vicende e personaggi della massoneria novarese

Prof. Terenzio Sarasso
VICENDE E PERSONAGGI
DELLA MASSONERIA
NOVARESE
SOMMARIO
1) Preludio giacobino .......................................................................................................... 3
2) L'età napoleonica Il Dipartimento dell'Agogna ............................................................. 4
3) Liberali e Federati del 1821 ............................................................................................. 8
4) La R.L. «Ugo Foscolo» e la Massoneria novarese del secondo Ottocento .............. 10
5) Il primo Novecento ........................................................................................................ 15
6) La rifondazione della Massoneria novarese nel secondo dopoguerra ..................... 17
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1) Preludio giacobino
Il giacobinismo della Rivoluzione francese, ossia quella «Società degli Amici della Libertà e
dell'Eguaglianza», nota per il suo estremismo rivoluzionario, che riconosceva in Marat e in
Robespierre i suoi due grandi profeti, aveva avuto subito un'ampia eco di risonanza e di
riscontri anche in Piemonte e negli Stati Sardi in genere (ricordiamo i nomi di Laurora,
Buonarroti, Ranza).
Il cosiddetto filo rosso del Settecento si prolungò e si diffuse ben presto anche negli ambienti
più aperti e innovatori della società borghese illuminata della provincia novarese.
(La città di Novara e il Novarese erano stati annessi al Regno di Sardegna al termine delle
guerre di successione (1748) ).
Il giacobinismo novarese contava una ottantina di persone, tra cui alcuni preti giansenisti e il
Vescovo Vittorio Filippo Melano: ma tutti riconoscevano come loro corifeo il tipografo-libraio
Giuseppe Rasario, il più famoso municipalista piemontese dell'epoca.
Si sa che il termine «municipalista» era stato introdotto in Francia con un decreto
dell'Assemblea Nazionale Costituente nel dicembre 1790, un decreto il quale stabiliva che
l'elezione della municipalità avvenisse ad opera dei cittadini attivi divisi in quartieri, facendo
così decadere i vecchi ordinamenti cittadini basati in gran parte sui privilegi di classe e
spettanti a poche famiglie.
A prima vista parrebbe una contraddizione di termini parlare di municipalismo giacobino a
proposito di Libera Muratoria piemontese del '700, con il suo carattere estremamente elitario
e riservata a pochi eletti per censo, nobiltà o cultura.
Eppure le più recenti indagini condotte sull'argomento da quell' appassionato ed eminente
storico che è Carlo Francovich, dimostrano che gli aristocratici e i borghesi affiliati alle Logge
muratorie del Regno Sardo erano tutti elementi «portati verso una cultura meno
tradizionalista di quella imperante, più aperta alle esigenze cosmopolite dell'illuminismo e del
giansenismo, che sussistevano, sia pure di vita grama, anche nel retrivo Piemonte».
Aggiunge il Francovich che questi Liberi Muratori piemontesi non avevano solo il desiderio di
darsi bel tempo, come ha insinuato con evidente intento denigratorio qualcuno, ma erano
interessati al rinnovamento in senso municipalistico delle strutture sociopolitiche della
società piemontese sullo scorcio del secolo XVIII.
Avvicinando gli aristocratici e i borghesi più illuminati in un unico sodalizio, la Libera
Muratoria adempi quindi a un programma di fratellanza e di trasformazione in meglio del
consorzio umano, che nessun'altra associazione settecentesca sarebbe stata in grado di
svolgere. In questo senso il municipalismo giacobino e la Libera Muratoria si debbono
considerare, come fu giustamente osservato, le «due ali di un esercito che obbedivano a
generali diversi ma che combattevano in quel momento sotto la stessa bandiera.
Costituivano i contrafforti del liberalismo italiano e il più prossimo ascendente storico della
Massoneria della prossima età napoleonica».
E la storiografia contemporanea si interroga ancora, senza tuttavia offrirci una convincente
testimonianza documentaria, come mai la tradizione che pure ha conservato un ricordo così
vivo, una memoria così tenace, e nelle sue linee generali sufficientemente precisa, di quel
l'antesignano del liberalismo che è la Massoneria (il Gramsci la definì il miglior prodotto del
liberalismo ottocentesco) non abbia conservato la minima traccia degli altri antesignani che
furono il municipalismo e il giansenismo.
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2) L'età napoleonica Il Dipartimento dell'Agogna
Napoleone non fu solo quel genio militare che tutti gli riconoscono.
Egli rivelò anche, e con un'intensità forse maggiore, sin dal suo primo affacciarsi alla ribalta
della vita politica, delle spiccate, insospettate attitudini a muoversi, con scaltrezza e acume,
nel campo della politica, ove riuscì ad assicurarsi l'appoggio e a ridurre nella sua sfera di
influenza quelle forze come la Libera Muratoria (dopo il suo avvento al potere assunse la
denominazione di Massoneria) che per la loro natura e tradizione apparivano le più restie ad
essere costrette entro schemi troppo rigidi e angusti di cesarismo e di dispotismo politico, sia
pure illuminato.
Anzi la Massoneria, da cui egli stesso era stato favorito nella scalata agli alti fastigi della
politica e della carriera militare, divenne nelle sue mani un importante, insostituibile
«instrumentum regni».
E' noto come egli patrocinasse l'affiliazione alla Istituzione dei suoi generali e degli alti
funzionari della amministrazione civile.
Dopo il colpo di stato del 18 brumaio 1799 addirittura si adoperò perché il fratello Giuseppe,
primogenito della famiglia Bonaparte, fosse eletto Gran Maestro del Grande Oriente di
Francia. E quando fu proclamato il Regno d'Italia (1805) ottenne che il figliastro Eugenio di
Beauharnais, nominato Re d'Italia, divenisse anche Gran Maestro del Grande Oriente
d'Italia.
Già durante la prima campagna d'Italia, dopo le vittorie a Cairo Montenotte, a Millesimo e a
Dego e dopo aver costretto il re di Sardegna Vittorio Amedeo III a firmare l'armistizio di
Cherasco (28 aprile 1796) il giovane generale intuisce che ormai gli interessi politici del
Regno di Sardegna e dell'Austria si stanno profondamente e irreversibilmente diversificando:
il primo si ripropone di difendere la sua capitale Torino, la seconda si sforza esclusivamente
di tenere lontano l'ingresso delle truppe francesi dalla sua Lombardia.
Con la firma dell'armistizio il Bonaparte gioca abilmente su queste rivalità, si assicura una
nuova alleanza con il re di Sardegna, ma ottiene soprattutto la fiducia e la stima di quegli
ambienti dell'aristocrazia piemontese che parevano i più disposti, sia pure come prospettiva
a lungo termine, ad assecondare il progetto politico di casa Savoia, la quale per tutto il
secolo XVIII aveva sempre cullato la speranza (o l'illusione) di poter strappare la Lombardia
all'Austria.
Gli avvenimenti successivi costituiscono altrettante tappe dell'établissement massonico
operato dal Bonaparte nell'Italia occupata.
Un decreto del 13 germinale anno VII (2 aprile 1799) sancisce ufficialmente l'annessione alla
Francia del Piemonte, che è ripartito in 4 Dipartimenti (dell'Eridano, della Sesia, del Tanaro,
della Stura) che poi diventeranno 6 con l'aggiunta dei Dipartimenti della Dora e di Marengo.
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In un successivo decreto del 20 fruttidoro anno Vili (7 settembre 1800) si conferma che la
Sesia costituirà il confine tra la Lombardia e il Piemonte: i paesi situati alla destra del fiume
resteranno annessi alla Francia, quelli alla sinistra, tra cui il Novarese, verranno aggregati
alla Repubblica Cisalpina.
