Numero 2 – anno 2011 - Giustizia Sportiva

Anno VII
Pubblicazione numero 2
2011
GiustiziaSportiva.it
Rivista Giuridica
Direzione e Fondatori
Antonino de Silvestri
Paolo Moro
Jacopo Tognon
Comitato di Redazione
Giuseppe Agostini
Marco Mazzucato
Jacopo Tognon
Direttore Responsabile
Mario Liccardo
_____________________________________________________________
Autorizzazione del Tribunale di Padova in data 1 ottobre 2004
al numero 1902 del Registro Stampa
- Periodico quadrimestrale –
- ISSN 1974-5230 -
1
INDICE DEL FASCICOLO 2°
PARTE PRIMA
DOTTRINA
ANTONINO DE SILVESTRI, L'omessa revoca dello scudetto all'Inter e le ragioni
pag.4
del diritto (nota a Delibera del Consiglio Federale del 18 luglio 2011) .
PARTE SECONDA
NOTE A SENTENZA
FELICE BLANDO, La Corte costituzionale individua lo sport come una «formazione
pag.19
sociale» di dimensione internazionale (tutela giurisdizionale e tutela associativa alla
ricerca di nuovi equilibri costituzionali del d.l. 220/2003 convertito nella l. 280/2003)
- (nota a Corte costituzionale 11 febbraio 2011, n. 49 in www.cortecostituzionale.it)
ALESSIO PISCINI, La titolarità dell'obbligo di controllo sull'idoneità di un atleta
pag.44
in bilico tra l'organizzatore dell'evento, l'associazione di appartenenza sportiva e la
federazione sportiva nazionale o l'ente di promozione sportiva (nota a Cassazione
Civile, sezione III, n. 15394/2011 del 7 giugno 2011)
MARIO VIGNA, Le condotte dell'articolo 2,8 del codice WADA e la valutazione
pag.63
dell' elemento soggettivo: ignorantia legis excusat?(nota a Lodo Tas 2010/A/2184
Lazzaro e lodo TAS 2010/A/ 2194 L.G. – non pubblicate)
ERNESTO MESTO, I replacement costs nell’indennità dovuta dal calciatore che
pag.74
recede senza giusta causa (nota a Lodo TAS 2010/A/2145, De Sanctis/Udinese, del
28.02.2011 in www.tas-cas.org)
ALESSIO RUI, L'indennizzo da perdita di contratto; problematiche giuridiche e
pag.86
fattuali connesse allo status di “minore” (nota a Tribunale di Venezia, sezione
distaccata di San Donà di Piave, n. 252 del 7 luglio 2011, non pubblicata)
ANDREA PETRETTO, Il rispetto delle coordinate organizzative di un campionato:
pag.96
un bene collettivo (nota a decisione Alta Corte di Giustizia sportiva del 25/07/2011
tra Unione Montecchio Maggiore , Montebelluna Calcio, A.C. Este, F.I.G.C e Lega
Nazionali Dilettanti F.I.G.C. in www.coni.it)
PARTE TERZA
SAGGI
MICHELA CHIARINI, Il futuro del calcio e il fair play finanziario
pag.101
PAOLO GARRAFFA,
A small circular, large changes (more power to FIFA, or
more responsibility for the National Associations?)
pag.115
VINCENZO ALESSANDRO GRECO , Il nuovo accordo collettivo dei calciatori
pag.119
2
PARTE PRIMA
DOTTRINA
SOMMARIO:
ANTONINO DE SILVESTRI, L'omessa revoca dello scudetto all'Inter e le ragioni
del diritto (nota a Delibera del Consiglio Federale del 18 luglio 2011) .
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pag.4
L'omessa revoca dello scudetto....
DELIBERA DEL CONSIGLIO FEDERALE
Visto il provvedimento in data l luglio 20 l l , con il quale il Procuratore Federale ha
disposto -a mente dell'art. 32. comma 6, del C.G.S.- l'archiviazione, fra gli altri, degli atti relativi
ai procedimenti riguardanti
le
posizioni:
"dell'allora socio di riferimento dell'Internazionale Massimo Moratti e della società
Internazionale perché non sono emerse fattispecie di rilievo disciplinare non prescritte ai
sensi dell'art.
18 C. G.S., vigente all 'epoca dei fatti" (cfr. n.12 del dispositivo) nonché
quella ''dell'allora Presidente dell'Internazionale (deceduto l 'anno 2006) Giacinto Facchetti e della
società Internazionale perché non sono emerse fattispecie di illecito disciplinare
procedibili
ovvero non prescritte ai sensi dell' art. I8 C G.S. vigente all'epoca dei fatti (cfr. n. 13 del
dispositivo):
Preso atto delle ragioni di fatto e di diritto addotte dal Requirente federale a sostegno delle
proprie conclusioni;
Esaminato l'esposto in data 10 maggio 2010, con il quale la Juventus F.C. s.p.a. nel
sollecitare l'intervento della Procura federale affinché fossero perseguite le medesime ipotesi
di responsabilità disciplinare oggetto dell'indagine conclusasi con il succitato provvedimento di
archiviazione, ha richiesto contestualmente che fosse
revocata
"la decisione assunta [dalla
Federazione] con atto del Commissario Straordinario avv. Guido Rossi di Milano, comunicata
il 26 Luglio 2006. con ogni consequenziale pronuncia ripristinatoria dello status quo ante'';
Ricordato che, alla luce di quanto è dato desumere dal parere reso dalla Commissione
consultiva all'uopo incaricata e dal Comunicato stampa del 26 luglio 2006 (con il quale
il Commissario straordinario ebbe a manifestare la propria adesione alle conclusioni formulate in
detto parere) l'assegnazione del titolo di campione d 'Italia in favore della Soc. Internazionale
per la stagione sportiva 2005-2006
venne disposta non in via amministrativa, bensì
quale '' conseguenza automatica delle sanzioni inflitte in sede disciplinare a carico delle società
che la precedevano in classifica (Juventus e Milan);
Rilevato
che l'attribuzione del
primo posto in classifica alla Soc. Internazionale ha
costituito, pertanto, il naturale ed ineludibile effetto dello scorrimento di graduatoria conseguente
alle modifiche apportate alla classifica finale dalle decisioni rese dagli organi della giustizia
spot1i va;
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DOTTRINA
L'omessa revoca dello scudetto....
Atteso
che,
in assenza
di uno specifico provvedimento attributivo del titolo in via
amministrativa (dal momento che l'avanzamento in graduatoria sino al primo posto della società
terza classificata è dipeso esclusivamente dagli esiti della vicenda disciplinare, senza comportare
alcun concorso da parte dell'organo politico, che si è limitato a prendere atto, con pronuncia di
carattere meramente ricognitivo, degli effetti delle penalizzazioni inflitte dagli organi giustiziali),
difettano in radice i presupposti per un intervento in autotutela , non essendo giuridicamente e
logicamente concepibile, nella situazione descritta, l'attivazione di un procedimento di secondo
grado destinato a sfociare nella emanazione di un contrarius actus:
Considerato che, in ragione di quanto precede, l'eventuale revoca del titolo in parola nei
termini richiesti , oltre a risultare priva di un valido fondamento normativo, si
nell'adozione di una misura
amministrativi,
non soltanto contrastante con il principio di tipicità dei poteri
ma anche trasgressiva della regola di separazione dei poteri sancita dall'art. 3
dei principi fondamentali dettati dal CONI
invasiva di
tradurrebbe
attribuzioni
in materia d i normazione statutaria, in quanto
riservate agli organi di giustizia (unici depositari della funzione
disciplinare), finendo con il rimettere in discussione vicende non perseguibili per intervenuta
prescrizione;
Ritenuto, peraltro, che non possa accreditarsi ad organi amministrativi della Federazione
la titolarità di un innominato potere discrezionale che consenta di valutare l'eventuale
ricorrenza di situazioni ostative all'automatico conferimento del
titolo in conformità alle
variazioni di classifica conseguenti all'applicazione di sanzioni disciplinari: tanto più ove tale
valutazione venga
fatta discendere da un giudizio di valore sulla rispondenza a canoni etici
delle condotte oggetto di verifica, trattandosi di apprezzamenti che - stante la previsione dell'art.
l del C.G.S., il quale eleva a l rango di regola deontologica di diritto positivo l 'osservanza
dei
principi di lealtà, probità, e correttezza - postulerebbero comunque un vaglio di carattere
disciplinare, che esula dalla competenza di questo Consiglio;
Osservato, per completezza di motivazione, che a fronte di una richiesta di esercizio
della potestà di autotutela (a maggior ragione
se proveniente da un soggetto privo
di
una posizione individuale qualificata rispetto al potere di cui si invoca I 'esercizio) non sussiste
in capo alla Federazione intimata alcun obbligo di provvedere passibile di coercizione;
Rilevato che il sopra menzionato difetto di legittimazione dell'istante esime la Federazione
dall'onere procedimentale della comunicazione del preavviso di rigetto della richiesta;
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DOTTRINA
L'omessa revoca dello scudetto....
Tutto ciò premesso,
il Consiglio Federale delibera che non ricorrono i presupposti per l 'attivazione di un
intervento in autotutela e, per l 'effetto, per quanto possa occorrere,
respinge
la richiesta di revoca del titolo di campione d ' Italia relativo alla stagione sportiva
2005-2006 avanzata dalla Soc. Juventus con l'esposto di cui in motivazione.
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DOTTRINA
L'omessa revoca dello scudetto....
L’OMESSA REVOCA DELLO SCUDETTO ALL’INTER
E LE RAGIONI DEL DIRITTO.
di Antonino De Silvestri
(*)
Sommario:
1. Il contesto di riferimento
2. Lo sport istituzionalizzato, nelle specie la F.I.G.C., tra norme di hard e di soft law 3.
3. L’impostazione pubblicistica della delibera,le necessarie conseguenze e la incoerente
pronuncia nel merito.
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DOTTRINA
L'omessa revoca dello scudetto....
1. Il contesto di riferimento
La delibera del Consiglio Federale della F.I.G.C. in commento ha preso le mosse, com’è
noto, dalla relazione conclusiva dell’indagine aperta in data 1 aprile 2010 del Procuratore Federale,
Dott. Stefano Palazzi, sulla scorta di alcuni articoli di stampa nei quali si faceva riferimento alla
circostanza che, nell’ambito dell’istruttoria dibattimentale concernente la vicenda denominata
“calciopoli” in corso di svolgimento presso l’A.G.O. di Napoli, stavano emergendo altre
intercettazioni telefoniche che riguardavano soggetti diversi e che presentavano elementi di novità
rispetto al materiale probatorio che aveva formato oggetto dei procedimenti già celebratosi innanzi
agli organi della giustizia sportiva.
L’indagine, proseguita con la richiesta e la materiale acquisizione di parte degli atti relativi
al processo pendente innanzi alla IX Sezione del Tribunale della città partenopea, si è conclusa in
data 1 luglio 2011 con un provvedimento di archiviazione per intervenuta prescrizione delle
fattispecie di rilievo disciplinare astrattamente ipotizzabili nei confronti di varie società per effetto,
a diverso titolo, del comportamento dei propri dirigenti.
Nel corso della stessa, innanzi alla Procura procedente è stato peraltro presentato, dall’
allora legale rappresentante della Juventus Jean Claude Blanc, un esposto con il quale, alla luce del
nuovo materiale emerso, si è chiesta la revoca della decisione del 26 luglio 2006 con cui il
Commissario Straordinario della Federazione aveva provveduto ad assegnare all’Internazionale il
titolo di campione d’Italia 2005/2006 quale prima classificata all’esito delle penalizzazioni,
all’epoca inflitte alle società sportive coinvolte nel primo procedimento “calciopoli”, nella specie la
stessa Juventus (prima classificata) ed il Milan (secondo classificato).
In sede di audizione Massimo Moratti, attuale Presidente dell’Inter, ha a sua volta prodotto
un parere sullo stesso esposto nel quale si è sostenuto la giuridica impossibilità, per la F.I.G.C., di
disporre la chiesta revoca per non essere intervenuta alcuna sanzione disciplinare, allo scopo
ritenuta unicamente legittimante, e perché, essendo comunque sussumibile tra le attività a valenza
pubblicistica delle FSN quella sottostante all’invocato provvedimento, non sarebbe stato in ogni
caso garantita la necessaria partecipazione della società al procedimento quale eventuale
destinataria degli effetti sfavorevoli.
Nel disporre l’archiviazione degli atti nei confronti di Massimo Moratti e del defunto
Giacinto Facchetti, all’epoca rispettivamente socio di riferimento e Presidente dell’Inter, nonché
della stessa società, “perché non sono emerse fattispecie di rilievo disciplinare procedibili ovvero
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DOTTRINA
L'omessa revoca dello scudetto....
non prescritte ai sensi dell’art. 18 CGS allora vigente” il Procuratore Federale, sul presupposto che
appariva “fondato e ragionevole ritenere la sussistenza, in capo alla Federazione, di un interesse
qualificato in ordine a tutti gli atti del procedimento al fine di poter più compiutamente valutare
l’ammissibilità, e quindi l’eventuale fondatezza della richiesta formulata dalla società Juventus
F.C.” (1), ha trasmesso gli atti alla stessa, che da ultimo ha incardinato la questione innanzi al
proprio Consiglio Federale.
La vicenda ha immediatamente attratto, com’era facile prevedere, l’interesse degli operatori
di settore e, in più generale, di tutti i calciofili, non solo di quelli schierati per tifo, colpiti dalla
circostanza che la nuova inchiesta aveva consentito di rilevare, anche sul versante Inter, l’esistenza
di “ condotte del tutto analoghe a quelle accertate nelle vicende disciplinari del 2006”.
La delibera del Consiglio Federale, sicuramente condivisibile nella misura in cui ha
riconosciuto la carenza di ogni potere decisionale relativamente all’esposto presentato dalla
Juventus offre lo spunto, al di là dello specifico disposto, per considerazioni d’ordine più generale.
2. Lo sport istituzionalizzato, nella specie la F.I.G.C., tra norme di hard e di soft law
Se il diritto, sino agli anni Sessanta del secolo scorso, ha stentato a trovare una sua precisa
collocazione nel contesto delle organizzazioni sportive, tanto da legittimare l’opinione di chi lo
riteneva totalmente incompatibile con la disciplina di queste e di chi patrocinava, al più, la
possibilità di risolvere ogni problema di trattamento ricorrendo al buon senso e all’equità “come
faceva Salomone sotto la quercia, risultando il diritto sportivo composto da norme che
appartengono al mondo dello sport che non hanno nulla a che vedere con il diritto comune” (2)
attualmente, al di là dei moduli interpretativi prescelti (3), nessuno discute più la totale
giuridicizzazione dello sport istituzionalizzato, quello cioè che si svolge nei circuiti federali e
olimpici.
A decorrere dai successivi anni Ottanta, la crescente rilevanza politica sociale ed economica
delle istituzioni sportive non solo ha determinato un aumento delle loro funzioni, con parallelo
incremento del relativo tasso di normatività autodisciplinare (4) ma, soprattutto a seguito del
mutamento del contesto legislativo- ordinamentale conseguente all’emanazione del decreto
legislativo Melandri che ha dato inizio alla progressiva integrazione del c.d. ordinamento sportivo
in quello statuale (e comunitario) (5) le attività delle stesse, sempre più procedimentalizzate,
appaiono ora regolate da un fitto intreccio di regole di hard e di soft law (6).
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L'omessa revoca dello scudetto....
Occorre perciò muovere dal presupposto che il Consiglio Federale, nell’assumere le proprie
determinazioni, ha dovuto necessariamente confrontarsi, al di là di populistiche considerazioni, con
le numerose fonti, di varia natura e in diverso modo tra loro gerarchicamente sovraordinate,
applicabili al caso di specie.
Innanzi tutto con quella di diritto primario costituita dal ricordato d. lgs n. 242/1999
laddove, all’art. 15/1, dispone che le FSN debbano agire in armonia con le deliberazioni e gli
indirizzi (anche) del CONI, desumibili questi dallo Statuto dell’ente e dagli ulteriori precetti
regolamentari costituiti dai Principi Fondamentali degli Statuti Federali e dai Principi di Giustizia
Sportiva, emanati proprio al fine precipuo di “conformare” alle relative prescrizioni ogni
manifestazione di attività autodisciplinare (non solo gli statuti federali ma, a cascata, tutte le restanti
previsioni endofederali) (7).
Si comprende perciò come il Consiglio Federale, tenuto all’osservanza del punto cinque del
quindicesimo Principio Fondamentale degli Statuti, che impone alle F.S.N. di attenersi, “per quanto
non espressamente previsto”, anche ai principi del “diritto processuale penale”, mai avrebbe potuto
prescindere da questi considerata la natura indiscutibilmente sanzionatoria della richiesta portata
alla sua cognizione per non calpestare, altrimenti, non solo ogni garanzia difensiva (8) ma, ancor
più a monte, l’imprescindibile canone del nulla poena sine iudicio, essendosi l’attività federale
arrestata alle soglie del giudizio disciplinare e definitivamente conclusa con l’archiviazione degli
atti.
Anche se l’ordine motivazionale della delibera, sul quale mi soffermerò poco oltre, salvo un
accenno all’impossibilità di procedere ad un “ vaglio di carattere disciplinare”, è incentrato su
considerazioni di natura strettamente amministrativistica, delle norme processual- penalistiche ha
fatto comunque doverosa e corretta applicazione il Procuratore Federale nel corso delle indagini,
indiscutibilmente finalizzate, appunto, all’eventuale instaurazione di un procedimento disciplinare.
Ineccepibile deve ritenersi, in particolare, l’applicazione dell’art. 18 C.G.S. nella
formulazione vigente all’epoca dei fatti, avvenuti nel corso della stagione sportiva 2004/2005 e
conclusisi entro il termine della stessa, che prevedeva un termine prescrizionale rappresentato, per
le persone fisiche, dalla quarta stagione successiva a quella di commissione dell’ultima infrazione e,
per le società, dalla seconda stagione sportiva successiva allo stesso momento ed al quale, come ha
per inciso rilevato lo stesso Procuratore, i diretti interessati avrebbero in ogni caso potuto
rinunciare, essendo una tale eventualità possibile “anche nel procedimento disciplinare di settore”.
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L'omessa revoca dello scudetto....
Una volta accertata la maturazione del termine di prescrizione, il dott. Palazzi non ha potuto
perciò che determinarsi sulla falsariga degli artt 408, 411 cpp e 125 disp.att., che impongono al P.M.
la richiesta di archiviazione (nella specie direttamente l’archiviazione, per la coincidenza nella
Procura Federale delle funzioni inquirenti e requirenti) quando il reato (nella specie gli illeciti
disciplinari) è estinto per una qualsivoglia causa, ivi compresa l’intervenuta prescrizione,
Ritenere, come da taluno preteso in modo non disinteressato, che il Procuratore avrebbe
dovuto fare invece applicazione del termine prescrizionale doppio come modificato, post facta, dal
nuovo disposto dell’art 25, lett c) del C.G.S. per elevare, di conseguenza, i relativi capi di
incolpazione per illecito sportivo equivale a sostenere che, nel caso, egli avrebbe dovuto
colpevolmente ignorare il principio cardine di ogni sistema sanzionatorio, quello del favor rei,
come del resto imposto, oltre che dallo Statuto Federale, dall’ art 2/8 dello Statuto CONI, che
“garantisce giusti procedimenti per la soluzione delle controversie nell’ordinamento sportivo” (9).
Altro punto nodale, su cui si fonda la delibera in commento, questo sì assolutamente
condivisibile è quello, peraltro espressamente previsto dal terzo Principio Fondamentale degli
Statuti Federali che prescrive, al punto 6, la netta separazione tra i poteri di gestione sportiva e
quelli di gestione della giustizia.
La distinzione tra funzioni fondamentali è un principio, evidentemente mutuato dagli
ordinamenti statuali, che ha comportato, nel contesto della progressiva istitituzionalizzazione delle
organizzazioni sportive, non solo nazionali (10), la riserva esclusiva in favore degli organi
giustiziali interni di ogni contenzioso per evitare ogni inopportuna e non garantistica commistione.
Tale riserva in favore della giustizia endofederale, che non si trova espressamente enunciata
nello statuto della FIGC, essendosi questa necessariamente dovuta adeguare, nella sua stesura,
all’anzidetta formula organizzatoria, trova però indiretta e inequivocabile conferma sia nel disposto
dell’art 27 dello stesso, che tra le funzioni del Consiglio Federale non prevede affatto quella di poter
incidere sulle classifiche dei Campionati, che in quello del successivo art. 33 sull’ordinamento della
giustizia sportiva laddove prevede, al punto 7, che le competenze degli organi e la disciplina delle
relative procedure “sono stabilite dal Codice di Giustizia Sportiva”, che ovviamente non contiene
alcun riferimento all’organo di gestione.
A prescindere dalle osservazioni di carattere giuridico-formale e da un profilo di incoerenza
del dispositivo di cui dirò subito dopo, appare dunque di tutta evidenza come “l’organo normativo,
di indirizzo generale e di amministrazione del FIGC” (11) fosse privo di ogni potestas decidendi in
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L'omessa revoca dello scudetto....
ordine all’esposto presentato dalla Juventus la quale difettava, peraltro, anche di ogni interesse ad
agire, posto che la stessa, in caso di accoglimento della richiesta, non avrebbe potuto ricavarne
alcun vantaggio, in quanto il titolo di Campione d’Italia eventualmente revocato avrebbe dovuto
essere aggiudicato per scorrimento, considerata la penalizzazione del Milan, alla terza classificata, e
cioè alla Roma.
3. L’impostazione pubblicistica della delibera, le necessarie conseguenze e la incoerente
pronuncia nel merito
Emerge ictu oculi, senza dubbio alcuno, che il Consiglio Federale ha adottato la delibera in
commento ritenendosi calato in un contesto pubblicistico, più precisamente in veste di organo della
F.I.G.C. quale P.A.
Lo stesso muove peraltro dal presupposto che anche il Commissario Straordinario dell’epoca
si sia attivato nel medesimo contesto, rilevando che questi avrebbe disposto sull’assegnazione del
titolo “ non in via amministrativa”, ma quale “ conseguenza automatica delle sanzioni inflitte in
sede disciplinare a carico delle società che la precedevano in classifica”.
Ed è proprio sulla scorta di tale pronuncia, “ meramente ricognitiva”, che il Consiglio non ha
ravvisato possibilità alcuna “per un intervento in autotutela” prerogativa, questa, evidentemente
riservata agli enti pubblici sotto forma di discrezionalità tecnica aggiungendo ancora, con
nomenclatura giuridica assolutamente esplicita, che l’eventuale revoca del titolo si sarebbe tradotta
“nell’adozione di una misura contrastante con il principio di tipicità dei poteri amministrativi”, non
potendosi accreditare “ad organi amministrativi della Federazione, la titolarità di un innominato
potere discrezionale”.
La circostanza che la F.I.G.C. si consideri una P.A., in realtà, non sorprende affatto (12),
costituendo essa il naturale epilogo di un incontrollato “effetto domino” che ha progressivamente
comportato il default del modello di tutela delle pretese sportive come delineato dal legislatore
sostanziale del ’99 e dal regolatore CONI nonché, ulteriormente, il definitivo “scollegamento” delle
F.S.N. dal sistema della legalità costituzionale.
Come ho rilevato altrove in dettaglio, gli effetti distorsivi della volontà legislativa hanno
cominciato a manifestarsi subito dopo l’emanazione dell’anzidetto decreto Melandri, che avendo
definitivamente ed espressamente optato per la natura privatistica delle Federazioni, non sembrava
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DOTTRINA
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offrire
al giudice amministrativo spazio alcuno per affermazioni di giurisdizione in tema di
contenzioso sportivo.
E’ stato proprio questo, invece, supportato da quella dottrina “panamministrativistica” che
stentava a rassegnarsi alle scelte del legislatore a compiere, utilizzando il grimaldello della valenza
(non natura) pubblicistica, sempre crescenti “operazioni di pubblicizzazione giurisprudenziale” che
l’hanno portato ad attribuirsi la potestas decidendi su controversie, anche dilettantistiche, nelle quali
di interessi legittimi non v’era, in realtà, la minima traccia.
Tali “operazioni” hanno contribuito in maniera decisiva a creare l’humus per far maturare
l’opzione (contraria e incoerente) del legislatore processuale del 2003, che affidando la cognizione
delle controversie sportive al giudice amministrativo ha finito con il radicare il convincimento, con
singolare inversione metodologica, che proprio questo fosse il “giudice naturale” di quelle,
ancorchè si trattasse di giurisdizione esclusiva, per giunta su contenziosi endoassociativi e non tra “
estranei”.
La definitiva trasformazione delle FSN, ex lege “associazioni con personalità giuridica di
diritto privato”, è avvenuta per effetto del successivo snaturamento del lodo camerale, trasformato
in terzo grado di giustizia sportiva con natura sostanziale di provvedimento amministrativo, che ha
così definitivamente aperto la strada per considerare “decisioni amministrative” tutte le
determinazioni degli organi giustiziali endofederali (13).
Con la delibera in commento, che rappresenta il naturale epilogo del percorso appena
illustrato, si è ora chiuso il cerchio.
Se pubbliche sono le decisioni giustiziali, eguale natura hanno gli organi che le hanno
emesse i quali, a loro volta, proprio perché tali, non possono che ripetere la loro pubblicità dalle
F.S.N. di appartenenza; essendo nella specie anche il Consiglio Federale un organo della FIGC, le
sue delibazioni rivestirebbero anch’esse eguale natura di quelle giustiziali.
Il corto circuito, come ho già rilevato altrove, potrà essere interrotto solo quando sarà
finalmente portata alla cognizione del Giudice delle leggi l’improvvida scelta del legislatore di
affidare il contenzioso sportivo alla giurisdizione esclusiva del G.A. possibile solo, come la Corte
ha più volte sentenziato, quando la violazione delle pretese a questo demandata sia correlata a
specifiche attività provvedimentali di una Pubblica Autorità (14).
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L'omessa revoca dello scudetto....
La Corte Costituzionale peraltro, nell’arcinota sentenza n. 49 di quest’anno, ha posto il
definitivo suggello sulla riconducibilità delle FSN, “tra le più diffuse formazione sociali dove
l’uomo svolge la sua personalità”, alla sfera si applicazione di cui agli artt. 2 e 18 della Costituzione
(15) senza che le loro determinazioni possano in alcun modo mutar natura, sino a trasformarsi in
provvedimenti amministrativi, per il sol fatto che la loro privata autonomia sia soggetta alla potestà
“conformativa” dell’ente pubblico CONI (16).
Non essendo affidatarie di un interesse pubblico che, divenendo necessario canone
comportamentale, le obbligherebbe altrimenti ad un agire discrezionale nel rispetto dei dettami
costituzionali di cui all’art 97 ed ai principi della legge n. 241/1990 sul procedimento
amministrativo, le Federazioni sono invece dotate di autonomia privata non solo contrattuale, ma
anche e soprattutto autodisciplinante, finalizzata cioè alla tutela di interessi collettivi associativi, pur
sempre privati, anche se sovraordinati per regola pattizia agli interessi individuali dei singoli
membri (17).
A prescindere dalla sua fondatezza, la tesi secondo cui il Consiglio Federale emanerebbe
provvedimenti amministrativi quale organo di una P.A. in veste autoritativa, non potrebbe in ogni
caso essere disgiunta da sgradite, inopportune conseguenze, estensibili ovviamente, nella stessa
prospettiva, agli organi giustiziali e, più in generale, a tutti i soggetti operanti a livello apicale in
ambito federale.
Dovrebbe infatti, innanzi tutto, coerentemente sostenersi che tutte le sue delibere, ancorchè
frutto di scelte di “ politica federale”, non potrebbero sfuggire
alla cognizione del G.A. in
considerazione della loro indiscriminata natura provvedimentale.
Ed è il caso di aggiungere che, oltre alla costante incombenza dell’anzidetto giudice, il
Consiglio Federale si vedrebbe parimenti esposto, al ben più invasivo intervento del giudice penale,
dovendo riconoscersi ai suoi membri l’applicabilità dello statuto penalistico della P.A., i cui profili
di doverosità e di responsabilità ( si pensi agli abusi e ai relativi reati di falso) sono notoriamente
prevalenti rispetto a quelli di tutela (18).
E’ certo, in ogni caso, che la legge n 280/2003, “un brutto cappello per la testa sbagliata”
(19), ha completamente fallito il suo obiettivo primario, quello di fornire un modello di tutela alle
pretese sportive, seminando incertezze tra gli operatori del settore e contrasti interpretativi
insuperabili tra gli stessi giudici amministrativi, ai quali nemmeno la Corte Costituzionale è stata in
grado di fornire parametri soddisfacenti (20).
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DOTTRINA
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Il dictus in commento, foriero dunque di ulteriori incertezze a livello di trattamento, non
brilla da ultimo nemmeno per coerenza.
Se infatti
è ineccepibile il richiamo al principio della separazione delle funzioni per
precludere al Consiglio un intervento in materia sanzionatoria e se è parimenti indubitabile, per
rimanere nella logica pubblicistica abbracciata, che l’esposto presentato non può considerarsi alla
stregua di un ricorso amministrativo con conseguente insorgenza di un interesse procedimentale alla
relativa decisione, non è però dato comprendere perché lo stesso, che pur nella parte motiva, oltre
che al principio della separazione dei poteri, ha fatto anche espresso riferimento al “difetto di
legittimazione dell’istante”, abbia poi “respinto” nel merito la richiesta della Juventus invece di
dichiararla inammissibile.
Salvo a volersi ritenere che il Consiglio, proprio perché non organo giustiziale astretto, come
tale, al rigoroso rispetto dei parametri di diritto, abbia privilegiato le proprie funzioni di indirizzo
politico, preferendo pronunciarsi sulla richiesta in modo netto come ripetutamente chiesto, anche
pubblicamente, dal Presidente della Juventus Andrea Agnelli.
(*) Avvocato del Foro di Vicenza, responsabile dell’area giuridica del Master SBS .
NOTE
1) Il virgolettato è tratto dalla stessa relazione d’indagine, come del resto quelli ulteriori riferibili alla stessa.
2) Maggiori dettagli, sull’evoluzione del diritto dello sport nei differenti contesti legislativo - ordinamentali,
compreso quello citato nel testo, in A. DE SILVESTRI, A.A.V.V., Diritto dello sport, Mondadori Education,
Milano, 2008, pp 5 ss.
3) E’ largamente noto agli specialisti del settore come la legislazione attualmente vigente in tema di sport, sia
sostanziale che processuale, lungi dal risolvere in modo inequivoco il tradizionale, antitetico approccio
culturale con la materia, lo abbia invece perpetuato, se possibile ancor più icasticamente, sino a fare della
dicotomia interpretativa pubblico-privato uno dei massimi problemi di teoria generale. Ogni indicazione sul
punto appare pertanto assolutamente superflua.
4) Sulla progressiva istituzionalizzazione delle organizzazioni sportive, sia nazionali che sovranazionali, e
sulla loro attuale sistemazione giuridica vedi L. CASINI, Il diritto globale dello sport, Giuffrè Editore,
Milano, 2010, in particolare, pp 14 ss 38 ss e 45 ss.
15
DOTTRINA
L'omessa revoca dello scudetto....
5) Anche se al proposito non mancano autori che, muovendo da una concezione di “ordinamento sportivo”
non più attuale, e comunque incompatibile con il sistema della legalità costituzionale, mostrano ancora di
puntare su suoi presunti tratti di autoreferenzialità per risolvere problemi di trattamento è invece sempre
crescente, in dottrina, la constatazione che lo stesso risulta, nella sostanza ed in termini di diritto vivente,
pienamente integrato in quello statale e comunitario. Vedi, per tutti, L. FERRARA, Giustizia sportiva, in
Enc. Dir., Annuali, III, Milano, 2010, per 1,2,3.
6) Sull’eterogeneità delle fonti di volta in volta evocate per risolvere problemi di trattamento e sul loro fitto
intreccio vedi A DE SILVESTRI, Le nuove frontiere del diritto dello sport, in A.A.V.V. Diritto comunitario
dello sport, a cura di J. TOGNON, Giappichelli, Torino, 2009, pp 81 ss.
7) Sulla duplice natura del CONI, quale Autorità custode dei valori di entrambi gli ordinamenti, sportivo e
statuale, e sulla funzione delle relative fonti secondarie di “conformare” al rispetto degli stessi le
manifestazioni autodisciplinari delle F.S.N., che restano sempre e comunque persone giuridiche di diritto
privato, vedi A. DE SILVESTRI, Diritto dello sport, cit, pp12 e 149 ss.
8) Il quarto Principio di Giustizia Sportiva, al punto 2, prevede che deve “essere assicurata la difesa in ogni
stato e grado del processo”, e la prescrizione trova puntuale rispetto nel disposto dell’art 33/2 St. F.I.G.C.
9) Sui diritti processuali in ambito sportivo, sia nazionale che comunitario, vedi P. MORO, in A.A.V.V.,
Diritto comunitario dello sport, cit, pp 91ss.
10) Amplius, sulla genesi e sulla progressiva affermazione del principio di distinzione delle funzioni
fondamentali nelle organizzazioni sportive, sia nazionali che sovranazionali, in L. CASINI, Il diritto globale,
cit, pp 44 e 45.
11) Così si legge nell’art 1/10 St. F.I.G.C.
12) Che le F.S.N. abbiano il potere di adottare provvedimenti amministrativi si trova infatti espressamente
sostenuto da quegli autori che abbracciano la prospettiva pubblicistica nella ricostruzione dell’ordinamento
sportivo e dei poteri in esso esercitati. Per tutti vedi F. GOISIS, La giustizia sportiva tra funzione
amministrativa e arbitrato, Giuffrè Editore, Milano, 2007, pp 103 ss.
13) L’“effetto domino” e le conseguenze descritti nel testo sono illustrati, più in dettaglio, con richiami di
dottrina e di giurisprudenza in A. DE SILVESTRI, Il diritto dello sport, cit, pp 136 ss.
14) Sullo storico intervento demolitivo della Corte Costituzionale con la sentenza 6 luglio 2004 n. 204 e sulle
ulteriori pronunce, nonché sulla omessa proposizione dell’eccezione di incostituzionalità della legge n.
280/2003 da parte del Tribunale di Genova, che pur avendola ritenuta fondata, l’ha ritenuta erroneamente
irrilevante ai fini del decidere vedi A. DE SILVESTRI, Il diritto dello sport, cit, pp 136,137.
15) Così, testualmente, la sentenza della Corte, con nota di A. DE SILVESTRI, La Corte Costituzionale
“azzoppa” i diritto d’azione dei tesserati e delle affiliate, in questa stessa Rivista, 2011, n.1 nonché, da
ultimo, F. BLANDO, La Corte Costituzionale individua lo sport come una “formazione sociale” di
dimensione internazionale ( tutela giurisdizionale e tutela associativa alla ricerca di nuovi equilibri
16
DOTTRINA
L'omessa revoca dello scudetto....
costituzionali del d.l. 220/2003 convertito nella l. 280/2003), in Federalismi.it, www.federalismi.it, 2011, n.4.
La riconducibilità delle FSN all’associazionismo volontario di cui all’art. 18 Cost. è invece messa in
discussione da chi assimila le stesse a P.A. Amplisu in F. GOISIS, Verso l’arbitrabilità delle controversie
pubblicistiche sportive, in Dir. proc. amm., 2010, 04, 1417 ss.
16) Dispone a chiare lettere il n. 1 bis dell’art 23 bis dello Statuto CONI, finalizzato ad integrare la
previsione dell’art 15 del Decreto Melandri - Pescante, che “ la valenza pubblicistica dell’attività non
modifica l’ordinario regime di diritto privato dei singoli atti e delle situazioni giuridiche soggettive connesse
“.
17) Amplius in A. DE SILVESTRI, Le questioni del lodo camerale: autonomia o discrezionalità nelle
federazioni sportive nazionali?, in questa stessa Rivista, n. 3, 2007.
18) Occorre al proposito segnalare che, all’interesse necessariamente episodico e settoriale della magistratura
penale in ordine alle qualifiche soggettive spettanti ai soggetti operanti all’interno delle FSN non ha mai fato
riscontro un esame sistematico dell’intera materia da parte della dottrina.
La materia evoca la questione, assai di moda in particolare negli anni Settanta, che ha diviso dottrina e
giurisprudenza di merito, ma che ha visto sempre schierata in senso negativo la Cassazione, della qualifica
penalistica eventualmente spettante agli ufficiali di gara, tornata inopinatamente alla ribalta proprio durante il
primo processo “calciopoli” che aveva portato la Procura della Repubblica di Torino, nell’anno 2006, ad
indagare per corruzione il designatore arbitrale Pierluigi Pairetto unitamente a Luciano Moggi e Antonio
Giraudo sul presupposto che il primo fosse appunto un pubblico ufficiale. Nella richiesta di archiviazione
( accolta), del 5 maggio 2006, motivata in fatto, e non in diritto, si legge per inciso che la questione della
qualifica “ certo di non poco momento“ avrebbe comunque necessitato di ulteriori approfondimenti. Amplius
, sull’intera materia, ed in particolare sull’omessa spettanza di ogni qualifica penalistica agli ufficiali di gara,
vedi A. DE SILVESTRI, Il diritto dello sport, cit, pp 93 ss e 112 ss.
19) Così A. DE SILVESTRI, Le questioni , cit.
20) Sull’insoddisfacente, tormentata sentenza della Corte Costituzionale n. 48/2011 vedi A. DE SILVESTRI,
La Corte Costituzionale “azzoppa” il diritto d’azione dei tesserati e delle affiliate, cit.
17
DOTTRINA
PARTE SECONDA
NOTE A SENTENZA
SOMMARIO:
FELICE BLANDO, La Corte costituzionale individua lo sport come una «formazione
pag.19
sociale» di dimensione internazionale (tutela giurisdizionale e tutela associativa alla
ricerca di nuovi equilibri costituzionali del d.l. 220/2003 convertito nella l. 280/2003)
- (nota a Corte costituzionale 11 febbraio 2011, n. 49 in www.cortecostituzionale.it)
ALESSIO PISCINI, La titolarità dell'obbligo di controllo sull'idoneità di un atleta
pag.44
in bilico tra l'organizzatore dell'evento, l'associazione di appartenenza sportiva e la
federazione sportiva nazionale o l'ente di promozione sportiva (nota a Cassazione
Civile, sezione III, n. 15394/2011 del 7 giugno 2011)
MARIO VIGNA, Le condotte dell'articolo 2,8 del codice WADA e la valutazione
pag.63
dell' elemento soggettivo: ignorantia legis excusat?(nota a Lodo Tas 2010/A/2184
Lazzaro e lodo TAS 2010/A/ 2194 L.G. – non pubblicate)
ERNESTO MESTO, I replacement costs nell’indennità dovuta dal calciatore che
pag.74
recede senza giusta causa (nota a Lodo TAS 2010/A/2145, De Sanctis/Udinese, del
28.02.2011 in www.tas-cas.org)
ALESSIO RUI, L'indennizzo da perdita di contratto; problematiche giuridiche e
pag.86
fattuali connesse allo status di “minore” (nota a Tribunale di Venezia, sezione
distaccata di San Donà di Piave, n. 252 del 7 luglio 2011, non pubblicata)
ANDREA PETRETTO, Il rispetto delle coordinate organizzative di un campionato:
un bene collettivo (nota a decisione Alta Corte di Giustizia sportiva del 25/07/2011
tra Unione Montecchio Maggiore , Montebelluna Calcio, A.C. Este, F.I.G.C e Lega
Nazionali Dilettanti F.I.G.C. in www.coni.it)
18
pag.96
La corte costituzionale individua.…
LA CORTE COSTITUZIONALE INDIVIDUA LO SPORT COME UNA
«FORMAZIONE SOCIALE» DI DIMENSIONE INTERNAZIONALE
(TUTELA GIURISDIZIONALE E TUTELA ASSOCIATIVA ALLA RICERCA DI
NUOVI EQUILIBRI COSTITUZIONALI DEL D.L. 220/2003
CONVERTITO NELLA L. 280/2003)
NOTA A CORTE COSTITUZIONALE 11 FEBBRAIO 2011, N. 49
(PUBBLICATA SUL SITO – WWW.CORTECOSTITUZIONALE.IT)
di Felice Blando (*)
Sommario:
1.
Introduzione. Cenni sull’ordinanza del T.A.R. Lazio, sez. III ter, 11 febbraio 2010, n.
241.
2.
La sentenza in commento: l’esplicito riconoscimento dello sport quale formazione
sociale internazionale costituzionalmente rilevante.
3.
Spunti problematici: profili ordinamentali dell’organizzazione sportiva che fa capo al
Coni.
4.
Giurisprudenza e dottrina rispetto al sindacato dei provvedimenti disciplinari sportivi.
5.
Potere disciplinare e interessi estranei all’ordinamento della Repubblica: spazi e limiti
della tutela statale. La sentenza della Corte costituzionale segna la strada per il superamento
della cosiddetta pregiudizialità amministrativa provocando immediati riflessi sulla
giurisprudenza amministrativa.
6.
Osservazioni conclusive. La giustizia sportiva e l’art. 24 della Costituzione
19
NOTE A SENTENZA
La corte costituzionale individua.…
1. Introduzione. Cenni sull’ordinanza del T.A.R. Lazio, sez. III ter, 11 febbraio 2010, n. 241
La sentenza della Corte costituzionale risolve la vexataquaestioconcernente i limiti di
esercizio del potere disciplinare, nell’ordinamento sportivo, rispetto alla tutela statale delle
situazioni giuridiche soggettive da esso occasionate1.
La questione di legittimità costituzionale prospettata alla Corte dal T.A.R. Lazio prendeva le
mosse da una sanzione di sospensione dall’attività federale e sociale per tre anni e quattro mesi,
disposta dalla Corte federale della Federazione Italiana Pallacanestro nei confronti di un dirigente
accusato di frode sportiva, i cui effetti erano ritenuti rilevanti anche per l’ordinamento statale2.
Prescindendo, per ovvii motivi, da qualsiasi rilievo concernente la fattispecie concreta e le
sue peculiarità, occorre osservare che il giudizio innanzi al T.A.R. Lazio in punto di diritto ha
dovuto risolvere la ricorrente eccezione del difetto di giurisdizione statale.
