e fondatore del FBC Casale

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VENERDÌ 31 GENNAIO 2014
Graffiti
LE STORIE
DEL PASSATO
Il Professore Aveva un caratterino da “prima donna”
Quando Raffaele
decise di fondare
l’F.B.C. Casale
Pubblichiamo un
estratto del racconto di
Giancarlo Ramezzana
su Jaffe contenuto del
libro “Campioni d’Italia”
CASALE MONFERRATO
Raffaele Jaffe, era nato ad Asti
l’11 ottobre 1877 e scomparirà nel campo di sterminio di
Auschwitz (Polonia) vittima
del fanatismo razziale nel 1944.
Dalla lettura del Libro della
Memoria di Liliana Picciotto
Fargion - Mursia 1991 - apprendiamo che venne arrestato
a Casale Monferrato mercoledì
2 febbraio 1944 a seguito della sua passata appartenenza
alla fede ebraica e che a nulla
gli valse l’attenuante di essersi
da anni convertito al cattolicesimo. Rinchiuso nelle carceri
casalesi di via Leardi, successivamente trasferito al campo
di Fossoli (MO) e poi a quello di Verona da dove, il 2 agosto, partì con uno degli ultimi
convogli di deportati destinati
al tristemente noto campo di
sterminio. Come molti, appena
arrivato, non avendo superato
la selezione iniziale, venne subito eliminato. Era il 6 agosto
1944 e non aveva ancora compiuto 67 anni.
In gioventù il Professore Raffaele Jaffe era stato ideatore e
fondatore della società “FootBall Club Casalese” della quale
resse le sorti in qualità di presidente effettivo sino all’arrivo
dell’ingegnere Oreste Simonotti. Figura eterogenea nella
storia del calcio casalese, ha
sempre goduto delle simpatie
dei casalaschi di ogni epoca
oltre che per la triste sorte capitatagli anche per l’immagine
austera, compassata resa ancor
più interessante dagli occhialini alla Cavour che portava come simbolo intellettuale che
non, per quanto traspare dal
suo agire, dalla vera conoscenza del suo carattere un tantino
capriccioso, da prima donna,
specialmente se ci si inoltrava
in vicende che riguardavano il
F.B.C. Casale che, giustamente, reputava sua unica creatura
tanto da vantarsi con tutti, a
voce e per iscritto, di esserne
il factotum, il mecenate, l’allenatore, il giornalista e il lustrascarpe al medesimo tempo.
Fatalmente nelle fila della Dirigenza del Club esisteva un altro
personaggio che poteva vantare pari meriti, se non anche, dal
punto di vista storico-sportivo,
ben più importanti dei suoi.
Era questi il Professore Gerolamo Occoferri, torinese classe 1864 vero padre del FootBall casalese che, sin dal primo giorno della sua nomina a
Preside del Regio Istituto Leardi nel 1904, coadiuvato dai
maestri di ginnastica Federico
e Felice Farina, padre e figlio,
aveva invogliato e incoraggiato
i suoi giovani studenti a praticare questo nuovo sport d’importazione inglese nell’ampio
cortile della scuola.
A dimostrazione che due prime donne non possono coesistere in una stessa compagnia
teatrale, lo dimostra la diatriba
che scoppiò ben presto tra questi due padri del calcio casalese. Che l’idillio fra i due non
fosse tutto all’acqua di rose lo
si era già intuito quando, in
occasione delle gare studentesche di Milano indette dal
quotidiano “Il Secolo”, la figura del Preside del Leardi ebbe
maggior risalto di quella del
Presidente del Club nerostellato e lo si notò ancor più il giorno dopo allorchè, in occasione
dei festeggiamenti in Comune
ai nostri studenti Campioni d’Italia, molti dei quali tesserati
per il F.B.C. Casale, non sfuggì
ai convenuti l’assenza a Palazzo San Giorgio del Professore.
