscenza del suo carattere un tantino capriccioso, da prima donna, specialmente se ci si inoltrava in vicende che riguardavano il F.B.C. Casale che, giustamente, reputava sua unica creatura tanto da vantarsi con tutti, a voce e per iscritto, di esserne il factotum, il mecenate, l’allenatore, il giornalista e il lustrascarpe al medesimo tempo. Fatalmente nelle fila della Dirigenza del Club esisteva un altro personaggio che poteva vantare pari meriti, se non anche, dal punto di vista storico-sportivo, ben più importanti dei suoi. Era questi il Professore Gerolamo Occoferri, torinese classe 1864 vero padre del FootBall casalese che, sin dal primo giorno della sua nomina a Preside del Regio Istituto Leardi nel 1904, coadiuvato dai maestri di ginnastica Federico e Felice Farina, padre e figlio, aveva invogliato e incoraggiato i suoi giovani studenti a praticare questo nuovo sport d’importazione inglese nell’ampio cortile della scuola. A dimostrazione che due prime donne non possono coesistere in una stessa compagnia teatrale, lo dimostra la diatriba che scoppiò ben presto tra questi due padri del calcio casalese. Che l’idillio fra i due non fosse tutto all’acqua di rose lo si era già intuito quando, in occasione delle gare studentesche di Milano indette dal quotidiano “Il Secolo”, la figura del Preside del Leardi ebbe maggior risalto di quella del Presidente del Club nerostellato e lo si notò ancor più il giorno dopo allorchè, in occasione dei festeggiamenti in Comune ai nostri studenti Campioni d’Italia, molti dei quali tesserati per il F.B.C. Casale, non sfuggì ai convenuti l’assenza a Palazzo San Giorgio del Professore. La giustificazione a tal riguardo, mancanza di permesso di assentarsi dalle lezioni, fu talmente banale che nessuno ci credette. Obiettivamente, trattandosi di una manifestazione studentesca, era più che logico e naturale che fosse proprio il Preside dell’istituto vittorioso ad essere il più congratulato, ma questo particolare non garbò molto a Jaffe che in qualità di Presidente effettivo del Casale riteneva, o forse ancor più esigeva, pari riconoscimenti come se ad ogni successo del F.B.C. Casale il Preside del “Leardi” avesse preteso di essere citato perché la gran parte dei giocatori erano suoi studenti. L’idillio, se mai ci fu, era ormai finito per volontà di uno dei due ed è facile sospettare di chi. Non si aspettava altro che un pretesto per rompere quel legame che durava da appena quattro mesi. L’occasione arrivò quasi subito a seguito di un invito fatto al Comando della Regia Marina per poter far disputare una partita tra le formazioni vincitrici le Targhe d’Oro riservate agli Studenti e alle Forze Armate, vale a dire Regio Istituto Leardi contro Regia Nave Militare Amalfi. Il Professore credendosi ancora una volta destinato ad avere una parte di secondo piano tirò un formidabile tripping (sgambetto) all’amico Preside. Rassegnando le dimissioni da Presidente del Casale, causò la caduta del Consiglio Direttivo dove l’Occoferri ricopriva la carica di Presidente Onorario ed evitando una pubblica polemica verbale si liberò definitivamente dell’ingombrante figura del preside. Non esistendo più il Direttivo del F.B.C. Casale, gli studenti ad esso tesserati non potevano ottenere il regolare nulla osta per partecipare ad incontri non ufficiali e conseguentemente si creò l’illogica situazione che il Leardi non era più in grado di allestire una formazione capace a difendere degnamente il prestigio conseguito appena pochi giorni prima. Fu questo un vero colpo basso per l’Occoferri, ma il caso volle che la partita venisse rinviata ed inserita come clou delle gare sportive che si sarebbero svolte a Casale Monferrato in occasione della tradizionale festività di San Pietro e Paolo a fine giugno. Creatosi nel frattempo un nuovo Consiglio direttivo con l’esclusione dello scomodo preside e la riconferma alla Presidenza di Jaffe, questi, in prossimità delle manifestazioni suddette, mandò al bisettimanale L’Avvenire, un