Invero, sia la Federazione Italiana Pallacanestro (Fip) che il Comitato Olimpico Nazionale
Italiano (Coni), costituitisi in giudizio eccepivano il difetto di giurisdizione del Tribunale,
trattandosi di materia che l’art. 2, 1° comma, lett. b), decreto legge 19 agosto 2003, n. 220,
contenente «disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva» (c.d. decreto salva calcio),
convertito, con modifiche, in legge 17 ottobre 2003, n. 280, riserverebbe agli organi della giustizia
sportiva3. Il T.A.R., nel definire tale eccezione, si è uniformato a cadenze argomentative frequenti
nella ricca «messe di giurisprudenza» in materia (per riprendere un’espressione utilizzata dalla
sentenza in commento).
In linea di principio, il giudice a quopremette di aver costantemente affermato la propria
giurisdizione nei casi in cui le sanzioni disciplinari inflitte ad atleti, tesserati, associazioni e società
sportive, e disapprovate dai destinatari delle stesse, non esauriscono i loro effetti nell’ambito
sportivo, ma ricadono direttamente e immediatamente, sotto il profilo sia patrimoniale che morale,
su posizioni giuridiche soggettive (diritto soggettivo o interesse legittimo), la cui tutela è demandata
dall’ordinamento generale al giudice ordinario e amministrativo.
1
2
3
La sentenza è pubblicata in Federalismi.it, www.federalismi.it, 2011, n. 4. Si veda un primo commento in E. LUBRANO, La Corte
Costituzionale n. 49/2011: nascita della giurisdizione meramente risarcitoria o fine della giurisdizione amministrativa in materia
disciplinare sportiva?, in GiustAmm.it, www.giustamm.it, aprile 2011, n. 4. Una più estesa analisi critica della pronuncia in A. DE
SILVESTRI, La Corte Costituzionale “azzoppa” il diritto d’azione dei tesserati e delle affiliate, in GiustiziaSportiva.it,
www.giustiziasportiva.it, 2011, n. 1.
T.A.R. Lazio Roma, sez. III ter, ordinanza, 11 febbraio 2010, n. 241, in Foro it., 2010, III, c. 528 ss., con annotazioni di A.
PALMIERI; in Giorn. dir. amm., 2010, p. 407 e in Giur. mer., 2010, p. 2567, con nota di L. MARZANO, La giurisdizione sulle sanzioni
disciplinari sportive: il contrasto tra TAR e Consiglio di Stato approda alla Corte costituzionale.
La letteratura sull’argomento abbonda; tra la manualistica v. almeno G. LIOTTA, La giustizia sportiva, in G. LIOTTA– L. SANTORO,
Lezioni di diritto sportivo, Milano, 2009, pp. 226-248. Cfr. pure M.R. SPASIANO, Il rito sportivo, in F.G. SCOCA(a cura di), Giustizia
amministrativa, IV ed., Torino, 2011, pp. 522-542, testo che presenta una impostazione che non è più istituzionale.
20
NOTE A SENTENZA
La corte costituzionale individua.…
Il Consiglio di Stato nel 2008, tuttavia, si era espresso in termini apertamente difformi
ritenendo che l’interpretazione letterale della norma sopra citata non potesse autorizzare operazioni
ermeneutiche “correttive” come quelle praticate dal T.A.R. Lazio 4. Quest’ultima opzione
interpretativa, secondo il giudice del gravame, finirebbe per tradursi, «di fronte ad una norma dalla
chiara ed univoca portata precettiva», in un’operazione di «disapplicazione» della legge
incostituzionale, senz’altro preclusa al giudice amministrativo5.
Dinnanzi a questa prospettiva così netta, dunque, al Tribunale, anche al fine di garantire ai
consociati la «certezza del diritto» in presenza di orientamenti contrastanti, non restava che
sollevare la questione di legittimità costituzionale della norma innanzi citata, e, in parte qua, del
secondo comma della legge n. 280/2003 nella parte in cui si riservavano ai soli organi di giustizia
sportiva le controversie aventi ad oggetto sanzioni disciplinari, diverse da quelle tecniche, ancorché
idonee a ledere posizioni di diritto soggettivo o interesse legittimo, la cui tutela è affidata
dall’ordinamento generale al giudice ordinario o amministrativo.
2. La sentenza in commento: l’esplicito riconoscimento dello sport quale formazione
sociale internazionale costituzionalmente rilevante
Il quadro di riferimento, chiaro in apparenza, presenta, in realtà, talune zone d’ombra sulle
quali è necessario soffermare l’attenzione.
E’ innanzitutto necessario verificare se le modifiche apportate dalla l. n. 280/2003 nella
regolamentazione dei rapporti fra l’ordinamento statale e quello sportivo siano state idonee ad
individuare con un grado accettabile di certezza la categoria delle situazioni soggettive regolate
dall’ordinamento sportivo irrilevanti nell’ordinamento statale e, come tali, devolute alla tutela della
4
5
Cons. St., Sez. VI, 25 novembre 2008, n. 5782, in Dir. proc. amm., 2010, p. 1409 ss., con nota di F. GOISIS, Verso l’arbitrabilità
delle controversie pubblicistiche-sportive?; in Danno e resp., 2009, p. 608 ss., con nota di L. CIMELLARO, Controversie in materia
disciplinare tra giustizia sportiva e giurisdizione statale; in Foro amm. C.d.S., 2008, p. 3111; in Foro it., 2009, III, c. 195, con
annotazioni di A. PALMIERI. La pronuncia citata segue l’impostazione originaria di Cons. Giust. Amm. Reg. Sic., Sez. giur., 8
novembre 2007, n. 1048, il quale ha espressamente escluso che la «riserva» di giustizia sportiva «presenti profili di sospetta
illegittimità costituzionale». Quest’ultima sentenza è oggetto di numerosi commenti apparsi in Foro amm. Cons. St., 2007, p.
3227 ss., con nota di A. CORSARO, L’autonomia dell’ordinamento sportivo e i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico dello
Stato; in Dir. proc. amm., 2008, p. 1115 ss., con nota di M. DELSIGNORE, Sanzioni sportive: considerazioni sulla giurisdizione da
parte di un giudice privo della competenza funzionale; in Guida al dir., 2007, fasc. 48, p. 103 ss., con nota di S. MEZZACAPO, Le
conseguenze patrimoniali delle sanzioni non travolgono il sistema delle competenze; in Corr. merito, 2008, p. 242 ss., con note di
G. FRACCASTORO, La totale autonomia della giustizia sportiva nelle materie ad essa riservate dal d.l. 220/2003 , e di G. VELTRI,
Giustizia sportiva: principio di autonomia e giurisdizione statale in tema di sanzioni disciplinari; D. ZINNARI, La decisione del
Consiglio di giustizia amministrativa: una nuova lettura dell’art. 2 legge n. 280/2003? , in GiustiziaSportiva.it,
www.giustiziasportiva.it, 2007, n. 3.
In coerente applicazione con la riserva di legislazione a favore del parlamento che, nei confronti del potere giurisdizionale,
comporta non solo che ai giudici sia vietato applicare la norma di legge reputata incostituzionale, ma anche che ad essi non venga
concesso il potere di disapplicarla direttamente (sul punto v. R. GUASTINI, Il giudice e la legge. Lezioni di diritto costituzionale,
Torino, 1995, p. 27 ss.). Tuttavia, nel caso esaminato, il Consiglio di Stato ha ritenuto di poter decidere ugualmente la
controversia sottopostagli senza necessità di sollevare la questione di costituzionalità delle norme contenute nella l. n. 280/2003.
21
NOTE A SENTENZA
La corte costituzionale individua.…
«giustizia associativa»6 e la categoria delle situazioni soggettive regolate dall’ordinamento sportivo
ma rilevanti per quello statale e, quindi, tutelabili innanzi la giurisdizione statale. In secondo luogo,
sarebbe utile stabilire se quest’ultimo intervento legislativo sia riuscito nell’auspicio, avanzato da
più parti, di segnare i confini dell’autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale 7. Certamente
indicativo è, a tal proposito, il fatto che la Corte, nell’affrontare la tematica in questione utilizzi
l’immagine della actio finium regundorum.
La sentenza qui esaminata nell’affrontare il problema dell’autonomia parte del presupposto
che l’ordinamento sportivo italiano sia contrassegnato dalla «singolarità» di essere l’«articolazione»
di un ordinamento di dimensione internazionale riconosciuto dall’ordinamento della Repubblica8.
Nessun dubbio sembra poi avere la Corte circa il fatto che l’autonomia in questione trovi la
sua radice, oltre che in recenti e significativi interventi legislativi, negli artt. 2 e 18 Cost.
In questo senso, peraltro, poco tempo prima, si era già espressa la Suprema Corte di
Cassazione chiamata a giudicare della legittimità del c.d. «vincolo di giustizia sportiva»9.
In questa chiave, il combinato disposto tra gli artt. 2 e 18 Cost. sembrerebbe esprimere il
permanente valore del principio pluralista anche per l’esperienza del fenomeno in esame, anzi per
la Corte costituzionale: «non può porsi in dubbio per le associazioni sportive siano tra le più diffuse
6
7
8
9
Punto 4.2. del ‘considerato in diritto’.
A questa conclusione giunse Franco Modugno in un suo saggio dedicato all’ordinamento sportivo. V. F. MODUGNO, Giustizia e
sport: problemi generali, in Riv. dir. sport., 1993, 327 ss. Di quest’ultimo A. meritano di esser viste pure le considerazioni
precedenti svolte in Legge - Ordinamento giuridico - Pluralità degli ordinamenti. Saggi di teoria generale del diritto, Milano,
1985, in partic. pp. 236-252 e pp. 283-301.
Punto 4.1. del ‘considerato in diritto’. Tale tendenza volta a valorizzare il carattere internazionale dell’ordinamento sportivo
trova il suo apogeo quando, in linea di massima, si ritiene che il potere disciplinare delle federazioni sportive si distingue dal
«carattere intrinsecamente autoritativo dei provvedimenti disciplinari», la cui legittimazione deriverebbe anche dai nessi esistenti
tra sanzioni disciplinari e regolare svolgimento delle competizioni sportive, «nazionali e internazionali»: Trib. Genova, Sez. fer.,
26 agosto 2005, ord., nello stesso senso anche Trib. Genova, Sez. fer., 18 agosto 2005, ord., entrambe rese in occasione del noto e
dibattuto ‘Caso Genoa’, su cui v. il volume curato da A.M. BENEDETTI, con pref. di V. ROPPO, Il caso Genoa. Alla ricerca di un
giudice, Torino, 2005.Il medesimo organo giudicante peraltro, dopo aver affermato che l’attribuzione della giurisdizione
esclusiva al giudice amministrativo da parte dell’art. 3, comma 1, della legge n. 280/2003 pone in astratto problemi di
costituzionalità, in quanto la stessa si basa sul solo fatto che parte della controversia sia un organo sportivo, conclude però
ritenendo che con specifico riferimento alla materia disciplinare, la questione non è rilevante, dato che la giurisdizione esclusiva
su di essa «trae la sua ragion d’essere, i suoi limiti e le sue modalità dall’appartenenza dell’ordinamento sportivo ad un
ordinamento di carattere internazionale», oltre che dal carattere autoritativo delle pronunce disciplinari (pur adottati da soggetti
privati).
In virtù del quale, come è noto, i consociati dell’ordinamento sportivo si obbligano a rivolgersi esclusivamente al sistema di
giustizia sportiva per la risoluzione delle controversie tra loro insorte. Per tale linea di lettura si v. in part. . civ., sez. I, 28
settembre 2005, n. 18919, in Dir. e form., 2005, pp. 1583 ss., con nota di L. GIACOMARDO, Legittimo il vincolo di giustizia delle
federazioni sportive. Secondo la Suprema Corte garantisce l’autonomia dell’ordinamento sportivoe Cass. civ., sez. I, 27
settembre 2006, n. 21006, pubblicata insieme a TAR lazio, sez. III-ter, 22 agosto 2006, Ord., e Cons. St., sez. VI, 30 marzo 2007,
Ord., in Corr. giur., 2007, p. 1108 ss., con commenti di C. CONSOLO, Due Corti e la giustizia sportiva del calcio fra arbitrato e
atto amministrativo e, più ancora, tra pubblico e privato, ivi, pp. 1113 ss.; di G. VIDIRI, Autonomia dell’ordinamento sportivo
vincolo di giustizia sportiva e azionabilità dei diritti in via giudiziaria, ivi, pp. 1115 ss.; di V. VIGORITI, Giustizia disciplinare e
giudice amministrativo, ivi, 1121 ss. In quest’ultima decisione, la Corte di Cassazione ha ritenuto manifestamente infondata la
questione di legittimità costituzionale, confermando la volontarietà dell’affiliazione e del tesseramento e, di conseguenza,
dell’adesione al vincolo di giustizia sportiva e alle clausole compromissorie contemplate nei regolamenti federali.
22
NOTE A SENTENZA
La corte costituzionale individua.…
«formazioni sociali dove [l’uomo]» svolge la sua personalità e che debba essere riconosciuto a tutti
il «diritto di associarsi liberamente per finalità sportive»10.
Com’è evidente, le implicazioni non sono di scarso rilievo.
Per esempio, se ne potrebbe argomentare l’affermazione – molto presente nella nostra
dottrina – che la Costituzione obbliga i poteri pubblici ad una serie di attività, di servizi, di spese e
di interventi sull’attività sportiva organizzata al fine di potenziarne lo sviluppo11.
La libertà dell’esercizio delle manifestazioni «sportivo-agonistiche ad interesse nazionale» è
stata considerata nozione rilevante, dalla stessa giurisprudenza costituzionale, anche ai fini della
limitazione della proprietà privata, riconducendo la normativa sull’accesso ai fondi privati per
l’esercizio della caccia alla figura di un vincolo legittimo al diritto di proprietà12.
Se si segue questa strada, anche il rapporto tra la riforma del 2003 e la disciplina
costituzionale della tutela giurisdizionale dei diritti risulta più complesso, se non invertito, rispetto
ai canoni interpretativi presenti nella giurisprudenza prevalente del plesso T.A.R. e Consiglio di
Stato, che di qui a poco esamineremo.
Ecco quindi che i principi espressi dalla legge n. 280/2003 appaiono meno ridondanti o
ripetitivi di quanto sembri a prima vista e meritevoli di attenzione. Anche per questo
l’approfondimento delle categorie in essa usate - autonomia e pluralità degli ordinamenti, statale e
10
11
12
Punto 4.1 del ‘considerato in diritto’. Circa un trentennio indietro, il discorso imperniato sugli artt. 2 e 18 Cost. ha consentito ad
una insigne dottrina di allargare l’indagine sulle formazioni sociali al di là degli stessi ambiti tradizionali previsti dalla
Costituzione (chiesa, famiglia, partiti politici e sindacati), portando pure l’attenzione alle associazioni sportive. Per questa
indicazione preliminare, v. il classico saggio di C. MORTATI, Note introduttive ad uno studio sulle garanzie dei diritti dei singoli
nelle formazioni sociali, in Scritti in onore di S. Pugliatti, vol. III, Diritto pubblico, Milano, 1978, p. 1565 ss., spec. 1578. Sia
pure marginalmente, non può essere passata sotto silenzio una fra le più interessanti applicazioni che dell’art. 2 Cost. e del
concetto di formazioni sociali è stata recentemente prospettata dalla Corte costituzionale nell’intento di dare una dimensione
nuova ad uno dei problemi più delicati che il diritto pubblico deve affrontare: la regolamentazione giuridica delle unioni
omosessuali. Ci riferiamo alla importante pronuncia n. 138 del 2010, che, considerando l’unione omosessuale e la vita che vi si
svolge alla stregua di una formazione sociale, ritrova proprio nell’art. 2 l’indicazione più adatta per realizzare l’obiettivo della
loro tutela legislativa. Tra i molti commenti della sentenza citata v., per tutti, R. Romboli, La sentenza 138/2010 della corte
costituzionale sul matrimonio omosessuale e le sue interpretazioni, in Rivista AIC, www.rivistaic.it, n.3/2011.
Il definitivo chiarimento scientifico rimane, per chi scrive, quello di G. GUARINO, Lo sport quale «formazione sociale» di
carattere sovranazionale, in Scritti in memoria di Aldo Piras, Milano, 1996, p. 353 ss., per il quale l’essere lo sport una
«formazione sociale sovranazionale», in virtù del principio fondamentale posto dall’art. 2 Cost., comporta che gli interventi
normativi di sostegno all’attività sportiva e il contributo dell’apparato statale perdono ogni connotazione di «discrezionalità», «in
quanto rispondono a doveri ai quali lo Stato non può sottrarsi» (ivi, p. 358).
Corte Costituzionale, 25 marzo 1976, n. 57: vedila pubblicata in Resp. civ., 1976, p. 599 ss. con nota di A. GAMBARO, Costo della
caccia e funzione sociale della proprietà e in Giur. cost., 1976, p. 565 ss., con nota di A. CERRI, Favor per l’interesse atipico
rispetto all’interesse costituzionalmente tutelato. La questione è peraltro molto complessa: per i riferimenti essenziali v. G.
LIOTTA, Profili dell’accesso nel diritto privato, Padova, 1992, p. 57 ss.; ID., La gratuità nello sport, in AA. VV., Temi di diritto
sportivo, Palermo, 2006, pp. 111-126.
23
NOTE A SENTENZA
La corte costituzionale individua.…
sportivo13, riparto di giurisdizione, potere disciplinare, tutela delle situazioni giuridiche soggettive presuppone una verifica sia dei nessi con la tradizione, sia dell’incidenza delle norme costituzionali.
Su questi punti torneremo nello sviluppo di queste brevi osservazioni, ma per il momento
bisogna porre l’attenzione sul problema alle specifiche disposizioni su cui si è concentrata la
questione di costituzionalità sollevata dal giudice rimettente.
Come è subito rilevabile, la categoria delle situazioni regolate dall’ordinamento sportivo che
non possono incidere su situazioni rilevanti per l’ordinamento statale viene in concreto riferita ad un
ben determinata ipotesi normativa, limitata ad alcune fattispecie che l’art 2, comma 1, lett. a) e lett.
b), della l. n. 280/2003, contempla espressamente, «l’osservanza e l’applicazione delle norme
regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo e delle sue articolazioni al fine
di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive» e «i comportamenti rilevanti sul piano
disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive».
Di fronte a tale categoria di norme e atti, da cui scaturiscono situazioni giuridiche sostanziali
riconosciute soltanto dall’ordinamento sportivo, è giocoforza che rimanga preclusa la possibilità di
utilizzare la giurisdizione statale14.
Fra il giudice statale e le norme e gli atti aventi ad oggetto situazioni sostanziali che sono tali
solo per l’ordinamento sportivo vi è un rapporto di estraneità, come quello che si instaura fra oggetti
o soggetti che sono collocati su piani diversi e non commensurabili.
Questa loro qualificazione in termini di estraneità non sta ad indicare il disinteresse per
l’ordinamento generale, ma sottolinea come le regole sportive vengano prese in considerazione
nella loro dimensione fattuale alla quale viene riconnessa rilevanza giuridica in ordine ad effetti ben
delimitati.
13
14
Gli influssi della teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici sono evidenti nella relazione al d.d.l. n. 4268 della XIV
Legislatura, recante il testo del d.l. n. 220 del 2003, successivamente convertito, con modificazioni, nella l. n. 280/2003, in Guida
al dir., 2003, n. 34, p. 136. Sul punto si rinvia alle sintetiche ed equilibrate annotazioni di N. PAOLANTONIO, Ordinamento statale e
ordinamento sportivo: spunti problematici, in Foro amm. T.A.R., 2007, p. 1137 ss. (nota a T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. IV, 19
aprile 2007, n. 679); ID., Ancora su sport e giustizia, in Foro amm. Cons. St., 2007, p. 3537 ss. (nota a Cons. Giust. Amm. Reg.
Sic., Sez. giur., 8 novembre 2007, n. 1048).
L’art. 2, comma 2°, della l.n. 280/2003, prevede infatti che nelle materie aventi ad oggetto questioni tecnico-sportive e
disciplinari, le società, le associazioni, gli affiliati ed i tesserati hanno «l’onere di adire» gli organi di giustizia sportiva. In
dottrina, si rinviene l’affermazione secondo la quale, in questo modo, non si tratta «di un onere in senso proprio, quanto della
indisponibilità dell’apparato giurisdizionale statale a fronte della inesistenza di un diritto o interesse legittimo da tutelare»: F.P.
LUISO, Il Tribunale Nazionale Arbitrale per lo Sport. Il punto di vista del processualista, in Judicium, in www.judicium.it, 2010, §
2. In senso diverso è orientato P. SANDULLI, Giustizia sportiva e giurisdizione statale, in Riv. dello sport, 2007, p. 429 ss.; ID., I
limiti della «giurisdizione sportiva» (nota a T.A.R. Lazio, Sez. III ter, 19 marzo 2008, n. 2472), in Foro amm. T.A.R., 2008, nt.
13, il quale ritiene che la pregiudiziale sportiva altro non sia se non un «filtro all’azione» con funzioni deflative, che si può
qualificare come «una condizione di proseguibilità dell’azione […] già presente in altri settori dell’ordinamento processuale
(quali quello del lavoro, quello agrario e quello societario»; cosicché, secondo F. AULETTA, Sport, in G. VERDE (diretto da), La
giurisdizione. Dizionario del riparto, Bologna, 2010, p. 687 ss., in part. p. 691, «La esigibilità della sentenza di merito dai giudici
dello Stato […] è differita, almeno per «le società, le associazioni, gli affiliati ed i tesserati», all’avvenuto esperimento dei rimedi
interni all’ordinamento particolare sotto pena di improcedibilità».
24
NOTE A SENTENZA
La corte costituzionale individua.…
Lo spartiacque è costituito dal comma 2 dell’art. 1, della l. n. 280/2003, secondo periodo
(c.d. «clausola di salvezza»), che nel dare una regolamentazione positiva alla sfera di autonomia tra
i due ordinamenti citati, limita la tutela giurisdizionale statale ai soli «casi di rilevanza» per
l’ordinamento statale di diritti soggettivi o interessi legittimi «conness[i]» con situazioni sostanziali
che sono tali solo per l’ordinamento sportivo.
Per questo motivo tale disposizione è oggetto di una serie di contrastanti letture 15, alcune
accomunate dall’esigenza di estendere l’area della tutela statale (o attraverso la individuazione di
una più aperta serie di «casi rilevanti», o ampliando la categoria della patrimonialità), altre invece
tendenti a circoscrivere tale tutela. In quest’ultimo caso alla espressione «casi di rilevanza»
contenuta nell’articolo sopra indicato viene attribuito il più ristretto significato di una «rilevanza di
secondo grado», giacché «la situazione giuridica tutelata deve essere una situazione prevista
dall’ordinamento statale e rispetto alla quale vi possono essere effetti e ricadute ulteriori in virtù del
collegamento tra questa situazione giuridica soggettiva e l’ordinamento dello sport»: logico
corollario di tale ricostruzione è che nell’area riservata all’ordinamento sportivo «l’intervento del
giudice statale è tendenzialmente risarcitorio e che è dubbio che sia possibile un effetto
conformativo […], in quanto la rilevanza per lo Stato della situazione protetta dall’ordinamento
sportivo non si identifica con quest’ultima – che resta affidata alla riconosciuta autonomia degli
organi sportivi -, ma ha per oggetto le conseguenze ulteriori, che (solo queste) possono dare vita e
veri e propri diritti soggettivi […]»16; soluzione questa ultima, peraltro, adesso avallata dalla
sentenza in commento.
Anche se queste succinte notazioni richiedono un maggior controllo critico e più larghi
riscontri che ne confermino la compatibilità con il sistema delineato dalla l.n. 280/2003, tuttavia
esse appaiono sufficienti per introdurre la duplice direzione entro cui si svolgeranno le presenti
osservazioni17.
15
16
17
Per una valutazione globale, da ultimo, L. FERRARA, Giustizia sportiva, in Enc. dir., Annali III, Milano, 2010, pp. 491 ss., in
partic. pp. 504 ss.
Così, con incisivo nitore, G. VERDE, Sul difficile rapporto tra ordinamento statale e ordinamento sportivo, in AA.V.V., Fenomeno
sportivo e ordinamento giuridico (Atti del 3° Conv. Naz. della S.I.S.Di.C., Napoli, 27-29 marzo 2008), Napoli, 2009, pp. 675, in
partic. pp. 677-678; ID., Lineamenti di diritto dell’arbitrato, 3ª ed., Torino, 2010, pp. 47-48; F. AULETTA, Sport, cit., pp. 691-692, il
quale precisa che «il concetto di connessione implica che le fattispecie costitutive delle pur distinte posizioni soggettive – cioè, di
quella a rilevanza soltanto interna all’ordinamento sportivo e dall’altra a rilevanza generale – abbiano in comune almeno uno dei
loro elementi, dovendosi, al contrario, scartare che si dia connessione in presenza di una semplice possibilità di riflessionedella
prima sulla seconda» (il corsivo è nostro); cfr. pure L. FERRARA, Giustizia sportiva, cit., p. 505, la cui opinione, però, va valutata
tenendo presente la particolare sua proposta ricostruttiva della «fenomenologia sportiva» (ivi, pp. 514 ss.).
Per sviluppi approfonditi v. F. GOISIS, La giustizia sportiva tra funzione amministrativa ed arbitrato, Milano, 2007; G. MANFREDI,
Pluralità degli ordinamenti e tutela giurisdizionale. I rapporti tra giustizia statale e giustizia sportiva, Giappichelli, Torino; R.
MORZENTI PELLEGRINI, L’evoluzione dei rapporti fra fenomeno sportivo e ordinamento statale, Milano, 2007;
25
NOTE A SENTENZA
La corte costituzionale individua.…
Per un verso, l’indagine che svilupperemo si inserisce, come episodio marginale, nel più
vasto problema della tutela dei diritti o comunque degli interessi giuridici rilevanti, per porre in
evidenza come le strategie o (per usare un termine più neutro) le tecniche normative attraverso le
quali tale tutela si realizza, quando riguardano situazioni soggettive relative a quelle che
genericamente possiamo chiamare formazioni sociali, si muovono in spazi più ristretti che non
ricalcano gli schemi legali generali, per lo più riconnettibili all’autonomia di tali formazioni 18.
Talché anche nell’esperienza dell’ordinamento sportivo si è di fronte ad una organizzazione la cui
partecipazione rende i membri titolari sia di diritti soggetti o di interessi legittimi, che di posizioni
soggettive estranee per l’ordinamento statale, non suscettibili di avvantaggiarsi delle normali forme
di tutela.
Per un altro verso le proposte ricostruttive in ordine alla rilevanza dell’area riservata ai
rimedi interni dell’ordinamento sportivo, che riguarda l’applicazione e l’osservanza delle proprie
norme organizzative e statutarie, nonché i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare,
consentono di enucleare concetti e categorie operative utilizzabili per individuare al di là delle
formali qualificazioni normative il ruolo che effettivamente svolgono le posizioni soggettive
estranee all’ordinamento statale, e che come avremo modo di constatare assumono una collocazione
chiave in considerazione delle pretese costituzionali dei membri dell’ordinamento sportivo.
Il quadro, peraltro, è molto più articolato e complesso: in proposito sono sintomatiche le
frequenti ipotesi di emergenza contenziosa che è dato rilevare, e che giustifica i dubbi che l’assetto
delineato dal legislatore del 2003 non trovi sul piano della regolamentazione giuridica una
corrispondente attuazione. In effetti, così come dovrebbe emergere dalle considerazioni che si
andranno sviluppando, non si tratta solo di una astratta questione sistematica.
Il ripetuto e puntuale intervento del giudice statale nelle controversie sportive è sintomo in
realtà di più concrete difficoltà. Queste, nell’ambito del diritto sportivo, vengono di solito
riconnesse alla questione di fondo dei limiti della assoggettabilità di questa materia alla disciplina
giuridica.
18
Sulle modalità e delimitazioni delle forme di tutela all’interno delle formazioni sociali, con tutte le conseguenze che possono
essere tratte in termini di tutela giurisdizionale, la dottrina manifesta una molteplice eterogeneità di vedute (vedi E. ROSSI, Le
formazioni sociali nella costituzione italiana, Padova, 1989, p. 119 ss.; ID., Sub. art. 2, in R. BIFULCO, A. CELOTTO, M. OLIVETTI,
Comm. alla Cost., v. I, Artt. 1-54, Torino, 2006, p. 52 ss). Per un quadro d’insieme v. i volumi collettivi Tutela della personalità
nelle formazioni sociali (Atti del Convegno nazionale A.I.C. nei giorni 25 e 26 marzo 1972, Perugia, 1972, e segnatamente le
Relazioni di P. RESCIGNO, Tutela della personalità nella famiglia, nella scuola e nelle associazioni e di G. FERRI, Tutela della
personalità nell’impresa) e Potere, poteri emergenti e loro vicissitudini nell’esperienza giuridica italiana (Atti del Convegno
nazionale indetto dall’Accademia dei Lincei nei giorni 20-22 marzo 1985, Padova, 1986).
26
NOTE A SENTENZA
La corte costituzionale individua.…
Se si ha riguardo agli interessi coinvolti ed ai valori sottesi alle scelte normative, in un
contesto maggiormente caratterizzato rispetto al passato dalla esigenza di un più incisivo intervento
del legislatore nell’interno dell’ordinamento sportivo, appare fondato il dubbio che tale intervento
possa racchiudere nei suoi schemi la trama dei particolari e complessi rapporti che hanno di solito
trovato il loro assetto in altre regole di comportamento19.
In realtà però – considerate in una più vasta prospettiva – le accennate difficoltà emergono
dalla categoria interpretativa autorità-libertà20, sul cui sfondo si sono sviluppate alcune delle più
significative ricostruzioni del diritto sportivo21.
A secondo che l’anima dirigistica sia più o meno incalzante, il pendolo oscilla, lasciando
all’ordinamento sportivo margini maggiori o minori al proprio potere di autodeterminazione.
Da ultimo le leggi in materia di sport, di cui alcune opportunamente richiamate dalla Corte
costituzionale in motivazione, sembrano riconoscere anche al nostro ordinamento un maggior
rispetto per la libertà dell’organizzazione sportiva22.
19
20
21
22
I principi generali del diritto sportivo, fondanti sulla lealtà, infatti operano come criteri direttivi per l’affermazione di valori che
stanno al di fuori della previsione della norma statale.
L’attualità di tale categoria nell’ambito del diritto pubblico è testimoniata dalle parole di Giampaolo Rossi: «La scienza
amministrativistica ha destinato le sue migliori energie all’interno della dialettica autorità-libertà e, nella versione più moderna,
ha posto limiti efficaci al potere fino ad arrivare ad una tutela delle situazioni soggettive nei confronti della pubblica
amministrazione più soddisfacente, per molti versi, di quella che il singolo ha quando intrattiene rapporti con grandi
organizzazioni private» (G. ROSSI, Diritto pubblico e diritto privato nell’attività della pubblica amministrazione: alla ricerca
della tutela degli interessi, in Dir. pubbl., 1998, p. 660 ss., in part. p. 683).
V., per esempio, le critiche che si rivolgono, da un lato, F. GOISIS, Verso l’arbitrabilità delle controversie pubblicistiche-sportive?,
cit., p. 1430 ss., note nn. 28, 32, 34, 58 e 59 e, dall’altro, L. FERRARA, Giustizia sportiva, cit., p. 499, p. 517 nt. 200, p. 533 nt. 331;
Il rito in materia sportiva tra presupposti problematici e caratteristiche specifiche, in Judicium, www.judicium.it, spec. § 2, nt.
16 e § 3, nt. 31; ID., Sport e diritto: ovvero degli incerti confini tra Stato e società (a proposito di due contributi di Goisis e
Manfredi), in www.grupposanmartino.it (18.6.2008), § 7, e A. DE SILVESTRI, La giustizia sportiva, in AA.VV., Diritto dello sport,
nuova ed., Firenze, 2008, pp. 142 ss.; ID., Le questioni del lodo camerale: autonomia o discrezionalità delle federazioni sportive,
in GiustiziaSportiva.it, www.giustiziasportiva.it, 2007, n. 3. Il primo studioso potenzia nel massimo grado l’aspetto pubblicistico
collegato alle vicenda sportive, finendo con il considerare la giustizia sportiva in sede Coni come attività provvedimentale in
forma arbitrale che termina con un provvedimento che ha natura amministrativa, in quanto tale assolutamente impugnabile
dinnanzi al giudice amministrativo. Gli altri due studiosi, invece, danno rilievo all’origine del fenomeno sportivo, che non
proviene dall’alto, cioè dall’imposizione statale, ma proviene dal basso, cioè dal pluralismo della società civile e dalle libertà
garantite ai privati dalla Costituzione (emblematico, a tal proposito, è il titolo di un discusso saggio di L. FERRARA, L’ordinamento
sportivo meno e più della libertà privata, in Dir. pubbl., 2007, pp. 1 ss.). In questa prospettiva, le pronunce dell’ultimo grado
della giustizia sportiva finiscono per essere considerate espressione di una giustizia privata, tendenzialmente equiparabili, per lo
Stato, alle pronunce arbitrali.
L’art. 1 della l. n. 91/1981, recante norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionistici, enuncia l’importante
principio per cui: «l’esercizio dell’attività sportiva, sia essa svolta in forma individuale o collettiva, sia in forma professionistica
o dilettantistica, è libero».
27
NOTE A SENTENZA
La corte costituzionale individua.…
Ma i fumi dirigistici – specie a giudicare da certe pronunce della giustizia amministrativa
non ben controllate23 – tendono spesso ad esercitare compressioni alla autonomia sportiva non del
tutto meritevoli di approvazione24.
Fortunatamente, tuttavia, l’odierna pronuncia in commento parrebbe considerare ben fermo
il baluardo più importante delle formazioni sociali: al di là di interventi specifici del legislatore o
del giudice,
la regola generale rimane sempre il rispetto dell’autonomia dei gruppi sociali
organizzati, liberi di poter scegliere con totale discrezionalità i loro obiettivi e gli strumenti giuridici
con cui perseguirli25.
3. Spunti problematici: profili ordinamentali dell’organizzazione sportiva che fa capo
al Coni
«L’ordinamento», come ha acutamente rilevato Elio Fazzalari, «è superiorem non
recognoscens, cioè mutua da se stesso la propria legittimità»26.
Questa caratteristica può anche indicarsi, e viene indicata, per l’ordinamento sportivo.
D’altro canto, è difficile negare che i rapporti fra Stato repubblicano e ordinamento sportivo
come rapporto fra istituzioni sono esistiti in fatto non secondo il diritto dello Stato: per più di mezzo
secolo la sola legge che ha retto la disciplina pubblicistica dello sport è stata la n. 426/1942 27,
23
24
25
26
27
Uno degli esempi è T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. II, 5 giugno 2003, n. 958, ord., in www.giustizia-amministativa.it, preoccupata
di radicare la propria competenza in relazione ad un caso avente ad oggetto la contestazione di una pronuncia della Corte federale
presso la F.I.G.C., stante l’idoneità delle pronunce emesse da quest’ultimo organo ad alterare i «risultati acquisisti sul campo».
Merita di essere segnalato il fatto che il Tribunale nella premessa alla sua decisione ha ricordato come la competenza della
giustizia statale si radica solo al cospetto di pronunce sportive che rilevano sul piano dell’ordinamento generale e non soltanto su
quello sportivo, cadendo così in una vistosa contraddizione.
Ci riferiamo all’indirizzo giurisprudenziale che ritiene rilevanti per l’ordinamento statale anche sanzioni disciplinari prettamente
interne quali, ad esempio, l’irrogazione di una penalizzazione dei punti in classifica (T.A.R. Lazio, Sez. III ter, 21 giugno 2007, n.
5645, in Foro it., III, 2007, c. 473 e in Giorn. dir. amm., 2007, p. 883 ss.) o la sospensione del campo di gioco (T.A.R. Sicilia,
Catania, Sez. IV, 19 aprile 2007, n. 679, cit.).
La libertà dei tesserati o delle affiliate non può essere tutelata, ad esempio, fino ad annullare la libertà dell’ordinamento sportivo,
anch’essa tutelata dalla Costituzione, mettendo in crisi o comunque gravemente ostacolando il perseguimento dei suoi fini e il
suo regolare funzionamento interno. Uno studioso sensibile ai temi delle libertà nelle formazioni sociali ha ben messo in evidenza
come al loro interno «il problema non è tanto quello di risolvere un conflitto tra autorità e libertà quanto quello di contemperare
la tutela di diverse ma complementari libertà (riconosciute rispettivamente al gruppo e all’individuo)»: M. BASILE, L’intervento
dei giudici nelle associazioni, Milano, 1975, p. 42. Allo stesso tempo bisogna considerare il severo monito di Augusto Barbera
secondo il quale oggi, come nella storia dello Stato moderno, «Il costituzionalismo tende a vedere soprattutto nello Stato il
nemico delle libertà da tenere sotto controllo e nella società in luogo in cui si esercitano le libertà; ma la società non è solo il
luogo in cui si sviluppano le libertà bensì anche il luogo in cui le libertà stesse (soprattutto quelle economiche, ma non solo)
possono tradursi in potere sociale e opprimere altre libertà. Il tema è stato in questo dopoguerra più volte sfiorato dai
costituzionalisti (con la cosiddetta Drittwirkung i costituzionalisti tedeschi hanno sostenuto l’efficacia erga omnes, quindi anche
nei confronti di altri privati, dei diritti di libertà) ma siamo ancora lontani dai possibili traguardi». Vedi A. BARBERA, Le basi
filosofiche del costituzionalismo, in A. BARBERA (a cura di), Le basi filosofiche del costituzionalismo, X ed., Roma-Bari, 2007, p.
32.
E. FAZZALARI, Ordinamento giuridico. I) Teoria generale, in Enc. giur., v. XXI, 1990, Roma, p. 5.
Legge abrogata dall’art. 19 del d.lgs. n. 242/1999. Sull’inadeguatezza rispetto allo studio del Coni delle costruzioni elaborate
dalla dottrina sugli enti pubblici si veda G. ROSSI, Enti pubblici associativi. Aspetti del rapporto fra gruppi sociali e pubblico
28
NOTE A SENTENZA
La corte costituzionale individua.…
istitutiva del Coni, che ha conferito una amplissima potestà regolamentare all’«ordinamento
sportivo»28.
Naturalmente, da parte dello Stato, ciò non ha implicato l’irragionevole disconoscimento di
tale dimensione, ma ha determinato, anno dopo anno, la trasformazione del Coni (e più
precisamente del suo vertice) in dominatore assoluto della politica sportiva in Italia.
Trattandosi di una realtà di cui occorre prendere atto solo per meglio contrastarla, dato che
rappresenta un momento di crisi del nostro ordinamento costituzionale, è stato opportuno che,
almeno sul piano giuridico, il legislatore sia intervenuto con una serie di previsioni normative che
hanno imposto l’adozione, con gli atti di autonomia associativa, di norme di tutela della
democraticità interna. In questo senso, l’art. 16 del d.lgs. n. 242/1999 ha previsto che le federazioni
affiliate al Coni devono essere «rette da norme statutarie e regolamentari sulla base del principio di
democrazia interna» e che sono vincolate al «principio di partecipazione all’attività sportiva da
parte di chiunque in condizioni di parità»29, e determina alcune garanzie che gli statuti devono
prevedere in materia di procedure elettorali anche per assicurare un’equa rappresentanza di atlete e
di atleti30.
Ancora, il principio di democraticità interna sembra introdurre, nella disciplina della
giustizia interna, alcuni ulteriori vincoli. L’art. 1, comma 14, d.lgs. n. 15/2004, che ha modificato la
disposizione con cui si stabiliscono le competenze della Giunta nazionale del Coni (art. 7 del d.lgs.
n. 242/1999), ha affidato a quest’organo il compito di individuare, con delibera sottoposta
all’approvazione del Ministero per i beni e le attività culturali, i «criteri generali dei procedimenti di
giustizia sportiva», tenendo conto dei «principi del contraddittorio tra le parti, del diritto di difesa,
della terzietà e dell’imparzialità degli organi giudicanti, della ragionevole durata, della motivazione
e della impugnabilità delle decisioni».
28
29
30
potere, Napoli, 1979, pp. 87-97 e passim.
L’orientamento costante della Cassazione è comunque nel senso che la potestà regolamentare delle federazioni sportive incida
l’àmbito amministrativo interno e non quello dei «rapporti intersoggettivi privati» (cfr., ex multis, Cass. civ., Sez. I, 5 gennaio
1994, n. 75, in Riv. dir. sport., 1994, p. 660 ss., con nota di F. CARINGELLA; «Tratta» dei giocatori e profili di «meritovelezza»e, più
di recente, Cass. civ., Sez. lav., 13 febbraio 2004, n. 2836, in Nuovo dir., 2004, p. 598 ss., con nota di D. NAZZARO, I rapporti tra
ordinamento sportivo e diritto statuale nella giurisprudenza e nella L. n. 280/2003. Nota a Ord. Cons. Giust. Amm. SI 26 agosto
2003, n. 300; Cons. Stato sez. VI 7 ottobre 2003 n. 5930; Cass. Sez. lav. 1 ottobre 2003, n. 11751; Cass. Sez. lav. 13 febbraio
2004; n. 2836; Cass. Civ., sez. III 10 marzo 2003, n. 3545; TAR Lazio sez. III ter 1 aprile 2004, n. 2987.
A sua volta, sempre in tal senso, l’art. 2, comma 4, dello Statuto del Coni attribuisce a quest’ultimo la funzione di indicare «[…]
i principi per la lotta dello sport contro l’esclusione, le disuguaglianze, il razzismo, la xenofobia e ogni forma di violenza […]».
Sull’argomento v. G. BRUNO, Il principio democratico nel fenomeno sportivo, Napoli, 2009; C. ALVISI, Principio di democrazia
interna e statuti federali, in AA.V.V., Fenomeno sportivo e ordinamento giuridico, cit., p. 621 ss. Delle esposizioni recenti ed
esemplari del principio di democrazia interna, in un contesto diverso ma per molti aspetti affine, si trovano in A. RUGGERI, Note
minime in tema di democrazia interna nei partiti politici ed E. ROSSI, La democrazia interna nei partiti politici, entrambe in
Rivista AIC, www.rivistaaic.it, n. 1/ 2011.
29
NOTE A SENTENZA
La corte costituzionale individua.…
E’ evidente che si tratta di garanzie identiche a quelle che l’art. 111 Cost. prevede per i
procedimenti giurisdizionali, e quindi riconducibili al principio del giusto processo. Prima di
verificare i riflessi di questi dati positivi su alcuni profili del procedimento disciplinare, possiamo
provare ad ampliare i termini della questione: l’organizzazione sportiva che fa capo al Coni è per
legge un «ordinamento», per di più è propriamente “dichiarato”, cioè semplicemente riconosciuto,
come entità preesistente allo Stato (art. 1, comma 1, l. n. 280/2003).
