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SOMMARIO
L’insufficienza Venosa (IVC)
Un libro sotto l’albero
La lesione della cuffia dei rotori
- Dott. Maurizio Rubino
Radiofrequenza quadripolare dinamica frazionata
- Dott.ssa Francesca Poggi
Il fumo come fattore di rischio oncologico
Una tisana per depurarsi
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L’insufficienza Venosa (IVC)
L’ elevata incidenza dell’insufficienza venosa cronica e l’aumento dell’età media della popolazione, impongono un’attenzione sempre maggiore su questa patologia. Un’adeguata
gestione è indispensabile per la riduzione dell’incidenza e per
il controllo della sua evoluzione.
L’IVC è una malattia dovuta ad inadeguato ritorno venoso
ed ipertensione a carico degli arti inferiori in condizioni
di ortostatismo.
Insufficienza o Malattia?
Insufficienza: squilibrio emodinamico dovuto all’incontinenza degli assi venosi degli arti inferiori
Malattia: comprende il corredo di segni obiettivi e sintomi
soggettivi correlati alla disfunzione emodinamica e le condizioni funzionali o precoci di alterazione dello scarico venoso.
L’ Insufficienza Venosa Cronica (IVC) alla base della Malattia Venosa Cronica (MVC), appare una condizione clinica
assai rilevante sia dal punto di vista epidemiologico sia per le
importanti ripercussioni socio-economiche che ne derivano.
Sono ben note le conseguenze della sua elevata prevalenza,
i costi dell’iter diagnostico e del programma terapeutico, le
significative perdite in ore lavorative e le ripercussioni sulla
qualità di vita.
La prevalenza attuale a carico degli arti inferiori è del 10-50%
nella popolazione adulta maschile e del 50-55% in quella femminile: un italiano su due ha un problema venoso. La malattia
varicosa è presente, clinicamente manifesta, nel 10-33% delle
donne e nel 10-20% dei maschi adulti: un italiano su quattro
è affetto da varici essenziali o primitive.
L’ invecchiamento progressivo della popolazione, le abitudini alimentari, le esigenze lavorative e i ritmi di vita incidono
spesso anche nei fattori posturali che influenzano la circolazione venosa degli arti inferiori.
dema dell’arto, provocato da ipertensione venosa localizzata o
estesa determinante alterazioni a livello del macro e del micro
circolo venoso. Questa alterazione riguarda sia la posizione
in ortostatismo (posizione eretta), sia quella in clinostatismo
(distesa) ed interessa anche il meccanismo della pompa muscolare dell’arto inferiore in toto, il tessuto connettivo e la motilità articolare.
Per la diagnosi di IVC sono importanti l’esame obiettivo, l’anamnesi ed il giudizio clinico eventualmente supportato da
quello strumentale mediante l’esame Doppler ad onda continua (Continous Wave - CW), ovvero ecocolorDoppler, che
permette di escludere o confermare la presenza di trombosi o
di reflusso.
L’ ecocolorDoppler è un esame ultrasonografico che prevede
sia l’esame morfologico che quello emodinamico (lo studio
della velocità e della direzione dei flussi) e consente di valutare ed indicare l’eventuale sede e l’estensione di un reflusso,
la presenza o meno di materiale iperecogeno all’interno del
lume e la comprimibilità o meno dei vasi (assente in caso di
trombosi venosa).
Questa patologia è una
condizione di prolungata
incompetenza valvolare della
circolazione venosa è può
essere conseguenza di alterazioni funzionali. L’etiologia
più frequente consiste in
un’alterazione primitiva della
parete (meiopragia) e delle valvole delle vene soprafasciali
degli arti inferiori, con dilatazione e reflusso (varici essenziali o primitive)
Varici secondarie: dovute a
precedenti trombosi venose
profonde (TVP)
La malattia venosa cronica degli arti inferiori (MVC) ha
come fattore etiologico principale l’incontinenza valvolare che
può essere primitiva (essenziale) o secondaria ad un’ostruzione (trombosi) delle vene superficiali, profonde o perforanti.
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Una trombosi venosa profonda
può determinare la comparsa
di varici (secondarie) per un
meccanismo di compenso
emodinamico.
Il linfedema cronico
(alterazione dei vasi linfatici)
comporta un iperlavoro delle
vene, determinando una IVC.
Classificazione dell’IVC
ORGANICA: causata da proprie alterazioni anatomiche delle
vene (varici, esiti di trombosi venosa…)
FUNZIONALE: espressione di un iperlavoro delle vene (insufficienza delle pompe muscolari da alterazioni della postura, anchilosi, artrosi, linfedema...).
Un terzo delle IVC è dovuto a Sindrome postrombotica; due
terzi sono dovuti ad una malattia varicosa non trattata chirurgicamente.
Prevenzione e fattori predisponenti
La prevenzione dell’insufficienza venosa cronica e delle sue
complicanze è un aspetto di fondamentale importanza nell’operato del chirurgo vascolare che ha il dovere d’informare il
paziente dell’eventuale coesistenza della malattia venosa, per
ridurne i rischi e garantirgli un’adeguata assistenza. È dunque buona norma indicare al paziente piccoli accorgimenti da
mettere in pratica quotidianamente:
• Camminare per attivare la pompa muscolare che spinge il
sangue dalle vene periferiche verso il cuore
• Evitare la sedentarietà
• Quando obbligati a stare fermi a lungo effettuare un semplice esercizio: sollevarsi ritmicamente sulle punte dei piedi
facendo lavorare le caviglie
• Praticare una regolare attività fisica scegliendo sport attivi
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almeno 3 rampe di scale in salita ogni giorno) per tonificare in
modo armonico i muscoli delle gambe
• Preferire un’attività motoria che favorisca l’azione della
pompa muscolare del polpaccio, il cosiddetto cuore periferico
• Tenere sollevate le gambe: è consigliabile dormire con i piedi
più in alto del cuore per favorire il ritorno venoso: un cuscino
sotto il materasso è più che sufficiente
• Evitare di indossare indumenti stretti in quanto ostacolano
la circolazione. Utilizzare calzature adeguate con un tacco di
circa 2 cm nell’uomo e 3-4 centimetri nella donna
• Non esporsi a fonti di calore: il caldo, uno dei principali nemici delle vene, le dilata. Per questo motivo la doccia è più indicata del bagno, ma è sconsigliato l’uso di acqua troppo calda
• Nutrirsi in modo sano e leggero favorendo gli alimenti ricchi
di fibre, come i cereali, la frutta, la verdura, i legumi secchi,
che aiutano anche l’attività intestinale. Assumere piccole porzioni di cibo per evitare sovrappeso ed obesità
• Limitare il consumo di alcolici e il fumo di sigaretta
• Effettuare, la sera, massaggi con acqua tiepida partendo dal
piede e risalendo lungo la gamba prima sul lato esterno e poi
su quello interno utilizzando il getto d’acqua della doccia
• Indossare calze elastiche riposanti: favoriscono il ritorno
sanguigno dalla periferia al cuore, specie nei mesi estivi.
