20 SPECIALE Bicentenario Don Bosco Mercoledì 17 Dicembre 2014 «Noi, testimoni di un carisma che affascina» l’evento L’anno santo per riscoprire un’intuizione vincente anno santo dei salesiani, inaugurato il 16 agosto scorso al Colle don Bosco (Castelnuovo Don Bosco di Asti) - è stato ampiamenL ’ te preparato in tre anni durante i quali tutta la Famiglia salesiana è ragazzi che incontravano don Bosco rimanevano affascinati dalla sua Isimpatia e accoglienza. Il primo che lo stata invitata a riscoprire la storia del santo piemontese, la sua pedagogia e la spiritualità. In particolare, la comprensione storica ha aiutato e continuerà ad aiutare gli appassionati di don Bosco che come lui condividono la passione educativa dei giovani nei tanti cortili sparsi in tutto il mondo. Guardare a ieri per comprendere l’oggi, è la sfida di ogni autentico educatore e responsabile di oratorio che voglia impegnarsi a rendere il proprio cortile una «casa che accoglie e chiesa che evangelizza». A don Bosco non mancavano le intuizioni, come quella che ebbe già nel primo Oratorio di casa Pinardi, pensando ad un ambiente flessibile che facesse da ponte tra Chiesa, società urbana e fasce popolari giovanili e ponendo la religione a fondamento dell’educazione. Accanto a questa, l’educazione e l’istruzione, strumenti essenziali per i suoi ragazzi «poveri e abbandonati». Ma fra tutte, la più grande intuizione di san Giovanni Bosco rimane quella di rendere i ragazzi protagonisti della loro vita, nell’ambiente in cui vivevano: l’oratorio, appunto. Quei giovani che, man mano che crescevano diventavano angeli custodi per i più deboli, o per i nuovi arrivati. Fino a costruire da zero proprio con l’aiuto dei suoi ragazzi, la Congregazione intitolata a san Francesco di Sales. avvicinò nella sacrestia di san Francesco d’Assisi, a Torino, di-venne subito suo amico. Era Bartolomeo Garelli, il capofila di un’ininterrotta catena di affezionati ammiratori del santo piemontese, giunta fino ad oggi. Tra gli ultimi arrivati ci sono tre giovani cooperatori, responsabili del Movimento giovanile salesiano (Mgs) d’Italia, che ci raccontano il loro "don Bosco", come lo hanno conosciuto e come è cambiata la loro vita. «Sono stati i più piccoli a "rubarmi il cuore" in un pomeriggio d’estate di 15 anni fa», racconta Myriam Rauso, Sicilia. «Per impegnare i miei pomeriggi, mia madre quasi mi costrinse a partecipare all’Estate Ragazzi nell’oratorio di Portici, vicino Napoli. Quella che fu quasi una costrizione ha segnato il resto della mia Miryam, Renato e Marco, tre giovani cooperatori e l’incontro con la famiglia salesiana: un’esperienza che cambia la vita e aiuta a crescere vita: quella gioia e quei sorrisi veri, mi hanno catturata e da allora, con "Giovannino", non ci siamo più persi di vista». Myriam confida: «L’oratorio e l’esperienza di animazione mi hanno aiutata a crescere, a conoscermi, a maturare e ad essere la persona che sono. Quello che più devo a don Bosco è che mi ha insegnato a sognare e "solo chi sogna può volare"» conclude. Renato Cursi è un altro giovane che è cresciuto a "pane e oratorio" al «Borgo Ragazzi Don Bosco» di Roma e coordina- tore dell’Mgs Italia. «In questi anni ho ricevuto il dono di poter apprezzare i frutti della testimonianza di tanti figli e figlie di don Bosco nei diversi contesti delle regioni e città italiane», afferma. «Grazie ad essi, sento di appartenere a una realtà, come quella ecclesiale e salesiana, mondiale»: C’è, infine, chi ha mosso letteralmente i suoi primi passi su un tavolo, sostenuto da una suora Figlia di Maria Ausiliatrice. È il torinese Marco Lardino che precisa subito come il cuore di un giovane si educa fin da piccolo e le persone che maggiormente restano incise nel cuore sono quelle da cui si è più amati: «Ecco perché - afferma - ora sono un