RASSEGNA STAMPA CGIL FVG – giovedì 9 aprile 2015 (Gli articoli di questa rassegna, dedicata prevalentemente ad argomenti locali di carattere economico e sindacale, sono scaricati dal sito internet dei quotidiani indicati. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti) Indice articoli ATTUALITÀ, ECONOMIA, REGIONE (pag. 2) Coopca, bruciati quasi 7 milioni. Centinaia di soci beffati (M. Veneto e Gazzettino, 3 articoli) Non autosufficienti, 9 milioni al Fvg (Gazzettino) Il "turismo" sanitario frutta 26,8 milioni (Piccolo) Dalle riforme al welfare, fibrillazioni tra i dem (M. Veneto) Centri per l’impiego: oltre 45 mila utenti (M. Veneto) Migranti in aumento, piano da 2 milioni (Piccolo) Unioni, la legge non cambia (Gazzettino) Maximulta al “cartello” del calcestruzzo (Piccolo) CRONACHE LOCALI (pag. 11) Rabbia alla Vetroresina: «Senza stipendio da 4 mesi» (M. Veneto Udine) Sangalli, appello a Serracchiani dopo il silenzio della Regione (M. Veneto Udine) Stop allo sciopero al Mercatone Uno, oggi riparte il lavoro (M. Veneto Udine) Choc per la maxi-multa: la Domenis sospende la produzione (M. Veneto Udine) Precari della scuola in piazza (M. Veneto Udine) Infortunio alla Pittini, grave un operaio (M. Veneto Udine) Maronese investe ma taglia 40 posti (Gazzettino Pordenone) Unindustria sfida Udine. Stretto il patto con Treviso (Gazzettino Pordenone) Pressing della Regione su Alcatel e governo (Piccolo Trieste) Il salvataggio di Autocrali è solo a metà (Piccolo Gorizia-Monfalcone) Il salvataggio De Franceschi passa per Casillo (Piccolo Gorizia-Monfalcone) ATTUALITÀ, ECONOMIA, REGIONE Coopca, bruciati quasi 7 milioni. Centinaia di soci beffati (M. Veneto) di Stefano Polzot wUDINE Le aride cifre, messe nero su bianco nel bilancio 2014 “rettificato” da parte della Pollio & associati, chiamata a revisionare i conti di Coop Carnica, denunciano una crisi in tutta la sua evidenza e soprattutto fanno emergere il tracollo tra il già difficile bilancio 2013, oggetto di quel lifting contabile denunciato dalla Procura di Udine, e quello posto alla cruda realtà della richiesta di concordato. Immobilizzazioni svalutate da 61 a 55 milioni, attivo corrente asciugato di 13 milioni, debiti a quota 85 milioni e, soprattutto, un patrimonio netto (capitale sociale più riserve, meno perdite) che sprofonda nel rosso: da 13 milioni “attivi” del 2013 a meno 2,348 milioni del 31 dicembre scorso. Una cifra quest’ultima che corrisponde alla sentenza definitiva nei confronti dei soci più indifesi in questa partita, che non rivedranno più un euro perché i miracoli non fanno parte della contabilità economica. Sono tutti i 10 mila 399 soci che non avranno indietro la quota sociale versata (l’ultima valutazione era di 26 euro) - e fin qui sarebbe un male minore - ma soprattutto coloro e sono centinaia che hanno acquistato negli anni un numero di certificati azionari superiore all’unità. Secondo il bilancio 2014 con l’annientamento del capitale sono andati in fumo 6,8 milioni di euro versati dai soci (erano 7,8 milioni nel 2013 e sarà da capire a cosa si deve questa differenza). In ogni cooperativa la base sociale è composta dai soci che versano una quota minima per essere ammessi. Mediamente l’importo è di 25 euro e spesso viene in parte stornato attraverso l’assegnazione di buoni sconto per un valore simile. Metodi utilizzati per fidelizzare la clientela. In Coop Carnica per aderire bastavano 26 euro, oltre ad altri 3 euro di spese generali, e si poteva contare su tutti i benefici dello status: partecipazione alle assemblee sociali, sconti su alcuni prodotti, iniziative riservate, attività sociali. In CoopCa è però invalso il principio di autofinanziarsi attraverso l’emissione di certificati azionari per più quote del capitale. Per incentivare tale strumento, visto che nelle coop vale il principio “una testa, un voto” e non c’è la ripartizione dei dividendi sugli utili - quindi avere più azioni è sostanzialmente inutile - CoopCa concedeva un premio fedeltà per il capitale investito che, negli ultimi 2 anni, è stato pari al 2 per cento di quanto versato. Così nel 2012 la renumerazione di tali certificati è stata di 164 mila 818 euro, l’anno successivo di 154 mila 163 euro per un valore complessivo di capitale versato rispettivamente di 8 e 7,87 milioni di euro. Un premio che, confrontato con gli interessi derivanti da strumenti di risparmio presenti sul mercato, dai Bot alle obbligazioni, era di tutto rispetto e così centinaia di soci, oltre ad aprire un libretto di prestito sociale, hanno acquistato quote ulteriori di capitale sociale della coop anche per decine di migliaia di euro. Tant’è che, a fine 2013, i 10 mila 399 soci mediamente erano titolari di 750 euro di capitale, ben al di sopra dei 26 euro della singola quota. Ebbene per chi si è fidato non c’è più nemmeno la speranza di ottenere un rimborso parziale, come avverrà invece per i titolari di libretto di prestito sociale: il capitale è bruciato e con esso anche i soldi versati nell’illusione che si trattasse di un investimento sicuro. Comunque vada il concordato, quei certificati sono carta straccia. L’ira di Legacoop: i privati vogliono solo fare affari UDINE «Le cooperative si fanno carico di CoopCa contro tutti i criteri di redditività, per dare una risposta sociale. I privati si accaparrano i negozi migliori, mentre alle coop non resta che metterci le pezze. Non mi sembra che altri soggetti del mondo economico abbiano dimostrato un simile senso di responsabilità. Non mi risulta, per esempio, che Confindustria sia scesa in campo per salvare i negozi del Mercatone Uno». È una bordata quella che arriva dal presidente di Legacoop Fvg, Enzo Gasparutti, che apre un nuovo terreno di scontro nella tempesta finanziaria abbattutasi sulla cooperativa carnica. E che si aggiunge ai fronti già infuocati: tra Tribunale e Procura, con l’istanza di fallimento di Coopca e Imnmobilcoopca srl avanzata dal procuratore della Repubblica, Raffaele Tito; tra soci prestatori e consiglio di amministrazione sul delicato filo delle battaglie legali; in politica, tra la Lega che attacca Serracchaini e il Pd che fa quadrato. Ieri, dead-line concessa dal Tribunale di Udine per integrare il piano di salvataggio di CoopCa, il cda ha depositato la proposta della cordata capitanata da Coop Nordest, in sinergia con Despar e Conad, per l’acquisto di 12 punti vendita per complessivi 15 milioni di euro. Che vanno a sommarsi ai 5 milioni e 92 mila euro già offerti da Alì spa per i supermercati di Limena e Marcon, e ai 5 miloni 660 mila euro da Discount per Codroipo, Rivignano, Spilimbergo, Tarvisio e Tolmezzo mercato. No comment dai vertici di Nordest sui nomi deiselezionati, fino alla decisione dei giudici sull’ammissione al concordato, attesa entro il 16 aprile. Perché il momento è delicato e si temono mobilitazioni da parte degli esclusi. Dei 12 punti vendita opzionati, 9 sarebbero in Friuli, da Gemona al pordenonese, e tre in Veneto. Di certo, invece, c’è la sovrapposizione di richieste per Tolmezzo mercato, Rivignano, Marcon e Tarvisio. Sul negozio del capoluogo carnico, infatti, hanno messo gli occhi sia Discount che Despar, così come pare anche su Rivignano e Tarvisio, mentre anche Marcon resta conteso tra Alì e Nordest. «Il privato chiaramente vuole i negozi migliori, e in questa fase per ovvi motivi è più forte nella trattativa – spiega Gasparutti – alle coop non resta che salvare il salvabile, a prescindere. Se ci si fosse basati su una valutazione di mercato nessuno si sarebbe fatto carico di questa situazione. Ma i problemi restano. Ci sono buchi che spiccano in tutta la loro gravità ed evidenza e che pesano quando una macchina imprenditoriale si ferma. I negozi sono sforniti, gli scaffali mezzi vuoti, e si vanno a disperdere consumatori». Il nodo dei “doppioni” potrebbe riproporsi anche nelle manifestazioni di interesse per altri 7 supermercati che il cda di CoopCa spera di ricevere a breve, comunque entro maggio, quando, nel caso dell’ammissione a concordato, si terrà l’assemblea dei creditori che dovrà pronunciarsi a sua volta sulla decisione del tribunale. L’auspicio è che l’ingresso di Nordest nella partita faccia da volano ad altri acquirenti. Il legale del cda, Giuseppe Campeis conferma: «Abbiamo depositato tutta la