Nell’ipotesi di conflitto tra i due ordinamenti non è dato trovare alternative sul piano
positivo, poiché l’«autonomia» dell’ordinamento particolare cede di fronte al primato della
sovranità statale31. Ovviamente, l’autonomia tra i due ordinamenti non può misurarsi solo sul piano
del conflitto, anzi sempre più frequentemente, entrambi muovono la loro azione per mezzo di norme
che richiamano valori e regole presenti nell’ordinamento “altro”.
Invero, le norme regolanti l’organizzazione sportiva hanno una doppia valenza – una
derivata dall’ordinamento generale ed una sua propria - senza che ciò sminuisca la propria
autonomia, perché quell’insieme vive e opera di luce propria e non riflessa altrove.
Pertanto, fra i tanti possibili esempi, la differenza tra un atleta professionista e un atleta
dilettante, dal punto di vista dell’ordinamento statale, rileva sul piano meramente formale della
qualificazione dell’attività sportiva praticata come professionistica da parte della competente
federazione sportiva (art. 2, l. n. 91/1981).
Analogamente, l’art. 28, comma 4, del codice di giustizia della Federazione italiana calcio
(Figc), il quale, in special modo, stabilisce che agli organi di giustizia sportiva: «si applicano le
norme in materia di astensione e ricusazione previsti dal Codice di procedura civile»32.
D’altro canto, l’autonomia dell’ordinamento sportivo italiano viene meno nell’ambito
dell’ordinamento superiore di carattere internazionale (si pensi, ad esempio, alle Federazioni
sportive internazionali, e al Cio).
31
32
La lezione di V.E. ORLANDO, La rivoluzione mondiale e il diritto, Milano, 1947, pp. 28-29, risuona proficuamente in questa
pagina «[…] è assolutamente impossibile che la sovranità appartenga simultaneamente ad una pluralità di ordinamenti e quindi di
comunità giuridiche»; «[…] si arriverebbe all’assurdo di affermare la validità contemporanea di due norme che si
contraddicono». L’affermazione riportata, assolutamente valida fino ad epoca non recente, va subendo ora «attenuazione» per la
tendenza da parte degli stati nazionali ad ammettere, a determinati effetti, spazi nei quali gli «ordinamenti transnazionali»
vengono ad inserirsi. V. su questo punto gli svolgimenti di A. PIZZORUSSO, Fonti del diritto, in Comm. del codice civile, a cura di
Scialoja e Branca, attualmente curato da F. Galgano, Disposizioni sulla legge in generale (Art. 1-9), II ed., Bologna-Roma, 2011,
pp. 109-110, il quale indica come esempi più significati di ordinamenti transnazionali, le cui fonti sono recepite dagli stati come
forme di soft law,quello della nuova lex mercatoria, quello della lex informaticae quello della lex sportiva(le parole virgolettate
riportate nel precedente periodo sono del medesimo A.).
La riforma organica del Codice è del 31 marzo 2007, v. Delibera del Commissario straordinario in data 31.3.2007, in
Comunicato ufficiale della Figc n. 93. Per l’analisi dei mutamenti v. C. FRANCHINI, Profili di attualità nella disciplina della
federazione italiana gioco calcio: le nuove regole, in I. DEMURO e T.E. FROSINI (a cura di), Calcio professionistico e diritto,
Milano, 2009, p. 237 ss. Un’esposizione sistematica si trova in F. BAGATTINI ed al., Commento al nuovo codice di giustizia
sportiva. Aspetti giuridici e casi pratici, Milano, 2009, p. 3 ss.
30
NOTE A SENTENZA
La corte costituzionale individua.…
In questa dimensione, infatti, l’ordinamento sportivo inferiore si atteggia piuttosto come un
settore dell’ordinamento superiore, riconoscibile e distinguibile come tale. Qui, l’ordinamento
inferiore si può qualificare senz’altro come ordinamento «derivato», le cui regole organizzatorie,
che mirano cioè a istituire e regolare condotte autoritative e, con esse, apparati di comando, sono
sistematicamente allineate all’ordinamento superiore di cui fanno parte.
Per intendere il senso di questa affermazione, bisogna tenere presente che in quella
organizzazione che è l’ordinamento sportivo nazionale la struttura internazionale è essenziale ed
insostituibile, e non meramente accidentale, come in altre organizzazioni che possono essere basate
su rapporti con altri sistemi internazionali (come, ad esempio, i partiti politici).
A tal proposito, la norma più significativa è quella espressa dalla Carta olimpica che impone
ai vari Comitati olimpici nazionali di riconoscere, per ogni disciplina sportiva, un’unica
Federazione nazionale (regola n. 32, par. 1.2.)33.
Quanto sopra vale anche per le regole che individuano organi e funzioni di giustizia sportiva,
la cui presenza è caratteristica indefettibile del modello sportivo internazionale 34: e, invero, a fianco
di organi di giustizia internazionali si contemplano organi di giustizia nazionali. Per di più, dai
documenti normativi in materia traspare il chiaro intento di tutti gli ordinamenti sportivi di fornire
un apparato di giustizia affidabile e imparziale, alternativo a quello statale, il cui accesso è
addirittura punito attraverso la previsione di gravi sanzioni.
Naturalmente, la sentenza in commento non cade nell’errore di disconoscere l’ordinamento
sportivo italiano come un ordinamento giuridico di carattere internazionale; ma per converso – ed è
questo il punto che occorre sottolineare – il carattere di «ordinamento giuridico» non attribuisce
alcuna «immunità» agli organi di giustizia sportiva quando esprimano, in sede disciplinare,
provvedimenti
i cui effetti non riguardano strettamente e direttamente la attività sportiva degli
associati, ma i riflessi si estendano su posizioni giuridiche soggettive, nelle connessioni sopra
contemplate.
33
34
Merita menzione anche la regola n. 31, par. 3, della Carta olimpica, che così sancisce: «I CON [Comitati olimpici nazionali]
hanno il potere esclusivo di rappresentare i propri paesi ai Giochi Olimpici nonché in occasione delle competizioni sportive
regionali, continentali o mondiali patrocinate dal CIO».
V., ad esempio, gli artt. 59-60 che compaiono alla sezione VIII dello Statuto della Féderation Internazionale de Football
Association (Fifa), che indicano le linee generali dettate alle federazioni membri per le controversie interne di natura disciplinare
e patrimoniale (su quali v. le osservazioni di V. VIGORITI, L’arbitro del lavoro nel calcio. Commentario, Milano, 2004, p. 7 ss., che
insiste nel ritenere che la chiave di interpretazione della disciplina positiva a livello nazionale debba essere quella dettata
dall’organizzazione internazionale).
31
NOTE A SENTENZA
La corte costituzionale individua.…
4) Giurisprudenza e dottrina rispetto al sindacato dei provvedimenti disciplinari
sportivi.
L’ordinamento sportivo contiene – come si è detto – norme organizzatorie, che mirano ad
istituire ed a regolare condotte autoritative e, con esse apparati di comando e di giustizia interna:
tale «organizzazione» è una caratteristica immancabile nel modello dello sport agonistico ed è
presente in tutte le carte internazionali e nazionali.
Per meglio chiarire i termini della problematica è necessario risalire, sia pur per sommi capi,
all’analisi del fenomeno sportivo compiuto dalla scienza giuridica italiana.
Già nel 1929, in Il diritto dei privati, Cesarini Sforza apriva il fenomeno sportivo alla
dimensione istituzionale. L’associazione, una volta costituita, dà vita ad un ordinamento giuridico,
dalla cui norme «si può sempre risalire ad una volontà superiore a quella dei singoli associati», «che
è la volontà di chi governa l’unione»35. E perciò prosegue «non vi è scopo sociale senza un governo,
cioè senza un’autorità dalla quale l’ordinamento del corpo deriva ed è mantenuto» 36. Da questo
punto di vista, le sanzioni disciplinari previste dallo statuto rappresentano «la manifestazione più
evidente del carattere imperativo degli ordinamenti giuridici privati» 37. Esse risultano non
assimilabili alle pene convenzionali o clausole penali presenti nel diritto privato (che non è «il
diritto dei privati»), questo perché le finalità dei due strumenti non coincidono: le sanzioni
disciplinari esprimono il «diritto penale dei corpi sociali» attraverso una tecnica di normazione che
continua ad utilizzare schemi propri del diritto repressivo e, di contro, le pene private si incontrano
in campi che attengono alla realizzazione degli interessi sottesi alla struttura dell’obbligazione civile
e rappresentano uno strumento di tutela volto alla attuazione delle corrispondenti aspettative.
Più specifico e incisivo si fa il discorso di questo autore nelle pagine dedicate alle funzioni
tecnicheche, per le organizzazioni sportive, costituiscono lo scopo essenziale. La funzione tecnica è
diretta a disciplinare le regole della gara, «ed essendo l’osservanza di queste, ai fini
dell’associazione, d’ordine pubblico, sono sancite misure disciplinari contro la loro inosservanza»,
e questo potere non può non connettersi a vere e proprie «funzioni giurisdizionali» nell’ambito del
corpo sociale38.
35
36
37
38
Qui citato nell’edizione della collana Civiltà del diritto per i tipi Giuffrè, 1969, con la pres. di Sal. ROMANO, p. 43.
W. CESARINI SFORZA, op. loc. cit.
W. CESARINI SFORZA, op. cit., p. 80.
W. CESARINI SFORZA, op. cit., p. 85.
32
NOTE A SENTENZA
La corte costituzionale individua.…
Il carattere di un vero e proprio ordinamento giuridico è spinto alle ultime conseguenze
laddove viene recisamente affermato che il principio di «lealtà» costituisce la «trama essenziale»
dei rapporti sportivi, ed è sulla base di esso che si svolgono quei rapporti tecnici che le autorità
sportive controllano39.
Ma un approfondito esame di questa teoria, sulla quale non ritorneremo, ci porterebbe troppo
lontano. In questa sede ci basta sottolineare che nella realtà odierna la sostanziale irriducibilità del
potere disciplinare dell’ordinamento giuridico sportivo alla tutela giurisdizionale statale sarebbe
incompatibile con l’art. 2 Cost40.
Secondo una diversa impostazione, decisamente più seguita, la potestà riconosciuta
all’ordinamento sportivo di emanare nei confronti dei suoi membri sanzioni disciplinari trova
fondamento nelle categorie delle obbligazioni e dei contratti. Sicché, chi intende aderire nell’ambito
di un settore regolamentato dell’ordinamento sportivo (persona fisica o società sportiva), è tenuto a
rispettare le relative disposizioni disciplinari previste negli statuti federali che si configurano come
mere «pene private»41, ed in quanto tali, non differiscono da quelle inflitte dagli organi di ogni altra
associazione di diritto privato42.
Il carattere contrattuale delle sanzioni disciplinari, secondo la tesi in esame, condiziona in
modo rilevante i possibili esiti processuali nell’ipotesi di impugnazione giudiziale del
provvedimento
punitivo:
l’inadempimento
del
tesserato
(«debitore»),
anziché
attribuire
all’associazione («creditore») il potere di agire in giudizio per chiedere la risoluzione del contratto,
conferisce agli organi dell’associazione il potere di sciogliere unilateralmente il rapporto
obbligatorio, spetterà, beninteso, all’altra parte provare la correttezza o diligenza del
comportamento tenuto o contestare la liceità dell’atto di esclusione43.
39
40
41
42
43
W. CESARINI SFORZA, op. cit., pp. 32-33.
Come scrive efficacemente F. MERUSI, Le direttive governative nei confronti degli enti di gestione, Milano, 1965, p. 167, le
costituzioni contemporanee: «[…] hanno democratizzato e sottoposto ai principi dello Stato di diritto finanche l’ordinamento
militare […], il più restio forse, a causa delle sue origini prestatali […], ad aprirsi all’ordinamento generale […]»; l’A. si
riallaccia a Vittorio Bachelet, L’ordinamento militare, Milano, 1962. Per una parte della dottrina, la vicenda dell’ordinamento
militare è segnata dalla permanenza di ostacoli e lucune rispetto allo svolgersi dei diritti e della loro tutela (lo ribadisce V. ONIDA,
La Corte e i diritti: tutela dei diritti fondamentali e accesso alla giustizia costituzionale, in Studi in onore di L. Elia, t. II, Milano,
1999, p. 1095 ss., in part. p. 1097).
Cfr., per tutti, F.P. LUISO Le «pene private» nel diritto sportivo, in F.D. BUSNELLI e G. SCALFI (a cura di), Le pene private, Milano,
1985, p. 169 ss., spec. p. 174.
Per l’originaria impostazione del problema cfr. F.P. LUISO, La giustizia sportiva, Milano, 1975, p. 239 ss., e ivi numerosi
riferimenti alla giurisprudenza e dottrina precedenti. Sul fondamento giuridico del potere disciplinare, con importanti riferimenti
all’ordinamento sportivo, v. il sintetico ma efficace quadro di M. BASILE, Le persone giuridiche, con un contributo di M.V. DE
GIORGI, in G. IUDICA e P. ZATTI (a cura di), Tratt. dir. priv., Giuffrè, Milano, 2003, p. 258 ss.
F.P. LUISO, La giustizia sportiva, cit., pp. 243-244 e pp. 355-356. Non è irrilevante porre in evidenza che nel 1993, nella voce
Giustizia sportiva, in Dig. disc. priv., Sez. civ., IV ed., v. IX, Torino, p. 222 ss., spec. 234, questo A. ha mutato la propria
posizione, giungendo ad una concezione parzialmente diversa da quella che emerge nei suoi scritti precedenti.
33
NOTE A SENTENZA
La corte costituzionale individua.…
Dall’altro lato, lo si è già visto, una parte non indifferente della dottrina e la giurisprudenza
prevalente abbracciano – talora con atteggiamento estrèmistico – la tesi pubblicistica.
Prevalentemente, in passato, si riteneva che federazioni sportive, in quanto «organi» del
Coni (facendo leva soprattutto sulla dizione dell’art. 5, comma 1, l. n. 426/1942) partecipavano
della natura pubblica che quest’ultimo fuor di ogni dubbio aveva (ed ha); e quindi, coerentemente,
si affermava che i regolamenti federali erano fonti di diritto per l’ordinamento statale, in quanto
regolamenti di un ente pubblico; che gli atti delle federazioni erano atti di natura amministrativa; e
che, per ciò che ci riguardava, tutto il settore disciplinare federale doveva imputarsi all’attività
disciplinare della pubblica amministrazione44.
Una volta escluso ad opera dell’art. 15, comma 2, del d.lgs. n. 242/1999, che le federazioni
facciano parte della pubblica amministrazione, e quindi siano munite di poteri autoritari, vista la
loro espressa qualificazione di persone giuridiche di diritto privato operata dalla norma citata,
permangono però le difficoltà a distinguere tra funzioni a valenza pubblicistica e funzioni a valenza
privatistica.
La loro stessa ineccepibile configurazione formale come soggetti privati lascia infatti grandi
dubbi quando si passa al piano applicativo45.
Una semplificante risposta potrebbe ricavarsi dall’esame letterale della disposizione in
esame – in part. commi 1 e 2 –, e consistere nella duplicità della natura delle federazioni: da ciò
discende che qualora esse pongano attività finalizzate alla realizzazione di interessi fondamentali e
istituzionali dello sport, devono essere considerate organi del Coni, con la conseguenza che gli atti
adottati nell’esercizio di tale funzione devono essere ascritti alla giurisdizione del giudice
amministrativo allorché incidano su posizioni di interesse legittimo46.
Riteniamo tale risposta semplificante non solo perché l’utilizzo di clausole elastiche quali
«interessi fondamentali» e «interessi istituzionali» dello sport lascia uno spazio pressoché
incontrollabile alla formazione del convincimento del giudice, ma perché la regolamentazione oggi
vigente inverte la relazione fra il nucleo pubblico e privato delle federazioni, derivandone un
44
45
46
Così, con estrema chiarezza, Cons. St., Sez. VI, 7 maggio 1996, n. 654, in Foro amm., 1996, p. 1573 ss.
Non giova, neanche, alla chiarezza della qualificazione degli atti federali il comma 1° dell’art. 15 ove impiega il vago criterio
della «valenza pubblicistica di specifiche tipologie di attività individuate nello statuto del C.O.N.I.» (sulla individuazione delle
quali cfr. art. 23, comma 1, St. Coni, ultima versione del 26 febbraio 2008). Ad ogni modo, per tale ‘area pubblica’ dovrebbe
valere la perspicua indicazione di G. NAPOLITANO, Sport, in Dizionario di diritto pubblico, diretto da S. CASSESE, V. VI, 2006, p.
5678 ss., spec. p. 5683,e cioè che da essa non consegue una modificazione del regime degli atti, che rimane quello di diritto
privato.
Cons. St., Sez. VI, 10 settembre 2007, n. 4743, in Banca dati Infoutet – DVD. Per l’originaria impostazione della compresente
natura pubblica e privata cfr. Cass. civ., Sez. un., 9 maggio 1986, n. 3091 e Cass. civ., Sez. un., 9 maggio 1986, n. 3092,
entrambe in Foro it., 1986, I, c. 1251 ss.
34
NOTE A SENTENZA
La corte costituzionale individua.…
contesto di maggiore valorizzazione gli atti di autonomia normativa di queste organizzazioni, aperti
a recepire in positivo una multiforme serie di contenuti
in «conformità» e «armonia» con
l’ordinamento internazionale47.
Una risposta più argomentata viene fornita da un orientamento dottrinale48 per cui il potere
disciplinare del Coni troverebbe legittimazione da una ‘delega’ dello Stato al Coni; il conferimento
di tale ‘delega’ non significa disinteresse o depauperamento delle sue possibilità di intervento. Alla
luce di tale premessa, la circostanza che le sanzioni disciplinari siano poi inflitte dalle singole
federazioni, associazioni con personalità giuridica di diritto privato, non influisce sulla natura
amministrativa del provvedimento, che in modo corretto può provenire da soggetti non di diritto
pubblico.
Per la verità la contrapposizione tra i fautori dell’una o dell’altra concezione dal punto di
vista applicativo si stempera: i sostenitori della tesi contrattuale convengono, non meno di coloro
che propugnano la tesi pubblicistica, circa la sindacabilità, da parte del giudice statale, dei
provvedimenti adottati dagli organi a carattere disciplinare. Né potrebbe essere diversamente, se si
considera che l’art. 2 Cost. tutela i diritti dell’uomo entro le formazioni sociali ove si svolge la loro
personalità, tra le quali, come oggi ribadisce la Corte costituzionale, è certo che devono essere
comprese le ‘associazioni’ sportive: anche nei rapporti instaurati nell’ambito di queste particolari
«formazioni sociali» deve dunque potersi esercitare una piena tutela giurisdizionale, che salvaguardi
l’aderente da ogni forma di abuso degli organi sociali49.
La discordia tra i due orientamenti si esprime piuttosto sulle forme di tutela per la protezione
dei diritti degli aderenti. L’idea contrattualistica risulterebbe preferibile, secondo i suoi fautori,
perché i ricorsi interni avverso gli atti disciplinari sono «finalizzati ad oppugnare esclusivamente la
corretta applicazione, da parte degli organi giustiziali federali, delle regole del contratto associativo
consacrate nei relativi regolamenti sportivi»50.
47
48
49
50
Vedi l’art. 1 del d.lgs. n. 426/1999, come sostituito dall’art. 1 del d.lgs. n.15/2004.
F. GOISIS, La giustizia sportiva, cit., p. 70 ss., e per un riepilogo p. 363 ss.
Sul significato di questa norma nel fenomeno associativo v., riassuntivamente, F. GALGANO, La forza del numero e la legge della
ragione. Storia del principio di maggioranza, Bologna, 2007, p. 157 ss., p. 254 ss., il quale riafferma che per tramite dell’art. 2
Cost. si è provveduto al «riconoscimento di «rilevanza», per lo Stato, di tutte le associazioni, riconosciute o non riconosciute, la
necessaria soggezione di queste ultime al diritto comune, e la rivendicazione, alla Repubblica, della funzione di garante di tutte le
libertà dell’individuo, anche all’interno delle associazioni. Una funzione che, allo stato della legislazione, avrebbe potuto
assolvere il giudice, sottoponendo gli «accordi degli associati» di cui all’art. 36 ai medesimi limiti di invalidità cui è esposto lo
statuto di un’associazione riconosciuta».
Questa lettura equivale, peraltro, all’affermazione che giacché ogni ordinamento giuridico ha una sua organizzazione e ogni
associazione è giuridicamente rilevante, almeno ai sensi dell’art 36 c.c. (ma anche dell’art 18 Cost.), un ordinamento giuridico
particolare è, nell’ordinamento statale, entificato se non altro come associazione non riconosciuta (così F.P. LUISO, La giustizia
sportiva, cit., p. 579).
Cfr. A. DE SILVESTRI, La giustizia sportiva, cit., p. 147.
35
NOTE A SENTENZA
La corte costituzionale individua.…
Di conseguenza, la giurisprudenza di legittimità ha utilizzato lo schema dell’autonomia
privata per ricondurre la giustizia interna nell’ambito dell’arbitrato, evitando in tal modo che essa
possa impìngere di fronte al divieto degli arbitrati obbligatori. L’appello all’arbitrato, amplifica
l’aria dell’autonomia sportiva, atteso che la qualificazione delle decisioni dei giudici sportivi ai lodi
induce a ridurre i casi di impugnabilità e il controllo esercitatile sulle decisioni dall’autorità
giudiziaria. Deve – sempre per questo orientamento – escludersi una relazione di necessaria
consequenzialità fra decisioni disciplinari e rilevanza anche per l’ordinamento dello Stato. Si
precisa infatti che la ‘riserva’ di giustizia sportiva non opera al cospetto di controversie che esigono
decisioni «sull’osservanza di norme riguardanti l’esercizio delle attività sportive poste dal
legislatore della Repubblica»51.
I critici dell’adeguatezza delle categorie privatistiche, viceversa, sostengono che sarebbe
proprio la prospettiva pubblicistica la più idonea ad apprestare una tutela effettiva e sostanziale agli
aderenti all’ordinamento sportivo.
Riconoscendo che la posizione degli organi di giustizia sportiva è di diritto pubblico, che il
potere da essi esercitato ha le valenze specifiche della discrezionalità amministrativa, la posizione
del soggetto che subisce il giudizio disciplinare, e la conseguente pronunzia,
è di interesse
legittimo, le reazioni alla sua lesione seguono il modello del sindacato pieno del giudice
amministrativo52.
Nell’interpretazione accolta dal Tribunale amministrativo regionale di Roma in numerose
pronunce, l’interesse pubblico dello sport nazionale si presenta come una figura dai confini molto
ampi e precisi: la discrezionalità amministrativa delle federazioni sportive, in quanto riferita ad un
interesse pubblico, trova dei limiti nei princìpi dell’attività amministrativa quali quello che
prescrive la comunicazione dell’avvio del procedimento agli interessati (art. 7, l. n. 241/1990),
oppure quello della ultrattività della misura disciplinare nei confronti del soggetto il cui rapporto
con la federazione sia già cessato, oppure quello del diritto di accesso alla documentazione
amministrativa53.
51
52
53
Cfr. M. BASILE, L’autonomia delle federazioni sportive, in Nuova giur. civ. comm., 2008, p. 307 ss., spec. p. 326.
F. GOISIS, La giustizia sportiva, cit., pp. 344-345.
Sull’applicabilità dei principi del procedimento amministrativo v., tra le tante, T.A.R. Lazio, sez. III ter, 1 aprile 2004, n. 2987,
cit., per il quale, spetta anche al giudice amministrativo «la tutela del rapporto associativo (e, quindi, della sua cessazione),
trattandosi di un rapporto di per sé certamente rilevante per l’ordinamento sportivo, ma che va ad incidere parimenti su posizioni
regolate dall’ordinamento generale». Per la comminatoria di una sanzione disciplinare a carico del tesserato dimessosi dalle
cariche federali in pendenza di un procedimento disciplinare v. T.A.R. Lazio, 19 marzo 2008, sez. III ter, n. 2472, in
Federalismi.it, www.federalismi.it, ed in Foro it., 2008, III, c. 599 ss., che a sostegno della propria statuizione richiama «i
principi pacificamente affermati nell’ambito del pubblico impiego». Vedi, in precedenza, Cass. civ., Sez. un., 10 novembre 1994,
n. 9531, in Giust. civ., 1995, I, p. 391 ss., con nota di G. VIDIRI, Potere disciplinare delle Federazioni sportive e competenze
dell’a.g.o., che afferma la competenza del giudice ordinario sulla domanda del sottoposto a procedimento disciplinare, diretta ad
36
NOTE A SENTENZA
La corte costituzionale individua.…
5)Potere disciplinare e interessi estranei all’ordinamento della Repubblica: spazi e
limiti della tutela statale. La sentenza della Corte costituzionale segna la strada per il
superamento della cosiddetta pregiudizialità amministrativa provocando immediati riflessi
sulla giurisprudenza amministrativa
Nel discorso della Corte non viene presa alcuna posizione in merito alla fondatezza dell’una
e dell’altra tesi in rapporto specifico alla «questione», così come essa le è stata posta dalle parti e
dal giudice.
Nella riflessione costituzionalistica, l’accoglimento dell’una o dell’altra delle due tesi
sommariamente esposte dovrebbe risultare indifferente quando il comportamento degli organi di
giustizia sportiva sia capace di ledere i diritti inviolabili dell’uomo.
La dottrina e la giurisprudenza, di qualunque orientamento, ribadiscono che le norme
costituzionali costituiscono un limite invalicabile sia nei confronti dello statuto (che, ad esempio,
non potrebbe certamente prevedere legittimamente sanzioni lesive della libertà personale), sia
rispetto all’attività degli organi disciplinari (che, ad esempio, non potrebbero certo compiere atti di
indagine di natura coercitiva, come sequestri e le perquisizioni).
Che la norma costituzionale, in quanto norma superiore, sia destinata a prevalere
sull’autonomia privata (se il fenomeno sportivo va inquadrato in questo schema), o abbia funzione
di limite all’autonomia dell’ordinamento giuridico sportivo (se è questa la prospettiva da seguire), il
risultato non dovrebbe comunque cambiare.
Riportando in questo quadro generale l’ipotesi specifica qui considerata, al giudice delle
leggi non viene difficile dedurre innanzitutto che interessi quali la possibilità di essere affiliati o
tesserati ad una federazione sportiva, nonché le condizioni per poter svolgere attività agonistica,
disputando le gare ed i campionati ufficiali, non possono essere disgiunti dalla considerazione delle
pretese costituzionali della libertà di associazione o di svolgimento della personalità del singolo
atleta, o della libertà di iniziativa economica delle società che svolgono sport a livello
professionistico.
Un importante elemento a sostegno di tale argomento, ribadisce la Corte, si può arguire
dalla scelta compiuta dal legislatore della conversione del d.l. n. 220/2003; il testo del d.l. citato
convertito con modificazioni in l. n. 280/2003, conteneva due ipotesi ulteriori di riserva,
impedire la prosecuzione dell’azione e ad ottenere la sospensione degli effetti delle sanzioni già emesse. Sull’accesso ai
documenti v. T.A.R. Calabria Catanzaro, Sez. II, 18 settembre 2006, n. 984, in Giur. merito, 2007, p. 1750, con nota di M.R.
GIANGROSSI, Il diritto di accesso sugli atti delle federazioni sportive.
37
NOTE A SENTENZA
La corte costituzionale individua.…
segnatamente: «c) l’ammissione e affiliazione alle federazioni di società, di associazioni sportive e
di singoli tesserati; d) l’organizzazione e lo svolgimento delle attività agonistiche non programmate
ed a programma illimitato e l’ammissione alle stesse delle squadre ed atleti». La cancellazione dal
novero di quelle riservate è dovuta al fatto che tali situazioni si avviano a diventare diritti
(aspettative), che sono poi attuazione di «fondamentali diritti di libertà»54.
In altre parole, siamo in presenza di una colorazione pubblicistica più o meno intensa di
posizioni di diritto, nel senso che un’eventuale sanzione disciplinare sportiva che illegittimamente
incida su di esse, offende anche un ulteriore bene giuridico, considerato degno di protezione da
parte dell’ordinamento, a vantaggio della generalità dei consociati. Ecco nascere allora, per questa e
soloper questa categoria di posizioni giuridiche, la necessità di forme di tutela più intensa di quella
associativa.
Di fronte a norme, invece, che impongono agli sportivi l’obbligo di fedeltà, di obbedienza, di
lealtà (e di quelle che regolano il correlativo sistema disciplinare a presidio della loro osservanza) è
opportuno non perdere di vista che esse si inseriscono in una diversa vicenda che coinvolge gli
stessi soggetti, in quanto partecipi di un ordinamento autonomo.
Il quadro di riferimento è quindi diverso da quello fino ad ora tenuto presente, in quanto si
tratta di rapporti inseriti nella complessa trama di situazioni giuridiche facenti capo ad una
formazione sociale.
In particolare appare opportuno mettere in evidenza che il problema che queste situazioni
giuridiche pongono non è quello di aprire all’àmbito della patrimonialità o al criterio
dell’alterazione dello «status» di affiliato o tesserato, ove farne risaltare la rilevanza, ma è di segno
contrario. Si tratta di esaminare come a fronte della non applicabilità di tutte le forme di tutela
proprie delle situazioni giuridiche statali, vada intesa la rilevanza dei rapporti in esame.
La risposta della Corte è a tal proposito netta, di fronte alle sanzioni disciplinari inflitte agli
aderenti dagli organi di giustizia sportiva, per chi lamenti la lesione di una situazione soggettiva, il
54
Punto 4.2. del ‘considerato in diritto’. Su questo cambiamento si era già espresso Cons. Stato, Sez. VI, 9 luglio 2004, n. 5025,
pubblicata insieme a Cass. Civ., Sez. un., 1 ottobre 2003, n. 14666, in Nuova giur. civ. comm., 2005, p. 263 ss., con note di M.
BASILE, «La giurisdizione sulle controversie con le federazioni sportive» e di A.R.TASSONE, «Tra arbitrato amministrato e
amministrazione arbitrale: il caso della “Camera di conciliazione e arbitrato per lo sport”»; in Foro amm., C.d.S., 2005, p.
1233 ss., con nota di L. FERRARA, L’ordinamento sportivo e l’ordinamento statale “si imparruccano” di fronte alla Camera di
conciliazione e arbitrato per lo sport; in Dir. proc. amm., 2005, p. 997, con commenti di F. GOISIS, Le funzioni di giustizia delle
federazioni sportive e della Camera arbitrale C.O.N.I. nelle controversie che la l. 280/2003 affida al giudice amministrativo e di
M. ANTONIOLI, Sui rapporti fra giurisdizione amministrativa e ordinamento sportivo, che ha interpretato la soppressione
intervenuta in sede di conversione quale indice: «della volontà del legislatore di non considerare indifferenti per l’ordinamento
statale controversie, quali quelle inerenti all’affiliazione delle società alle federazioni e i provvedimenti di ammissione ai
campionati, trattandosi di provvedimenti di natura amministrativa in cui le Federazioni esercitano poteri di carattere pubblicistico
in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del CONI» (punto 2.2).
38
NOTE A SENTENZA
La corte costituzionale individua.…
ricorso al giudice statale è ammesso per ottenere l’eventuale risarcimento del danno ingiusto
lamentato, esso non è contro l’atto attraverso il quale è irrogata la sanzione.
L’argomentazione innesca importanti conseguenze di ordine sistematico.
Innanzitutto si può affermare che, di fronte al potere disciplinare delle federazioni sportive,
gli aderenti non sono titolari di meri interessi di fatto e che il giudice statale perciò può esercitare un
sindacato effettivo; poi va detto che, essendo gli atti disciplinari diretti a punire la violazione di
norme dell’ordinamento sportivo, non sono censurabili in via immediata e che, pertanto, una tutela
di tipo demolitorio non è ammissibile; infine, il giudice statale può intervenire con una tutela di tipo
risarcitorio, che risulta essere il luogo privilegiato ove la ‘rilevanza’ delle situazioni soggettive si
scarica.
L’intervento effettuato non è quindi un semplice aggiustamento di carattere tecnico,
incentrato sulla definizione astratta delle categorie, che non muta nulla, ma è di sostanza, perché ha
cercato di elaborare categorie adeguate all’assetto attuale dei rapporti dell’ordinamento statale con
quello sportivo che, si ripete, per una chiara scelta di politica legislativa risultano innestati sul
principio dell’autonomia.
Al di là delle distinzioni e sottodistinzioni fatte dalla dottrina – incapace di affrancamento
dai canoni del positivismo giuridico, sia pure mascherato dal perpetuarsi del tradizionale richiamo a
non ben identificati «principi fondamentali»55 – la Corte ha, implicitamente, ribadito ciò che aveva
affermato in una recente pronuncia, ossia che: « Non è [suo] compito […] procedere ad
aggiustamenti delle norme processuali per mere esigenze di coerenza sistematica e simmetria, in
ossequio ad un astratto principio di razionalità del sistema normativo, senza che si possano rilevare
lesione dei principi o regole contenuti nella Costituzione e di diritti costituzionalmente tutelati»56.
Detto altrimenti: il problema che si è posto la Corte non è tanto quello della giurisdizione né
quello della eventuale limitazione della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in
materia57, ma piuttosto quello del contenuto della tutela da offrire alle situazioni soggettive prive di
55
56
57
Si legga, in questo senso, l’analisi di A. BONOMI, Giustizia sportiva e giustizia statale. Qualche riflessione sulla legittimità
costituzionale della legge 17 ottobre 2003, n. 280, in Riv. dir. cost., 2004, p. 171 ss., in part. p. 193, nt. 75, il quale riteneva che di
fronte ai dubbi di costituzionalità della l. n. 280/2003, si sarebbe addirittura potuto pensare ad un «ricorso del singolo […]
esercitabile nelle ipotesi in cui non sia possibile giungere alla Corte attraverso la via giurisdizionale […] con cui far valere
davanti l’autorità giudiziaria competente le supposte violazioni di diritti fondamentali».
Corte cost., 12 giugno 2007, n. 182, in Corr. giur., 2007, p. 1014 ss.
Tale giurisdizione è stata oggi fedelmente ripresa e sostituita dal comma 13 dell’art. 3 dell’allegato 4 del d.lgs. n. 104/2010.
Infatti, all’art. 3, comma 1, le parole «è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo» sono state sostituite, ai
sensi della norma citata, dalle parole «è disciplinata dal codice del processo amministrativo. La Suprema Corte, con ordinanza 12
marzo 2009, n. 5973, in Foro it., 2009, I, c. 3046 ss., con annotazioni di A. Palmieri, ha affermato il principio secondo cui rientra
nella giurisdizione del giudice amministrativo la domanda con cui si chiede il risarcimento dei danni derivanti dagli atti federali
con cui una società calcistica non era stata ammessa ad un campionato di serie superiore, non esulando dal suo ambito le azioni
risarcitorie promosse da soggetti terzi rispetto ai destinatari degli atti da cui si ritiene scaturisca il pregiudizio (l’azione
39
NOTE A SENTENZA
La corte costituzionale individua.…
rilevanza costituzionale, eventualmente lese dai provvedimenti disciplinari sportivi, perché si tratta
veramente del profilo centrale per la rappresentazione dell’equilibrio costituzionale della l. n.
280/2003 in relazione alla questione sollevata.
La Corte, anche da questo punto di vista, afferma che, qualora la sanzione disciplinare
coinvolga «casi meno gravi» (in cui non siano coinvolti diritti fondamentali di libertà) la reazione
alla loro lesione non si traduce necessariamente nell’annullamento dell’atto ritenuto illegittimo.
La prospettiva aperta dalla Corte ha finito con l’avere molti punti di contatto e col presentare
ragioni profonde di innovazione nella riflessione sulla tutela risarcitoria alla luce del Codice del
processo amministrativo (in part. v. l’art. 30)58.
In quest’ottica, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza 23 marzo 2011 n. 3,
ha affermato la autonomia dell’azione risarcitoria rispetto a quella impugnatoria nel processo
amministrativo59.
Invocando la pronuncia in commento, il massimo consesso giurisdizionale amministrativo
osserva che: «la sentenza della Consulta ha posto a fondamento della statuizione di rigetto il rilievo
che la mancata praticabilità della tutela impugnatoria non toglie che le situazioni di diritto
soggettivo o di interesse legittimo siano ugualmente tutelabili innanzi al giudice amministrativo
[…] mediante la tutela risarcitoria» e rileva che, ad avviso dell’adunanza plenaria, «si supera così
l’impostazione tradizionale che vedeva l’annullamento quale sanzione indefettibile a fronte del
riscontro di un vizio di legittimità, dandosi vita ad un sistema delle tutele duttile, che consente un
accertamento non costitutivo dell’illegittimità, a fini risarcitori».
Per concludere, la figura della tutela risarcitoria per equivalente, quale emerge
nell’interpretazione della sentenza in commento, riceve una nuova caratterizzazione in termini
positivi non solo nel settore disciplinare sportivo, giacché è la più idonea a contenere ogni «forma
di intromissione non armonica rispetto all’affermato intendimento di tutelare l’ordinamento
58
59
giudiziaria era stata promossa dal curatore fallimentare della società sportiva che lamentava il danno). Con l’ordinanza del 21
ottobre 2009, n. 22231, in Foro it., I, 2010, c. 2838 ss., le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno escluso la sussistenza
della giurisdizione amministrativa, in relazione alla domanda proposta da una società sportiva, al fine di ottenere il risarcimento
dei danni subiti a causa della retrocessione ad una serie inferiore, determinata dal comportamento di un dipendente della Lega
società pallacanestro di serie A; pertanto, la giurisdizione è del giudice ordinario, rientrando la controversia su ‘comportamenti’
del dipendente, ma non su ‘atti’ della federazione.
Cfr., in proposito, i disincantati rilievi di M. CLARICH, Le azioni nel processo amministrativo tra reticenze del Codice e apertura a
nuove tutele, (online in www.giustizia-amministrativa.it, 11 novembre 2010) e di G.D. COMPORTI, Il codice del processo
amministrativo e la tutela risarcitoria: la lezione di un’occasione mancata, in Riv. dir. proc., 2011, p. 535 ss.
La sentenza è pubblicata in Federalismi.it, www.federalismi.it, 2011, n. 7, con nota di A.M. SANDULLI, Il risarcimento del danno
nei confronti delle pubbliche Amministrazioni: tra soluzione di vecchi problemi e nascita di nuove questioni (brevi note a
margine di Cons. Stato, ad plen. 23 marzo 2001 n. 3, in tema di autonomia dell’azione risarcitoria e di Cass. SS. UU., 23 marzo
2011 nn. 6594, 6595 e 6596, sulla giurisdizione ordinaria sulle azioni per il risarcimento del danno conseguente
all’annullamento di atti favorevoli).
40
NOTE A SENTENZA
La corte costituzionale individua.…
sportivo»60, ma più in generale nell’evoluzione del diritto amministrativo (come è testimoniato
dall’Adunanza plenaria citata).
Anzi, un argomento forte a favore della maggiore attenzione alla sola tutela risarcitoria
diventa proprio il richiamo che l’art. 30, comma 2, del c.p.a. fa all’art. 2058 del cod. civ.
(«risarcimento in forma specifica»), il quale nell’esegesi della Corte appare godere di minor favore
rispetto a quello risarcitorio, poiché esso è previsto come un’eventualità (art. 2058, comma 1) e il
giudice può negarne discrezionalmente l’applicazione ove esso sia eccessivamente oneroso per il
debitore (art. 2058, comma 2)61.
6. Osservazioni conclusive. La giustizia sportiva e l’art. 24 della Costituzione.
Il percorso genericamente tracciato consente di rendersi conto di quale posizione assuma la
sentenza in commento nella ricerca di un livello minimo accettabile della norma censurata rispetto
ai parametri della Costituzione62.
Vi è la decisa affermazione della necessità di valutare l’autonomia delle associazioni sportive
nell’ottica della normativa costituzionale, ed innanzitutto dell’art. 2 Cost., che è fondamentale
riferimento per tutto il settore.
Si è sottolineato che di fronte ad una norma che riserva alla giustizia associativa la tutela
delle questioni aventi ad oggetto controversie disciplinari, sarebbe ingiustificatamente riduttivo per
l’autonomia dell’ordinamento sportivo concludere per la rilevanza statale di tutte le posizioni
soggettive in essa coinvolti, ciò fa sì che la posizione degli aderenti non coincida perfettamente con
quella del titolare di un diritto soggettivo o di un interesse legittimo, cui far corrispondere un
obbligo di comportamento dell’organo disciplinare ed anche le forme di tutela stentano ad
inquadrarsi in quelle consuete.
60
61
62
Punto 4.5. del ‘considerato in diritto’.
La lettura compiuta dalla Corte trova esplicito avvallo nell’interpretazione dell’art. 2058 cod. civ. da parte della più autorevole
dottrina civilistica: cfr., ex multis, A. DI MAJO, La tutela civile dei diritti, IV ed., 2003, p. 261 ss., ivi importanti chiarificazioni
condotte anche con il raffronto con il codice tedesco.
Il giudice a quo ha sollevato la questione di legittimità costituzionale perché l’art. 2, comma 1, lett. b, della l.n. 280/2003,
presentava aspetti di contrasto con gli artt. 24, 103 e 113 Cost. Per la Corte, invero, la censura ha carattere unitario, poiché
l’evocazione degli art. 103 e 113 cost. non si traduce nella prospettazione di illegittimità costituzionali diverse da quelle
formulate in relazione all’art. 24 cost. e concernenti l’asserita generale preclusione ad adire il giudice statale una volta esauriti i
gradi della giustizia sportiva. Sul punto v. i rilievi di A. DE SILVESTRI, La Corte Costituzionale “azzoppa” il diritto d’azione dei
tesserati e delle affiliate, cit., p. 17, nt. 6.
41
NOTE A SENTENZA
La corte costituzionale individua.…
In questa particolare ottica va valutata la tutela per equivalente laddove qualificate situazioni
giuridiche soggettive siano state incise da provvedimenti adottati dagli organi disciplinari; essa in
realtà sembra appunto trovare la sua giustificazione nelle violazioni di beni della vita (parità
nell’esercizio dell’attività sportiva, permanenza nell’associazione) che trovano la loro protezione
negli schemi propri di quegli altri diritti.
Avviandoci alle conclusioni, si può senz’altro dire che la Consulta abbia preso atto che il
sistema di giustizia sportiva contemplato negli statuti federali, cui la stessa legge n. 280 rinvia (art.
3, comma 1), sia di un sistema di tutela dei diritti alternativo a quello giurisdizionale, ma senza che
ciò voglia significare che le situazioni estranee per l’ordinamento statale possano, a loro volta,
assumere rilevanza anche per quest’ultimo.