Così nasce per volontà di Napoleone il Dipartimento dell'Agogna con capoluogo Novara.
Nel frattempo tutti i massimi esponenti dell'aristocrazia muratoria settecentesca sono entrati
nell'orbita della politica napoleonica, alcuni alla Corte di Torino, altri a quella di Milano, altri
ancora nelle file dell'esercito o della pubblica amministrazione.
In Piemonte e in Lombardia le logge massoniche si diffondono a macchia d'olio.
Non ne resta esclusa neppure Novara, dove però finora di una Loggia dell'età napoleonica
non si è scoperta nessuna testimonianza, nessuna traccia documentaria.
Nel documentatissimo Quadro del Grande Oriente d'Italia (senza data, ma risalente
sicuramente al 1808, scoperto e pubblicato dal Sòriga) in cui sono minuziosamente elencate
le Logge dipendenti dal Grande Oriente non ché le logge operanti nelle singole città
dell'Italia centro-settetrionale, con a fianco l'indicazione dei singoli Maestri Venerabili, la città
di Novara non compare. E la cosa appare per lo meno strana dal momento che, come
afferma il Sòriga, «con la proclamazione del Regno ltalico ha principio il vero periodo di
assestamento della vita politica italiana e con quello delle irrequiete e discordi forze
massoniche sparse per la penisola, le quali vennero sapientemente inquadrate dal governo
imperiale mediante un'abile gerarchia esemplata sull'organizzazione politica, di guisa che ad
ogni Dipartimento corrispondesse una Loggia».
E dire che il Dipartimento dell'Agogna era fra i più estesi della Lombardia comprendendo
oltre il Novarese, la, Lomellina, Pallanza, l'Ossolano, la Valsesia, Vigevano e il territorio del
lago d'Orta e che Novara era considerata la città più commercialmente prospera della
Repubblica Cisalpina, come scrive l'istoriografo ufficiale dell'età napoleonica, il massone
Melchiorre Gioia.
La lacuna è da attribuirsi probabilmente al fatto che le velleità municipalistiche e
autonomistiche degli esponenti massonici novaresi si incontravano bene e volentieri con la
tendenza della popolazione novarese a rivolgersi tutta verso Milano.
“A Novara si ragiona alla milanese» annotava un informatore inviato da Torino allo scoppio
dei primi tumulti rivoluzionari a tastare il polso della situazione politica locale. Un contegno
che si giustifica ampiamente anche sul piano storico. Basti pensare che la vicina Vercelli era
divenuta parte integrante del Piemonte da 350 anni mentre Novara si era staccata dal
Ducato di Milano solo da mezzo secolo.
Allo scoppio della Rivoluzione Francese, come scrive il Cognasso, a Novara non ci si sentiva
piemontesi ma solo novaresi. Anzi la municipalità novarese, assecondando le tendenze
autonomistiche della popolazione, in un famoso manifesto del 20 dicembre 1798, aveva
proclamato che Novara sì sarebbe retta in piena indipendenza dal governo provvisorio
repubblicano di Torino.
Gli esponenti massonici novaresi dell'età napoleonica si devono quindi rintracciare a Milano.
Ricordiamo primo tra tutti il conte avv. Giuseppe Prina. Nato a Novara nel 1766 era stato
educato nel collegio dei Barnabiti di Monza.
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Laureatosi in legge all'Università di Pavia (1787) aveva esercitato la professione di avvocato
a Novara, ma poi nel 1791 era stato nominato sostituto procuratore generale di Torino e
successivamente primo ufficiale e poi consigliere reggente dell'Amministrazione delle
Finanze di Torino.
Quando nel 1800 i Francesi ritornarono a Torino fu eletto Ministro delle Finanze del governo
provvisorio. Membro dei Comizi di Lione e poi del Collegio elettorale dei dotti, per la sua
grande esperienza in materia di finanza pubblica fu chiamato a ricoprire la carica di Ministro
delle Finanze del Regno Italico. Molto stimato da Napoleone divenne tuttavia impopolare
perché considerato il primo e unico responsabile del gravoso sistema fiscale imposto da
Napoleone.
E' questo il motivo per cui dopo la sconfitta dell'Imperatore a Lipsia e l'armistizio concluso dal
viceré Eugenio con gli Austriaci (15 aprile 1814) fu assalito nella sua casa dalla folla
inferocita che lo massacrò nella pubblica via (20 aprile 1814).
A questo tragico e luttuoso episodio si ispirerà lo scrittore Tommaso Grossi nella Prineide
(1815), poemetto in dialetto milanese nel quale l'autore immagina che a un certo súr Rocch
compaia in sogno l'ombra del Prina e che questi prorompa in una severa requisitoria contro i
sistemi repressivi e l'incuria della nuova amministrazione austriaca subentrata dopo la sua
morte.
Amico e devoto del Prina, anche lui novarese ma trasferito ben presto a Milano, ove si
dedicò egli pure all'organizzazione amministrativa e finanziaria del Regno d'Italia, fu l'avv.
Pietro Custodi.
Nato a Galliate nel 1771 aveva frequentato l'Università di Torino poi di Pavia, ove aveva
conseguito la laurea in legge.
A Milano aveva preso parte attiva al movimento rivoluzionario ponendosi dapprima in
contrasto con la politica di Bonaparte tanto da finire per ben due volte in carcere. Ma dopo
Marengo alcuni tra i suoi estimatori, fra cui l'Aldini e il Melzi, lo avevano fatto riconciliare con
il Primo Console e dal 1802 era entrato a far parte del Ministero dell'economia pubblica. Poi
dal 1808 al 1814 fu segretario generale al Ministero delle Finanze della Direzione Generale
del Demanio. Nel 1802 aveva cominciato a pubblicare la sua grande collezione degli
Economisti italiani e nel 1811 l'imperatore gli aveva conferito il titolo di barone.
Salvatosi miracolosamente dalla rovina del suo protettore Prina, fu confermato nel suo ufficio
dove rimase fino al 1816, poi si trasferì a Parma chiamato dal governo di Maria Luisa
d'Austria a reggere l'intendenza generale del Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla. Dopo
pochi mesi tuttavia abbandonò l'incarico (era ormai definitivamente perduto per Novara) e si
ritirò nella sua villa di Galbiate in Brianza, intento solo ai suoi studi e vi mori nel 1842.
Il personaggio più novarese del Dipartimento dell'Agogna resta il dottor Giuseppe Gautieri.
Dopo aver conseguito a Pavia la laurea in medicina (1791) si era recato in Germania per
approfondire i suoi studi sulla febbre petecchiale e sulla scrofola. Ritornato a Novara nel
1800 fu membro molto influente della Commissione di sanità del Dipartimento dell'Agogna e
fu eletto anche sindaco di Novara.
E' per il suo impulso che a Novara viene fondato un Liceo con convitto, inaugurato
ufficialmente il 10 gennaio 1808: sono chiamati a insegnarvi il letterato Bellini, l'ingegnere
Orelli, il naturalista Biroli, il fisico Galvagna.
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La città ha finalmente il suo giornale dipartimentale «Il Relatore dell'Agogna», stampato dalla
tipografia Rasario e uscito il 4 gennaio 1809.
E’ fondata pure una Società Agraria, retta da un comitato comprendente tra gli altri lo stesso
Gauteiri, Giuseppe Cattaneo, Giovanni Biroli, Giuseppe Serazzi.
In questo periodo viene definitivamente organizzata anche la Guardia Civica comandata da
Gaudenzio Tornielli.