documentazione di integrazione al piano, ma continuiamo a lavorare per implementare il quadro delle offerte sui singoli punti vendita e trovare una soluzione per il magazzino». Per l’immobile di Amaro, infatti, da 15 milioni di euro, «si cerca un soggetto istituzionale disposto a fare un investimento». Impensabile però senza «una garanzia di redditività, come potrebbe essere un contratto d’affitto» fa notare il legale, che invita i risparmiatori alla fiducia, in vista della riunione convocata dal Comitato per domenica al Teatro Candoni di Tolmezzo. «Con gli ultimi sviluppi il quadro è senza dubbio migliorato. Ma la decisione spetta ai giudici». E mentre la Lega e il segretario nazionale Massimiliano Fedriga accusano il Pd e Serracchiani di «evidenti e gravi responsabilità nella pessima gestione delle coop», il senatore democratico Francesco Russo rimbalza le critiche del «mediatico ed egocentrico» segretario leghista, protagonista di «sterile giustizialismo». Coop come Belsito, dunque, accusa il senatore, che punta il dito su «attacchi strumentali inutili per portare nel concreto un contributo positivo ad una questione complessa che tocca da vicino le vite di centinaia di piccoli risparmiatori». Lodovica Bulian «Addio lavoro se si liquida Coopca» (Gazzettino Udine) David Zanirato TOLMEZZO - È stato depositato nel tardo pomeriggio di ieri in via telematica l'atto di integrazione migliorativa al piano di concordato di Coopca con le 12 offerte presentate dalla cordata CoopNordest-Conad-Despar il cui valore è stato stimato in circa 15 milioni. Ai giudici del Tribunale fallimentare di Udine ora il compito di valutarle, per poi esprimersi per l'ammissione o meno alla procedura concordataria. Il verdetto è atteso entro una decina di giorni. Un Piano che comunque nel suo scheletro di proposta rimane "invariato" per quanto riguarda sia i valori di realizzo stimati, sia per le percentuali di soddisfacimento delle varie categorie di creditori, sia per le tempistiche previste per i rimborsi. Ha lasciato inevitabilmente il segno invece la nota della Procura di Udine che martedì ha esternato ufficialmente la sua contrarietà al piano; nella giornata di ieri l'avvocato di Coopca, Giuseppe Campeis ha spiegato di attendere copia ufficiale della memoria per potervi controbattere, soprattutto circa la presunta impraticabilità, a detta dei magistrati, della vendita degli immobili da parte della controllata ImmobilCoopca. La fattibilità dell'operazione secondo il legale trova riscontro invece nel precedente delle Coop Operaie di Trieste. COLLINASSI. Continua a dirsi "fiducioso" il presidente della Cooperativa carnica, Ermanno Collinassi, che definisce un «buon risultato» quanto ottenuto con le proposte migliorative giunte dai vari gruppi. Dice di non voler assolutamente mettere il becco sulla valutazione della Procura di Udine, constata solo il fatto che «tra un fallimento ed un concordato la differenza è abissale, solamente nel secondo caso si arriva ad una soddisfazione maggiore per tutti i portatori d'interesse in quanto gli avviamenti non si perdono ed i negozi mantengono il loro valore». I SINDACATI. «Non è mai successo che un fallimento abbia garantito più posti di lavoro di un concordato. Capisco che la Procura debba fare il suo lavoro, ma arrivare a bocciare questa proposta in grado di garantire circa 350 posti di lavoro sugli oltre 600 complessivi mi sembra davvero un controsenso». A sottolinearlo Paolo Duriavig della Fisascat Cisl Fvg, il quale fa notare che «non si sta parlando di un’industria ma di una società di distribuzione alimentare soggetta a scorte deperibili, avviamenti, merci... Mettere i sigilli ai negozi da un giorno all'altro provocherebbe quindi un danno incredibile; condividiamo la necessità di perseguire i reati ed indagare i presunti colpevoli - conclude il fallimento però sarebbe davvero la sconfitta di tutti». I SOCI. «Sicuramente un fallimento non farebbe il nostro interesse, anche se con le attuali previsioni del piano per noi prestatori rimarrebbero davvero un pugno di mosche». Questo il commento di Tommaso Angelillo, portavoce del Comitato Aiuto Soci Coopca, il quale, pur apprezzando le nuove offerte giunte per una parte dei negozi, continua a chiamare in causa la Regione affinché si attivi per un "fondo eccezionale" da destinare a chi perderà gran parte dei propri risparmi: «È inutile che ci prendiamo in giro - sottolinea -: al netto dei soldi previsti per saldare tutti i creditori privilegiati, a noi rimarranno ben pochi spiccioli; chi ha redatto il piano doveva tutelarci maggiormente». Non commenta invece il legale dei soci, l'avvocato Zilli, il quale dirà la sua in occasione dell'assemblea dei prestatori autoconvocata per domenica alle 15 al "Candoni" di Tolmezzo. Si prevede già una grandissima affluenza, oltre mille quanti hanno già dato conferma. Non autosufficienti, 9 milioni al Fvg (Gazzettino) TRIESTE - (EB) Il Friuli Venezia Giulia, grazie al ripristino del Fondo per le non autosufficienze, sarà destinatario di 8 milioni e 970 mila euro. Il Fondo (istituito dalla legge 296/2006) è stato ricostituito dall'attuale governo Renzi ed è finalizzato a garantire, su tutto il territorio nazionale, l'attuazione dei livelli essenziali delle prestazioni assistenziali in favore delle persone non autosufficienti. Obiettivo, assicurare omogeneità agli interventi finora realizzati dalle Regioni attraverso la progressiva costruzione di un sistema di assistenza che assicuri la piena integrazione delle prestazioni sociali con quelle sanitarie. «I governi precedenti, non finanziandolo, avevano di fatto annullato il fondo - commenta il deputato Pd Giorgio Brandolin - a eccezione del governo Letta che vi aveva inserito 250 milioni di euro». Per l'anno 2015, il Fondo è di 400 milioni di cui 390 milioni destinati alle Regioni e 10 milioni al Ministero del Lavoro per progetti sperimentali in materia di vita indipendente. «Una cifra importante a sostegno delle famiglie - conclude Brandolin - ma ora lavoreremo per aumentare le risorse». Il "turismo" sanitario frutta 26,8 milioni (Piccolo) di Marco Ballico TRIESTE C’è un ginocchio da aggiustare a il “passaparola” porta qualche cittadino del Friuli Venezia Giulia in Veneto. Ma vale anche il contrario: le strutture regionali attraggono pazienti di altre regioni. Anzi, ne attraggono anche di più come conferma il saldo positivo per la Regione (+26,8 milioni nel 2013 con un significativo +25,4 milioni nei confronti del Veneto) per quel che riguarda il “turismo” in corsia, stando al meccanismo delle compensazioni che in tutta Italia vale complessivamente un miliardo di euro. La mobilità sanitaria interregionale, è la premessa, è conseguenza del diritto dell’utente a ottenere cure a carico del proprio sistema sanitario regionale anche in un luogo diverso da quello di residenza. La spesa relativa alle prestazioni sanitarie offerte ai non residenti è inizialmente a carico delle regioni di residenza degli assistiti; solo in un secondo momento intervengono i rimborsi, corrisposti a consuntivo e dopo un’operazione di compensazione che, data la sua complessità, è disciplinata da apposite linee guida approvate dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome. I dati forniti dagli uffici dell’assessorato regionale fotografano una situazione favorevole sia per il 2012 che per il 2013 (manca ancora la validazione sul 2014, ma il quadro non ha solitamente eccessivi scossoni). In sostanza, sono più numerosi i cittadini di altre regioni che si curano in Friuli Venezia Giulia rispetto a quelli del Friuli Venezia Giulia che scelgono ospedali e cliniche al di fuori dei confini regionali. Se nel 2012 il saldo era di circa 28,5 milioni di euro, nel 2013 si rimane comunque con un attivo di 26,8 milioni, la differenza tra i 98,9 milioni in entrata (la maggiore parte, circa 65 milioni, per i ricoveri, una ventina di milioni per la specialistica, il resto per farmaci, cure termali e interventi dell’elisoccorso) e i 72,1 in uscita. Il maggiore introito è quello che arriva dai veneti, le cui prestazioni sanitarie sul territorio regionale valgono 69,8 milioni (contro 44,4 milioni in direzione opposta). A seguire ci sono i 6 milioni per le cure ai siciliani, i 3,4 milioni per i campani e i circa 3 milioni