La giustificazione a tal riguardo, mancanza di permesso di
assentarsi dalle lezioni, fu talmente banale che nessuno ci
credette. Obiettivamente, trattandosi di una manifestazione
studentesca, era più che logico
e naturale che fosse proprio il
Preside dell’istituto vittorioso
ad essere il più congratulato,
ma questo particolare non garbò molto a Jaffe che in qualità
di Presidente effettivo del Casale riteneva, o forse ancor più
esigeva, pari riconoscimenti
come se ad ogni successo del
F.B.C. Casale il Preside del “Leardi” avesse preteso di essere
citato perché la gran parte dei
giocatori erano suoi studenti.
L’idillio, se mai ci fu, era ormai
finito per volontà di uno dei
due ed è facile sospettare di
chi. Non si aspettava altro che
un pretesto per rompere quel
legame che durava da appena quattro mesi. L’occasione
arrivò quasi subito a seguito
di un invito fatto al Comando
della Regia Marina per poter
far disputare una partita tra le
formazioni vincitrici le Targhe
d’Oro riservate agli Studenti
e alle Forze Armate, vale a dire Regio Istituto Leardi contro
Regia Nave Militare Amalfi. Il
Professore credendosi ancora
una volta destinato ad avere
una parte di secondo piano tirò
un formidabile tripping (sgambetto) all’amico Preside.
Rassegnando le dimissioni da
Presidente del Casale, causò la
caduta del Consiglio Direttivo
dove l’Occoferri ricopriva la carica di Presidente Onorario ed
evitando una pubblica polemica verbale si liberò definitivamente dell’ingombrante figura
del preside. Non esistendo più
il Direttivo del F.B.C. Casale,
gli studenti ad esso tesserati
non potevano ottenere il regolare nulla osta per partecipare ad incontri non ufficiali
e conseguentemente
si creò l’illogica situazione che
il Leardi non era più in grado
di allestire una formazione capace a difendere degnamente
il prestigio conseguito appena
pochi giorni prima.
Fu questo un vero colpo basso
per l’Occoferri, ma il caso volle
che la partita venisse rinviata ed inserita come clou delle
gare sportive che si sarebbero
svolte a Casale Monferrato in
occasione della tradizionale
festività di San Pietro e Paolo
a fine giugno.
Creatosi nel frattempo un nuovo Consiglio direttivo con l’esclusione dello scomodo preside e la riconferma alla Presidenza di Jaffe, questi, in prossimità delle manifestazioni suddette, mandò al bisettimanale
L’Avvenire, un comunicato che,
pubblicato il 24 giugno 1910,
Giampaolo Pansa ha ricordato Jaffe su “Libero”
Per amore divenne cattolico
e si fece pure battezzare...
ma la “Balilla” portò via anche lui
così diceva: «Il F.B.C. Casale
non prende parte ufficiale alle
gare di calcio indette in occasione delle feste di San Pietro
e Paolo per il motivo seguente:
il Presidente del F.B.C. Casale
venne dal Comitato organizzatore di dette feste nominato a
far parte della Commissione per
le gare di Foot-Ball. Incaricato
dagli altri membri, ebbe uno
scambio di lettere e telegrammi con la Squadra della Regia
Nave Amalfi della quale cercò
l’adesione, pregando, per deferenza, in caso di accettazione di
darne avviso al Preside dell’Istituto Leardi, prof. Occoferri.
Questi, ricevuto il telegramma
di adesione, non credette di darne notizia al presidente del Foot-Ball Club Casale ed iniziò per
conto proprio il lavoro preparatorio delle gare in programma.
Dato questo, il F.B.C. Casale si
trova nella dolorosa necessità
di astenersi dal partecipare alle
feste: si associa però...ecc. ecc»”.
La risposta del prof. Occoferri
non si fece attendere; preci-
Martedì scorso sul quotidiano “Libero” il noto giornalista e
scrittore Giampaolo Pansa, ha firmato un ampio articolo dal
titolo “Così la mia città partecipò allo sterminio”, un servizio
nell’ambito della Giornata della memoria. La sua città è
Casale e il lungo racconto vede al centro una Balilla nera, «un
auto di aguzzini fascisti che andava a caccia di giudei».
Pansa passa in rassegna chi era stato catturato dai fascisti.