Esami strumentali
L’ecocolorDoppler è considerato il “gold standard” nello
studio della MVC. Permette di controllare in modo non invasivo le pareti del vaso venoso e di rintracciarne le lesioni,
precisandone la dimensione e lo stato. È possibile codificare il
flusso sanguigno all’interno della vena e registrarne l’attività in
velocità semiquantitativa.
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come passeggiare lungamente magari sulla spiaggia o più semplicemente scoprire le gambe nelle giornate calde?
Il tuo problema sono le vene varicose.
Più del 40% delle donne e il 20% degli uomini soffre di questa condizione patologica che provoca dolore, sensazione di
affaticamento e pesantezza, gonfiore alle caviglie e comparsa di visibili venuzze blu superficiali (teleangectasie). Questi
sintomi tendono a peggiorare con il passare del tempo fino
alla comparsa di alterazioni cutanee, eczema ed infiammazione dei tessuti sottocutanei, ulcere localizzate per lo più nei
distretti inferiori delle gambe.
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Mentre le arterie veicolano il sangue dal cuore alle estremità,
le vene, grazie alla presenza di valvole unidirezionali, lo riconvogliano verso il cuore. Se queste valvole non funzionano bene,
si formano le varici, vene nelle quali gli apparati valvolari hanno
perduto la loro efficacia a trattenere il sangue: il risultato è la
loro dilatazione dovuta all’aumento di volume ematico al loro
interno, e quindi di pressione sulle pareti con allungamento,
ispessimento ed aspetto serpiginoso.
Al corretto ritorno venoso del sangue collaborano le valvole
venose, i ritmici atti respiratori, le contrazioni, le pulsazioni
del cuore ed i muscoli delle gambe.
La patologia interessa ampi strati della popolazione nelle differenti fasce d’età e colpisce in età adulta in maniera significativamente eredofamiliare con discreta prevalenza nel sesso
femminile. Nella donna, peraltro, diverse situazioni collegate
con la sfera riproduttiva determinano cicliche condizioni peggiorative: il ciclo mestruale,la gravidanza, la menopausa, l’assunzione della pillola anticoncezionale e della terapia ormonale sostitutiva in menopausa. Fattori aggravanti sono la vita
sedentaria, l’attività lavorativa in prolungata posizione eretta e
ferma in piedi, la scarsa deambulazione, l’attività fisica modesta o assente, il soprappeso corporeo, l’obesità e la stitichezza.
Il medico di medicina generale si trova a gestire personalmente i passaggi più delicati per il paziente nell’affrontare la patologia da insufficienza venosolinfatica.
La migliore conoscenza delle problematiche connesse con
questa insufficienza, approfondita con specialisti Chirurghi
Vascolari, può essere utile per la migliore cura. Sottoporsi periodicamente ad una visita preventiva, specialmente all’inizio
della stagione calda e se esiste una familiarità può essere utile
nell’individuare segni e sintomi iniziali e nel seguire l’evoluzione di una patologia flebologica già manifesta.
Il sistema venoso: com’è fatto e come funziona?
Nei soggetti anziani, gravemente ammalati, gli atti respiratori e talvolta anche le pulsazioni cardiache divengono meno
efficienti: si aggravano così la stasi venosa e l’immobilità già
derivanti dalla posizione distesa nel letto. Le masse muscolari
circondano e proteggono solo le vene profonde, opponendosi
con la loro pressione alla dilatazione venosa e causandone una
benefica ritmica spremitura durante i movimenti e la deambulazione, le vene superficiali al contrario sono più esposte e per
questo si ammalano con frequenza estremamente superiore.
La più grave e pericolosa complicazione dell’insufficienza venosa è rappresentata dalla trombosi di vene profonde, con formazione di trombi o coaguli che possono dare origine ad emboli di piccole o grandi dimensioni, talvolta pericolosi per la
vita. Il rischio di trombosi venosa profonda aumenta notevolmente in caso di interventi chirurgici, traumi, neoplasie, gravidanza, assunzione di contraccettivi orali, terapia ormonale
sostitutiva e nei soggetti anziani. Nella chirurgia maggiormente esposta a rischio di tromboembolismo venoso (chirurgia
ortopedica, oncologica, ginecologica, addominale) devono
Passeggini, pannolini, tutto per il bagnetto,
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Alterazioni di anatomia e di postura del piede e della caviglia
(piede piatto, piede cavo, alluce valgo), e l’utilizzo di calzature scorrette, possono determinare una riduzione del ritorno
venoso degli arti inferiori. In condizioni d’insufficienza venosa
ed in presenza di varici, l’insufficienza valvolare e l’aumento
di pressione nelle grosse vene superficiali, in particolare delle
safene, si trasmette come aumento di pressione a livello capillare nel microcircolo, causando fuoriuscita di liquidi, proteine
e cellule del sangue nei tessuti sottocutanei. Si manifestano i
primi sintomi quali sensazione di tensione e pesantezza delle
gambe, gonfiore delle estremità, prurito, crampi specie notturni, talvolta formicoli.
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essere messi in atto tutti i mezzi preventivi a disposizione:
mobilizzazione quanto più precoce possibile del paziente,
mobilizzazione attiva e passiva a letto durante la degenza,
calze elastiche antitrombo, profilassi farmacologica a dosaggi
adeguati. La più grave espressione della sofferenza dei tessuti nella malattia venosa è l’ulcera venosa: si forma generalmente sopra la
caviglia, nella parte interna: in questo punto il tessuto sottocutaneo è
più sottile e risente maggiormente del peso della colonna di sangue e
dell’aumentata pressione nelle vene.
Per rallentare l’evoluzione dei segni e dei sintomi si possono attuare alcuni semplici esercizi di ginnastica
Esercizio 1: distendetevi con le gambe sollevate appoggiandole
ad una sedia, anche pochi minuti vi procureranno notevole sollievo alla sensazione di gonfiore e pesantezza delle gambe.