In altre parole, i dubbi di costituzionalità proposti dall'ordinanza del tribunale amministrativo
regionale di Roma (dissipati dalla sentenza in commento) non tengono in minimo conto che non è
sufficiente il sacrificio del diritto soggettivo o dell’interesse legittimo a giustificare la violazione
dell’art. 24 Cost. dal momento che la facoltà di restringere le due situazioni soggettive rientra tra i
poteri del legislatore. Da ciò deriva che suddetto diritto alla tutela giurisdizionale, al pari di tutti gli
altri diritti sanciti dalla carta costituzionale, non può considerarsi assoluto e svincolato da qualsiasi
limitazione - dovendosi coordinare con altre situazioni giuridiche soggettive o oggettive di rilevanza
costituzionale - e, nel caso di specie, con l'interesse dell’autonomia della formazione sociale
sportiva.
La Corte, nelle sue conclusioni, ribadisce, comunque, che l'art. 24 cost.l'art. 24 cost.
dovrebbe ritenersi violato solo quando il legislatore ordinario nel disciplinare la giustizia sportiva
avesse formalmente o sostanzialmente escluso la previsione di mezzi di tutela giurisdizionali e non
anche quando li abbia soltanto sottoposti a ragionevoli limitazioni63.
La questione è stata, quindi, dichiarata infondata, perché l’interpretazione restrittiva del
Consiglio di Stato con la sentenza n. 5782 del 2008 (puntualmente sviluppata dalla dottrina più
avvertita), è stata ritenuta conforme ai principi costituzionali sulla tutela giurisdizionale.
63
Sull’interpretazione dell’art. 24 Cost. cfr., in particolare, quanto si legge in N. Trocker, il quale giustamente osserva che la difesa
radicale delle formula perentoria contenuta nella disposizione in oggetto rischia di portare a ritenere necessaria la
«giurisdizionalizzazione» di qualunque contrasto di interessi. V. N. TROCKER, Il nuovo articolo 111 della costituzione e il “Giusto
processo” in materia civile: profili generali, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2001, p. 381, spec. p. 407. Non a caso, proprio
nell’ampliamento del raggio di azione della giurisdizione, viene da molti individuata la caratteristica distintiva del passaggio
dallo Stato liberale al Welfare State, per cui come rileva Nicola Picardi, il fenomeno della giurisdizionalizzazione «lungi dal
presentare carattere congiunturale, sembra porsi in una prospettiva di lunga durata, tanto da assumere la dignità di una fase
storica» (N. PICARDI, La giurisdizione all’alba del terzo millennio, Milano, 2007, p. 13).
42
NOTE A SENTENZA
La corte costituzionale individua.…
Nondimeno, saranno nulli o illegittimi, e potranno perciò impugnarsi con successo, i
regolamenti sportivi o i procedimenti di giustizia che violino diritti e libertà costituzionalmente
garantiti, quali la libertà associativa, la salvaguardia dei diritti processuali del sottoposto a
procedimento disciplinare64.
Il principio di autonomia, così conclude la Corte, richiede che si tengano in considerazione
gli interessi di coloro che aderiscono alla formazione sociale, ma va evitato che in nome di supposti
interessi ‘superiori’ l’autorità statale intervenga a scardinare gli equilibri che quest’ultima è riuscita
a trovare al proprio interno. La tutela giurisdizionale è però indeclinabile qualora siano davvero in
gioco diritti dell’uomo da qualificare «inviolabili» non per suggestioni di modelli astratti, bensì
soltanto in presenza di argomenti costituzionali rigorosi.
(*) Ricercatore in Istituzioni di diritto pubblico presso l’Università di Palermo .
64
Ad esempio, i regolamenti delle federazioni sportive, secondo una giurisprudenza ben consolidata, non possono derogare a
fondamentali principi di ordine pubblico nazionale ed internazionale (cfr., di recente, Trib. Lodi, 13 maggio 2010, ord., inedita).
43
NOTE A SENTENZA
La titolarità dell'obbligo di controllo…
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg. ri Magistrati:
Dott. MORELLI
Dott. FILADORO
Mario Rosario
- Presidente -
Camillo
- Consigliere -
Dott. SPAGNA MUSSO Bruno
- rel. Consigliere -
Dott. D'ALESSANDRO Paolo
- Consigliere -
Dott. SCARANO
- Consigliere -
Luigi Alessandro
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 15431/2009 proposto da:
ACSI ASSOCIAZIONE CENTRI SPORTIVI ITALIANI DIREZIONE NAZIONALE
(OMISSIS), in persona del suo Presidente in carica Dott. V.
A., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA ADRIANA 15,
presso lo studio dell'avvocato COCCIA Massimo, che la rappresenta e
difende unitamente all'avvocato CERQUETTI ROMANO giusta delega a
margine del ricorso;
- ricorrente contro
M.M.L. (OMISSIS), elettivamente domiciliato
in ROMA, VIA BEETHOVEN 52, presso lo studio dell'avvocato IMBRIOSCIA
RITA, rappresentato e difeso dall'avvocato BRIGNANO SILVIA LINA ZARA
giusta delega a margine del controricorso;
- controricorrente avverso la sentenza n. 372/2009 della CORTE D'APPELLO di TORINO,
Sezione Terza Civile, emessa il 28/01/2009, depositata il 11/03/2009;
R.G.N. 182/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
07/06/2011 dal Consigliere Dott. BRUNO SPAGNA MUSSO;
udito l'Avvocato CERQUETTI ROMANO;
44
NOTE A SENTENZA
La titolarità dell'obbligo di controllo…
udito l'Avvocato BRIGNANO SILVIA LINA ZARA;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
APICE Umberto, che ha concluso per rigetto del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 24.4.2002 M.M.L. evocava l'A.c.s.i. Associazione Centri
Sportivi Italiani Direzione Nazionale dinanzi al Tribunale di Alessandria, esponendo: che il
27.2.1995 suo marito Va.Gi. (all'epoca trentatreenne) aveva accusato un malore nel corso di una
partita di calcio nell'ambito di un torneo organizzato dall'Acsi ed era morto negli spogliatoi; che il
decesso era stato ascritto a ischemia miocardica in soggetto affetto da grave ipertrofia cardiaca e
aterosclerosi; che era emerso che il Va., come i compagni di squadra, era stato ammesso a
partecipare al torneo senza essere sottoposto a visita medica con accertamento elettrocardiografico
sotto sforzo; che A.R., responsabile dell'Acsi per le province di Asti e Alessandria, e S.S., presidente
della società sportiva "(OMISSIS)" (nella cui squadra giocava il Va.) erano stati condannati in sede
penale per omicidio colposo, nonchè al risarcimento del danno.
L'attrice sosteneva che l'Acsi era responsabile ex art. 2049 c.c., per quanto accaduto all' A.;
evidenziava che la colpa di quest'ultimo consisteva nell'aver redatto il regolamento del torneo senza
prevedere l'obbligo di visita medica; chiedeva la condanna dell'Associazione al risarcimento del
danno morale, biologico e patrimoniale derivante dalla perdita del contributo al mantenimento.
L'Acsi - Direzione nazionale si costituiva, contestando la propria legittimazione passiva, in
quanto l' A., presidente del Comitato provinciale, non era un suo subordinato, poichè il Comitato
provinciale era completamente autonomo e la Direzione nazionale non aveva su di esso alcun potere
di controllo.
Chiamata in causa la Milano Assicurazioni, con sentenza n. 9471/2006, il Tribunale di
Alessandria dichiarava inammissibile la domanda, con assorbimento della richiesta di manleva
verso la Milano Assicurazioni; affermavano, in particolare, i Giudici di primo grado che "dall'esame
delle pattuizioni dei due statuti dell'Acsi prodotti dalle parti (vale a dire la carta statutaria approvata
nel 1986 prodotta da parte attrice e quella prodotta dalla Direzione Nazionale dell'Acsi,
riproducente il testo dello statuto vigente all'epoca dell'incidente) risultava che i Comitati
Provinciali erano autonomi centri di imputazione di situazioni giuridiche, e quindi soggetti dotati di
autonoma legittimazione processuale e negoziale. Invero, il Tribunale alessandrino evidenziava che
45
NOTE A SENTENZA
La titolarità dell'obbligo di controllo…
già il testo dello statuto prodotto da parte attrice, non solo attribuiva espressamente ai Comitati
Provinciali una soggettività giuridica distinta da quella della Direzione Nazionale, ma conteneva
una serie di disposizioni che confermavano l'effettiva autonomia amministrativa, organizzativa e
patrimoniale delle articolazioni locali dell'Acsi.
La soggettività giuridica dei Comitati Provinciali era poi confermata, ad avviso del Giudice di
prime cure, anche dalle norme del previgente statuto dell'associazione convenuta, che stabilivano
non solo la piena autonomia amministrativa di tali comitati, ma attribuivano a siffatti organismi
anche proprie fonti di finanziamento e pertanto un patrimonio distinto da quello della Direzione
Nazionale".
A seguito dell'appello della M., costituitasi l'Acsi, la Corte d'Appello di Torino, con la
decisione in esame depositata in data 2.12.2008, in accoglimento del gravame dichiarava l'Acsi
legittimata passiva e per l'effetto obbligata al risarcimento, dei danni patrimoniali e non
patrimoniali, in favore dell'appellante per la complessiva somma di Euro 270.436,32, oltre gli
interessi legali;
affermavano in particolare i Giudici di secondo grado che l'Acsi era sovraordinata al Comitato
provinciale su cui esercitava una piena funzione di controllo ("l'autonomia patrimoniale e
finanziaria e l'indipendenza amministrativa riconosciute dall'art. 33 agli organismi locali vanno
quindi interpretate restrittivamente, in assenza di un patrimonio di riferimento su cui si proietti la
responsabilità patrimoniale, e quindi nell'ottica di una mera autonomia di gestione di risorse di cui
gli organi locali hanno la materiale disponibilità ma non la titolarità effettiva").
Ricorre per cassazione con tre motivi l'Acsi e relativi quesiti;
resiste con controricorso la M..
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione degli artt. 1362, 1363 e 1367 c.c., e
relativo difetto di motivazione in relazione alla ritenuta legittimazione passiva dell'odierna
ricorrente, anche con riferimento agli artt. 36 e 38 c.c.; si censura in particolare la non ritenuta
autonoma soggettività giuridica dei Comitati Provinciali con legittimazione processuale distinta da
quella dell'Associazione Nazionale, anche in relazione alla normativa civilistica sopra richiamata.
Con il secondo motivo si deduce violazione delle norme di cui al D.M. 28 febbraio 1983 e al
D.M. 12 febbraio 1982 in tema di tutela dell'attività sportiva anche con riferimento all'attività
sportiva in questione erroneamente ritenuta quale agonistica; si afferma in particolare che
46
NOTE A SENTENZA
La titolarità dell'obbligo di controllo…
censurabile è la decisione impugnata nel punto in cui ha ritenuto negligente la condotta del
responsabile del Comitato Provinciale di Asti in ordine all'omessa verifica del possesso da parte del
Va. del certificato medico, proprio in considerazione di detta natura agonistica del torneo calcistico
in questione.
Con il terzo motivo si deduce difetto di motivazione in ordine alla effettiva idoneità dei
controlli medici ad accertare la patologia cardiaca del Va. anche con riferimento alla violazione
dell'art. 2049 c.c..
Il ricorso non merita accoglimento in relazione a tutte le suesposte doglianze.
Quanto al primo motivo si osserva che, nel caso in esame, l'individuazione dell'autonoma o
meno legittimazione passiva del Comitato Provinciale di Asti, organizzatore dell'evento sportivo,
sulla base delle risultanze documentali di causa, tra cui gli statuti sia "nazionale" che "provinciale",
configura una quaestio facti non censurabile nella presente sede di legittimità e su cui la Corte di
merito ha fornito ampia e logica motivazione, affermando in particolare che "l'autonomia
patrimoniale e finanziaria e l'indipendenza amministrativa riconosciute dall'art. 33 agli organismi
locali vanno quindi interpretate restrittivamente, in assenza di un patrimonio di riferimento su cui si
proietti la responsabilità patrimoniale, e quindi nell'ottica di una mera autonomia di gestione di
risorse di cui agli organi locali hanno materiale disponibilità ma non la titolarità effettiva.
La Corte ritiene pertanto che l'ambiguità dello Statuto, essenzialmente ingenerata dal
contrasto fra l'art. 33 e il resto delle disposizioni (e in particolare le norme che disciplinano l'unicità
del patrimonio) debba essere risolta in senso favorevole ai terzi che vengano a contatto
giuridicamente rilevante con l'Associazione, che hanno diritto di pretendere trasparenza,
inequivocità e chiarezza nelle norme costitutive che conformano la soggettività giuridica, che non
hanno contribuito a creare e a cui sono estranei.
Se persiste ambiguità interpretativa, massime in materia di responsabilità aquiliana, essa va
risolta in senso protettivo del legittimo affidamento del terzo e in pregiudizio dell'Associazione che
non ha redatto norme chiare nel costruire la soggettività delle sue articolazioni territoriali".
Deve aggiungersi che la Corte di merito ha correttamente interpretato sia il principio che
"l'ordinamento interno e l'amministrazione delle associazioni non riconosciute" ex art. 36 c.c. "sono
regolati dagli accordi degli associati", in quanto è proprio sull'interpretazione di tali accordi statutari
che si incentra la decisione impugnata sul punto, sia il principio della tutela (patrimoniale) dei terzi,
ex art. 38 c.c., "per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l'associazione", dando
rilievo al relativo "affidamento" che gli stessi terzi facciano nei confronti di tali enti in ordine alla
47
NOTE A SENTENZA
La titolarità dell'obbligo di controllo…
individuazione dei soggetti responsabili, affidamento che non può essere ostacolato da norme
statutarie di non facile interpretazione.
Va ancora rilevato che, nella fattispecie in esame, non siamo in presenza di una figura
associativa unica per la quale risulti agevole ovviamente sostenerne l'autonoma soggettività, non
solo sulla base della normativa codicistica ma anche costituzionale (con particolare riferimento
all'art. 2 Cost.) come già affermato da questa Corte (in particolare con la sentenza n. 8239/2000),
ma si evidenzia una struttura associativa complessa costituita da una entità nazionale che ingloba in
sè varie diramazioni "locali", come del resto individuata dai giudici di secondo grado anche in base
alla denominazione di detta struttura quale A.C.S.I. - Associazione Centri Sportivi Italiani; in
definitiva, ai fini della responsabilità in questione, la soggettività giuridica è unica e, di
conseguenza, spetta a quest'ultima, quale ente sovraordinato, la legittimazione passiva nella
presente controversia.
Quanto al secondo e al terzo motivo la ratio decidendi impugnata con tali censure è
riconducibile alle seguenti affermazioni: "la responsabilità dell' A. discende specificamente dal fatto
di aver consentito il tesseramento dei giocatori in difetto del certificato di idoneità fisica, che di
fatto non veniva controllato, a quanto emerso dalla prassi secondo cui i certificati venivano
trattenuti dalle singole società sportive, mentre solo i responsabili più scrupolosi dei club ne
inviavano una fotocopia all'Acsi (come si evince dall'audizione come testi di alcuni presidenti di
squadre di calcio affiliate all'Acsi e partecipanti allo stesso campionato).........
La stessa norma, dopo aver definito il concetto di attività agonistica riconducendola allo
svolgimento di campionati e tornei organizzati dagli Enti di promozione per calciatori sopra i 14
anni, chiarisce che per la certificazione sono necessari visita medica, esame completo delle urine,
elettrocardiogramma a riposo e sotto sforzo, pirografia (come richiesto anche dal D.M. 18 febbraio
1982).
E quindi in buona sintesi, la responsabilità degli organi territoriali dell'Acsi scaturisce
dall'aver consentito la partecipazione al Campionato in questione di un giocatore, che era stato
tesserato su richiesta della società affiliata, omettendo di procedere alla preventiva visita medica e
agli esami connessi (che avrebbero sicuramente rivelato la patologia ostativa) e dall'essersi astenuti
dal pretendere per il tesseramento, come era previsto, la documentazione relativa (cfr.art. 27 lettera
e dello Statuto e art. 2 Regolamento nazionale Acsi)".
Tale ratio non è censurabile in quanto, a parte la corretta applicazione dell'art. 2049 c.c., ad
una associazione sportiva organizzatrice di un torneo di gioco (sul punto già Cass. n. 85/2003), per
48
NOTE A SENTENZA
La titolarità dell'obbligo di controllo…
cui gli enti sportivi sono tenuti a tutelare la salute degli atleti anche attraverso la prevenzione di
eventi pregiudizievoli la loro integrità psicofisica e ne rispondono, in base al disposto di detta
norma e dell'art. 32 Cost., in relazione all'operato dei propri medici e del personale, deve rilevarsi
che correttamente è stato ritenuto dalla Corte territoriale sia che l'attività in questione è da
qualificarsi come agonistica sia che l'omessa acquisizione di certificazione medica riguardante il
Va., ai fini della partecipazione al torneo, ha determinato il sorgere della responsabilità in questione
a carico dell'A.c.s.i..
Non può infatti non ritenersi agonistico un torneo sportivo fondato sulla gara e sulla
competizione tra i partecipanti, come il torneo di calcio in questione, tale da implicare un maggior
impegno psicofisico ai fini del "prevalere" di una squadra su un'altra.
Ne consegue che pienamente applicabile sono le norme di cui al D.M. 18 febbraio 1982 in
tema di "tutela sanitaria dell'attività sportiva agonistica" con particolare riferimento all'art. 1, ove è
previsto che "ai fini della tutela della salute coloro che praticano attività sportiva agonistica devono
sottoporsi previamente e periodicamente al controllo dell'idoneità specifica alla sport che intendono
svolgere o svolgono", e all'art. 3 che statuisce che "ai fini del riconoscimento dell'idoneità specifica
ai singoli sport i soggetti interessati devono sottoporsi agli accertamenti sanitari previsti, in rapporto
allo sport praticato, nelle tabelle A e B di cui all'allegato 1 del presente decreto, con la periodicità
indicata nelle stesse tabelle. Il medico visitatore ha facoltà di richiedere ulteriori esami specialistici
e strumentali su motivato sospetto clinico.
Gli sport non contemplati nelle sopraccitate tabelle sono assimilati, ai fini degli accertamenti
sanitari da compiersi, a quello che, tra i previsti, presenta maggiore affinità con il prescelto
dell'interessato".
Pertanto, il non aver l'A.c.s.i. predisposto un regolamento del torneo con la previsione
dell'obbligo di visita medica e il non aver detta associazione sottoposto a visita medica il Va. o
quantomeno chiesto idonea ed adeguata certificazione medica ai fini della partecipazione a detto
torneo, di natura agonistica, comporta il sorgere della responsabilità ex art. 2049 c.c. (poichè ove
tali adempimenti fossero stati eseguiti con elevata probabilità il Va. non avrebbe potuto partecipare
alla gara e non sarebbe deceduto), con consequenziale obbligo al risarcimento dei danni, così come
stabilito dalla Corte di merito.
49
NOTE A SENTENZA
La titolarità dell'obbligo di controllo…
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna l'A.c.s.i. al pagamento delle spese della presente fase
che liquida in complessivi Euro 7.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi), oltre spese generali ed
accessorie come per legge.
50
NOTE A SENTENZA
La titolarità dell'obbligo di controllo…
LA TITOLARITA’ DELL’OBBLIGO DI CONTROLLO
SULL’IDONEITA’ DI UN ATLETA IN BILICO TRA
L’ORGANIZZATORE DELL’EVENTO, L’ASSOCIAZIONE DI
APPARTENENZA SPORTIVA E LA FEDERAZIONE SPORTIVA
NAZIONALE O L’ENTE DI PROMOZIONE SPORTIVA
NOTA
CASSAZIONE CIVILE,
SEZ. III, 13 LUGLIO 2011 N. 153940
ALLA SENTENZA DELLA
di Alessio Piscini (*)
Sommario:
1. Il caso;
2. Una vexata quaestio: la qualificazione agonistica dell'attività sportiva; la natura
giuridica dei Comitati Provinciali;
3. La tutela della salute degli atleti: cornice normativa e prassi negli ordinamenti statali e
sportivi;
4. Una rivoluzione copernicana o una tautologia: irrilevanza del tesseramento e
obbligatorietà di controllo in capo all'organizzatore dell'evento o all'ente sportivo?
51
NOTE A SENTENZA
La titolarità dell'obbligo di controllo…
1. Il caso
Nel 1995 un trentatreenne, tesserato ad un Ente di Promozione Sportiva (d’ora in avanti,
anche EPS) riconosciuto dal CONI (nel caso, Associazione Centri Sportivi Italiana ACSI) in forza
di associazione affiliata, partecipa ad un torneo di calcetto organizzato direttamente dal Comitato
Provinciale del predetto ente.
Si tratta di un evento sportivo di natura agonistico-amatoriale. L’unico requisito di
partecipazione è il tesseramento dell'atleta all'Ente medesimo.
Durante una partita il giovane accusa un malore e muore per ischemia miocardica.
Dall’esame autoptico emerge come fosse già affetto da grave ipertrofia cardiaca e aterosclerosi.
Emerge, altresì, dalle conseguenti indagini come il deceduto e tutti i suoi compagni, non
fossero mai stati sottoposti a visita medico-sportiva né precedentemente al tesseramento né prima
dell'iscrizione al torneo.
Pertanto, il Presidente dell'associazione-squadra, quale soggetto statutariamente tenuto ad
organizzare e controllare gli adempimenti medico-sanitari connessi al tesseramento, e il
responsabile provinciale dell'Ente di Promozione, quale organizzatore dell'evento, vengono
condannati in sede penale per omicidio colposo.
Gli eredi del defunto citano indi in giudizio la Direzione Nazionale dell’ACSI, a titolo di
responsabilità vicaria ex art. 2049 c.c., per ottenere il risarcimento del danno causato dal
comportamento omissivo del Presidente del Comitato Provinciale, già condannato in sede penale.
L'Ente si costituisce in giudizio eccependo la carenza di legittimazione passiva. Difatti,
l’ACSI nazionale sostiene la piena autonomia del Comitato Provinciale, che si configurerebbe quale
centro di imputazione giuridica a se stante, capace di patrimonio proprio. Inoltre è invocata
l'assenza di qualsivoglia profilo di responsabilità in capo all'organizzatore dell'evento per
inapplicabilità della normativa in materia di sport agonistico al torneo organizzato dall'Ente di
promozione sportiva e per la presenza di regolare tesseramento.
Il Tribunale di Alessandria1, in prime cure, respinge la domanda, accogliendo l’eccezione di
carenza di legittimazione passiva e non entrando nel merito della questione.
1
Sentenza Tribunale di Alessandria n. 9471 del 2006.
52
NOTE A SENTENZA
La titolarità dell'obbligo di controllo…
La Corte di Appello di Torino 2 modifica integralmente la sentenza di prime cure, ritenendo la
Direzione Nazionale ente sovraordinato al Comitato Provinciale, sia per il conferimento di pieni
poteri di controllo sia per assenza di chiara separatezza patrimoniale.
La natura apicale dell’organo nazionale, e i poteri conferiti sui sottostanti organi locali,
determina l'unicità della sfera giuridica tra i due enti e, dunque, la possibile responsabilità dell'ente
ex art. 2049 c.c.; in punto di merito, rileva l’omissione del Comitato Provinciale nel controllo circa
l’idoneità degli atleti partecipanti alla gara e, dunque, condanna l’Ente al pagamento dei danni come
causati agli eredi del defunto.
La Suprema Corte, III sez. civile, investita della questione, con sentenza n. 15394, datata 7
giugno 2011 e depositata il 13 luglio successivo, conferma la legittimità della sentenza di appello,
sulla scorta delle seguenti considerazioni: rispetto alla questione della legittimazione passiva, gli
Enti di Promozione Sportiva, alla stregua delle Federazioni Sportive Nazionali, sono organizzati per
il tramite di una struttura articolata in cui il livello nazionale è organo di vertice, rappresentativo
dell'intero ente, il cui patrimonio di riferimento risulta unicamente connotato; riguardo la presenza
di responsabilità aquiliana e vicaria, questa discende dall'obbligo statutario degli Enti di tutela della
salute degli atleti anche attraverso la prevenzione di eventi pregiudizievoli; detta tutela, in caso di
evento agonistico, si sostanzia attraverso la prevenzione degli eventi pregiudizievoli, per il tramite
della presenza di certificazione medico-agonistica.
L'omesso controllo, in capo all'Ente-organizzatore dell'evento, ha, pertanto, determinato il
verificarsi dell'evento dannoso.
La sentenza commentata presenta notevoli profili di interesse per l'operatore del diritto
sportivo, ed è inoltre esempio fulgido dello stridore con cui norma statale e norma sportiva possono
configgere in sede applicativa, rendendo superflui gli accorgimenti dell'ordinamento di settore per il
riparto delle responsabilità.
In particolare, si tenterà di esporre i dubbi circa l’esatta posizione di tutela per cui l’Ente è
stato chiamato a risarcire dei danni patiti, ovverosia se a seguito degli impegni assunti all’atto di
tesseramento, ovvero quale organizzatore dell’evento in cui è occorso il sinistro.
2
Sentenza Corte di Appello di Torino 2 dicembre 2008.
53
NOTE A SENTENZA
La titolarità dell'obbligo di controllo…
2. Una vexata quaestio: la qualificazione agonistica dell'attività sportiva; la natura giuridica
dei Comitati Provinciali;
Prima ancora di affrontare il nucleo centrale della vicenda, alcune riflessioni siano consentite
sulle interessanti questioni preliminari poste dalla difesa dell'Ente di Promozione, riguardanti una
pretesa autonomia giuridica delle strutture locali delle istituzioni sportive e la mancata
qualificazione agonistica dell'attività degli Enti medesimi.
Anche in questo caso, la normativa statale si sostituisce e scavalca quella sportiva, con buona
pace dell’ordinamento di settore3, con buona pace del principio di autonomia di cui all’art. 1, Legge
17 ottobre 2003 n. 280.
L’Ente di Promozione Sportiva è stato istituito, quale figura giuridica, con l’art. 6 della
Legge 16 febbraio 1942, istitutiva del CONI, con la denominazione di “ente di propaganda
sportiva”, che potevano e svolgere attività di propaganda e diffusione dello sport sull’intero
territorio nazionale.
Tuttavia, soltanto con delibera n. 27 del 24 giugno 1976 il Consiglio Nazionale del CONI,
sulla base del D.P.R. 530/1074, riconobbe dieci anti di promozione sportiva, quali “organizzazioni
sportive che svolgono attività di diffusione e di promozione”.
Attualmente, la legge il D.Lgs. 23 luglio 1999 n. 2424 prevede che il Consiglio Nazionale del
CONI, di cui fanno parte rappresentanti degli enti (ex art. 4, D.Lgs. 242/1999 come modificato dal
D.Lgs. 8 gennaio 2004, n. 15) sia competente a riconoscere a fini sportivi gli enti di promozione
sportiva 5 e ad esercitare il controllo sui medesimi, oltre ad istituire un Comitato nazionale sport per
tutti, di cui fanno parte gli enti di promozione sportiva, finalizzato al conseguimento della
“massima diffusione della pratica sportiva”.
All’Ente di Promozione è rivolto quindi uno specifico articolo (il 16bis, introdotto con il
D.Lgs. 8 gennaio 2004, n. 15), secondo cui questi sono tenuti ad inviare i bilanci al CONI per i
controlli circa l’assegnazione dei contributi6.
Come si vede, il rapporto tra CONI ed EPS, anche se non organico, è comunque intimamente
connesso, talché si possono validamente considerare gli Enti quali soggetti dell’ordinamento
settoriale sportivo e soggetti al potere dell’organo apicale dell’ordinamento, CONI.
3
4
5
6
Ormai peraltro avvezzo a detti sconfinamenti dovuti alla tutela di diritti non derogabili dall’ordinamento derivato: cfr. T.A.R.
Lazio – Roma, sentenza n. 33427 del 4 novembre 2010 in punto di clausola compromissoria.
“Riordino del Comitato Olimpico Nazionale italiano”, d’ora in avanti D.Lgs. 242/1999.
Art. 5, comma 2, lett. c) medesimo testo normativo.
Norma peraltro ritenuta legittima al vaglio del Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza n. 5764 del 25 settembre 2009.
54
NOTE A SENTENZA
La titolarità dell'obbligo di controllo…
Tuttavia, resta un’ambiguità di fondo circa la possibilità dell’EPS di svolgere attività
sportiva agonistica, teoricamente riservata alle Federazioni Sportive Nazionali (d’ora in avanti,
anche FSN), unica emanazione delle istituzioni internazionali.
Gli statuti degli Enti mantengono frequentemente detta ambiguità7, da un lato avendo quale
oggetto associativo la promozione dello sport ricreativo e formativo, con esclusione dell’aspetto
prettamente competitivo; dall’altro organizzando Leghe rivolte all’organizzazione di manifestazioni
sportive (frequentemente popolate) di varie discipline rientranti nell’ambito delle varie FSN8.
La distinzione tra le varie attività è stata recentemente oggetto di testo normativo (Decreto
Presidenza del Consiglio dei Ministri 2 novembre 2010 in materia di assicurazione obbligatoria per
sportivi dilettanti), laddove è chiarito come per “atleti si intendono tutti i soggetti tesserati che
svolgono attività sportiva a titolo agonistico, non agonistico, amatoriale o ludico”. La confusione
è alimentata anche dalle FSN che, nella grande maggioranza, prevedono uno specifico settore
“amatori”.
In tal senso, i Decreti del Ministero della Sanità 18 febbraio 1992 e 28 febbraio 1983
specificano sin dalla denominazione la loro applicabilità, rispettivamente, allo sport agonistico
(D.M. 18 febbraio 1992) e a quello non agonistico (28 febbraio 1983). Il D.M. 28 febbraio 1983
qualifica il non agonista: “coloro che svolgono attività organizzate dal CONI, da società sportive
affiliate alle federazioni sportive nazionali o agli enti di promozione sportiva riconosciuto dal
CONI e che non siano considerati agonisti ai sensi del decreto ministeriale 18 febbraio 1982”9.
Il D.M. 18 febbraio 1982 prevede, altresì, che “la qualificazione agonistica a chi svolge
attività sportiva è demandata alle federazioni sportive nazionali o agli enti di promozione
sportiva”10.
Pertanto, i due richiami, a ritroso, lasciano totale libertà all’ordinamento sportivo di
definizione del carattere agonistico o meno della pratica sportiva il ché, linguisticamente, pare un
controsenso visto che la nozione di sport è connessa ad un gesto tecnico il cui confronto con altri
risulta, necessariamente, “agonismo” 11).
7
8
9
10
11
Ad esempio, l’art. 1 dello Statuto ACSI, proprio l’EPS coinvolto nella vicenda: “l’ACSI è una associazione nazionale di
promozione sociale con finalità culturali, sportive, educative, ricreative, assistenziali, e di volontariato…A tal fine l’ACSI si
propone di: a) promuovere e l’organizzare attività fisico-sportive, ancorché esercitate con modalità competitive e con finalità
ricreative e formative”.
Sono 29 le Leghe, i Coordinamenti e le Aree dell’UISP, come indicato in www.uisp.it, ottobre 2011.
Art. 1, comma1, lett. b), Decreto Ministero della Sanità 28 febbraio 1993
Art. 1, comma 1, Decreto Ministero della Sanità 18 febbraio 1982
Definito come “impegno degli atleti durante una gara”, Dizionario Sandron della Lingua Italiana, AAVV, Sandron, 1976, voce
sport.
55
NOTE A SENTENZA
La titolarità dell'obbligo di controllo…
Ad ogni buon conto, il problema pare divenire ozioso, anche alla luce del recente intervento
giurisprudenziale (peraltro non isolato), secondo cui “non può infatti non ritenersi agonistico un
torneo sportivo fondato sulla gara e sulla competizione tra i partecipanti, come il torneo di calcio
in questione, tale da implicare un maggior impegno psicofisico ai fini del prevalere di una squadra
sull’altra”.
Finalmente è chiaro come le etichette poste da FSN ed ESP in materia di pratiche ludicomotorie; sport amatoria o non agonistico non abbiano senso alcuno laddove vi sia comunque una
“gara” in cui ci si impegna per esercitare il miglior gesto tecnico (e ci si allena a tal fine).
Questo è agonismo, con tutte le conseguenze (giuridiche) che ne conseguono.
Incidenter tantum, la pronuncia stabilisce anche la legittimazione passiva dell’Ente di
Promozione Sportiva pure se ad agire sia stato un Comitato Provinciale del medesimo.
Gli EPS, così come le FSN e tutte le istituzioni sportive, sono articolati in organi centrali e
periferici (così anche l’Ente coinvolto nella vicenda).
Le articolazioni periferiche sono solitamente dotate di autonomia gestionale e organizzativa,
ma non patrimoniale; per l’effetto, correttamente la Corte Suprema di Cassazione ha confermato la
sentenza di secondo grado, ritenendo legittimato passivo l’Ente, nel suo livello nazionale, posto che
“l’autonomia patrimoniale e finanziaria e l’indipendenza amministrativa riconosciute dall’art. 33
(dello Statuto dell’Ente, ndr) agli organismi locali vanno quindi interpretate restrittivamente in
assenza di un patrimonio di riferimento su cui si proietti la responsabilità patrimoniale” e ciò anche
alla luce della tutela del legittimo affidamento del terzo in caso di mancata trasparenza, equivocità e
chiarezza delle norme costitutive.
Alle medesime conclusioni è giunto il T.A.R. Toscana Firenze 12, in materia di impiantistica
sportiva, con la quale è stato stabilito come la notifica al Comune valga anche se l’atto di
assegnazione impianto sia stato effettuato all’Istituzione preposta ex art. 114, Decreto legislativo n.
114 del 18 agosto 2000 n. 267 alla cura dei servizi sportivi, qualificato come organismo dell’Ente
dotato di autonomia gestionale, e, dunque “parte dell’apparato”.
In tal senso, ogni dubbio viene fugato circa il potere di rappresentanza processuale di un ente
articolato sul territorio nazionale e, sia detto incidentalmente, sulla responsabilità personale che
exart. 38 c.c. incombe per i danni derivanti dalle omissioni dell’associazione.
12
Sentenza n. 1405 del 13 luglio 2011.
56
NOTE A SENTENZA
La titolarità dell'obbligo di controllo…
3. La tutela della salute degli atleti: cornice normativa e prassi negli ordinamenti statali e
sportivi;
La tutela della salute è un bene giuridico primariamente tutelato dall’ordinamento di
settore13. Detta finalità è riportata, salve eccezioni, negli statuti delle FSN e degli ESP ed è tutelata
specificamente dall’ordinamento statale per il tramite della Legge 14 dicembre 2000 n. 376, recante
l’eloquente titolo: “disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il
doping”.
Un simile titolo, peraltro, pone aspettative deluse e condiziona il giudizio sulla legge quale
occasione perduta. La legge, infatti, riguarda esclusivamente la lotta contro il doping e si limita, in
punto di tutela sanitaria, ad una petizione di principio nell’art. 1 14.
Resta il fatto che la tutela della salute degli atleti risulta intimamente connotante le finalità
dell’ordinamento di settore e, contestualmente, determina una intersezione con il sovraordinato
ordinamento statuale, per il quale esiste un costituzionalmente tutelato diritto alla salute e alla tutela
sanitaria in capo ad ogni cittadino15. La competenza in merito alla tutela sanitaria delle attività
sportive è quindi conferita espressamente agli enti locali Regioni16.
Contestualmente alla attribuzione delle competenze, la Legge 26 ottobre 1971 ha stabilito
che “la tutela sanitaria si esplica mediante l’accertamento obbligatorio, con visite mediche di
selezione e controllo periodico, dell’idoneità generica e della attitudine di chi intende svolgere o
svolge attività agonistico-sportive”, demandando ogni specifica regolamentazione al competente
Ministero.
Attualmente vigono le normative stabilite dal Decreto Ministeriale 18 febbraio 1982 per
l’attività agonistica, e il Decreto Ministeriale 28 febbraio 1983 per l’attività non agonistica, già
citati.
In detti decreti si prevede l’obbligazione di visita medica, con periodicità annuale, per tutti i
soggetti svolgenti la pratica sportiva, agonistica o non agonistica.
13
14
15
16
Tanto che lo Statuto del CONI, all’art. 1, comma 2, così recita: “il CONI detta i principi fondamentali per la disciplina delle
attività sportive e per la tutela della salute degli atleti, anche al fine di garantire il regolare e corretto svolgimento delle gare,
delle competizioni e dei campionati”.
Art. 1, comma 1, Legge 14 dicembre 2000 n. 376: “l’attività sportiva è diretta alla promozione della salute individuale e
collettiva e deve essere informata al rispetto dei valore educativi richiamati dalla Convenzione contro il doping….ad essa si
applicano i controlli previsti dalle vigenti normative in tema di tutela della salute e della regolarità delle gare”, art. 1, comma 1.
Così l’art. 32 della Costituzione della Repubblica Italiana.
Legge 26 ottobre 1971 n. 1099 e art. 1, D.P.R. 14 gennaio 1972 n. 4.
57
NOTE A SENTENZA
La titolarità dell'obbligo di controllo…
Nel caso della agonistica, vengono indicati espressamente gli esami cui gli atleti, in rapporto
allo sport praticato, devono sostenere17; il certificato, emesso soltanto da strutture accreditate dalla
Regione, “deve esser conservato presso la società di appartenenza”18 (art. 4).
Differentemente, nel caso di attività non agonistica, è sufficiente visita medica intesa ad
accertare lo stato di buona salute, rilasciata da medici di medicina generale, senza alcun obbligo di
esami particolari.
Nella prassi, le Federazioni o gli Enti sono associazioni non riconosciute19 costituite
dall’insieme di altre associazioni sportive affiliate per il tramite di un contratto associativo aperto
(recte, “per adesione”). Le associazioni sportive affiliate (e facenti parte le istituzioni) tesserano i
propri atleti per la FSN o l’EPS, dando vita ad un rapporto giuridico “trilaterale” in cui i due
rapporti associativi tra affiliata e istituzione e tra tesserato e affiliata sono intersecanti20.
La Federazione o l’Ente difficilmente esegue controlli sullo stato medico dei tesserati,
demandando il compito alle società affilianti (e ai cui Presidenti ex art. 38 del codice civile), che
debbono ricevere e conservare la documentazione medica prevista dai Decreti Ministeriali sopra
indicati prima del tesseramento21.
Nelle Federazioni Sportive viene solitamente richiesto, a carico della società, il tesseramento
di un medico sociale, specialista in medicina sportiva, che si assuma l’obbligo di controllare il
corretto adempimento alle obbligazioni di legge 22.
Alla medesima stregua, è istituito per ogni singolo affiliato l’obbligo di assistenza sanitaria
dell’atleta23 e, infine, è solitamente richiesto all’atto di tesseramento che l’affiliato dichiari sotto la
propria responsabilità che l’atleta tesserando abbia ottenuto certificazione medica di idoneità alla
pratica sportiva come svolta e garantisca il mantenimento del requisito per la durata (anch’essa
annuale) del tesseramento24.
17
18
19
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21
22
23
24
Negli allegati A e B sono previste specificamente le tipologie di esame da sostenere tra cui elettrocardiogramma a riposo e dopo
step/test, per tutti gli sport.
Art. 4, Decreto 18 febbraio 1982 del Ministero della Sanità.
Si ribadisce, soggette all’applicazione degli artt. 36 e ss. del codice civile.
M. Coccia, A. De Silvestri, O. Forlenza, L. Fumagalli, L. Musumarra, L. Selli, Diritto dello Sport, Le Monnier, 2003, pg. 92; A.
Piscini, Il tesseramento di un atleta: natura giuridica dell’atto e dei vincoli conseguenti, FIGC, 2003, ppgg. 48 ss.
Incombenti che, sia detto incidentalmente, risultano frequentemente condizione necessaria per le coperture assicurative a
beneficio dell’attività sportiva effettuata all’interno dell’ordinamento federale, da sempre presenti e recentemente previsto dal
Decreto Presidenza del Consiglio dei Ministri 2 novembre 2010.
Così, ad esempio nella Federazione Italiana di Atletica Leggera FIDAL, in Regolamento Sanitario FIDAL, art. 5 da
www.fidal.itwww.fidal.it , ottobre 2011.
Sempre a titolo esemplificativo, art. 7, comma 4, lett. b) Regolamento Organico FIDAL sempre da www.fidal.itwww.fidal.it ,
ottobre 2011.
Così, art. 11, comma 2, Regolamento Organico FIDAL da www.fidal.itwww.fidal.it , ottobre 2011.
58
NOTE A SENTENZA
La titolarità dell'obbligo di controllo…
Nel caso di specie, l’atleta colpito da malore letale risultava regolarmente tesserato per
l’ACSI; all’atto di tesseramento, tuttavia, non era mai stata inviata copia del certificato medico, pur
essendo obbligo espressamente previsto dalla normativa endo-associativa25, come prassi diffusa.
Infatti, successivamente all’evento, era emerso come detta visita non fosse mai stata eseguita.
Il Comitato Provinciale ACSI risultava inoltre diretto organizzatore dell’evento nel quale si
era verificata la morte dell’atleta.
Su tale cornice si è inserita la pronuncia giurisprudenziale, in modo, sia consentito un
termine calcistico, scomposto.
4. Una rivoluzione copernicana o una tautologia: irrilevanza del tesseramento e
obbligatorietà di controllo in capo all'organizzatore dell'evento o all'ente sportivo?
La sentenza commentata, purtroppo, è fortemente ambigua.
Difatti, il Presidente del Comitato Provinciale ACSI è chiamato in causa exart. 2043 c.c. per
aver cagionato un danno ingiusto derivante da propria condotta omissiva.
Nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha ritenuto corretto l’iterlogico-giuridico della
Corte di Appello di Torino la quale dapprima ha rilevato come l’ACSI ha consentito la
partecipazione ad un torneo ad atleta tesserato senza pretendere per il tesseramento la
documentazione relativa; quindi, ha fatto discendere la responsabilità ex art. 2043 c.c. dalla natura
dell’ACSI di “associazione sportiva organizzatrice di un torneo di gioco” e dall’omissione di
controllo circa la certificazione medica “ai fini della partecipazione al torneo”.
La massima chiaramente enucleabile dalla pronuncia della Suprema Corte è tranchant: “il
non aver l’ACSI predisposto un regolamento del torneo con la previsione dell’obbligo di visita
medica e il non aver detta associazione sottoposto a visita medica l’atleta o quantomeno chiesto
idonea ed adeguata certificazione medica ai fini della partecipazione a detto torneo, di natura
agonistica, comporta il sorgere della responsabilità ex art. 2049 c.c.”.