per pugliesi e lombardi. Al contrario, Veneto a parte, i cittadini del Friuli Venezia Giulia si recano spesso in Lombardia (9,5 milioni il flusso finanziario in uscita) e in Emilia Romagna (oltre 7 milioni). Cifre superiori al milione di euro si spendono anche per le cure dei regionali in strutture sanitarie della Toscana (1,9 milioni), della Campania (1,3 milioni), del Lazio e del Piemonte (poco oltre 1 milione). «Un dare-avere confortante – commenta l’assessore alla Sanità Maria Sandra Telesca – che conferma quanto la nostra offerta sia apprezzata anche da cittadini delle altre regioni. Dispiace solo che, visto che la partita è gestita dal ministero dell’Economia, questi soldi sono scritti a bilancio ma non sempre entrano in cassa in tempi rapidi». Il saldo più positivo (+25,4 milioni) è quello con il Veneto, quindi si registrano +5 milioni con la Sicilia, +2,6 milioni con la Puglia e +2 milioni con la Campania. Saldi negativi, invece, solo in cinque situazioni: con la Lombardia (-6,4 milioni), l’Emilia Romagna (-4,6 milioni), la Provincia di Bolzano (-463mila), la Toscana (-438mila euro) e il caso specifico dell’ospedale pediatrico di Roma “Bambino Gesù”. Guardando ancora al Veneto emerge in realtà una progressiva erosione dell’attrattività favorevole alla sanità friulgiuliana. Gli oltre 25 milioni di saldo restano una cifra importante, ma nel 2012 si erano toccati i 27,6 milioni di euro e nel 2014 (il Veneto ha già a disposizione i dati dell’anno scorso) la spesa dei cittadini Fvg nella regione confinante è salita del 4% (da 44,4 a 46,2 milioni). Secondo i dati Istat 2012, le regioni italiane sono interessate da circa 567mila ricoveri ospedalieri (o dimissioni) di pazienti non residenti (8,4% del totale dei ricoveri ordinari per “acuti”) e da oltre 506mila ricoveri effettuati dai pazienti in una regione diversa da quella di residenza. Dalle riforme al welfare, fibrillazioni tra i dem (M. Veneto) di Anna Buttazzoni UDINE Un punto nave, a poco meno di due anni dal veleggiare del governo di centrosinistra. Il Pd raduna il gruppo. Alcuni consiglieri scalpitano. Il problema è antico, è quello del raccordo tra la giunta e il Consiglio ed è acuito da una presidente, Debora Serracchiani, che schiaccia sull’acceleratore. In due anni sono state varate le riforme della sanità, degli enti locali e Rilancimpresa, provvedimenti che vanno attuati tra i mal di pancia di sindaci e iscritti. Per i consiglieri dem, che rappresentano il partito di maggioranza relativa in Regione, il momento non è facile. Chiedo più coinvolgimento nelle scelte, anche se i ruoli dell’esecutivo e dell’Assemblea sono molto diversi. Al gruppo partecipa anche l’assessore Gianni Torrenti, esponente del Pd, e qualche rassicurazione arriva. Sul tavolo della giunta ci sono lo strumento di integrazione al reddito e la riforma del sistema Casa. I consiglieri chiedono che la giunta non arrivi con il testo pronto e chiuso, ma faccia prima alcuni passaggi tra gli eletti. Torrenti garantisce per l’esecutivo. Servono quattro ore, e probabilmente sarebbero state utili altrettante, per schiarire l’orizzonte. Alcuni consiglieri, soprattutto i nuovi e che vengono da esperienze nelle amministrazioni comunali, mal digeriscono i tempi e i modi della Regione, con la giunta che disegna impianti di legge sui quali i consiglieri possono poco, a volte molto poco. I più scontenti sono i rappresentanti del Pordenonese, in maggiore difficoltà oggi dopo il gelo tra i due assessori di zona, il vicepresidente Sergio Bolzonello – di frequente nel mirino per il pochissimo a tempo a disposizione da dedicare ai consiglieri – e Paolo Panontin (Cittadini), “padre” della legge sulle mini-Province che tanto sconquassa sindaci e amministratori locali. Nessuno nel Pd mette in discussione l’impianto della riforma, ma con due esponenti di giunta che litigano tra loro per la composizione delle unioni di Comuni, difficile tenere la barra dritta. Cristiano Shaurli, capogruppo del Pd, interpreta al meglio il ruolo di smaliziato Grisù. «È normale che ci siano delle criticità, perché con l’elezione diretta del presidente Fvg i ruoli di giunta e Consiglio sono strutturalmente separati. Il Consiglio – afferma Shaurli – non può avere l’ambizione d’essere parte dell’esecutivo, ma i consiglieri devono esercitare la capacità politica di proposta e trovare momenti di sintesi, in quanto rappresentanti del territorio. Dobbiamo seguire giornalmente le tre importanti riforme varate perché vanno attuate». E sulle mini-Province? Shaurli non ha dubbi. «La posizione del Pd è chiara, è stata votata in Consiglio con un ordine del giorno. Per noi le Unioni territoriali intercomunali devono coincidere con gli ambiti socio-sanitari». Punto. Centri per l’impiego: oltre 45 mila utenti (M. Veneto) UDINE I lavoratori accolti dai Centri per l’impiego del Friuli Venezia Giulia sono passati, tra il 2010 e il 2013, da 39 mila 170 a 45 mila 364 con un incremento del 15,8 per cento, mentre i servizi personalizzati a favore degli utenti sono cresciuti da 23 mila 88 a 38 mila 908 (+68,5 per cento). Complessivamente le azioni erogate dai Centri per l’impiego sono aumentate nello stesso periodo del 190,9 per cento (da 37 mila 371 a 108.706). Questi i dati di uno studio realizzato in vista del trasferimento delle competenze dalle Province alla Regione. Lo studio è stato presentato ieri a Trieste ai rappresentanti dei sindacati e delle associazioni di categoria, nel corso di un incontro convocato per illustrare il disegno di legge sull’istituzione dell'Agenzia del Lavoro, che verrà a costituire un’area specifica all'interno della direzione regionale competente. Alla riunione hanno partecipato l’assessore al Lavoro, Loredana Panariti, e alle Autonomie locali, Paolo Panontin, affiancato dal direttore generale Roberto Finardi, perché la nascita dell'Agenzia coincide con il trasferimento delle competenze in base alla riforma degli Enti locali (legge 26 del 2014) che prevede appunto il superamento delle Province, a cui finora facevano capo i Servizi per l'impiego. La ricerca ha messo in luce la capacità dei Centri provinciali di migliorare l’accoglienza e la personalizzazione dei servizi, mentre è risultata debole quella relativa al monitoraggio e al controllo dei percorsi. I servizi sono distribuiti in Fvg su 21 unità organizzative (di cui 18 Centri per l’impiego territoriali), con 290 addetti. La distribuzione territoriale risulta tuttavia disomogenea. «Il nostro obiettivo - ha spiegato Panariti - è potenziare le politiche attive del lavoro e i servizi per l'impiego, partendo dalla fotografia della realtà esistente. I servizi - ha aggiunto - devono essere omogenei, migliorando la fluidità dell’incontro fra domanda e offerta di lavoro anche attraverso un’integrazione virtuosa fra pubblico e privato, in modo da integrare la rete dei servizi». Per l'assessore Panontin, non ci sono particolari criticità nel trasferimento degli addetti dei Centri per l'Impiego dalle Province alla Regione, nel senso che cambierà il datore di lavoro ma non il profilo dei dipendenti. Migranti in aumento, piano da 2 milioni (Piccolo) di Gianpaolo Sarti TRIESTE Oltre due milioni di euro, per un piano che spazia dall’integrazione scolastica all’alfabetizzazone per adulti, dalla mediazione linguistica ai progetti locali per richiedenti asilo e rifugiati. La giunta traccia la mappa degli interventi per il 2015 a favore degli immigrati. La delibera dell’assessore Gianni Torrenti, approvata a fine marzo, approda oggi in Consiglio per il parere della sesta commissione, presieduta da Franco Codega del Pd. Con una premessa: l’afflusso dei migranti che arrivano in Fvg autonomamente o vengono trasferiti con l’operazione Mare Nostrum, poi Triton, «sarà in prevedibile aumento». Al momento sono 1.600 i richiedenti asilo, distribuiti a gruppi in una quarantina di Comuni del Fvg. Un numero sceso di qualche unità in queste settimane, anche se «le tensioni internazionali preoccupano e il territorio deve essere pronto», riflette Torrenti. Ma il corposo documento che accompagna la delibera fa notare innanzitutto come, in generale, la presenza degli stranieri in regione sia una realtà consolidata: stando ai dati Istat, sono 107.917 i residenti al 1 gennaio 2014, l’8,8% della popolazione. Rispetto