Tra questi Raffaele Jaffe «68 anni, il fondatore della squadra
di calcio cittadina, il Casale Fbc... Scapolone inveterato,
arrivato alla mezza età Jaffe s’innamorò di una signorina
assai più giovane di lui. Per sposarla in chiesa, come lei
voleva, divenne cattolico e si fece battezzare assai prima
che il regime fascista varasse le leggi razziali. Per questo
pensava di essere al riparo dalla bufera. Mostrò il certificato
di battesimo ai poliziotti della Balilla nera. Ma loro alzarono le
spalle e lo portarono in carcere». Alla figura di Raffaele Jaffe
pubblichiamo, in questa pagina, due contributi di Giancarlo
Ramezzana e Gianni Turino.
in qualità di soci del F.B.C. Casale. Ecco la verità pura e semplice signor direttore. Per conto
mio, soggiungo che il Professore Raffaele Jaffe, può dormire i
suoi sonni tranquilli. Io non intendo né invidiare, né usurpare
a quel baldo ed appassionato e
valorosissimo sportman gli allori ond’egli ama recingersi la
fronte. Solamente vorrei raccomandargli di essere, nell’avvenire, meno avventato ed incauto nelle sue affermazioni. Con
ossequio - Gerolamo Occoferri».
Ora tutta la Casale sportiva era
a conoscenza dei fatti e poteva
giudicare chi fosse o no dalla
L’ I L L U S T R A Z I O N E
di M A X R A M E Z Z A N A
sa, secca e lapidaria apparve
pubblicata nell’edizione del 28
giugno. Nelle sue conclusioni
afferma: «In ogni caso tengo a
precisare che i giovani dell’Istituto Tecnico Leardi avrebbero
giocato qui, come già a Milano, in qualità di rappresentanti
della scuola che io dirigo e non
parte della ragione. Jaffe approfittando anche della sua
posizione in seno al giornale
(era corrispondente sportivo)
consegnò alla stampa ancora un comunicato datato 30
giugno che saggiamente la
Redazione non divulgò nella
sua completezza limitandosi a
sintetizzarlo in poche righe al
fine di placare una polemica i
cui sviluppi stavano già prendendo una brutta piega dato
che in città incominciavano
a formarsi due fazioni. Sicuramente il Professore in quei
giorni peccò di eccessivo protagonismo frammisto a ingiustificata gelosia (...).
Da quel giorno risulta che i due
ebbero solo contatti formali,
ma due anni dopo (1912) allorquando il Regio Istituto Leardi dovette rimettere in palio
la Targa d’Oro, la società del
Foot-Ball Club Casale fu ben
lieta di permettere ai suoi tesserati-studenti di difendere il
nome di quel loro Istituto che
da più di mezzo secolo era già
un vanto per la città.
Il prezioso ed ambito Trofeo,
opera dello scultore casalese
Leonardo Bistolfi tornò definitivamente a Casale Monferrato (a proposito...chissà che
fine ha fatto!) e mentre il Preside, Professore Occoferri, lo
riceveva dalle mani di capitan
Luigi Barbesino per collocarlo
in bella mostra tra le varie targhe e coppe vinte dall’Istituto,
il suo sguardo si incrociò con
quello compiacente di colui
che già era il N. 1 del Club e
che di lì a pochi mesi sarebbe diventato ufficialmente il
nuovo Presidente nerostellato... Oreste Simonotti.
Eravamo a fine estate del 1912
quando il Professore, sacrificando il proprio orgoglio, rinunciò alla tutela della sua creatura affidandola al munifico
Ingegnere Simonotti che la fece
crescere nella tranquillità economica per vederla poi di lì a
poco tempo trionfare in Italia.
Sempre in quell’anno Raffaele
Jaffe venne eletto a ricoprire
l’ambita carica di Consigliere
della Federazione Italiana del
Giuoco Calcio.
Dopo aver firmato (10 aprile
1919) con il Ragioniere Edoardo Zardetti ed il Geometra
Carlo Gambotto l’incorporazione del U.S. Sparta nel F.B.C.