Di nessuno tuttavia di questi tre illustri novaresi dell'età napoleonica (Prina, Custodi,
Gautieri), allo stato attuale dell'indagine storica, si sono potuti rintracciare documenti relativi
alla loro precisa identità massonica e nemmeno la loro eventuale loggia di appartenenza,
milanese o del Dipartimento dell'Agogna. Qualche «umbra quaedam», qualche
connotazione indiretta e basta: prove documentarie e sicure nessuna.
L'unico massone che compare nel piedilista di due logge è Ludovico Arborio di Breme
marchese di Gattinara, novarese solo di adozione in quanto esponente di rilievo del
Dipartimento dell'Agogna.
Nato nel 1754 a Versailles, ove il padre Ferdinando si trovava in qualità di ambasciatore del
Re di Sardegna Vittorio Amedeo III e tenuto a battesimo dallo stesso re di Francia Luigi XV,
ritorna quattro anni dopo con la famiglia a Torino.
Ragazzo intelligente, vivace, di carattere aperto, a sedici anni entra nelle file dell'esercito
piemontese con il grado di sottotenente. Ma poi, seguendo i consigli del padre, intraprende
la carriera diplomatica. A vent'anni è già affiliato alla loggia torinese «La Mistérieuse», ove
assume il nome distintivo di Ludovicus a liliis aureis.
Come ambasciatore è inviato prima alla corte di Napoli, ove ha modo di incontrarsi anche
con il conte di Cagliostro, poi a quella di Vienna. Ma nel 1794 per la sua conclamata
affiliazione alla setta dei Liberi Muratori viene improvvisamente esonerato da ogni incarico.
Ritorna in auge dopo la vittoria napoleonica a Marengo allorché abbandona il Piemonte e si
trasferisce a Milano, ove è subito nominato Consigliere di Stato e Commissario generale
della sussistenza per l'esercito in Italia. In questo periodo lo troviamo affiliato alla milanese
R.L. «R. Gioseffina».
Proclamato il Regno d'Italia è nominato Ministro dell'Interno e come tale si impegna a
risolvere la piaga della mendicità. Napoleone gli fa avere un assegno di 25.000 lire in segno
di gratitudine e a testimonianza dei servizi resi lo nomina senatore, Presidente del Senato e
poi Prefetto di Novara e Presidente del Collegio elettorale del Dipartimento dell'Agogna.
Caduto Napoleone si ritira a vita privata, dedito interamente ad opere umanitarie e ai suoi
studi letterari (fu riconosciuto scrittore elegante e arguto).
Morirà a Sartirana nel 1828 nel castello del feudo che l'imperatore Carlo V aveva concesso
al suo illustre antenato il Cardinale Mercurino Arborio di Gattinara.
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3) Liberali e Federati del 1821
Mentre Napoleone, sconfitto a Lipsia, freme di impazienza nel coatto esilio dell'isola d'Elba, il
re Vittorio Emanuele 1, succeduto al fratello Carlo Emanuele IV, abbandona il suo
volontariato esilio in Sardegna e rientra a Torino (maggio 1814) ottenendo la restituzione
integrale di tutti i suoi stati oltre alla Liguria.
La prima decisione che prende è quella del 10 agosto 1814, che proibisce 4e congreghe, le
adunanze segrete, qualunque ne sia la denominazione loro e massime quelle dei cosiddetti
Liberi Muratori, già proibite con Regio Editto del 20 maggio 1794».
Le pene previste per i trasgressori sono gravissime: allontanamento immediato dall'impiego
o dall'ufficio, condanna al carcere da due a cinque anni, fino a dieci per i recidivi, confisca
degli effetti, denari o mobili che si trovassero nelle «sale delle adunanze». Le forze di polizia
devono «invigilare attentamente e compiere ispezioni per sorprendere simili delinquenti
(sic)». Per chi rivela i luoghi segreti delle riunioni è previsto un premio di 500 scudi.
La Massoneria napoleonica si disperde, si fraziona in mille rivoli, si frantuma in un numero
imprecisato di sette segrete.
A Torino tra il 1816 e il 1820 non sono più di una sessantina gli affiliati a una Loggia
regolare.
Gli altri hanno costituito qua e là numerosi centri settari, fratellanze segrete, elaborando
programmi spesso fantastici, chiedendo ed ottenendo quasi un'investitura dai maggiori centri
massonici stranieri.
I più importanti sono i Carbonari, i Guelfi, gli Adelfi, i Sublimi Maestri Perfetti, i Federati, la
Società dei raggi, le sette buonarottiane.
Di tutte queste filiazioni massoniche sarà poi la Federazione italiana ad esercitare tra il 1819
e il 1821 la maggiore influenza sui liberali italiani e a preparare il moto rivoluzionario del
1821.
Essa prevedeva la formazione di un indefinito numero di Unioni, le quali erano composte da
cinque federati, uno dei quali chiamato Capitano d'Unione comandava ai quattro adepti
subalterni. Chi era eletto Capitano doveva giurare che nelle comunicazioni di una certa
importanza non avrebbe mai parlato ai membri della sua Unione riuniti, ma sì sarebbe
indirizzato separatamente e segretamente a ciascuno di essi. I Federati si riconoscevano tra
loro per mezzo di un segno e di un toccamano; inoltre portavano al lato sinistro dell'abito in
modo visibile una spilla nera (vi si sente l'influsso della setta massonica francese dell'épingle
noir).
La Federazione italiana annoverò subito dei prestigiosi adepti: a Torino il conte Guglielmo
Moffa di Lisio, ad Alessandria tutti i liberali che costituiranno la famosa giunta provvisoria del
moto insurrezionale del marzo 1821, ad Ivrea Pier Alessandro Garda, il conte Alerino Palma
di Cesnola, l'avvocato Gioacchino Trompeo, a Vercelli il conte Alessandro De Rege di
Gifflenga e il capitano Evasio Radice. Milano poteva contare su un personaggio d'eccezione,
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il conte Federico Confalonieri, con il quale, in previsione dell'insurrezione liberale, si
incontravano molti esponenti del settarismo piemontese.
Per Novara ricordiamo:
- il dottor Franco Tadini, l'eroe novarese del '21, il quale allo scoppio del moto insurrezionale
fu il primo a far sventolare in città il vessillo tricolore e a proclamare la Costituzione dí
Spagna (13 marzo 1821).
- l'avv. Carlo Beolchi (1793-1867) di Arona che, come il Tadini, fu costretto ad esulare per
scampare alla forca. Combatté valorosamente per la libertà in Spagna poi si rifugiò in
Inghilterra ove visse impartendo lezioni di italiano. Ricomparve a Novara in seguito ad
amnistia, dopo trenta anni di esilio, nel marzo 1850 e fu eletto Deputato al Parlamento
Subalpino. Scrisse le «Reminiscenze dell'esilio» pubblicate a Londra nel 1831, gli Italiani in
Catalogna negli anni 1821-1823 e una biografia del capitano Ferrero, l'eroe di San Salvario
del'21.
- l'avv. Giuseppe Vismara (1786-1860). Novarese di nascita, tenne uno studio legale in città,
ma si spostava frequentemente a Milano, ove aveva stretto una solida amicizia con il
romanziere Stendhal. Indicato come uno dei capi della cospirazione, svolse la sua azione
rivoluzionaria soprattutto in Lombardia e fu condannato in contumacia da un tribunale
austriaco. Riparò in Svizzera, a Londra, a Parigi. Il suo nome compare a più riprese nel
Rapport et détails de la révolution qui eut en Piemont dans le moís de mars 1821, un
memoriale sfilato dallo stesso Carlo Alberto per mettere in luce le vicende della rivoluzione
liberale, di cui pure lui era stato pars magna.
In un elenco di elementi settari passati in Lombardia in occasione del moto insurrezionale
piemontese la polizia austriaca a fianco del Vismara appone le seguenti note informative: <t
suddito piemontese, da qualche anno avente una casa in questa città (Milano) acquistata e
non ancora pagata. Mostrò sempre principi ultraliberali... Poco o nessun credito nel foro ... ».
