Diritto Internazionale INTRODUZIONE QUADRO SINTETICO DELLE FUNZIONI DI PRODUZIONE, ACCERTAMENTO E ATTUAZIONE COATTIVA DEL DIRITTO INTERNAZIONALE: ● Funzione normativa: 1° grado: norme consuetudinarie 2° grado: accordi 3° grado: procedimenti previsti da accordi normalmente non hanno potere vincolante in quanto trattasi di RACCOMANDAZIONI. Non mancano casi in cui gli atti prodotti hanno forza vincolante (vd. UE). ● Funzione di accertamento: Nel diritto internazionale l’arbitrato costituisce la regola. ● Funzione di attuazione coattiva: Nel diritto internazionale l’unico mezzo per assicurare l’attuazione delle norme che costituiscono l’ordinamento internazionale è il ricorso all’autotutela. Quid se il diritto internazionale sia o meno diritto? Ci si chiede non se esistano o meno delle norme al di sopra degli Stati, ma se queste hanno carattere precettivo. Tale carattere deriva dalla capacità degli operatori giuridici interni di servirsi degli strumenti di diritto interno per far si che riceva applicazione il diritto internazionale. Già lo JELLINEK considerava il diritto internazionale come AUTOLIMITAZIONE DEL SINGOLO STATO (teoria dell’autolimitazione). Si potrebbe aggiungere che in tanto il diritto internazionale si impone agli Stati in quanto sia correttamente amministrato in essi il diritto interno. Non esiste un’entità superiore capace di imporre il diritto internazionale Teoria dell’autolimitazione Teoria della morale positiva internazionale Il diritto internazionale entra nell’ordinamento interno e quindi il rispetto del primo è condizionato dalla corretta amministrazione del secondo Lo Stato che dimostra il rispetto del diritto internazionale ha un forte argomento a favore della sua condotta. Il limite che si impone al diritto internazionale è il rispetto di quei valori fondamentali della comunità statale (in genere sono i valori costituzionalmente protetti). LO STATO COME SOGGETTO DI DIRITTO INTERNAZIONALE. SOGGETTI E PRESUNTI TALI: Occorre verificare se i seguenti soggetti hanno soggettività internazionale: - Stato ALTRI - Insorti - Individui - Minoranze etniche - Popoli - Organizzazioni Internazionali - Chiesa cattolica - Ordine di Malta STATO: due concetti - STATO ORGANIZZAZIONE / GOVERNO è l’insieme di organi che esercitano il potere di imperio sui singoli - STATO COMUNITÀ è la comunità stanziata in un determinato territorio soggetta ad un determinato ordinamento Il diritto internazionale si rivolge essenzialmente allo stato organizzazione / governo / apparato in quanto dotato di soggettività internazionale. Sono requisiti di questa: - effettività (sovranità interna): occorra che il Governo eserciti effettivamente il proprio potere sovrano su una comunità territoriale. - Indipendenza (sovranità esterna): l’organizzazione di Governo non deve dipendere da altro Stato. Così gli Stati federati non hanno soggettività internazionale in quanto non indipendenti al contrario degli Stati confederati (Confederazione USA, CONFEDERAZIONE INDIPENDENTI). LA Confederazione CSI Elvetica…) (CONFEDERAZIONE NB: NON DEGLI è STATI In particolare nella nozione di indipendenza occorre distinguere tra indipendenza formale e quella sostanziale. Quella che deve qui considerarsi è l’indipendenza formale ossia quando lo Stato è indipendente quando il suo ordinamento è originario (derivante da una propria costituzione) prescindendo dalla sua dimensione territoriale. L’indipendenza sostanziale rileva solo quando si è in presenza non di una limitazione della sovranità da parte di un altro Stato, bensì di un’ingerenza totale (es: Governo Fantoccio della Repubblica turco - cipriota). Il riconoscimento non è atto necessario a conferire soggettività internazionale in quanto appartenente alla categoria dei meri atti politici in quanto è ancorato a valutazioni di ordine soggettivo sulla base di date ideologie presenti in un dato momento storico. Al più esso configura de iure / de facto una maggiore o minore intenzione a rapporti di collaborazione internazionale. Altri requisiti ulteriori a quelli di effettività ed indipendenza non sono necessari. Il richiedere da parte degli Stati esistenti che lo Stato in questione non sia una minaccia per la pace e la sicurezza internazionale, si sia formato mediante libere elezioni o sia assicurato il rispetto dei diritti umani non conta, ma anzi presuppone la soggettività. Per Governo si intende l’insieme di organi che esercitano il potere di imperio. In questo caso occorre fare riferimento all’ordinamento giuridico interno. Anche le amministrazioni locali e gli enti pubblici possono impegnare lo Stato ancorché sul piano interno hanno personalità giuridica distinta. CASI PARTICOLARI: Governi in esilio: non hanno soggettività internazionale sebbene lo Stati ospite riconosca loro prerogative sovrane. Fronti di liberazione nazionale: (es: OLP) non hanno soggettività internazionale. Ad essi la Cassazione riconosce una soggettività limitata derivante dal principio di autodeterminazione dei popoli e nei limiti di questo (vd. immunità dalla giurisdizione dei Capi di Stati esteri). INSORTI: questi non hanno soggettività internazionale. Tuttavia il Governo insurrezionale che eserciti un potere d’imperio effettivo ed indipendente sulla comunità territoriale sarà soggetto di diritto internazionale. INDIVIDUI: il fatto che si pensi che gli individui dispongano di soggettività internazionale è questione controversa. Tesi positiva: tende a considerare l’individuo dotato di soggettività internazionale in quanto di ciò è se ne rinviene prova nel: Diritto pattizio: diritti fondamentali dell’uomo: creano obblighi per gli Stati e corrispondenti diritti per gli individui. Spesso è data facoltà a questi di ricorrere ad organi internazionale ad hoc. Diritto consuetudinario: crimina iuris gentium: creano obblighi per gli Stati di perseguire il colpevole oltre i limiti. A ciò corrisponderebbe l’obbligo a non commettere tali reati. Tesi negativa: tende a considerare l’individuo non dotato di soggettività internazionale distinguendo tra: Trattati istitutivi e atti delle Organizzazioni Internazionali: solo questi in realtà creano dei veri e propri diritti e obblighi per gli individui, ma tali ordinamenti si distinguono dal diritto internazionale. Accordi e diritto consuetudinario: si rivolgono solo e sempre agli Stati (verso alcuni o verso tutti) e avrebbero come indiretti destinatari gli individui nella misura in cui tali norme trovino ingresso negli ordinamenti interni. MINORANZE ETNICHE: non hanno soggettività internazionale e le norme che le tutelano sono rivolte allo Stato che ha l’obbligo verso gli Stati contraenti di rispettarle. POPOLI: il concetto è contrapposto a quello di Stato – organizzazione o Stato – Governo. Al riguardo viene in rilievo il gruppo di norme che può riportarsi sotto il principio dell’autodeterminazione dei popoli. Tale principio ha natura di norma consuetudinaria oltre che di norma contenuta nel diritto positivo. La natura consuetudinaria è derivata dalla prassi ONU con riferimento agli artt. 1, comma 2, e 55 e ad altri atti (dichiarazioni e sentenze della Corte Internazionale di Giustizia). Soggetti di tale principio sono i popoli soggetti a Governo straniero (popoli colonizzati, popoli occupati). Il principio non ha applicazione retroattiva ossia non si applica a quelle situazioni anteriori alla sua affermazione come norma di diritto consuetudinario (IIa Guerra Mondiale). Sviluppo del concetto di indipendenza: lo sviluppo del principio di autodeterminazione dei popoli come obbligo a concedere l’indipendenza da parte dello Stato coloniale ha travolto l’art. 73 della Carta ONU. Si è posto il problema di come conciliare tale articolo con gli att. 1, comma 2, e 55. In realtà occorre considerare che all’epoca della formazione della Carta ONU il principio di autodeterminazione aveva un senso più ristretto: senso negativo principio di non ingerenza negli affari degli altri Stati. Attualmente esso ha un senso positivo obbligo di un Governo occupante a lasciare libero il popolo di decidere da sé. Principio di autodeterminazione – principio di integrità territoriale: il secondo si applicherà rispetto al primo a quei territori che abbiano legami storico – geografici con uno Stato. Si consideri il caso delle Falkland / Malvinas in cui la popolazione locale non sia nella maggioranza indigena ma importata dalla madre patria. Qui si applicherà il principio di integrità territoriale. Il principio di autodeterminazione di intende come: - autodeterminazione esterna: si rivolge ai Governi stranieri a concedere l’indipendenza, a consentire al popolo di associarsi / integrarsi ad uno Stato indipendente e di scegliere il proprio regime politico - autodeterminazione interna: si rivolge al Governo che esercita la propria sovranità sulla comunità locale in quanto deve avere il consenso della maggioranza del popolo ed essere stato liberamente scelto. NB: TALE ACCEZIONE NON RIENTRA NEL DIRITTO INTERNAZIONALE Né TANTO MENO NON SI IMPONE AGLI STATI L’”OBBLIGO A PROTEGGERE GLI STATI CHE CON LIBERE ELEZIONI SI SIANO AFFERMATI”. In definitiva occorre concludere che il principio di autodeterminazione dei popoli si rivolge essenzialmente agli Stati che governano un territorio che non gli appartiene a consentire l’autodeterminazione. La violazione di tale obbligo autorizza gli Stati della comunità internazionale ad adottare misure sanzionatorie. I popoli quindi non dispongono di alcun diritto. ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI: esse hanno soggettività internazionale in quanto per prassi soggetti parti negli accordi internazionali. Diretto coinvolgimento degli Stati membri: gli accordi da esse stipulati non obbligano gli Stati loro membri e affinché sia così occorre un diretto coinvolgimento dei questi nel patto. Si consideri il Trattato CE che prevede che gli accordi stipulati dalla Comunità Europea sono efficaci anche nei confronti degli Stati membri. Se questa fosse la regola generale non vi sarebbe necessità di affermarla. Personalità giuridica di diritto interno: questa è regolata dalle norme dell’ordinamento interno di ogni Stato. Spesso i Trattati istituitivi si occupano del problema, ma ciò ha valore nei confronti degli Stati membri. Tornerà a farsi applicazione del diritto interno nei rapporti con gli Stati terzi. Responsabilità solidale degli Stati membri per le obbligazioni delle O.I.: si considerino i seguenti casi: - Organizzazione internazionale dello Stagno: la Camera dei Lords non rilevando alcuna disposizione del trattato che regolasse l’ipotesi ha applicato il diritto interno: gli Stati non rispondono. - Organizzazione per l’industrializzazione araba: il Tribunale federale svizzero concluse per la sola responsabilità dell’organizzazione. In realtà il principio generale è che chi si impegna in affari economici deve rispondere delle obbligazioni contratte. Precisando meglio: 1. Organizzazioni che perseguono interessi particolari: responsabilità solidale degli Stati membri 2. Organizzazioni che perseguono interessi superiori: responsabilità limitata al patrimonio dell’Organizzazione stessa CHIESA CATTOLICA: è considerata soggetto di diritto internazionale per tradizione. Ordine di Malta: è ordine religioso dipendente dalla Santa Sede governò su Rodi prima e su Malta poi. In Italia gli è riconosciuta soggettività internazionale a cui conseguono immunità e privilegi (in materia fiscale e di lavoro. Qui in particolare rileva la riserva di giurisdizione). Attualmente si ha un’inversione di tendenza con riferimento alla riserva di giurisdizione in tema di lavoro. PARTE PRIMA LA FORMAZIONE DELLE NORME INTERNAZIONALI IL DIRITTO INTERNAZIONALE GENERALE. LA CONSUETUDINE E I SUOI ELEMENTI COSTITUTIVI: Le norme che vincolano tutti gli Stati hanno natura consuetudinaria. La consuetudine internazionale è il comportamento costante ed uniforme tenuto dalla generalità degli Stati. Essa è costituita da due elementi: ● il ripetersi del comportamento o diuturnitas (prassi): l’elemento in questione si riferisce al tempo di formazione. Non è chiaramente quantificabile, ma occorre considerare la sua diffusione (tempo e soggetti). Essa ha dunque la funzione di conferire certezza e stabilità alla norma. ● la convinzione dell’obbligatorietà di tale comportamento (opinio iuris sive necessitatis): nell’elemento in questione l’obbligatorietà si confonde con la necessità (comportamento socialmente obbligatorio) e solo in seguito diviene obbligatorio (comportamento giuridicamente obbligatorio). Questa concezione rispecchia la teoria dualistica che è quella accolta dai tribunali internazionali. Negli stessi trattati gli Stati precisano che i comportamenti ripetuti sono dovuti a mere ragioni di cortesia né sono capaci di creare precedenti. A fronte di tale concezione si contrappone la teoria monistica che argomenta che l’opinio iuris originerebbe da un errore o l’effetto psicologico dell’esistenza della norma presupponendo la precedente formazione di questa. l’opinio iuris sive necessitatis è criterio che consente di distinguere: consuetudine – meri usi: quest’ultimi sono costituiti da norme di cortesia consuetudine – prassi convenzionale: i trattati hanno duplice funzione: quella ricognitiva della consuetudine e quella creativa di norme pattizie. Quando si derivi che la prassi convenzionale costituisce concessione di uno Stato a fronte di altre e diverse concessioni, manca l’opinio iuris che attribuirebbe natura consuetudinaria alla prassi consuetudine – comportamento illecito: il comportamento contrario a consuetudine non sarà diretto a modificare (consuetudine nuova o desuetudine) ma a violare la consuetudine costituendo illecito tutte le volte in cui non sia assistito dall’opinio iuris. Dibattito negli USA: il problema originava dalla considerazione che se l’Esecutivo non è libero di violare il diritto consuetudinario allora esso sarebbe escluso dal processo di trasformazione del diritto generale internazionale in quanto il comportamento contrario a questo deve necessariamente