Esercizio 2: mettetevi supine, mani sotto la nuca, gambe distese. Piegate al massimo le cosce sull’addome. Stendete una
gamba poi l’altra verso l’alto e lasciatela scendere lentamente
senza piegarla. Ripetete 10-15 volte.
Esercizio 3: mettetevi supine, mani sotto la nuca, gambe
distese. Piegate la coscia sull’addome, prendete il piede con
la mano, stendete la gamba verso l’alto lasciando scorrere la
mano lungo l’arto, esercitando un lieve massaggio. Ripetete
8-10 volte per gamba.
Esercizio 4: sollevatevi sulle punte e camminate per mezzo
minuto. Fate altrettanto sui talloni.
Esercizio 5: eseguite per 10-15 volte almeno ogni ora movimenti di rotazione delle caviglie prima in un senso e poi
nell’altro,ed esercizi di flessione e distensione dei piedi alternativamente.
L’ insufficienza flebolinfatica degli arti inferiori è suscettibile di
periodiche riacutizzazioni stagionali e di aggravamenti o complicazioni in condizioni di scarsa possibilità di mobilizzazione
e deambulazione.
È possibile trarre grande giovamento da un rimedio tradizionale
ancora molto valido, le calze elastiche che, esercitando una pressione esterna sulle vene superficiali, contrastano l’aumento della
pressione venosa e la dilatazione dei vasi, favorendo il flusso di sangue verso il cuore e aumentando l’efficacia della pompa muscolare.
Per essere efficaci devono essere a compressione graduata, devono cioè esercitare una compressione diversa nei differenti
punti della gamba: massima alla caviglia e gradualmente decrescente risalendo lungo l’arto, senza comprimere all’inguine
e alla radice della coscia,così da ridurre il ristagno di sangue.
Devono adattarsi perfettamente alla forma della gamba e vanno indossate al mattino. I risultati che si ottengono con le calze possono essere ulteriormente migliorati associando il loro
uso a un trattamento farmacologico (orale o locale), in grado
di alleviare i disturbi e di rallentarne l’evoluzione soprattutto
se li si assume alla comparsa dei primi sintomi.
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Un libro sotto l’albero
Una favola apparentemente semplice
che cela significati profondi:
“Il Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry”.
È la storia di un piccolo principe che abita su un asteroide e che,
stanco della sua solitudine, decide di raggiungere la terra in cerca
di amici. Nel suo viaggio tra pianeti ed asteroidi s’imbatterà in molti
personaggi singolari, ma sarà sulla terra che farà l’incontro più significativo dal punto di vista relazionale: inizierà un dialogo denso di
significati con una volpe che lo indurrà a riflettere sul valore dell’amicizia e delle relazioni umane.
La voce narrante è quella di un aviatore che, attraverso flash-back, ricostruisce le tappe del viaggio del protagonista, un viaggio inteso come
metafora della fuga dall’isolamento, un modo per incontrare qualcuno.
Prima della partenza per quest’avventura verso gli altri, il Piccolo
Principe risistema il suo mondo interno (“mise bene in ordine il
suo pianeta”), distingue gli aspetti di sé che consentono una crescita
sana dagli aspetti distruttivi (distrugge i baobab e si cura della rosa).
L’ idea di tenere puliti i vulcani presenti sul pianeta per poter utilizzare la loro energia “per scaldare la colazione…”, perché “se i camini
sono ben puliti, bruciano piano piano, regolarmente e senza eruzioni..”: corrisponde al prendersi cura degli aspetti aggressivi e delle
pulsioni che diventano vitali nel momento in cui sono impiegate
per scopi costruttivi. E innaffiare accuratamente il suo fiore e cercare di proteggerlo sotto una campana di vetro è l’idea di proteggere
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i sentimenti, le emozioni, i pensieri e le fantasie che vanno curati
con attenzione affinchè rimangano in equilibrio tra di loro perché
nessun sentimento, emozione o pensiero deve crescere a dismisura
(i baobab) fino a prendere il predominio su tutto il resto.
Gli interrogativi che il Piccolo Principe pone nel suo viaggio sono
domande sull’ovvio:
“Perché le pecore mangiano i fiori?” “Perché le rose hanno le spine?”
e il percorso prevede di debanalizzare l’ovvio, che non è affatto
scontato.
Le prime battute dell’incontro con l’aviatore sono incentrate su disegni che gli adulti banalizzano vedendone soltanto l’aspetto esteriore:
il cappello/boa che digerisce un elefante e la scatola con i fori che
contiene la pecora che il Piccolo Principe aveva chiesto di disegnare
sono l’esempio che la rappresentazione non pittorica suggerisce ad
un bambino l’immagine di ciò che c’è dentro, ma non evoca nulla
in un adulto, troppo legato alla concretezza delle rappresentazioni.
Il Piccolo Principe atterra su sei pianeti diversi in cui rileva l’impossibilità di dar vita ad una reale comunicazione, allo scambio di conoscenze: nei suoi incontri, la più semplice delle attività umane, cioè
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parlare con qualcuno ed essere ascoltati, diventa qualcosa di molto
difficile e complicato, al punto di divenire uno schema che si riproduce coattivamente. Sulla terra un incontro trasformativo ne cambierà il copione relazionale: al Piccolo Principe che cerca gli uomini
per scoprire gli amici e per conoscere cose nuove, la volpe risponde
con due affermazioni: la prima che addomesticare significa “creare
legami”, la seconda che rispetto ad un progetto di conoscenza “non
si conoscono che le cose che si addomesticano”.
Il punto è: come si fa ad addomesticare qualcuno?
La soluzione proposta dalla volpe è straordinariamente semplice:
“Bisogna essere molto pazienti”. Il bambino intravede così la possibilità di rompere le strutture relazionali codificate e rigide degli incontri precedenti: per avviare il processo di conoscenza è sufficiente
il silenzio che accompagna l’ascolto e nello stabilire dei legami è
implicito il separarsi.
L’addomesticamento è un lento e graduale avvicinamento che ci
permette di imparare ad amare l’altro conoscendolo e rispettandolo
nel suo modo di essere.
Possiamo considerare l’incontro del Piccolo Principe e della volpe
come la metafora di ogni colloquio riuscito.
Avvicinarsi a un primo colloquio con un nuovo paziente è pressappoco come il momento in cui il Piccolo Principe lascia il suo asteroide; come diceva lo psicoanalista britannico Wilfred Bion, “necessita
della capacità di sostare nell’incertezza”.