E anche il conte Federico Confalonieri in uno dei tanti costituti resi davanti al giudice Antonio
Salvotti ammette che il Vismara era uno degli affiliati alla setta dei Federati.
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4) La R.L. «Ugo Foscolo» e la Massoneria novarese del secondo
Ottocento
Conclusa vittoriosamente la seconda guerra di indipendenza, la legge comunale e
provinciale del 23 ottobre 1859 (legge Rattazzi), diventata poi Legge del Regno, fa di Novara
il capoluogo di una grande provincia con sei circondari (Novara, Vercelli Biella, Varallo
Sesia, Pallanza, Domodossola) i quali sono retti da un sottoprefetto agli ordini del Prefetto
governante dal capoluogo. Nella grande provincia vengono a unificarsi. le due tradizioni
secolarmente avverse di Novara e di Vercelli. (Tale situazione rimarrà inalterata fino alla
promulgazione della legge fascista del 2 gennaio 1927 che decreterà la creazione della
provincia di Vercelli con i circondari di Vercelli, Biella e Varallo Sesia).
A tale periodo si può far risalire la ricostituzione a Novara di quelle conventicole massoniche
che si erano mimetizzate nei vari movimenti settari del primo Ottocento e che ora si
raccolgono nelle file della R.L. «Ugo Foscolo», la quale, dopo essere vissuta stentatamente
di vita grama per qualche anno, si scioglierà per ricomparire definitivamente e
rigogliosamente nel 1874.
I suoi affiliati, tutte persone, come annota un cronista dell'epoca, «intelligenti e audaci e
validissime, nessuna imbecille» rappresentano le tendenze più avanzate e progressiste del
liberalismo novarese, tendenze che erano assai vive in Novara sin dagli inizi del secolo,
promosse e divulgate da quell'illustre giureconsulto novarese che fu Giacomo Giovannetti,
nato a Orta nel 1787 e morto a Novara il 22 gennaio 1849.
Le cariche dei Dignitari di Loggia, come si legge in un piedilista datato 1882, sono così
ricoperte:
Massa prof. Giovanni (= Maestro Venerabile), Grazianetti dott. Giovanni (= 1° Sorvegliante),
Zanconi geom. Isaia(= 2° Sorvegliante), Bordiga dot t. Oreste (= Oratore), Faa ing. Giuseppe
(= Segretario), Viscontini Francesco (= Tesoriere), Parona dott. Francesco (= Ospitaliere),
Marsili ing. Marsilio (= Cerimoniere). Spiccano in questa Loggia le figure del prof. Massa,
considerato uno dei rifondatori della massoneria novarese del secondo Ottocento, il quale si
trasferirà poi a Milano alla R.L. «Ragione e G.Pini»; e di quella del medico Francesco
Parona, deputato al Parlamento dal 1882 al 1895, Senatore dal 1901, Dignitario della Gran
Loggia di Rito Simbolico di Milano.
Nel 1890 però il quadro dei Dignitari appare già totalmente mutato.
E' accaduto che nel frattempo dalla loggia «Ugo Foscolo» si è staccato un folto nucleo di
fratelli di tendenze socialiste, i quali hanno dato vita a una loggia intitolata «R.L.
Indipendenza» (la sede presunta è in via Dominioni).
Ne fanno parte il prof. Secondo Perone (= Maestro Venerabile) il prof. Francesco Gastaldi (=
Primo Sorvegliante) e poi ancora il prof. Napoleone Salza, l'ing. Giacomo Bertoli, il dott. Luigi
Giulietti, l'avv. Rossari, l'ing. Isola, il prof. Pinolini, Antonio Rissotti, Guido Miglio.
Contro tutti questi esponenti della Massoneria novarese, sia di quelli dell'area liberale, sia di
quelli di ispirazione socialista, (nonostante il segreto che li dovrebbe circondare, sono
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abilmente individuati negli ambienti della Curia arcivescovile) la stampa cattolica appunta a
più riprese i suoi strali polemici.
Le motivazioni non mancano: c'è la legge Coppino sulla scuola laica che è già di per sé una
fonte inesauribile di contrasti,- c'è poi la lettera al popolo italiano «Inimica vis» del papa
Leone XIII in cui il Pontefice invita i cattolici a far argine contro il dilagare della Massoneria e
ribadisce, con più precise indicazioni programmatiche, la condanna della Istituzione
proclamata nell'Enciclica «Humanum genus» del 1884.
Una piccola guerra di religione tra la stampa clericale e la stampa massonica locale scoppia
addirittura nel 1888 e si prolunga fino al 1896.
La causa occasionale è apparentemente futile, ma acquista rilievo se la si mette in rapporto
con la «Inimica vis» di papa Leone XIII.
A Oleggio, cittadina a quattordici chilometri da Novara, in una quarta classe elementare ove
non si insegna il catechismo, tanto è vero che la nomina della suora è stata sospesa, un
giorno di gennaio del 1888 sbuca fuori improvvisamente da un armadio, collocato al sommo
di una scala, un brutto fantoccio che vorrebbe rappresentare una strega con gli occhi
illuminati dal di dentro come si legge in una testimonianza.
Grida di panico delle bambine, qualcuna sviene, qualche altra cade ammalata per lo
spavento. Del fatto sono incolpate tre suore, insegnanti in altre classi ove il catechismo è
impartito, per vendicarsi, si dice, dell'allontanamento della loro consorella e per dimostrare...
che dove non c'è religione allignano i diavoli e le streghe.
Viene aperta un'inchiesta e il Prefetto di Novara, sulla base delle testimonianze delle alunne,
decreta la sospensione delle tre suore dall'insegnamento. Ma la vicenda trascina dietro di sé
una lunga serie di stizzose polemiche, alimentate dal giornale cattolico «Bescapé, e da
quello liberal-massonico Il Corriere di Novara».
In-fatti, a distanza di qualche mese, le bambine che prima avevano accusato apertamente le
suore di aver confezionato la strega, ritrattano le accuse e dichiarano di aver visto soltanto
una pignatta di terra rossa.
Commenta sarcasticamente Il Corriere di Novara in un articolo di fondo apparso il 1 <marzo
1888:
« ... Sta bene che le streghe hanno il buon senso di non farsi vedere in pieno giorno, ma
bisogna osservare che nelle ore notturne sarebbero mancate le fanciulle. Fu dunque una
necessità l'apparizione della strega in pieno giorno, la quale, furba, ha atteso non le allieve
delle suore ma quelle della maestra laica. Il Provveditore ha accertato che la pignatta non è
visibile da sotto le scale. Ora le bambine negano, ma al primo interrogatorio hanno
ammesso. Conosciamo il mondo e sappiamo quanto le minacce di morte repentina e di pene
eterne possano ancora nel volgo e su soggetti educati dalle monache».
Il giornale cattolico ricorre al Ministero della Pubblica istruzione, il quale, però, udito il parere
del Consiglio di Stato, conferma la sentenza di sospensione delle tre suore comminata dal
Prefetto di Novara.
L'incidente sembra chiuso. Invece tutte le rivalità, gli scontri polemici che, dopo la
promulgazione della legge - Coppino, hanno attizzato la controversia tra insegnamento laico
e insegnamento religioso finiscono per trascinare sul banco degli accusati tutto il giornalismo
cattolico novarese.
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L'8 maggio 1892 esce ad Oleggio il primo numero del giornale massonico «Il Moscone»,
finanziato dal partito liberale progressista per appoggiare la candidatura del dott. Parona alle
prossime elezioni politiche.