Applicata alla lettera, detto principio determinerebbe un immediato e non derogabile obbligo
giuridico26 in capo all’organizzatore di eventi di verificare l’idoneità medico-sportiva degli atleti a
prescindere dal loro status di tesseramento.
25
26
Obbligo previsto dall’art. 27, comma 4, lett. c) Statuto ACSI e art. 2 Regolamento Nazionale ACSI.
Derivante da un espressa e generale valutazione dei canoni di diligenza nell’attività di organizzazione eventi.
59
NOTE A SENTENZA
La titolarità dell'obbligo di controllo…
Il ché sarebbe evidentemente una rivoluzione copernicana in relazione alla tradizionale
impostazione relativa agli obblighi nell’organizzazione di eventi.
Per tradizionale dottrina e giurisprudenza, l’organizzatore degli eventi deve Principalmente
un organizzatore di manifestazioni sportive deve:
a) controllare l’idoneità e la sicurezza dei luoghi e degli impianti dove si svolge la
manifestazione sportiva, nonché la regolarità amministrativa della gara (in questo caso, garantendo,
in via civilistica, sia l’incolumità dei terzi sia il loro affidamento – quale sponsor o scommettitori,
ad esempio – circa la correttezza formale della competizione);
b) controllare l’adeguatezza, la pericolosità e la conformità ai principi della sicurezza dei
mezzi tecnici utilizzati dagli atleti, nonché curarsi della sicurezza di ogni altro partecipante, quali
direttori di gara, arbitri, volontari e quant’altro (garantendo così l’incolumità dei partecipanti alla
gara ed anche dei terzi)
c) controllare che l’atleta sia in condizioni psico-fisiche idonee per affrontare la gara
(garantendo così la salute degli atleti)27.
L’ultima obbligazione è ottemperata, secondo i regolamenti del settore, mediante il semplice
controllo del requisito/status di tesserato in capo al soggetto che partecipa all’evento e, non, certo,
mediante previa visita medica oppure controllo della sussistenza, formale e sostanziale, della
certificazione che attesta l’idoneità28.
La giurisprudenza, in materia di organizzazione d’eventi, ha già sviluppato una copiosa e
costante interpretazione estensiva delle obbligazioni di cui al punto a) e b) della sopra esposta
tripartizione, per cui la diligenza, la perizia e la prudenza nell’attività esercitata devono esser
valutate in concreto, sulla base sulla base del sinistro come verificatosi e delle comuni regole di
esperienza, mentre non è sufficiente il mero rispetto delle prescrizioni regolamentari sportive (con
validità endo-ordinamentale)29.
In materia di responsabilità dell’organizzatore di evento sportivo, la conclusione pressoché
unanime è che non vi possa essere laddove sia richiesta la prova dell’esistenza della certificazione
27
28
29
Così B. Di Monte,W. Mandolini, F. Piccolini, Il vademecum dell’organizzatore sportivo, La Nuova Italia Scientifica, Roma,
1980; la tripartizione degli ambiti di responsabilità, tuttavia, è usuale in ogni manabile o trattato sull’argomento.
Posto che, si ribadisce, detta certificazione è necessaria per il tesseramento ed è conservata e garantita dall’associazione per cui
l’atleta si tessera.
Tra le più celebri pronunce, Tribunale Busto Arsizio, 22 febbraio 1982, in Rivista Diritto Sportivo, 1982, 570; per un’esposizione
sistematica, M. Bona, A. Castelnuovo e P.G. Monateri, La responsabilità civile nello sport, IPSOA, 2002, ppgg. 61 e ss.; A.
Piscini e S. Galligani, Riflessioni per un quadro generale della responsabilità civile nell’organizzazione di un evento sportivo in
RDES, vol. III/2007, ppgg. 113 e ss.)
60
NOTE A SENTENZA
La titolarità dell'obbligo di controllo…
sportiva che, nella maggior parte dei casi, è implicita con lo status di tesserato, salvo il caso che sia
previsto un obbligo specifico a suo carico (ad esempio, in caso di competizioni che richiedono ai
partecipanti sforzi fisici particolarmente elevati).
In tal senso, la responsabilità dell’organizzatore di un evento sportivo, con riferimento alla
violazione degli obblighi di tutela della salute degli atleti, è stata riconosciuta in casi differenti dalla
mancanza totale di certificazione, ad esempio se il sinistro, avvenuto in allenamento tra agonisti, sia
dovuto ad un eccessivo squilibrio di capacità ed esperienza tra i partecipanti30.
A fortiori, costantemente è ritenuta, ex art. 2049 c.c., la responsabilità della Federazione per
cui l’atleta è tesserato nel caso di errore professionale del medico specialista – indicato nelle liste
della medesima Federazione31.
Nel caso che ci occupa la Suprema Corte pare invocare un ulteriore obbligo, in capo ad ogni
organizzatore di evento sportivo agonistico (cioè, qualsiasi evento, ivi compreso un allenamento, in
cui vi sia gara tra i partecipanti o sia comunque rivolto ad una gara), espressamente consistente
nella verifica formale e sostanziale dell’idoneità medico-sanitaria del partecipante alla gara.
Il ché, ci si consenta, sarebbe una vera e propria rivoluzione, pensando ad esempio a
competizioni ciclistiche o podistiche di natura amatoriale, che coinvolgono anche più di 10.000
persone e avrebbe due dirette conseguenze: un adeguamento rapido nelle modalità di iscrizione
delle gare e la consapevolezza della superfluità della normativa federale in punto di tesseramento,
nella parte relativa agli obblighi di garanzia in capo alla società affiliante.
Il tenore della massima sopra esposta, comunque, può esser stemperato ad una
interpretazione complessiva del testo e della vicenda: difatti, nel caso di specie si è ritenuta la
presenza, per espressa previsione regolamentare, di un obbligo di verifica della sussistenza della
certificazione medica, in capo all’Ente di Promozione Sportiva, che nel caso era sia istituzione
tesserante sia organizzatore dell’evento.
L’inottemperanza a tale obbligo farebbe derivare ab origine una responsabilità poi
trasferitasi successivamente, anche in sede di partecipazione al torneo.
Non è pertanto dato comprendersi se, in caso di norma che chiaramente specifichi l’obbligo
della società tesserante di garantire la presenza di certificazione medica, la responsabilità
dell’organizzatore dell’evento sarebbe stata riconosciuta.
30
31
Tribunale Genova, 4 maggio 2000, in F.I., vol. I/2001, pg. 1402.
Tribunale Vigevano, sez. pen. 9 gennaio 2006, n. 426, con commento di M. Grassani, La responsabilità risarcitoria delle
Federazioni Sportive in caso di incidente o infortunio dell’atleta, RDES, vol. I/2006, ppgg. 1 e ss.
61
NOTE A SENTENZA
La titolarità dell'obbligo di controllo…
Con maggior certezza possiamo invece ritenere come l’interpretazione sempre più estensiva
dell’obbligo della tutela sanitaria degli atleti non consenta a FSN ed EPS, per cui detta tutela è
obbligo statutario, quantomeno discendente dall’appartenenza all’ordinamento sportivo CONI, la
semplice delega alle società riguardo il controllo sanitario ai fini di un corretto adempimento delle
proprie obbligazioni contrattuali (discendenti dai rapporti di tesseramento/affiliazione) ed
extracontrattuali (ex artt. 2043 c.c.).
(*) Avvocato del Foro di Firenze; Docente Master in Diritto ed Economia dello Sport presso
la facoltà di Economia e Commercio, Università di Firenze
62
NOTE A SENTENZA
LE CONDOTTE DELL’ART. 2.8 DEL CODICE WADA E LA
VALUTAZIONE DELL’ELEMENTO SOGGETTIVO: IGNORANTIA
LEGIS EXCUSAT?
(NOTA A LODO TAS 2010/A/2184 LAZZARO E LODO TAS 2010/A/ 2194
L.G. NON PUBBLICATI)
di Mario Vigna (*)
L’articolo 2 del Codice WADA – nella sua rubricazione dal 2.1 al 2.8 – elenca e delinea le
violazioni sostanziali della normativa antidoping riconosciute da tutti i firmatari del Codice stesso.
Spesso gli articoli sono corredati da “commentary” esplicativi ed esemplificativi che, pur non
essendo
parte
sostanziale
della
previsione,
forniscono
utili
parametri
da
utilizzarsi
nell’interpretazione delle norme1, in quanto derivati principalmente dalla giurisprudenza. Molto
probabilmente, per l’assoluta scarsità di precedenti giurisprudenziali, l’art. 2.8 del Codice WADA è
privo di commenti che ne possano meglio delinearne i contorni e le fattispecie.
Il lodi in esame, riguardanti l’inibizione per cinque anni al Dott. Enrico Lazzaro per aver
praticato un metodo proibito ad atleti e l’assoluzione del Sig. L.G., padre di una minore cui il Dott.
Lazzaro aveva praticato un metodo proibito ai sensi della categoria M2 n. 2 della Prohibited List
WADA, colmano parzialmente questa lacuna, fornendo degli importanti chiarimenti in merito al
concetto di somministrazione e di tutte quelle condotte riconducibili alla più generale nozione di
“complicità” nella violazione di una norma antidoping.
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Sommario:
1. I casi di specie.
2. L’Art. 2.8 del Codice WADA e le condotte “complici”.
3. L’onere della prova sull’elemento soggettivo e la gradazione della sanzione.
4. Conclusioni.
1. I casi di specie
Nel corso di un’indagine penale del 2009 condotta dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale
di Padova per reati di doping, emergevano una serie di intercettazioni audio/video che dimostravano come il
Dott. Enrico Lazzaro somministrasse a vari atleti la pratica dell’ozono-terapia mediante auto-emotrasfusione.
Tra questi anche un soggetto minore, recato alle “cure” del Dott. Lazzaro dal padre Sig. L.G., conoscente del
medico.
A seguito delle evidenze dell’inchiesta penale, l’UPA-CONI provvedeva a deferire il medico e il
genitore per violazione dell’2.8 del Codice WADA, richiedendo la misura dell’inibizione a vita non essendo i
suddetti soggetti tesserati per l’ordinamento sportivo italiano.
In primo grado sia medico che il genitore venivano riconosciuti colpevoli dal Tribunale Nazionale
Antidoping del CONI (“TNA”); il primo per somministrazione di metodi proibiti ai sensi delle categorie M1
n. 1 e M2 n. 2 della Prohibited List della WADA, la quale proibisce il doping ematico, il secondo quale
soggetto “ausiliario” ed “istigatore” della figlia minore nella commissione della violazione. Il medico veniva
inibito a vita e il padre per 20 anni.
Il TAS, chiamato a pronunciarsi su appello sia del medico che del genitore, ha parzialmente accolto
la domanda del Dott. Lazzaro e ha mitigato la portata sanzionatoria della decisione del CONI, riducendo a
cinque anni il periodo di inibizione.
Nel caso del genitore, la sentenza del TAS ha accolto l’appello e ha prosciolto il genitore
dall’addebito ascritto.
Nell’analisi giuridica svolta in entrambi i lodi, pressoché similari stante la comune vicenda e la
comunanza dell’Arbitro Unico nominato dal TAS, viene sancito come la grande-autoemo rientri
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specificatamente nella categoria M2 n. 2 della Prohibited List della WADA, dovendosi essa ritenere una
“intravenous infusion” volta alla emodiluizione e, comunque, metodo non rientrante nelle tassative ipotesi di
ammissione del trattamento specificate nell’articolo stesso.
Per quanto attiene alla categoria M1 n. 1 della Prohibited List, il TAS ha peraltro chiarito come l’uso
di sangue vietato ai sensi di detta previsione debba intendersi esclusivamente quello finalizzato allo scopo
dell’incremento del trasporto di ossigeno e non a un generale divieto di uso del sangue. Nei casi esaminati,
essendo controverso tra gli esperti se l’ozonoterapia abbia o meno un effetto migliorativo sul trasporto di
ossigeno, l’Arbitro Unico non ha quindi ritenuto ricondurre la violazione alla categoria M1.
A fronte dell’individuazione della pratica come metodo proibito, l’Arbitro Unico si è quindi occupato
nel dettaglio di analizzare il comportamento del medico e del genitore, onde verificare la loro corrispondenza
con le categorie di condotta di cui all’art. 2.8 del Codice WADA.
2. L’Art. 2.8 del Codice WADA e le condotte “complici”
L’articolo in parola recita “Administration or Attempted administration to any athlete In-Competition
of any Prohibited Method or Prohibited Substance, or administration or Attempted administration to any
Athlete Out-of-Competition of any Prohibited Method or any Prohibited Substance that is prohibited Out-ofCompetition, or assisting, encouraging, aiding, abetting, covering up or any other type of complicity
involving an anti-doping rule violation or any Attempted anti-doping rule violation” 1.
Con i lodi qui esaminati, il TAS ha delineato come l’art. 2.8 sia in realtà una previsione
sostanzialmente divisa in due parti, comprendenti due distinte categorie di condotte. La prima parte riguarda
la “somministrazione” (i.e. atto con il quale si fa in modo che una sostanza vietata entri nell’organismo o con
il quale si pratichi un metodo proibito) mentre la seconda parte riguarda una serie di condotte a loro volta
distinguibili in “istigative” (i.e. (“encouraging” e “abetting”) e in un’altra serie classificabile come “di
assistenza” (i.e. “assisting”, “aiding”, “covering up” o “any other kind of complicity”).
In precedenza, il TAS aveva sostenuto come fosse possibile associare l’applicazione dell’attenuante
della colpa non significativa cui all’art. 10.5.2 all’art. 2.8, di fatto ammettendo la possibilità che vi sia una
“somministrazione” con colpa, peraltro non significativa, da parte dell’agente 2. Con il lodo in esame il TAS
svolge un passaggio ulteriore nell’analisi dell’articolo e chiarifica come l’elemento soggettivo della colpa
1
2
In italiano (traduzione non ufficiale) “Somministrazione o tentata somministrazione ad un Atleta durante le competizioni, di un
qualsiasi metodo proibito o sostanza vietata, oppure somministrazione o tentata somministrazione ad un Atleta, fuori
competizione, di un metodo proibito o di una sostanza vietata che siano proibiti fuori competizione o altrimenti fornire
assistenza, incoraggiamento e aiuto, istigare, dissimulare o assicurare ogni altro tipo di complicità in riferimento a una qualsiasi
violazione o Tentata violazione delle norme antidoping.”
Sul punto si vedano CAS 2005/A/847 Hans Knauss v. FIS e CAS 2008/A/1490 WADA v./ USADA & Thompson.
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non possa trovare applicazione alle condotte di cui alla seconda parte dell’art. 2.8 (i.e. istigative e di
assistenza) in quanto esse sono connaturate dall’elemento soggettivo del dolo in capo all’agente.
Per quanto attiene alla posizione del Dott. Lazzaro, l’Arbitro Unico svolge una particolare
dissertazione in merito alla contiguità tra l’atto della somministrazione e l’uso da parte del soggetto della
sostanza e/o del metodo proibito.
È infatti evidente che la vicinanza tra le due violazioni (i.e. somministrazione ed uso) debba far
sorgere nel soggetto atto a somministrare una particolare attenzione nei confronti della sua condotta, tale da
poter configurare un illecito anche di matrice colposa e negligente, ad esempio per inosservanza di doveri
professionali. Alla luce della consolidata esperienza del Dott. Lazzaro nel campo della medicina dello sport
ed effettuando un parallelismo tra la definizione di “traffico” e di “somministrazione” – considerate collegate
tra loro per l’essere le stesse inserite in un’unica categoria sanzionatoria (i.e. art. 10.3.2 del Codice WADA) –
, l’Arbitro Unico ha ritenuto come non fosse a lui applicabile alcuna “actions of bona fide” 3.
Per quanto riguarda invece il Sig. L.G., l’Arbitro Unico ha provveduto ad inquadrare la condotta nella
cornice normativa delle suddette condotte “complici”, addivenendo ad una pronuncia di proscioglimento per
mancato raggiungimento dell’onere probatorio della “confortable satisfaction” dell’organo giudicante di cui
all’art. 3.1 del Codice WADA. In tale fattispecie, l’Arbitro Unico ha rimarcato come le indicate condotte
complici non potessero prescindere dall’intenzionalità e dal dolo dell’agente in quanto sia l’incoraggiamento
che l’istigazione a commettere una violazione presuppongono logicamente la consapevolezza che la condotta
che si sollecita rappresenti, in effetti, una violazione. In altre parole, l’Arbitro Unico ha sottolineato la
necessaria consapevolezza da parte dell’agente di stare favorendo la commissione di un illecito antidoping da
parte di un terzo.
Da ciò si evince che anche le condotte di assistenza, aiuto, dissimulazione o altra tipologia di
complicità non possano prescindere dall’elemento soggettivo del dolo, quantomeno eventuale4.
Purtroppo, l’Arbitro Unico esaurisce il suo compito senza poi scendere nel dettaglio analitico delle
condotte complici, rinviando probabilmente ad altra giurisprudenza un maggiore approfondimento.
Tuttavia, muovendo dai primi passi svolti dall’Arbitro Unico, può svolgersi la seguente breve
rassegna delle condotte complici di cui alla seconda parte del 2.8.
3
4
Il Codice WADA provvede a fornire una definizione del “Traffico” di cui all’art. 2.7, sancendo (traduzione non ufficiale):
“vendere, dare, trasportare, inviare, consegnare o distribuire a terzi una sostanza vietata o un metodo proibito (fisicamente
oppure tramite mezzi elettronici o di altra natura) da parte di un Atleta, del personale di supporto dell'Atleta o di un’altra
Persona soggetta alla giurisdizione di un’Organizzazione antidoping; questa definizione non includerà comunque le azioni
compiute in “bona fide” dal personale medico per quanto riguarda una sostanza vietata utilizzata per fini terapeutici legittimi o
altra giustificazione accettabile, e non dovrà includere le azioni relative alle sostanze vietate che non sono proibite nei test fuori
delle competizioni, a meno che le circostanze non provino che tali sostanze vietate non vengono usate per fini terapeutici
legittimi.”
Sulla categoria del dolo si vedano Sentenza Corte di Cassazione n. 44712/2008 e la Sentenza Cassazione penale, sez. IV, 24
marzo 2010, n. 11222.
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In primo luogo, si nota come le Definizioni del Codice WADA non forniscano alcuna indicazione su
comportamenti quali “encouraging,
abetting, assisting, aiding, covering up” o “any other kind of
complicity”.
Pertanto, è evidente che l’inquadramento di tali fattispecie debba trovare per il momento linfa nella
semantica e nella giurisprudenza antidoping nazionale ed internazionale.
A tal riguardo, è evidente che dare assistenza può concretizzarsi in una condotta – attiva od omissiva
– atta a fornire aiuto e supporto al soggetto che intende violare la normativa antidoping.
Nella casistica antidoping, l’assistenza si verifica sovente nei casi in cui un soggetto aiuta l’atleta
nell’assumere una sostanza proibita o far uso di un metodo proibito.
Nel caso USADA v. Block, innanzi la American Arbitration Association 5, l’allenatore-manager è
stato sanzionato con 10 anni di squalifica per aver procurato sostanze proibite alla moglie-atleta.
Secondo l’organo giudicante l’elemento soggettivo alla base della condotta del Block era un dolo
contraddistinto dal fine di lucro. Infatti, fornendo sostanze dopanti agli atleti della propria scuderia, si
sarebbero raggiunti maggiori risultati sportivi e maggiori introiti in capo al Block.
Tale caso sembra indicare peraltro una stringente correlazione tra il fine perseguito nell’incoraggiare
la violazione e la gradazione del dolo, tale da influenzare la gradazione della sanzione prevista dalla norma.
Si pensi all’ipotesi in cui un soggetto non proponga lui stesso, ma riceva una richiesta da un atleta volta ad
avere ausilio nella ricerca di prodotti dopanti.
Qualora il soggetto risolva per assistere l’atleta, è indubbio che tale condotta sia suscettibile di
sanzione, ma non può ignorarsi come lo scenario sia completamente diverso in quanto non vi sarebbe stato
un comportamento istigativo quanto piuttosto di ausilio, con elementi soggettivi quindi assai diversi.
Peraltro, deve rimarcarsi come l’aiuto debba necessariamente considerarsi in relazione alle specifiche
peculiarità del soggetto che presta assistenza. In tale prospettiva, sarebbe difficilmente argomentabile per un
medico o un farmacista di aver fornito ad un atleta delle sostanze vietate per mero errore, specie
considerando le possibili ripercussioni in termini professionali.
Nel caso USADA v. Jessica Cosby la madre dell’atleta trovata positiva rivelò di aver dato lei alla
figlia il farmaco per la pressione arteriosa che aveva portato alla positività6.
Prescindendo dalle controverse conclusioni del collegio giudicante nel caso di specie, può notarsi
come la madre, sebbene conscia della normativa antidoping riguardante la figlia, avesse agito con
superficialità e negligenza fornendo alla figlia un prodotto proibito.
Ovviamente, qualora la fornitura del prodotto fosse stata continuativa e non episodica, sarebbe stato
arduo sostenere che la condotta della madre rientrasse nel mero novero delle condotte colpose.
5
6
Disponibile al link http://www.usada.org/arbitration-decisions/
Vedere nota 8.
67
Ad ogni buon conto, l’aiuto e l’assistenza (i.e. “aiding” e “assisting”) sono probabilmente le condotte
che corrono il rischio di mettere in dubbio la relazione condotta complice – dolo sancita nei lodi qui
esaminati.
Infatti, non può ignorarsi come esistano forme di aiuto e assistenza prive della consapevolezza di
stare favorendo la commissione di un illecito.
In altre parole, l’aiuto può aversi cosciente e doloso, ma anche incosciente e colposo. Secondo
l’impostazione del TAS, peraltro riconducibile a dei precedenti quali CAS 2008/A/1513 Emil Hoch v/FIS &
IOC 7 e TAS 2009/A/1902 Tortoli c. CONI, parrebbe che solo l’aiuto e l’assistenza coscienti e dolosi siano
passibili di sanzione ai sensi del 2.8, non potendosi rinvenire nell’aiuto e nell’assistenza inconsapevoli della
violazione altrui alcuna forma di responsabilità. In realtà, tale impostazione appare discutibile in quanto
esclude una serie di aiuti inconsapevoli affetti da un precetto che può definirsi come “avrebbe dovuto
sapere”, ossia un elemento soggettivo assimilabile alla colpa grave.
Pertanto, si ritiene che l’aiuto e l’assistenza, seppur inseriti nella seconda parte dell’art. 2.8, debbano
piuttosto essere accostato alle categorie della somministrazione e del traffico, ivi inclusi i rimandi alle
“actions of bona fide” e l’applicazione degli articoli 10.5.1 e 10.5.2 in merito al grado della colpa in capo
all’agente.
Per quanto riguarda l’incoraggiamento (i.e. “encouraging”) è evidente che tale condotta sia
propriamente istigativa, in quanto consistente nell’incitare un soggetto a violare la normativa antidoping.
Le possibili manifestazioni dell’incoraggiamento sono ovviamente molteplici e dipendono anche dal
soggetto che riceve l’incoraggiamento stesso, non essendo plausibile considerare come incoraggianti delle
mere affermazioni prive di un reale contenuto istigatorio in capo al soggetto incoraggiato.
Pertanto, per aversi incoraggiamento dovrebbe logicamente postularsi che la condotta del soggetto
incoraggiante susciti una motivazione crescente in capo al soggetto incoraggiato per il compimento della
violazione antidoping.
Sul punto però non vi è ancora una giurisprudenza e, al momento, parrebbe sanzionabile una
condotta istigatoria anche se non minimamente atta a raggiungere lo scopo in capo al soggetto istigato. Nel
valutare la portata sanzionatoria dell’incoraggiamento possono richiamarsi le considerazioni svolte in
materia di assistenza e fine perseguito.
Nel citato caso USADA v. Block, l’allenatore-manager aveva ordinato sostanze proibite ed aveva poi
incoraggiato gli atleti della sua scuderia di farne uso.
7
Al paragrafo 8.4.1 di tale lodo è chiaramente viene sottolineato (i) il necessario tentativo da parte del soggetto aiutato di violare
la normativa, (ii) che la complicità non deve essere determinante per la violazione della normativa, ammettendosi una complicità
“low” e (iii) la consapevolezza di stare aiutando una violazione altrui. Il testo completo è disponibile al link
http://www.centrostudisport.it/PDF/TAS_CAS_ULTIMO/14.pdf
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Tale opera di incoraggiamento non era ovviamente rivolta ad una disinteressata attenzione per i
risultati dei propri atleti, quanto piuttosto, come detto, ai maggiori introiti risultanti. In tale ottica, il fine di
lucro rappresenterebbe un elemento fondante la misura della sanzione.
Il favoreggiamento (i.e. “abetting”) è una categoria che invece postula chiaramente la volontà in capo
all’agente di favorire la commissione di una violazione.
Nel diritto penale, il termine “abetting” è infatti generalmente associato a condotte ausiliarie alla
commissione di un reato e prevede il dolo dell’agente. Nel caso CAS 2004/A/593 Football Association of
Wales (FAW) v. Union des Associations Européennes de Football (UEFA) 8, il Collegio TAS valutò il caso del
giocatore russo Titov, risultato positivo durante le qualificazioni agli Europei di calcio del 2004 dopo un
incontro tra Russia e Galles.
La federazione calcistica gallese aveva impugnato innanzi al TAS una decisione dell’Appeals Body
della UEFA, richiedendo espressamente che la Russia fosse esclusa dalla partecipazione agli Europei 2004,
con inserimento al suo posto della formazione del Galles. In particolare, la federazione gallese sosteneva che
quella russa avesse “favorito” – sebbene non intenzionalmente e per negligenza – la commissione della
violazione da parte del giocatore.
A tal proposito, va altresì ricordato che ai sensi dell’art. 11 del Codice WADA le sanzioni ai team nei
casi di doping riguardanti sport di squadra scattano nel caso di positività di almeno tre atleti9.
In estrema sintesi, il CAS ha considerato corretta la decisione dell’UEFA con la quale il ricorso della
federazione gallese era stato rigettato in quanto non vi era prova che esponenti della federazione russa
avessero favorito con la propria condotta la commissione della violazione.
Per quanto riguarda la condotta definita “covering up”, essa può definirsi come quel comportamento
atto ad occultare materiale probatorio o altre informazioni inerenti una violazione della normativa
antidoping.
Ovviamente, alla base dell’occultamento di prove e/o informazioni deve rinvenirsi in capo all’agente
un comportamento doloso, ossia connaturato dall’intento specifico di celare l’esistenza di una violazione o,
quantomeno, alcuni suoi aspetti.
Da ultimo, va precisato come tale condotta non riguardi l’obbligo di denunciare un illecito di cui si
venga a conoscenza, onere attualmente non previsto dalla normativa WADA a carico dei membri
dell’ordinamento sportivo.
8
9
Disponibile al link http://jurisprudence.tas-cas.org/sites/CaseLaw/Shared%20Documents/593.pdf
L’art. 11.2 del Codice WADA recita (traduzione non ufficiale) “Conseguenze per gli sport di squadra. Se più di due membri di
una squadra in uno sport di squadra hanno commesso una violazione del regolamento antidoping nel corso di un evento, l’organo
esecutivo dell’evento dovrà comminare alla squadra una sanzione adeguata (ad es. perdita di punti, squalifica da una
competizione o da un evento, o altra sanzione) in aggiunta alle eventuali sanzioni inflitte al singolo Atleta che ha commesso la
violazione del regolamento antidoping.”
69
3. L’onere della prova sull’elemento soggettivo e la gradazione della sanzione.
L’articolo 10.3.2 del Codice WADA dispone che per una prima violazione dell’art. 2.8 la sanzione
vada da un minimo di 4 anni alla squalifica a vita, salvo ricorrano le condizioni di cui all’art. 10.510.
Apparentemente, sulla base dell’analisi svolta dall’Arbitro Unico TAS e dalla suddetta ricostruzione delle
condotte di cui all’art. 2.8, potrebbe affermarsi che la graduazione della pena debba determinarsi in base alla
portata dell’elemento soggettivo alla base della condotta. Tuttavia, tale impostazione presta il fianco ad un
rilievo inerente la matrice delle norme antidoping.
Esse infatti hanno una pregnante natura civilistica, così come tutte le norme di carattere disciplinare
adottate dagli organismi sportivi. In tale ottica, dovrebbe aprirsi un duplice profilo di responsabilità a carico
del soggetto “complice”.
Infatti, se l’agente è parte dell’ordinamento sportivo può ritenersi che egli sia responsabile a titolo di
responsabilità contrattuale per inadempimento. Se invece il soggetto non fa parte dell’ordinamento sportivo,
egli sarebbe comunque responsabile per un illecito di matrice extracontrattuale.
In ogni caso, si evidenzia come in tutti i casi in cui vi sia una condotta – contrattuale o
extracontrattuale – non conforme alla normativa WADA, ciò che necessariamente viene in luce è la tutela del
bene danneggiato, ossia la compensazione per il “danno ingiusto” patito dai nobili scopi evidenziati nel
preambolo del Codice WADA 11 (e.g. danno alla salute, alla lealtà e all’uguaglianza di tutti gli Atleti del
mondo).
A tal proposito, si evidenzia come il “danno da doping” sia in tutti i casi un danno assolutamente
prevedibile, quantomeno per tutti coloro che sono parte dell’ordinamento sportivo.
10
11
L’art. 10.3.2 del Codice WADA recita (traduzione non ufficiale) “Per le violazioni degli Articoli 2.7 (Traffico o tentato traffico
illegale) o 2.8 (Somministrazione o tentata somministrazione di sostanze vietate o metodi proibiti), il periodo di squalifica
comminato va da un minimo di quattro (4) anni fino alla squalifica a vita a meno che non siano soddisfatte le condizioni previste
all’Articolo 10.5. Una violazione del regolamento antidoping che coinvolga un minore viene considerata particolarmente grave e,
se viene commessa dal personale di supporto dell'Atleta per violazioni diverse da quelle per le Sostanze Specifiche di cui
all’Articolo 4.2.2, comporta la squalifica a vita del personale coinvolto. Inoltre, significative violazioni degli Articoli 2.7 o 2.8
che potrebbero violare anche leggi e regolamenti non sportivi, devono essere riferite alle competenti autorità amministrative,
professionali o giudiziarie”.
Il preambolo recita (traduzione non ufficiale) “FINALITA’, AMBITO OPERATIVO E ORGANIZZAZIONE DEL
PROGRAMMA E DEL CODICE MONDIALE ANTIDOPING. Le finalità del Codice Mondiale Antidoping e del Programma
Mondiale Antidoping che lo supporta sono: (i) tutelare il diritto fondamentale degli Atleti alla pratica di uno sport libero dal
doping e quindi promuovere la salute, la lealtà e l’uguaglianza di tutti gli Atleti del mondo e (ii) garantire l’applicazione di
programmi antidoping armonizzati, coordinati ed efficaci sia a livello mondiale che nazionale, al fine di individuare, scoraggiare
e prevenire la pratica del doping.
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Tornando alla disamina dell’elemento soggettivo nel novero dei due tipi di responsabilità può notarsi
come in quasi tutti gli ordinamenti nazionali le norme sull’inadempimento contrattuale non pongano
particolare accento all’elemento soggettivo, parlandosi esplicitamente di colpa e dolo solo con riferimento
alla materia della responsabilità extracontrattuale.
Tuttavia, la giurisprudenza ha invero individuato anche nell’inadempimento contrattuale una
responsabilità soggettiva.
Sul punto, va ricordato come il Codice WADA stesso preveda la responsabilità oggettiva (cd. “strict
liability”) esclusivamente con riferimento all’uso di una sostanza o di un metodo proibito 12, dovendosi
quindi desumere che l’elemento soggettivo abbia una particolare rilevanza nella valutazione di tutte le altre
condotte.
Traslando la suddetta riflessione nell’ambito che interessa, i lodi in esame sembrano indicare che la
giurisprudenza disciplinare sportiva segnerà sempre più il solco dell’imputabilità dalle violazioni secondo
l’analisi dell’elemento soggettivo, andando ad escludere una presunzione normativa di colpa per il solo fatto
di aver commesso la condotta e causato il danno (i.e. an e quantum debeatur).
Una prima avvisaglia di tale indirizzo si era peraltro avuta con la controversa decisione CAS
2008/A/1557 WADA v/ CONI, FIGC, Daniele Mannini & Davide Possanzini 13, la quale aveva sdoganato
l’esimente dell’incolpevole ignoranza della normativa antidoping.
Alla luce di tale orientamento, si nota come l’indagine sull’elemento soggettivo/psicologico del
soggetto, una volta che l’illecito fattuale sia stato determinato e provato, potrebbe trovare un limite
invalicabile nell’onere della prova. Infatti, qualora l’elemento soggettivo sia ritenuto assolutamente
pregnante per determinare la gradazione di una sanzione di cui all’art. 2.8 ed applicando alla lettera l’art. 3.1
del Codice WADA, è evidente che l’onere della prova sulla “consapevolezza” e il dolo dell’incolpato
spetterebbe all’Organizzazione Antidoping.
In tali casi, è di tutta evidenza come l’affidarsi totalmente al “confortable satisfaction standard”,
senza dei criteri precisi incardinati nel Codice, corre il rischio di creare, quantomeno in una giurisprudenza di
prima generazione, incertezze, sperequazioni e disparità di trattamento.
In realtà – quantomeno per i soggetti facenti parte dell’ordinamento sportivo cui la norma
disciplinare inerisce in termini prettamente contrattuali – si ritiene dovrebbe esservi un’inversione dell’onere
della prova in merito all’elemento soggettivo.
12
13
L’art 2.1.1 del Codice WADA recita (traduzione non ufficiale) “Ogni Atleta deve assicurarsi personalmente di non assumere
alcuna sostanza vietata. Gli Atleti sono ritenuti responsabili dell'assunzione di qualsiasi sostanza vietata, nonché dei relativi
metaboliti o marker, rinvenuti nei loro campioni. Pertanto, per l'accertamento di una violazione antidoping ai sensi dell'Articolo
2.1 non è indispensabile dimostrare che vi sia dolo, colpa, negligenza o uso consapevole da parte dell'Atleta.”
Sul punto si veda VIGNA e MORANDINI “La buona fede e l’ignoranza scusabile dell’atleta escludono la violazione dell’art. 2.3
del Codice WADA per mancanza dell’elemento soggettivo – Nota a lodo arbitrale CAS 2008/A/1557 WADA v/ CONI, FIGC,
Daniele Mannini & Davide Possanzini, 27 luglio 2009” in Rivista della Giustizia Sportiva n. 2/2009.”
71
In altre parole, dovrebbe essere l’incolpato a dover provare di non aver agito con dolo e non
l’Organizzazione Antidoping a dover provare l’esistenza del dolo stesso.
Peraltro, tale inversione – per essere tale – dovrebbe comportare per l’incolpato il doversi misurare
con il grado di prova del confortable satisfaction standard e non con il balance of probabilities.
Una tale ripartizione dell’onere della prova sarebbe maggiormente in linea con quanto previsto in
diritto civile in materia di inadempimento contrattuale, dove spetta al debitore fornire la prova che
l’inadempimento non è a lui imputabile.
4. Conclusioni
Nell’aver posto il dolo come elemento costitutivo della fattispecie delle condotte “complici”, il TAS
ha chiaramente interpretato la normativa con un approccio penalistico piuttosto che civilistico, di fatto
escludendo l’ascrivibilità dell’illecito in tutti i casi in cui il dolo non sia provato dall’Organizzazione
Antidoping. In tale ottica, la condotta del padre che aveva accompagnato la figlia dal medico dopatore non è
stata intesa come complice in quanto non provato l’intento fraudolento alla base del comportamento, pur
connaturato da una evidente superficialità.
Sino ai lodi in questione, la giurisprudenza TAS non aveva fatto specifiche distinzioni, potendosi
prevedere l’applicazione dell’art. 10.5 in riferimento alla complessità delle condotte del 2.8, senza distinzioni
tra prima e seconda parte. Con le pronunce qui esaminate viene tracciata una linea indicante che tale rapporto
debba concludersi alla somministrazione.
In termini generali, l’assolutismo con il quale l’Arbitro Unico e alcuna giurisprudenza risalente
associano dolo e condotte complici non convince del tutto.
Se infatti è evidente che “encouraging” postuli una condotta consapevole e dolosa, non è detto che lo
stesso valga per condotte quali “assisting” ed “aiding”, possibili anche in casi di colpa grave. In tale ottica,
definire tout court come non sanzionabili le suddette condotte complici solamente sulla base dell’assenza
dell’elemento soggettivo del dolo appare troppo categorico, anche volendo giustamente escludere dal novero
delle condotte sanzionabili le actions of bona fide.
Probabilmente, volendo seguire un sentiero penale piuttosto che privatistico, le categorie che negli
ordinamenti di common law contraddistinguono l’elemento soggettivo “mens rea” potrebbero essere d’aiuto,
magari facendo riferimento a quella categoria definita come “criminal negligence”, ossia quell’ipotesi in cui
una violazione viene commessa per una sostanziale “noncuranza” dell’agente in merito alla propria condotta
e alle conseguenze della stessa.
In estrema sintesi, può rilevarsi come un’impostazione che consenta di associare alcune tipologie di
condotte complici quali “assisting” e “aiding” quantomeno alla colpa grave appare maggiormente
72
rispondente allo spirito del 2.8 e del Codice WADA nel suo complesso, specie tenendo in considerazione che
il “danno ingiusto” si è comunque prodotto a seguito della condotta di assistenza.
Anche volendo tracimare dal diritto civile a quello penale, dovrebbe ammettersi al massimo
un’ignorantia legis inevitabile come idonea ad escludere la punibilità e la colpevolezza per le condotte di
assistenza di cui al 2.8, non potendosi peraltro ammettere la presenza di ignorantia legis inevitabile allorché
si tratti di una violazione specifica di un determinato settore d’attività nel quale l’autore operi, il che,
nell’ambito doping, dovrebbe escludere – fino a prova contraria – l’inevitabilità dell’ignoranza per tutti gli
addetti ai lavori e i soggetti parte dell’ordinamento sportivo. Senza retorica, un’impostazione maggiormente
rigorosa contribuirebbe sicuramente ad evitare che genitori o altri soggetti poco coscienti dei rischi per la
salute dei loro figli e di atleti minorenni si fidino troppo di medici di dubbia reputazione, tanto da far
sottoporre i minori a trattamenti dopanti.
(*) Avvocato, Associato dello Studio Coccia – De Angelis & Associati.
Dal 2009 riveste il ruolo di Procuratore Antidoping del CONI.
73
I replacement costs nell'indennità.…
I REPLACEMENT COSTS NELL’INDENNITÀ DOVUTA DAL
CALCIATORE CHE RECEDE SENZA GIUSTA CAUSA
NOTA A LODO TAS 2010/A/2145, DE SANCTIS/UDINESE, DEL 28.02.2011
(PUBBLICATO SUL SITO – WWW.TAS-CAS.ORG)
di Ernesto Mesto (*)
Art. 17 del Regolamento FIFA sullo Status e sul Trasferimento dei Calciatori (di seguito,
Reg. FIFA):
“Le seguenti disposizioni si applicano se un contratto è risolto unilateralmente senza giusta
causa.
1. In ogni caso, la parte che recede pagherà un’indennità. Salvo quanto previsto dall’articolo 20 e
dall’Allegato 4 in relazione all’indennità di formazione, ed a meno che non sia altrimenti
stabilito nel contratto, l’indennità per il recesso sarà calcolata con un’accurata considerazione
della legge del Paese interessato, la specificità dello sport ed altri criteri oggettivi. Questi
criteri includeranno, in particolare, la remunerazione e gli altri benefici dovuti al calciatore in
virtù del contratto esistente e/o del nuovo contratto, la durata residua del contratto esistente
fino ad un massimo di cinque anni, le spese ed i costi pagati o contratti dal club precedente
(ammortizzati nel corso del contratto) e l’eventualità che il recesso sia avvenuto durante il
periodo protetto…1”.
1
Traduzione dalla versione in lingua inglese, testo ufficiale unitamente alle versioni redatte in lingua spagnola, francese e
tedesca.
74
NOTE A SENTENZA
I replacement costs nell'indennità.…
Sommario:
1. Sintesi della vicenda.
2.
Il lodo De Sanctis.
3. Pacta sunt servanda : FIFA e stabilità contrattuale.
4. I criteri previsti dall’art. 17.1 del Regolamento FIFA.
5.
La soluzione De Sanctis: i replacement costs.
6. La specificità dello sport.
7. Conclusioni.
1. Sintesi della vicenda.
Morgan De Sanctis, portiere italiano professionista, tesserato per l’Udinese Calcio S.p.A. (di
seguito, Udinese) con contratto fino al 30.06.2010, in data 08.06.2007 comunicava alla società di
voler recedere con tre anni di anticipo, ai sensi dell’art. 17 del Reg. FIFA, dal contratto di
prestazione sportiva esistente tra le parti. Il 10.07.2007, il calciatore sottoscriveva un nuovo
contratto quadriennale con il club spagnolo del Sevilla FC SAD (di seguito, Siviglia).
Riguardo ai termini economici, il contratto risolto con l’Udinese prevedeva una
remunerazione annuale lorda pari ad € 983,5782 mentre il nuovo contratto con il Siviglia stabiliva
una remunerazione annua lorda di € 1.381.578 oltre ad una buyout clause che consentiva al
calciatore di recedere anticipatamente dal contratto versando un corrispettivo di € 15.000.000.
Per sostituire De Sanctis, l’Udinese tesserava il giovane portiere Handanovic ed il più
esperto collega Chimenti. Per il tesseramento di quest’ultimo non vi erano costi di trasferimento e
veniva pattuita una retribuzione lorda pari ad € 1.881.000/anno; per il tesseramento di Handanovic 3,
l’Udinese rinunciava alla somma di € 1.200.000 già offerta dal Rimini per il riscatto del giocatore e
pagava a quest’ultimo club la somma di € 250.000 per l’esercizio del diritto di contro-riscatto; al
calciatore l’Udinese riconosceva una retribuzione lorda di € 1.179.000/anno.
2
3
Per praticità, si segue il criterio adottato dal collegio arbitrale per cui, aldilà del salario in senso stretto (€ 623.000/anno), anche
il contributo alla locazione di immobile abitativo (€ 9.700/anno) ed il premio di fedeltà (€ 350.878/anno) devono ricomprendersi
nel concetto di remunerazione.
