Vesprino 57 - Lions Palermo dei Vespri

Numero 57
novembre 2014
il diario on line
del Lions Club Palermo dei Vespri
Lions Club Palermo dei Vespri - Distretto 108 Y/b - Circoscrizione I - Zona 1
Lions Club
2
EDITORIALE DI NOVEMBRE
Care Amiche, Cari Amici, non
si può non continuare a parlare
d’Europa non soltanto per il venticinquesimo anniversario della caduta del Muro di Berlino avvenuta
il 9 novembre 1989, non solo per il
semestre italiano di presidenza europea, ma perché è una realtà con
la quale ci scontriamo ogni giorno,
Gabriella Maggio
ma talvolta, ammettiamolo, anche
ci incontriamo piacevolmente.
Le grandi aspettative diffusesi nell’opinione comune il
9 novembre 1989 sembravano assicurare un futuro migliore a tutto il mondo.
Si sanciva lo sgretolamento dell’impero sovietico e la
vittoria del capitalismo, si aveva la certezza che il periodo storico iniziato con la rivoluzione di ottobre si
era definitivamente concluso. Oggi l’opinione dei più è
mutata ed a qualche esperto l’evento è apparso simile al
cavallo di Troia, cioè a uno strumento apparentemente
benefico, ma di fatto distruttivo. L’Europa appare tanto
ripiegata sulla sua crisi, da non avere slancio per comprendere il mondo di cui non è più uno snodo centrale
anche se spesso lo dimentica. E non sa adeguare il suo
sistema organizzativo e sociale al mondo che cambia.
La lunga crisi economica sta facendo affiorare l’ idea di
una crisi della democrazia. Ma non si tratta di questo.
E’ l’eco della crisi esterna che richiede misure impopolari. Per sua costituzione la democrazia è sempre in
crisi perché l’ideale di uguaglianza e quello di buon governo sono approssimati.
Dal momento che gli stati che col voto controllano i governi affrontano meglio la globalizzazione, si dovrebbe
pensare ad un cambiamento politico all’interno dell’Unione Europea in maniera che il Parlamento controlli
il Governo
INDICE
Invito del Presidente
Lions Club
pag. 3
Charter Night
Attilio Carioti
“ 4
Condoglianze
Lions Club
“ 5
Riflettiamo
Natale Caronia
“ 6
Giornata di solidarietà
Attilio Carioti
“ 7
Frutta e verdura
Claudio Riolo
“ 8
9 novembre 1989
Gabriella Maggio “ 9
Il realismo analitico
di F De Roberto
Tommaso Aiello “ 10
Una bella Domenica Lionistica Attilio Carioti
“ 12
Chiesa del Monastero di S. Chiara Giacomo Cangialosi“ 13
Congratulazioni
Lions Club
“ 14
C. Barbieri e F. Schiller
Carlo Barbieri
“ 15
Tosca
Salvatore Aiello “ 16
Modernità di un messaggio
Corrado Coletta “ 18
Il pareggio del bilancio statale Irina Tuzzolino “ 19
La liquida mattina
Carmelo Fucarino “ 20
25 novembre
La redazione
“ 20
Recensione al romanzo di D. Scimeca
Il mistero della tomba di Federico II Lavinia Scolari
“ 22
Giannino Balbis
Francesco Luzzio “ 24
La Prima Guerra Mondiale
vista dagli scrittori
Gabriella Maggio “ 25
Su invito F. Freni Terranova “ 26
Gli enigmi irrisolti di P. Modiano Carmelo Fucarino “ 27
Hanno collaborato:
Salvatore Aiello, Tommaso Aiello, Carlo Barbieri, Giacomo
Cangialosi, Attilio Carioti, Natale Caronia, Corrado Coletta,
Franco Freni Terranova, Carmelo Fucarino, Francesca Luzzio,
Claudio Riolo, Lavinia Scolari, Irina Tuzzolino
Lions Club
INVITO DEL PRESIDENTE
DEL L.C. PALERMO DEI VESPRI
ANTONELLA SAVERINO
Carissimi soci, il 3 novembre alle 17.30
siete invitati
all’incontro con i giovani disabili
dell’ Ass. A. Fa. Di Onlus
via G. Libertini,15 Palermo.
3
Lions Club
4
Mito
CHARTER NIGHT
DEL L.C. PALERMO DEI VESPRI
Attilio Carioti
Lunedì 27 ottobre 2014 a Palazzo Mazzarino il L.C. dei Vespri ha celebrato la diciannovesima Charter Night, ospite
dei Marchesi Annibale e Marida Berlingieri di Valle Perrotta. Erano presenti il Governatore del Distretto 108 YB
Salvatore Ingrassia, il Past Presidente del Consiglio dei Governatori Salvatore Giacona, l’immediato Past Governatore Gianfranco Amenta, il Vice Governatore Franco Freni Terranova, i Past
Governatori Franco Amodeo, Amedeo
Tullio, il Presidente della Zona tre Marina Fonti, il Presidente del Centro Studi
Giuseppe Ingrassia, Officers Distrettuali
e di Club. La serata si è aperta con la cerimonia d’ingresso del nuovo socio, Giuseppe Madoglio.
Da sinistra il Governatore, Giuseppe Madoglio, Antonella Saverino
Il Presidente dei Vespri, Antonella Saverino, ha illustrato il programma del suo
anno sociale denso di impegni sul territorio indirizzati alla solidarietà, ricevendo il plauso delle autorità distrettuali,
che hanno sottolineato come il Palermo
dei Vespri abbia mantenuto sempre alto,
sin dalla sua fondazione, il prestigio del
Lions International.
Lions Club
Il Presidente del Lions Club Palermo dei Vespri
a nome di tutti i Soci esprime le più sentite condoglianze
al Socio Giuseppe Sunseri
ed alla Sua Famiglia per la morte della suocera.
5
Attualità
6
RIFLETTIAMO
Natale Caronia
Ricevo da una mia corrispondente francese una serie di
riflessioni su cui val la pena meditare.
-
In Cina la popolazione è di un miliardo e trecentomila persone.
-
In India di un miliardo e centomila.
-
I cinesi che possiedono un’intelligenza superiore alla media sono potenzialmente più numerosi degli
abitanti di tutta l’America settentrionale.
-
Molto presto la Cina sarà il paese più anglofono
del mondo ed i cinesi parlanti inglese saranno più numerosi degli americani e degli inglesi messi insieme.
-
Se si delocalizzassero in Cina tutti gli impieghi
dell’America latina e dei Caraibi non vi sarebbero abbastanza posti per tutti i cinesi in età di lavoro. Durante la
lettura di questa pagina sono nati 60 bambini in USA,
244 in Cina e 351 in India.
-
Secondo il Segretariato all’impiego USA un lavoratore cambierà almeno 14 impieghi prima di raggiungere i 38 anni lavorativi.
-
Attualmente un impiegato su 4 ha un contratto
di lavoro inferiore ad un anno e più del 50% ha un’anzianità inferiore a 5 anni nel proprio posto di lavoro.
-
Gli 8 impieghi più richiesti nel 2015 non esistono ancora; come ci si può preparare a degli impieghi
che non esistono ancora, per utilizzare tecnologie da
inventare o risolvere problemi che non possiamo immaginare?
-
Nel 2002 la Nintendo ha investito più di 140 milioni di dollari nella ricerca. Nello stesso anno in America latina nessuna grande compagnia ha speso più del
10% di questa somma nella ricerca.
-
Il gruppo LG conta più di 24.000 laureati in
scienze nel suo personale. Molti paesi dell’America latina contano meno di 16.000 persone laureate in scienze.
-
Nel 2006 l’8% degli sposi si è conosciuta via internet.
- Ci sono più di 100 milioni di iscritti a Myspace.
com. Se Myspace fosse una nazione avrebbe più abitanti della più parte dei paesi della terra. Ogni cliente
si Myspace visita il sito mediamente 30 volte al dì.
- Google riceve più di 300 milioni di domande di
ricerca al dì; molti si chiedono come poteva funzionare il mondo prima di Google.
- Più di 6 milioni di messaggi sono inviati e ricevuti al dì.
- Ogni giorno sono pubblicati 3.000 libri.
-
Il New York Times pubblica in una settimana
più informazioni di quante ne riceveva nel corso della
sua vita una persona del XVIII secolo.