Dott.ssa Francesca Saraceno
Il rito contiene in sé il momento della separazione nel succedersi
degli incontri e, implicitamente, il momento della separazione finale, distacco che va pensato, preparato, come fa la volpe col Piccolo
Principe: se non ci si separa non ci si differenzia, non ci si individua, dunque non si cresce, concetto che il Piccolo Principe fatica
a comprendere. Quando la volpe annunzierà che piangerà alla sua
partenza, il Piccolo Principe chiederà se la partenza significa dolore:
“Che ci guadagni?” chiede infatti…“Ci guadagno il colore del grano,
il ricordo delle esperienze buone che ho avuto con te”.
Il compito dello psicologo è proprio quello di creare legami e rendere possibili le separazioni.
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La lesione della cuffia dei rotori
Il miglioramento delle metodiche di indagine e la positiva
esperienza chirurgica hanno fatto aumentare vertiginosamente l’indicazione al trattamento chirurgico, anche in età avanzata, della lesione della cuffia dei rotatori della spalla, in passato impropriamente denominata “periartrite”. L’ affermarsi di
tecniche artroscopiche sia in ambito diagnostico sia in ambito
chirurgico ha dato impulso ad una sorta di anatomia funzionale che ha permesso di individuare nuove strutture da indagare. La diagnostica per immagine diventa così fondamentale
per confermare il dato clinico e permettere al chirurgo una
corretta indicazione al trattamento.
Nella chirurgia della spalla si ricorre all’interventismo non
solo per i buoni risultati, ma anche per i brevi tempi di degenza e per la bassa incidenza di complicazioni postoperatorie;
sono inoltre in aumento le possibilità di operare in anestesia
locoregionale in regime di Day Surgery.
Trattamento chirurgico della lesione della cuffia
dei rotatori
Note di anatomia
La cuffia dei rotatori è costituita da un insieme di quattro tendini che ricoprono e rivestono la testa omerale e permettono
l’ampio grado di libertà di movimento tipico della spalla. Nei
movimenti di elevazione i tendini della cuffia stabilizzano la
testa omerale “centrandola” nella glena scapolare opponendosi così alla forza del muscolo deltoide che, diversamente,
tenderebbe a spostarla verso l’alto. Il ruolo dei tendini della
cuffia dei rotatori diventa quindi sia di motore attivo, insieme
al deltoide, sia di stabilizzatore passivo. Questo fa ben comprendere come una lesione a carico della cuffia sia in grado di
alterare profondamente ed in maniera ingravescente il normale movimento della spalla.
Fig. 1: Ampio grado di libertà di movimento della spalla garantito dalla azione di motore attivo e stabilizzatore passivo dei tendini della
cuffia dei rotatori.
È opportuno ricordare che nel soggetto anziano la lesione è
spesso causata da un’eccessiva usura delle porzioni di cuffia
più sollecitate: alcune condizioni anatomiche di restringimento dello spazio entro cui sono obbligati a scorrere i tendini durante il normale uso funzionale possono creare una situazione
reattiva infiammatoria caratterizzata da dolore. Il compenso
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del solo sintomo dolore porta ad un peggioramento dell’usura
tendinea che conduce inevitabilmente ad una lesione degenerativa ingravescente.
Note di sintomatologia
Le lesioni di cuffia interessano una popolazione di solito senile
a partire dalla sesta decade di vita senza evidente preferenza
di sesso. Tipica è la storia di ripetute crisi algiche che, specie nelle ore notturne, disturbano il paziente con progressiva
limitazione dei movimenti di elevazione della spalla e classica è la difficoltà riferita nel pettinarsi o nel togliersi la giacca
quando è necessario combinare il movimento di elevazione
e quello di rotazione esterna. La valutazione clinica viene effettuata tramite un approfondimento diagnostico che prevede
l’esame radiografico integrato ad ecografia ed eventuale risonanza magnetica.
La formazione di chirurghi con esperienza più selettiva nei
confronti di questa patologia e di patologie a carico dell’arto
superiore in genere, determina l’evolersi di una categoria di radiologi “dedicati “ al muscoloscheletrico e alla spalla.
Considerata la complessa anatomia funzionale di questa struttura è possibile che si formi anche una categoria di fisioterapisti
dedicati che, interfacciandosi con il chirurgo nel postoperatorio,
possano limitre i compensi funzionali messi in opera dai pazienti.
Note di trattamento chirurgico
Scopo del trattamento chirurgico è compensare il dolore cercando di restituire il massimo della funzione: prima si interviene e più esistono possibilità di ottenere un buon risultato.
Attraverso l’intervento si cerca di evitare il peggioramento delle strutture tendinee limitrofe diminuendo le condizioni locali
di attrito. L’ intervento può essere eseguito in artroscopia o
con accessi convenzionali limitati, in questo caso, la condotta
chirurgica di risparmio delle strutture anatomiche fondamentali per la funzione permette di riprendere il movimento con
tempi riabilitativi minimi.
Se la lesione di cuffia è inveterata si ha una retrazione del
moncone tendineo verso il ventre muscolare che, non più
sollecitato funzionalmente, va incontro ad una degenerazione
con netta diminuzione delle capacità contrattili e con trasformazione del tessuto muscolare in tessuto fibroadiposo. Questa situazione comporta sia una difficoltà intraoperatoria nel
compensare la retrazione tendinea per reinserire il tendine nel
punto originario, sia una scarsa efficienza dell’unità muscolotendinea eventualmente riparata per la precedentemente
segnalata degenerazione fibroadiposa muscolare. In caso di
lesioni degenerative di cuffia preferisco utilizzare la tecnica
miniinvasiva con accesso in miniopen che permette una riparazione il più vicino possibile all’anatomia e il rispetto della
componente biologica riparativa dei tendini (con accesso cutaneo di circa tre cm, specie su soggetti magri, si può arrivare
alla cuffia facendosi strada tra deltoide anteriore e medio).
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Fig. 2: La linea in nero rappresenta l’accesso cutaneo, la linea rossa
tratteggiata l’accesso fra deltoide medio e deltoide anteriore; a destra
si nota l’area della testa omerale, denudata dalla lesione della cuffia,
indicata con l’asterisco.
Dopo aver rimosso la borsa sierosa infiammata si aumenta lo
spazio occupato dalla cuffia tra acromion e testa dell’omero attraverso l’asportazione (contenuta) della parte inferiore dell’acromion quando questo, curvato quasi ad uncino, restringe
lo spazio subacromiale. Giunti sulla cuffia si fa un bilancio
di lesione e delle possibilità riparative cercando di valutare
sia l’entità della retrazione presente sia quanto questa possa
persistere dopo opportune manovre di sbrigliamento eseguite
per recuperare il tessuto tendineo.
