PROPOSTA PASTORALE 2014-2015 Movimento

PROPOSTA PASTORALE 2014-2015
Movimento Giovanile Salesiano Italia
NOI DUE FAREMO TUTTO A METÀ (Don Bosco)
La missione di Don Bosco con i giovani e per i giovani
La Proposta Pastorale del Movimento Giovanile Salesiano Italia in questi ultimi anni si è sempre ispirata
alla Strenna del Rettor Maggiore. Nell’anno del Bicentenario della nascita di Don Bosco la tradizione continua declinando per i giovani la Strenna 2015 che ha come titolo «Come don Bosco, con i giovani, per i giovani».
1. IL TEMA
Dopo aver affrontato nel triennio di preparazione al Bicentenario della nascita di Don Bosco la
storia salesiana, la pedagogia salesiana, la spiritualità salesiana, l’idea guida sintetica per l’anno
pastorale 2014-2015 è la missione salesiana, che porta a compimento l’itinerario mettendo al centro il tema di una pastorale giovanile necessariamente missionaria. Scrisse infatti Don Pascual
Chavez nella lettera di indizione del Bicentenario: «Il cammino e il tema dell’anno bicentenario, in
sviluppo coerente con gli anni di preparazione, si riferiranno a: Missione di Don Bosco con i giovani
e per i giovani. Quest’anno dovrà essere programmato per tempo per concentrarci sul cammino di
rinnovamento spirituale e pastorale che intendiamo percorrere come Congregazione, Famiglia Salesiana e Movimento Salesiano». L’obiettivo di fondo è quello di far rivivere l’ispirazione e la passione pastorale di don Bosco coinvolgendo i giovani stessi così come lui ha fatto.
Lo slogan-icona della proposta pastorale «Noi due faremo tutto a metà (Don Bosco)» si ispira
all’incontro tra don Bosco e il giovane Michele Rua che diverrà il suo primo successore. L’inciso
«La missione di Don Bosco con i giovani e per i giovani» dice sinteticamente il cuore della proposta pastorale ispirandosi alla Strenna 2015 di Don Ángel Fernández Artime, X Successore di Don
Bosco «Come don Bosco, con i giovani, per i giovani».
Don Bosco inizia la sua opera con i giovani (cf. primo verbale del 18 dicembre 1859) e Papa
Francesco ha affermato: «Sapete qual è lo strumento migliore per evangelizzare i giovani? Un altro giovane. Questa è la strada da percorrere da parte di tutti voi!»1. L’obiettivo che la proposta pastorale si pone nel Bicentenario è di vivere la «conversione pastorale e missionaria»2 che Papa
Francesco ci sta chiedendo facendo sì che i giovani, assieme alla Famiglia Salesiana, siano i protagonisti della missione evangelizzatrice salesiana così come fece don Bosco: «Che bello che i
giovani siano “viandanti della fede”, felici di portare Gesù in ogni strada, in ogni piazza, in ogni angolo della terra!»3. Per giungere a questo obiettivo è necessario riconoscere che «l’azione missionaria è il paradigma di ogni opera della Chiesa»4 e che oggi «tutti siamo chiamati a questa nuova
“uscita” missionaria»5. Conditio sine qua non è vivere l’intimità con Gesù che è «un’intimità itinerante»6 e la fraternità tra noi che «si configura essenzialmente come comunione missionaria»7.
«La missione al cuore del popolo non è una parte della mia vita, o un ornamento che mi posso togliere, non è un’appendice, o un momento tra i tanti dell’esistenza. È qualcosa che non posso
sradicare dal mio essere se non voglio distruggermi. Io sono una missione su questa terra, e per
questo mi trovo in questo mondo. Bisogna riconoscere sé stessi come marcati a fuoco da tale missione di illuminare, benedire, vivificare, sollevare, guarire, liberare. Lì si rivela l’infermiera
nell’animo, il maestro nell’animo, il politico nell’animo, quelli che hanno deciso nel profondo di essere con gli altri e per gli altri».8
1
Papa Francesco, GMG 2013 - Eucarestia conclusiva.
Papa Francesco, Evangelii Gaudium, n° 25.
Ibidem, n° 106.
4
Ibidem, n° 15.
5
Ibidem, n° 20.
6
Ibidem, n° 23.
7
Ibidem, n° 23.
8
Ibidem, n° 273.
2
3
2. UN CAMMINO DI RINNOVAMENTO PASTORALE (E NON SOLO UN TEMA)
La Proposta Pastorale 2014-2015 non è semplicemente un tema da approfondire o una luce
che illumina il cammino dell’anno liturgico. Vuole piuttosto essere una risposta alla richiesta di Papa Francesco che auspica «che tutte le comunità facciano in modo di porre in atto i mezzi necessari per avanzare nel cammino di una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le
cose come stanno»9.
Il cammino di rinnovamento pastorale passa attraverso il decisivo coinvolgimento corresponsabile dei giovani: se davvero crediamo che la Chiesa nel suo insieme sia il soggetto
dell’evangelizzazione, è evidente che i giovani, in quanto parte di essa, non possono e non devono
essere pensati come soggetti passivi della loro stessa evangelizzazione. «Considero questo il punto qualificante della pastorale giovanile, perché il cristianesimo è nella sua essenza un evento di
donazione e quindi esso “si impara” solo attraverso il contatto con una testimonianza capace di
generare sequela e imitazione: non nel sapere teorico, né nel ripetere scolastico, né nel contemplare spirituale, ma nel servizio concreto, nell’esperienza della dedizione reale si fa esperienza di
Dio, della sua Chiesa e del suo Regno che viene»10.