A contrastargli il passo, l'anno dopo, i cattolici gli oppongono «La Provincia novarese», un
bisettimanale di cui è direttore un torinese residente a Milano e gerente il pubblicista
novarese Angelo Comaschi, il quale comincia a scagliare accuse di ogni sorta contro i
Massoni e i partiti laici in genere.
Dapprima se la prende con i socialisti che avrebbero fomentato gli scioperi e le sommosse
degli operai dei centri industriali di Omegna, Intra e Pallanza. Poi gli strali sono rivolti contro
gli Ebrei che forniscono il maggior numero di affiliati alle Logge. Infine, dopo aver invocato
contro la Massoneria la protezione di San Gaudenzio, patrono di Novara, passa agli attacchi
personali. Il primo ad essere artigliato è l'avv. Caire, sovrintendente della scuola TornielliBellini il quale non avrebbe concesso un giorno di vacanza in occasione della festa di San
Giuseppe per istigazione della Massoneria locale.
Il secondo preso di mira è il prof. Gastaldi, preside della scuola, il quale, ispirato dalla
Massoneria, farebbe il bello e il brutto tempo nelle scuole novaresi. « ... Ancora un po' che la
vada di questo passo, conclude La Provincia novarese, non solo le scuole, non solo gli asili,
non solo le banche, non solo le opere pie vedremo fatte monopolio della Loggia, ma persino
le nostre coscienze e le nostre libertà» (La Provincia novarese del 23 marzo 1895). Ultimi ad
essere additati al pubblico ludibrio sono il prof. Perone e il prof. Massa, rei, a parere del
giornale, di essersi rifiutati di dichiarare la loro identità massonica. « ... Debbono fare così,
conclude il giornale, lo ha detto ancora l'altro ieri il loro archimandrita tabacchino Adriano
Lemmi, in una enciclica... Dicono di non prefiggersi che intenti umanitari e di beneficenza,
questi fratelli massoni, e diversamente da quello che si fa da tutti, si nascondono, si
camuffano, mentiscono la loro qualità». (24-25 aprile 1895).
In un numero del maggio successivo (11-12 maggio 1895) il giornale pubblica addirittura
l'elenco dei Dignitari e degli Ufficiali delle due Logge novaresi, documento massonico di cui il
giornale dice di «possedere l'originale».
E' facile immaginare lo sconcerto tra le file massoniche. Diffide, ritrattazioni, sospetti non
infondati che tra i fratelli si annidi qualche giuda traditore. L'avvocato Carotti invia al giornale
cattolico una lettera nella quale confessa di essere stato per due anni Maestro Venerabile
della Loggia «Ugo Foscolo», ma di essersi poi messo in sonno per contrasti intervenuti con
l'altra Loggia «Indipendenza». Per dimostrare la sincerità della sua abiura annulla
pubblicamente il testamento massonico in cui disponeva la cremazione del suo cadavere.
Il Corriere di Novara» da parte sua reagisce esponendo nelle vetrine della sua tipografia una
fotografia del papa Pio IX insignito dei paramenti degli alti gradi massonici.
Ma l'articolo che porterà alla condanna dei responsabili de La Provincia novarese è una
corrispondenza da Oleggio, firmata Ipse dal titolo Elezioni amministrative apparsa sul
numero 56 del 17 luglio 1895 in cui il cav. Bernardino Balsani è accusato di appartenere alla
infame setta dei Framassoní (sic)... E' lui, continua l'ignoto articolista che a suo tempo ha
vomitato nere calunnie contro le innocenti suore, conosciute e sempre stimate da tutti, per
cui le poverette hanno dovuto esulare dalle nostre scuole, nelle quali mai più ritornarono
sotto l'attuale amministrazione ... ».
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Il giornale cattolico è subito citato in giudizio e il processo si svolge a Novara tra il 6 e il 10
marzo 1895.
La Massoneria novarese e anche quella vercellese, dal momento che Vercelli continua ad
essere un circondario di Novara, mobilitano e chiamano a raccolta tutti i maggiori esponenti
dell'area laica della Provincia. A sostenere le rimostranze della Massoneria sono chiamati il
Fratello Antonio Tadini di Arona e l'avv. Luigi Bozino di Vercelli. Testimoni a favore figurano
due deputati massoni, Francesco Parona di Novara e Giovanni Faldella di Saluggia (Vercelli)
e in più il prof. Paolo Cavallini Ridolfi e il dott. Carlo Minola.
Sul fronte cattolico non meno folto lo schieramento di nomi prestigiosi, chiamati a
testimoniare, con l'avv. Carlo Nasi alla difesa. Il dibattito si svolge con toni accesi e tra
continue impennate polemiche.
L'avv. Nasi, rovesciando i termini del dibattimento processuale, pone sotto accusa tutta la
Massoneria qualificandola una setta segreta vituperevole, il che corrisponde agli epiteti con
cui la stampa clericale è solita indicare l'istituzione: società di malfattori, tenebrosa, piaga
cancrenosa dell'Italia. Ribatte l'avv. Bozino asserendo che non è lecito qualificare come
infame la Massoneria: «Se si dice che il tale appartiene al partito clericale non si dice nulla di
male, ma se il partito viene qualificato infame si pronuncia un giudizio morale oltraggioso.
Anche tra i clericali ci sono dei ladri, dei prevaricatori, ma noi non diciamo che è un partito
infame».
il Tribunale di Novara emette alla fine una condanna abbastanza mite contro gli imputati del
giornale cattolico.
Ma poiché questi, insoddisfatti, ricorrono in appello, la Corte d'Appello di Torino, nonostante
che la Curia romana abbia affiancato all'avv. Nasi in difesa degli imputati nientedimeno che
l'avv. marchese Filippo Crispolti direttore de L'Osservatore romano, la Corte d'Appello di
Torino dicevamo, il 23 giugno 1896 emette un verdetto piuttosto severo nei confronti dei due
responsabili de La Provincia di Novara.
Il gerente, Angelo Comaschi, è riconosciuto colpevole di ingiurie e diffamazione a mezzo
stampa ed è condannato a dieci mesi di reclusione e a una multa di 833 lire.
Il direttore del giornale, l'avv. Serralunga-Langhi, è condannato al pagamento di tutte le
spese processuali che assommano a qualche migliaia di lire.
I giornali cattolici piemontesi aprono immediatamente una sottoscrizione in loro favore.
Il Vessillo di S. Eusebio di Vercelli invia alla Provincia novarese le sue... congratulazioni,
perché è da ritenersi un onore essere condannati dalla Massoneria.
Lo stesso Pontefice, in una intervista al giornale cattolico torinese Italia reale - Corriere
nazionale, si congratula della cristiana solidarietà dimostrata dalla stampa cattolica, e si
lamenta della piovra massonica.
Verso la fine del secolo la Massoneria compare anche nel circondario novarese della
Valsesia, introdottavi da un funzionario della Banca Commerciale di Milano, tale Luigi
Magrotti, e dal prof. Adelchi Crippa, i quali fondano a Varallo Sesia la R.L. «Pennina».
Quest'utimo è il rappresentante di una illustre famiglia di Massoni.
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Di tendenze democratiche, garibaldino, decorato sul campo dì battaglia di Bezzecca, fa di
Varallo e della Valsesia un rìvelante centro di irradiazione del libero pensiero. E a Varallo
riposano le sue ceneri dopo la cremazione della salma avvenuta a Novara.
Ancora più rivelante è la presenza tra le file dell'istituzione dei due figli, l'architetto Angelo
Crippa e il prof. Giunio Bruto Crippa, a cui è stata recentemente intitolata una Loggia a
Pavia.