al gennaio 2013 è un incremento del 5,2%; una ripresa dopo il triennio 2010-12 che aveva segnato il picco più basso della crescita (+3% in media, contro +13% registrato nel pre-crisi 2003-2008). A Udine si contano 41.558 unità, a Pordenone 35.129, a Trieste 19.163 e a Gorizia 12.067. Stando ai dossier regionali, l’apporto al Pil del Fvg sfiora il 10% (8,8% in Italia), 53 mila gli occupati, il 10,6%, mentre il gettito fiscale pesa per il 4,4%, una quota inferiore sia al peso occupazionale che demografico, visto che rappresentano l’8,5% dei contribuenti. Ma è l’effetto di una presenza che si concentra nelle fasce di reddito basse. È il costante flusso di chi domanda protezione internazionale ad aver coinvolto in questi ultimi mesi il Friuli Venezia Giulia «in misura crescente» e su un doppio fronte: da un lato sulla base delle disposizioni ministeriali (Mare Nostrum, Triton), dall’altro e gli ingressi via terra. Una condizione, puntualizza la giunta, «fortemente ribadita dal governo regionale, che espone significativamente il Friuli Venezia Giulia e che impone che il piano nazionale tenga conto delle nostre peculiarità, ai fini di una equa distribuzione dei richiedenti asilo». La delibera di Torrenti non ha i toni dell’emergenza, ma li sfiora. Con precisi altolà. Ecco la necessità di predisporre vere e proprie reti di assistenza e soccorso, in collaborazione con i Comuni, in una logica «di accoglienza diffusa» sul territorio. Sono comunque 7 gli ambiti di azione, per complessivi a 2 milioni 271 mila euro (un calo di 250 mila su cui la giunta potrebbe intervenire in assestamento, in caso di necessità), e interessano in primo luogo gli stranieri residenti, con precise azioni di integrazione scolastica (630 mila euro), compreso l’apprendimento dell’italiano allargato anche agli adulti (190 mila), la mediazione linguistica (150 mila) e il supporto a chi è oggetto di violenza e sfruttamento (30 mila). A ciò si aggiungono le strutture per l’ospitalità temporanea e i servizi di inserimento abitativo (440 mila, con il 50% per italiani), i microprestiti per gli affitti (40 mila) e i piani territoriali, che prevedono sportelli informativi anche per l’accesso lavorativo e agli strumenti di welfare, oltre a iniziative di dialogo interculturale (600 mila). I progetti locali per i richiedenti asilo e i rifugiati beneficeranno di 150 mila euro, oltre ai 15 mila assegnati per i territori più vicini a Gradisca, dove ha sede il Cara. I 150 mila euro sono diretti ai Comuni che, in forma singola o associata, promuovono l’inserimento, la conoscenza e «l’accettazione reciproca» tra persone accolte e comunità ospitante. Nel ventaglio di proposte realizzabili nelle singole località regionali, rientrano anche i corsi di formazione e le attività di cura e pulizia di strade, sentieri e verde pubblico. Un ulteriore contributo di 41 mila euro, infine, servirà per il coordinamento tra i gestori del sistema Sprar, dunque Caritas e onlus. Unioni, la legge non cambia (Gazzettino) Antonella Lanfrit UDINE - Le Uti, Unioni territoriali intercomunali, come una mina che rischia di fare del Friuli Venezia Giulia un Vietnam? L'opposizione, con il capogruppo di Forza Italia Riccardo Riccardi, è giunta a veicolare anche questa immagine registrando il subbuglio dei Comuni tra chi decide di ricorrere contro le disposizioni della Giunta regionale e chi sta meditando quali vicini di casa scegliersi. L'assessore regionale alle Autonomie, Paolo Panontin, «padre» della legge di riforma degli enti locali, si considera però «non preoccupato». È il 20 aprile il termine ultimo entro il quale le amministrazioni comunali dovranno dire se accettano l'allocazione proposta dalla Regione in una delle 17 Uti o se vogliono restare da soli pagando una penale del 30% in meno di trasferimenti, oppure se hanno una motivata richiesta di altra aggregazione. La faccenda ha creato gran fermento fino alla proposta di un'Uti unica in luogo dell'attuale provincia di Pordenone (già propugnata dal vicepresidente Sergio Bolzonello), per non dire di Grado che vorrebbe stare insieme a Lignano e delle criticità lungo le linee di faglia. Uno scenario che Panontin, se guarda, non commenta. Tuttavia, si dice «non preoccupato, perché aspettiamo la fine del percorso e poi tireremo le somme». Certo è, aggiunge, che «abbiamo detto tutto quello che dovevamo dire. Ribadisco che, in questo momento, i dettami sono quelli che conoscono tutti». Vero è che «sin dall'origine ho sostenuto che c'erano margini per piccole modifiche, non certo sull'impianto, che si rivelassero opportune all'atto pratico». Per sapere quanto saranno larghe le maglie regionali nell'accogliere le richieste del territorio occorrerà aspettare il 21 aprile o giù di lì, anche se sull'Uti unica pare non vi siano dubbi. «Su un'Uti unica pordenonese - afferma infatti Panontin - non faccio altro che rimandare a quanto prevede l'articolo 4 della legge di riforma degli enti locali - elenca i criteri con i quali si creano le Uti per verificare che non è praticabile». Sul fronte dell'opposizione, però, non si demorde e Riccardi punta l'indice su ciò che hanno scatenato le 17 Uti indicate dalla Giunta: «Un mercato delle vacche, con metà dei Comuni che, in una forma o nell'altra, non sono d'accordo», tuona, anticipando che dopo il 20 aprile presenterà un'interrogazione per sapere se la Giunta, «a fronte di questa condizione di avversità, intenda andare avanti come se nulla fosse. Una riforma bisogna farla e bisogna anche decidere - concede -, ma non in questo modo». Inoltre, stigmatizza, «il Piano di riordino territoriale è un atto politico che dovrebbe essere posto all'attenzione del Consiglio regionale e che invece la Giunta Serracchiani risolve con un atto dell'Esecutivo, avendo paura di andare sotto in Aula». Maximulta al “cartello” del calcestruzzo (Piccolo) di Furio Baldassi TRIESTE Caro calcestruzzo, quanto mi costi! Uno sfracello. Considerato che il problema è comune a un gran numero di aziende, perchè non cautelarsi? Deve essere stato questo il pensiero che ha spinto otto società del Triveneto a creare un vero e proprio “cartello”. Con risultati quasi immediatamente passati dal dato economico a quello penale. Perchè fare “sistema”, anche nell’allegra Italietta di oggi, è rimasto un reato. E di quelli grandi, anche. Di qui le sanzioni per oltre 12,5 milioni di euro che sono state irrogate complessivamente dall'Antitrust a otto società produttrici di calcestruzzo operanti in Friuli Venezia Giulia. Lo ha comunicato l'Autorità per la Concorrenza, fornendo anche, sul suo sito, un’articolata spiegazione di come funzionava l’alleanza tra aziende. Quelle finite nel mirino sono General Beton Triveneta, Calcestruzzi Zillo, Friulana Calcestruzzi, SuperBeton, Cobeton, La Nuova Calcestruzzi, Calcestruzzi Trieste Nord Est, Concrete Nordest, e la società di consulenza (Intermodale S.r.l.). «Tra il 2010 e il 2014 - si legge nel testo dell’Antitrust hanno attuato due intese per fissare i prezzi e spartirsi la clientela: una, nelle province di Udine, Pordenone, Gorizia e nella provincia di Treviso a sinistra del Piave; l'altra, nella provincia di Trieste». In sede aziendale, ovviamente, bocche più che cucite. Ma tra mezze chiamate e telefoniste beccate in contropiede si scopre che molte delle società coinvolte sono legate da una specie di gioco di scatole cinesi. Così, se si cerca di contattare la Calcestruzzi Trieste Nord, questi ti rimandano alla pordenonese Zillo. Dove, dopo aver tentato invano di contattare un “ragioniere” (chissà perchè, poi) fanno sapere che in realtà la casa madre sta a Padova, con lo stesso cognome. Insomma, un rebus. Le matrioske del calcestruzzo. Ma l’Autorità lo ha risolto da tempo. Tanto da spiegare che il procedimento ha avuto origine dalla richiesta di applicazione del programma di clemenza della società Calcestruzzi S.p.A. cui l’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato ha riconosciuto l’immunità totale dall’ammenda ai sensi della “Comunicazione sulla non imposizione e sulla riduzione delle sanzioni”. E qui entriamo nel fisso. «Le due intese - si legge - erano finalizzate in particolare alla ripartizione dei cantieri di fornitura del calcestruzzo e alla fissazione dei prezzi di vendita nei due mercati geografici