Casale, facendo così nascere
l’U.S. Casale F.B.C., uscì dalla
società nerostellata all’inizio
degli anni venti, continuando
a seguirne sempre le gesta in
qualità di critico sportivo, diventandone per anni il suo più
competente ma severo giudice.
Giancarlo Ramezzana
FINÌ 1-0 PER I GRANATA: ERA IL CAMPIONATO 1922/1923, LEGA NORD-GIRONE A
Gennaio 1923
Casale-Torino
La foto che pubblichiamo
qui a destra (inviataci da
Luigi Ubertazzi) ritrae i
giocatori del Casale e del
Torino in occasione della
partita del campionato
Lega Nord - Girone A:
era il 7 gennaio 1923.
Alla fine il risultato
(secondo i dati raccolti da
Giancarlo Ramezzata) fu
di 1-0 per i granata. Tra
i nerostellati si notano
da sinistra: Degiovanni,
Riccio, Albertoni, Mattea I,
Grasso, Bargero (coperto
da Grasso), Greppi, Gallino,
Ferrari II, Sartorio (coperto
da Ferraris), Caligaris.
Il viaggio Da Casale a Fossoli e poi ad Auschwitz
Il Professor Jaffe
deportato e reo
per l’origine ebrea
CASALE MONFERRATO
“Furono presi e condotti come agnelli al macello, stipati in treni di ferro che correvano su
rotaie di ferro, come di ferro furono i chiodi che
trafissero mani e piedi al Cristo…” (anonimo)
Il treno correva per lande sconosciute, e non
c’erano finestrini per ammirarne il panorama.
Il vagone era piombato, solo qualche buco qua
e là nel soffitto e lungo le pareti per evitare l’asfissia. Era un vagone che i treni “merci” usavano per il bestiame; solo che il bestiame era
tenuto con cura; c’era la greppia con il fieno e
le conchiglie in legno con l’acqua, mentre gli
uomini erano stipati e schiacciati uno sull’altro.
Ognuno cercava per se spazio vitale, e questo,
«come sta scritto nelle leggi di fisica - pensava il
professore - è a scapito di un altro... data l’impenetrabilità dei corpi...».
«Professore - sentì come in sogno una voce
lontana - professore...: salvo la ben nota, dolce,
favolosa eccezione...».
Gli venne da sorridere... a chi apparteneva la
voce di quel birbante? A Bertinotti? A Rosa? A
Barbesino, o forse era Cavasonza? Chissà dove
erano e se c’erano ancora con questa follia che
ha travolto il mondo? Benedetti, cari ragazzi!
Quanti anni, come tutto era passato così in fretta, quale rullo compressore era stato il tempo!
Gli venne in mente Agostino: il passato non
è che il presente della memoria ed il futuro,
il presente della speranza... ma c’era ancora
spazio per la speranza?
Il Professore, con gli occhiali tondi alla Cavour
sulla punta del naso rannicchiato in angolo
del vagone con il mento puntato sulle braccia
strette attorno alle ginocchia, guardava i suoi
compagni di tradotta che lottavano - con rabbia,
cattiveria e prepotenza - per carpire qualche
centimetro di comodità, qualche privilegio.
L’aveva già riscontrato a Fossoli, il paesino vicino a Carpi in provincia di Modena, nel famigerato ex campo prigionieri di guerra n. 73
utilizzato dai tedeschi come centro poliziesco
e di transito per i prigionieri politici e razziali
destinati ai lager del nord Europa.
Il Professore era stato arrestato dalle brigate
nere a Casale il 14 febbraio 1944 in una retata
di ebrei nonostante si fosse convertito alla religione cattolica fin dal 1937, ben prima delle
leggi razziali. Fu internato subito a Fossoli dove ebbe modo di conoscere, per i pochi giorni
che ancora vi rimase, Primo Levi che partì per
Auschwitz il 22 febbraio e vi giunse il 26. Primo Levi, con altri 24 deportati su oltre mille,
superò la prima selezione e fu immesso nel
campo con il numero di matricola 174517 (...).