All’epoca, in prestito al Rimini con diritto di riscatto a favore di quest’ultimo club dietro pagamento della somma di € 1.200.000
e contro-riscatto a favore dell’Udinese.
75
NOTE A SENTENZA
I replacement costs nell'indennità.…
Ad Aprile 2008, l’Udinese, visto il recesso senza giusta causa esercitato da De Sanctis,
chiedeva alla Dispute Resolution Chamber della FIFA (di seguito, DRC) di condannare il calciatore
(in solido con il suo nuovo club ex art. 17.2 Reg. FIFA) al pagamento di una compensation di oltre
23.000.000 di euro. La DRC, in parziale accoglimento della domanda, condannava i resistenti al
pagamento di € 3.933.134, ragion per cui le parti coinvolte impugnavano la decisione dinanzi al
Tribunale Arbitrale dello Sport di Losanna (di seguito, TAS).
2. Il lodo De Sanctis4.
Il panel del TAS5 investito della controversia, rilevato che il metodo di calcolo utilizzato
dalla DRC (media tra le due diverse remunerazioni pattuite con Udinese e Siviglia) era immotivato
e non previsto dall’art. 17 del Regolamento FIFA, in ossequio al principio del de novo ruling6 ex art.
R57 del Codice di Procedura del TAS7, annullava la decisione impugnata condannando De Sanctis e
Siviglia al pagamento di un’indennità di € 2.250.055 in favore dell’Udinese.
In particolare, in applicazione del principio del positive interest, per cui si deve mirare a
determinare un importo tale da ricollocare il danneggiato nella stessa posizione che questi avrebbe
avuto se non vi fosse stato il recesso8, il collegio determinava la compensation seguendo i più
recenti orientamenti della giurisprudenza TAS.
Nello specifico, il panel, pur mostrando di condividere il modus operandi utilizzato nel caso
Matuzalem (di seguito, Matuzalem)9, dopo aver rimarcato che comunque non esiste un solo metodo
di calcolo, individuabile ex ante, e che occorre piuttosto considerare gli elementi di volta in volta
disponibili, determinava l’indennità dovuta basandosi sui replacement costs, ossia sui costi
4
5
CAS 2010/A/2145, 2146 & 2147, De Sanctis/Udinese/Sevilla, (di seguito, De Sanctis), reperibile all’indirizzo http://www.tascas.org/d2wfiles/document/4767/5048/0/Award202145-6-720_internet_.pdf.
Presidente del collegio: Mr Mark Hovell; arbitri: Mr José Juan Pintó Sala e Prof. Massimo Coccia.
6
Sul de novo ruling si veda M. VIGNA, L’art. 57 del Codice Tas e le controverse sorti del giudizio “De novo” nella procedura di
appello, in Giustiziasportiva.it Rivista Giuridica n. 2/2010, 27, reperibile all’indirizzo http://www.giustiziasportiva.it.
7
Art R57 Codice Tas: “Il collegio ha pieni poteri di riesame in fatto ed in diritto. Lo stesso può adottare una nuova decisione che
sostituisce integralmente quella impugnata ovvero può annullare la decisione appellata e rinviare il caso al giudice del grado
precedente…” (traduzione dalla versione ufficiale in lingua inglese reperibile all’indirizzo internet http://www.tascas.org/d2wfiles/document/4962/5048/0/Code20201020_en_2001.07.11.pdfhttp://www.tascas.org/d2wfiles/document/4962/5048/0/Code20201020_en_2001.07.11.pdf ).
8
Cfr. De Sanctis, cit., 61 e 62.
9
CAS 2008/A/1519 – 1520, Matuzalem/Real Zaragoza SAD/FC Shaktar Donetsk/FIFA (di seguito, Matuzalem), reperibile in
http://www.tas-cas.org/d2wfiles/document/3229/5048/0/Award201519-152020_internet_.pdfhttp://www.tascas.org/d2wfiles/document/3229/5048/0/Award201519-152020_internet_.pdf . Sul metodo di calcolo seguito cfr. successivo
paragrafo sub 4).
76
NOTE A SENTENZA
I replacement costs nell'indennità.…
sopportati dall’Udinese, a seguito del recesso, per sostituire De Sanctis per i tre anni residui del
contratto non rispettato.
Il calcolo svolto dal panel, pertanto, era il seguente: replacement costs pari ad € 4.510.000,
derivanti dalla somma di € 1.200.000 (offerta del Rimini per il riscatto del portiere Handanovic ed a
cui l’Udinese doveva rinunciare), € 250.000 (somma pagata dall’Udinese per contro – riscattare
Handanovic dal Rimini), € 1.179.000 (retribuzione lorda Handanovic per i tre anni residui del
contratto risolto da De Sanctis) ed € 1.881.000 (retribuzione lorda Chimenti per i tre anni residui del
contratto risolto da De Sanctis); dall’importo totale, il collegio deduceva la somma di € 2.950.734
(retribuzione lorda per tre anni che l’Udinese non ha dovuto più riconoscere a De Sanctis); infine,
l’importo veniva integrato, utilizzando il criterio della specificità dello sport 10, con l’ulteriore
somma di € 690.789 (sei mesi di retribuzione ai sensi del nuovo contratto con il Siviglia).
3. Pacta sunt servanda: FIFA e stabilità contrattuale.
Con il lodo in commento, dunque, il TAS veniva nuovamente chiamato a determinare la
compensation dovuta al club nel caso in cui un giocatore receda anticipatamente dal rapporto di
lavoro senza una giusta causa.
Tale evento rimanda al tema della c.d. “stabilità contrattuale” ed al correlato sistema di
regole di cui al capo IV del Regolamento FIFA rubricato “Mantenimento della stabilità contrattuale
tra calciatori e società”, ispirato al principio pacta sunt servanda11.
La regola generale, pertanto, è quella prevista dall’art. 13 per cui i contratti di lavoro stipulati
tra atleta e società (necessariamente a tempo determinato e per un massimo di 5 anni) devono essere
rispettati e terminano solo alla naturale scadenza ovvero per mutuo consenso.
Il recesso di una parte in pendenza di contratto, dunque, è ammesso solo a certe condizioni:
per giusta causa (art. 14, unico caso in cui si può recedere anche durante la stagione sportiva)12;
10
11
Cfr. successivo paragrafo sub 6).
Cfr. anche CAS 2007/A/1298, 1299 & 1300, Webster/Hearth of Midlothian/Wigan Athletic (di seguito, Webster), reperibile in
http://www.centrostudisport.it/PDF/TAS_CAS_ULTIMO/1.pdf.
12
Cfr. Circolare FIFA n. 769 del 24.08.2001, in
http://www.fifa.com/mm/document/affederation/administration/ps_769_en_68.pdf http://www.fifa.com/mm/document/affederation
/administration/ps_769_en_68.pdf , e FIFA Commentary on the Regulations for the Status and Transfer of Players (di seguito,
Commentary), art. 14, secondo cui non basta qualsiasi violazione dei termini del contratto di lavoro per configurare
automaticamente la sussistenza di una giusta causa ed occorre, comunque, che l’inadempimento persista per lungo tempo ovvero
si tratti di più inadempimenti che si cumulano in un certo periodo.
77
NOTE A SENTENZA
I replacement costs nell'indennità.…
per giusta causa sportiva (art. 15, esercitabile solo al termine della stagione sportiva, non
prevede sanzioni sportive a carico dell’atleta che però rischia di dover pagare un’indennità al
club)13;
senza giusta causa (art. 17, il recedente dovrà pagare un indennizzo alla controparte e, nei casi
previsti dai punti 3 e 4, subirà anche sanzioni sportive).
4. I criteri previsti dall’art. 17.1 del Regolamento FIFA.
In caso di controversia per la determinazione della compensation ex art. 17 Reg. FIFA, anche
in De Sanctis il TAS conferma che il principio fondamentale per una corretta quantificazione del
danno patito è quello del positive interest: al fine di eliminare gli effetti dannosi dell’inadempimento
è necessario, cioè, porre il danneggiato nella stessa situazione in cui questi si sarebbe trovato se
l’inadempimento non si fosse mai verificato.
A tal fine, l’art. 17.1 Reg. FIFA elenca alcuni criteri che “possono14” considerarsi per
stabilire una compensation che, in ogni caso, dovrà essere “just and fair15”. L’elenco, dunque, non è
tassativo né esaustivo e, tenendo presente il positive interest del danneggiato, l’intento è quello di
lasciare – volutamente – spazi indeterminati e margini incerti che spetterà poi all’organo giudicante
di volta in volta colmare e definire.
La ratio è quella di scoraggiare le risoluzioni unilaterali del contratto di lavoro sportivo
palesando l’imprevedibilità delle relative conseguenze economiche. In proposito, giova ricordare
che la norma è inserita nel capitolo dedicato al “Mantenimento della stabilità contrattuale”:
l’assenza di basi certe e predeterminate per calcolare l’indennità dovuta per il recesso, quindi, è il
rimedio che rende di per sé impossibile quantificare in anticipo l’entità della compensation16.
Il collegio De Sanctis ribadisce il carattere non esclusivo del criteri elencati dall’art. 17.1
Reg. FIFA: compito del panel, infatti, è di esaminare il caso non solo alla luce di questi ultimi ma
anche di ogni altro criterio oggettivo stabilendo quali, tra questi, possono applicarsi al caso trattato e
quali, invece, risultano nella fattispecie irrilevanti17.
13
14
15
16
17
Ipotesi di difficile applicazione pratica visti i confini piuttosto incerti. In ogni caso, anche laddove sussistessero le due
condizioni previste dall’art 15 (established e 10%), sarebbe comunque la DRC a decidere se, nella fattispecie, ricorra una giusta
causa sportiva.
Cfr. Commentary, art. 17.
Cfr. CAS 2007/A/1359, FC Pyunik/Lombe/AFC Rapid Bucuresti/FIFA (di seguito, Pyunik), 27, reperibile all’indirizzo internet
http://jurisprudence.tas-cas.org/sites/CaseLaw/Shared%20Documents/1358.pdf.
Salva naturalmente l’ipotesi che nel contratto risolto ci sia una clausola di recesso o buyout clause.
Cfr. De Sanctis, cit., 62.
78
NOTE A SENTENZA
I replacement costs nell'indennità.…
Nella pratica, dunque, l’art. 17.1 Reg. FIFA fornirebbe delle linee guida per il calcolo
dell’indennità ed il principio ormai consolidatosi è quello per cui, pur assicurando un metodo di
calcolo comprensibile e trasparente, i criteri da seguire per determinare il quantum debeatur non
potranno mai essere stabiliti a priori visto che, oltre a dover diligentemente esaminare le circostanze
del caso, il panel possiede anche ampi poteri discrezionali e, grazie a questi ultimi, nel processo di
calcolo potrà andare oltre il mero dato del salario contrattuale in modo da evitare automatismi di
calcolo, nel rispetto della funzione deterrente che anima la norma FIFA, tesa a disincentivare le
risoluzioni unilaterali e senza giusta causa.
Alla luce di quest’ultimo aspetto, possono decodificarsi le differenti impostazioni adottate
dai vari collegi TAS chiamati negli ultimi anni a pronunciarsi sul punto.
Il lodo Webster (di seguito, Webster), ad esempio, dava maggior peso al principio di libera
circolazione dei lavoratori rispetto al principio FIFA del rafforzamento della stabilità contrattuale. Il
panel, infatti, forniva una lettura restrittiva dei criteri elencati nell’art. 17.1 Reg. FIFA con la
conseguenza che, ai fini del calcolo, non poteva ad esempio considerarsi il valore di mercato delle
prestazioni del calciatore in quanto voce non prevista dalla norma.
Di diverso avviso la giurisprudenza successiva secondo cui, premesso che principale
conseguenza del recesso anticipato da parte del calciatore fosse la perdita, per il club, del valore dei
servizi resi dal dipendente allontanatosi senza giusta causa, precisava che tale valore era dato non
solo dalla retribuzione che la società di calcio doveva all’atleta per mantenere presso di sé tale forza
lavoro ma anche, ed ancor prima, dal prezzo che la società doveva pagare sul mercato per acquisire
il diritto esclusivo a tali servizi18.
In Webster, inoltre, il collegio dava importanza esclusivamente ai patti del vecchio contratto
risolto dal giocatore, escludendo, invece, la rilevanza del nuovo contratto in quanto ritenuto
elemento “inappropriato e potenzialmente punitivo19” per il recedente.
La soluzione individuata, pertanto, si basava unicamente su salario e durata residua così
come stabiliti nel vecchio contratto.
Anche sotto tale aspetto, però, Webster si rivelava un caso isolato posto che, in seguito, tutti
gli altri collegi TAS che si sono pronunciati sul tema – tra questi, Matuzalem, vero e proprio
leading case – precisavano, invece, che – ove concretamente possibile - nel calcolo dell’indennità
18
Cfr. Matuzalem, cit., 102.
19
Cfr. Webster, cit., 150.
79
NOTE A SENTENZA
I replacement costs nell'indennità.…
dovrebbe prevalere il salario negoziato con il nuovo club subito dopo il recesso perché quest’ultimo
riflette meglio il valore dei servizi del calciatore al momento della rottura del rapporto20.
Anzi, la giurisprudenza post – Webster ha ritenuto, in modo unanime e costante, che il salario
del vecchio contratto, lungi dal costituire una voce attiva nel calcolo dell’indennità,
rappresenterebbe piuttosto un risparmio di spesa per il club e dunque dovrebbe essere sottratto
dall’indennità calcolata.
Secondo gli indirizzi più recenti, dunque, la compensation può determinarsi ricostruendo il
valore dei servizi di cui il club viene privato a causa della risoluzione anticipata del contratto.
Ove possibile, per determinare tale valore bisognerebbe, in primis, accertare il salario annuo
del nuovo contratto moltiplicandolo per gli anni di cui al contratto vecchio non adempiuti dal
giocatore.
Tuttavia, poiché il salario rifletterebbe solo in parte il valore complessivo dei servizi persi,
dovrebbe anche considerarsi, ove ricavabile, la c.d. transfer fee (ossia il prezzo necessario per
acquisire sul mercato, al momento del recesso, i servizi di quel giocatore 21) ovvero, in assenza di
questa, l’importo delle spese sostenute e non ancora ammortizzate dal club per l’acquisto, a suo
tempo, del giocatore22.
In definitiva, in base al positive interest, occorrerà verificare quanto il club dovrebbe
complessivamente spendere, al momento del recesso, per usufruire dei servizi di un giocatore di
valore analogo al recedente: la spesa globale sarà data dalla somma tra l’importo necessario per
retribuire i servizi di tale giocatore (salario) e l’importo teoricamente necessario sul mercato per
ottenere il trasferimento del giocatore da un altro club (transfer fee).
20
21
22
Cfr. Pyunik, cit., 37.
Cfr. CAS 2009/A/1880 & 1881, El Hadary/FC Sion/Al Ahly/FIFA (di seguito, El Hadary), 224, reperibile all’indirizzo
http://www.tas-cas.org/d2wfiles/document/4267/5048/0/Award201880-1881.pdf.
Cfr. CAS 2009/A/1856 & 1857, A./Club X., (di seguito, A.X.), 206, reperibile all’indirizzo internet http://www.tascas.org/d2wfiles/document/4337/5048/0/Award2018562020185720FINAL20-20caviard%C3%A92020version20internet20%C3%A020distribuer.pdf.
80
NOTE A SENTENZA
I replacement costs nell'indennità.…
5. La soluzione De Sanctis: i replacement costs.
Si è già sottolineato che principio cardine in materia è quello per cui ogni panel deve
interpretare le norme FIFA con riferimento al caso specifico: nel lodo in commento, gli arbitri, pur
condividendo il metodo di calcolo sopra illustrato e seguito in Matuzalem, in assenza di indici utili
da cui ricavare il valore di mercato dei servizi del giocatore, avuto comunque riguardo a quanto
l’Udinese avrebbe dovuto complessivamente spendere, al momento del recesso, per avvalersi dei
servizi di un giocatore di valore analogo al recedente, applicavano il criterio dei c.d. replacement
costs, vale a dire i costi che l’Udinese ha dovuto necessariamente sostenere per sostituire le
prestazioni di De Sanctis nel periodo da questi non rispettato.
La precedente giurisprudenza del TAS aveva varie volte affrontato tale aspetto senza
tuttavia pervenire ad una sua applicazione pratica. Il riferimento principale, anche in questo caso, è
Matuzalem: affinché le spese (di trasferimento e d’ingaggio) sostenute per sostituire il recedente
con un nuovo giocatore possano essere richieste dal club come parte dell’indennizzo ex art. 17 Reg.
FIFA, occorre provare che il nuovo giocatore sia stato ingaggiato come diretta conseguenza del
recesso esercitato dal giocatore precedente ed esclusivamente per sostituire quest’ultimo23.
A tal fine, dunque, attraverso una probatio spesso diabolica, si dovrebbe dimostrare non solo
che il nuovo tesserato ricopre in campo lo stesso ruolo del giocatore che ha risolto il contratto ma
anche, e soprattutto, che il club ha tesserato il nuovo giocatore esclusivamente a causa del recesso
subito.
In teoria, dunque, i costi sopportati dal club per sostituire il suo (ormai ex) dipendente
possono concorrere al calcolo della compensation purché sia dimostrato il nesso di stretta causalità
e questi siano perciò direttamente ed esclusivamente derivanti dalla risoluzione unilaterale e senza
giusta causa del contratto di lavoro.
In De Sanctis, il panel riteneva sussistenti le condizioni individuate dalla giurisprudenza
precedente per l’applicabilità del criterio dei replacement costs24: gli arbitri, infatti, condividevano
la tesi della società per cui il recesso esercitato da De Sanctis aveva reso necessario sostituire il
portiere che per tanti anni era stato titolare nella compagine friulana.
A tal fine, la strategia dell’Udinese era stata in primis quella di far rientrare alla base
Handanovic, all’epoca dei fatti in prestito al Rimini.
23
24
Cfr. Matuzalem, cit., 134 e ss.
Giova ribadire che, attesa la non esclusività dei criteri elencati dall’art. 17.1 Reg. FIFA, il collegio ha il compito di accertare se,
nel caso concreto, vi siano altri criteri oggettivi da considerare nel calcolo dell’indennità. Cfr., Matuzalem, cit., 133.
81
NOTE A SENTENZA
I replacement costs nell'indennità.…
De Sanctis, però, al momento del recesso aveva 30 anni, una lunga militanza in Serie A ed
esperienza sia nelle Coppe Europee che nella Nazionale Italiana; Handanovic, invece, aveva 22 anni
e nessuna presenza né in Serie A né a livello internazionale, ragion per cui l’Udinese tesserava
anche il più esperto Chimenti come immediato sostituto nel breve periodo per poi procedere al
graduale inserimento di Handanovic.
Il panel riteneva questa strategia ragionevole nonché provato lo stretto collegamento tra
recesso esercitato da De Sanctis e tesseramento dei due portieri sopra citati25.
Naturalmente, rispetto ai precedenti casi in cui il TAS aveva ripetutamente rigettato le
richieste dei club di inserire nell’ammontare dell’indennizzo anche i replacement costs, per
l’Udinese era più agevole raggiungere la prova sull’esistenza del nesso di causalità atteso che la
sostituzione riguardava il ruolo specifico ed unico del portiere; un altro dato decisivo, inoltre, che
rafforzava la posizione della società sul punto, era rappresentato dal fatto che i momenti di
tesseramento dei due portieri risultavano essere cronologicamente collegati alla partenza di De
Sanctis.
6. La specificità dello sport.
Dato che nel caso de quo l’importo dell’indennità era determinato anche ricorrendo al
criterio della specificità dello sport, ci si sofferma brevemente anche su tale figura.
Secondo l’elaborazione giurisprudenziale, la funzione di tale criterio sarebbe quella di
considerare, nell’iter di determinazione dell’indennità, elementi quali il principio di libera
circolazione dei lavoratori, le particolari esigenze e la speciale natura dello sport, la funzione
educativa dello stesso ma anche la sua dimensione economica e le implicazioni giuridiche e
commerciali derivanti da questo peculiare mercato del lavoro.
Ogni collegio, dunque, attraverso tale criterio dovrebbe assicurare che la soluzione specifica
del caso tenga in debito conto non solo gli interessi degli attori principali, club e giocatore, ma
anche dell’intera comunità calcistica.
Il criterio in discorso, quindi, rappresenta uno strumento che dovrebbe aiutare il panel a
verificare se la soluzione raggiunta risulti adeguata e corretta sia da un punto di vista strettamente
giuridico sia per quanto concerne la particolare realtà del mondo sportivo e gli interessi del
movimento calcistico.
25
Determinando l’indennità così come già illustrato al precedente paragrafo sub 2).
82
NOTE A SENTENZA
I replacement costs nell'indennità.…
Tutto ciò anche perché i giocatori rapprsentano – ad oggi – la risorsa principale per molte
società, sia in termini prettamente ludico-sportivi sia dal lato economico-commerciale, vista la
rilevanza che il loro valore assume anche nei bilanci societari26.
Per quanto concerne il peso del criterio in discorso nella quantificazione della
compensation, la specificità dello sport risulta essere un fattore correttivo eventuale, subordinato
agli altri criteri e sussidiario: questo servirà a verificare se la compensation già determinata sia
effettivamente adeguata ovvero se, alla luce del caso concreto e laddove le specifiche circostanze
non siano state già sufficientemente considerate alla luce degli altri criteri, sia necessario
correggerla aumentandone o riducendone l’importo27.
In De Sanctis, il collegio riteneva che, alla luce della specificità dello sport, la società
italiana non fosse ancora stata completamente ristorata del danno subito: a seguito del recesso,
erano stati osservati soltanto due dei cinque anni complessivamente previsti dal contratto;
l’Udinese, inoltre, aveva perso un giocatore chiave, con cui aveva raggiunto diversi traguardi
sportivi e che rivestiva un ruolo importante anche per sponsors e tifosi. Secondo gli arbitri, in
situazioni tali è probabile che, a causa di quanto sopra, la società debba incolpevolmente sopportare
nel breve periodo delle negatività difficili da quantificare e, pertanto, il collegio riteneva di dover
adeguare l’importo già determinato riconoscendo all’Udinese, ai sensi di quanto stabilito dal diritto
del lavoro svizzero, un’ulteriore somma pari a sei mesi di remunerazione come prevista nel
contratto tra De Sanctis e Siviglia28.
26
Cfr. Pyunik, cit., 40-41.
27
Cfr. El Hadary, cit., 235.
28
Cfr. Codice Svizzero delle Obbligazioni, artt. 42/2, 337/c, 337/d. Il limite dei sei mesi di salario è, in realtà, previsto a favore del
lavoratore in caso di recesso da parte del datore di lavoro (art. 337/c) mentre nel caso contrario l’art. 337/d prevede un’indennità
a favore del datore di lavoro pari ad un quarto del salario mensile e comunque riferita al contratto risolto. Il panel, tuttavia,
proprio in applicazione della specificità dello sport, individua la soluzione più equa considerando che nel mondo del calcio
potrebbe risultare eccessivo considerare a priori parte debole del rapporto il calciatore-lavoratore come, invece, normalmente
avviene nel diritto del lavoro “ordinario” (cfr., Matuzalem, cit., 156).
83
NOTE A SENTENZA
I replacement costs nell'indennità.…
7. Conclusioni.
I principi di diritto alla base del lodo De Sanctis confermano l’orientamento prevalente nella
giurisprudenza TAS in tema di art. 17 Reg. FIFA.
Il risultato è, innanzitutto, quello di un sistema basato su due pilastri: il perseguimento del
positive interest del danneggiato e la regola per cui non esiste un unico criterio di calcolo né criteri
prestabiliti per determinare l’entità dell’eventuale compensation.
Su queste fondamenta poggia poi l’interpretazione degli ulteriori criteri fornita dal panel nel
caso in questione e che – sulla scia di altre precedenti pronunce – conferma la propensione del
tribunale sportivo di ultima istanza per una concezione aperta ed estensiva delle modalità e degli
elementi da considerare in questa categoria di controversie.
Tale impostazione, d’altronde, appare condivisibile tenuto conto che da un organo di
giustizia sportiva altro non ci si dovrebbe aspettare che l’interpretazione e la concreta applicazione
di norme già codificate dall’organo legislativo, alla luce della ratio sottesa alle norme medesime.
La scelta FIFA è quella di scoraggiare le risoluzioni unilaterali senza giusta causa e,
coerentemente con il dato normativo, il TAS – anche in De Sanctis – conferma che un procedimento
volto a valorizzare al massimo le circostanze del caso specifico e ad evitare automatismi di calcolo
appare, allo stato, la migliore soluzione ermeneutica per il raggiungimento dei fini caratterizzanti il
sistema delle relazioni contrattuali vigente.
Quest’approccio case by case, se è vero che da un lato rende di fatto impossibile
preventivare le conseguenze economiche del recesso, dall’altro non esclude l’opportunità per il
recedente di far leva sullo stesso al fine di evidenziare le similitudini tra il proprio caso ed altri
precedenti e così stimolare un’applicazione analogica dei criteri ivi utilizzati.
In tal senso, alla luce dei lodi TAS emessi sul tema in questi anni, il percorso argomentativo
seguito in Webster probabilmente è ancora il metodo di calcolo più vantaggioso per il calciatore che
recede.
Tuttavia, viste le pronunce successive, non sembra che Webster possa rappresentare un
valido paradigma per i casi in discorso: troppo alto il rischio di creare un sistema di calcolo
automatico sulla base, peraltro, di condizioni contrattuali che – con il tempo – potrebbero rivelarsi
inadeguate al momento del recesso per la soluzione del caso specifico, con una conseguente
sottostima del danno effettivo da compensare.
84
NOTE A SENTENZA
I replacement costs nell'indennità.…
Più rispondente al principio del positive interest, allora, è la ricostruzione del valore dei
servizi persi al momento del recesso ovvero dei costi che il club sia costretto a sostenere per
ottenere servizi di analogo valore.
Riguardo al primo dato, se è vero che il valore dei servizi del giocatore è riflesso dalla
somma di salario e valore di mercato dell’atleta, in concreto quest’ultimo elemento, in assenza di
concrete offerte per il trasferimento o di altri validi parametri, non è sempre ricavabile né – ad oggi
– contribuiscono allo scopo le clausole di buyout inserite nei contratti in quanto troppo orientate a
costituire un mero deterrente piuttosto che riflettere il corrispettivo che il club accetterebbe per il
recesso anticipato ai sensi dell’art. 17 Reg. FIFA.
Per quanto riguarda, invece, eventuali replacement costs, la sensazione è che, portieri a
parte, sarà comunque arduo in futuro ottenere un indennizzo che ricomprenda tali costi attesa la
difficoltà di provare il nesso di causalità tra recesso e nuovo tesseramento, soprattutto in virtù delle
caratteristiche del mercato del lavoro nel calcio internazionale.
Tra le voci imprescindibili, pertanto, dovremmo ritrovare senz’altro le differenze salariali tra
vecchio e nuovo contratto, i costi d’investimento non ancora ammortizzati né assorbiti da
successive concrete offerte di trasferimento, nonché l’importante ruolo di verifica ed eventuale
armonizzazione riconosciuto alla specificità dello sport.
Lo scenario resterà al momento contrassegnato dall’imprevedibilità del calcolo, sia per
l’ampio spettro di criteri utilizzabili di caso in caso sia, ovviamente, vista la piena indipendenza di
giudizio di ogni panel rispetto ai precedenti.
(*) Avvocato ed esperto di diritto sportivo.
85
NOTE A SENTENZA
L'indennizzo da perdita di contratto.…
L'INDENNIZZO DA PERDITA DI CONTRATTO - PROBLEMATICHE
GIURIDICHE E FATTUALI CONNESSE ALLO STATUS DI “MINORE”
NOTA
A TRIBUNALE DI
VENEZIA, SEZIONE DISTACCATA DI SAN DONÀ DI PIAVE,
N. 252 DEL 7 LUGLIO 2011 (NON PUBBLICATA)
di Alessio Rui (*)
Con l'importante sentenza n.252, emessa in data 7 luglio 2011, il Tribunale Ordinario di
Venezia, Sezione Distaccata di San Donà di Piave, ha posto un importante tassello in merito alla
possibilità di indennizzare un atleta la cui carriera sia stata interrotta da incidente estraneo alla
propria attività sportiva, riconoscendo a costui l'esatto corrispettivo di quanto sarebbe andato a
guadagnare nelle stagioni successive, pur in assenza di un contratto.
Nella fattispecie, il danneggiato (di seguito definito “ricorrente”, “istante”, “deducente”)
lamentava di aver dovuto interrompere la propria carriera agonistica di giocatore di rugby, avviata
verso lusinghieri risultati, a causa dei postumi di un sinistro stradale, occorsogli mentre si trovava
alla guida del proprio motociclo e riconducibile all'esclusiva responsabilità di un terzo soggetto.
A seguito del sinistro de quo, l'atleta veniva costretto ad un'assenza forzata dai campi di
gioco per circa diciotto mesi che, da un lato gli impediva di partecipare a due stagioni agonistiche,
dall'altro, induceva una società professionistica di illustre pregio a rinunciare al tesseramento dello
stesso, nonostante gli accordi in tal senso, presi alla vigilia del compimento del diciottesimo anno
d'età del rugbista.
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NOTE A SENTENZA
L'indennizzo da perdita di contratto.…
Prima di cominciare l'analisi dell'isruttoria giudiziaria e delle risultanze emerse, andrà
doverosamente sottolineato come l'incidente stradale vada a collocarsi al termine della stagione
sportiva 2003-2004 che aveva visto l'istante teserato per l'A.S. Rugby San Donà.
Al termine della stessa, il ragazzo sarebbe stato tesserato, come detto, per conto di una
società di assoluto prestigio partecipante al campionato della massima serie, all'epoca denominato
“Top Ten”.
Sulla scorta degli accordi intercorsi, i dirigenti della suddetta compagine, suggerivano al
ragazzo e ai propri faniliari d'aspettare il raggiungimento della maggior età per la sottoscrizione del
contratto, la cui durata sarebbe stata di anni 4 con compenso annuale pari ad Euro 20.000,00.
Trovato l'accordo su dette basi, le parti attendevano lo spirare della fatidica data al fine di
formalizzare il tesseramento dell'atleta.
Sfortuna vuole che, nelle more dell'attesa del diciottesimo compleanno, il deducente
incappasse nel sinistro summenzionato a cui seguiva l'inattività di oltre diciotto mesi.
Ciò comportava il non tesseramento presso la società a cui si era “promesso”, e un notevole
ridimensionamento delle attitudini tecnico-agonistiche.
Si consideri a tal proposito come, nonostante i patimenti e le lesioni subite, il ragazzo, a
distanza di due anni dal sinistro, riprendeva a giocare nel campionato di seconda serie senza
raggiungere i livelli di rendimento precedenti l'infortunio.
Con la carriera interrotta, l'aspettativa di guadagni svanita e l'impossibilità di coronare il
sogno di diventare un grande rugbista, lo stesso decideva di ricorrere all'autorità giudiziaria,
chiedendo l'indennizzo di una serie di voci di danno contestualizzate al suo stato non solo di atleta
ma di “sportivo minorenne” su cui torneremo tra non molto.
Da qui, trae inizio la nostra analisi che, nel commentare la vertenza giuridica e la sentenza
emessa a chiosa della stessa, si concentrerà sulle possibilità di ottenere il legitttimo indennizzo da
“perdita di concreto ingaggio”, in assenza di contratto.
La locuzione testè virgolettata riporta testualmente il dettato della sentenza del Giudice del
Tribunale di San Donà di Piave, delineando anche dialetticamente la peculiarità e, per centi versi, le
difficoltà d'inserimento della fattispecie nell'ottica delle voci meritevoli d'indennizzo.
Si deve, peraltro, sottolineare come, secondo il ragionamento logico del Giudicante, la
liquidazione di detta voce ricomprenda anche altre
fonti di danno per cui era stata chiesta
un'ulteriore liquidazione.
87
NOTE A SENTENZA
L'indennizzo da perdita di contratto.…
Chi scrive non concorda con detto orientamento per i motivi che si andranno in seguito ad
esporre ma ritiene dover prima delineare lo scenario di tutte le situazioni potenzialmente originarie
di nocumento per l'atleta.
E ciò per specificare i singoli contesti giuridici ed evidenziare come, trattandosi di
minorenne, la vertenza ed il relativo contenzioso debbano tener conto di un maggior numero di
situazioni (se possibile, ancor più complesse), rispetto a quelle che gravitano attorno agli atleti
maggiorenni e, in taluni casi, professionisti.
La pronuncia in esame, unitamente all'istruttoria che l'ha preceduta, è l'ennesimo esempio di
come la tutela dell'atleta minore (anche in tema di interessi economici), non solo non rappresenti un
“minus” rispetto a realtà più importanti e mediaticamente acclarate, ma vada contestualizzata in
un'ottica più ampia, attingente anche a principi garantiti da convenzioni, da documenti legislativi e
dalla Costituzione Repubblicana.
Ecco perchè nel ricorso introduttivo redatto in nome e per conto dell'istante le voci di cui si
chiedeva l'indennizzo sono state rappresentate secondo l' elencazione cdi seguito riportata.
a) Danno per non aver potuto svolgere la propria passione sportiva;
In primo luogo, si deve considerare come l'interruzione dell'attività agonistica provochi di
per sé un danno del tutto estraneo alle qualità, alle attitudini e alle abilità tecnico agonistiche
dell'atleta.
Ciò, perchè, a prescindere dal valore sportivo dal soggetto che chiede l'indennizzo, ogni
persona, soprattutto in età minorile, ha il diritto di praticare sport non tanto (o meglio, non solo) per
dar sfogo al proprio spirito competitvo ma quale occasione di svago, divertimento e miglioramento
delle proprie attitudini psico fisiche.
Conclusione, questa, a cui si arriva sia prendendo spunto dai principi costituzionali che
analizzando l'elaborazione giurisprudenziale.
La nostra Carta Costiuzionale garantisce, a mezzo dell'art. 2, i diritti inviolabili dell'uomo
anche nelle forma sociali ove svolge la propria personalità.
Ne consegue la massima tutela nei confronti di chi, incolpevolmente, si trova nella
situazione di dover interrompere l'attività sportiva, rinunciando alla possibilità di arricchire il
proprio bagaglio formativo, sociale, atletico, addestrativo, previa rinuncia forzata allo sfogo, al
proprio divertimento, al proprio spirito ludico e all'espletamento della propia passione.
Nel caso di un minore, poi, l'interruzione di cui si discute risulta ancor più gravosa in virtù
della giovane età del ragazzo.
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NOTE A SENTENZA
L'indennizzo da perdita di contratto.…
Età, diciassette anni, in cui il bisogno di frequentare i campi da gioco non è sentito solo in
funzione del risultato e della competizione ma anche in funzione di un'esigenza di svago, di
socializzazione e di ritrovo con compagni coetanei, scoprendo altresì il piacere d'essere parte di un
gruppo, assaporando le delusioni delle sconfitte e le gioie delle vittorie come momenti formativi del
cammino personale prima ancora che sportivo-agonistico.
Valutazioni, queste, ormai acclarate negli ambienti giurisportivi, stante il conforto
dell'evoluzione giurisdizionale.
A tal proposito si ritiene di dover citare la sentenza n. 53/04 emessa dal Giudice di Pace di
Schio che, in ossequio all'orientamento consolidatosi, ha fatto propri i concetti suesposti
argomentando in tal modo: “non può dubitarsi che per un'adolescente, quale è l'infortunata, lo
svolgere attività agonistica sia di notevole importanza per il proprio sviluppo pisco-fisico”.
L'importanza di questa come di altre pronunce succedutesi nel tempo sta nel fatto che
l'indennizzo al danneggiato viene riconosciuto, a prescindere dal valore sportivo e dalle qualità
tecniche dell'atleta, per il solo fatto che lo stesso sia stato costretto ad interrompere una'attività
importante per il proprio bagaglio formativo e per il proprio percorso di crescita, a prescindere dai
risultati sportivi e/o agonistici.
Peraltro, in aggiunta ai concetti connessi all'art 2 Cost, è il caso di sottolineare come la
dottrina abbia delineato una serie di principi tratti da svariati testi legislativi.
Nella fattispecie, le deduzioni di parte istante hanno tratto spunto da alcuni cardini dell'opera
dottrinale dell'avv. Paolo Moro, facenti riferimento alla normativia vigente a tutela dei diritti del
“fanciullo”.
Tra i principi meritevoli di menzione vi sono, tra gli altri:
il diritto al gioco, spettante ad ogni minore stabilito dall'art 31 L. 27 maggio 1991, n. 176
che concede al minore “la possibilità di dedicarsi al gioco e all'attività ricreativa proprie della sua
età”
il diritto di praticare senza difficoltà la propria attività ricreativa rinvenibile nelle libertà
sociali ed individuali di cui alla Costituzione e nell'art 1 L. 23 marzo 1981, n. 91 che garantisce
l'esercizio dell'attività sportiva, sia essa svolta individualmente che in forma collettiva;
la libertà d'associazione, tutelata dall'art 18 della Costituzione, nonché dall'art 11 della
Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (L. 4
agosto 1955 n. 848) che, nel caso de quo, è stata spazzata via dalla necessità di interrompere per
89
NOTE A SENTENZA
L'indennizzo da perdita di contratto.…
più diciotto mesi la frequentazione del club di appartenenza e di quello ove il ragazzo sarebbe
andato a giocare.
Ecco perchè, in aggiunta alle classiche voci da danno biologico, peraltro già liquidate ante
causam, la prima istanza risarcitoria del caso che ci occupa, traeva origine dalla mera interruzione
della pratica sportiva, senza riferimenti al valore dell'atleta.
b) Danno da interruzione dell'atività agonistica;
Entrando nella specificità della materia sportiva, si deve prendere in considerazione la
seconda delle voci di danno di cui è stato richiesto l'indennizzo.
Questa non dovrà essere confusa con quella di cui al punto precedente, come purtroppo
qualche Giudicante tende a fare.
Ecco perchè diviene fondamentale scindere i due aspetti anche nella redazione degli atti
onde evitare che, in sede di liquidazione del danno, chi è chiamato a giudicare convogli l'indennizzo
dell'una voce all'interno dell'altra.
Prima dell'infortunio, il nostro ricorrente si stava rivelando un promettentissimo rugbista.
Sin dall'inizio della militanza nel settore giovanile dell'A.S. Rugby San Donà, si era sempre
distinto per le proprie qualità che gli permettevano d'essere stabilmente convocato nelle
rappresentative federali giovanili di rugby.
Delle continue convocazioni nella nazionale veniva, ovviamente, data contezza dimettendo
in atti le missive della federazione oltre che articoli di giornali e altra documentazione che attestava
il continuo impiego del ragazzo nelle rappresentative nazionali quali under 13, under 15, under 16,
under 17 ed altro.
Trattandosi di convocazioni avvenute con costante frequenza ed interrotte esclusivamente a
causa delle degenza seguita al sinistro, non vi erano dubbi sul valore sportivo del giocatore che,
sempre a causa dei postumi, aveva dovuto rinunciare alla partecipazione al torneo “9 serate di
rugby” la cui convocazione viene diramata direttamente dalla Federazione e durante il cui
svolgimento si incontrano tutti i migliori talenti emergenti nel panorama rugbistico.
Costituendo ciò un ulteriore nocumento per l'atleta, considerato come detta manifestazione
rappresenti un'importantissima vetrina agli occhi degli osservatori e dei talent scout più quotati,
appariva evidente l'entità del danno che andava a delinearsi.
Con la dimissione di una serie di documenti atti a dimostrare l'esistenza dei parametri
summenzionati, il patrocinio del ricorrente riteneva infatti provata la sussistenza di qualità tecnicheagonistiche di assoluto spessore.
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NOTE A SENTENZA
L'indennizzo da perdita di contratto.…
Ora, se è vero che le valutazioni in merito al grado di abilità e di bravura di un rugbista sono
suscettibili di variazione, stante il grado di soggettività di chi è chiamato a giudicare, è altresì vero
che, con il deposito della documentazione riguardante le convocazioni in nazionale e le referenze
giornalistiche, non potevano sussistere dubbi in merito alle aspettative di rosea carriera da parte
dell'atleta.
Veniva pertanto richiesta un'ulteriore somma a titolo d'indennizzo a seguito del danno da
interruzione forzata della carriera agonistica, indipendentemente dalla richiesta di cui al punto a),
che tenesse conto della perdita di chances patita dal ricorrente facente riferimento, tra le altre cose,
anche alla perdita dei contratti di sponsorizzazione che sarebbe conseguita al fermo forzato
dell'attività.
c) Danno per non aver potuto sottoscrivere il primo contratto da maggiorenne quale atleta di
società partecipante al campionato di massima serie;
E veniamo ora al punto focale di tutta la vertenza per cui la sentenza che stiamo esaminando
merita la nostra attenzione.
Come detto, i dirigenti di un'importante società avevano già delineato il passaggio del
ragazzo da tesserarsi presso detta compagine al compimento del diciottesimo anno d'età, che
sarebbe avvenuto in prossimità della stagione rugbistica 2004-2005.
L'accadimento del sinistro, con i sequenziali nefasti effetti, cambiava lo scenario, stante
l'impossibilità per l'atleta di scendere in campo per un lungo periodo e la realistica presunzione che
costui, sportivamente parlando, non sarebbe più stato lo stesso.
Con ciò svaniva la possibilita, già concordata, del tesseramento e con essa i sogni, le
speranze e le aspirazioni del ragazzo.
Chi scrive, nell'ottica di ragionare a latere della sentenza, non può tralasciare di analizzare le
difficoltà connesse ai limiti e ai vincoli procedurali di rito e di cercare di fornire un quadro più
realistico possibile di quelle che sono le possibilità di successo in simili vertenze.
Scopo del ricorrente, in relazione a questa richiesta d'indennizzo, era quello di ottenere
l'importo complessivo relativo ai quattro anni di contratto che avrebbe sottoscritto per l'importo pari
ad Euro 20.000,00 l'anno, come da accordi presi in attesa di formalizzazione il contratto, una volta
divenuto maggiorenne.
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NOTE A SENTENZA
L'indennizzo da perdita di contratto.…
E' evidente come, rispetto alla voci di cui ai punti a) e b), si colgano meno aspetti attinenti al
diritto dello sport; ad ulteriore testimonianza che l'ambiente giurisportivo non potrà mai pretendere
di rimanere indenne dalle dinamiche del diritto “ordinario”, nonostante una specificità di situazioni
e di contratti che, talvolta, sembrano eludere ai normali canoni civilisti.