Il concetto che guida il chirurgo è quello di non eseguire reinserzioni chirurgiche in tensione in quanto gravate da una alta
incidenza di fallimento ma di tracciare e ricavare in prossimità
dell’ originaria inserzione tendinea una sorta di trincea ossea
in cui far arrivare i lembi di cuffia sottesi a fili di sutura idonei.
Fig. 3: Reinserzione tendinea su trincea ossea in prossimità dell’originaria inserzione.
In questa maniera si riesce ad ottenere una più ampia superficie di contatto tra tendine ed osso che garantisce sia meccanicamente sia biologicamente un’evoluzione favorevole della
reinserzione.
Fig. 4: Esito di RM.
Nelle lesioni degenerative di cuffia infine si determina sempre
un’ instabilità del tendine del capo lungo del bicipite nel solco
anatomico tra le due tuberosità della testa omerale. Questo
determina una condizione dolorosa che giustifica, come atto
chirurgico complementare, il distacco del tendine dalla sua
inserzione alla glena scapolare quando l’età del soggetto e le
condizioni anatomiche locali lo indichino.
Trattamento postoperatorio
La rieducazione prevede che la spalla sia trattata come insieme di più articolazioni, in quanto integrata insieme a gomito,
polso e mano nella funzione dell’arto superiore.
Fondamentale è che la tecnica chirurgica non offenda i tessuti più nobili dal punto di vista funzionale e che elimini le
fonti anatomiche di dolore. Da ciò deriva la scelta del rispetto
massimo per il muscolo deltoide: l’asportazione accurata della
borsa sottoacromiondeltoidea, il distacco del tendine del bicipite e l’asportazione di lembi peduncolati di cuffia rimasti
inseriti perifericamente.
La rieducazione, che inizia il giorno stesso dell’intervento,
è prevalentemente passiva o autoassistita nel primo periodo
(stabilito in base al tipo di lesione e alla qualità della eventuale
re inserzione): una cuffia reinserita con tecnica miniopen o artroscopica non può essere sollecitata in maniera attiva nei primi due mesi postoperatori. Nel frattempo, però, la rieducazione deve garantire la libertà articolare di tutte le articolazioni e
l’uso funzionale corretto dei gruppi muscolari coinvolti sia nel
fisiologico movimento sia negli eventuali compensi funzionali
sfruttati dai pazienti.
Nel post operatorio non è indispensabile l’uso di un tutore,
basta un bendaggio di maglia elastica che permetta di evitare
nei primi trenta giorni, movimenti attivi del cingolo scapolare. È inoltre fondamentale la mobilizzazione passiva in tutti i
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piani articolari, esclusa la extrarotazione, con l’aiuto dell’altro
braccio in autoassistenza o con la collaborazione di un’altra
persona. Tale mobilizzazione deve iniziare nelle prime ore
post operatorie, malgrado l’eventuale sintomatologia algica
presente, per elasticizzare al massimo i tessuti ed impedire
fenomeni aderenziali.
Trascorsi trenta giorni inizia una fase rieducativa che prevede
l’elevazione contro gravità a soggetto supino per conseguire
una graduale articolarità completa.
I risultati nel trattamento delle lesioni massive di cuffia su base
degenerativa sono ottenuti e garantiti sul dolore e sul guadagno funzionale articolare, mentre il recupero della forza in
elevazione sopra la linea dell’orizzonte necessita di maggior
tempo riabilitativo.
La lesione di cuffia non trattata porta ad una risalita della testa omerale non più centrata sulla glena scapolare dai tendini
della cuffia e traslata superiormente dall’azione del deltoide.
Questa situazione biomeccanica estremamente sfavorevole
porta ad una artrosi evolutiva dell’articolazione scapolomerale
definita “eccentrica” classica della lesione inveterata di cuffia,
che può essere trattata solo con l’impianto di una artroprotresi
di spalla ad articolarità invertita.
Dott. Maurizio Rubino
Nato a Genova il 27.02.1956
Clinica Salus di Alessandria dal 01.09.2007.
Sostiene la maturità scientifica nel 1975 a
Genova con la votazione di 60/60.
Dal gennaio 2010 ha un contratto a progetto con I.R.C.C.S. Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano dove è referente per chirurgia arto
superiore presso unità C.A.S.C.O.
Si laurea in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Genova il 24.07.1981
con la votazione di 110/110 e lode.
Consegue la specializzazione in Ortopedia presso l’Università degli
studi di Milano il 02.07.1986 con la votazione di 70/70 e lode
e quella in Chirurgia della Mano presso l’Università degli studi di
Pavia in data 11.10.1989 con la votazione di 50/50 e lode.
É stato Medico frequentatore XIII U.S.L. presso la prima Divisione
di Ortopedia e Traumatologia dell’Ospedale S. Martino di Genova
dal luglio 1981 al 08.06.1988 e dirigente medico presso la Prima
Divisione di Ortopedia e Traumatologia dell’Ospedale S.Martino di
Genova dal 09.06.1988 al 31.08.2007 con all’attivo oltre diecimila interventi in urgenza traumatologica e in elezione eseguiti come
primo operatore su tutti i distretti osteoarticolari.
Esercita la professione di Libero Professionista a contratto privatistico con la U.S.L. 3 di Genova e con la Casa di cura privata accreditata
Dal 2006 è Professore a contratto presso la scuola di specializzazione in Radiodiagnostica - Università di Genova ‐ Facoltà di Medicina
e Chirurgia.
È iscritto alla Società Italiana di Chirurgia della Mano (S.I.C.M.),
alla Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia (S.I.O.T.),
alla S.I.C.S.eG. (Società Italiana Chirurgia Spalla e Gomito), alla
S.I.C.O.O.P. ( Società Italiana Chirurghi Ortopedici Ospedalità Privata ) e alla Società Piemontese Ligure Lombarda di Ortopedia e
Traumatologia ( S.P.L.L.O.T. ).
Ha frequentato numerosi corsi di aggiornamento post laurea plurimensili con esame finale ed ha partecipato a numerosi congressi
specialistici nazionali ed internazionali in qualità di relatore.
È primo autore su riviste specialistiche nazionali ed internazionali di
oltre 40 pubblicazioni scientifiche.