-
Ogni anno sono prodotte 40 exabyte (4x10 potenza di 19) di nuove informazioni. Questo volume
supera le informazioni prodotte nel corso degli ultimi
5.000 anni.
-
Attualmente le nostre conoscenze raddoppiano
ogni due anni. Nel 2021 raddoppieranno ogni tre giorni.
-
Nel mondo squillano 150 milioni di telefonini al
secondo.
-
Nel 2009 sono stati costruiti 150 milioni di computer portatili.
-
E’ pensabile che sia stato prodotto già un computer che superi le capacità del cervello umano. Nel
2023 questo computer costerà meno di 500 Euro.
-
Il tempo passa sempre più in fretta. Che significa ciò?
-
Un mondo inimmaginabile è in corso; siamo
preparati? Non è il momento di riflettere?
Ed in questo turbinio il nostro Paese si presenta immobile, attanagliato in lungaggini e diatribe inconcludenti
volte a difendere consensi elettorali e poltrone mentre la
nave stenta a navigare.
L’Italia ha avuto periodi ben peggiori di quelli attuali,
ma in passato la voglia di andare avanti ha spronato la
gente, volontà che oggi pare affievolita in attesa di qualche scossa che tarda ad arrivare.
In un contesto globalizzato, di cui facciamo parte, non è
più pensabile perdere altro tempo.
Bisogna prenderne atto ed agire di conseguenza. Ne saremo capaci?
Lions Club
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GIORNATA DI SOLIDARIETA’
Attilio Carioti
Il Lions Club Palermo dei Vespri ha dedicato la giornata del 3 novembre 2014 ai disabili assistiti dall’Associazione
A.F.A.DI. ed alle loro famiglie.
Nella foto un momento
di piacevole integrazione
e scambio d’esperienze. Il
Club donerà all’Associazione
i fondi raccolti con lo spettacolo di Gianni Nanfa al
Teatro Jolly.
Alimentazione
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Cultura
FRUTTA E VERDURA? MEGLIO ITALIANE!
GRAZIE ALLA RAPIDITÀ DELLE SPEDIZIONI*
Claudio Riolo
Ortofrutta fresca tutto l’anno.
Si raccoglie sabato e domenica, si spedisce e si consuma da
martedì o mercoledì. Quindi
vergogna a chi vende e acquista frutta e ortaggi stranieri,
in concorrenza con le varietà
autoctone.
Il 9 ottobre, alle ore 10, dalle
Poste Centrali di Palermo ho
spedito un pacchetto per Senigallia (An), diretto a mia
sorella che compirà gli anni il
18 ottobre. “Anche se ci fossero ritardi, ho ampio margine”,
pensavo. Uscendo ho ammirato ancora una volta l’imponente facciata del palazzo di
via Roma, la scalinata, il colonnato, le fontane.Costruito
nel 1933 su progetto di Filippo
Tommaso Marinetti, ideatore
del movimento futurista, conserva ambienti sontuosi, decorati con marmi, rame e legni
pregiati. La sala conferenze e
l’ufficio del direttore (visitabili
su appuntamento) sono stupendi, arredati con mobili, tende e oggetti, impreziositi dai dipinti dei noti futuristi Tato e Benedetta Kappa
Marinetti. Guardando dal basso proprio quelle finestre
(le prime due a destra), ammiravo le tende bianche ricamate con i temi della comunicazione e della velocità.
Beh, gli aeroplanini della tenda hanno fatto volare anche il regalo di mia sorella; il giorno dopo mi avvisava
che il postino l’aveva consegnato alle 10. Dopo 24 ore
esatte. Cose buone, volare, consegnare.
Non posso che ricordare, solo a titolo d’esempio, aziende siciliane come Arance rosse di Lentini, Ganduscio di
Ribera, Sambataro di Tusa e Campanito di Palagonia,
che spediscono agrumi e ortaggi tutto l’anno a alberghi,
ristoranti, negozi ortofrutticoli. Prezzi convenienti per
entrambi, pagamenti sicuri, ortofrutta fresca e disponibile tutto l’anno, non trattata e quindi bucce edibili. Si
raccoglie sabato e domenica, si spedisce e si consuma
da martedì o, al più tardi, mercoledì. Quindi vergogna,
vergogna, ancora vergogna a chi vende e acquista frutta
e ortaggi stranieri, in concorrenza con le varietà autoctone.Si parla tanto di economia e si trascura la produzione agricola che potrebbe essere il vero pilastro del
benessere italiano. Ho citato gli agrumi e l’ortofrutta ma
non bisogna dimenticare che ogni giorno si spediscono dal Sud al Centro Nord dolci (cassate comprese!),
formaggi e pesce fresco, pasta, conserve, salse. E l’elenco potrebbe continuare: solo in Sicilia ho contato 1.200
specialità alimentari di qualità.
*già postato in Italia a tavola
Narrativa
Attualità
9
9 NOVEMBRE 1989
Gabriella Maggio
Oggi, 9 novembre 2014 ricorre il venticinquesimo anniversario della caduta del muro di Berlino. Allora sembrò l’evento che avrebbe cambiato il mondo, avviandolo
verso un superamento delle ideologie e dei sistemi economici che avevano significato separazione e violenza.
Dopo venticinque anni quelle speranze sembrano ben
lontane dalla realpolitik che si cimenta in una crisi che
pare senza fine, perché è finanziaria e politica nello stesso tempo.
Le guerre continuano e i muri vengono costruiti ancora
da qualche parte. La democrazia ed il capitalismo occidentale che sembravano aver preso il sopravvento non
sono stati capaci di affermarsi e radicarsi nel mondo. In
questo sia gli U.S.A. che l’U.E. hanno le loro responsabilità. La rottura degli equilibri politici mondiali verifica-
tasi con la caduta del muro di Berlino non ha generato
un nuovo assetto politico duraturo e già si profila, secondo alcuni dei protagonisti di quegli eventi, una nuova guerra fredda. Gli U.S.A. appaiono piuttosto incerti
nel mantenimento del loro ruolo internazionale e la UE
non trova al suo interno una nazione veramente leader
sul piano politico interno ed internazionale.
La Germania, che potrebbe far valere la sua posizione
economica e politica, sembra non avere coscienza del
suo ruolo e della sua responsabilità e di riflesso di quella
della U.E., nei confronti del mondo.
Tuttavia la sua storia democratica è il successo della
democrazia occidentale; questo la carica di responsabilità che non può e non deve eludere.