Per giungere allo scopo risarcitorio, diveniva obbligatorio dare prova dell'accordo intercorso
tra le parti ma la mancanza della sottoscrizione del contratto risultava di per sé un notevole
ostacolo.
Si chiedeva, pertanto, d'essere ammessi a prova testimoniale, indicando tra i testi da sentire i
dirigenti che avevano portato avanti le trattative con la famiglia del ragazzo acchè dessero contezza
del raggiungimento dell'accordo.
Sul punto, ovviamente, vi era opposizione da parte del patrocinio resistente il quale eccepiva
l'impossibilità di provare l'esistenza di un simile contratto a mezzo testimoniale.
Riteniamo che ciò rappresenti il punto focale dell'intera vertenza e cioè il sistema giuridico
per riuscire a provare un accordo mai formalizzatosi a mezzo contratto, avente, per di più, quale
soggetto contrattuale uno sportivo all'epoca minorenne (e quindi rappresentato dai genitori),
destinato a sottoscrivere il contratto successivamente.
Ebbene, le rchieste del ricorrente hanno trovato conforto in quanto le problematiche
sovradescritte sono state “aggirate”, deducendo che non si voleva provare l'esistenza di un contratto
(cosa che oggettivamente non sarebbe stata possibile a mezzo testi, stante la somma di cui si
dibatteva), bensì l'esistenza di un accordo per cui al diciottesimo anno d'età si sarebbe dato vita al
contratto de quo.
Deduzioni confortate dalla giurisprdenza che, a mezzo della Suprema Corte ha stabilito che i
limiti ax art. 2721 c.c. operano “esclusivamente quando il contratto sia invocato in giudizio quale
fonte di diritto ed obblighi tra le parti contraenti” ( Cass. 18.11.2005, n. 24395)
Sul punto, diveniva fondamentale la testimonianza dei dirigenti che confermavano come la
sottoscrizione del contratto fosse stata procastinata al mero fine di permettere all'atleta il
raggiungimento della maggiore età.
Così facendo, ci si trovava di fronte ad uno scenario tale da sostenere tre diverse richieste
risarcitorie di cui l'ultima caratterizzata da una serie di peculiarità.
Il fatto che il deducente sia tornato a giocare su livelli più che discreti, pur senza tornare agli
standard di rendimento a cui aveva abituato prima dell'infortunio, non faceva che accrescere il
rimpianto per la carriera svanita.
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NOTE A SENTENZA
L'indennizzo da perdita di contratto.…
Sul punto, l'orientamento della Suprema Corte è univoco nel ritenere come il danno abbia da
valutarsi non solo per gli effetti immediati ma anche su base prognostica, sicchè, provata la
riduzione della capacità di lavoro specifica,
è possibile presumersi che anche la capacità di
guadagno risulti ridotta in proiezione futura, qualora la vittima già svolga un'attività o
presumibilmente la svolgerà. (Cass. 27.07.2001, n. 10289; Cass. 25.01.2008, n.1690).(nella
fattipecie l'attività rugbistica sarebbe stata l'occupazione totalitaria e la fonte di guadagno).
A supporto di quanto poc'anzi espresso valgano le parole della Suprema Corte: “Allorchè la
persona che abbia subito una lesione dell'integrità fisica già eserciti un'attività lavorativa (ovvero
quando pur non svolgendo ancora alcun lavoro ma essendo presumibile che lo svolgerà in futuro) e
il grado di invalidità permanente sia tuttavia di scarsa entità (cosidette micropermanenti) un danno
da lucro cessante conseguente alla riduzione della capacità lavorativa (nota o prevedibile) in tanto è
figurabile in quanto sussistano elementi per ritenere che, a causa dei postumi, il soggetto
effettivamente ricaverà minori guadagni dal proprio lavoro, essendo ogni ulteriore o diverso
pregiudizio risarcibile a titolo di danno alla salute, ovvero di danno morale” (Cass. 9 gennaio 2001,
n. 239; Cass. 11 marzo 2005, n. 5415).
La sentenza de qua, in realtà, ha liquidato in favore dell'istante solo la terza delle citate voci
di danno, assorbendo a questa l'inennizzo di cui alla prima delle tre istanze.
Per quanto concerne, invece, le istanze e le argometazioni relative alla perdita di chances
connessa a carriera agonistica, il Giudice ha ritenuto quest'ultima voce non meritevole di
liquidazione sulla scorta del fatto che, essendo il giocatore tornato alle competizioni, avrebbe, a suo
dire, patito di un'invalidità tale da non inficiare le proprie prestazioni, anche di alto livello.
Ora, se è vero che, da un punto di vista sostanziale, la liquidazione del danno per mancato
contratto copre abbondantemente le richieste sottese alla perdita di chances, è altresì vero che il
ragionamento alla base delle conclusioni del Giudicante presta il fianco ad una serie di precisazioni.
Ciò che è stato riportato in sentenza, come spesso accade, trae spunto dalle argomentazioni
del consulente tecnico nominato dal Tribunale.
Costui, riconoscendo un danno di perdita di chances per una sola stagione, argomentava nel
proprio elaborato peritale come la storia recente dello sport fosse piena di esempi di sportivi che,
sebbene colpiti in giovane età da infortuni tali da comprometterne un'intera stagione agonistica,
erano comunque stati “aspettati” dalle società che ne avevano da poco concordato l'acquisto.
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NOTE A SENTENZA
L'indennizzo da perdita di contratto.…
A tal proposito, lo stesso consulente forniva durante le operazioni peritali gli esempi di
famosi calciatori quali Roberto Baggio, Paul Gascoigne e Ronaldo correlando le proprie
affermazioni dalla circostanza secondo cui i suddetti, nonostante gravi infortuni, avevano avuto le
medesime chances di carriera.
Dette affermazioni abbisognano di alcune riflessioni:
In primo luogo, dobbiamo distinguere l'importanza e la fama dei soggetti nei cui confronti ci
imbattiamo.
Risulta, infatti, evidente per chiunque abbia un minimo di dimestichezza con le vicende
sportive, come i calciatori menzionati godessero al momento dei rispettivi infortuni di ampia fama a
livello internazionale, per aver già dato prova del loro valore in più di un'occasione grazie alle loro
prestazioni in seno a campionati professionistici.
Nella fattispecie, invece, si discuteva di un ragazzzo che, pur rappresentando uno dei più
importanti prospetti di campione in chiave futura, non poteva godere di altrettanta nomea.
In secundis, gli operatori del diritto dello sport non potranno non considerare come un simile
ragionamento non possa essere traslato in seno ad ogni disciplina sportiva, in considerazione del
fatto che le situazioni variano notevolmente a seconda del contesto.
Basti pensare alla circostanza secondo cui la cassa di risonanza del rugby risulta
mediaticamente molto inferiore a quella del calcio, con la conseguenza che i metri di paragone non
possono essere gli stessi.
Vieppiù, le compagnie assicurative che tutelavano le società che hanno “aspettato” i vari
Gascoigne, Baggio e Ronaldo, difficilmente prestano altrettanta tutela nei confronti di un rugbista
diciassettenne.
E, quand'anche fosse, non essendo in essere il contratto, sarebbe stato impossibile
sottoscrivere la polizza.
Insomma, per chi si imbatte in simili consulenze d'ufficio è fondamentale portare a
conoscenza del Giudicante quelle che sono le peculiarità di ogni disciplina, non solo dal punto di
vista tecnico ma anche mediatico e d'interesse, stante la differenza di situazioni insite alle varie
discipline.
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NOTE A SENTENZA
L'indennizzo da perdita di contratto.…
Ecco, perchè, paradossalmente quanto meno seguito è il tipo di sport in cui ci si imbatte,
tanto maggiore è la perdita di chances (ovviamente comparata ai parametri economici propri di
quella disciplina), perchè è più difficile recuperare credito quando non si è ancora famosi ed è ancor
più complesso indurre le squadre ad aspettare atleti che professionalmente “debbono ancora farsi”.
Le risultanze esposte in sentenza sul punto non possono, pertanto, essere condivise.
Ci si augura, pertanto, che i consulenti chiamati a periziare gli atleti dedichino in futuro
maggior attenzione alle dinamiche suesposte.
Vi è, d'altro canto, piena condivisione in merito alla liquidazione risarcitoria pari all'importo
comprensivo degli anni della durata del contratto; quella, per intendersi, descritta al punto c).
Superate le difficoltà procedurali di cui abbiamo detto in precedenza, con la sentenza in
esame, il Tribunale di Venezia, Sezione Distaccata di San Donà di Piave, ha coniato la locuzione
“danno da perdita di contratto”, sottolineando come
ciò di cui è stato privato il soggetto
danneggiato non sia l'importo di cui al contratto, bensì la possibilità di sottoscriverne uno, a seguito
di trattativa già definita, venuta meno per causa non imputabile al terzo durante il periodo
precedente alla sottoscrizione.
Con ciò determinando il legittimo indennizzo nei confronti di un ragazzo lanciato verso una
luminosa carriera.
Concludendo l'analisi, vi è la sensazione che il bicchiere abbia da vedersi “mezzo pieno”
perchè il fatto che un Tribunale abbia accordato un indennizzo da mancati introiti in una simile
situazione, pare da intendersi quale intenzione d'abbattere i vincoli alle liquidazioni prognostiche,
anche in seno a discipline e contesti (nella fatispecie quello giovanile) poco noti al grande pubblico.
Ora, per arrivare a livelli di tutela ancor più garantisti nei confronti delle aspettative di
carriera, sarà necessario ottenere migliori risultati in ambito di liquidazione da perdita di chances,
cosa che, come auspicato in precedenza, potrà avvenire solo quando i consulenti tecnici avranno
piena contezza delle peculiarità che stanno alla base anche dei contesti sportivi meno noti ove, come
detto, le problematiche sono maggiori.
(*) Avvocato del Foro di Venezia.
95
NOTE A SENTENZA
Il rispetto delle coordinate organizzative.…
IL RISPETTO DELLE COORDINATE ORGANIZZATIVE DI UN
CAMPIONATO: UN BENE COLLETTIVO?
NOTA A DECISIONE ALTA CORTE DI GIUSTIZIA SPORTIVA DEL 25.07.2011 TRA
UNIONE MONTECCHIO MAGGIORE S.R.L., MONTEBELLUNA CALCIO S.R.L., A.C.
ESTE , F.I.G.C. E LEGA NAZIONALE DILETTANTI F.I.G.C.
(PUBBLICATA SU WWW.CONI.IT)
di Andrea Petretto (*)
1. Il caso
La decisione in commento si presenta da subito interessante per il soggetto, terzo, che ha
condotto all’adozione della medesima.
Invero, quanto si andrà ad esaminare è la risultanza di un giudizio inizialmente proposto da
un soggetto terzo rispetto a quanto accaduto tra altre Società calcistiche.
Ciò che ha portato ad adire l’Alta Corte di Giustizia Sportiva, infatti, è stato il prodromico
reclamo proposto dalla Società Unione Montecchio Maggiore a r.l. (breviter Montecchio)
relativamente alla gara disputata ed al conseguente risultato tra la Montebelluna Calcio S.r.l.
(breviter Montebelluna) e la A.C. Este (breviter Este).
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NOTE A SENTENZA
Il rispetto delle coordinate organizzative.…
Nell’ultima giornata di Campionato di Serie D 2010-2011, la partita tra il Montebelluna e
l’Este si concludeva con la vittoria della prima che, contrariamente a quanto disposto dal C.U. n. 1
del 7 luglio 2010 della L.N.D., per mezzo del quale veniva imposto alle Società partecipanti
l’impiego di almeno quattro giocatori “giovani” per l’intera durata di tutte le competizioni del
suddetto Campionato – ivi comprese le sostituzioni dei partecipanti – dal 27° del secondo tempo
schierava solo tre “giovani”.
Detta irregolarità non veniva rilevata dalla società soccombente nella gara in oggetto, ossia
l’Este, bensì dal Montecchio che dall’esito della suddetta gara si sarebbe visto così costretto a
disputare i play-out per non retrocedere in Eccellenza.
Il giudice sportivo, dunque, riscontrando d’ufficio detta irregolarità sulla base delle
risultanze ufficiali di gara irrogava la sanzione della sconfitta a tavolino del Montebelluna portando
quest’ultima a ricorrere, tempestivamente, alla Corte di Giustizia Federale della f.i.g.c. che riteneva
di accogliere l’impugnazione, riformare la decisione di primo grado e, per l’effetto, ripristinare la
situazione antecedente.
Per tale motivo, dunque, il Montecchio, così costretto a disputare i play-out, proponeva
tempestivamente ricorso all’Alta Corte di Giustizia Sportiva la quale ha ritenuto di riformare
nuovamente il precedente esito di gravame e, per l’effetto, quindi, confermare nuovamente quanto
rilevato e deciso dal giudice sportivo di primo grado.
2. Il rispetto del corretto svolgimento di un campionato come bene collettivo
Il nodo su cui si sviluppano e si differenziano le decisioni della Corte di Giustizia Federale,
prima, e quella dell’Alta Corte di Giustizia Sportiva qui in analisi, poi, consta nella diversa
considerazione che detti organi giudicanti hanno posto in merito a quanto statuito dal combinato
disposto dell’art. 29 e dell’art. 33 del Codice di Giustizia Sportiva.
A tal proposito, degna di rilievo è l’attenta analisi effettuata dall’Alta Corte di Giustizia
Sportiva che non si è fermata ad un’analisi meramente letterale del contenuto delle norme
richiamate, ma ha compreso ed esplicato in maniera approfondita il reale significato e fine delle
norme richiamate e dei principi in esse contenuti.
È solo sulla base di dette considerazioni, infatti, che l’Alta Corte di Giustizia è giunta alla
riforma della precedente decisione della Corte di Giustizia Federale.
97
NOTE A SENTENZA
Il rispetto delle coordinate organizzative.…
Quest’ultima, invero, ha basato la propria decisione sulla convinzione che la violazione della
norma alla base del contenzioso – peraltro, non contestata né contestabile secondo cui è imposto
l’impiego di almeno quattro giocatori “giovani” nella disputa di ogni gara – non fosse rilevabile da
un soggetto terzo quale era il Montecchio.
Ebbene, proprio su questo punto l’Alta Corte fonda, nel merito, la propria decisione
ritenendo inevitabile riformare quella della Corte di Giustizia Federale.
Nell’applicare la norma contenuta nel suddetto articolo, in particolar modo sul principio
secondo cui sono legittimati a proporre reclamo solo “[…] le società ed i soggetti che abbiano un
interesse diretto […] ” allo stesso, l’Alta Corte compie un preciso e meritevole atto interpretativo lì
dove ricollega il richiamato interesse diretto ad un interesse collettivo (si potrebbe azzardare
un’analogia ad un interesse legittimo!) quale deve considerarsi il regolare svolgimento di qualsiasi
campionato attraverso il rispetto di quelle norme organizzative che lo caratterizzano.
L’Alta Corte, quindi, in casi come quello de quo, ritiene legittimato al reclamo anche un
soggetto terzo, poiché è stato violato un bene collettivo quale è il rispetto delle coordinate
organizzative di un campionato che “non può essere rimesso esclusivamente al potere di impulso (e
quindi, potenzialmente, all’arbitrio discrezionale) di soggetti portatori di interessi individuali”.
A sostegno di detta posizione è da richiamare quanto verificatosi proprio nel caso di specie
dove non è contestata, poiché, evidentemente, non contestabile la violazione di quanto statuito dalle
norme di settore.
Invero, fatto su cui si dovrebbe ulteriormente riflettere, nessuna (!) delle parti coinvolte ha
contestato la violazione compiuta dal Montebelluna nell’aver impiegato tre giocatori, anziché
quattro, contrariamente a quanto stabilito dalle norme federali.
Appare, pertanto, meritevole di certa condivisione e di apprezzamento la posizione adottata
dall’Alta Corte nel ritenere non applicabile la limitazione ai soli partecipanti alla partita la
legittimazione ad impugnare l’esito della stessa come sancito dall’art. 33 C.G.S..
Detta limitazione, infatti, secondo quanto statuito dall’Alta Corte non può ritenersi
conferente al caso de quo, poiché quanto verificatosi deve necessariamente porsi in una visione di
più ampio respiro, non potendo limitare le conseguenze di quanto accaduto e gli eventuali mezzi di
impugnazione alle sole parti coinvolte, poiché ogni singolo episodio di questo tenore va
inevitabilmente ad incidere sulla sfera di altre posizioni che meritano adeguata tutela.
98
NOTE A SENTENZA
Il rispetto delle coordinate organizzative.…
È, dunque, in quest’ottica e nel porre in primo piano l’interesse collettivo del regolare
svolgimento del campionato – di qualunque tipo, dilettantistico e/o professionistico – che trovano
supporto le motivazioni svolte dall’Alta Corte che hanno così condotto la medesima a cassare in
modo deciso l’eccezione di inammissibilità del ricorso per mancanza di notevole rilevanza.
L’Alta
Corte,
infatti,
censura
fortemente
quanto
sin
troppo
semplicemente
e
automaticamente viene eccepito dalle parti resistenti unitamente al fatto che si tratti di una disputa
riguardante un campionato dilettantistico.
Ciò, infatti, non può e non deve giustificare una trattazione diversa e/o semplicistica o meno
gravosa del settore dilettantistico rispetto al settore professionistico avendo entrambi un rilievo di
principio “pubblicistico” oltre che un’inevitabile incidenza a livello sportivo nazionale.
Alla luce di quanto sin qui esposto, quindi, ci si permette di richiamare i valori di lealtà e
correttezza, oltre che di buon senso, che a volte mancano in un mondo quale quello sportivo che ne
ha fatto i propri principi base e che vede in una decisione come quella appena illustrata la sua
miglior attuazione.
A conclusione, infatti, si ritiene di dover evidenziare il pregevole atto interpretativo e
attuativo svolto dall’Alta Corte di Giustizia Sportiva che ha esplicitato e affermato con chiarezza un
diritto dalla non facile attuazione, ma dalla preliminare e fondamentale importanza.
(*) Dottore, Assistente Università degli Studi del Foro Italico, Roma. .
99
NOTE A SENTENZA
PARTE TERZA
SAGGI
SOMMARIO:
MICHELA CHIARINI, Il futuro del calcio e il fair play finanziario
pag.101
PAOLO GARRAFFA, A small circular, large changes (more power to FIFA, or more
pag.115
responsibility for the National Associations?)
VINCENZO ALESSANDRO GRECO , Il nuovo accordo collettivo dei calciatori
100
pag.119
Il futuro del calcio:...
IL FUTURO DEL CALCIO: IL FAIR PLAY FINANZIARIO
di Michela Chiarini (*)
Il punto di partenza è chiaro: il calcio europeo resiste alla recessione, ma è necessario un
maggior controllo ed una maggiore attenzione sulla organizzazione e gestione economica delle
società di calcio per garantire alle stesse una reale stabilità a lungo termine.
Questo concetto, apparentemente, sembrerebbe semplice, ma non lo è affatto; pertanto, è
assolutamente necessario osservare globalmente la situazione di tutto l’universo calcistico, nelle sue
sfumature, per individuare e comprendere le ragioni che hanno portato alla necessità di dare una
nuova regolamentazione al settore.
Dall’analisi del “Deloitte Annual Review of Football Finance 2010” e dalla “Relazione
comparativa delle licenze per club” 1 emergono i primi dati statistici importanti.
Nel 2008/2009 i ricavi realizzati dal calcio europeo sono stati pari a 15,7 miliardi di euro,
risultato raggiunto nonostante la crisi economica globale. Le cosiddette Big Five (Francia,
Inghilterra, Germania, Spagna e Italia) hanno raggiunto i 7,9 miliardi, con una crescita lenta, ma
costante dal 2007/2008 ove i guadagni si erano fermati a 7,7 miliardi.
Le maggiori entrate, come è facile intuire, sono derivate dalla cessione dei diritti tv, dai
diritti commerciali e dalla vendita dei biglietti per le partite; ciò ha riguardato soprattutto la Ligue 1,
la Bundesliga tedesca e la Serie A italiana.
Nello specifico è possibile notare come i ricavi derivanti dai diritti tv continuano, e
probabilmente continueranno ad essere anche in futuro, la principale fonte di guadagno, la più
costante, pari nel 2008/2009 al 47% del totale valore che ha riguardato tutte le predette Big Five.
Un aumento del 2% circa ha interessato, invece, la vendita dei biglietti per le partite, mentre
i ricavi cd. commerciali hanno avuto un incremento del 5%.
1
Cfr., Comunicato stampa Deloitte Annual Review of Football Finance 2010 ( Deloitte Italy Spa) , Relazione comparativa Licenze
per Club – uefa.com (articolo pubblicato sul sito uefa.com il 12 marzo 2011).
101
SAGGI
Il futuro del calcio:...
Una valutazione separata va fatta, invece, per quanto concerne le presenze negli stadi perché
solo per tre delle Big Five vi è stato un aumento di introiti: Bundesliga, Liga spagnola e Serie A; ciò
nonostante vi siano fattori quali: la mancanza di stadi di proprietà (ad eccezione dello Juventus
Stadium) e la sicurezza di quelli esistenti che influiscono negativamente su tale trend positivo,
soprattutto in Italia.
Un leggero calo è stato rilevato per la Premier inglese e per la Ligue 1 francese.
Quest’ultima potrà, presumibilmente risollevarsi e di molto nel periodo in cui si svolgeranno i
Campionati Europei del 2016, grazie alla possibilità di investimenti agevolati e al globale
movimento economico che, eventi di tal genere, creano nel paese ospitante.
La Premier inglese ha mantenuto, a livello mondiale, il primo posto in termini di guadagni
arrivando a generare 2,3 miliardi di euro.
E’ pur vero che il deprezzamento della sterlina inglese del 7% ha influito concretamente, e
che vi è stato un aumento di valore della Bundesliga tedesca, ma ciò non ha scalfito di molto la
posizione del calcio inglese.
Al di fuori delle Leghe più importanti e di maggior rilievo, meritano tuttavia una posizione
concorrenziale di tutto rispetto quali “candidate sfidanti” : la Dutch Eredivise, la Premier League
Russa, la super Lig Turca e infine la Liga Portoghese.
Altri dati statistici che ci consentono una visione globale del fenomeno, anche nei suoi
aspetti più critici, sono stati affrontati, altresì, nella Relazione comparativa delle licenze per club
redatta dall’UEFA nell’anno 2010, giunta ormai alla terza edizione.
In essa, oltre ad analizzare, ovviamente, i bilanci finanziari dei club, 664 squadre in totale
quasi il 90% di tutti quelli di massima divisione, si è rivolta grande attenzione anche ad altri valori
che più o meno direttamente hanno o avrebbero potuto influenzare tutta la struttura del sistema
calcio dalla base sino al vertice.
Tra questi sono stati comparati: i risultati delle licenze per club e l’evoluzione del sistema
delle stesse licenze; le informazioni sulle dimensioni e la struttura dei campionati nazionali; le varie
strutture degli stadi e il loro afflusso; ed infine la relazione tra le risorse finanziarie, i successi sul
campo e le differenze temporali nelle finestre di trasferimento tra i vari paesi.
Sono emerse altresì tra i vari dati, criticità finanziarie relative ad un aumento del 9,3% dei
costi. Tale dato mostra, se mai ce ne fosse stato bisogno, una evidente crepa della redditività dei vari
club.
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SAGGI
Il futuro del calcio:...
Oltre la metà delle squadre europee hanno messo in evidenza perdite ingenti con un
allarmante 28% : “ogni 10 euro incassati 12 vengono spesi”.
E’ facile poi chiedersi quale sia il maggior costo per le squadre di calcio e l’ovvia risposta a
questa domanda è : “gli stipendi dei calciatori”, che sono arrivati a cifre astronomiche, con un
aumento dal 61% al 64%. Il tutto con un notevole rallentamento dei trasferimenti a causa della
evidente mancanza di liquidità dei vari club, compresi quelli più importanti.
Una prima ed ovvia conseguenza di tutto ciò è che gli investimenti a lungo termine in ambito
calcistico, ad esempio nelle strutture o nei vivai, sono davvero sporadici e la maggior parte delle
entrate viene subito reinvestita.
C’è, in sostanza, una iper-esposizione finanziaria dei club che spesso vivono al di là delle
loro possibilità e schierano giocatori che verranno pagati alle squadre di provenienza nelle stagioni
successive a quelle di acquisto.
Orbene, questi brevi dati costituiscono spunti di riflessione importanti per comprendere il
complesso stato del sistema calcio, con i suoi chiaro scuri - la “macchina del calcio” come viene
talvolta definita - e ci aiutano a capire i temi principali e le necessità più urgenti in cima all’agenda
dei principali organi del calcio europeo.
Le sfide del futuro così come definite dal Presidente UEFA sono chiare, ed è necessario
procedere ad una loro realizzazione se si vuol evitare una lenta, ma costante, implosione di quello
che viene considerato dagli appassionati e dagli addetti ai lavori lo sport più bello del mondo.
L’agenda è davvero ricca di impegni : una maggior cooperazione per la difesa dei valori
fondamentali del calcio da trasmettere ai giovani; la vendita centralizzata dei diritti televisivi delle
partite delle squadre nazionali per promuovere le stesse e dare lo spazio che meritano; una maggior
cooperazione e sintonia tra le federazioni; una lotta più concreta ad ogni fenomeno di corruzione;
un rafforzamento del sistema delle licenze per i club; la realizzazione di strutture più adeguate e un
maggiore impulso per i vivai.
Infine, ma non in ordine di importanza, essendo stata definita dall’UEFA la reale priorità, la
definitiva realizzazione dei cosiddetto fair play finanziario l’unico strumento di salvezza in grado di
garantire il “bene del calcio”.
Non a caso, infatti, tali argomentazioni hanno costituito la base della relazione che Michel
Platini, presidente UEFA, fresco di rielezione, ha evidenziato al Congresso ordinario di Parigi.
103
SAGGI
Il futuro del calcio:...
Egli ha esordito ribadendo, che, fin dal suo primo mandato, la lotta a qualsivoglia forma di
corruzione e alle scommesse illegali è stata una priorità, perché è una concreta minaccia “per lo
spirito e l’integrità del calcio”; tale obiettivo verrà raggiunto in cooperazione con le autorità
giudiziarie dei vari paesi, con la certezza, da un punto di vista di giustizia sportiva, che, in caso di
flagranza, per i soggetti coinvolti siano essi calciatori, arbitri, dirigenti o allenatori, è prevista la
radiazione definitiva dal mondo del calcio.
La sua attenzione si è rivolta poi, gioco forza, verso le “misure che costituiscono il
cosiddetto Fair Play finanziario” (il cd FPF), strumento volto “ad eliminare gli eccessi che hanno
portato alcuni club sull’orlo del disastro”, evidenziando una “tolleranza zero” per tutti coloro che
non rispettano le regole.
“Un opportuno regolamento é stato definito dal Panel di controllo finanziario dell’UEFApresieduto dall’ex primo ministro belga Jean Luc Dehaene – istituito per monitorare e assicurarsi
che i club di tutte le federazioni UEFA si attengano ai criteri di fair play finanziario contemplati nel
regolamento. Il concetto verrà applicato nel 2010, 2011, 2012.
I criteri di fair play finanziario diventeranno poi obbligatori dall’inizio del 2013/2014,
quando il Panel di Controllo Finanziario dei Club potrà iniziare ad irrogare sanzioni contro i club
sulla base delle dichiarazioni finanziarie del 2010/2011 e 2012/2013. In base al concetto di fair play
finanziario e al regolamento, i club saranno incoraggiati ad operare sulla base dei propri ricavi e a
non spendere oltre i propri guadagni. Inoltre, i club sono tenuti a saldare con puntualità le pendenze
economiche nei confronti di giocatori, autorità e altri club. Infine, dovranno fornire informazioni
sulla pianificazione finanziaria futura.
Il risultato auspicato è un approccio più disciplinato da parte dei club nei confronti delle
proprie finanze. Investimenti a lungo termine volti a favorire la crescita dei giovani e il
miglioramento delle infrastrutture del club devono avere la precedenza su spese speculative a breve
termine”2.
Il presidente UEFA ha poi aggiunto: “è un progetto complesso, ma che ritengo di vitale
importanza per il futuro del calcio, il Fair Play Finanziario non è stato concepito per mettere in
difficoltà i club. Al contrario, vuole aiutarli ad uscire da una spirale infernale che impedisce ad
alcuni di essi di avere un modello sostenibile a medio o lungo termine.
2
Cfr. “Fair Play finanziario per il bene del calcio” pubblicato su uefa.com il 27 agosto 2010.
104
SAGGI
Il futuro del calcio:...
I tifosi e gli appassionati di calcio non hanno alcun interesse nel vedere scomparire club
che fanno parte del patrimonio calcistico europeo a seguito di gestioni dissennate. Occorreva
l’intervento dell’autorità ed è quello che stiamo facendo”3.
Sulla stessa lunghezza d’onda riecheggiano sia le affermazioni del Presidente ECA,
l’Associazione dei Club Europei, Karl Heinz Rumenigge : “il progetto e le relative misure sono
state introdotte con il sostegno dei principali portatori di interessi del calcio europeo, in
particolare dei club.
Fin dal primo momento, ho sostenuto questo progetto, perché era già chiaro allora che il
calcio europeo per i club aveva imboccato una direzione sbagliata sotto il profilo finanziario.
E’ arrivato il momento di alzare il piede dall’acceleratore e rallentare, per iniettare
maggiore raziocinio nel calcio per club”.
Sia quelle del segretario generale UEFA, Infantino, per il quale: “nonostante gli utili
generati dal calcio abbiano continuato ad aumentare nell’anno finanziario 2009 per cui gli utili
per i club di massima divisione hanno raggiunto la cifra record di 11,7 miliardi di euro, l’aumento
dei costi ha creato un passivo netto di 1,2 miliardi di euro, quasi il doppio del risultato precedente.
Molti club spendevano cifre enormi per gli stipendi dei giocatori.
I debiti totali per i trasferimenti ammontavano a 2,2 miliardi di euro, di cui quasi 800
milioni da pagarsi non prima di 12 mesi” 4.
Il concetto di Fair Play Finanziario e i nuovi regolamenti, stante la loro rilevanza a livello
europeo e mondiale, sono stati presentati anche alla Commissione Cultura ed Istruzione a Bruxelles,
ove hanno trovato piena approvazione, in una affollata udienza formale, in cui sono intervenuti il
direttore delle licenze UEFA, Traverso, e lo stesso presidente della Commissione, i quali si sono
uniformati ai concetti già espressi dal Presidente Platini e da Rumenigge.
E’ bene sottolineare, tuttavia, che i primi passi dell’UEFA in tale direzione, in realtà, sono
stati mossi già con il “ sistema delle licenze per club” nato nel 2004-2005 proprio allo scopo di
promuovere la credibilità dell’industria calcistica e guardare ad obiettivi a lungo termine.
Per raggiungere tale traguardo sono stati determinati standard qualitativi e principi chiave
ben definiti: trasparenza, integrità, credibilità e capacità.
Sono stati inquadrati 36 criteri specifici di licenza e 5 categorie che possiamo considerare
come principali: sportivi, infrastrutturali, di organico, giuridici e finanziari.
3
Cfr. “ Fair Play Finanziario per la stabilità del calcio “ pubblicato su uefa.com l’11 gennaio 2011.
4
Cfr. “ Fair Play Finanziario per la stabilità del calcio” pubblicato su uefa.com l’11 gennaio 2011.
105
SAGGI
Il futuro del calcio:...
I criteri di ciascuna categoria sono stati classificati secondo tre diversi gradi che rispecchiano
la diversa natura degli stessi.
Criteri “A”: i criteri contraddistinti dalla lettera A sono vincolanti per tutte le società che
richiedono la licenza; infatti il mancato rispetto di uno solo di tali criteri comporta l’automatico
diniego della licenza.
Criteri “B”: i criteri contraddistinti dalla lettera B sono vincolanti per tutte le società che
chiedono la licenza. La mancata o incompleta presentazione della documentazione relativa a tali
criteri non comporta però il diniego della licenza. Infatti l’ufficio licenze UEFA, d’intesa con gli
esperti competenti, invia un richiamo ufficiale con l’indicazione del termine entro il quale la società
richiedente deve provvedere a sanare la situazione oggetto di contestazione.
Se tale termine trascorre infruttuosamente, l’ufficio licenze UEFA ne informa la
Commissione di primo grado, che valutati tutti gli atti, può disporne l’invio alla Procura Federale
per il deferimento del team alla Commissione Disciplinare.
Infine, i Criteri “C”: sono da considerarsi mere raccomandazioni e il loro mancato rispetto
non comporta né sanzioni disciplinari né il rifiuto della licenza stessa.
Appare opportuno precisare che tutto il processo organizzativo e funzionale relativo al
rilascio della “Licenza” è assoggettato anche ad una specifica certificazione di qualità da parte di
una società esterna: la Société Générale de Surveillance (SGS).
Ciò allo scopo di garantire sia una assoluta integrità e trasparenza del sistema sia omogeneità
nelle metodologie di valutazione e documentazione applicate, compatibilmente con le leggi vigenti
in tutti i vari paesi europei.
Ogni federazione ed ogni Organo previsto dal sistema Licenze UEFA dovranno pertanto
uniformarsi agli standard di qualità statuiti dal sistema delle Licenze UEFA.
Tuttavia, solo attraverso i principi emanati nel 2010, sia per integrare ed aggiornare il
sistema delle licenze per club sia per quanto concerne, in particolare, il fair play finanziario, si è
dato a tutto il movimento un impeto davvero vincolante, decisivo, concreto e mirato.
Infatti, oltre all’attuale sistema delle licenze per club, così come integrato, seguito dagli
appositi organi nazionali, di concerto con la divisione “federazioni nazionali dell’UEFA”, si attuerà
un monitoraggio continuo svolto da un Panel di controllo finanziario indipendente, creato dal
comitato esecutivo dell’UEFA (executive committee) che si focalizzerà sui club qualificati per le
competizioni UEFA.
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Il futuro del calcio:...
Così come specificato nel Manuale delle Licenze UEFA 2010 pubblicato dal CONI: la
licenza deve essere chiesta obbligatoriamente da tutte le squadre di serie A, può essere richiesta,
ma non è un obbligo da quelle di serie B e qualora una società si qualifichi per una competizione
UEFA in forza della classifica fair play, sarà ammessa solo se in possesso di licenza. Tutto ciò
ovviamente per aumentare la trasparenza e l’integrità del sistema a 360°.
Il Panel cd CFC è composto da esperti giuridici e finanziari totalmente indipendenti dalle
federazioni nazionali, campionati o club. Il suo compito sarà quello di assicurare che il sistema delle
licenze per club UEFA sia applicato correttamente in tutte le 53 federazioni e che i club, qualificati
per le competizioni UEFA, abbiano rispettato sia i criteri definiti nel Regolamento delle Licenze per
club sia quelli di fair play finanziario definiti dall’UEFA. Senza trascurare le “raccomandazioni” del
Comitato Licenze UEFA e del Consiglio Strategico Calcio Professionistico (PFSC); organo
quest’ultimo composto: sia dai rappresentanti dei campionati professionistici europei di calcio
(EPFL), sia dai giocatori (FIFPro Europe), sia dai club (ECA) che dal vicepresidente UEFA.
I punti essenziali del fair play finanziario approvati dalla commissione esecutiva UEFA che
possiamo sinteticamente riepilogare sono già chiari e riecheggianti nelle varie dichiarazioni
poc’anzi evidenziate:
Introdurre più disciplina e razionalità nel sistema finanziario dei club;
Abbassare la pressione delle voci salari e trasferimenti e limitare l’effetto inflazionistico;
Incoraggiare i club a competere nei limiti dei propri introiti;
Incoraggiare investimenti a lungo termine nel settore giovanile e nelle infrastrutture;
Difendere la sostenibilità a lungo termine del calcio europeo a livello di club;
Assicurare che i club onorino i propri impegni finanziari con puntualità.
Il punto di break-even, cioè il punto di equilibrio di bilancio, nel quale i costi vengono
pareggiati dai ricavi sarà poi la vera prova finale e il vero punto di svolta.
Nel primo triennio l’indebitamento dei club non potrà superare 45 milioni di euro, nel
secondo 30 milioni e dalla stagione sportiva 2017-2018 il deficit consentito sarà ulteriormente
abbassato. Non ne è stata decisa la misura ma, con l’obiettivo del pareggio di bilancio nell’arco del
triennio successivo, si può presumere che non sarà facile per il club rispettarla.
E’ stato poi precisato come, nell’ambito della “categoria spese”, non potranno essere
ricomprese ad esempio voci relative alla realizzazione e/o ristrutturazione di strutture sportive, agli
investimenti dei settori giovanili o ai progetti sociali dei club.
107
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Il futuro del calcio:...
Parimenti è stato sottolineato che gli indebitamenti non potranno assolutamente essere
ripianati da aumenti di capitale o prestiti, ma solamente da donazioni; ovviamente perché un
prestito grava inevitabilmente sul bilancio e in negativo.
Una donazione, invece, aiuta a ripristinare un equilibrio finanziario senza obblighi di
rimborso da parte del club e quindi senza pericolosi rischi.
La battaglia che sarà necessario affrontare riguarderà anche una consuetudine largamente
diffusa e che si è incrementata in questi ultimi tempi soprattutto in Italia: il cd prestito del calciatore
con diritto/obbligo di riscatto.
Il meccanismo è molto semplice. Il calciatore viene acquistato in prestito a costo zero per il
primo anno; il riscatto verrà pagato, rateizzato, negli anni successivi.
Sorge l’ovvia domanda del motivo di tale scelta e la risposta è che vi è la speranza delle
varie squadre a che il costo del lavoro possa scendere con la conseguente possibilità di
ammortizzare l’acquisto effettuato.
Tale prassi si scontrerà inevitabilmente con i nuovi principi di fair play finanziario perché i
pagamenti effettuati per l’acquisto incideranno tra gli stessi costi per tutti gli anni di contratto
concordati.
Un’ulteriore novità necessaria per la partecipazione alle competizioni UEFA a partire dalla
stagione sportiva 2012-2013 sarà, poi, secondo l’art. 35 del nuovo regolamento UEFA licenze per
club e fair play finanziario, l’obbligo per i club di nominare un funzionario per le relazioni con i
tifosi (SLO - Supporter Liaison Officer).
Tale soggetto avrà il compito di avere rapporti costanti con gli stessi, informarli delle
decisioni che il club potrebbe adottare o adotterà; o, al contrario, evidenziare al club le necessità
della tifoseria ed infine essere colui che costantemente intratterrà rapporti con le forze dell’ordine, i
responsabili per la sicurezza in materia di safety e security degli stadi e i funzionari degli altri club.
A tale scopo verrà creata una rete di contatti SLO per ciascuna federazione europea la quale
lavorerà in collaborazione con il team licenze per club dell’UEFA e alla direzione tifosi.
Nello specifico i “Criteri Legali” che i vari club dovranno seguire sono invece contenuti nel
titolo IV del Regolamento sul Fair Play Finanziario 2010 emanato dall’UEFA, quelli “economicofinanziari” nel titolo V (norme che ovviamente devono essere considerate anche in relazione agli
allegati del Regolamento in oggetto che costruiscono parte integrante dello stesso).
Principi cui si è uniformata, ovviamente, anche la Federazione Italiana Giuoco Calcio.
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SAGGI
Il futuro del calcio:...
Per quanto concerne i primi, essi sono rubricati a partire dall’art. 43 “Dichiarazione in
materia di partecipazione a competizioni UEFA per Club” secondo cui il club che richiede la
licenza, con dichiarazione legalmente valida, il cd. “richiedente”:
a) “Riconosce come giuridicamente vincolanti gli statuti, i regolamenti, le direttive, le decisioni di
FIFA, UEFA, delle federazioni affiliate UEFA, e, se del caso delle Leghe Nazionali, così come
la competenza della Corte di Arbitrato per lo Sport (CAS) di Losanna, come previsto nello
statuto UEFA”;
“A livello Nazionale, deve partecipare a competizioni riconosciute ed approvate dall’UEFA
(ad esempio campionato nazionale e coppa nazionale);
“ A livello internazionale, deve partecipare a competizioni riconosciute da UEFA o FIFA
(tale disposizione non si riferisce a partite amichevoli);
“Deve comunicare tempestivamente al licenziante ogni cambiamento rilevante o variazione
di grande importanza economica sopravvenuto al proprio interno”;
“ Deve rispettare le normative di licenze per club membri dell’UEFA ”;
“Deve attenersi e rispettare l’ UEFA Club Licensing and Financial Fair Play Regulations”;
“ Il club in questione autorizza l’autorità nazionale di gestione delle licenze per club, gli
organismi nazionali, l’amministrazione UEFA, il “Financial Control Club” e gli organi UEFA per
l’amministrazione della Giustizia di esaminare ogni documento ritenuto rilevante, nonché di
reperire informazioni da qualsiasi ente pubblico o organismo privato, nel rispetto della legge
nazionale”;
“Accetta che l’UEFA si riservi il diritto di attuare verifiche di conformità a livello nazionale
come da art. 71”;
Tale dichiarazione dovrà essere redatta da un persona autorizzata non più di tre mesi prima
della scadenza per la sua presentazione al concessionario dell’autorizzazione stessa.”5
Il successivo art. 44, invece, prevede delle informazioni legali minime che ogni società è
obbligata a fornire in modo da consentire un controllo che potremmo definire “di base”.
Le società di calcio dovranno quindi, seguendo i vari criteri legali, tra le altre cose, impegnarsi a
rispettare tutte le prescrizioni del “UEFA Club Licensing ad Financial Play Regulation”; esse
dovranno autorizzare sia i competenti organi del sistema, sia gli uffici dell’UEFA, sia il Club
Financial Control Panel e gli organi di Giustizia Sportiva dell’UEFA e, per quanto concerne l’Italia,
la FIGC, ad esaminare: le dichiarazioni, la documentazione, le informazioni fornite in base ai
5
Cfr. “UEFA Club Licensing and Financial Fair Play Regulations ed. 2010”.
109
SAGGI
Il futuro del calcio:...
regolamenti. Inoltre, dovranno concedere la possibilità di accedere ad ogni ulteriore informazione
e/o documentazione ritenuta rilevante sia presso le varie società che verso terzi nel rispetto della
legislazione vigente nei vari paesi.
Esse dovranno poi autorizzare i competenti Organi del sistema a trasmettere dati e
informazioni all’UEFA accettando anche controlli a campione svolti dalla stessa e dai competenti
Organi e accettando parimenti eventuali sanzioni disciplinari e tutte le decisioni adottate.
Ogni variazione relativa ai criteri previsti e alle comunicazioni effettuate agli uffici
competenti dovrà essere comunicata in tempi brevissimi.