Il primo, nato nel 1882 e morto nel 1970, inizia da Varallo Sesia quella prodigiosa carriera
nel campo dell'edilizia che culminerà nella progettazione dell'Ospedale pediatrico «Gaslini»
di Genova, nei progetti di arredamento dei principali transatlantici italiani e nella
progettazione del palazzo delle Assicurazioni Generali di Novara. Maestro Venerabile della
R.L. Pennina, Presidente della sezione genovese della «Giordano Bruno», Presidente
onorario del Consiglio mondiale della Associazione del Libero Pensiero recherà ovunque, in
Italia e nel mondo, la voce della solidarietà umana, della ragione, della libertà e del
progresso civile.
Non meno rilevata sul piano dell'impegno massonico è la figura del fratello prof. Gíunío
Bruto Crippa, iniziato in Massoneria nella Loggia Pennina l'11 agosto 1911.
Professore di chimica organica all'Università dì Pavia, poi Preside della Facoltà di farmacia
all'Università di Ferrara, nel 1920 lo troviamo affiliato alla R.L. «Gerolamo Cardano» di
Pavia, di cui fu Maestro Venerabile, più volte rieletto. Grande Maestro Aggiunto della
Massoneria di Palazzo Giustiniani, membro del Supremo Consiglio dei 33 di R.S.A.A. non
rifulse solo come massone di assoluta fedeltà, ma fu conosciuto come cultore profondo degli
studi comparati delle varie tradizioni spirituali, esoteriche e animiche. l massimi esponenti
della Massoneria del Grande Oriente d'Italia qualche anno prima che egli passasse
all'Oriente eterno (morirà nel 1970 a soli sei mesi di distanza dalla scomparsa del fratello
Angelo) gli rivolsero un fervido appello perché volesse accettare la Suprema Maestranza.
Ma gli impegni universitari e le inesauste applicazioni all'indagine scientifica, che non gli
consentivano distrazioni, gli resero impossibile l'accettazione. E questa rinuncia gravò sul
suo animo come la mancanza a un sentito dovere.
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5) Il primo Novecento
Nei primi anni del Novecento il Piemonte massonico assume sempre più la connotazione di
una potente associazione laica megapartitica.
Estende le sue branche in città e cittadine di antica tradizione cattolica come Varallo Sesia e
Cuneo. Nelle città capoluogo di provincia la sua presenza si risolve spesso in un impegno
politico quasi esclusivo. La misura di questo impegno ci è offerta anche dalla campagna
intrapresa per favorire la diffusione del principio della cremazione e promuoverne il
riconoscimento definitivo da parte del potere legislativo dello Stato, al fine di rendere
facoltativa per legge la cremazione dei cadaveri.
Novara é la seconda città del Piemonte, dopo Torino, a costituire una Società per la
cremazione, eretta in Ente Morale con un Regio Decreto del 1906.
Purtroppo nel 1908 si verifica in seno alla Massoneria Italiana quello scisma che porterà alla
costituzione di due distinte Obbedienze, una nota come Massoneria di Palazzo Giustiniani
(Grande Oriente d'Italia) l'altra come Massoneria di Piazza del Gesù (Gran Loggia
nazionale): uno scisma che si protrarrà fino alla sua composizione avvenuta nel 1973.
A Novara le ripercussioni dello scisma quasi non si avvertono (è l'anno in cui approda a
Novara la Società editrice «De Agostini»): esso non fa altro che sancire una secessione di
fatto che si era già verificata vent'anni prima quando i fratelli socialisti si erano staccati dalla
«Ugo Foscolo» per fondare la Loggia Indipendenza». Dopo il 1908 lo stacco tra le due
Officine si fa più marcato e più netto.
I Massoni di Piazza del Gesù, a sottolineare l'avvenuto distacco, mutano l'intitolazione della
loro Loggia e la denominano «R.L. Giuseppe Garibaldi».
La toponomastica massonica novarese del primo decennio del Novecento e fino allo scoppio
della prima guerra mondiale rivela tuttavia una diffusione così capillare dell'Istituzione in tutta
la provincia quale non si era mai registrata:
Oriente di Novara: Loggia o Triangolo
R. L. Ugo Foscolo
R. L. Giuseppe Garibaldi, Maestro Venerabile Dott. F. Bacchetta
Oriente di Vercelli: Loggia o Triangolo
R.L. Galileo Ferraris, Maestro Venerabile Prof. A. Zucchelli
Domodossola:
Triangolo (dipendente dalla R.L. «Giuseppe Garibaldi» di Novara
Oriente di Romagnano Sesìa:
R.L. Fra Dolcino, Maestro Venerabile Dott. G. Raboni
Oriente di Varallo Sesia:
R.L. Pennina, Maestro Venerabile Arch. Angelo Crippa
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Borgosesía:
Triangolo (dipendente dalla R.L. Pennina di Varallo Sesia)
Oriente di Biella:
R.L. Verità, Maestro Venerabile Aw. Eugenio Guelpa
Andorno Micca:
Triangolo (dipendente dalla R.L. Verità di Biella)
Vallemosso:
Triangolo (dipendente dalla R. L. Verità di Biella)
Subentrano gli anni smorti e ignavi e tristi del primo conflitto mondiale, del ventennio fascista
(in cui la Massoneria è posta al bando, le sue Logge incendiate, i fratelli pestati e condannati
al confino) e della seconda guerra mondiale.
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6) La rifondazione della Massoneria novarese nel secondo
dopoguerra
Alla fine del secondo conflitto mondiale si intraprende la rifondazione delle Logge
massoniche in tutto il territorio nazionale.
A titolo di pura cronaca ricordiamo che la prima a ricostituirsi in ordine di tempo è la
giustinianea R.L. «Santorre Santarosa» di Alessandria che sarà indicata appunto come la
numero uno, in quanto i suoi adepti si trovano riuniti il 25 aprile 1945 proprio mentre le forze
partigiane stanno entrando vittoriose in città.
Pure a Novara la Massoneria risorge dopo il periodo ciellenistico (1946) ad opera del dott.
Elio Soliani con la fondazione della R.L. «Cantoni».
Ad essa si aggiungono subito la risorta R.L. «Giuseppe Garibaldi» e una Loggia di Rito
Simbolico denominata «Lucifero», a cui risulta affiliato il prof. Massimo Lupo, che poi
l'abbandonerà per affiliarsi alla «De Amicis Toscano».
Ma già nel 1946 si costituisce un'altra Loggia la R.L. «Giuseppe Mazzini» il cui primo verbale
di riunione porta la data del 10 maggio dello stesso anno con la partecipazione di alcuni
Fratelli delle Logge preesistenti. Viene eletto Venerabile il Soliani, che imprime subito alla
Loggia un'attività intensa, quasi frenetica: riunioni bisettimanali, iniziazioni, discussioni e
valutazioni sulla opportunità o meno di affiliazione di elementi profani.
L'anno successivo il piè di lista della Loggia conta diciannove Fratelli i quali si ritrovano in un
locale del centro storico, che diverrà poi la sede di tutte le Logge novaresi, ancora senza un
vero e proprio Tempio, che sarà eretto e inaugurato solo il 12 febbraio 1949 alla presenza
del Gran Maestro pro-tempore Cipollone.
Nel frattempo in seno alle tre Logge si assegnano e si distribuiscono meglio i compiti
operativi e le funzioni direttive: Soliani è Maestro Venerabile della «Mazzini», Enzo Parona
della «Garibaldi», Cardinali della «Cantoni». I rapporti tra i Fratelli delle tre Officine sono
molto stretti. Tuttavia agli inizi degli Anni Cinquanta si avvertono in seno alle Logge alcune
lievi incrinature: alcuni Fratelli sono posti in sonno, altri si trasferiscono ad altri Orienti, per
altri ancora si discute, anche animatamente, se sia compatibile la loro appartenenza a
gruppuscoli massonici irregolari oppure la loro iscrizione a partiti politici di tendenze
estremiste.