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Radiofrequenza quadripolare
dinamica frazionata
Una tecnologia innovativa e non invasiva
per il trattamento delle lassità e di altri
inestetismi cutanei.
L’ efficacia della radiofrequenza quadripolare dinamica frazionata è da ricercarsi nella capacità che l’onda elettromagnetica
liberata dallo strumento ha di generare calore in modo controllato e sicuro a livello del derma. Tale calore denatura le
fibre collagene stimolando i fibroblasti a produrne del nuovo ed aumenta la produzione di fibre di elastina, entrambe
costituenti fisiologici della matrice extra cellulare del derma.
Inoltre, la liberazione di calore, determina una vasodilatazione
distrettuale transitoria in grado di migliorare l’ossigenazione
del tessuto.
Per tali motivi, i trattamenti medicali con RF possono essere estesi a diverse aree del corpo: volto, collo, décolleté, ma anche glutei,
addome, fianchi, interno coscia, interno braccia fino a trattare addirittura
le lassità a livello del ginocchio e della caviglia. Il risultato che si ottiene su
volto e décolleté è dato dall’aumento del tono e dell’elasticità del derma
con una visibile riduzione delle piccole rughe e una ridefinizione dei
contorni del viso (per tale motivo viene definito “LIFTING MEDICO”)
con miglioramento della texture cutanea.
Gli stessi effetti si ottengono anche, ovviamente, a livello degli altri
distretti corporei sopracitati con rimodellamento della silhouette.
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Il trattamento si integra perfettamente con altri trattamenti medico estetici: rivitalizzazione, peeling, filler, PRP, ricevendone
un potenziamento dei risultati.
Un accenno merita anche il trattamento di RF con manipolo
frazionato che vede come obiettivo la correzione delle piccole rughe (ad esempio le peri oculari), dei pori dilatati, della discromie,
delle piccole cicatrici (anche post acneiche) e delle smagliature.
La RF quadripolare e la RF frazionata possono lavorare in perfetta
sinergia, stabilendo, in sede di visita medica protocolli mirati al
singolo paziente ed all’inestetismo da trattare. Il numero delle sedute varia ovviamente in base alle caratteristiche dell’inestetismo,
delle aree corporee da trattare e del soggetto stesso.
La RF non richiede alcun down time, è quindi di relazionabilità
immediata: il paziente dopo il trattamento può riprendere assolutamente la vita di ogni giorno (compreso l’utilizzo del make up).
La seduta con RF frazionata prevede la non foto esposizione
per i 3/4 giorni successivi al trattamento (va a tale proposito
ricordato che, la foto esposizione, sia naturale che artificiale,
determina un acceleramento del processo di invecchiamento
cutaneo).
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Dott.ssa Francesca Poggi
FORMAZIONE
• Luglio 1992 diploma di maturità magistrale.
ESPERIENZE LAVORATIVE
• Medico fiscale nel 2003.
• Luglio 1993 idoneità a conclusione dell’anno integrativo.
• Sostituzioni di medici di base.
• Ottobre 2002 laurea in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli studi di Genova.
• Docente corsi di Primo Soccorso.
• Luglio 2003 esame di stato con iscrizione all’Ordine dei Medici
ed Odontoiatri di Genova (numero iscrizione ordine 14388)
• Ottobre 2006 specializzazione in Medicina del Lavoro conseguita all’Università degli studi di Genova con discussione
della tesi “Allergopatie professionali in campo farmaceutico”,
relatrice prof.ssa S.Voltolini. La tesi è stata pubblicata sulla
rivista “Lavoro e medicina” 2007; 3:517.
• Durante la scuola di specializzazione, tirocinio c/o Unità Operativa di Allergologia Osp. S.Martino di Genova (anno 2005/06).
• 2009/2013 iscritta al corso quadriennale di Medicina
Estetica Milano.
* Corso di Pronto Soccorso “BLSDEFIBRILLATION”
* Partecipazione a Seminari, congressi, corsi di aggiornamento in Medicina del Lavoro e Medicina Estetica con conseguimento di crediti formativi.
* 2014 partecipazione al corso “Specialist Radiofrequenza”
c/o Novalaser Milano.
* Relatrice durante la Conferenza organizzata dalla “AIAS” sul
Decreto Ministeriale 388/2003 nel 2007
* Iscritta all’Associazione Nazionale Medici d’Azienda (ANMA ).
• Dall’ottobre 2006 svolge attività di libera professionista
come Medico Competente c/o diverse aziende.
• 2007/2011 svolge la libera professione di Medico del Lavoro
presso l’Università degli studi di Genova con attività ambulatoriale presso lo ”Ufficio prevenzione e rischio” pad. 3 Osp. S.Martino.
• 2007/2014 Medico Competente c/o Ansaldo Energia con
attività ambulatoriale quotidiana.
• Svolge attività di Medicina Estetica dal 2011.
Lunedì - Sabato: 8,00 - 12,30 15,00 - 19,30
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Il fumo come fattore di rischio oncologico
Incidenza del rischio
È stato stimato che il fumo di tabacco uccida circa 4-5 milioni
di persone l’anno e che, tale numero di morti, nel 2030, sarà
pari a oltre 10 milioni. Inoltre, se l’attuale prevalenza di abitudine al fumo persiste, alla fine del XXI secolo, ci dovremo
aspettare centinaia di milioni di morti nella popolazione mondiale (nel XX secolo sono stati circa 100 milioni).
Nei paesi sviluppati la percentuale di morti per i tumori attribuibili al fumo varia tra il 25% e il 30%; in particolare, quella
di decessi per tumore del polmone è circa 90% negli uomini
e 70% nelle donne, mentre, per i tumori dell’esofago, della
laringe e della cavità orale, l’effetto attribuibile al fumo di
tabacco, sia da solo che in combinazione con il consumo di
bevande alcoliche, è di oltre il 50% in entrambi i sessi.
Buona parte dei tumori della vescica e del pancreas e, in parte minore del rene, dello stomaco, della cervice e del sangue
(leucemia mieloide), sono stati associati a questa insana abitudine. Un recente studio australiano ha dimostrato la relazione tra alcune variabili legate al fumo di sigaretta (durata dell’abitudine, intensità, dose cumulativa, tempo di astensione) e il
rischio di insorgenza di carcinoma pancreatico: i fumatori
abituali sono maggiormente esposti rispetto ai non fumatori e
i fattori maggiormente coinvolti sono la durata dell’abitudine e il tempo trascorso dalla cessazione più che l’intensità, intesa come numero di sigarette fumate. Eur J Cancer. 2014
di abitudine: il rischio si moltiplica per 100. Gli effetti del
numero di sigarette fumate e degli anni di abitudine al fumo
si combinano e si sommano. Sono dati concreti che si riflettono sulla popolazione: considerando l’esempio riportato, c’è
un ammalato sicuro di cancro al polmone ogni 13 fumatori.