Letteratura
10
IL REALISMO ANALITICO DI
FEDERICO DE ROBERTO
Tommaso Aiello
Federico De Roberto(1861-1927), terzo membro della
<<triade verista>> siciliana, napoletano di nascita, ma
catanese di adozione ,grande amico di Verga, non ebbe
successo neppure col suo romanzo più significativo, I
Viceré. Quasi certamente l’avere riscontrato nella sua
opera la mancanza di una prosa lirica, ha reso tardivo
l’interesse critico per De Roberto e mentre il recupero
della narrativa verghiana avveniva negli anni compresi
tra le due guerre, quello dello scrittore si colloca solo
sulla scia del boom del Gattopardo. La raccolta di novelle “La sorte” (1887) segna l’esordio del narratore, che
per alcuni versi risente della lezione verghiana. Scrittore
antilirico, De Roberto resta però estraneo al mondo degli umili, incline alla rappresentazione di ambienti cittadini e di ceti diversi più che a quella del mondo rurale;
uno stile tutto suo egli lo raggiunge quando, lontano da
ogni modello diretto, affronta il mondo nobiliare isolano e ne coglie la decadenza in “Disdetta”. Le date confermano però che, la poetica che lo esprime sta per iniziare
la sua parabola discendente. Così De Roberto è attratto
sempre più dallo psicologismo di Bourget, che a Paler-
mo aveva soggiornato nel 1887; anzi alternerà Verismo e psicologismo, come avevano fatto del resto
Verga e Capuana. Ciò corrisponde in lui a consapevoli scelte culturali. De Roberto trovava già in Verga
il principio che ciascun soggetto porta con sé la sua
forma; all’artista sarà dunque concesso di servirsi
dei vari metodi, secondo le circostanze. Del resto il
possibilismo derobertiano, che appare già nella prefazione alle novelle di “Documenti umani(1888)”,
trova conferma nell’introduzione di Maupassant al
“Pierre et Jean”(1888). Così lo scrittore può volgersi
ad una narrativa di tipo bourgetiano, che gli pare
necessaria per approfondire la conoscenza dell’animo umano, per acquisire un metodo tecnico-stilistico strettamente complementare a quello obiettivo. Lo psicologismo maturerà i migliori risultati sia
nell’Illusione che nei Viceré, dove avrà la funzione
di mediare il trapasso narrativo dall’esterno all’interno dei personaggi, fornendo all’opera la ricchezza prospettica del grande romanzo. Il metodo psicologico prepara infatti i mezzi espressivi atti a fare
della “realtà elegante”,auspicando che l’analisi condotta dai naturalisti tra i più bassi strati della società
fosse applicata al mondo aristocratico, con uno stile
capace di coglierne tutte le sfumature: cosa che il
De Roberto, ben al corrente delle novità d’oltralpe, saprà
fare proprio nell’Illusione(1891), il romanzo che persegue la distruzione della mitologia amorosa romantica
e segna il primo approccio con l’affresco del mondo
degli Uzeda, qui appena accennato. Lo psicologismo
denuncia dunque l’ampliarsi degli interessi dello scrittore e il fatto che egli volesse recuperarlo nell’ambito
del Naturalismo conferma il carattere unitario della
sua ispirazione. Con I Viceré (1894)siamo nel cuore
della produzione derobertiana. Il romanzo rispecchia
il malessere del periodo postunitario: allo sguardo dei
più sensibili la rivoluzione risorgimentale sembra essere naufragata nel clima del più sfacciato trasformismo,
mentre nel Mezzogiorno fanno spicco la permanenza
di vecchie strutture, la mancanza d’una nuova classe
politica, l’abile camaleontismo dei vecchi ceti dominanti. L’esplicito inserimento del dato etico-politico è ciò
che più distingue I Viceré dai romanzi verghiani: ora
De Roberto dà voce al suo sentimento di liberale del
sud deluso dalle speranze risorgimentali, la storia na-
Letteratura
zionale si intreccia alla storia
familiare, minuziosamente
narrata, degli Uzeda. Questi
antichi discendenti dei vicerè
spagnoli in Sicilia, riescono a
mantenere intatto il loro potere, passando senza scosse dal
regno borbonico a quello sabaudo attraverso una serie di
trasformismi politici, grazie ai
quali il duca d’Orange s’insedia nel primo Parlamento di
Torino ed il diabolico Consalvo viene eletto deputato
al Parlamento romano. Tutto
ciò a spese dei borghesi e dei
ceti popolari, che, privi di coscienza politica, finiscono per
affidarsi candidamente alle
mani degli antichi padroni.
11
Il ritorno di Federico a Salerno segna la possibilità d’un
recupero di valori, degli affetti
domestici semplici e sani dopo
la delusione storica: in realtà è
la vita stessa ad essere negata
come valore dalle riflessioni
del Ranaldi. Dal suo leopardiano pessimismo cosmico non si
esce neppure attraverso la progettazione di un nuovo patto
tra gli uomini; nella tonalità
apocalittica delle ultime pagine si prospetta anzi l’autodistruzione della specie umana,
l’avvento dei <<geoclasti>> ,di
coloro che faranno il mondo a
pezzi: conclusione degna dello sveviano Zeno Cosini. Le
cause dell’abbandono dell’Imperio sono molteplici: forse
Il romanzo da un lato rapDe Roberto non si sentì più
presenta l’evoluzione del ciclo
in grado di continuare la sua
verghiano dei <<Vinti>>, poiopera di demistificazione così
ché s’addentra felicemente nel
crudelmente condotta, fino al
mondo aristocratico, dall’albaratro del nulla; il romanzo,
tro si pone a capo d’una vena
oltre tutto, sarebbe apparso in
particolarmente feconda nella
età giolittiana e perciò avrebbe
letteratura siciliana, che attinaccusato un calo di mordente
ge alle fonti della delusione
in un momento politico che
risorgimentale: dai Vecchi e i
si proponeva di risolvere gli
Un ritratto e un busto in bronzo di Federico De Roberto
giovani di Pirandello al Gaterrori del trasformismo e del
topardo di Tomasi di Lampecrispismo su cui la narrazione
dusa, romanzi che, pur con le ovvie differenze struttu- era imperniata. Del resto, il Naturalismo e la filosofia
rali e di tonalità, risultano apparentati dalla stessa linea positivistica erano tramontati definitivamente sotto
tematica. Nell’implacabile scetticismo del De Roberto l’incalzare del Decadentismo e dell’Idealismo, e con essi
è racchiusa, comunque, una lucida tensione morale. anche De Roberto entrava in crisi. Le sue opere non
Presentando la Sicilia nel suo fatale immobilismo, egli avranno più la padronanza narrativa dei Viceré, mentre
implicitamente accusava il conservatorismo e la cor- sul piano storico egli aderirà ai miti del nazionalismo(ruzione delle sue classi dirigenti; approdando ad una ma la sua sarà una posizione puramente difensiva,esteconcezione metastorica della sopraffazione, ne svelava riore). Nonostante l’intervento dell’autore, tra i racconti
le implicazioni storiche. Con L’imperio (lasciato in sta- ispirati alla <<grande guerra>>, accanto a certuni puto di abbozzo e pubblicato postumo nel ’29) De Rober- ramente retorici, spicca infatti il grande risultato de La
to segue le vicende del neo- eletto deputato Consalvo, paura, proprio quello lasciato inedito e pubblicato pospostando l’obiettivo della narrazione dalla provincia a stumo nel ’27. De Roberto vi narra la crudeltà del mecRoma, nel cuore del Paese, per sorprendere – nel suo canismo bellico per cui alcuni soldati vengono mandati
diabolico personaggio e a Montecitorio- le macchina- sicuramente alla morte, in nome d’una patria in cui non
zioni del trasformismo politico, di un costume corrot- si riconoscono e di un anonimo dovere da compiere.
to. Accanto a Consalvo Uzeda – pronto a tutto pur di Qui il documento naturalistico, con la registrazione
raggiungere il successo, ma già avviato verso la scon- delle varie parlate regionali dei soldati, diventa alto vafitta- lo scrittore pone Federico Ranaldi, attraverso il lore espressivo mentre la tecnica prelude alle tendenze
quale viene a estrema maturazione la delusione postri- più recenti di oggettivismo linguistico.
sorgimentale e l’idea dell’illusorietà del progresso.
Lions Club
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UNA BELLA DOMENICA LIONISTICA
Attilio Carioti
Il Sindaco di Gangi e la Presidente del L.C. dei Vespri
Domenica 9 novembre 2014 il Lions Club Palermo
dei Vespri ha visitato Gangi, nell’ambito del tema distrettuale La nostra storia : cultura, tradizioni, risorse.
Calorosa l’accoglienza del Sindaco della cittadina, che
nella sede del Comune ha illustrato il suo programma
di governo indirizzato a valorizzare le risorse naturali,
culturali ed artigianali del territorio sia sul piano della
produzione agricola e manifatturiera che del turismo.
Gangi fa parte del circuito dei borghi più belli d’Italia
ed è stato nominato “Borgo dei borghi 2014. I Soci del
Club hanno visitato il Palazzo Bongiorno, sede del Comune, affrescato dal pittore romano Gaspare Fumagalli
nel XVIII, dove ebbe sede l’Accademia degli Industriosi,
importante centro di cultura. La Chiesa madre dedicata
a S. Nicola di Bari con il grande quadro del Giudizio universale di Giuseppe Salerno detto lo Zoppo di Gangi.
Successivamente palazzo Sgadari, sede del Museo
Civico. Anche la cucina è un’arte ed una tradizione
e per concludere l’escursione non potevano mancare
le specialità del luogo.
Attualità
Storia di Palermo
CHIESA DEL MONASTERO
DI S. CHIARA DELL’ORDINE DELLE CLARISSE
(PIAZZA OMONIMA)
Giacomo Cangialosi
La chiesa e il monastero vennero fondati da Matteo
Sclafani intorno al 1344. La chiesa fu ricostruita, quasi dalle fondamenta, nel 1678. La facciata era adornata fino al 1943 dal bellissimo portale barocco di Paolo
Amato con colonne tortili e statua della titolare, ma una
bomba distrusse in quell’anno tutta la facciata compreso il coro interno. Venne ricostruita nel dopoguerra riutilizzando il portale della chiesa della Madonna delle
Grazie dei Caldomai. Bello il campanile settecentesco.