comunicato che, pubblicato il 24 giugno 1910, Giampaolo Pansa ha ricordato Jaffe su “Libero” Per amore divenne cattolico e si fece pure battezzare... ma la “Balilla” portò via anche lui così diceva: «Il F.B.C. Casale non prende parte ufficiale alle gare di calcio indette in occasione delle feste di San Pietro e Paolo per il motivo seguente: il Presidente del F.B.C. Casale venne dal Comitato organizzatore di dette feste nominato a far parte della Commissione per le gare di Foot-Ball. Incaricato dagli altri membri, ebbe uno scambio di lettere e telegrammi con la Squadra della Regia Nave Amalfi della quale cercò l’adesione, pregando, per deferenza, in caso di accettazione di darne avviso al Preside dell’Istituto Leardi, prof. Occoferri. Questi, ricevuto il telegramma di adesione, non credette di darne notizia al presidente del Foot-Ball Club Casale ed iniziò per conto proprio il lavoro preparatorio delle gare in programma. Dato questo, il F.B.C. Casale si trova nella dolorosa necessità di astenersi dal partecipare alle feste: si associa però...ecc. ecc»”. La risposta del prof. Occoferri non si fece attendere; preci- Martedì scorso sul quotidiano “Libero” il noto giornalista e scrittore Giampaolo Pansa, ha firmato un ampio articolo dal titolo “Così la mia città partecipò allo sterminio”, un servizio nell’ambito della Giornata della memoria. La sua città è Casale e il lungo racconto vede al centro una Balilla nera, «un auto di aguzzini fascisti che andava a caccia di giudei». Pansa passa in rassegna chi era stato catturato dai fascisti. Tra questi Raffaele Jaffe «68 anni, il fondatore della squadra di calcio cittadina, il Casale Fbc... Scapolone inveterato, arrivato alla mezza età Jaffe s’innamorò di una signorina assai più giovane di lui. Per sposarla in chiesa, come lei voleva, divenne cattolico e si fece battezzare assai prima che il regime fascista varasse le leggi razziali. Per questo pensava di essere al riparo dalla bufera. Mostrò il certificato di battesimo ai poliziotti della Balilla nera. Ma loro alzarono le spalle e lo portarono in carcere». Alla figura di Raffaele Jaffe pubblichiamo, in questa pagina, due contributi di Giancarlo Ramezzana e Gianni Turino. in qualità di soci del F.B.C. Casale. Ecco la verità pura e semplice signor direttore. Per conto mio, soggiungo che il Professore Raffaele Jaffe, può dormire i suoi sonni tranquilli. Io non intendo né invidiare, né usurpare a quel baldo ed appassionato e valorosissimo sportman gli allori ond’egli ama recingersi la fronte. Solamente vorrei raccomandargli di essere, nell’avvenire, meno avventato ed incauto nelle sue affermazioni. Con ossequio - Gerolamo Occoferri». Ora tutta la Casale sportiva era a conoscenza dei fatti e poteva giudicare chi fosse o no dalla L’ I L L U S T R A Z I O N E di M A X R A M E Z Z A N A sa, secca e lapidaria apparve pubblicata nell’edizione del 28 giugno. Nelle sue conclusioni afferma: «In ogni caso tengo a precisare che i giovani dell’Istituto Tecnico Leardi avrebbero giocato qui, come già a Milano, in qualità di rappresentanti della scuola che io dirigo e non parte della ragione. Jaffe approfittando anche della sua posizione in seno al giornale (era corrispondente sportivo) consegnò alla stampa ancora un comunicato datato 30 giugno che saggiamente la Redazione non divulgò nella sua completezza limitandosi a sintetizzarlo in poche righe al fine di placare una polemica i cui sviluppi stavano già prendendo una brutta piega dato che in città incominciavano a formarsi due fazioni. Sicuramente il Professore in quei giorni peccò di eccessivo protagonismo frammisto a ingiustificata gelosia (...). Da quel giorno risulta che i due ebbero solo contatti formali, ma due anni dopo (1912) allorquando il Regio Istituto Leardi dovette rimettere in palio la Targa d’Oro, la società del Foot-Ball Club Casale fu ben lieta di permettere ai suoi tesserati-studenti di difendere il nome di quel loro Istituto che da più di mezzo secolo era già un