Così scrisse Giovanni Paolo II: «I giovani non devono essere considerati semplicemente come l'oggetto della sollecitudine pastorale della Chiesa: sono di fatto, e devono venire incoraggiati
ad esserlo, soggetti attivi, protagonisti dell'evangelizzazione e artefici del rinnovamento sociale.
[…] La Chiesa ha tante cose da dire ai giovani, e i giovani hanno tante cose da dire alla Chiesa»11.
È necessario che la Pastorale Giovanile lavori nell’ottica di rendere i giovani corresponsabili
della missione della Chiesa fin da subito non aspettando che “siano pronti” o “siano grandi”: è
l’essere dono, il donarsi che fa diventare “pronti”, “grandi”. Fin da subito è necessario far vivere ai
ragazzi e ai giovani il cuore della proposta cristiana la quale ci chiede di entrare nella logica di farsi
carico del “grido del mondo” per non cedere alla globalizzazione dell’indifferenza.
«Questo sembra essere un punto discriminante e qualificante della pastorale giovanile e per
alcuni aspetti è quello che decide della sua verità, perché ha a che fare direttamente con la pratica
del discepolato: il segreto della pastorale giovanile consiste nel coinvolgimento corresponsabile dei
giovani nella missione apostolica»12.
Pensare ai giovani come soggetti attivi capaci di farsi carico del destino dei propri amici risiede la strategia vincente di evangelizzazione dei giovani e quindi della pastorale giovanile. Sono
molte le icone salesiane che mostrano bene come don Bosco abbia saputo rendere i giovani apostoli di altri giovani tanto da poter affermare che alle origini della Congregazione i giovani sono stati
veri “confondatori” insieme a Don Bosco.
3. IL BUON PASTORE
Il brano della Parola di Dio che ci aiuta a far sintesi di tutta la proposta pastorale 2014-2015 è
“Il buon pastore” (Gv 10,11-18). Tale fu don Bosco.
Gesù buon Pastore illumina il senso da dare a Don Bosco pastore; Don Bosco pastore attualizza, penetra, fa capire, concretizza cosa significa Gesù buon Pastore. Conoscere Don Bosco a
fondo significa conoscerlo primariamente come pastore, la cui carità pastorale qualifica globalmente la sua esistenza e la propone a noi come scuola di vita. Non solo.
Don Bosco è un pastore capace di suscitare la stessa passione apostolica nei giovani, in coloro che da lupi diventano pecore e quindi pastori: «diventeranno un solo gregge, un solo pastore»
(Gv 10,16). Don Bosco non fu un pastore solitario ma un “ceppo” da cui germogliarono e ancora
oggi germogliano tanti altri pastori che radicano le proprie radici in Gesù buon pastore. Per questo
Don Ángel Fernández Artime, X Successore di Don Bosco, ci invita a continuare a vivere «Come
don Bosco, con i giovani, per i giovani». Dare la vita è appassionare altri alla vita di coloro che non
hanno conosciuto ancora la bellezza di essere amati da Dio.
9
Ibidem, n° 25.
Cfr. Sala Rossano, Luce e forza per il cammino. Strategia, stile e qualità della pastorale giovanile, XIII Convegno Nazionale di Pastorale Giovanile, Genova 10-13 febbraio 2014.
11
Christifideles laici, n. 46
12
Cfr. Sala Rossano, Luce e forza per il cammino. Strategia, stile e qualità della pastorale giovanile, XIII Convegno Nazionale di Pastorale Giovanile, Genova 10-13 febbraio 2014.
10
Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario - che
non è pastore e al quale le pecore non appartengono - vede venire il lupo, abbandona le pecore e
fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il
Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non
provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per
poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio.
4. COME DON BOSCO: MISSIONE CON I GIOVANI13
Alcune “icone salesiane” mostrano bene come don Bosco ha saputo rendere i giovani apostoli
di altri giovani tanto da poter affermare che alle origini della Congregazione i giovani sono stati veri
“confondatori” insieme a Don Bosco. È una certezza: la Congregazione salesiana è stata fondata e
si è dilatata coinvolgendo giovani, che si lasciarono convincere dalla passione apostolica di Don
Bosco e dal suo sogno di vita.
ICONA SALESIANA PRINCIPALE
Don Bosco intuì che per la sua Congregazione la strada giusta era quella della giovinezza.
Gliela indicò la Madonna in due sogni profetici, ed egli non ebbe paura di affidare le massime responsabilità a giovani e giovanissimi cresciuti nel clima del suo Oratorio. Il primo dei due sogni viene ricordato nella tradizione salesiana come ‘Il sogno delle tre fermate’. È scritto da Don
Bosco stesso nelle sue ‘Memorie dell’Oratorio’.
Il secondo sogno, ricordato nella tradizione salesiana come ‘Il sogno del pergolato di rose’, Don Bosco lo raccontò nel 1864. Narrato da don Lemoyne, venne pubblicato nel 1903, viventi don Rua, mons. Cagliero e don Barberis.
Il sogno delle tre fermate14
Don Bosco sentiva ch’era destinato ad avere sotto di sé molti giovani, vari dei quali si sarebbero trasformati in pastorelli e lo avrebbero aiutato nell’opera educativa.