L’ala meridionale del monastero distrutto dai bombardamenti non venne più ricostruito (oggi vi è un campo di calcio utilizzato dagli extracomunitari), resta l’ala
settentrionale con un piccolo chiostro.
La chiesa, ad aula unica, con coro sopra l’ingresso, è ornata di marmi e affreschi di buona mano. Quelli della
volta attribuiti ad Antonio Grano, mentre nel presbiterio vi sono due grandi quadroni a fresco di Guglielmo Borremans :”S. Francesco si spoglia delle vesti” e
“S. Chiara taglia le sue trecce”. Notevolissimo l’altare
maggiore in pietre dure e inserti in bronzo dorato come
quelli delle cappelle laterali, oggi però assai deteriorati
e mancanti di alcune decorazioni.
13
Lions Club
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Il Presidente del Lions Club Palermo dei Vespri
a nome di tutti i Soci esprime le più vive
congratulazioni
al Socio Marco Betta, insigne musicista,
per la prestigiosa nomina di Accademico di S. Cecilia.
Cinema
Riflessioni
CARLO BARBIERI
E FRIEDRICH SCHILLER*
Carlo Barbieri
“L’uomo è veramente uomo soltanto quando gioca”.
da “Sull’ educazione estetica dell’uomo” di Friedrich Schiller
“Lottomatica ringrazia”
*da “Cambiamo il punto di vista” inedito destinato a rimanere tale
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Opera Lirica
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TOSCA AL MASSIMO DI PALERMO
Salvatore Aiello
Tosca, ultimo titolo della stagione operistica 2014, è approdata al Teatro Massimo di Palermo. Momento esaltante della creazione pucciniana che dal mondo crepuscolare e borghese delle piccole cose giungeva, pregno
della lezione verdiana, a percorsi drammaturgici nuovi,
evocando quel colore, quel grundton in cui si svolge il
dramma annunciato sin dagli iniziali sconvolgenti accordi, forieri della presenza terribile di Scarpia e con
essa tutto l’orrore che si consuma nella storia d’amore
tra la cantante Floria e il pittore Cavaradossi succubi e
martiri della bigotteria e della repressione della Roma
papalina di Pio VII, in quel momento esule in Francia. Al suo apparire nel 1900 al Costanzi di Roma, non
riscosse un grandissimo successo, forse disorientò una
certa dicotomia tra quanto succedeva sulla scena e l’orchestrazione nuova ed eccellente che metteva ancora in
luce la grande abilità del compositore lucchese. Se via
via guadagnò il favore dei pubblici di tutto il mondo, la
critica si spaccò tra i fautori del nuovo puccinismo e i
dissidenti che ebbero come storico leader Gustav Mahler il quale coniò, proprio per l’opera pucciniana, l’appellativo di “kunstmachwerk” (opera d’arte pasticciata,
in altri termini opera d’arte fallita), collocandola,in maniera assai sommaria, tra i prodotti un po’ scadenti del
verismo musicale italiano.
In verità Tosca porta al parossismo una vicenda passionale, pregna di erotismo che però Puccini controlla con finezza adeguata dando più spazio alle ragioni
della ragione che a quelle del cuore. Non a caso un
critico, recentemente, ha sostenuto che “nel musicista
vive e vi alita un mixage intellettualmente superiore
dove sembra il cuore a condurre il gioco ma é invece
un raffinato estro creativo a dare spazio a meditazioni e
ripensamenti con innovative prospettive del teatro d’opera contemporaneo” .Il deus ex machina della trama
è il barone siciliano Scarpia, esempio efferato di machiavellismo politico ed umano, più viscido ed untuoso
“dell’onesto Jago” di memoria verdiana; col suo tema
terribile, abbiamo ricordato all’inizio, si apre l’opera
ed è sempre il suo nome che sarà evocato e maledetto dalla suicida Tosca sugli spalti di Castel Sant’Angelo.
Nonostante le costanti perplessità di una certa critica
è un’opera amata a furor di popolo e ieri sera, il Teatro
Opera Lirica
17
gremitissimo, ne dava conferma, ma oltre al titolo c’era la voglia di riannodare quei fili della tradizione che
qualcuno, in maniera poco significativa, snobba. L’elegante messinscena affidata al regista Mario Pontiggia e
allo scenografo-costumista, il palermitano Francesco
Zito che si giovavano anche dell’efficace gioco delle luci
di Bruno Ciulli, proponeva un allestimento di stampo
pittorico con notevoli effetti prospettici e un impianto
scenico comune ai tre atti; dalla chiesa di Sant’Andrea
della Valle, a palazzo Farnese a Castel Sant’Angelo dove
si consumava definitivamente la tragedia. Alla piacevolezza delle ricercate immagini, rispondeva una visione
registica intellettualmente valida che pur tenendo con-
le sue sonorità, regalandoci una carica interpretativa
dalle tinte soggioganti. Nei panni di Tosca, Hui He si
è imposta con volume e timbro particolarmente felici
per interpretare Puccini, con una linea di canto ben
controllata e con l’emissione morbida che le consentivano anche l’approdo a piani e mezze voci significativi; assai partecipe nel “Vissi d’arte”, fraseggiato egregiamente con nobiltà di accenti e raccolto intimismo,
a lungo applaudito e bissato. La sua prova senz’altro è
stata interessante anche se in qualche modo mancava
quello spessore drammatico che fa di Tosca una creatura particolarmente accesa, vibrante e tragica; anche sul
profilo scenico avremmo desiderato qualcosa di più per
to della grande tradizione, recava spunti nuovi, particolari interessanti; solo per citarne alcuni: alla conclusione del Te Deum la presenza della bandiera francese
che per un momento balenava tra i fumi degli incensi
e il salmodiare dei catechisti; innovativa c’è sembrata
la compresenza, nello studio di Scarpia, degli aguzzini
a sua disposizione, pronti ad obbedire ai suoi cenni e
alle sue macchinazioni; in aggetto poi, nel terzo atto, lo
stemma papale incombente a ricordare il delitto nella
città che aveva spento ogni anelito di libertà della repubblica romana riproponendo, in maniera schiacciante, l’alleanza tra il potere e la Chiesa nell’età napoleonica. Daniel Oren, con straordinaria presenza, sin dalle
prime battute, ci ha confermato ancora la duttilità, l’abilità del grande concertatore che fa cantare l’orchestra
senza perdere mai di vista il palcoscenico, sa respirare
con gli artisti lasciandoli esprimere al meglio, tirando
fuori tutto ciò che vocalmente ed emotivamente è in
loro possesso. La sua bacchetta è stata precisa, puntuale, assai attenta e rispettosa di tutte le indicazioni del
compositore coniugando erotismo e strazio, senza mai
scadere in tinte veriste, risultando sempre efficace nel-
consegnarci un’interpretazione allo zenit. Mario Cavaradossi era Stefano Secco dalla voce carezzevole e dal
fraseggio scandito; ci ha entusiasmato per le frasi larghe, il bel legato, il volume e lo squillo che inveravano
la statura di tenore lirico regalandoci anche emozioni
per la sua adeguata partecipazione al ruolo; miniato il
suo “E lucevan le stelle” dove rifulgeva l’appassionato
addio alla vita;applauditissimo anche lui ne ha dovuto
concedere il bis. Alberto Mastromarino confermava le
note capacità di volume che ne fanno ormai uno Scarpia collaudato, rinunciando però a talune richieste e finezze interpretative riproducendo, in qualche modo, il
baritono vilain. Inesauribile, vivace e di buon spessore
il Sagrestano di Fabio Previati. Completavano il cast il
reboante Carlo Striuli (Angelotti), l’efficace Francesco
Pittari (Spoletta), Daniele Bonomolo (Sciarrone), Riccardo Schirò (Un carceriere).Buona la prova del coro e
del coro di voci bianche adeguatamente istruiti da Piero
Monti e da Salvatore Punturo.A siglare la serata un’ovazione dal pubblico finalmente pienamente soddisfatto
di avere vissuto una serata all’Opera.