vanto per la città. Il prezioso ed ambito Trofeo, opera dello scultore casalese Leonardo Bistolfi tornò definitivamente a Casale Monferrato (a proposito...chissà che fine ha fatto!) e mentre il Preside, Professore Occoferri, lo riceveva dalle mani di capitan Luigi Barbesino per collocarlo in bella mostra tra le varie targhe e coppe vinte dall’Istituto, il suo sguardo si incrociò con quello compiacente di colui che già era il N. 1 del Club e che di lì a pochi mesi sarebbe diventato ufficialmente il nuovo Presidente nerostellato... Oreste Simonotti. Eravamo a fine estate del 1912 quando il Professore, sacrificando il proprio orgoglio, rinunciò alla tutela della sua creatura affidandola al munifico Ingegnere Simonotti che la fece crescere nella tranquillità economica per vederla poi di lì a poco tempo trionfare in Italia. Sempre in quell’anno Raffaele Jaffe venne eletto a ricoprire l’ambita carica di Consigliere della Federazione Italiana del Giuoco Calcio. Dopo aver firmato (10 aprile 1919) con il Ragioniere Edoardo Zardetti ed il Geometra Carlo Gambotto l’incorporazione del U.S. Sparta nel F.B.C. Casale, facendo così nascere l’U.S. Casale F.B.C., uscì dalla società nerostellata all’inizio degli anni venti, continuando a seguirne sempre le gesta in qualità di critico sportivo, diventandone per anni il suo più competente ma severo giudice. Giancarlo Ramezzana FINÌ 1-0 PER I GRANATA: ERA IL CAMPIONATO 1922/1923, LEGA NORD-GIRONE A Gennaio 1923 Casale-Torino La foto che pubblichiamo qui a destra (inviataci da Luigi Ubertazzi) ritrae i giocatori del Casale e del Torino in occasione della partita del campionato Lega Nord - Girone A: era il 7 gennaio 1923. Alla fine il risultato (secondo i dati raccolti da Giancarlo Ramezzata) fu di 1-0 per i granata. Tra i nerostellati si notano da sinistra: Degiovanni, Riccio, Albertoni, Mattea I, Grasso, Bargero (coperto da Grasso), Greppi, Gallino, Ferrari II, Sartorio (coperto da Ferraris), Caligaris. Il viaggio Da Casale a Fossoli e poi ad Auschwitz Il Professor Jaffe deportato e reo per l’origine ebrea CASALE MONFERRATO “Furono presi e condotti come agnelli al macello, stipati in treni di ferro che correvano su rotaie di ferro, come di ferro furono i chiodi che trafissero mani e piedi al Cristo…” (anonimo) Il treno correva per lande sconosciute, e non c’erano finestrini per ammirarne il panorama. Il vagone era piombato, solo qualche buco qua e là nel soffitto e lungo le pareti per evitare l’asfissia. Era un vagone che i treni “merci” usavano per il bestiame; solo che il bestiame era tenuto con cura; c’era la greppia con il fieno e le conchiglie in legno con l’acqua, mentre gli uomini erano stipati e schiacciati uno sull’altro. Ognuno cercava per se spazio vitale, e questo, «come sta scritto nelle leggi di fisica - pensava il professore - è a scapito di un altro... data l’impenetrabilità dei corpi...». «Professore - sentì come in sogno una voce lontana - professore...: salvo la ben nota, dolce, favolosa eccezione...». Gli venne da sorridere... a chi apparteneva la voce di quel birbante? A Bertinotti? A Rosa? A Barbesino, o forse era Cavasonza? Chissà dove erano e se c’erano ancora con questa follia che ha travolto il mondo? Benedetti, cari ragazzi! Quanti anni, come tutto era passato così in fretta, quale rullo compressore era stato il tempo! Gli venne in mente Agostino: il passato non è che il presente della memoria ed il futuro, il presente della speranza... ma c’era ancora spazio per la speranza? Il Professore, con gli occhiali tondi alla Cavour sulla punta del naso rannicchiato in angolo del vagone con il mento puntato sulle braccia strette attorno alle ginocchia, guardava i suoi compagni di tradotta che lottavano - con rabbia, cattiveria e prepotenza - per carpire qualche centimetro di comodità, qualche privilegio. L’aveva già riscontrato a Fossoli, il paesino vicino a Carpi in provincia di Modena, nel famigerato ex campo prigionieri di guerra n. 73 utilizzato dai tedeschi come