del Friuli. In entrambi i casi, il coordinamento ha determinato il mantenimento della clientela storica di ogni concorrente e la fissazione di prezzi più alti di quelli che si erano registrati prima del 2010, un periodo caratterizzato già dal 2008 da una contrazione significativa della domanda e da una maggiore concorrenza di prezzo tra i produttori. Le concertazioni hanno interessato i principali operatori delle aree geografiche coinvolte, rappresentativi di circa l’80% per quanto riguarda l’area di Udine-Pordenone e di circa il 60% per quella di Trieste». Insomma, un meccanismo studiato bene. Gestito da Intermodale, includeva lo scambio di informazioni sulle quote storiche (pre-crisi) e informative di cantieri aperti o in apertura, raccolte da Intermodale in tabulati riepilogativi, in cui erano utilizzati codici cifrati per individuare i produttori. «Questi documenti venivano distribuiti e discussi nel corso di riunioni settimanali (! ndr), diverse per le due intese, includendo spesso anche il prezzo di riferimento della fornitura. Il coordinamento prevedeva inoltre l’irrogazione di sanzioni da parte della società di consulenza a carico delle imprese devianti». Ovviamente anche Intermodale è stata sanzionata dall’Antitrust per aver fornito un contributo attivo e volontario alle intese tra i principali produttori di calcestruzzo del Friuli Venezia Giulia. E nella quantificazione delle sanzioni, sono stati applicati i principi espressi nelle linee guida adottate dall’Autorità il 22 Ottobre 2014. CRONACHE LOCALI Rabbia alla Vetroresina: «Senza stipendio da 4 mesi» (M. Veneto Udine) POVOLETTO Dallo scorso dicembre non percepiscono più un euro. «Niente stipendi, né ovviamente tredicesime. Per non parlare, poi, di contributi e Tfr, che non sono stati versati». I 60 dipendenti del Vetroresina Group, stabilimento principale a Povoletto e filiali in Bulgaria e Macedonia, sono esasperati: per gridare il proprio sconcerto, che in tanti casi sconfina nella disperazione («Come sfameremo i nostri figli?»), ieri mattina si sono riuniti davanti alla cancellata della fabbrica, annunciando un picchetto «a oltranza», a rotazione. «Fino a quando il presidente del Gruppo, Enrico Quendolo, non si farà vedere e non ci darà le spiegazioni che attendiamo da settimane – promettono con piglio combattivo – noi verremo qui all'ingresso ad aspettarlo». Ieri c’era una ventina di persone nello slargo antistante i capannoni. Oggi avverrà lo stesso «e così avanti» garantiscono i dipendenti, una quarantina di operai e una ventina di impiegati. Inconcepibile, dicono, che nessuno li abbia aggiornati sull’evoluzione di una situazione che aveva iniziato a scricchiolare – sotto il peso della crisi economica – 4 anni fa e che negli ultimi due si è aggravata fino a sfociare nei provvedimenti della cassa integrazione ordinaria, poi straordinaria, quindi dei contratti di solidarietà. «Attualmente – spiegano gli esponenti della Rsu aziendale, Monica Piga ed Enrico Mariano – una parte del personale ha o, meglio, dovrebbe avere un impegno lavorativo di venti ore settimanali; la rimanenza, invece, è ormai a zero ore. Da una quindicina di giorni, però, i cancelli della ditta sono chiusi. E nessuno si è mai premurato di dirci cosa stia accadendo». Qualcuno, in realtà, all’interno della fabbrica c’è ancora. «Si tratta – spiega la Rsu – del personale di un’impresa, la Vetres, che ha preso in affitto alcuni locali e macchinari». Fondata nel 1960 e specializzata nella produzione di materiali in vetroresina (che venivano smerciati a livello internazionale, soprattutto in Europa), la fabbrica naviga in cattive acque da tempo: «Abbiamo fatto di tutto e anche di più – dicono i dipendenti – per cercare di salvare il salvabile: basti dire che su nostra iniziativa i turni sono passati, per un periodo, da tre a quattro. Purtroppo non è servito. Grosse commesse sono state perse. Ce n’è in piedi ancora una importante, estera, del valore di 8 milioni di euro: peccato non ci siano i soldi, oltre che per pagare noi, per acquistare la materia prima». Nonostante il quadro di incertezza si trascini da un bel po’, «i sindacati – stigmatizzano i lavoratori – si sono rivelati latitanti». Accusa rigettata però con forza dalla Uiltec: «Capisco perfettamente lo stato d’animo del personale – premette il segretario regionale Antonino Mauro – , ma rivendico il nostro ruolo. In tempi non sospetti avevamo detto che le cose non andavano per il verso giusto. E ora ci si trova in questa impasse. Nelle scorse settimane il titolare aveva chiesto ai dipendenti, facendo leva sulle commesse milionarie, di continuare a lavorare gratis. Gli era stato domandato se fosse possibile almeno ricevere un anticipo sui compensi dovuti: stiamo ancora aspettando un cenno, così come siamo in attesa di capire le sorti della richiesta di concordato preventivo avanzata». Qualche lume arriva, nel mentre, dal responsabile della produzione di Vetroresina, Piergiorgio Domenis: «Si attendevano risposte da alcuni clienti, ma non sono arrivate. I dipendenti non hanno ricevuto notizie perché, purtroppo, non c’era nulla di nuovo su cui informarli. Il problema consiste nell’assenza di liquidità, ma le ordinazioni di materiale ci sono, per fortuna, e i clienti fanno pressione perché le commesse vadano a buon fine: di potenzialità, insomma, l’azienda, leader, nel suo settore, su scala nazionale e ben oltre, ne ha. Si confida di poter individuare nuovi finanziatori». Ma i promotori del sit-in incalzano: «Vogliamo che questo incredibile panorama di paralisi si smuova quanto prima. Il proprietario, che abbiamo ripetutamente provato a contattare, continua a negarsi. Sappia che c’è, fra noi, gente che non riesce più a soddisfare i bisogni elementari dei propri figli né a far fronte a tutte le altre necessità di ogni giorno». Lucia Aviani Il titolare fiducioso: «Possiamo restare sul mercato» L’amministratore unico di Vetroresina Ap, Enrico Quendolo cerca di chiarire i controni della crisi aziendale. «Nessuno vuole nascondere il fatto che l’azienda stia attraversando un momento di difficoltà – precisa Quendolo – , una crisi determinata, in particolare, dalla perdita di una commessa importante e da una stretta creditizia improvvisa». «Ciò premesso – ha assicurato in primis ai lavoratori – ribadisco che mai verrà meno la disponibilità da parte mia a rispondere e a fornire ai dipendenti tutti i chiarimenti del caso, come peraltro è sempre avvenuto stante la mia costante presenza in fabbrica». «Allo stato attuale – chiarisce – questa è la situazione: abbiamo attivato una procedura di concordato preventivo in continuità e riteniamo che i presupposti per la concessione ci siano. In questo momento siamo impegnati a rispettare regole e tempi della procedura. Sto lavorando assieme ai miei collaboratori più stretti, per giungere a una soluzione, mantenendo in prima persona e direttamente i rapporti con i clienti principali. Rimango comunque a completa disposizione verso chiunque tra i dipendenti senta il bisogno di avere un aggiornamento sulla situazione. L’azienda, forte della sua lunga storia e della sua vocazione verso i mercati internazionali, con il know how rappresentato dalle tecnologie e dalle professionalità delle persone che vi operano, ha tutti i presupposti e i requisiti per continuare ad operare sui mercati che l’hanno caratterizzata». Vetroresina ha una lunga storia alle spalle: fondata negli anni Sessanta, è stata tra le prime aziende friulane a dotarsi di un profilo internazionale. (bar.cim.) Sangalli, appello a Serracchiani dopo il silenzio della Regione (M. Veneto Udine) SAN GIORGIO DI NOGARO A quasi due mesi dall'incontro al Ministero allo Sviluppo Economico sulla crisi del Gruppo Sangalli, la Regione Friuli Venezia Giulia – diventata azionista di maggioranza della Sangalli Vetro Porto Nogaro – non ha mai incontrato i sindacati, nè ha presentato un piano industriale e le organizzazioni sindacali così come le Rsu scrivono alla presidente Serracchiani per chiedere un incontro urgente in merito. Intanto le segreterie nazionali di Filctem, Femca e Uiltec chiedono al Mise di riconvocare entro breve tutte le parti interessate al Gruppo Sangalli, denunciando «la pericolosa assenza di chiarezza sugli assetti societari, sulle strategie e sulla