Argomento del contendere è anche la posizione e l'orientamento che la Massoneria deve
assumere nei confronti del governo uscito dalle elezioni del 1948.
Il 26 settembre 1950 i Massoni novaresi danno vita a una nuova Loggia la R.L. «Edmondo
De Amicis» che si può considerare il luogo di incontro e di cristallizzazione di tutte le tre
Logge preesistenti.
Da questo, momento la Massoneria novarese allarga i suoi confini, estende la sua zona di
influenza sino a fagocitare Fratelli di altri Orienti come quelli dell'Oriente di Vercelli: stringe
anche rapporti strettissimi con Logge straniere, come la R.L. «Il Dovere» di Lugano e la R.L.
«Alpina» di Zurigo.
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Anzi siccome all'Oriente di Vercelli esiste solamente un Triangolo che solo il 17 giugno 1951
si costituirà nella R.L. «Galileo Ferraris» i Fratelli vercellesi si riuniscono e lavorano
abitualmente ospiti della «De Amicis» nel loro Tempio. Dai verbali di questa Loggia emerge
l'immagine di una Massoneria particolarmente attiva, operante, partecipe delle vicende
sociopolitiche nazionali e cittadine.
Si commemora Mazzini, si parla dell'italianità di Trieste, si fanno collette a favore
dell'Associazione Venezia - Giulia Dalmazia, si crea un fondo per la beneficenza a favore dei
poveri e degli indigenti in città, si invita a tenere una conferenza a Novara il Fratello prof.
Eucardio Momigliano, e si disserta contemporaneamente di etica massonica e di esoterismo.
Maestro Venerabile è sempre Soliani, ispettore di Loggia Scolaro.
Nel corso dell'anno massonico 1951-52 è iniziato il prof. Franco Toscano. E mentre in
Loggia si stigmatizza la campagna antimassonica del quotidiano cattolico locale L'Azione,
nel gennaio 1953 vede la luce a Novara la rivista massonica «Orientamenti», promossa e
patrocinata dall'infaticabile Maestro Venerabile Soliani.
Per l'anno 1953-54 e per i tre anni successivi a Soliani succede come Maestro Venerabile
della «De Amicis» il dott. Parona.
Nel frattempo si affiliano alla «De Amicis» alcuni fratelli di Omegna, Borgomanero e delle
zone Verbano-Cusio-Ossola, mentre a Stresa si costituisce la R.L. «Rosmini».
In questo periodo il piè di lista di Loggia conta 120 adepti, anche se la frequenza media ai
lavori di Officina è solo del 22%.
Ma il vero protagonista della Massoneria novarese del ventennio 1950-70 resta sempre il
Fratello Soliani, animatore di tutte le iniziative, partecipe di tutte le riunioni, con i suoi
interventi talora polemici e provocatori, persino urtanti qualche volta, ma sempre intesi a
stimolare la coscienza massonica dei Fratelli e a sollecitarli a prendere parte attiva alla vita
della Loggia.
Le riunioni rituali si aggirano sulla ventina ogni anno.
I temi più ricorrenti dei dibattiti e delle discussioni, che diventano spesso motivo di dialettiche
e contrastanti valutazioni sono le consultazioni elettorali politiche e amministrative per la
presenza di molti Fratelli nelle liste elettorali, discettazioni e prese di posizione sugli
argomenti più vari e diversi (di carattere economico, sociale, medico, storico, scientifico,
letterario) e di più palpitante attualità, resoconti e relazioni su visite a Orienti stranieri
(Lugano, Zurigo, Wiesbaden) o su pubblicazioni o articoli di giornale che facciano qualche
riferimento all'Istituzione.
A questi argomenti di carattere profano si alternano in Loggia tavole su tematiche più
specificatamente massoniche (fratellanza, simbolismo massonico, interpretazioni del Rituale
e delle Costituzioni, commemorazioni del XX settembre, compiti della Massoneria negli Anni
Cinquanta e Sessanta).
Nel gennaio 1957 l'Officina è presente col suo labaro e con un nutrito gruppo di Fratelli alle
manifestazioni carducciane che si svolgono a Bologna.
Nel febbraio 1962 la Massoneria novarese perde uno dei suoi più autorevoli e prestigiosi
rappresentanti, il Fratello Enzo Parona.
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Subito cinque membri della «De Amicis» cui si aggiungerà presto il Fratello Francesco
Baratelli, iniziato in Massoneria nel 1957, decidono di ricordarlo perennemente e a tale
scopo si staccano dagli altri confratelli, quasi per una forma di gemmazione, e danno vita a
una seconda Loggia in Novara la R.L. «Enzo Parona - Alla catena d'unione», con il
proposito, si legge, di operare in termini più rigorosamente rituali e per approfondire i temi
dello studio iniziatico-esoterico.
Scorrendo il piè di lista delle due Logge si scoprono interessanti elementi di calcolo storico,
che offrono una visione direi paradigmatica ed esemplare della Massoneria novarese di
questo periodo.
La maggior parte è costituita da elementi residenti in città, ma vi compaiono anche alcuni di
Borgomanero, Domodossola, Borgoticino, Galliate, e persino due di Lugano, Gozzano,
Stresa, Verbania, Mortara, Omegna, Romentino, in generale professionisti, medici, di cui tre
primari, avvocati, industriali, insegnanti, un agricoltore, un artigiano, un fotografo, un critico
d'arte, un veterinario, impiegati, un farmacista, agenti di assicurazione: un vero campionario
della miglior borghesia della Provincia di Novara del secondo dopoguerra.
Ma ricomincia anche l'irriducibile contrasto di pretta matrice ottocentesca tra Massoneria e
Chiesa Cattolica, contrasto reso ancor più acceso, se così possiamo dire, dalle mutate
condizioni della lotta politica in Italia e dal fatto che sul soglio pontificio si erge la energica e
rigida figura del Papa Pio XII, Eugenio Pacelli, che fu pontefice dal 1938 al 1958.
Che la «povera, defunta Massoneria sia rinata», come l'araba fenice dalle sue ceneri, lo
avverte subito la stampa cattolica.
«Non c'è da illudersi - scrive un giornaletto cattolico non novarese - I settari insataniti
restano gli schiavi alla catena del più temibile dei tiranni: il diavolo. Questo diavolo ha ripreso
le sue vesti di serpente massonico, di guisa che i cattolici vengono a trovarsi sbalorditi, come
chi si desta da un brutto sogno, nello scoprire che ormai la massoneria risorta ha gettato la
maschera e rientra, cancro d'Italia, in tutti i gangli della pubblica amministrazione».
Siamo all'apice dell'integralismo cattolico del ventennio pacelliano, a quello spirito di crociata
che presiede alla mobilitazione generale dei cattolici per le elezioni del 18 aprile 1948. È
denunciata pubblicamente «la riapparizione della sconfitta massoneria che ha scritto sul
proprio vessillo e non da oggi: guerra a ogni religione che pretende di essere rivelata: guerra
in modo particolare alla religione cattolica e alla Chiesa di Cristo. Superstizione da relegarsi
tra i Cafri e gli Ottentotti, indegna perciò di popoli civili ... » E con questo tono si continua a
infierire contro i «servi del drago verde che rimette fuori senza esitazioni e cautele la testa
pluricipite ... »
Un'attenuazione di questa campagna denigratoria nei confronti della Massoneria si
manifesta solo dopo la conclusione del Concilio Ecumenico Vaticano Il (indetto da Papa
Giovanni XXIII nel 1963 e concluso da Paolo VI nel 1965) per merito soprattutto del gesuita
Padre Giovanni Caprile e del Padre paolino Rosario Esposito, i quali si sforzano di avviare
una revisione storica dei rapporti tra Chiesa e Massoneria (se ne discute a lungo nelle Logge
novaresi).