uomo e un marito, felice delle scelte e del percorso fatto, riconoscente alla Famiglia Salesiana per avermi accolto, aperto al mondo e fatto incontrare migliaia di giovani con cui crescere». Pagina a cura del Centro Nazionale Opere Salesiane [email protected] www.bicentenario.donboscoitalia.it www.facebook.com/salesianidonboscoitalia «L’oratorio, ieri e oggi la stessa sfida» Alberto Lagostina, responsabile giovani: «Da don Bosco all’era digitale con la passione e il coraggio di sempre» «I veri educatori sono missionari» DI ÁNGEL FERNÁNDEZ ARTIME * intuizione più geniale di don L ’ Bosco è stato sicuramente il suo sistema educativo, pensato e tarato a misura di ragazzi e giovani. Oggi i destinatari di questa missione Don Artime che, come salesiani portiamo avanti in 132 nazioni del mondo, frequentano non soltanto i cortili in terra battuta ma anche quelli «digitali», soprattutto per fare amicizia, farsi vedere e socializzare. I ragazzi e le ragazze, gli adolescenti e giovani del mondo hanno bisogno di noi prima di tutto come uomini di fede con il cuore pieno del Signore Gesù, con una capacità sempre maggiore di vivere con profonda interiorità. I giovani non hanno bisogno di noi come di «tutto-fare». Ci vogliono vedere come testimoni del Signore della vita. I giovani del mondo si aspettano persone capaci di essere fratelli, amici e padri, secondo la loro singola realtà. Hanno bisogno di incontri autentici dove sperimentino in modo evidente che davvero cerchiamo il loro bene, che siamo loro servitori, che sono «i nostri padroni», come ebbe a dire don Bosco. E dove sperimentano che ognuno di loro è importante per noi, ma chi più di tutti hanno bisogno di noi sono i più poveri, gli esclusi, gli ultimi. È quanto sto sperimentando nei miei giri per il mondo salesiano. Vedo i miei confratelli soprattutto molto vicini ai più poveri in tantissimi luoghi e realtà educative. Questo dà molta pace e felicità a un cuore salesiano. Desidero che durante il mio sessennio una simile realtà diventi più forte. È il mio, il nostro sogno di evangelizzatori-educatori; è ciò che don Bosco desidererebbe da noi oggi. * rettor maggiore DI ANTONIO CARRIERO L a visita alla «Generala», il carcere minorile di Torino, ha sconvolto don Bosco, prete da pochi anni. Oltre le sbarre ha intravisto giovani disperati, infestati dai pidocchi, abbruttiti dalle pessime condizioni delle celle. Ne era uscito con tanta rabbia e il proposito di impedire a più ragazzi possibile di finirvi dentro. Capisce che il «serbatoio» che può rifornire clienti per la «Generala» è il «mercato generale» di Porta Palazzo. Insieme all’insalata e ai vitelli, alle scarpe e ai vestiti, sulla bilancia finiscono anche i ragazzi che vi stazionano in cerca di lavoro. Diventano facile esca per impresari senza coscienza che li assoldano per pochi centesimi e li sottopongono a lavori massacranti, su e giù per i ponteggi delle case in costruzione. Chi non trova lavoro, si arrangia come può, finendo nelle maglie della polizia e gettati in carcere. Pensando proprio a questo «sottobosco» di disperati, don Bosco apre un oratorio, non lontano dal «mercato generale». Ogni mattina va a cercare tra le bancarelle quelli ancora disoccupati o trattati quasi da schiavi per riscattarli e affidarli a padroni più onesti e umani. L’oratorio diventa la loro «terra promessa», il posto in cui vengono riscattati come uomini prima e come cristiani poi. Una tradizione che sopravvive ancora oggi in tante periferie del sud del mondo come in quelle dell’occidente. In questi spazi, fatti di gioco e di formazione, si declina con la stessa passione educativa di don Bosco, il motto su cui ha impostato la sua vita: «Dammi le anime e tieni tutto il resto». Questa geniale intuizione esistente già prima del prete di Torino e che lui ha rilanciato in maniera