Lions Club
18
Poesia
MODERNITÀ
DI UN MESSAGGIO
Corrado Coletta*)
Premesso che la speranza non può prescindere dalla
realtà ritengo, se non utile,almeno opportuno attribuire con la dovuta consapevolezza una concreta scelta di
campo al nostro vivere di Lions fra memoria del passato
e impegno per il futuro. Impegno :è una parola che oggi
suona alquanto strana (l’incombente crisi dell’associazionismo la appanna);siamo nell’era dell’immediato,del
fluido talchè appare difficoltoso immaginare qualcosa
che non sia rapida fiammata,espressione di fatuo transitorio entusiasmo;al contrario “è costanza è impegno
di Vita”.
Si auspica che questo concetto in una prospettiva generale possa essere parametro di riferimento perché l’etica
lionistica a cui tutti noi riteniamo talora ispirarci, riconosca criteri di giudizio superiori alle comuni leggi del
consenso,espressione di socialità grigia,monotona ed
appiattita su moduli di convivenza spesso opportunistica;ma rappresenti partecipazione finalizzata molto più
opportunamente alla crescita umana , culturale e sociale. La grande ricchezza delle prerogative,la varietà delle
caratteristiche attitudinali dei singoli soci,interpretate
come corredo,rappresentano la capacità di convergere
e di operare per un progetto comune condiviso di cui si
è consapevoli e anche responsabili nel momento in cui
ci è stato conferito un distintivo il quale,lungi dall’essere
espressione di adeguamento di circostanza autoreferen-
ziale,deve essere espressione di impegno socio-culturale. Nella suggestiva interpretazione del nostro passato
si rende opportuno meditare sulle tappe storiche che
hanno costruito l’etica lionistica e le sue finalità soprattutto in prossimità del centenario;esse rappresentano
non solo un momento di valutazione postuma ma occasione di incoraggiamento e di esperienza per essere
guidati tra le incertezze di un futuro sempre più oscuro
e nebuloso.
Si tratta di percorrere una grande direttrice che rappresenti operosa feconda presenza nel sociale,di responsabile e assidua partecipazione,di consapevolezza del
modo in cui il lionismo,uscendo da un generico e sterile culto dell’amicizia,si è dato al cospetto delle profonde
trasformazioni di cultura e di costume che caratterizzano il nostro tempo.
Sorge pertanto l’opportunità di creare un ponte fra passato e futuro ,una sorta di arcobaleno che dagli insegnamenti di chi ci ha preceduto si possa auspicare un
Futuro carico di gioie e di speranze. Dobbiamo sorridere alla vita,dobbiamo trovare insieme parole nuove
;le troveremo sicuramente nel nostro cuore antico ma
con ambizioni sempre giovanili.
*Delegato Archivio Storico Distrettuale
Opera Lirica
Storia
19
IL PAREGGIO
DEL BILANCIO STATALE
Irina Tuzzolino
Quintino Sella
Pochi giorni dopo la proclamazione del Regno d’Italia,
Pietro Bastogi Ministro delle Finanze, così parla alla
Camera : Perché l’Italia meriti il credito di tutta l’Europa, deve cominciare a rispettare i debiti contratti. Né
sarebbe conveniente alla nuova Italia che essa si costituisca debitrice degli antichi prestiti e pagarli, quasi fosse
procuratrice degli antichi governi. Di qui la necessità
di distruggere i loro antichi titoli e sostituire a quelli un
titolo italiano. Con la legge n° 94 del 10 luglio 1861
istituisce il Gran Libro del Debito pubblico dove venivano annotati i debiti pubblici dei vari Stati preunitari.
Il giovane Regno nasceva pertanto con un debito circa
2374 milioni convertiti per lo più in rendita consolidata
al 5%. Tra il 1862 ed il 1873 Quintino Sella Ministro
della Finanze del Regno d’Italia si propone di realizzare
il pareggio del bilancio statale; effettivamente raggiunto solo nel 1876 dal governo Minghetti. L’ossessione
di Sella per il pareggio di bilancio prevede dapprima
la vendita di parte dei beni dello Stato e della Chiesa
e l’aumento di 100 milioni nella circolazione di buoni
del Tesoro; solo successivamente, per recuperare le impreviste spese causate dalla risoluzione della questione
romana nel 1870 con la breccia di Porta Pia, è varato
l’aumento delle imposte tassando la ricchezza mobile,i
titoli del debito pubblico, il macinato. Questi provvedimenti miravano, secondo il Ministro, a realizzare una
perequazione tra i ceti e arginare l’evasione, già preoccupante : Spero che le imposte si ritocchino in guisa
che ciascuno abbia le minori noie possibili, e paghi ciò
che deve pagare, e ne abbia vantaggio tanto la giustizia come l’erario ( intervento parlamentare del 18-101874). Tuttavia le economie fino all’osso e il guardare
alle spese con la lente dell’avaro gli procurarono una
vasta impopolarità.
Letteratura
20
MARIO LUZI: LA “LIQUIDA MATTINA”
Carmelo Fucarino
Mario Luzi: La “liquida mattina”
(Carmelo Fucarino)
Per contestualizzarsi. Ogni volta che scendeva a Punta Raisi diceva all’amico palermitano che lo accoglieva:
«Cca semmu, sutta sta coppula di celu». Il suo ritorno
all’isola dal 1976 era a cadenze stagionali, ma sicure,
le sue passeggiate alla scoperta di Palermo, tra lo stupore sempre nuovo della Cattedrale arabo-normanna
e la piazza Marina dello Steri, ove il cicerone di turno
gli spiegava l’arcano dell’arte chiaramontana. E lo splendore delle primavere a Mondello, in quella villa ove gli
ho affidato il mio primo libro di poesie, Città e ancora
città. Fino all’ultima sua discesa il Natale 2004, ad un
mese dalla morte il 28 febbraio, il saluto per sempre dei
primi di gennaio del 2005, quando lo colse un violento
temporale alla cattedrale e gioì impavido sotto la pioggia. Aveva 91 anni dalla sua nascita nel fatidico 1914
d’Italia, quando Ungaretti si apprestava a cantare, «Si
sta / come d’autunno / sugli alberi / le foglie». Ed oggi ci
siamo trovati in pochi, fra gli amici Elio Giunta e Piero
Longo ed altri contati sulle dita, nell’anfiteatro pieno di
pubblico attento nella sala Strehler del Biondo. Assente
lo pseudoculturame locale, presenza vigile ed attenta,
unica rimasta dei tempi antichi il prof. Natale Tedesco
e, non poteva mancare accanto a lui, Domenica Perrone, anche per il suo “mare d’inchiostro” e “lo specchio
di carta”. La stampa che dai suoi stessi annunzi conosce-
va l’evento, le varie vestali dei quotidiani e delle cronache locali rumorosamente assenti.
Perché si stava parlando del più grande poeta europeo
del Novecento, spesso giubilato dalla nomina per il Nobel, ma preferito a poetastri novellatori e clown. Sfido
chiunque a trovarmi uno degno di lui, scorrendo il suo
carnet di poeta e letterato completo, perché i suoi saggi
sulla poesia e i suoi lavori di teatro non sono di meno
delle liriche, come la sua raffinatezza di francesista, E
l’uomo, il disorientamento di cittadino in un suo intervento al Senato e nel volume Lasciami, non trattenermi. Fino al presentimento di Dottrina dell’estremo
principiante (2004) e al testamento di Poesie ultime del
2009. Tutti avrebbero ammirato l’Ipazia del film Agora di Alejandro Amenábar del 2009, ignoranti del suo
dramma Ipazia del lontano 1973.
Lui che trovava Palermo “luogo del suo cuore”, si voleva ricordarlo nel Centenario dalla nascita.
Eppure Mario Luzi amava intensamente Palermo e a lei
aveva dato anima e cuore.
Così cantava in una sua elegia palermitana:
Come pesci in un’acqua luminosa
loro nel loro azzurro settembrino.
I loro fiori ne sono umidi e lucenti,
lievi i palmizi, profondi i loro ficus.
E lì
dentro si svisa
Palermo tra arabo e normanna
tra araba e angioina
o si erge a un tratto dura chiaramontana.
Questo hanno, questo ti regalano
essi e la loro liquida mattina.