La condizione della Massoneria come istituzione scomunicata e maledetta dalla Chiesa cede
il posto ad una visione più possibilistica sull'eventualità di un dialogo meno polemico e a una
posizione meno irriducibile da parte della Chiesa nei confronti della Massoneria.
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Padre Esposito azzarda persino una definizione della Istituzione tale che possa essere
accettata senza riserve sia dai Cattolici sia dai Massoni: « ... Associazione di persone che, in
base alle norme del diritto naturale, soprattutto attraverso l'iniziazione e l'intesa
supernazionale, tende a migliorare e ad affratellare l'umanità» ed esce quasi
contemporaneamente con questa impegnativa dichiarazione: «...Noi sappiamo che oggi non
possono valere i medesimi criteri dell'epoca in cui la scomunica contro la Massoneria fu
lanciata... E' indispensabile adeguarci. Il nostro modo di pensare e di giudicare deve entrare
in consonanza col Concilio ... La Chiesa non scomunica più, noi non possiamo scomunicare
più ... »
I primi accenni di disgelo avvengono però soltanto agli inizi degli Anni Settanta. Non si pensa
ancora, è vero, di affrontare i problemi della incompatibilità, della scomunica e tanto meno
dell'eventualità di un dialogo, neppure come prospettiva a lungo termine, tra Massoneria e
Chiesa Cattolica.
Si avverte solo da parte di alcuni esponenti della Chiesa la necessità di superare i vecchi
pregiudizi e le incomprensioni del passato.
Ne abbiamo chiari segni in alcune esemplari iniziative, prima di tutto la serie di articoli di
Padre Caprile apparsi su «Civiltà Cattolica» dopo il marzo 1971, poi gli incontri a Savona e
ad Asti con i massimi esponenti della Massoneria promossi dal coraggioso Don Rosario
Esposito.
Ma il dibattito più rilevante e significativo sul tema «Chiesa Cattolica e Massoneria nella
società d'oggi» è quello avviato a Novara agli inizi degli Anni Settanta dal Fratello Soliani.
L'incontro, organizzato da «Stampa club», si svolge il 26 maggio 1971 nel salone di Palazzo
Orelli.
Vi partecipano in rappresentanza della Massoneria il prof. Ernesto Ayassot, per la Chiesa,
ma a titolo personale, Don Luigi Rosa, gesuita, e in più l'avv. Achille Ottolenghi del Foro
milanese con la funzione di moderatore.
E' appunto l'Ottolenghi che introduce l'argomento del dibattito asseverando una
constatazione, non facilmente smentibile, che la Massoneria ha sempre offerto di sé una
connotazione anticlericale che si è protratta per tutto il Risorgimento e oltre, aggiungendo
però subito che oggi la realtà storica è completamente mutata.
Padre Rosa interviene dopo di lui osservando che se è giustificabile sul piano storico la
posizione dell'anticlericalismo risorgimentale della Massoneria italiana in quanto forza
politica che si batteva contro il potere temporale della Chiesa, è da notare però che essa, sul
piano morale, si è configurata in tutta l'Europa come un'organizzazione coperta dal segreto
nella quale finirono per confluire tutti i maggiori oppositori della Chiesa Cattolica come
istituzione divina e che sul piano teologico essa è assertrice di un vago deismo di profonda
estrazione ebraica che rinnega la figura del Cristo salvatore.
Ribatte il prof. Ayassot che la Massoneria non è una associazione segreta (ne fa fede
l'elenco telefonico che riporta gli indirizzi di molte Logge in varie città): è una società che,
come tante altre, non ha l'abitudine di sbandierare le sue cose a tutti e come tante altre ha i
suoi segreti. E' segreta invece in tante nazioni in cui deve combattere i regimi totalitari per la
libertà del paese.
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Gli interventi numerosi del pubblico presente, convenuto anche da Torino e da Milano,
offrono lo spunto per ulteriori precisazioni e più puntuali verifiche in una prospettiva di
dialogo che appare a tutti quanto mai utile e proficua. Al «Giornale di Novara» che in una
serie di articoli e corrispondenze ha riassunto gli interventi che hanno maggiormente
sollecitato gli interessi del pubblico, alla fine il dott. Soliani rilascia un'intervista che riassume
in forma compendiaria una proiezione nel futuro di quello che potrà essere lo stato dei
rapporti tra Chiesa e Massoneria.
Il successivo decennio 1971-1981 è forse il più ricco di vicende di tutta la storia della
Massoneria novarese: vi si sente l'eco dei travagli che commuovono dal profondo la vita
dell'Istituzione a livello nazionale.
Intanto essa perde un altro suo validissimo Fratello, il prof. Franco Toscano (Marzo 1971) e
la perdita è talmente sentita che i Fratelli della «De Amicis» propongono che d'ora innanzi la
loro Loggia assuma la nuova denominazione di «De Amicis - Toscano».
Poi la R.L. «Rosmini» di Stresa, da qualche tempo non più operante, viene definitivamente
demolita nel 1975.
Fortunatamente nel 1973 si ricompone in sede nazionale quello scisma massonico del 1908,
che aveva visto contrapposte in attiva ma più spesso inerte polemica, le due Obbedienze di
Piazza del Gesù e di Palazzo Giustiniani.
A Novara la R.L. «Luigi Antonelli» della Comunione di Piazza del Gesù con dodici Fratelli e
una sede propria ma operante quasi esclusivamente presso la R.L. «Pitagora» di Vercelli si
affianca alle altre due e dal 1974 lavorerà in comunità d'intenti e di propositi con i Fratelli
della «De Amicis -Toscano» e della «Parona».
Ma hanno inizio anche gli anni del linciaggio morale e della «lotta al massacro» contro la
Massoneria. In Loggia sin dagli inizi degli anni Settanta alcuni Fratelli incominciano
apertamente ad esprimere dubbi e perplessità sulla regolarità della Loggia P2 e sulla validità
dell'iniziazione di un profano come Licio Gelli, sulla figura del Gran Maestro Salvini,
discutono animatamente delle accuse mossegli dal Fratello Giuffrida alla riunione della Gran
Loggia del 22 marzo 1975.
E mentre in ogni parte dell'Italia infuria la grande battaglia antimassonica in cui si
intrecciano, si scontrano, si elidono a vicenda gli articoli di giornali, di riviste, di rotocalchi,
sulle lotte al vertice della Massoneria, sulla P2, su Licio Gelli e sui veri o presunti scandali
che offuscano l'immagine dell'istituzione, dai Fratelli delle tre logge novaresi si levano voci di
condanna nei confronti della Gran Maestranza fino alla richiesta di elevare tavole di accusa
contro Gelli, e i Gran Maestri Salvini e Gamberini: un fatto unico, mai verificatosi nella storia
della Massoneria. Soliani che viene indicato come il più irriducibile accusatore viene
estromesso senza processo dalla Massoneria. Ne sarà poi scagionato e riammesso.
Il lavoro nelle logge si svolge però senza gravi contraccolpi, senza interruzioni: i Fratelli
indicono raccolte straordinarie per i terremotati dei Friuli, discutono sul nuovo diritto di
famiglia, testimoniano la loro coesione dichiarando unanimemente la loro fede massonica:
«La Massoneria - dicono - non è un clan, né un'oasi, o un'accademia di cultura e di incontro
tra amici, e neppure una società di mutuo soccorso; essa è una scuola iniziatica ove occorre
scavare sempre più profondamente in se stessi, sinceri fino all'amarezza».
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