“La seconda domenica di ottobre di quell’anno (1844) dovevo partecipare ai miei giovanetti,
che l’Oratorio si sarebbe trasferito in Valdocco. Ma l’incertezza del luogo, dei mezzi, delle persone
mi lasciavano veramente sopra pensiero. La sera precedente andai a letto col cuore inquieto. In
quella notte feci un nuovo sogno, che pare un’appendice di quello fatto ai Becchi quando avevo
nove anni…
Sognai di vedermi in mezzo a una moltitudine di lupi, di capre e caprette, di agnelli, pecore,
montoni, cani e uccelli. Tutti insieme facevano un rumore, uno schiamazzo o meglio un diavolio da
incutere spavento ai più coraggiosi. Io volevo fuggire, quando una Signora, assai ben messa a
foggia di pastorella, mi fe’ cenno di seguire ed accompagnare quel gregge strano, mentre Ella precedeva. Andammo vagando per vari siti; facemmo tre stazioni o fermate. Ad ogni fermata molti di
quegli animali si cangiavano in agnelli, il cui numero andavasi ognor più ingrossando. Dopo aver
molto camminato mi sono trovato in un prato, dove quegli animali saltellavano e mangiavano insieme senza che gli uni tentassero di nuocere agli altri.
Oppresso dalla stanchezza voleva sedermi accanto di una strada vicina, ma la pastorella mi
invitò a continuare il cammino. Fatto ancora breve tratto di via, mi sono trovato in un vasto cortile
con porticato attorno alla cui estremità eravi una chiesa. Allora mi accorsi che quattro quinti di
13
14
Cfr. don Pascual Chavez, Nel 150° anniversario della fondazione della Congregazione Salesiana, in ACG 404 (2009).
È scritto da Don Bosco stesso nelle sue Memorie dell’Oratorio.
quegli animali erano diventati agnelli. Il loro numero poi divenne grandissimo. In quel momento sopraggiunsero parecchi pastorelli per custodirli. Ma essi fermavansi poco, e tosto partivano. Allora
succedette una meraviglia: Molti agnelli cangiavansi in pastorelli, che crescendo prendevano cura
degli altri. Crescendo i pastorelli in gran numero, si divisero e andavano altrove per raccogliere altri
strani animali e guidarli in altri ovili. (…)
Volli dimandare alla pastora (…) che cosa volevasi indicare con quel camminare, colle fermate (…) «Tu comprenderai ogni cosa quando cogli occhi tuoi materiali vedrai di fatto quanto ora vedi
cogli occhi della mente»”.15
ALTRE ICONE SALESIANE
La Compagnia dell’Immacolata
La Compagnia dell’Immacolata, fondata da san Domenico Savio, fu il piccolo campo dove
germinarono i primi semi della fioritura salesiana.
Domenico arrivò all’Oratorio nell’autunno del 1854, al termine della micidiale pestilenza che
aveva decimato la città di Torino. Divenne subito amico di Michele Rua, Giovanni Cagliero, Giovanni Bonetti, Giuseppe Bongiovanni con cui si accompagnava recandosi a scuola in città. Con
ogni probabilità non seppe niente della ‘Società salesiana’ di cui Don Bosco aveva cominciato a
parlare ad alcuni dei suoi giovani nel gennaio di quell’anno. Ma nella primavera seguente ebbe
un’idea che confidò a Giuseppe Bongiovanni. Nell’Oratorio c’erano ragazzi magnifici, ma c’erano
anche mezze teppe che si comportavano male, e c’erano ragazzi sofferenti, in difficoltà negli studi,
presi dalla nostalgia di casa. Ognuno per conto suo cercava di aiutarli. Perché i giovani più volenterosi non potevano unirsi insieme, in una ‘società segreta’, per diventare un gruppo compatto di
piccoli apostoli nella massa degli altri? Giuseppe si disse d’accordo. Ne parlarono con alcuni.
L’idea piacque. Si decise di chiamare il gruppo “Compagnia dell’Immacolata”. Don Bosco diede il
suo consenso: provassero, stendessero un piccolo regolamento. Lui stesso scrisse: “Uno di quelli
che aiutarono più efficacemente Domenico Savio nella fondazione e nella stesura del regolamento,
fu Giuseppe Bongiovanni”16.
Dai verbali della Compagnia conservati nell’Archivio Salesiano, sappiamo che i componenti
che si radunavano una volta alla settimana erano una decina: Michele Rua (che fu eletto presidente), Domenico Savio, Giuseppe Bongiovanni (eletto segretario), Celestino Durando, Giovanni B.
Francesia, Giovanni Bonetti, Angelo Savio chierico, Giuseppe Rocchietti, Giovanni Turchi, Luigi
Marcellino, Giuseppe Reano, Francesco Vaschetti. Mancava Giovanni Cagliero perché era convalescente dopo una grave malattia e viveva nella casa di sua madre.
L’articolo conclusivo del regolamento, che fu approvato da tutti, anche da Don Bosco, diceva:
“Una sincera, filiale, illimitata fiducia in Maria, una tenerezza singolare verso di Lei, una devozione
costante ci renderanno superiori ad ogni ostacolo, tenaci nelle risoluzioni, rigidi verso noi stessi,
amorevoli col prossimo, esatti in tutto”.