Il soggetto richiedente la Licenza avrà poi determinati e specifici obblighi e dovrà fornire
dettagliate e precise informazioni societarie così come previsto specificatamente nel titolo V
dell’UEFA Club Licensing and Financial Fair Play Regulations, tra le più rilevanti si ricordano
quelle di seguito riportate.
L’art. 46 “Informazioni sulla struttura societaria” del medesimo regolamento con molta
attenzione precisa che : “Il richiedente deve produrre al licenziante un documento sulla struttura
del club contenente informazioni su eventuali società controllate e controllanti fino alla società
madre. Qualsiasi società associata o affiliata deve essere resa nota. Il documento deve chiaramente
identificare il soggetto membro dell’associazione affiliata all’UEFA e citare i seguenti dati per ogni
impresa “collegata” al richiedente la licenza: nome del soggetto giuridico; personalità giuridica;
informazioni sull’attività principale e altre eventuali dall’attività calcistica; la percentuale di
proprietà detenuta (e se diversa, la percentuale di voto esercitabile in assemblea); il capitale
sociale; il totale dei beni posseduti; i ricavi totali; il patrimonio netto”.
Infine “Tutti i compensi pagati ai giocatori, derivanti da obblighi contrattuali o legali, tutti
i costi/proventi sia di acquisizione che di vendita relativi al contratto di un giocatore, e tutti i ricavi
derivanti da incassi, devono essere contabilizzati nei libri contabili”.
Una norma apposita è stata prevista anche per ciò che concerne il bilancio d’esercizio delle
società. Proprio allo scopo di definire nelle forme più complete tutta la struttura.
In forza dell’art 47 del Regolamento si rileva, infatti, che: “ I bilanci annuali devono essere
presentati all’ente licenziante rispettando le scadenze di questo e dell’UEFA: Tali bilanci devono
essere controllati da un revisore indipendente.
Il bilancio annuale deve comprendere: stato patrimoniale, il conto profitti e perdite, il
rendiconto finanziario, l’elenco dei principi contabili adottati e altre note esplicative e una
relazione degli amministratori (…)”.
110
SAGGI
Il futuro del calcio:...
Nell’allegato VII relativo alla “base per la preparazione del bilancio finanziario” si indica,
inoltre, al comma I e II, come : “Il bilancio finanziario definito negli artt. 47 e 48 deve essere
basato sugli standard contabili richiesti dalla legislazione locale per le società per azioni
registrate- siano essi la convenzione finanziaria di riferimento applicabile della nazione in
questione, gli Standards Finanziari Internazionali di riferimento o gli Standards Finanziari
Internazionali di Riferimento per le piccole e Medie Imprese- indipendentemente dalla struttura
legale del richiedente la licenza”.
“ Il bilancio finanziario deve essere preparato basandosi sul presupposto che il richiedente
la licenza è una società attiva e continuativa, quindi proseguirà l’attività nel futuro più prossimo. Si
dà per scontato che il richiedente la licenza non abbia intenzione né necessità di entrare in
liquidazione, cessare l’attività o cercare protezione da creditori ai sensi di legge o regolamento”. Il
richiedente la licenza, poi, se ha il controllo su affiliate, dovrà presentare un bilancio consolidato
come se: “ gli enti inclusi nel periodo di riferimento, (definiti dall’art. 46) fossero un’unica
società”.
Sono possibili eccezioni, ma specificatamente indicate, e con conseguenze ben definite.
Un rilievo particolare è poi assunto dagli artt. 49 e 50 del Regolamento in oggetto.
La prima delle norme citate riguarda i “Debiti scaduti verso altre società”. Essa specifica
come: “Chi chiede la licenza deve dimostrare che al 31 marzo della precedente stagione non
esistevano suoi debiti scaduti per trasferimenti di giocatori avvenuti prima del 31 dicembre
precedente.” Il secondo comma sottolinea, inoltre, come: “nelle somme dovute ad altre società a
seguito di trasferimenti, vanno compresi l’indennità di formazione, ed i contributi di solidarietà
definiti nel “Regolamento FIFA su status e trasferimento dei giocatori” e altri importi
eventualmente dovuti .La società richiedente la licenza deve elencare tutti i trasferimenti (compresi
i prestiti) conclusi sino al 31 dicembre, indipendentemente dal fatto che vi sia un sospeso da pagare
a quella data. Inoltre, il richiedente la licenza deve riferire di tutti i trasferimenti che siano stati
oggetto di reclamo dinanzi all’autorità competente secondo la legislazione nazionale o
internazionale oppure davanti ad un tribunale arbitrale (…)”.
Il successivo art. 50 disciplina gli eventuali “Debiti scaduti verso dipendenti e fisco”: anche
verso tali soggetti la società richiedente la licenza non deve avere alcun tipo di vertenza o
qualsivoglia contenzioso. Parimenti, molto dettagliata ed attenta è la regolamentazione relativa al
procedimento di controllo degli organi competenti ex art. 54.
111
SAGGI
Il futuro del calcio:...
L’art. 57 emerge, invece, per il “valore premiale” ed “incentivante” che attribuisce a quelle
società che si qualificano per una competizione UEFA per merito sportivo, oppure, per i licenziatari
che dimostrano di avere entrate e spese inferiori a 5 milioni di euro per ciascuno dei due periodi di
rendicontazione, nei due anni precedenti l’inizio della competizione UEFA; esenzione decisa dal
“Panel” di controllo finanziario con carattere definitivo.
Il successivo art. 58 tratta un altro aspetto “particolarmente rilevante ed essenziale” sul tema
e cioè la “Nozione di entrate e spese rilevanti”.
E’ definito “reddito rilevante” quello derivante da:
Incassi;
Diritti televisivi;
Sponsorizzazioni e pubblicità;
Attività commerciale e altri proventi di gestione;
Cessione giocatori;
Cessione derivante da immobilizzazioni materiale e proventi finanziari;
Sono invece definite “spese rilevanti”:
I costi del personale;
L’ammortamento dei costi per l’acquisizione dei giocatori, per le iscrizioni, i costi finanziari
e i dividendi;
Le spese per lo sviluppo del settore giovanile;
Le attività di sviluppo della società;
Qualsiasi altra posta non monetaria;
Spese direttamente imputabili alla costruzione di immobilizzazioni materiali;
Le spese per tasse o talune spese per operazioni non di calcio.
E’ bene ricordare che non vi sono ricompresi: gli ammortamenti e le svalutazioni per
immobilizzazioni materiali e neppure gli ammortamenti e le svalutazioni di immobilizzazioni
immateriali diverse dal tesseramento e dalla registrazione di giocatori.
Il punto cardine della normativa in oggetto, come già accennato precedentemente, è, in ogni
caso, il cd “break-even” ed il suo concreto raggiungimento.
L’art. 60 evidenzia proprio la nozione di break-even raggiunto, mentre il successivo tratta, in
prospettiva, della cosiddetta “deviazione accettabile”.
“La deviazione accettabile di 5 milioni di euro è il massimo possibile defici. Si può superare
questo livello se le eccedenze sono interamente coperte da contributi da parte di azionisti o parti
112
SAGGI
Il futuro del calcio:...
correlate
(…). Al licenziatario è imposto l’onere di dimostrare la validità economica
dell’operazione che deve essere completa in tutti i suoi aspetti e senza alcuna condizione.
L’intenzione dei proprietari di dare un contributo non è sufficiente per essere presa in
considerazione (…).”.6
“L’obbligo di pareggio” ex art. 63 è soddisfatto se vengono rispettati tutti i presupposti e le
condizioni indicati nella predetta norma in correlazione con quanto disposto negli allegati del
Regolamento stesso.
Nessun indicatore deve essere violato e se ciò accade il licenziatario deve avere un surplus
per determinati e specifici periodi, oppure un determinato deficit complessivo con una deviazione
accettabile. Ovviamente l’obbligo di pareggio non è ritenuto raggiunto se vi sia un deficit superiore
all’accettabile deviazione di cui all’art.61.
Se il break-even richiesto non è soddisfatto, il “Club Financial Control Panel” può deferire il
caso agli Organi di Amministrazione di Giustizia, che adotteranno le misure appropriate.
Atteso ciò “il processo di rispetto del FFP e i risultati probabilmente saranno diversi da
paese a paese in quanto l’applicazione delle nuove regole a Federazioni e normative differenti e
regimi fiscali diversi creerà molto sicuramente dei disequilibri tra club appartenenti a Federazioni
diverse.
La concreta applicazione delle regole del FFP deve tener conto che le stesse fanno
riferimento essenzialmente alla redazione di bilanci di esercizio delle società di calcio redatti
secondo
principi
contabili
internazionali
IAS/IFRS
(International
Accounting
Standards/International Finantial Reporting Standards); nel nostro Paese la loro adozione è
obbligatoria- per quanto riguarda le società di calcio- solo per quelle società di calcio quotate in
mercati regolamentati (borsa valori).
Per tutte le altre società di calcio, i criteri di redazione di bilancio, i criteri di valutazione e
i prospetti formali contabili sono contenuti nella disciplina del Codice Civile ex art. 2423 e ss.
Nonché nelle norme specifiche elaborate dalla FIGC (norme NOIF). Si pensi, ad esempio, al
trattamento dei costi sostenuti per la promozione e l’organizzazione del settore giovanile, aventi
utilità pluriennali, sono capitalizzati nella loro globalità, senza riferimento alcuno ai singoli
calciatori e sono ammortizzati, in misura costante in cinque esercizi a decorrere dall’esercizio di
sostenimento degli stessi.
6
Cfr. “UEFA Club Licensing and Financial Fair Play Regulations ed. 2010”.
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SAGGI
Il futuro del calcio:...
Secondo invece i principi contabili internazionali IAS/IFRS dette tipologie di costi non
possono essere capitalizzate all’attivo dello Stato patrimoniale ma devono essere considerati
ordinari costi di esercizio e, quindi, devono essere iscritti nel Conto economico”.7
In conclusione, ogni ulteriore commento appare superfluo e ripetitivo: l’obiettivo da
raggiungere è sicuramente ambizioso ed impegnativo, è in atto una vera rivoluzione del sistema, ma
appare l’unica soluzione per garantire un futuro con regole certe e determinate per tutti i club ed
evitare che si possa intraprendere una via dalla quale appare fin d’ora molto difficile tornare.
Quello che è stato definito, da più parti,“il bene del calcio” non deve essere solo un concetto
astratto, ma il primo passo per realizzare una “nuova era” per tutti coloro che vivono il calcio
dall’interno e per il pubblico dei tifosi, nell’interesse di tutti e per tutti.
(*)_Avvocato del Foro di Brescia
7
Cfr. “La disciplina della redazione del bilancio di esercizio delle società di calcio. Confronto con l’esperienza internazionale ed
impatto del c.d Financial Fair Play” di Alberto Benoldi e Claudio Sottoriva, in RDES, vol. VII, Fasc. 1, 2011.
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SAGGI
A small circular, large changes...
A SMALL CIRCULAR, LARGE CHANGES
(MORE POWER TO FIFA, OR MORE RESPONSIBILITY FOR THE NATIONAL
ASSOCIATIONS?)
di Paolo Garraffa (*)
Has recently entered into force (taking effect from the 1 st of August) the Circular n. 1270 of
21st July 2011, which contains Amendments to the FIFA Disciplinary Code.
The amendments involve art. 61 - about Forgery and Falsification of a document - and art.
64 - about the Failure to respect decisions (the enforcement of them) - of the Code, in force since
1st January 2009.
The changes this circular implies are apparently small, but in terms of repercussions - most
likely very well known to the higher levels of FIFA - the consequences are far from not being
relevant.
The new art. 61 of FDC now gives the FIFA Disciplinary Committee the possibility to
sanction the association or the club held liable for an act of forgery committed by one of its officials
and/or players.
From a purely legal point of view, the amendment seems to introduce - even on this matter the principle of strict liability in sport, as it considers the association (or the club) liable for any
forgery committed by its officials (or players), in the case the author was not identified.
As a matter of fact, it is difficult to establish which consequences this amendment could
bring, as it is difficult to think in which cases a player could forge or falsify a document “to deceive
in legal relations”, apart the (many, and yet ruled) cases of falsification on an athlete´s identity, or
any other situation related to it (e.g. nationality or age), in which - on the vast majority of the cases the club is held responsible.
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SAGGI
A small circular, large changes...
The most relevant amendment involves art. 64, stating that: “the range of application of art.
64 of the FDC concerning the enforcement of decisions rendered by the Court of Arbitration for
Sport (CAS) is now exclusively limited to those cases that had previously been dealt with by a body
or a committee of FIFA”.
Furthermore, “in order to extend the responsibility for enforcing decisions to the
associations”, the Circular states that: “the association of the deciding body shall bear the
responsibility for enforcing any financial or non-financial decision that has been pronounced
against a club by a court of arbitration within the relevant association or by a National Dispute
Resolution Chamber (NDRC)”, both of which must be duly recognized by FIFA, as well as the same
principle must be applied to “a financial or non-financial decision pronounced against a natural
person”.
In other words, the amendment FIFA made on its Disciplinary Code implies that the only
CAS decisions it will enforce are those which have been previously dealt with by FIFA.
This last amendment could be read in (almost) three points of view: 1) a significant blow to
CAS; 2) a further increase of power on sporting matters in the hands of FIFA; 3) a (potential)
increase of responsibility to every single national federation, in order to ensure compliance with the
decisions of national sporting courts and making-bodies.
Why this amendment implies a significant “blow” to CAS?
Given how useful it was to have FIFA enforcing all its decisions and how much less power
the national federations have (for the moment), from now on the enforcement of the CAS awards
will be limited to the those cases which had previously dealt with a body or a committee of FIFA,
by excluding all those awards which had previously dealt with a national sporting court (or makingbody).
In this way, FIFA is passing basically its responsibilities to the national federations.
But the real answer to this question is related - on our opinion - to the second remark: the
increase on sporting matters´ power by FIFA.
Why FIFA made this amendment, and - most of all - which consequences this will bring?
The most natural answer is “to increase its power on sporting matters”, as is fairly intuitive
to point out that from now on there will be arbitration awards of “first class” (those whose questions
had been previously dealt by FIFA, or its decision-making bodies), and arbitration awards of
“second class” (those whose questions had been previously dealt by each national federation, or by
decision-making bodies belonging neither to FIFA, neither to national federations).
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SAGGI
A small circular, large changes...
It is clear that the possibility to enforce a decision is one thing, while the jurisdiction is
another (the CAS will continue to have the same jurisdiction as before: e.g. on the last instance
decisions of the sporting national courts, or internal decision-making bodies), but in a relatively
straightforward way we could consider that - as a result of this stance by FIFA - since FIFA wouldn
´t be able to enforce anymore decisions rendered by CAS on matters not previously dealt by it, the
parties will do everything to avoid the CAS jurisdiction (become useless to the parties), and go
straight to FIFA, in order to “secure” their contract in case of litigation.
What about cases where neither FIFA, not one of its member federations have rendered a
decision?
Thinking about cases where either CAS Ordinary proceedings, either CAS Appeal
proceedings had been previously dealt by other bodies than FIFA, as awards rendered on those
proceedings won´t be enforced by FIFA anymore (and enforcement by National Federations is not
that strong), this most likely will have a significant impact on the use of arbitration clauses in
contracts.
A lot of contracts - signed between the parties and clubs, or transfer contracts - without
possibility of enforcing a breach of a CAS award by going to the FIFA Disciplinary Committee will
be driven to new ones, in which parties will avoid CAS clause and put a “FIFA-clause” (plus an
appeal to CAS) to ensure the enforceability of it.
And is a matter of fact that FIFA is not so fast to make the enforcement of cases which have
been previously dealt by it.
So, on one hand the parties will have to give up to start legal proceedings in decision making
bodies different than the FIFA ones, and - on the other hand - the same parties will have to wait for
the execution times by an already busy and slow FIFA for the satisfaction of their rights.
Is that legitimate?
If yes, to what extent will be legitimate a clause which overtakes national jurisdiction on all
national sporting matters (and disputes), and delegates all to an international body, alien to their
disputes?
Above all: is that an abuse of dominant position?
Last question: the enforcement of the decisions rendered by national federations.
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SAGGI
A small circular, large changes...
As the enforcement of decisions rendered by the Court of Arbitration for Sport (CAS) “is
now exclusively limited to those cases that had previously been dealt with by a body or a committee
of FIFA”, this will drive every single national football federation to create a system (the most
effective way possible) to enforce decisions rendered by national sporting making bodies.
So if the Federations got it yet, this will force them to improve their system of enforcement.
But to get this, we remind that every single national federation must have an internal system
of DRC (Dispute Resolution Chamber) which must be recognized by FIFA.
On the other hand, if the recipient of the disciplinary measure should be a natural person
who in the meantime has changed the federation, then will be the new federation with which he has
requested the new affiliation in having to enforce the decision made earlier by the former
federation.
On this profile, this represents an increase of responsibility to the national federations, in
order to ensure compliance with the decisions of national sporting making-bodies.
If this is FIFA´s intention, the circular seems - on this profile - to lead into a positive effect.
(*)_Avvocato - Dottore di ricerca in Integrazione Europea, Diritto Sportivo e Globalizzazione Giuridica
presso l’Università degli studi di Palermo.
LLMM in International Sports Law presso l’ISDE («Instituto Superior de Derecho y Economia») di Madrid
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SAGGI
Nuovo accordo collettivo...
NUOVO ACCORDO COLLETTIVO DEI CALCIATORI
di Alessandro Greco (*)
Il nuovo accordo collettivo stipulato in data 5 settembre 2011 dalla Lega Nazionale
Professionisti di Serie A, dalla Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC) e dall’Associazione
Italiana Calciatori (AIC) nasce dall’esigenza di colmare la lacuna venutasi a creare il 30 giugno
2010, allorquando il precedente accordo collettivo stipulato tra la FIGC, la ex Lega Nazionale
Professionisti (LNP) e l'AIC è scaduto, atteso che l'art. 23 di detto accordo escludeva espressamente
la possibilità di un rinnovo automatico e di una proroga tacita dello stesso.
Inoltre, si rendeva ulteriormente necessaria una rinegoziazione del precedente contratto
collettivo giacché le parti contraenti dello stesso erano medio tempore cambiate: si ricorda, infatti,
che in data 1 luglio 2010, la LNP si era scissa ed erano, così, sorte due nuove leghe
professionistiche, la prima esponenziale delle società di Serie A (Lega Nazionale Professionisti di
serie A), la seconda di quelle di serie B (Lega Nazionale Professionisti di serie B).
In altre parole, non vi era più un’unica Lega quale parte contraente (vale a dire la ex LNP),
bensì due, ossia la Lega di Serie A e la Lega di Serie B.
Per oltre un anno si è, dunque, vissuti in una sorta di deregulation: senonché, nonostante la
tale situazione, non sì è in alcun modo prodotta una carenza assoluta di disciplina e di tutela in
quanto il rapporto di lavoro, precedentemente regolato dall'accordo (ormai scaduto), era in ogni
caso disciplinato dalle norme costituzionali (in particolare dall'art. 36 per ciò che concerne la
retribuzione), dalla legge n. 91/1981 (legge sul professionismo sportivo), dal codice civile, dai
principi generali dell'ordinamento sportivo, nonché dalle norme convenzionali eventualmente
esistenti, le quali possono manifestarsi anche per facta concludentia, con la prosecuzione delle
norme precedenti (Cass. n. 11602 del 2008).
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SAGGI
Nuovo accordo collettivo...
Sicché, i contratti in essere ossia in corso continuavano ad essere disciplinati dal precedente
accordo collettivo e continuavano ad avere i propri effetti fino alla loro scadenza naturale.
I problemi sorgevano, quindi, esclusivamente con riferimento ai rinnovi di contratto e alla
stipulazione dei nuovi contratti atteso che l'art. 4, comma 1, L. 91/1981 imponeva ed impone che il
contratto individuale soddisfi in primis il requisito della forma scritta, richiesta a pena di nullità, ed
inoltre il requisito della conformità al contratto tipo predisposto conformemente all'accordo di cui in
parola (requisito che non poteva essere soddisfatto mancando, proprio, l’accordo collettivo).
Al fine di chiarire la situazione creatasi dalla mancanza di un accordo valido e vigente, è
intervenuta l'Alta Corte di Giustizia Sportiva del CONI, la quale, attivata su richiesta della FIGC,
precisava, con parere n. 2/2010 (prot. n. 00238), come la nullità si riferisca solo alla mancanza della
forma scritta del contratto: sicché, l'obbligo di legge di conformarsi al contratto tipo, in mancanza di
un accordo collettivo, viene naturalmente violato.
Ma tale violazione, sempre secondo l’Alta Corte, doveva però essere valutata in base alla
rilevanza degli interessi tutelati e alla rilevanza delle difformità sostanziali rispetto alle previsioni di
legge (oltre a quelle federali): dunque, il contratto stipulato in forma scritta non conforme al
contratto tipo non era di per sé inidoneo e invalido per l'assenza di contrattazione collettiva, ma lo
era laddove non fosse stato conforme alle norme imperative statali e ai principi e alle regole speciali
dell'ordinamento sportivo.
L’Alta Corte precisava, altresì, che occorreva, comunque, tener conto che la conformità del
contratto era sempre oggetto di valutazione da parte della stessa FIGC posto che l'art. 4, comma 3,
L. 91/1981 prevede che la società, che stipula con il calciatore il contratto, ha l'obbligo di depositare
lo stesso presso la federazione sportiva nazionale per l'approvazione: approvazione che costituisce
condicio sine qua non per la validità del contratto stesso.
Tale situazione, di per sé già complessa - derivante dal perdurante non raggiungimento di un
accordo tra le diverse forze in campo, nonostante nel frattempo fosse stato raggiunto un sostanziale
accordo tra la Lega di Serie A e l’AIC - si è poi ulteriormente aggravata a causa dello sciopero dei
calciatori di serie A, in occasione della prima giornata di campionato valida per la stagione sportiva
2011/2012,.
Tralasciando le ragioni di tale contrasto, che hanno impedito per oltre un anno il
raggiungimento di un accordo tra le parti, è intenzione dello scrivente evidenziare, articolo per
articolo, le maggiori differenze e novità introdotte col nuovo accordo collettivo.
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SAGGI
Nuovo accordo collettivo...
È di palese evidenza come il primo elemento di differenziazione rispetto al precedente
accordo collettivo deve essere individuato nella diversità delle parti contraenti: ed invero, a seguito
del citato scioglimento della ex LNP, tale accordo è stato siglato (oltre che dalla FIGC e dall’AIC)
dalla sola Lega di Serie A. Pertanto, l’accordo collettivo de quo riguarda solo ed esclusivamente le
Società Partecipanti al Campionato di Serie A (Art. 1).
Il successivo articolo due, rubricato “Forma del contratto individuale. Patti limitativi della
Libertà Professionale”, prevede, così come in precedenza, che il contratto individuale tra Società e
Calciatore sia redatto sull’apposito modulo conforme al contratto tipo allegato all’accordo stesso,
precisando, però, come detto contratto non vada più redatto e sottoscritto in sei esemplari:
ed invero, la nuova formulazione della norma in esame richiede solamente tre esemplari, e
più precisamente, dispone che uno è di competenza del calciatore, uno di competenza della Società
ed uno (non più quattro) destinato al deposito presso la Lega a cura della Società.
Siffatto deposito, ai sensi dell’art. 3, dovrà, poi, avvenire entro 10 giorni (e non più 5) dalla
sottoscrizione presso la Lega di Serie A, la quale dopo aver effettuato le verifiche di sua
competenza, invierà lo stesso alla FIGC affinché quest’ultima fornisca la sua approvazione ai sensi
del citato art. 4 L. 91/1981.
Il nuovo dettato dell’art. 3 appare senz’altro maggiormente conforme e più aderente al
suddetto articolo 4 rispetto alla precedente formulazione: ed invero, il precedente art. 3 stabiliva che
fosse la Lega a dover approvare il contratto in questione, mentre la L. 91 prevede(va) che fosse,
proprio, la FIGC ad approvarlo.
Ulteriore novità emerge dal comma 6 dell’art. 3 dove si legge che “la Società ha diritto di
rivalsa nei confronti del diverso soggetto giuridico eventualmente responsabile” della mancata
approvazione del contratto da parte della FIGC.
Si tratta di una novità assoluta atteso che il precedente comma 6 nulla precisava a tal
proposito: ed invero, si limitava a riconoscere al calciatore un equo indennizzo da parte della
Società nel caso in cui il contratto non veniva approvato dalla Lega per fatto non imputabile ad egli
o al suo agente.
Sicché, oggi, laddove il contratto non sia approvato dalla FIGC, la Società risulta essere
maggiormente tutelata potendo agire in rivalsa nei confronti del soggetto (appartenente o meno alla
Società stessa) che sia ritenuto responsabile della mancata approvazione.
121
SAGGI
Nuovo accordo collettivo...
L’art. 4, disciplinate la Retribuzione del Calciatore, ha subito molteplici modifiche, la
maggior parte delle quali soprattutto organiche (l’articolo, infatti, non è più composto da 9 commi,
ma da soli 7).
In primis, scompare la definizione di retribuzione, in precedenza emergente dal primo
comma, il quale precisava, testualmente, che “ai fini del presente accordo (ossia quello
precedente), per retribuzione si intende il compenso convenuto tra il calciatore e la Società e
indicato, a pena di nullità, nel Contratto e/o nelle Altre Scritture. I rimborsi delle spese non fanno
parte della retribuzione”.
Si tratta di una scelta di politica legislativa non chiara atteso che, presumibilmente, la
scomparsa di tale definizione potrà creare confusione negli interpreti: ed infatti, occorrerà chiarire,
di volta in volta, se i rimborsi spesa facciano o meno parte della retribuzione.
Il nuovo comma uno conferma la possibilità (precedentemente prevista dai commi 5 e 6) che
la retribuzione del calciatore può essere fissa ovvero composta da una parte fissa ed una variabile, la
quale risulta legata ai risultati sportivi individuali del Calciatore stesso o collettivi di squadra ovvero
a obbiettivi non sportivi individuali del calciatore.
Senonché, col nuovo accordo collettivo è stata ampliata la percentuale della parte variabile:
ed infatti, in precedenza, la parte variabile non poteva superare, per ogni stagione sportiva, il 50 %
della parte fissa; mentre attualmente la misura della parte variabile varia in ragione della parte fissa.
Più precisamente, la parte variabile non può superare il 100% di quella fissa laddove
quest’ultima sia inferiore o uguale alla somma di € 400.000,00 lordi; mentre non ha limitazione
alcuna laddove la parte fissa sia superiore alla suddetta somma (ovvero nel caso di primo contratto
da professionista).
Il comma 2 prescrive che la retribuzione può essere espressa solo ed esclusivamente al lordo,
eliminando così la facoltà delle parti, precedentemente prevista, di specificare, oltre all’importo
lordo, anche il corrispondente netto. E che, nel contratto pluriennale, la retribuzione deve essere
indicata per ciascuna stagione sportiva (così come in precedenza disposto dal comma 3 dell’art. 4).
Il comma 3 precisa, così come faceva in precedenza il comma 4 del previgente accordo, che
“la quota lorda spettante quale partecipazione alle eventuali iniziative promo-pubblicitarie della
Società può essere o meno conglobata nella parte fissa della retribuzione. La relativa pattuizione
deve essere indicata nel Contratto e/o nelle Altre Scritture”.
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SAGGI
Nuovo accordo collettivo...
Il comma 4 non introduce alcuna rilevante novità giacché conferma la possibilità per
calciatori e Società di stipulare apposite intese aventi ad oggetto i cosiddetti Premi collettivi (ossia
premi legati al conseguimento di risultati sportivi di squadra). Si precisa però che tali intese devono
essere depositate presso la Lega da parte della Società (prima non veniva individuato in alcun modo
il soggetto tenuto a tale deposito) entro 20 giorni (e non più 10) dalla chiusura del periodo
trasferimenti di gennaio.
Neanche i successivi commi 5, 6 e 7 introducono alcuna novità atteso che ripropongono
quanto già previsto in precedenza, rispettivamente, dai commi 8, 5 e 9 del previgente art. 4.
Con riferimento al pagamento della retribuzione, l’art. 5 introduce unicamente due novità,
ossia:
- il comma 2 precisa che la retribuzione nella sua parte fissa deve essere corrisposta entro il
giorno 20 del mese solare successivo in ratei mensili, mentre prima nulla si diceva a tal proposito;
- il comma 3 esclude che i pagamenti possano avvenire tramite assegno circolare, dovendo
essere effettuati esclusivamente tramite bonifico presso l’Istituto Bancario indicato dal Calciatore
all’atto della sottoscrizione del contratto.
Nessuna novità emerge dagli artt. 6 e 7 disciplinanti rispettivamente la Formazione culturale
dei calciatori, e la preparazione precampionato ed allenamenti, la partecipazione alle gare e alle
trasferte.
L’articolo 7, commi 1 e 2, ha rappresentato uno dei punti di maggiore contrasto tra AIC e
Lega. Esso dispone testualmente che “la Società fornisce al Calciatore attrezzature idonee alla
preparazione e mette a sua disposizione un ambiente consono alla sua dignità professionale. In
ogni caso il Calciatore ha diritto di partecipare agli allenamenti e alla preparazione
precampionato con la prima squadra (…) Salvo i casi di malattia od infortunio accertati, il
Calciatore deve partecipare a tutti gli allenamenti nelle ore e nei luoghi fissati dalla Società,
nonché a tutte le gare ufficiali o amichevoli che la Società stessa intenda disputare tanto in Italia
quanto all’estero.
Obbiettivo delle Società di Serie A era quello di modificare tale norma in modo da di
istituzionalizzare la prassi dei c.d. fuori rosa ovvero dei calciatori costretti, per scelta dell'allenatore
o, più plausibilmente, della società, ad allenarsi individualmente o in piccoli raggruppamenti e
comunque non con il gruppo: ciò, non solo in ragione di un allenamento personalizzato o di
recupero, ma anche come sanzione/punizione ai danni del calciatore “ribelle”.
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SAGGI
Nuovo accordo collettivo...
Senonché, come evidenziato più volte dalla stessa AIC, la legittimazione degli "allenamenti
separati" avrebbe potuto avere come effetto solo quello di favorire e legalizzare condotte
qualificabili proprio come mobbing.
Giova precisare sin da ora, con riferimento all’art. 7, che le parti si sono date reciprocamente
atto che è loro intenzione concordare modifiche del parere interpretativo sull'art. 7 in modo, da un
lato, da rendere chiari i diritti dei Calciatori e, dall'altro, di individuare le modalità più moderne e
idonee per il regolare svolgimento degli allenamenti. Hanno inoltre precisato che qualora le
medesime non riuscissero a definire entro i prossimi 30 giorni (decorrenti dal 5 settembre 2011,
data di entrata in vigore del contratto in esame) un'interpretazione concordata, accettano sin d'ora
che si intenderà allegata al presente Accordo, per farne parte integrante, l'interpretazione resa
dalla FIGC in data 22 agosto 2011, con l’eliminazione dell’aggettivo “temporanee” a pagina 2,
rigo 24°.
Quest’ultimo precisa che per ambiente consono alla sua dignità professionale, deve
intendersi evidentemente quello dedicato al gruppo di prima squadra e quindi di migliore qualità
sotto ogni profilo tecnico- tattico- sportivo, con diritto del calciatore professionista di prepararsi
nell'ambito del programma generale finalizzato al raggiungimento dei migliori risultati della prima
squadra e di vedere curata la sua migliore efficienza sportiva, a cui corrisponde una facoltà della
società, attraverso il suo staff tecnico, di organizzare la preparazione per il raggiungimento di detti
obiettivi, anche attraverso allenamenti differenziati per ragioni tecniche temporanee, tra cui
devono comprendersi anche quelle per percorsi riabilitativi oltre che quelle tipicamente
tecniche(allenamenti per ruoli, allenamenti per esigenze tattiche, allenamento prepartita dei soli
destinati alla partita domenicale o di coppa ecc.).
Passando all’esame dell’articolo 8, rubricato “Limiti allo svolgimento di altre attività”, si
ribadisce il divieto per i calciatori di svolgere altre attività sportive, lavorative e/o imprenditoriali,
salvo la preventiva autorizzazione della società.
Col nuovo accordo collettivo, viene però formalizzata la procedura volta ad ottenere siffatta
autorizzazione. Infatti, mentre in precedenza, l’articolo 8 si limitava a precisare che era onere del
calciatore notiziare la Società dell’intenzione di svolgere ulteriori attività, l’attuale formulazione
dispone che l’eventuale diniego della Società dovrà essere succintamente motivato e dovrà essere
comunicato al Calciatore entro 45 (quarantacinque) giorni dal ricevimento della richiesta di
autorizzazione.
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SAGGI
Nuovo accordo collettivo...
Trascorso tale termine, senza che la Società abbia comunicato il proprio diniego,
l’autorizzazione si intenderà concessa.
In caso di diniego, competente a dirimere la questione è sempre il Collegio Arbitrale.
Nessuna novità è stata introdotta in materia di Tutela Sanitaria (art. 9), di Istruzioni tecniche,
obblighi e regole di comportamento (art. 10), nonché con riferimento alle azioni a tutela del
Calciatore (art. 12) e alla disciplina della morosità (art. 13).
Facendo un passo indietro, molteplici novità emergono, invece, dalla nuova formulazione
dell’art. 11.
Al calciatore inadempiente possono essere irrogate le seguenti sanzioni:
a) ammonizione scritta;
b) multa;
c) riduzione della retribuzione;
d) esclusione temporanea dagli allenamenti o dalla preparazione precampionato con la prima
squadra;
e) risoluzione del Contratto.
L’ammonizione scritta, consistente nell’intimazione al calciatore di non ricadere in futuro nel
medesimo inadempimento, può essere oggi applicata direttamente dalla società entro il termine
perentorio di venti giorni dalla conoscenza del fatto, previa contestazione scritta e ascoltato il
calciatore nei 5 giorni successivi la contestazione stessa. Non è più, quindi, necessario che la
domanda della società contenente la proposta di provvedimento sia inviata oltre che al calciatore,
anche al Collegio Arbitrale.
La società può applicare direttamente anche la sanzione ulteriore della multa, laddove però la
misura di quest’ultima non superi il 5% di un dodicesimo della retribuzione fissa annua lorda.
In generale, la multa non può superare il 25% di un dodicesimo della retribuzione e non più,
come in passato, il 30 %. È inoltre stato ridotta dal 60% al 50% di un dodicesimo della retribuzione
la misura della multa nell’ipotesi di cumulo di più infrazioni commesse nello stesso mese.
La procedura ordinaria per l’irrogazione di una sanzione è la stessa di prima, ossia la Società
deve inviare la proposta di provvedimento sanzionatorio sia al calciatore che al Collegio Arbitrale
entro il termine perentorio di venti giorni (non più dieci).
Ma siffatto termine, oltre ad essere più lungo rispetto a quello precedentemente vigente,
decorre ora non più dall’accertamento dell’inadempimento, bensì dalla conoscenza dello stesso o
dalla definitività del provvedimento di squalifica.
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SAGGI
Nuovo accordo collettivo...
Nessuna novità risulta essere invece apportata alla sanzione dell’esclusione temporanea dagli
allenamenti o dalla preparazione precampionato: ed invero, l’art. 11 precisa che “nel caso di
esclusione temporanea del Calciatore dagli allenamenti o dalla preparazione precampionato con la
prima squadra quando le condotte e le situazioni delineate siano tali da non consentire, senza
obiettivo immediato nocumento per la Società, la partecipazione del Calciatore alla preparazione
e/o agli allenamenti con la prima squadra, la Società medesima, previa contestazione scritta al
Calciatore degli addebiti, può disporre in via provvisoria e diretta l’esclusione dalla detta
preparazione e/o dai detti allenamenti, purché contestualmente inoltri al calciatore ed al Collegio
Arbitrale, con il procedimento con rito accelerato, la relativa proposta di irrogazione della
sanzione (salva ogni altra contestuale domanda, quali quelle di riduzione della retribuzione o di
risoluzione). Nel medesimo procedimento, il Calciatore potrà richiedere la reintegrazione o la
risoluzione del Contratto …”.
Con riferimento alla sanzione della riduzione della retribuzione due sono le novità di
maggior pregio, ossia:
- è esplicitato un concetto precedentemente meramente implicito, vale a dire la possibilità
che detta sanzione non sia applicata qualora il calciatore dimostri che la squalifica subita sia
conseguenza di comportamenti tenuti nell’interesse sportivo della squadra (es. fallo da ultimo
uomo); in precedenza ci si limitava a sottolineare che il C.A. teneva conto anche della natura del
comportamento irregolare e dell’elemento soggettivo senza altro aggiungere;
- la riduzione può essere pari all’intera retribuzione in caso di squalifica per doping.
Ulteriore novità riguarda la risoluzione del contratto, nel caso di calciatore tesserato a
seguito di cessione temporanea del contratto ovvero di compartecipazione: ipotesi precedentemente
non prevista.
Si precisa, a tal uopo, che “nel caso di Calciatore tesserato a seguito di cessione temporanea
del contratto (ivi compresi i casi di compartecipazione), alla risoluzione consegue il diritto della
Società cedente di pretendere il ripristino, con decorrenza dalla data di risoluzione, dell’originario
rapporto tra essa ed il Calciatore fino al termine originariamente previsto per tale rapporto. La
Società cedente decade dal diritto al ripristino decorsi quindici giorni da quello in cui ha ricevuto
informazione della risoluzione, informazione della quale è in ogni caso onerato il calciatore che
dovrà provvedervi in forma scritta. Il ripristino deve essere esercitato, dandone comunicazione
scritta al Calciatore, alla Lega ed alla Federazione”.
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Nuovo accordo collettivo...
La risoluzione del Contratto ovvero la riduzione della retribuzione per cause ricollegabili alla
malattia e all’infortunio sono regolate dall’art. 15 dell’accordo collettivo, che non ha conosciuto
alcuna modifica.
Alcune novità emergono, invece, dall’art. 14. Ed invero,
- il comma secondo, con una diversa formulazione, senz’altro più chiara, ribadisce che il
Calciatore si avvale, senza oneri e spese, dell’assistenza primaria che la Società mette a
disposizione;
- il comma 3, disciplinante il caso in cui il Calciatore non voglia avvalersi dell’assistenza
sanitaria fornita dalla società, precisa che è suo onere notiziare per iscritto la Società e dovrà, in tal
caso, avvalersi di soggetti e strutture “di specchiata professionalità e chiara fama”.
È, evidente, come rispetto alla previgente formulazione, il comma 3 imponga al calciatore
una scelta alternativa maggiormente coscienziosa, atteso che quest’ultimo non può affidarsi a
qualsivoglia struttura sanitaria, ma deve rivolgersi esclusivamente a strutture di comprovata
professionalità, ossia altamente specialistiche.
Inoltre, il comma 3 impone alle Società di stipulare delle polizze assicurative sanitaria al fine
di coprire i costi normalmente necessari per i trattamenti sanitari.
È, dunque, riconfermato che anche laddove il calciatore non si volesse avvalere dei servizi
sanitari offerti dalla Società, è sempre dovere ed obbligo di quest’ultima provvedere a coprire i costi
degli interventi svolti fuori dalla struttura societaria: ciò, però - utilizzando a tal uopo l’espressione
della precedente formulazione del comma 3 - sempre nei limiti dei costi normalmente necessari per
assicurare al calciatore un’assistenza specialistica.
Nessuna novità emerge, invece, dai successivi articoli 16 (Assicurazione Infortuni), 17
(Contributi Previdenziali), 18 (Riposo Settimanale e Ferie), 19 (Congedo Matrimoniale), 20
(indennità di fine carriera), 21 (Clausola compromissoria e Procedimento Arbitrale) e 22 (norma di
rinvio).
Risulta confermata, ai sensi dell’art. 23 (Durata), che l’Accordo non è tacitamente
rinnovabile né prorogabile e che avrà efficacia fino al termine della stagione sportiva ormai in
corso, ossia fino al 30 giugno 2012.
Con riferimento alla norma transitoria (art. 24), in disparte quanto già detto a proposito del
secondo comma, il terzo comma precisa che entro un ragionevole lasso di tempo, le diverse parti
contraenti converranno il regolamento del Collegio arbitrale.
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Nuovo accordo collettivo...
Siffatto regolamento, come chiarito dallo stesso comma in esame, si fonderà su tre principi,
ossia su tre regole base, vale a dire:
- l’arbitrato sarà irrituale;
- la sede del C.A. non sarà più Milano, ma varierà a seconda del valore della vertenza, ossia:
Per vertenze fino ad € 50.000, 00, la sede sarà Roma. Il Presidente, in caso di mancato accordo tra
gli arbitri, verrà nominato dal Presidente del Tribunale di Roma;
Per le vertenze di valore superiore o indeterminabile, la sede del C.A. sarà quella del luogo
ove ha sede la Società. In tal caso, il Presidente, in caso di mancato accordo tra gli arbitri, verrà
nominato dal Presidente del Tribunale dove ha sede l’arbitrato.
Pertanto, in caso di disaccordo tra gli arbitri nominati dalle parti, non si procederà più, come
in passato, alla nomina mediante estrazione a sorte, a cura del Segretario, tra i soggetti componenti
l’Elenco dei Presidenti, bensì mediante nomina diretta da parte del Presidente del Tribunale dove ha
sede l’arbitrato stesso.
Il nuovo accordo collettivo, a sommesso avviso dello scrivente, non ha introdotto delle
novità così rilevanti rispetto al clima che ne ha procrastinato per oltre un anno la stipulazione.
Ed invero, alcuni degli articoli maggiormente dibattuti (come ad esempio, l’art. 7 sulla
preparazione precampionato e sugli allenamenti) non hanno subito le modifiche volute fortemente
dalle Società di Serie A, giacché la struttura di tali disposizioni normative risulta essere
sostanzialmente riconfermata (fatta eccezione per alcune variazioni di poco conto).
In tal senso, la più rilevante novità è senz’altro rappresentata dalle modifiche apportate
all’art. 11 che consentono alle Società, in caso di inadempimento da parte del calciatore, di irrogare
alcune sanzioni (ammonizione scritta e multa non superiore al 5% di un dodicesimo della
retribuzione fissa) senza dover previamente adire preventivamente il Collegio Arbitrale.
La posizione delle Società si è, in tal modo, rafforzata avendo la possibilità di esercitare nei
confronti dei calciatori, propri dipendenti, una funzione repressiva tale da fungere da deterrente per
quei giocatori maggiormente inclini a comportamenti non conformi alle regole sociali, federali e
societarie.
(*)_Praticante Avvocato abilitato al patrocinio – Foro di Lecce
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