Faceva un caldo infernale, erano i primi giorni di agosto, ed il sudore appiccicava la pelle
ai vestiti. Il treno ogni tanto sbuffava e lanciava un sibilo; chissà se fuori c’erano alberi che
correvano... chissà... Sembrava solo ieri, ma in
realtà come era lontano - più nello spazio che
nel tempo - quel viaggio in treno da Casale a
Torino con la sua bambina!
«Come fanno, papà, gli alberi a correre...?».
«Corriamo tutti , Tilde, nella vita - aveva risposto - come vedi corrono anche i pali del telegrafo...»; e la moglie, alta, bella, tanto più giovane
di lui, così amata - e così amato - aveva sorriso...
Poi gli aveva passato una mano fra i capelli. «Senti, Lele, pure lo sferragliare del treno è
musica...».
Sua moglie amava la musica, e la insegnava...
«Si, Luigina, quando il cuore è sereno, tutto è
musica... e anche quando non è sereno...». E
anche quando è disperato, pensava ora.
Il rullio del treno lo appisolò e si trovò su un
altro treno, sempre con i vestiti appiccicati da
sudore, ma i finestrini specchiavano il mare... Era l’estate di trent’anni prima, il 14 luglio del
1914... I nerostellati casalesi tornavano da Roma dove si erano cuciti lo scudetto battendo
la Lazio per 2-0 dopo aver vinto, il 5 luglio al
Priocco di Casale, la partita di andata per 7-1.
Già, i nerostellati...
La Provercelli era “bianca” e allora...
Ricordava, il Professore, quella mattina del gennaio 1909. Era arrivato a scuola con un diavolo
per capello. La Provercelli, dopo aver vinto due
campionati di seconda categoria ed il campionato nazionale del 1908, è di nuovo in lotta per
il primato nel girone dell’Italia settentrionale e
tutto lascia pensare che possa bissare –come in
effetti succederà - il titolo nazionale dell’anno
precedente. I vecchi casalesi di razza, perdono
il sonno: è un qualcosa di inaudito!
Il Professore si fa interprete di questo disagio;
raduna gli allievi periti commerciali ed agrimensori degli ultimi anni e gli fa il seguente
discorso: «Nel 1215 i vercellesi, che per ottenere
qualche risultato avevano dovuto allearsi con
Milano ed Alessandria, rasero al suolo Casale
del cui sviluppo, sociale e culturale, avevano
vivo fastidio. Ci volle del tempo, ma i casalesi,
nel 1403 risposero per le rime riducendo Vercelli ad uno zerbino e riappropriandosi delle
vecchie prede di guerra. Da allora i vercellesi
non hanno perso occasione per farci dispetto.
Ora, dopo aver vinto un campionato nazionale
di foot-ball sono in procinto di fare il bis: non
si può andare avanti così - disse scandendo le
sillabe ed alterando il timbro della voce - bisogna fare qualcosa, se non li fermiamo noi ,
non li ferma nessuno!». Fu a lungo applaudito;
il vecchio salone del Leardi, un tempo salotto
raffinato della nobiltà locale, abituato ai pettegolezzi ed agli intrecci amorosi delle dame,
sussultò a quelle grida rivoluzionarie. Pochi giorni dopo - era il 17 gennaio - gli studenti decisero di aggregarsi all’iniziativa del
professore; nasceva ufficiosamente il Casale;
formalizzato poi in Casale Foot-Ball Club.
Bisognava scegliere la maglia: «Che maglia ha
la Provercelli?» chiese il Professore che al proposito aveva le idee chiare.
«Bianca!» risposero gli allievi.
«Benissimo - replicò il Professore - noi l’avremo nera!».
Acclamazione di approvazione e primo dubbio.
«Avremo bisogno di un sacco di fortuna - disse il quasi geometra Bertinotti che aveva frequentato per alcuni anni le scuole a Vercelli
e conosceva bene il valore dei bianchi - Qui,
se non abbiamo una stella che ci protegga, ne
prendiamo un sacco ed una sporta...».
«Metteremo la stella sulla maglia» rispose il
Professore assumendo seduta stante la presidenza, che cedette due anni dopo all’ingegner
Simonotti di cui rimase prezioso collaboratore.