I soci della Compagnia scelsero di ‘curare’ due categorie di ragazzi, che nel linguaggio segreto dei verbali vennero chiamati ‘clienti’. La prima categoria era formata dagli indisciplinati, quelli
che avevano la parolaccia facile e menavano le mani. Ogni socio ne prendeva in consegna uno e
gli faceva da ‘angelo custode’ per tutto il tempo necessario (Michele Magone ebbe un ‘angelo custode’ perseverante!).
La seconda categoria erano i nuovi arrivati. Li aiutavano a trascorrere in allegria i primi giorni,
quando ancora non conoscevano nessuno, non sapevano giocare, parlavano solo il dialetto del loro paese, avevano nostalgia. (Francesco Cerruti ebbe come ‘angelo custode’ Domenico Savio, e
narrò con semplice incanto i loro primi incontri).
Nei verbali si vede lo snodarsi di ogni singola riunione: un momento di preghiera, pochi minuti
di lettura spirituale, un’esortazione vicendevole a frequentare la Confessione e la Comunione; “parlasi quindi dei clienti affidati. Si esorta la pazienza e la confidenza in Dio per coloro che sembrava15
G. BOSCO, Memorie dell’Oratorio di S. Francesco di Sales dal 1815 al 1855. Introduzione, note e testo critico a cura di A. DA SILVA
FERREIRA (Roma: LAS, 1991) pp. 129-130.
16
G. BOSCO, ‘Vita di Domenico Savio’, in Biografie edificanti (Roma: UPS, 2007) p. 76.
no interamente sordi e insensibili; la prudenza e la dolcezza verso coloro che promettonsi facili a
persuasione”17.
Confrontando i nomi dei partecipanti alla Compagnia dell’Immacolata con i nomi dei primi
‘ascritti’ alla Pia Società, si ha la commovente impressione che la ‘Compagnia’ fosse la ‘prova generale’ della Congregazione che Don Bosco stava per fondare. Essa era il piccolo campo dove
germinarono i primi semi della fioritura salesiana.
La ‘Compagnia’ divenne il lievito dell’Oratorio. Essa trasformò ragazzi comuni in piccoli apostoli con una formula semplicissima: una riunione settimanale con una preghiera, l’ascolto di una
pagina buona, un’esortazione vicendevole a frequentare i Sacramenti, un programma concreto su
come e chi aiutare nell’ambiente dove si viveva, una chiacchierata alla buona per comunicarsi
successi e fallimenti dei giorni appena trascorsi.
Don Bosco ne fu molto contento. E volle che fosse trapiantata in ogni opera salesiana che nasceva, perché anche lì fosse un centro di ragazzi impegnati e di future vocazioni salesiane e sacerdotali.
Nelle quattro pagine di consigli che Don Bosco diede a Michele Rua che andava a fondare la
prima casa salesiana fuori Torino, a Mirabello (sono una delle sintesi migliori del suo sistema di
educare, e verranno consegnate ad ogni nuovo direttore salesiano) si leggono queste due righe:
“Procura d’iniziare la Società dell’Immacolata Concezione, ma ne sarai soltanto promotore e non
direttore; considera tal cosa come opera dei giovani”18.
In ogni opera salesiana un gruppo di ragazzi impegnati, denominato come crediamo più opportuno, ma fotocopia dell’antica ‘Compagnia dell’Immacolata’! Non sarà questo il segreto che Don
Bosco ci confida per far nuovamente germinare vocazioni salesiane e sacerdotali?
“Noi due faremo tutto a metà” (Don Bosco)
A volte Don Bosco dava a tutti una medaglietta. Giunto il turno di Michele, Don Bosco fa un
gesto strano: gli porge la mano destra, fa finta di tagliarla con la sinistra, e intanto gli dice: “Prendi,
Michelino, prendi”. Michele non capisce, ma Don Bosco gli spiega: “Noi due faremo tutto a metà”.
«Don Rua è stato il fedelissimo, perciò il più umile e insieme il più valoroso figlio di Don Bosco»19. Con queste parole dette con tono deciso, il 29 ottobre 1972 Papa Paolo VI scolpì per sempre la figura umana e spirituale di Don Rua. Il Papa delineò il nuovo Beato con parole che quasi
martellarono questa sua fondamentale caratteristica: la fedeltà. «Successore di Don Bosco, cioè
continuatore: figlio, discepolo, imitatore… Ha fatto dell’esempio del Santo una scuola, della sua vita una storia, della sua regola uno spirito, della sua santità un tipo, un modello; ha fatto della sorgente, una corrente, un fiume».
Era cominciata un giorno lontano con un gesto strano. Otto anni, orfano di padre, con un’ampia
fascia nera fissata dalla mamma sulla giacchetta, aveva teso la mano per avere una medaglietta
da Don Bosco. Ma a lui invece della medaglia Don Bosco aveva consegnato la sua mano sinistra,
mentre con la destra faceva il gesto di tagliarsela a metà. E gli ripeteva: “Prendila, Michelino, prendila”. E davanti a quegli occhi sgranati che lo fissavano meravigliati, aveva detto sei parole che sarebbero state il segreto della sua vita: “Noi due faremo tutto a metà”. E in lenta progressione cominciò quel formidabile lavoro condiviso tra il maestro santo e il discepolo che faceva a metà con
lui tutto e sempre.