Correlazione tra tumore ed età in cui si comincia
a fumare
Tra due soggetti che iniziano a fumare, rispettivamente a 15 e
a 25 anni, a parità di numero di sigarette, in una media che va
dalle 20 alle 40 al giorno, il ragazzo di 15 anni svilupperà un
rischio tre volte superiore rispetto al 25enne, questo perché i
bronchi più giovani sono più immaturi e quindi più capaci
di assorbire sostanze cancerogene.
Non è mai tardi per smettere
È stato dimostrato che la cessazione dell’abitudine al fumo
riduce rapidamente il rischio di tumore ed il beneficio che
si ottiene è evidente entro 5 anni ed è progressivamente più
marcato con il passare del tempo. Dunque, non è mai tardi
per smettere di fumare!
Mar;50(5):997-1003.
Il fumo di tabacco causa anche molte altre malattie: le più
note sono la bronchite cronica, l’infarto, le malattie cardiovascolari, l’asma, una ridotta fecondità e, nel caso in
cui la donna in gravidanza sia una fumatrice, una riduzione dello sviluppo fetale.
I tumori osservati oggi sono il risultato del tabacco fumato
in passato (diverse decadi): lo sviluppo di questa patologia può richiedere infatti molti anni.
Il fumo di sigaro e di pipa, analogamente a quello di sigaretta (e, decisamente anche più) è responsabile dei tumori della
cavità orale e dell’orofaringe.
Crescita esponenziale per numero di sigarette
Il fumo attivo potenzia, inoltre, l’effetto di esposizioni a
cancerogeni polmonari nel luogo di lavoro. Questo è ben dimostrato per gli esposti all’amianto ma probabilmente vale
anche per gli esposti ad altri cancerogeni. Tra i tumori polmonari che si verificano nei fumatori esposti a cancerogeni
nell’ambiente di lavoro, è spesso impossibile distinguere gli
effetti dell’una e dell’altra componente cancerogena.
Molti studi pubblicati già a partire dal 1950 hanno dimostrato la correlazione tra il numero di sigarette fumate, la durata
dell’abitudine e i tipi di tumori che ne conseguono. Ebbene,
uno dei risultati da tenere maggiormente in considerazione è
che il rischio di cancro polmonare cresce in maniera “logaritmica” in relazione al numero di sigarette fumate: maggiore è il
numero di sigarette fumate per un lungo lasso di tempo, più
il rischio di tumore aumenta moltiplicandosi in modo esponenziale. Prendiamo ad esempio una persona che è passata da
5 a 15 sigarette al giorno (3 volte di più): il rischio che questa
sviluppi un tumore al polmone non si moltiplica per 3 ma per
10. Se, invece, da 5 passa a 20 il rischio non si moltiplica per
4, ma per 20 e oltre. Ciò significa che chi fuma un pacchetto
al giorno sviluppa un rischio di cancro al polmone di oltre 20
volte superiore rispetto a chi non fuma che è a rischio 1.
Ruolo del lasso di tempo in cui si è dediti al fumo
Uno studio statistico condotto da ricercatori americani ha dimostrato che, dopo 20 anni di fumo, il rischio di tumore al
polmone aumenta di oltre 10 volte e dopo 30 anni si moltiplica per oltre 20. La situazione precipita dopo i 40 anni
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Il tasso di mortalità per soggetti di mezza età (50-55 anni)
che hanno fumato per almeno 15 - 20 anni è 3 volte più elevato di quello dei soggetti che non hanno mai fumato. Il dato
è impressionante ma, complessivamente, un fumatore può
perdere circa 15 anni di vita.
Rischio da fumo passivo
I fumatori che respirano il fumo prodotto da altri (fumo
“passivo” o “involontario”) inalano gli stessi cancerogeni
dei fumatori attivi ad una dose minore e sono, anch’essi,
a rischio tumorale. La maggior parte dei lavori riportati dalla letteratura scientifica sul fumo passivo ha documentato un
aumento significativo del rischio di tumore del polmone tra le
persone esposte al fumo passivo.
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Una recente meta-analisi sul fumo passivo (ri-analisi di studi
precedenti sullo stesso argomento utilizzando criteri comuni)
dell’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC),
ha evidenziato un incremento di rischio del 25% nelle
donne non-fumatrici e del 35% negli uomini non-fumatori
con coniugi fumatori. Si può quindi stimare che un 20% dei
cancri polmonari che si manifestano in soggetti esposti a fumo
passivo siano attribuibili ad esso (in Italia, corrisponde a circa
un migliaio di casi all’anno).
A conferma del rischio, l’urina dei non-fumatori esposti al
fumo passivo, contiene concentrazioni di cancerogeni specifici del tabacco pari a circa 1% - 5% delle concentrazioni trovate nella urina dei fumatori attivi.
Per quanto concerne la possibile insorgenza di tumore del
polmone tra non-fumatori esposti al fumo passivo sul posto
di lavoro, una recente meta-analisi dello IARC riportava un
rischio più elevato di circa il 20% nelle donne non-fumatrici
esposte.
Fumo e gravidanza
Il fumo durante la gravidanza aumenta il rischio di partorire un bambino morto, un neonato sotto peso e con un
successivo sviluppo neurologico compromesso.
I figli di fumatori hanno un rischio maggiore di contrarre infezioni delle vie respiratorie, di avere un’asma severa e di incorrere in una morte improvvisa.
In conclusione: “qual è - oggi - la reale dimensione dell’epidemia correlata al fumo?”
Oggi nel mondo si registrano circa 900mila casi di morte
all’anno per cancro al polmone: è peggio dell’Aids. Preoccupanti sono le proiezioni: nel 2025, sono previsti 8-10 milioni di morti, di cui 5-7 nei paesi in via di sviluppo.
Potremmo definirli caduti per la 3° guerra mondiale!?!?