gestione di Sangalli Vetro Porto Nogaro». Ricordiamo che i lavoratori occupati a San Giorgio sono 150, mentre altri 50 sono dell’indotto. Va detto che la Regione Fvg, oltre a difendere i posti di lavoro, deve anche tutelare il consistente impegno finanziario, superiore agli 80 milioni di euro, dovuto all’investimento di Frie e alla partecipazione della finanziaria regionale nel capitale soci. Tutto ciò mentre il Tribunale di Treviso nomina due commissari giudiziali per la Sangalli Vetro Manfredonia. Come sottolinea Andrea Modotto della Cgil «dal 28 gennaio, la Regione Fvg non ha incontrato i sindacati nè mantenuto l'impegno con il ministero di illustrare le decisioni riguardo la Società Porto Nogaro. In mezzo ci sono le famiglie dei lavoratori diretti e indiretti che capiscono la situazione che si è venuta a creare e sono molto preoccupati per le sorti dello stabilimento di San Giorgio e del silenzio del socio di maggioranza!». Ritornando alla Sangalli Vetro Porto Nogaro, le segreterie territoriali e regionali Fvg Filctem-Cgil, Femca-Cisl, Uiltec-Uil e Ugl Chimici hanno chiesto alla presidente della Regione Fvg Debora Serracchiani «un incontro a carattere d’urgenza per una disamina della preoccupante situazione in cui si trova la società». «La travagliata situazione finanziaria e di mercato, la difficilissima realtà in cui versa la Società Manfredonia Vetro attualmente presente nel capitale sociale della Sangalli Vetro Porto Nogaro e il ruolo di azionista di maggioranza che Friulia oggi detiene – dicono – , impongono un esame urgente delle problematiche con le organizzazioni sindacali, anche in funzione della difesa occupazionale e delle prospettive del sito di San Giorgio. In una assemblea generale dei lavoratori tenutasi in febbraio sono stati aggiunti elementi di preoccupazione in ordine alla governance dello stabilimento sangiorgino e della sua gestione, comportamenti a nostro avviso non dettati dall’emergenza e tuttavia praticati con aggravio dei costi industriali. Nell’incontro al Mise del 17 febbraio scorso venne precisato che nell’arco di una quindicina di giorni la Regione Fvg avrebbe illustrato le decisioni prese in merito alla gestione di Porto Nogaro. Fu inoltrata una richiesta d’incontro indirizzata al vicepresidente della Regione in data 21 febbraio, tuttora non calendarizzata». Francesca Artico Stop allo sciopero al Mercatone Uno, oggi riparte il lavoro (M. Veneto Udine) REANA DEL ROJALE Rientreranno oggi al lavoro dopo quasi due settimane di sciopero i lavoratori del Mercatone Uno di Reana. Lo hanno deciso ieri, dopo un’assemblea- fiume, rinunciando nell’immediato a ulteriori azioni di protesta, speranzosi che l’azione dei tre commissari, nominati dal Governo nell’ambito della procedura di amministrazione straordinaria attivata dal Mise martedì, possa dare risultati positivi. Quantomeno azzerare la disparità di trattamento tra negozi che fin qui ha visto penalizzato in Fvg soprattutto il punto vendita di Reana del Rojale, vittima di una campagna di sconti che lo ha poco meno che svuotato e messo a rischio chiusura. Impegnati ieri nell’ultimo giorno di sciopero, oggi i 40 dipendenti rientreranno dunque al lavoro. Lo faranno stringendo i denti, in attesa di capire, dall’incontro che sarà convocato la prossima settimana al ministero, le intenzioni dei commissari e lo stato dell’arte relativo all’unica trattativa oggi in corso. «L’investitore che si è proposto, e con il quale vi è un confronto aperto da circa due mesi, ha comunicato che procederà alla presentazione di un’offerta definitiva di acquisto entro la fine del mese di aprile» hanno fatto sapere ieri i vertici di Mercatone nella nota con cui hanno pure comunicato l’ammissione dell’azienda all’amministrazione straordinaria. Passaggio previsto a sentire la governance (che l’amministrazione straordinaria di fatto esautora) «in sede di apertura della procedura concordataria e quindi gestito non come un’emergenza, ma come una fase del percorso di riavvio dell’attività». L’amministrazione straordinaria passa il timone ai commissari nei quali i dipendenti ripongono ora ogni speranza. Parola dei sindacalisti Athos di Stefano (Fisascat Cisl) e Francesco Buonopane (Filcams Cgil): «I lavoratori hanno deciso di sospendere lo sciopero e rientrare al lavoro sperando che la decisione presa dal Ministero di applicare la legge Marzano al Mercatone Uno dia garanzie di trasparenza e affidabilità nella gestione della vertenza». «Restano ovviamente tutte le preoccupazioni di chi lavora in un negozio ormai quasi totalmente vuoto, senza al momento né prospettive di continuità dell’attività, né ammortizzatori sociali conservativi, visto che l’attuale contratto di solidarietà è in scadenza», ha aggiunto Buonopane precisando che la protesta è sospesa, ma che i lavoratori si riservano di riprenderla alla luce di quanto emergerà al tavolo ministeriale. Maura Delle Case Choc per la maxi-multa: la Domenis sospende la produzione (M. Veneto Udine) CIVIDALE Sono a casa ormai da una settimana i 14 lavoratori della distilleria Domenis di Cividale. A casa in attesa di capire quale sarà il loro destino. Quale il destino della storica insegna produttrice di grappe dopo aver perso in Corte di Cassazione la lunga battaglia sulle accise non versate per l’alcol esportato in Estonia e Lettonia che all’azienda costerà – così ha imposto la Suprema Corte – il pagamento di oltre 10 milioni di euro all’Agenzia delle dogane. «Effetto della sentenza – ha fatto sapere ieri Ingrid Peres di Flai Cgil – è la sospensione di ogni lavorazione in azienda e la conseguente inattività dei lavoratori che da una settimana sono a casa, coperti dal contratto di solidarietà che però ha i giorni contati: scadrà il prossimo 16 aprile». La situazione desta non poche preoccupazioni nel sindacato che teme il peggiore dei finali per la distilleria. La delicata situazione in cui versa Domenis è stata oggetto ieri di un tavolo in Confapi di cui Peres si prepara a relazionare oggi ai lavoratori. Novità? «Poche. I vertici dell’impresa ci hanno assicurato che stanno studiando assieme ai legali ogni possibile via d’uscita – ha riferito la sindacalista – . Le strade sostanzialmente sono due: l’impugnazione o in alternativa il fallimento. Siamo rimasti d’accordo che ci terremo aggiornati quasi quotidianamente, anche perché abbiamo l’esigenza di capire come far fronte alla prossima scadenza della solidarietà». Il rammarico per la sentenza che rischia di cancellare un’azienda forte di oltre cento anni di storia – Domenis affonda infatti le sue radici nel lontano 1898 – , è grande e Peres non lo nasconde. Anche alla luce dei positivi risultati messi a segno in questi anni di crisi. «Negli ultimi quattro in particolare – afferma la sindacalista – la distilleria è stata in grado di conservare la sua fetta di mercato, di garantire l’occupazione e la stabilità aziendale. Fino al 2013 i cali di produzione sono stati gestiti con la cassa ordinaria, da aprile 2014 abbiamo attivato il contratto di solidarietà in attesa della ripresa e anche dell’ultima parola della Corte di Cassazione». Una sentenza arrivata dopo una “via crucis” giudiziaria durata quasi 20 anni. Destabilizzante per la forza lavoro che oggi, riunita in assemblea, di fronte a una situazione di profonda incertezza darà voce tutte le sue preoccupazioni. Maura Delle Case Precari della scuola in piazza (M. Veneto Udine) Manifestazione di protesta, sabato, contro il disegno di legge “La buona scuola” del governo Renzi. L’iniziativa è promossa dai lavoratori precari del Friuli Venezia Giulia, che hanno comunicato la loro presenza in centro a partire dalle 15.30. Il ritrovo è fissato in via Lionello, di fronte a palazzo d’Aronco, sede del municipio. L’invito a partecipare è rivolto a tutti i colleghi precari del mondo della scuola, dagli istituti per l’infanzia a quelli secondari di secondo grado, ma anche agli alunni e studenti e ai cittadini. «La scuola – si legge nella nota dei promotori – appartiene a quanti la amano, a quanti la vivono e a quanti ci credono. I docenti del Friuli Venezia Giulia chiedono a gran voce a quanti non si riconoscono in questo Ddl – continuano – di scendere in piazza, di fare gruppo tutti insieme e di gridare all’unanimità il proprio “No” a questa riforma