Il 3 ottobre 1852, durante la gita che i migliori giovani dell’Oratorio facevano ogni anno ai Becchi per la festa della Madonna del Rosario, Don Bosco gli fece indossare l’abito ecclesiastico. Michele aveva 15 anni. La sera, tornando a Torino, Michele vinse la timidezza e chiese a Don Bosco:
«Si ricorda dei nostri primi incontri? Io le chiesi una medaglia, e lei fece un gesto strano, come se
volesse tagliarsi la mano e darmela, e mi disse: ‘Noi due faremo tutto a metà’. Che cosa voleva dire?». E lui: «Ma caro Michele, non l’hai ancora capito? Eppure è chiarissimo. Più andrai avanti negli anni, e meglio comprenderai che io volevo dirti: Nella vita noi due faremo sempre a metà. Dolori, cure, responsabilità, gioie e tutto il resto saranno per noi in comune». Michele rimase in silenzio, pieno di silenziosa felicità: Don Bosco, con parole semplici, l’aveva fatto suo erede universale.
17
P. STELLA, Don Bosco nella storia economica e sociale (1815-1870) (Roma: LAS, 1980) p. 481.
MB VII p. 526.
19
PAOLO VI, Omelia per la beatificazione di Don Rua, Roma, 29 ottobre 1972
18
Il sogno del pergolato di rose20
Come si legge tra le righe di questo sogno e sappiamo dalla storia del primo Oratorio, Don
Bosco non trovò aiuto permanente in altri sacerdoti della sua terra, e nemmeno tra essi li cercò,
come normalmente li cercavano altre istituzioni benefiche che crescevano accanto a lui. Si accorse
presto che i ‘pastori’ doveva trovarli nel ‘suo gregge’: si chiamavano Rua, Cagliero, Francesia, Cerruti, Bonetti… E ad essi, giovanissimi, affidò le massime responsabilità della sua Congregazione
nascente.
“Nel 1864 una sera dopo le orazioni radunava a conferenza nella sua anticamera, come era
solito fare di quando in quando, coloro che già appartenevano alla sua Congregazione: tra i quali
don Michele Rua, don Cagliero Giovanni… e don Barberis Giulio… «Vi ho già raccontato diverse
cose in forma di sogno dalle quali possiamo argomentare quanto la Madonna SS. ci ami e ci aiuti;
ma giacché siamo qui noi soli, perché ognuno di noi abbia la sicurezza essere Maria Vergine che
vuole la nostra Congregazione e affinché ci animiamo sempre più a lavorare per la maggior gloria
di Dio, vi racconterò non già la descrizione di un sogno, ma quello che la stessa Beata Vergine si
compiacque di farmi vedere. Essa vuole che riponiamo in lei tutta la nostra fiducia ….
«Un giorno dell'anno 1847, avendo io molto meditato sul modo di far del bene alla gioventù,
mi comparve la Regina del cielo e mi condusse in un giardino incantevole. Vi era un bellissimo porticato, con piante rampicanti cariche di foglie e di fiori. Questo porticato metteva in un pergolato incantevole, fiancheggiato e coperto da meravigliosi rosai in piena fioritura. (…) Anche il terreno era
tutto coperto di rose. La Beata Vergine mi disse: – (…) È quella la strada che devi percorrere.
Deposi le scarpe: mi sarebbe rincresciuto calpestare quelle rose. Cominciai a camminare, ma
subito sentii che quelle rose nascondevano spine acutissime. Fui costretto a fermarmi e poi a tornare indietro.
– Qui ci vogliono le scarpe, dissi alla mia guida.
– Certamente - mi rispose - ci vogliono buone scarpe.
Mi calzai e mi rimisi sulla via con un certo numero di compagni che erano comparsi in quel
momento, chiedendo di camminare con me.
Molti rami scendevano dall’alto come festoni. Io non vedevo che rose ai lati, rose di sopra, rose innanzi ai miei passi.(…) Le mie gambe si impigliavano nei rami stesi per terra e ne rimanevano
ferite; rimuovevo un ramo trasversale e mi pungevo, sanguinavo nelle mani e in tutta la persona.
Le rose nascondevano tutte una grandissima quantità di spine. Ciò non pertanto, incoraggiato dalla Beata Vergine, proseguii il mio cammino.(…) Tutti coloro che mi vedevano camminare dicevano:
"Don Bosco cammina sempre sulle rose! Tutto gli va bene!". Non vedevano che le spine laceravano le mie povere membra.
Molti chierici, preti e laici da me invitati, si erano messi a seguirmi festanti, attirati dalla bellezza di quei fiori; ma si accorsero che si doveva camminare sulle spine, e incominciarono a gridare:
"Siamo stati ingannati! ".
Non pochi tornarono indietro… Ritornai anch’io indietro per richiamarli, ma inutilmente. Allora
cominciai a piangere dicendo: "Possibile che debba io solo percorrere tutta questa via così faticosa?".
Ma presto fui consolato. Vedo avanzarsi verso di me uno stuolo di preti, chierici, secolari, i
quali mi dissero: – Eccoci; siamo tutti suoi, pronti a seguirla. Precedendoli mi rimisi in via. Solo alcuni si perdettero d’animo e si arrestarono. Ma una gran parte di essi giunse con me alla meta.
Percorso tutto il pergolato, mi trovai in un bellissimo giardino. I miei pochi seguaci erano dimagriti, scarmigliati, sanguinanti. Allora si levò una brezza leggera, e a quel soffio tutti guarirono.