centro poliziesco e di transito per i prigionieri politici e razziali destinati ai lager del nord Europa. Il Professore era stato arrestato dalle brigate nere a Casale il 14 febbraio 1944 in una retata di ebrei nonostante si fosse convertito alla religione cattolica fin dal 1937, ben prima delle leggi razziali. Fu internato subito a Fossoli dove ebbe modo di conoscere, per i pochi giorni che ancora vi rimase, Primo Levi che partì per Auschwitz il 22 febbraio e vi giunse il 26. Primo Levi, con altri 24 deportati su oltre mille, superò la prima selezione e fu immesso nel campo con il numero di matricola 174517 (...). Faceva un caldo infernale, erano i primi giorni di agosto, ed il sudore appiccicava la pelle ai vestiti. Il treno ogni tanto sbuffava e lanciava un sibilo; chissà se fuori c’erano alberi che correvano... chissà... Sembrava solo ieri, ma in realtà come era lontano - più nello spazio che nel tempo - quel viaggio in treno da Casale a Torino con la sua bambina! «Come fanno, papà, gli alberi a correre...?». «Corriamo tutti , Tilde, nella vita - aveva risposto - come vedi corrono anche i pali del telegrafo...»; e la moglie, alta, bella, tanto più giovane di lui, così amata - e così amato - aveva sorriso... Poi gli aveva passato una mano fra i capelli. «Senti, Lele, pure lo sferragliare del treno è musica...». Sua moglie amava la musica, e la insegnava... «Si, Luigina, quando il cuore è sereno, tutto è musica... e anche quando non è sereno...». E anche quando è disperato, pensava ora. Il rullio del treno lo appisolò e si trovò su un altro treno, sempre con i vestiti appiccicati da sudore, ma i finestrini specchiavano il mare... Era l’estate di trent’anni prima, il 14 luglio del 1914... I nerostellati casalesi tornavano da Roma dove si erano cuciti lo scudetto battendo la Lazio per 2-0 dopo aver vinto, il 5 luglio al Priocco di Casale, la partita di andata per 7-1. Già, i nerostellati... La Provercelli era “bianca” e allora... Ricordava, il Professore, quella mattina del gennaio 1909. Era arrivato a scuola con un diavolo per capello. La Provercelli, dopo aver vinto due campionati di seconda categoria ed il campionato nazionale del 1908, è di nuovo in lotta per il primato nel girone dell’Italia settentrionale e tutto lascia pensare che possa bissare –come in effetti succederà - il titolo nazionale dell’anno precedente. I vecchi casalesi di razza, perdono il sonno: è un qualcosa di inaudito! Il Professore si fa interprete di questo disagio; raduna gli allievi periti commerciali ed agrimensori degli ultimi anni e gli fa il seguente discorso: «Nel 1215 i vercellesi, che per ottenere qualche risultato avevano dovuto allearsi con Milano ed Alessandria, rasero al suolo Casale del cui sviluppo, sociale e culturale, avevano vivo fastidio. Ci volle del tempo, ma i casalesi, nel 1403 risposero per le rime riducendo Vercelli ad uno zerbino e riappropriandosi delle vecchie prede di guerra. Da allora i vercellesi non hanno perso occasione per farci dispetto. Ora, dopo aver vinto un campionato nazionale di foot-ball sono in procinto di fare il bis: non si può andare avanti così - disse scandendo le sillabe ed alterando il timbro della voce - bisogna fare qualcosa, se non li fermiamo noi , non li ferma nessuno!». Fu a lungo applaudito; il vecchio salone del Leardi, un tempo salotto raffinato della nobiltà locale, abituato ai pettegolezzi ed agli intrecci amorosi delle dame, sussultò a quelle grida rivoluzionarie. Pochi giorni dopo - era il 17 gennaio - gli studenti decisero di aggregarsi all’iniziativa del professore; nasceva ufficiosamente il Casale; formalizzato poi in Casale Foot-Ball Club. Bisognava scegliere la maglia: «Che maglia ha la Provercelli?» chiese il Professore che al proposito aveva le idee chiare. «Bianca!» risposero gli allievi. «Benissimo - replicò il Professore - noi l’avremo nera!». Acclamazione di approvazione e primo dubbio. «Avremo bisogno di un sacco di fortuna - disse il quasi geometra Bertinotti