che intende distruggere la “cultura” del nostro Paese». A chi intenderà unirsi al coro di proteste è chiesto di presentarsi con indosso abiti di colore “nero”, per distinguere il gruppo dai passanti. Infortunio alla Pittini, grave un operaio (M. Veneto Udine) di Cristian Rigo OSOPPO Lo hanno trovato disteso a terra in un lago di sangue e le sue condizioni sono apparse subito gravi. Romeo Forgiarini, operaio della Pittini di 52 anni, era all’interno del laminatoio della ferriera di Rivoli di Osoppo. Nessuno ha visto che cosa sia successo al momento dell’infortunio. Nemmeno i primi rilievi dell’azienda sanitaria e dei carabinieri della stazione di Osoppo sono stati utili a chiarire la dinamica dell’accaduto. A trovare il corpo esanime, dopo le 17, sono stati dei colleghi dell’operaio che hanno immediatamente chiamato i soccorsi. Il 118 è arrivato in pochi minuti con un’ambulanza da Gemona e con l’elicottero decollato da Udine. I sanitari hanno intubato l’uomo e dopo circa mezz’ora lo hanno caricato sull’elisoccorso che è rientrato al Santa Maria della Misericordia in codice rosso, quello riservato ai pazienti più gravi. Secondo una prima valutazione medica, l’operaio, che abita a Buja, ha riportato diverse lesioni e una sospetta frattura al cranio. Il trauma che più preoccupa i medici è sicuramente quello alla testa. Al momento la prognosi è riservata. I carabinieri della compagnia di Tolmezzo coordinati dal luogotenente Domenico Colonna si augurano che possa essere lo stesso operaio a raccontare l’accaduto in attesa che l’organo di vigilanza dell’Azienda sanitaria completi gli accertamenti. Al momento gli investigatori escludono che possa trattarsi di qualcosa di diverso da un infortunio. L’ipotesi più accreditata è infatti quella di una caduta. (ha collaborato Piero Cargnelutti) Maronese investe ma taglia 40 posti (Gazzettino Pordenone) Davide Lisetto La Maronese riorganizza la produzione e taglia una quarantina di posti di lavoro. La storica azienda del Distretto del mobile di Brugnera ha presentato un piano di ristrutturazione aziendale che punta a innovare sia nel processo che nel prodotto. La "cura" - sarà portata avanti con la collaborazione delle organizzazioni sindacali che condividono il piano - prevede circa due milioni di investimenti e a partire dai prossimi mesi quasi quaranta esuberi sui 97 dipendenti attuali. I licenziamenti saranno "congelati" attraverso la richiesta della cassa integrazione straordinaria per due anni legata proprio alla ristrutturazione aziendale. Se non ci saranno intoppi il piano per il via alla cassa - con il primo gruppo di pochi addetti - potrebbe essere operativo già nel prossimo mese di maggio. Il nuovo punto di crisi che si è aperto testimonia che ancora il polo mobiliero del Livenza è alle prese con la morsa della difficilissima crisi che nel triangolo del legno arredo ha cominciato a mietere vittime nel 2008. La Maronese è nata nel 1966 ed è l’azienda capostipite del gruppo Atma, il consorzio di aziende che fa capo alle famiglie dei fratelli Polesello. Quasi cinquant’anni di attività nel ramo produttivo dei soggiorni, in particolare quelli classici e in stile. Fino a qualche tempo fa lo sbocco del mercato tedesco ha assicurato il successo all’impresa. La riduzione degli ordini sia dalla Germania che da altri Paesi del Nord Europa ha rallentato la produzione. Il cambiamento nei gusti dei consumatori che si sono spostati più sul mobile moderno ha contribuito ulteriormente al rallentamento. Le perdite registrate negli ultimi due tre anni sono sempre state coperte dal gruppo. Un autentico colosso che conta una dozzina di imprese (alcune anche in Veneto) e circa 800 addetti complessivi che copre tutti i segmenti produttivi in particolare quello delle cucine e delle camere. Per ora, nonostante le molte aziende di famiglia, sempre difficile il riassorbimento dei dipendenti. «Il periodo - spiega il sindacato - non è facile e nonostante il gruppo non sia in pericolo vi è una situazione di equilibrio occupazionale che non consente recuperi di grandi numeri». Unindustria sfida Udine. Stretto il patto con Treviso (Gazzettino Pordenone) Davide Lisetto La sfida delle aggregazioni comincia dalla formazione. Unindustria Pordenone sigla un’alleanza con Unindustria Treviso: le due associazioni superano i confini regionali e mettono insieme le forze per far nascere un’unica grande società (37 sono gli operatori già attivi dal primo aprile) che provvederà a fornire formazione e consulenza su più settori a oltre tremila aziende delle due vicine province. Un’alleanza che suona come una sfida aperta ai richiami che ormai da tempo arrivano da Udine: l’associazione degli industriali del capoluogo friulano, infatti, punta a una fusione delle quattro sedi regionali per giungere all’istituzione di una unica Confindustria del Friuli Venezia Giulia che "inglobi" Pordenone. Un’ipotesi che il Friuli occidentale - dove per diversi motivi guarda al Veneto orientale - vede come fumo negli occhi. E il patto siglato ieri con Treviso sembra essere solo l’inizio di un processo che potrebbe allargarsi ad altri ambiti e all’intero Nordest. «Cominciamo - sono le parole del presidente degli industriali pordenonesi Michelangelo Agrusti - dalla formazione proprio perché in questo momento è più che mai strategica per le imprese. E le aziende che guardano al futuro è questo che ci chiedono. In quest’ambito c’è una stretta convergenza con le associazioni del Nordest che guardano anche a un Politecnico decentrato che ampli l’offerta formativa. Con Treviso - aggiunge Agrusti - c’è un’affinità e una contiguità produttiva oltre che territoriale. Si tratta di unire le forze per offrire a tutte le aziende un servizio migliore». E rispetto a Udine? «Non c’è alcun intento secessionista rispetto ai nostri colleghi e amici di Udine, Gorizia e Trieste. Sosteniamo con forza la linea del presidente regionale Giuseppe Bono (numero uno di Fincantieri, ndr) che guarda apertamente a queste sinergie. Abbiamo invitato il presidente udinese Matteo Tonon a valutare la possibilità di entrare in quest’alleanza nordestina». Ma a Udine sembra siano rimasti piuttosto freddi. La linea è: prima la fusione regionale, poi si può parlare di sinergie nei servizi. Intanto Treviso conferma: «Si tratta di un’intesa tra due aree profondamente affini a livello industriale e sociale – ha spiegato Maria Cristina Piovesana, presidente di Unindustria Treviso – e tra due associazione che già in passato hanno avuto modo di collaborare unendo i consorzi fidi. E diamo anche un segnale, ai nostri soci e alla comunità della capacità di innovare il nostro sistema, per renderlo sempre più efficiente ed efficace, in linea di Confindustria». L’accordo - ieri a Pordenone con i presidenti erano presenti anche i direttori generali, Paolo Candotti e Giuseppe Milan - ha fatto nascere «Unindustria Servizi&Formazione Treviso-Pordenone», società presieduta dalla veneta Sabrina Carraro. La nuova società, definita un polo di eccellenza nella formazione, consentirà di offrire servizi e competenze sulle innovazioni in moltissimi ambiti del manifatturiero e del terziario. Tra i primi corsi in comune quello per piloti di droni: una figura che sarà molto richiesta in più settori industriali. Pressing della Regione su Alcatel e governo (Piccolo Trieste) La Regione proseguirà nel pressing sul ministero dello Sviluppo economico e su Alcatel-Lucent al fine di dare una risposta definitiva alle gravi preoccupazioni dei lavoratori dello stabilimento di Trieste. Sito produttivo dove lo scorso 27 marzo ha partecipato allo sciopero la quasi totalità dei dipendenti. Con quell’astensione dal lavoro si è voluto dare un forte segnale contro la possibile cessione della fabbrica ad altre multinazionali, sulla quale le Rsu di Fiom e Uilm hanno lanciato l’allarme parlando di «voci sempre più insistenti». L’impegno a proseguire le verifiche e gli approfondimenti già avviati è stato preso ieri mattina dal vicepresidente della Regione e assessore alle Attività produttive, Sergio Bolzonello, e dall’assessore al Lavoro Loredana Panariti, nell’incontro con le Rsu dello stabilimento triestino, che occupa circa 850 persone fra dipendneti diretti, lavoratori interinali e addetti ai servizi. Le Rsu hanno illustrato agli