Soffiò un altro vento, e come per incanto mi trovai circondato da un numero immenso di giovani e
di chierici, di laici coadiutori e anche di preti, che si misero a lavorare con me guidando quella gioventù. Parecchi li conobbi di fisionomia, molti non li conoscevo ancora… Allora la Vergine SS., che
era stata la mia guida, mi interrogò:
– Sai che cosa significa ciò che tu vedi ora, e ciò che hai visto prima?
– No.
20
Don Bosco lo raccontò nel 1864. Narrato da don Lemoyne, venne pubblicato nel 1903, viventi don Rua, mons. Cagliero e don Barberis.
– Sappi che la via da te percorsa tra le rose e le spine significa la cura che tu dovrai prenderti
della gioventù. Tu devi camminare colle scarpe della mortificazione. Le spine significano… gli ostacoli, i patimenti, i dispiaceri che vi toccheranno. Ma non vi perdete di coraggio. Con la carità e con
la mortificazione, tutto supererete, e giungerete alle rose senza spine.
Appena la Madre di Dio ebbe finito di parlare, rinvenni in me e mi trovai nella mia camera”.21
Don Bosco in missione con i giovani: il colera a Torino
Don Bosco non aveva paura a chiamare i suoi giovani a imprese coraggiose e, umanamente
parlando, temerarie.
É il tempo del colera scoppiato all’inizio dell’estate 1854. Fu un momento pauroso per la città
di Torino: alla fine dell’estate si sarebbero contati 1248 morti (la città aveva 117 mila abitanti); Borgo Dora fu particolarmente colpito: “la parrocchia dei Ss. Simone e Giuda, la parrocchia
dell’Oratorio, ebbe il 53 % del totale dei decessi”.22 La paura provocava “il chiudersi delle botteghe,
il fuggire che tosto moltissimi facevano dal luogo invaso. Che più. In certi luoghi, appena uno era
assalito, i vicini e talora gli stessi parenti impaurivano siffattamente, che lo abbandonavano senza
aiuto e senza assistenza”.23 Un lazzaretto fu improvvisato a ovest di Valdocco. Ma pochi erano i
coraggiosi che si prestavano a curare i malati. Don Bosco si rivolse ai più grandi tra i suoi giovani.
Tra essi c’era il fior fiore dei suoi futuri Salesiani. A quattro di essi (tra cui Rua e Cagliero) il 26
gennaio di quel 1854 aveva avanzato la prima proposta di “fare coll’aiuto del Signore e di S. Francesco di Sales una prova di esercizio pratico della carità verso il prossimo, per venire poi ad una
promessa; e quindi, se sarà possibile e conveniente, di farne un voto al Signore. Da tale sera fu
posto il nome di Salesiani a coloro che si proposero e si proporranno tale esercizio”.24 Eppure non
ebbe paura che la sua prima fioritura fosse distrutta da un temerario gesto di carità. Disse loro che
il Sindaco faceva appello ai migliori della città perché si trasformassero in infermieri e assistenti dei
colerosi. Se qualcuno voleva unirsi a lui in quell’opera di carità, lo ringraziava a nome di Dio. Si offrirono in quattordici, “e poi altri trenta, i quali si dedicarono con tanto zelo, abnegazione e coraggio, che riscossero la pubblica ammirazione”.25 Il 5 agosto, festa di Maria Vergine della Neve, Don
Bosco parlando ai ricoverati disse loro: “Io voglio che ci mettiamo anima e corpo nelle mani di Maria (…) Se voi vi metterete tutti in grazia di Dio e non commetterete alcun peccato mortale, io vi assicuro che niuno di voi sarà toccato dal colera”.26
Furono giornate di caldo torrido, fatica, pericoli, puzza nauseabonda. Michele Rua (17 anni) fu
preso a sassate da gente infuriata mentre entrava nel lazzaretto; il popolino credeva che lì dentro
si uccidessero i malati. Giovanni B. Francesia (16 anni) ricordava: “Quante volte io stesso giovinetto, dovevo animare i vecchi a recarsi al lazzaretto. – Ma mi uccideranno. – Cosa dite mai? Anzi, vi
troverete meglio. E poi ci sono io. – Sì? Ebbene portatemi dove volete”. Giovanni Cagliero (16 anni) stava servendo gli ammalati al lazzaretto insieme con Don Bosco. Un medico lo vide e gridò:
“Questo giovane non può e non deve stare qui! Non le pare una grave imprudenza?” “No, no signor dottore – rispose Don Bosco – Né lui, né io abbiamo paura del colera e non succederà niente”.27 Giovanni B. Anfossi al processo di beatificazione di Don Bosco depose: “Ebbi la fortuna di
accompagnare Don Bosco in parecchie visite che faceva ai colerosi. Io allora avevo solo 14 anni, e
ricordo che, prestando la mia opera come infermiere, provavo una grande tranquillità, riposando
sulla speranza di essere salvo, speranza che D. Bosco aveva saputo infondere ne’ suoi alunni”.28
Con le piogge d’autunno la pestilenza finì. Tra i giovanissimi volontari di Don Bosco nessuno
era stato toccato dal colera.
21
MB III pp. 32-36.
P. BRAIDO, Don Bosco, prete dei giovani nel secolo della libertà. Vol. I (Roma: LAS, 2003), 263.
23
G. BONETTI, Cinque Lustri di Storia dell’Oratorio Salesiano fondato dal sacerdote D. Giovanni Bosco (Torino: Tipografia Salesiana,
1892), pp. 420-421.