che aveva frequentato per alcuni anni le scuole a Vercelli e conosceva bene il valore dei bianchi - Qui, se non abbiamo una stella che ci protegga, ne prendiamo un sacco ed una sporta...». «Metteremo la stella sulla maglia» rispose il Professore assumendo seduta stante la presidenza, che cedette due anni dopo all’ingegner Simonotti di cui rimase prezioso collaboratore. Per la cronaca - per la storia? - riferisco quello che mi fu raccontato nel lontano 1960 dal geometra Luigi Cavasonza, nerostellato dei tempi eroici, di cui ero allora giovane collega alla Marchino dove Cavasonza - che aveva settantaquattro anni; io ne avevo poco più di diciannove - svolgeva mansioni di archivista: le prime casacche nerostellate furono procurate dalla Ciapatela, che abitava al Rotondino ed era la lavandaia del tranvain. Disse ai suoi capi che una quindicina di camiciotti neri, erano “più di là che di qua” senza alcuna possibilità di rammendo e perciò li aveva buttati via. «Bene - commentò il direttore del tranvain, che era il ‘vice’ di Jaffe nella nuova società calcistica hai fatto proprio bene...». La stella, la ritagliò, dal feltro che serviva per coprire i tavoli della sala professori, la bidella Delina che provvide anche a cucirle. Al preside che le chiedeva spiegazioni, la Delina spiegò che, «...il feltro sta meglio un po’ più stretto... così si vedono i bordi arabescati del tavolo…». Il preside bonfochiò, si lisciò la barba ed attorcigliò i baffi…e se ne andò senza dire nulla. Questa versione, mi fu sostanzialmente confermata, nelle sue linee essenziali, nel 1968 mentre realizzavo la storia del Casale per l’enciclopedia mondiale del calcio - dagli scudettati Ravetti, Ferraris, Rosa, Bertinotti. La Provercelli vinse lo scudetto, ancora nel 1909, 1911, 1912, 1913... ma nel ’14, i il Casale nerostellato la fermò! (...) Stipati nei convogli ferroviari... Da Fossoli aveva visto partire sette convogli ferroviari stipati all’inverosimile di disperati; non ne conosceva la destinazione ma sottovoce si sussurrava un nome misterioso: Auschwitz. Il 12 luglio nel campo di Fossoli furono trucidati, a caso, 67 prigionieri come rappresaglia per l’uccisione a Genova di sei soldati tedeschi. «Siamo alla fine del mondo - aveva detto fra sè e sè il Professore che, con tutti gli altri prigionieri era stato costretto ad assistere all’eccidio - il mondo è alla fine». Il 2 agosto fu allestito l’ultimo convoglio di deportati: l’ottavo. Il campo veniva abbandonato e trasferito a Bolzano-Greis dove parte dei prigionieri vennero dirottati. Gli altri, fra cui il Professore, proseguirono per Auschwitz. Il treno correva... Nel carro bestiame piombato nel quale i deportati si affastellavano l’uno sull’altro senz’acqua, aria e cibo, gli odori, anzi lezzo acuito dal calore, era insopportabile. «In queste condizioni l’uomo - pensava il Professore - si degrada, ritorna bestia...è la sua dissoluzione, la sua disgregazione... è molto peggio che morire...; e sono già quattro giorni infernali... ma dove finiremo mai, avrà fine questo calvario?...amore mio ...finirà mai?...». Un grande stridore di freni, la porta del vagone che si spalanca ed un urlo: Auschwitz. L’aria, anche se inacidita dal fumo della locomotiva, gli riempì i polmoni di vita mentre la luce improvvisa lo abbagliò. Qualcuno lo spinse bruscamente giù lo dal vagone; cadde sulla pensilina sbattendo il capo e rompendo una lente degli occhialini alla Cavour.: «Troverò qualcuno - mormorò - che me la sostituirà... se servirà...». Non servì; era il 6 agosto sera; il 7 pomeriggio fu sottoposto, con tutti gli altri, alla rituale selezione. Non la passò, e l’8 agosto 1944, mentre il cielo impazziva per il canto delle cicale, il professor Raffaele Jaffe, già docente dell’Istituto per agrimensori e periti commerciali Leardi e preside dell’Istituto magistrale Giovanni Lanza di Casale, reo per l’origine ebrea - fu condotto, ufficialmente per fare una doccia, nella camera a gas. Gianni Turino
© Copyright 2024 Paperzz