Le principali sostanze del fumo di sigaretta:
Nicotina: contenuta nelle foglie della pianta del tabacco - TOSSICO
Monossido di carbonio: prodotto dalla combustione - TOSSICO
Idrocarburi policiclici aromatici (IPA): provenienti dalla combustione sia della carta sia del tabacco; comprendono numerosi composti: Naftalene, Fluorene, Fenantrene, Antracene, Fluorantene, Pirene, Benzoantracene, Crisene, Benzopirene - CANCEROGENO
Nitrosamine tabacco specifiche (NTS): CANCEROGENO
Sostanze ossidanti/irritanti: acroleina, acetaldeide - TOSSICO
Idrocarburi a basso peso molecolare: TOSSICO
Acido Cianidrico: TOSSICO
Ammoniaca: TOSSICO
Ammine aromatiche: 1-Naftilamina, 2-Naftilamina, 3-Aminobifenile, 4-Aminobifenile - CANCEROGENO
Metalli pesanti: Cromo, Selenio, Arsenico, Nichel, Piombo,
Cadmio - CANCEROGENO
Composti radioattivi: Polonio 210- CANCEROGENO
Ossidi di azoto: TOSSICO
Catrame: CANCEROGENO
Benzene: CANCEROGENO
Additivi non dichiarati dalle case produttrici
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VOLETE SMETTERE DI FUMARE?
Ecco cosa succede nel vostro fisico quando non fumate da:
8 ore i livelli di nicotina e monossido di carbonio nel sangue si riducono della metà e i livelli di ossigeno ritornano
normali.
24 ore il monossido di carbonio viene eliminato dal corpo
e i polmoni iniziano ad espellere le sostanze nocive depositate nel tessuto.
48 ore non c’è più traccia di nicotina nel corpo. Si riscoprono odori e sapori.
72 ore il respiro diventa più facile; vi è un progressivo
rilassamento bronchiale e proverete una diffusa sensazione
di benessere.
2 settimane migliorano i parametri della circolazione
sanguigna.
6 mesi la pelle del viso riacquista colorito, tonicità ed
elasticità recuperando 10 anni di età biologica.
9 mesi le ciglia vibranti dell’apparato respiratorio precedentemente paralizzate dal catrame riprendono la loro attività per difendere dalle infezioni.
5 anni il rischio di problemi cardiaci e polmonari si dimezza.
10 anni il rischio di problemi cardiaci e polmonari diminuisce e si allinea a quello di chi non ha mai fumato.
“Fonte: Lega Italiana contro i Tumori”
(Tratto e mod. da R. Talamini - CRO Aviano - Luigi Endrizzi
“Osp. San Bassiano”)
Confronto tra i polmoni di un fumatore (a sinistra)
e di un non fumatore (a destra)
Prof. Luciano Moresco
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Una tisana per depurarsi
Resistere a torroni, cioccolata, ad una fetta di panettone in
più... È davvero impossibile!
Per allontanare la pesantezza delle abbuffare delle feste e tornare a sentirsi leggeri è opportuno dedicarsi alla depurazione
e alla ripresa delle sane abitudini: perché non aiutarsi con una
tisana depurativa? Le tisane sono degli eccezionali rimedi naturali per liberare l’organismo da scorie e tossine che possiedono, tra l’altro, effetto sgonfiante e drenante.
Diverse sono le erbe che svolgono questa azione benefica sul
nostro corpo, prima dell’assunzione è però consigliato consultare il proprio medico o farmacista in merito alle dosi da assumere, ad eventuali allergie, intolleranze e controindicazioni
di qualsiasi natura.
Prima di riportare qualche esempio di tisana è bene sapere che
in botanica viene definita con il termine “droga” la parte della
pianta che contiene il principio attivo.
Decotto: bevanda medicamentosa ottenuta facendo bollire
lungamente in acqua un erba medicinale (Dizionario Garzanti
della lingua italiana).
Infuso: liquido ottenuto per infusione, in farmacia, l’operazione con la quale si fanno macerare erbe, droghe e simili in
acqua bollente o alcool per estraente i principi attivi solubili
(Dizionario Garzanti della lingua italiana).
Tisana al carciofo
La tisana preparata con le foglie essiccate è un potente rimedio per la stimolazione della diuresi e come epatoprotettore.
Grazie alle proprietà del carciofo i liquidi in eccesso vengono
eliminati velocemente e la tensione addominale alleviata grazie ad una azione stimolante della secrezione biliare.
La preparazione di una tisana depurativa a base di carciofo è
piuttosto semplice e se ne possono prepararediversi tipi: solo
con foglie di carciofo oppure carciofo e finocchio per chi vuole
aggiungere un’azione carminativa e sgonfiante.
Per la preparazione sarà sufficiente far bollire una tazza d’acqua, spegnere il fuoco e lasciare in infusione per un quarto
d’ora circa. Essendo il carciofo leggermente amaro, potrete
dolcificare la tisana utilizzando del miele o della melassa.
Tisana al finocchio
Un’efficace infuso depurativo al quale sono attribuite azioni
stimolanti sull’attività gastrica ed intestinale. Non solo un ottimo diuretico ma anche un rimedio efficace contro la digestione lenta, i gonfiori e i dolori addominali.
Tisana alla betulla
Anche la betulla è una delle piante più utilizzate per la preparazione di tisane drenanti. In particolare, è conosciuta per
il suo potere diuretico che la rende un ottimo rimedio per
chi soffre di ritenzione idrica. Combatte i fastidiosi inestetismi
come la cellulite e i piedi gonfi. Esercita una forte azione liberandoci dalle scorie e dai liquidi in eccesso. Favorisce inoltre
la funzionalità dei reni regolarizzandone il lavoro.
Tisana al tarassaco
Il tarassaco è una pianta dai fiori gialli che, finito il loro ciclo, diventano “soffioni”. Le parti usate sono il rizoma e la
radice essiccati, mentre le foglie sono mangiate come verdura
cotta (essendo piuttosto amare e coriacee vanno usate le foglie
giovani ed è bene cuocerle due volte. In diverse regioni il Tarassaco è conosciuto come cicoria). Le sue proprietà depurative sono
note dall’antichità: svolge una forte azione drenante, purificante
e snellente. Ottima per lenire il senso di pesantezza dopo i pasti.
Per ottenere una migliore estrazione dei principi attivi dalla
droga (radice e rizoma) bisogna fare un decotto ovvero fare
bollire per 1020 minuti, lasciare raffreddare e filtrare.
Dott. Giovanni Casula
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Periodico mensile di informazione sanitaria.
Pubblicazione registrata presso il Tribunale di Genova
N. 11/2013 del 23/12/2013
Novembre 2014
Direttore Responsabile
: Piero Fischi
Testi a cura di
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Novembre 2014. Potrebbero subire variazioni per cause non
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