(da Per il Battesimo dei nostri frammenti, 1985).
Si trovava meglio che a Firenze. D’altro canto nei ricordi di Luca Doninelli, che ha rievocato la sua iniziazione
poetica con lui e con il suo primo libro di poesie, in
quella sua infanzia all’ombra dell’ingombrante Ottone
Rosai, scomodo oggi in tanti sensi, allora colui che per
il bambino era semplicemente assente anche da morto,
secondo il trapiantato fiorentino, Firenze non lo conosceva né lo apprezzava. Per dire che alla presentazione
di Opus florentinum nel 2000, solo Doninelli e parenti
Letteratura
si alzarono alla standing ovation, mentre una signora
accanto a loro si chiedeva, “ma chi l’è sto veccio”.
Oggi a ricordalo è stato Piero Longo, compagno di tante scoperte, che così fra l’altro affermava: «La poesia di
Luzi così profondamente lirica all’interno del suo discorso semplice e colloquiale, è sempre una riflessione
morale. Essa illumina il lettore, 1o invita a rivolgersi
alla sua interiorità e a confrontarsi con la complessità
de1 mondo mettendo da parte le ovvietà e le opinioni
scontate, diffuse dai mezzi di comunicazione di massa, che si schierano quasi sempre su opposte posizioni
secondo una visione del mondo nella quale il bene e
il male sono rigorosamente distinti […]. I1 senso della
poesia è tutto nelle sue immagini, nella sua parola che
incarna il pensiero e si rivolge alla dimensione altra che
intende raggiungere e rappresentare.» E l’analisi storico-letteraria di altro sodale, Elio Giunta, una sintesi
ardua in un intervento di minuti, ma da lui possibile,
tutta l’evoluzione poetica dal frainteso primo sodalizio
ermetico, da La barca ad Avvento notturno, al Fuoco
della controversia, alla passionalità politica di Rosales, fino all’incompreso oratorio Il fiore del dolore per
padre santo Puglisi, traccheggiato dalla direzione del
Biondo per qualche anno, perché poco teatrale. Questo si chiedeva al poeta raffinato e profondo. In questo
riandare alla giovinezza, con quel volto aristocratico
e gioviale, semplice eppure raffinato, che ti accoglieva
con la sua profonda umanità, perché altro è la “semplicità” dal cameratismo populista, quel sorriso che mi
prende ancora, al suo accento fiorentino a fior di labbra,
musicale e dolce, sento oggi di essere felice. Qualunque
sarà il domani.
21
25
novembre
GIORNATA
INTERNAZIONALE
CONTRO LA
VIOLENZA SULLE DONNE
MAI PIÚ !
EDUCHIAMOCI TUTTI
ALLA NON VIOLENZA
E ALLA COMPRENSIONE!
Letteratura
22
RECENSIONE AL ROMANZO
DI DANIELA SCIMECA,
IL MISTERO DELLA TOMBA DI FEDERICO II
Lavinia Scolari
Uno dei luoghi più famosi di Palermo,
ma forse anche quello meno profondamente conosciuto, è la sua Cattedrale, ricca di cappelle, reliquie sacre,
dipinti, altari e ricche absidi, ma anche di Tombe Reali e di misteri. Ed è
su questa base che si fonda e trae linfa il romanzo di Daniela Chimeca, Il
Mistero della tomba di Federico II,
edito da Bonfirraro, finalista regionale al premio letterario la Giara (RAI),
e presentato dalla Prof.ssa Gabriella
Maggio il 10 novembre 2014, presso la
libreria Mondadori di Palermo.
Daniela Scimeca forse, peccando di
modestia, si considera ancora un’esordiente, ma in realtà non è nuova a
fatiche romanzesche e letterarie. Nel 2011 pubblica il
suo primo romanzo, edito da Sbc Edizioni, “La lunga
marcia verso casa”, un diario della memoria familiare
che dà voce ai ricordi dei nonni sullo sfondo della grande guerra. Ancora una volta, nel Mistero della tomba
di Federico II, storia e recupero memoriale fanno da
struttura compositiva al suo romanzo. Un romanzo che
è stato definito come un thriller storico, ma dal quale
emerge una più vasta commistione di stili e generi letterari.
Lo spunto della storia è un fatto di cronaca e riguarda
l’annosa vicenda delle indagini sulla tomba di Federico
II Hohenstaufen, re di Sicilia e imperatore del Sacro Romano Impero, sepolto proprio nella Cattedrale palermitana. La tomba di Federico fu riaperta diverse volte
nel corso dei secoli. Già nel Trecento il sepolcro aveva
accolto due nuove salme, in cui si erano riconosciuti
Gugliemo duca di Atene e Pietro d’Aragona, entrambi
della casa di Svevia. Risale al 1781 una riapertura nel
corso dei lavori di ristrutturazione, che fu occasione
per un’indagine più accurata, di cui si ha testimonianza nell’opera di Francesco Danieli “I regali sepolcri del
Duomo di Palermo”. Il Danieli fu il primo a interrogarsi
sulle reale indennità della terza salma, che a suo parere
apparteneva non già a Guglielmo
d’Atene, bensì a una “donna misteriosa”. Nel 1994 si avviarono nuovi
studi e operazioni di ricognizione riccamente finanziati, ma che,
senza fornire adeguate spiegazioni,
non sortirono l’effetto sperato. Ciò
che rimase, da quell’ultimo tentativo, fu la stessa domanda che si poneva Danieli nel Settecento: di chi
sono i corpi sepolti nella tomba assieme a Federico?
È in qualche modo è da qui che il
romanzo ha origine, da un interrogativo, frutto di curiosità scientifica
e del desiderio, innato nell’uomo, di
conoscere la verità.
La protagonista del romanzo della Scimeca è una ricercatrice e professoressa palermitana, Caterina Albini, forse alter ego della scrittrice stessa. Caterina ha da
poco subito la perdìta del padre, illustre professore di
Storia, e si sente investita del compito di proseguirne le
ricerche. Queste la portano a interessarsi, spronata dal
vescovo in persona, alla storia del sepolcro federiciano. E così, coadiuvata da Padre Carmelo e dal fascinoso
prete protestante Peter, Caterina recupera gli appunti e
gli studi paterni, decisa a non deluderne la memoria e a
dipanare quell’intricata matassa.
La vicenda, dopo un prologo dal passato, si svolge in
una Palermo moderna e ben collocata nel tempo (siamo nel 2003) ma si sposta anche in altre città: Bonn,
Stoccarda e soprattutto Alessandria d’Egitto. Se la prima parte dell’opera ha un ritmo meno incalzante, ma è
condotta in modo da spiegare al lettore l’antefatto narrativo, fornendogli la base storica della vicenda e presentando i personaggi principali, la seconda parte è più
agile e movimentata e giustifica la categoria di thriller
cui il libro afferisce. Un thriller storico, in cui però la
storia ha diversi livelli: quello dei fatti storici antichi,
che riguardano Federico II; un livello di riscrittura
fantastica che aggiunge alla storia ufficiale personaggi
Letteratura
inventati come Monch e Caspar; quello dei fatti reali
contemporanei, e infine, la rivisitazione di quegli stessi
fatti alla luce della “licenza poetica” d’autore: si pensi
ad esempio al riferimento a un dipartimento di “Latino” che per ragioni narrative sostituisce l’allora vigente
Dipartimento Agliaia: Studi greci, latini e musicali, tradizione e modernità o alla figura affabile e servizievole
(a volte fino all’eccesso) del “segretario” Antonio, più
un fido tuttofare che un reale segretario amministrativo. Ciò che colpisce è di certo la disinvoltura con cui
l’autrice si muove senza scossoni tra questi vari livelli
storico-compositivi, mossa da un filo rosso tematico e
formale: la ricerca della verità.