esponenti regionali i fatti delle ultime settimane che hanno preceduto e portato allo sciopero, fra cui la riunione al ministero in cui l’azienda non ha fornito risposte in merito all’eventualità di una cessione della struttura produttiva di Trieste. «Al vicepresidente Bolzonello e all’assessore Panariti - spiega Andrea Raini, Rsu della Uilm - abbiamo chiesto di intervenire a tutto campo, anche con il governo. Vogliamo risposte, non bastano le smentite dell’azienda». Smentite, queste ultime, che Alcatel-Lucent ha affidato a un’agenzia di comunicazione la quale, nel giorno precedente lo sciopero, ha inviato una nota in cui l’azienda ha sottolineato il ruolo strategico del sito triestino e il fatto che non sono previsti smantellamenti né nel breve né nel lungo periodo. «Gli smantellamenti - osserva Raini - sono però una cosa ben diversa dalla cessione». Sempre ieri, del caso Alcatel-Lucent si è discusso anche in Provincia, in una riunione fra tutti i capigruppo e le Rsu, presenti anche il presidente del Consiglio provinciale Maurizio Vidali e l’assessore al Lavoro Adele Pino, con la quale i rappresentanti sindacali si erano già incontrati nei giorni scorsi. «I capigruppo - riferisce Vidali - si sono detti molto preoccupati per la possibile vendita dello stabilimento. All’unanimità si è deciso di incaricare il presidente della commissione lavoro Matteo Puppi e l’assessore al Lavoro Adele Pino di redigere un documento in cui si sollecita la Regione e il ministero dello Sviluppo economico ad approfondire il problema, e soprattutto a verificare se si tratta solo di voci o se, sulla cessione di cui si parla, c’è qualcosa di vero. La politica - conclude Vidali - deve dare un segnale forte prima che questa eventualità si verifichi». In proposito la Provincia intende fare fronte unico. «Tutte le forze politiche annota Adele Pino - hanno espresso la volontà di attuare un’azione condivisa e di coordinarsi con l’amministrazione comunale». (gi. pa.) Il salvataggio di Autocrali è solo a metà (Piccolo Gorizia-Monfalcone) di Francesco Fain «Un’operazione di salvataggio sì parziale ma che garantisce la continuità dell’attività». Il commissario giudiziale di “Autocrali” Giovanni Turazza commenta così gli ultimi sviluppi che hanno interessato la concessionaria Toyota di Gorizia, Trieste e Bagnaria Arsa: sviluppi che potremmo definire agrodolci. Martedì è stato, infatti, firmato l’accordo sindacale funzionale al trasferimento dell’azienda Autocrali alla società “Carini srl” di Udine che prevede l’affitto dell’azienda per 18 mesi con l’impegno irrevocabile d’acquisto di parte dei rami aziendali. Nella fattispecie continueranno a vivere sia l’area vendita che l’officina di San Dorligo a Trieste, l’officina sita a Gorizia e l’officina di Bagnaria Arsa. Abbiamo parlato di salvataggio parziale perché sono, invece, condannate alla cessazione la concessionaria di via Terza Armata a Gorizia unitamente alla carrozzeria che si trova sempre nella nostra città. In altre parole, sparirà dal capoluogo isontino l’attività di vendita a marchio Toyota: sopravviverà solamente l’officina mentre chi vorrà acquistare un’auto nuova prodotta dalla casa giapponese dovrà per forza di cose rivolgersi alla concessionaria di Trieste. Ed è una pessima notizia per la città che vede ulteriormente impoverito il quadro dell’offerta automobilistica. Sul versante occupazionale, Autocrali contava 20 dipendenti, tutti con un contratto a tempo indeterminato in tasca. La Carini srl si è impegnata ad assumerne 13 mentre i restanti sette andranno in cassa integrazione per un anno. L’operazione è già stata autorizzata dal Tribunale di Gorizia. Come si ricorderà, Autocrali chiese, sua sponte, nei mesi scorsi, il concordato in bianco che vale la pena di sottolinearlo più volte, onde evitare fraintendimenti, non è il fallimento. Tecnicamente si tratta del ricorso che viene presentato al Tribunale dove si esprime la volontà di presentare una proposta ed un piano ai creditori, ma riservandosi di depositare i documenti e la attestazione entro il termine che il Tribunale assegnerà. Nel caso-Autocrali il termine dato fu di sessanta giorni, in seguito prorogato di ulteriori sessanta. Oggi, la notizia del salvataggio parziale. «Purtroppo - spiega Pierpaolo Crali, il titolare di Autocrali - abbiamo pagato fortemente la crisi del mercato dell’auto. L’evoluzione è stata repentina. Ci siamo ritrovati fra il 2005 e il 2007 con il marchio Toyota in forte crescita e con la conseguente necessità di allargare la nostra attività. Abbiamo effettuato investimenti milionari quando il nostro fatturato era di 31 milioni. Poi, con la crisi, il fatturato è calato sino a 13 milioni e tutto nel breve volgere di pochi anni. A quel punto, è diventato difficile onorare tutti i crediti. Negli anni ci siamo appoggiati agli ammortizzatori sociali (cassa integrazione e quant’altro) ma la situazione commenta amaro Crali - è diventata ingestibile. Dai 43 dipendenti che contavamo ai tempi d’oro ci siamo ritrovati con una ventina. L’evoluzione odierna? Nel male, è la soluzione migliore. La famiglia Crali continuerà, comunque, ad operare all’interno della nuova struttura». Resta l’amarezza per il triste destino della sede storica di Autocrali, in via Terza Armata. «Indubbiamente, è un brutto colpo per la città e per la nostra famiglia ma posso dire che ne usciamo con la coscienza pulita in quanto, in questi ultimi anni, abbiamo fatto tutto il possibile per salvare l’azienda ed i posti di lavoro. Comunque, gran parte dei rami d’azienda sopravviveranno con un nuovo marchio: Carini srl, che è “figlio” di Carini Auto che fa capo alla famiglia Cinelli e di Autonord Fioretto della famiglia Zanini». Il salvataggio De Franceschi passa per Casillo (Piccolo Gorizia-Monfalcone) di Laura Blasich Il Consorzio per lo sviluppo industriale incontrerà il prima possibile la società che si è fatta avanti per rilevare il mulino De Franceschi. Lo ha affermato ieri il presidente del Csim Enzo Lorenzon nel corso dell’audizione da parte dei capigruppo consiliari, convocata in vista della seduta del Consiglio comunale dedicata alla crisi del sito di via Bagni nuova. «Al tavolo di confronto con il possibile compratore, che ci ha chiesto in questi giorni un incontro - ha aggiunto Lorenzon -, porteremo le istanze dei lavoratori». In sostanza riassumibili nella richiesta di apertura della cassa integrazione straordinaria e non della mobilità per rimanere collegati all’azienda ed essere riassorbiti dalla nuova proprietà. È quanto hanno ribadito a nome delle Rsu Davide Soranzio e Alessandro De Rota, come pure il segretario provinciale della Fail Cgil Luciano Sartori, affiancato dai segretari provinciali di Feneal Uil Andrea Di Giacomo e la coordinatrice territoriale della Fai Cisl Michela Marson. Stando a Sartori, anche la Regione ha già contattato il possibile acquirente, «cioé il gruppo pugliese Casillo», per arrivare quanto prima a un confronto. «La situazione alle De Franceschi è complicata, ma l’assessore regionale alle Attività produttive Sergio Bolzonello - ha detto il sindaco Silvia Altran, non presente all’audizione di ieri - mi ha assicurato che si sta lavorando per trovare una via di uscita». Il sindaco ha contattato, oltre alla Regione, le Rsu e la proprietà aziendale. «Da parte nostra ci auguriamo abbia successo l’idea della Regione di creare una Cigs - ha aggiunto il sindaco - per garantire ai lavoratori le giuste tutele». A detta del sindaco, ci sarebbero le premesse per arrivare a un riassorbimento, almeno parziale, delle maestranze. Da parte sua il Csim, sollecitato dalle domande poste dal consigliere di Sel Giovanni Iacono, ha dichiarato che si batterà per mantenere la destinazione industriale dell’area e riportare all’attenzione della Regione l’esigenza di sbloccare la logistica dell’impianto. «Rfi Italia ha dismesso il raccordo ferroviario anni fa - ha spiegato il direttore del Consorzio Gianpaolo Fontana - e a nulla sono valsi gli sforzi per riattivarlo. Proprio al collegamento ferroviario sono però interessati i possibili acquirenti». Più che alla banchina, stando al Csim, che De Franceschi ha gestito in concessione e che mantiene, secondo il direttore del Csim, una finalità dedicata.
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