molto originale, è più che mai attuale: «Il Bicentenario è un’occasione per guardare all’oratorio di ieri e di oggi» spiega don Alberto Lagostina, delegato di Pastorale giovanile salesiana di Piemonte-Valle d’Aosta e Lituania. «L’oratorio resta la comunità cristiana a misura dei giovani, una comunità che non si limita ad aspettare che essi arrivino, ma che guarda fuori dai suoi cancelli, quin- di nel territorio per incontrare i giovani là dove vivosi aggiunge anche il fatto che l’oratorio offre reali spano, per stringere alleanza con il mondo della scuola, zi di protagonismo giovanile. «Molte attività sono porcon gli enti locali e con le altre associazioni che si octate avanti dai giovani stessi in collaborazione con gli cupano dei più giovani» prosegue. educatori» spiega il delegato di pastorale giovanile saLa vita dei «nativi digitali», diversamente da quella dei lesiana. «Don Bosco, in questo, è stato un maestro. Ha loro «antenati», è segnata da una settimana fitta di imsaputo rendere protagonisti giovani poveri ma ricchi pegni. «Oltre al tempo dedicato alla scuola e allo studel desiderio di vivere la vita in pienezza. Sono divendio che occupano gran parte della settimana - spiega il tati i suoi primi collaboratori. Don Bosco aveva capito delegato di pastorale giovanile salesiana - i ragazzi si troche i primi ad essere capaci di aiutare i giovani sono i vano a scegliere tra una serie di attività più diverse (sporgiovani stessi, certo accompagnati e sostenuti dall’etive, musicali, hobby…). Se da una parte l’oratorio disperienza dell’adulto». venta soggetto di proposte simili, dall’altra cerca di proNon solo i ragazzi, ma anche le famiglie cercano nelporle e di attivarle in un clima di relazioni positive dol’oratorio la risposta ad alcune urgenze: sistemazione ve il ragazzo si sente accolto, valorizzato e trova persodurante il tempo estivo, catechismo per i sacramenti. ne significative che sanno ascoltarlo e accompagnar«In molti c’è il desiderio di proporre al figlio un amlo». È quel clima di famiglia costruito da una comunità biente sano - prosegue don Lagostina - memori dei lodi adulti e giovani che mette al centro la vita della perro vissuti giovanili. Dove l’oratorio riesce a creare spasona con le sue potenzialità per renderlo protagonista zi d’incontro informale con le famiglie e ad instaurare della sua crescita, proprio come desiderava don Bosco. un dialogo, a trarne beneficio sono i giovani, che si senDon Lagostina spiega un motivo ancor più profondo tono circondati da una rete positiva di adulti che cerca che spinge i ragazzi a frequentare un oratorio, «non soil loro bene». lo - afferma - per un semplice utilizzo di spazi d’incontro a loro misura il punto (campi e sale per giocare Don Ramello: «Ripartiamo dal Vangelo» e per incontrarsi), ma dievero. Vi è in corso un vero e proprio rilancio tro quella richiesta c’è dell’oratorio, sia salesiano sia diocesano o appartenente spesso la ricerca di persoad altri ordini religiosi. A confermarlo è un giovane prete di ne adulte e giovani capaTorino, don Luca Ramello, che ha visitato oltre 180 oratori ci di ascoltare i loro visin tutta Italia per la ricerca dottorale. Essendo un ambiente suti, testimoni autorevoli per giovani, l’oratorio è in continua trasformazione. I del modo di affrontare la duecento anni della nascita di don Bosco «devono mettere vita». in luce l’aspetto delle motivazioni di fondo per cui si fa un I giovani spesso vivono oratorio» commenta don Ramello. «Più di ogni altra motivazione, è importante soli, circondati da adulti tornare all’origine, e cioè quella che l’oratorio parte innanzitutto dal Vangelo e che si aspettano da loro non ha nient’altro che il Vangelo da offrire». «Spesso è accaduto che l’oratorio risultati in campo scolaabbia perso la propria identità ecclesiale - aggiunge - a partire dalla rinuncia del stico, sociale, domestico, nome stesso a favore del "centro giovanile" per non essere riconducibile alla ma che faticano a trovare chiesa». Oggi, per fortuna, si sta tornando a dare una titolarità all’oratorio. spazi di reale comunicazione con loro. A questo, È Il primo Rifugio, le origini della rivoluzione salesiana DI FRANCESCO N MOTTO el novembre del 1841 il neo sacerdote don Giovanni Bosco entra nel Convitto Ecclesiastico di Torino, per tre anni, su invito del rettore don Giuseppe Cafasso, per completare la sua formazione pastorale, alternando studio e incontri di catechismo con i giovani. Da questa esperienza, don Bosco prende il proposito di occuparsi di quei ragazzi «poveri e abbandonati» che ha incominciato a conoscere a Torino, già in piena espansione edilizia e demografica, con gli aspetti più problematici legati alla delinquenza e devianza tipica di un’immigrazione veloce e selvaggia. Divenendo tra il 1844 e il 1846 cappellano del Rifugio e dell’Ospedaletto di S. Filomena della marchesa Barolo, don Bosco scopre anche la povertà più umana e spirituale. Intuisce l’urgenza di mettere in mano ai ragazzi delle clas- Nel 1846 il luogo per i ragazzi «poveri e abbandonati» era già una realtà ben avviata Sono i primi decisivi passi verso una congregazione oggi presente in tutto il mondo si popolari piccoli volumi di catechismo e letture educative e si dà da fare per radunarli in una specie di oratorio, in un sapiente mix di formazione religiosa e momenti di gioco. L’8 dicembre 1844 benedice la cappella dell’Oratorio presso il Rifugio. Questa parentesi, abbastanza felice, si chiude in fretta. Tra maggio e dicembre 1845 è costretto a passare da un posto all’altro della città perché «disturbava la quiete pubblica». Prima fissa il suo «accampamento» presso il cimitero di S. Pietro in Vincoli ai Mulini Dora. Poi, nel gennaio 1846, si ferma alla casa Moretta e sul prato Filippi, nella zona periferica di Torino-Valdocco. Solo nella Pasqua di quell’anno, il suo «Oratorio di san Francesco di Sales» giunge a destinazione nella tettoia del signor Pinardi. Qui, don Bosco mette al primo posto i sacramenti, la preghiera e il catechismo, coinvolgendo successivamente i ragazzi in attività culturali con le «scuole festive», per «tenere la gioventù in questi giorni lontana dall’ozio e dai vizi». Sono i primi passi che anticipano l’idea di una congregazione che si dedicherà all’educazione dei giovani più bisognosi. La partenza non è facile, viste le incomprensioni della gente e dei suoi «colleghi» che cercheranno di rinchiuderlo in manicomio. Dalla sua ha, però, l’arcivescovo Luigi Fransoni e le autorità cittadine, inizialmente preoccupate di possibili sbocchi rivoluzionari di una simile massa di giovani. Tuttavia, la macchina è avviata. Don Bosco ha bisogno che i suoi collaboratori più giovani non lo aiutino solo qualche ora, ma per sempre. L’ispirazione giusta gli viene da un colloquio del 1857 con Urbano Rattazzi, il quale suggerisce a don Bosco di fondare una società di cittadini che uniscano i loro inalienabili diritti, i loro capitali, il tempo e la professionalità a scopi educativi, bypassando la sua stessa legge contro i religiosi. Don Bosco presenta la bozza della sua nuova «formazione» a papa Pio IX, che l’accoglie suggerendogli, però, di tenere legati i suoi futuri collaboratori con «voti semplici»; i salesiani saranno così veri religiosi davanti alla chiesa, ma liberi cittadini davanti allo Stato. Il 18 dicembre 1859, don Bosco e sedici seminaristi e giovani allievi di Valdocco, tra i 15 e i 21 anni, danno origine alla Società di S. Francesco di Sales: una pianticella fragile, che nel tempo sarebbe divenuta un albero gigantesco con ramificazioni in tutto il mondo.
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