Per la cronaca - per la storia? - riferisco quello che mi fu raccontato nel lontano 1960 dal
geometra Luigi Cavasonza, nerostellato dei
tempi eroici, di cui ero allora giovane collega alla Marchino dove Cavasonza - che aveva
settantaquattro anni; io ne avevo poco più di
diciannove - svolgeva mansioni di archivista: le
prime casacche nerostellate furono procurate
dalla Ciapatela, che abitava al Rotondino ed
era la lavandaia del tranvain. Disse ai suoi capi
che una quindicina di camiciotti neri, erano
“più di là che di qua” senza alcuna possibilità
di rammendo e perciò li aveva buttati via. «Bene
- commentò il direttore del tranvain, che era
il ‘vice’ di Jaffe nella nuova società calcistica hai fatto proprio bene...». La stella, la ritagliò,
dal feltro che serviva per coprire i tavoli della
sala professori, la bidella Delina che provvide anche a cucirle. Al preside che le chiedeva
spiegazioni, la Delina spiegò che, «...il feltro sta
meglio un po’ più stretto... così si vedono i bordi
arabescati del tavolo…». Il preside bonfochiò,
si lisciò la barba ed attorcigliò i baffi…e se ne
andò senza dire nulla.
Questa versione, mi fu sostanzialmente confermata, nelle sue linee essenziali, nel 1968 mentre realizzavo la storia del Casale per l’enciclopedia mondiale del calcio - dagli scudettati
Ravetti, Ferraris, Rosa, Bertinotti. La Provercelli
vinse lo scudetto, ancora nel 1909, 1911, 1912,
1913... ma nel ’14, i il Casale nerostellato la
fermò! (...)
Stipati nei convogli ferroviari...
Da Fossoli aveva visto partire sette convogli
ferroviari stipati all’inverosimile di disperati;
non ne conosceva la destinazione ma sottovoce
si sussurrava un nome misterioso: Auschwitz.
Il 12 luglio nel campo di Fossoli furono trucidati, a caso, 67 prigionieri come rappresaglia
per l’uccisione a Genova di sei soldati tedeschi.
«Siamo alla fine del mondo - aveva detto fra sè
e sè il Professore che, con tutti gli altri prigionieri era stato costretto ad assistere all’eccidio
- il mondo è alla fine».
Il 2 agosto fu allestito l’ultimo convoglio di deportati: l’ottavo. Il campo veniva abbandonato e trasferito a Bolzano-Greis dove parte dei
prigionieri vennero dirottati. Gli altri, fra cui il
Professore, proseguirono per Auschwitz.
Il treno correva... Nel carro bestiame piombato nel quale i deportati si affastellavano l’uno
sull’altro senz’acqua, aria e cibo, gli odori, anzi
lezzo acuito dal calore, era insopportabile. «In
queste condizioni l’uomo - pensava il Professore - si degrada, ritorna bestia...è la sua dissoluzione, la sua disgregazione... è molto peggio che
morire...; e sono già quattro giorni infernali...
ma dove finiremo mai, avrà fine questo calvario?...amore mio ...finirà mai?...». Un grande stridore di freni, la porta del vagone
che si spalanca ed un urlo: Auschwitz. L’aria,
anche se inacidita dal fumo della locomotiva, gli riempì i polmoni di vita mentre la luce
improvvisa lo abbagliò. Qualcuno lo spinse
bruscamente giù lo dal vagone; cadde sulla
pensilina sbattendo il capo e rompendo una
lente degli occhialini alla Cavour.: «Troverò
qualcuno - mormorò - che me la sostituirà...
se servirà...». Non servì; era il 6 agosto sera;
il 7 pomeriggio fu sottoposto, con tutti gli altri, alla rituale selezione. Non la passò, e l’8
agosto 1944, mentre il cielo impazziva per il
canto delle cicale, il professor Raffaele Jaffe,
già docente dell’Istituto per agrimensori e periti commerciali Leardi e preside dell’Istituto
magistrale Giovanni Lanza di Casale, reo per
l’origine ebrea - fu condotto, ufficialmente per
fare una doccia, nella camera a gas.
Gianni Turino