«… la verità rinfranca, rende tutti più leggeri e libera da
scomode responsabilità, così come la confessione libera
dal peccato…» p. 96
Una vera e propria dedizione alla causa della veritas,
che fa esclamare a uno dei personaggi secondari:
«In favore della verità avrà sempre la mia più completa
disponibilità» p. 97
Ma la verità non è sempre un punto di forza, a volte
è una prova, una ferita che difficilmente si rimargina,
come accade per Peter e per il passato della sua famiglia, vicino a certi ambienti nazisti:
«… non potevo immaginare tutto questo, deve essere
stato terribile portare il peso di certe verità…» p. 103
Ed ecco che la ricerca scientifica e storica si intreccia
con quella interiore ed interiorizzata, con un percorso
esistenziale di ricerca di sé, che si gioca anche, e forse
soprattutto, come recupero del proprio io in rapporto
all’identità parentale. L’ombra confortante del padre
aleggia per tutto il romanzo, è una stella polare della
rotta di Caterina, che con quello si colloca in una sorta
di rapporto di imitatio - aemulatio, una gara virtuosa
al superamento paterno, come nel ricordo di Caterina
dell’esame di latino superato con un voto migliore perfino del compianto genitore.
La tensione cresce e sfocia nella seconda parte del romanzo, per poi distendersi nelle spiegazioni finali e
nell’epilogo, in cui i nodi vengono sciolti attraverso il
recupero puntuale degli indizi, che un lettore attento
non avrà trascurato di raccogliere e mettere da parte sin
dalle prime pagine:
«E se fosse un’amante la misteriosa donna del sarcofago
di Federico?» esclama già Caterina a pag. 51, non troppo lontana dalla verità. Questa la condurrà a disvelare i
segreti più sordidi del potere e dell’accademia, la cieca e
23
arrogante pretesa di ambizione e prestigio di certi professori troppo pieni di sé, pronti a sgomitare anche a
scapito della vita e dell’onestà. Caterina scoprirà così un
orrendo mistero, che la toccherà da vicino, cambiandola per sempre.
L’autrice, pur affermando di non aver seguito dei modelli specifici, cosa rara per uno scrittore, ci dà nel libro
stesso indizi importanti dei suoi riferimenti letterari
e forse anche di quelli “cinematografici”. Il nome della rosa di Eco è una presenza palpabile nel romanzo,
a partire dall’atmosfera e dalla descrizione del prologo,
e per via di certi snodi e temi narrativi, dall’enigma al
ruolo dei monaci nella storia. Una conferma sembra arrivarci dal racconto stesso:
«L’abbazia si trovava presso la piccola cittadina di Maulbronn da cui appunto aveva preso il nome… Peter aveva raccontato con orgoglio che alcune scene del film Il
nome della rosa erano state girate proprio lì e lui, poco
più che diciottenne, aveva assistito all’allestimento di
alcune scene». p. 104
D’altra parte, la Curia e i suoi segreti, il mistero inenarrabile e pericoloso che si cela dentro un’opera d’arte
monumentale come la tomba di Federico ci ricordano
da vicino il Dan Brown del Codice da Vinci, anch’esso
noto al grande pubblico attraverso la trasposizione cinematografica. E infine una citazione che sembra quasi
dovuta, un debito verso un maestro della narrativa di e
su Palermo e i suoi abitanti: Tomasi di Lampedusa col
suo Gattopardo, di cui si recupera il tema dell’incapacità siciliana - forse solo di una parte dei siciliani, ormai
- di abituarsi al mutamento.
Di certo il punto di forza di questo romanzo è l’idea di
base, di grande fascino, e la profonda ricerca storica di
fonti e informazioni che ne fa un testo ben documentato e interessante. L’unione di fiction, storia e thriller
è una sintesi davvero avvincente. Particolarmente apprezzabili la volontà dell’autrice di comporre una storia
che sia ambientata in luoghi del vissuto, seppure riscritti, e sfrutti la grande risorsa della nostra storia di Sicilia, così ricca e affascinante, anche nelle sue pagine più
cupe.
È giusto, dunque, cedere la parola a Daniela Scimeca,
per la chiusa finale, unendosi alla sua dichiarazione
conclusiva:
«Scrivere questo romanzo è stato come fare un viaggio
nel tempo e nella storia». p. 211
Ed è stato così anche leggerlo.
Letteratura
24
GIANNINO BALBIS,
NON CHIEDERE ALLA NEVE
PUNTOACAPO EDITORE RENDE
FRANCESCA LUZZIO
Cinque poemetti
che narrano in versi di vita vissuta,
di un passato che
non tornerà più:
la vita contadina
e i suoi valori ancestrali, i lunghi
racconti
delle
sere invernali,
un orfano che
s’imbarca e la “
Merica amara”
per tanti migranti, la guerra, i Tedeschi, la
resistenza, un matrimonio sbagliato, sono i momenti
di vita trattati nei poemetti per poi infine riconoscere,
confessarsi l’impossibilità di trovare un senso agli eventi, forse un significato alla stessa esistenza , “... sogno
\ che sta tra due notti o la notte \ che va da mistero a
mistero. (La principessa e l’orfano, pag 19)
Giannino Balbis quindi racconta- poetando di un mondo che il capitalismo prima e la globalizzazione oggi ci
dicono lontano, perduto. Ma ahimè, non è solo la cultura materiale che non tornerà più, ma anche i valori, che
in essa si coltivavano sostanziando la vita, sono ormai
solo un ricordo. Ed intanto la neve, metafora polisemica, insieme tempo, flusso incessante del suo divenire, caso, occasione a cui nulla si può chiedere intorno
al perché di questa storia e non un’altra, della storia di
ogni singola vita, continua a cadere nell’indifferenza
amorfa nei confronti della nostra esistenza, dei nostri
ricordi, unica essenza vitale di ciò che fu: “Non chiedere alla neve \ il senso delle storie \ vissute e non vissute.
\ Non chiedere ala neve \ se sia più corto il vivere \ oil
suo significato.”(L’ultima confessione, pag.41).
Forse, quando si giunge ad una età in cui più frequentemente si è indotti a fare una sintesi e una sorta di resoconto della propria esistenza, maggiormente ci s’interroga sul suo mistero, sul suo significato e il poeta non
viene meno a questa naturale domanda che, nell’assen-
za di risposta, trova proprio nello stesso vissuto l’unica ragione che la giustifichi, però la consolazione del
sogno memoriale per il poeta è avvilita dalla consapevolezza che quel modus vivendi, quei valori ormai non
esistono più se non nei ricordi di coloro che nacquero
e crebbero in quel contesto, nutrendone lo spirito ed i
comportamenti.
Quanto suddetto vuole evidenziare come la poesia di
Giannino Balbis sia sostanziata di contenuti intensi,
profondi, eppure essi sono immediatamente recepibili
grazie ad uno stile che si avvale di un linguaggio privo di artifici, chiaro, della forma descrittiva e dialogica, quasi a volere istaurare un colloquio non solo con i
personaggi del suo ieri e con se stesso, ma anche con i
lettori attraverso il recupero degli aspetti concreti della
vita, testimonianza di un contesto umano e socio-politico.
Balbis nella sua semplicità e concretezza espressiva s’inserisce appieno nella linea antisimbolica ed antinovecentista del Secondo dopoguerra e come Sereni o Bartolucci è indotto a toni semplici, ad allargare lo stile a
registri espressivi che non rifugiano anche da qualche
termine dialettale. La scelta del poemetto e il suo realismo contenutistico e formale, la musicalità del verso, ottenuta soprattutto attraverso l’ictus dei prevalenti
settenari e novenari, sollecitano l’emotività e la mente
del lettore alla condivisione del racconti-ricordi e della
problematica esistenziale che da essi scaturisce.
Sicilia
Letteratura
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LA PRIMA GUERRA MONDIALE
VISTA DAGLI SCRITTORI
Gabriella Maggio
Il poeta Camillo Sbarbaro partecipa alla guerra come volontario nella Croce Rossa e poi da ufficiale fa l’esperienza
della trincea : Si batteva i denti, di notte, sull’altipiano. Era una gara a chi resistesse di più al freddo che teneva
quegli uomini all’aperto, buttati in terra di qua dei reticolati ? Ingombri d’armi e inermi contro la civetta che veniva
a schernirli ( l’ordine delle retrovie era di mandar fuori la pattuglia, ma il Comando in linea schivava le grane),
aspettavamo immobili per ore il barlume, che li liberasse, dell’alba. L’ufficiale sembrava non vedere i soldati e i soldati evitavano di guardar l’ufficiale; d’istinto, per non accrescerne il disagio (Da Fuochi Fatui –Riccardo Ricciardi,
1962). In questo breve testo l’autore coglie l’imbarazzo del dare ed eseguire un ordine che espone i soldati a grave
rischio per guadagnare pochi metri di terra.
