Velázquez su smartphone

ARTE & TECNOLOGIA
Velázquez s u smartphone
Diminuisce la fiducia nel potere dei pezzi originali
nel trasmettere conoscenza e comprensione. Così
i musei diminuiscono gli oggetti esposti e offrono
piú spazio gli apparati informativi tecnologici
di Salvatore Settis
orne la sua "sorella maggiore" di Parigi, la Scuola
Normale di Pisa, di cui si
celebra il 204° anno dal
decreto di fondazione, ha
nel suo DNA non solo la
ricerca e la formazione sul versante
umanistico e su quello scientifico: in
Normale s'è tentato più d'una volta di
gettare un ponte fra "Scienze" e "Lettere". Per esempio con le ricerche pionieristiche di Paola Barocchi sull'uso dell'informatica per la storia dell'arte; o con il
serrato dialogo di Lamberto Maffei con
gli storici dell'arte a proposito della neurofisiologia della percezione; o ancora
con gli studi sulla Torre di Pisa, della
quale, grazie all'incrocio fra sofisticate
tecnologie ingegneristiche e cultura della conservazione, si è potuta ridurre l'inclinazione di oltre il 10%, mettendola in
sicurezza per almeno 20o anni. E' di
questi mesi l'elaborazione di un modello a elementi finiti della Torre, che ne
simula il "comportamento" mediante
modellazione numerica, ma pienamente inglobando tutti i dati storico-archivistici dal 1173 ad oggi.
È in questo solco, mi pare, che si colloca il DreamsLab diretto da Enzo Barone
e anche questa tavola rotonda che proverò a introdurre brevemente. Comincerò
citando due recentissimi episodi, fortemente contrastanti tra loro: da un lato
la dura polemica di Alain Finkielkraut,
nel suo recentissimo L'identité malhereuse , contro la tecnologia che (secondo le sue parole) "sta uccidendo la cultura", al punto che "leggere un libro è come camminare liberamente su un sentiero; leggerlo su uno schermo è planarvi sopra, in superficie". Dall'altro lato,
una mostra egittologica al British Museum (Ancient Lives, new discoveries),
caratterizzata da una forte presenza di
technological devices: l'ultima stanza
della mostra contiene tre pilastri neri
con altrettanti schermi che mostrano
immagini 3-D di mummie, le stesse
esposte in originale nelle stanze precedenti, quasi che solo la ripetizione virtuale possa conferir loro una piena realtà. Ma la tecnologia aiuta a comprende-
re o invita alla superficialità?
E' questo un tema che sempre più invade i nostri musei, soggetti come sono
a una crescente pressione a giustificare
gli investimenti pubblici aumentando il
numero dei visitatori, e perciò sempre
più inclini a "cambiar faccia" rivestendosi o travestendosi con tecnologie alla
moda. In un libro del 2010, Steven Conn
si è chiesto fin dal titolo: Do Museums
still need Objects? E così commentava :
via via che diminuisce la "fiducia nel potere degli oggetti di trasmettere conoscenza, significato e comprensione", diminuiscono di numero gli oggetti esposti nelle gallerie dei musei, e intanto acquistano sempre piú spazio e peso gli
apparati informativi. La nuova esperienza del museo ha bisogno della tecnologia per parlare di storia, privilegia rappresentazioni virtuali della realtà, conferisce alle immagini su uno schermo o
su un cellulare un grado di verità e un'intensità di esperienza che non si propongono come equivalenti al contatto con
"la cosa vera", vogliono essere superiori
a esso. Consentono manipolazioni (per
esempio l'ingrandimento di un dettaglio), iterazioni dell'osservazione diretta (anche dopo la visita), archiviazione
delle impressioni momentanee, scambi
di opinioni via Facebook o simili. L'oggetto d'arte non viene inghiottito da
questa realtà virtuale arricchita, ma viene inteso sempre piú spesso come il mero innesco di un processo sensoriale e
intellettuale che si svolge preva- lentemente altrove.
Se parliamo delle Meninas di
Velázquez, per esempio, il 20%
dell'esperienza (diciamo) è davanti al
quadro nel museo del Prado; ma l'8o%
si trasferisce allo smartphone, all'iPad,
a un labirinto di modalità interattive
che consentono inedite forme di appropriazione. "In una società saturata di
media e iperconsumistica, gli oggetti di
per sé possono apparire noiosi e inerti"
(scrive Conn), e per competere con altre
forme di intrattenimento i musei ripensano se stessi in termini di realtà virtuale. Analogamente, va oggi di moda la cyber-archaeology, una pratica disciplinare che privilegia non l'interpretazione
storica dei dati di scavo ma la loro elaborazione per produrre una simulazione
tecnologica di siti archeologici. Lo sviluppo delle tecnologie di manipolazione dei dati tende a diventare il vero oggetto della ricerca; e in luogo dei frammenti ceramici recuperati in uno scavo,
l'archeologo maneggia e combina i bit
delle sue vaste basi di dati. L'illusione
rischia di prendere il posto della riflessione, la duplicazione tende a spodestare l'analisi storica. L'irriducibile diversità del passato si diluisce in un gratuito
bricolage presentista.
Queste nuove imprese culturali sono
secondo alcuni il prodotto di una democratizzazione della cultura, e chi osa criticarle pecca di elitismo. Come ha scritto Howard Kaminsky, nella nostra società di massa la funzione della scienza storica non è piú di imporre e accreditare
una qualche nuova narrazione, ma piuttosto di accumulare dati eruditi riversandoli in quel che si può immaginare
come un museo Storico Universale. Esso corrisponde alle esigenze del nostro
tempo come i supermercati, i centri
commerciali, Internet, la televisione e
le decostruzioni postmoderne della modernità tradizionale. Disneyland è l'epi-
tome, ma anche una causa importante,
di questa tendenza postmoderna a ridurre la nostra cultura da sistema strutturato e significante a una giungla di forme simboliche ri-confezionate senza alcun ordine o principio, in modo che tutte possano essere consumate indiscriminatamente come altrettante merci.
Non tenterò un'analisi di questa diagnosi, ispirata da un pensiero unico neoliberista, nobilitato come Zeitgeist ma
dominato dalla mercificazione del mondo. Vorrei solo sottolineare che, dal punto di vista di uno storico, i "dati eruditi"
da "accumulare" e mettere in vetrina
non possono essere mai intesi come indiscutibili, bensì come risultati (temporanei) della ricerca, e in quanto tali soggetti al dubbio. Una tecnologia che elimini il dubbio sarebbe, quella sì, nemica della storia.
:[PRODL
JNER
RVATA
ATTUALIZZARE LE OPERE I Un curioso fotomontaggio .
«Venere Rockeby»
di Diego Velázquez a conservata alla National Gallery di Lonc' a
Ieri si è inaugurato il nuovo anno
accademico della Scuola Normale
Superiore di Pisa con un simposio dal
titolo: «Reale o virtuale? Scienza e arte
aprono nuovi percorsi attraverso antiche
frontiere». Pubblichiamo qui l'intervento
di Salvarore Settis.