24
MB V p. 9. Cf. ASC 9.132 Rua.
25
G. B. FRANCESIA, Vita breve e popolare di D. Giovanni Bosco (San Benigno Canavese: Libreria Salesiana, 1912) p. 183.
26
MB V pp. 83.84.
27
MB V p. 101.
28
MB V Ivi.
22
La prima spedizione missionaria
Partirono per una terra sconosciuta, avendo come unica sicurezza la parola di Don Bosco. E
quei dieci, con un gesto di assoluta fiducia in lui, diedero inizio alle grandissime Missioni Salesiane. Ancora oggi in tante poverissime periferie di grandi città, dove si corre il rischio di perdere la
salute ed anche la vita, tra i ragazzi miseri ci sono i figli e le figlie di Don Bosco. In zone sperdute e
lontane, dimenticate da tutti, nei villaggi andini, nelle foreste che custodiscono le insidiate tribù
aborigene, nella sconfinata brousse africana c’è la gioia squillante seminata da giovani che continuano a vivere la missione di don Bosco.
A fine gennaio Don Bosco aveva comunicato a Salesiani e giovani che i primi missionari sarebbero presto partiti per le missioni dell’Argentina meridionale; e il 5 febbraio, con una circolare, lo
annunciò ufficialmente, chiedendo ai Salesiani la loro disponibilità.29 Suscitò un entusiasmo incontenibile.30
Ma tra i meno giovani suscitò timori e perplessità per un’impresa che sembrava temeraria. Le
opere aperte in Italia erano già tante, il personale era il minimo indispensabile.
I missionari partenti dovevano esprimere il meglio della giovane e piccola Congregazione. Tra
quelli che avevano risposto al suo invito don Bosco scelse sei sacerdoti e quattro coadiutori. Capo
della spedizione sarebbe stato Giovanni Cagliero, il ragazzo su cui aveva visto un giorno lontano
curvarsi due indi giganteschi color rame. Era difficile immaginare l’oratorio senza di lui: laureato in
teologia, era il professore dei chierici, era l’insuperabile maestro e compositore di musica, aveva in
mano faccende molto delicate, e dirigeva spiritualmente parecchi Istituti religiosi della città. Sarebbe stata una perdita molto grave la sua partenza. È curioso il “metodo” con cui don Bosco l’arruolò
per la spedizione. Dopo essere rimasto soprappensiero e silenzioso, un giorno di marzo don Bosco disse a don Cagliero che gli stava al fianco: « Vorrei mandare qualcuno dei nostri preti più antichi ad accompagnare i missionari in America, che si fermasse lì un tre mesi con loro, finché non
siano ben collocati. Abbandonarli subito soli senza un appoggio, un consigliere con il quale abbiano confidenza, mi sembra una cosa un po’ dura». Don Cagliero rispose: «Se don Bosco non trovasse nessun altro, e pensasse a me per questo ufficio, io sono pronto».
«Va bene» concluse don Bosco. I mesi passavano senza che si facesse più cenno a quella
faccenda. Avvicinandosi però la data della partenza, un giorno all’improvviso don Bosco gli disse:
«Quanto all’andare in America, sei sempre dello stesso pensiero? L’hai detto forse per burla?».
« Lei sa bene che con don Bosco non burlò mai».
«Va bene. Allora preparati, è tempo». Don Cagliero corse via a iniziare i preparativi. In pochi
giorni, lavorando febbrilmente, li condusse a termine». Così, con la solita bonaria semplicità, cominciò la sua missione il primo e più grande missionario salesiano. I tre mesi preventivati durarono
complessivamente trent’anni.
“Chi sa – diceva don Bosco – che non sia questa partenza e questo poco come un seme da
cui abbia a sorgere una grande pianta? Chi sa che non sia come un granellino di miglio o di senapa, che a poco a poco vada estendendosi e non sia per fare un gran bene?”31
5. LA SUSSIDIAZIONE 2014-2015
SCOPO DEI SUSSIDI
Dare degli strumenti utili agli educatori per far fare ai ragazzi e giovani, nelle diverse fasce di
età, un percorso di evangelizzazione ispirato alla Strenna 2015, all’interno del proprio ambiente
educativo (scuola, oratorio, gruppi formativo-apostolici).
OBIETTIVO GENERALE
Realizzare un percorso formativo che conduca gradualmente i ragazzi e i giovani a sentirsi
corresponsabili della missione evangelizzatrice della Chiesa affinché siano «soggetti attivi, protagonisti dell'evangelizzazione e artefici del rinnovamento sociale» (Giovanni Paolo II). Don
Bosco inizia la sua opera con i giovani (cf. verbale 18 dicembre 1859) e Papa Francesco ha affer29
Lett. 5 febbraio 1875, E II p. 451.
Cf. G. BARBERIS, Cronichetta, quad. 3, pp. 3-25: ASC A 001.
31
MB XI p. 385.
30
mato: «Sapete qual è lo strumento migliore per evangelizzare i giovani? Un altro giovane.
Questa è la strada da percorrere da parte di tutti voi!»32.