Lions Club
26
Su invito , di seguito riportato, del Primo Vice Governatore Franco Freni Terranova
volentieri la Redazione di Vesprino dà notizia del convegno:
Progettare Servizi tra Sharing Economy e Social Innovation
Nuove Forme di Imprenditorialità
che si svolgerà lunedì 1 dicembre 2014, alle ore 16.00
nel Salone delle Bandiere del Municipio di Messina, o
rganizzato dal L.C. Messina Ionio.
Cari Amici/e,
Ci tengo molto alla Vostra partecipazione
Vi aspetto e Vi prego di divulgare e far partecipare quanto più possibile.
Cari saluti
Franco Freni Terranova
Letteratura
27
GLI ENIGMI RISOLTI
DI MODIANO
Carmelo Fucarino
Il premio Nobel nacque dal rimorso per una questione di
alchimia. Si trattò della scoperta dell’acqua calda. Nobel rese
inerte con farina fossile e poi con semplice segatura la nitroglicerina già scoperta dall’italiano Sobrero nel 1847. Nel
1867 Alfred Nobel brevettò la dinamite e la mise a disposizione dell’industria bellica del padre. Dopo qualche tragico incidente, come la morte di un fratello, impiegò la vita a
inventare altre diavolerie belliche (la gelignite, la balistite e
la cordite). Divenuto ricchissimo, si ricordò del piemontese
di Casale Monferrato Sobrero al quale intestò un vitalizio. E
infine per disposizione testamentaria del novembre 1895 ad
un anno prima dalla morte furono assegnati dal 1901 i premi
per la scienza (chimica, medicina, fisica) e per le lettere. Non
si dimenticò della pace. Forse certo che non ci sarebbe mai
stata, buon per la sua industria e i suoi brevetti.
Questo per fare il punto su un rito annuale dell’Accademia
Reale Svedese delle Scienze e dei premi milionari che vengono ogni anno assegnati in autunno. Il rimorso, decurtato
del 20% per la crisi, quest’anno ha come premio letterario
875 mila euro. Per dare un aiutino a quei letterati che già
vendevano di loro e che godranno di un’onda di riflusso per
la notorietà dell’incentivo.
Quest’anno è toccato al francese Patrick Modiano. E molti
ci siamo chiesti: chi è costui? Oggi si dice autore di nicchia.
Forse lo stesso si sarebbe detto allora di una Grazia Deledda,
scrittrice di romanzi per signorine. E forse all’estero altrettanto avranno detto del clown Dario Fo. Ricordo che qualche
raccontino di Selma Lagerlöf passò nelle antologie scolastiche, ma chi conosce oggi o legge tanti ignoti nomi che
lo hanno avuto assegnato. Basta scorrere la lista dei
circa 110 letterati giubilati per nazioni ed aree geografiche, a seconda del politically correct.
Ma la fascinazione del Nobel ha sempre un suo richiamo e quest’anno, dopo tanti anni che lo snobbavo, ho
voluto darla vinta alla curiosità e, superato il disorientamento per la mia ignoranza della letteratura odierna,
ho voluto aggiornarmi, colmare la mia grave lacuna.
Ed ho scelto il romanzo decantato come il suo capolavoro. O quello che si dice il migliore di Modiano: Dora
Bruder del 1997 (edizione Gallimard).
Un vecchio numero di Paris Soir del 31 dicembre
1941, una quindicenne scomparsa. L’incipit che dà il la
alla storia. E mi sono ingolfato nella sua ricerca a scatole cinesi. Un titolo di cronaca e indirizzi di gloriose
vie della Paris odierna, schede e persone, in un itinerario in cui i nomi hanno spesso un loro suono, che
a me non dice nulla. Moltissimo contano certamente per l’autore che si aggira per quelle strade che un
tempo furono quelle della sua infanzia e giovinezza.
Altre strade addirittura sono scomparse, case spianate
dall’edilizia moderna e muri sospesi, immaginati come
erano allora, in quel tragico 1941. Questo l’anno di riferimento, un suo inverno meteorologico, ma anche
delle umane vicende, tra rastrellamenti, commissariati
e Depositi della Polizia delle Questioni ebraiche, umane tragedie, descritte da nomi e luoghi non più esistenti, per noi puro agglomerato di fonemi, che ad un
certo punto ci infastidisce per la loro anonima arida
nudità. Sono i luoghi di quel tragico martirio ebraico,
rievocati, narrati con la semplicità orrenda del fatto,
delle annotazioni burocratiche di caserme e scuole e
appartamenti. E il collegio di suore. Per restituire il
Lions Club
28
quotidiano di una quindicenne ribelle e della sua famiglia
di ebrei immigrati attraverso semplici ipotesi di indirizzi e
di annotazioni, di evanescenti e improbabili testimonianze,
rovistate nel mare magnum delle vite disperse. La biografia
della ragazza e della sua famiglia per indizi. Alla fine resta
sempre un enigma, il tentativo di ricostruzione di una scomparsa. Quella resa finale che conduce diritta ad Auschwitz.
Le sequenze aride di documenti e strade, gli elenchi di nomi
danno la vertigine e il senso del vuoto di quella stagione del
1941 a Parigi. Per riportare alla luce ciò che era stato cancellato, dice lui.
Poi ho letto le trame degli altri romanzi. A cominciare
dall’ultimissimo, L’erba delle notti, del 2012. Qui il protagonista Jean, voce narrante, rincorre da un vecchio taccuino nomi, indirizzi, numeri di telefono, strade e personaggi,
come se temesse che «da un momento all’altro le persone e
le cose si dileguassero o sparissero e fosse necessario conservare almeno una prova della loro esistenza». Ma andiamo
indietro al 1978 e a Via delle botteghe oscure, con il quale
vinse il Prix Goncourt. Qui un detective, perduto nella sua
amnesia, si cerca nella Parigi desolata e tragica, ancora quella dell’occupazione nazista. In altro romanzo l’indagine può
partire da una vecchia fotografia per rievocare il ricordo di
un fotografo conosciuto nel Sessanta, come avviene ancora
in La primavera da cani del 1993, tradotto dalla palermitana
Maruzza Loria. Così nel Viaggio di nozze del 1990 (citato a
p. 50 di Dora Bruder), quasi a dire in altra forma la peripezia
di Dora, una giovane ebrea scappa di casa e si rifugia con
l’amante in Costa Azzurra.
Poche esili varianti in un vero e proprio format che si ri-
pete e articola in versioni diverse che hanno sempre questo
tentativo di svelamento di un enigma, la traccia, la semplice
orma. Con protagonista una Parigi vicina vissuta nelle strade dell’oggi e ricostruita in quella dell’infanzia, attraverso
piante catastali e ricordi che diventano più veri della realtà, anzi tornano a vivere e diventano immortali attraverso
la parola. La nebbia di un passato attraverso le strade e personaggi evanescenti che la parola riesce ad animare, a dare
loro un corpo, a renderli vivi per sempre. Non troverete che
sensazioni di vie e di appartamenti, non Notre Dame o i
boulevards. Non come l’itinerario turistico per luoghi famosi (con cartina annessa) nel Codice celebre di Dan Brown o
la fotocopia inventiva delle chiese evocate con tipologia da
Wikipedia nella Roma indagata dal penitenziere smemorato,
Il cacciatore del buio di Donato Carrisi, il thriller best-seller
delle ovvietà e dei comunissimi luoghi televisivi, cotti e stracotti. Qui sono i luoghi dell’anima di Modiano, quelli che
solo lui conobbe e amò nella sua giovinezza. Quelli in cui
a un certo punto irrompe la sua autobiografia, il rigattiere
dei furti giovanili, i rapporti con il padre ingaglioffito, la sua
visione nel cellulare, la madre attrice. Perciò sono ricordo e
di esso hanno per lui il profumo, un certo fastidio per noi
che nulla sappiamo e proviamo per essi: «Si dice che se non
altro i luoghi serbano una lieve impronta delle persone che li
hanno abitati. Impronta: segno incavato o in rilievo» (p. 26).
A parte l’intrusione metaletteraria della cartina del Lungosenna della Parigi notturna, la fuga di Colette e Jean Valjean
nei Miserabili.