LA STRUTTURA
Tema
Periodo
(dalla Evangelii
Gaudium)
Io sono una
missione su
questa terra
(EG 273-274)
INIZIO
ANNO
Primerear Prendere
l’iniziativa
(EG 24)
AVVENTO
E NATALE
MESE
SALESIANO
La vita si rafforza donandola
(EG 9-10)
Evangelizzatori
che pregano e
lavorano
(EG 262-267)
TEMPO
ORDINARIO
QUARESIMA
TEMPO
PASQUALE
E MESE
MARIANO
Nessuna periferia sia priva della sua luce
(EG 20-23)
Marcati a fuoco
dalla missione
(EG 268-274)
Obiettivi
Far cogliere che viene affidata a ciascuno una missione da accogliere.
Suscitare nei ragazzi e giovani il desiderio di prendere
la iniziativa insieme e di lasciarsi coinvolgere nella
missione di Gesù.
Suscitare nei ragazzi e giovani la decisione di essere
soggetti attivi nella missione
seguendo don Bosco.
Far comprendere che la
preghiera è un polmone
necessario per vivere una
missione più generosa anche quando ci sono le spine.
Aiutare i ragazzi e i giovani
ad entrare nella storia e a
non vivere distanti dai
drammi dell’umanità, a cominciare dal dolore di chi ci
è prossimo.
Far comprendere che Dio ci
chiede di vivere “in uscita”
perché tutti hanno diritto a
conoscere il Vangelo.
Parola
di Dio
Icona
salesiana
Ti ho stabilito
profeta delle nazioni
(Ger 1,4-10)
Maria si alzò e
andò in fretta
verso la regione
montuosa
(Lc 1,39-45)
Chi rimane in
me, e io in lui,
porta molto frutto
(Gv 15,1-11)
L'avete fatto
me
(Mt 25,31-46)
Il sogno delle tre
fermate
-
Kerygma
Koinonia
Leiturgia
Diakonia
La Compagnia
dell’Immacolata
-
Kerygma
Koinonia
Leiturgia
Diakonia
-
Kerygma
Koinonia
Leiturgia
Diakonia
-
Kerygma
Koinonia
Leiturgia
Diakonia
-
Kerygma
Koinonia
Leiturgia
Diakonia
-
Kerygma
Koinonia
Leiturgia
Diakonia
Noi due faremo
tutto a metà
Io do la mia vita
(Gv 10,11-18)
a
Andate e fate discepoli tutti i popoli
(Mt 28,16-20)
Le
dimensioni
Il sogno del pergolato di rose
Don Bosco in
missione con i
giovani: il colera
a Torino
La prima spedizione missionaria
NOTE

Diversamente dagli anni precedenti, vi sarà per l’anno pastorale 2014-2015 un unico
sussidio. Questo prevede che le colonne dello schema precedente Tema, Obiettivi, Parola di Dio e Icona salesiana siano uguali per tutte le fasce di età (possono trovare poi
ulteriori declinazioni all’interno del sussidio nella parte dedicata ad ogni fascia). L’icona
salesiana in questo anno Bicentenario è uno degli aspetti più importanti e significativi.

Ogni fascia di età cerca di tenere presente le grandi dimensioni dell’evangelizzazione:
-

32
Kerygma: dimensione dell’annuncio
Koinonia: dimensione ecclesiale
Leiturgia: dimensione liturgica e sacramentale
Diakonia: dimensione del servizio, della testimonianza
La cosa più importante ci sembra essere non tanto quella di offrire semplicemente del
materiale quanto quella di innescare dei processi formativi in linea con la conversione
pastorale che la Chiesa ci chiede in questo momento. Si tratta di aiutare i giovani (e con
Papa Francesco, GMG 2013 - Eucarestia conclusiva.
loro noi stessi!) a porsi in atteggiamento di “uscita” missionaria. La Proposta Pastorale
2014-2015 più che lo svolgimento di un tema richiede la capacità di pensare in modo
nuovo la pastorale giovanile. Si tratta di aiutare i giovani, partendo dal punto in cui si trovano, a scendere in campo, a farsi carico del destino dei propri compagni, ad entrare tra
le pieghe e le piaghe della storia: «a volte sentiamo la tentazione di essere cristiani mantenendo una prudente distanza dalle piaghe del Signore. Ma Gesù vuole che tocchiamo
la miseria umana, che tocchiamo la carne sofferente degli altri»33.

Si ricordi che:
- il bicentenario è l’occasione per rafforzare e dare più slancio alla vita consacrata
salesiana sollecitati anche dal fatto che Papa Francesco ha annunciato che il
2015 sarà un anno dedicato alla vita consacrata;
- è opportuno tener conto delle acquisizioni maturate durante i tre anni di preparazione al Bicentenario, del percorso fatto e dei materiali realizzati;
- è importante valorizzare la “Terra Santa Salesiana” e tener conto dei principali
Eventi del Bicentenario (visita del Papa, MGS Don Bosco 2015, esposizione della Sindone…);
- un riferimento utile è il testo Don Pascual Chavez, Nel 150° anniversario della
fondazione della Congregazione Salesiana, in ACG 404 (2009);
- un riferimento costante deve essere la Evangelii Gaudium: ci aiuta a focalizzare
molto bene il tema della missione;
- materiali utili, specie riguardo ai sogni, si possono trovare anche nel progetto
Animas in www.donboscoland.it ;
- il sussidio prevede anche ulteriori materiali che sono disponibili su
www.donboscoland.it .
INFO
[email protected]
33
Papa Francesco, Evangelii Gaudium, n° 270.