trasformazione considerarsi illecito nel momento iniziale di Soggetti creativi della consuetudine: concorrono a formare la consuetudine tutti gli organi della Stato sia esterni che interni. Tra questi ultimi rileva in particolar modo la giurisprudenza come nel caso dell’estensione delle immunità a stranieri e diplomatici che deroga per gli atti privati la regola par in parem non habet iudicium. Consuetudine e Stati di nuova formazione: questi ultimi sono nati dal processo di “decolonizzazione” e spesso rifiutano la norme di diritto generale precedenti alla loro formazione ad esclusione di quelle liberamente accettate. In particolare il rifiuto interessa soprattutto il diritto internazionale economico. Al riguardo la posizione sul rifiuto deve essere la seguente: - gruppi: sono potenzialmente in grado di creare, modificare o abrogare le norme di diritto generale - singoli: sono qualificabili come persistent objectors e la loro contestazione è da ritenersi irrilevante né può richiedersi la prova dell’accettazione della norma da parte dello Stato nei cui confronti si chiede l’applicazione (teoria dell’accordo tacito). Se tale fosse il caso però si perderebbe l’idea che la consuetudine sia un diritto generale. La consuetudine sarebbe dunque diritto spontaneo (teoria della formazione spontanea) nel senso che esso non nasce da una vera a propria fonte formale. Consuetudine generale e particolare: con la prima si intendono le norme che hanno efficacia verso tutti gli Stati della comunità internazionale, mentre con la seconda si intendono le norme che interessano solo alcuni di essi. La consuetudine particolare si forma tra gli Stati che sono interessati da particolari vincoli: - regionali - di trattato: qui l’unico limite che può rilevare è l’esistenza di un organo preposto alla vigilanza del trattato come ad es. la Corte di Giustizia Europea in ambito del Trattato CEE. Ove manchino specifici vincoli che interessino il gruppo di Stati allora si parla di reciprocità in caso di uniformità di contegni. I PRINCIPI GENERALI DI DIRITTO RICONOSCIUTI DALLE NAZIONI CIVILI: Il riferimento a questi è contenuto nell’art. 38 dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia. Con riferimento al loro contenuto e valore diverse sono le posizioni rilevabili secondo diverse gradazioni. Ad ogni modo le estreme sono: - posizione negativa: si sostiene che tali principi non abbiano valore precettivo assumendo al più valore integrativo - posizione positiva: si arriva a sostenere che arrivino a prevalere sugli accordi e sulla consuetudine Occorre partire da un dato certo: negli ordinamenti interni gli Stati ammettono il ricorso ai principi generali (analogia iuris). Tuttavia qui non si parla di ordinamento internazionale da cui astrarre i principi, bensì di ordinamenti di Stati civili. Sono dunque requisiti di esistenza: ● devono esistere ed essere uniformemente applicati dalla più gran parte degli Stati (diuturnitas) ● devono essere avvertiti come obbligatori sul piano internazionale (opinio iuris sive necessitatis) Come appare chiaro i principi de qua costituiscono una categoria sui generis delle norme consuetudinarie. Rientrano nella categoria in questione i “principi di giustizia e logica giuridica”. Il fatto che norme statali siano presenti in numerosi ordinamenti non implica che siano avvertite come obbligatorie o necessarie sul piano internazionale (la diuturnitas non presuppone l’opinio iuris). Non mancano esempi di norme che hanno inciso anche in campi come la tutela dei diritti umani da tradizione allocata nel cd. dominio riservato. Da tutto ciò i principi generali di diritto riconosciuti dalle Nazioni civili passano da una funzione integrativa ad una funzione innovativa dell’ordinamento internazionale generale. I principi generali trovano ingresso nell’ordinamento interno anche quando non vi sia una norma nazionale che li rappresenti purché vi sia una norma di adeguamento generale (in Italia vd. art.10 Cost.) che consenta al diritto internazionale di comunicare con quello interno. In particolare in Italia la consuetudine internazionale ha il grado di legge costituzionale, per tanto le norme interne contrarie al diritto internazionale generale si considerano incostituzionali (ciò vale in riferimento ai principi generali di diritto). ● i principi generali di diritto devono derivare da norme che possano applicarsi nei rapporti tra Stati: tale condizione ulteriore non può accogliersi in quanto il dato empirico dimostra che essi riguardano al rapporto Stato – sudditi. ALTRE PRESUNTE NORME GENERALI NON SCRITTE: PRINCIPI COSTITUZIONALI: Secondo il QUADRI i principi sarebbero norme primarie del diritto internazionale: espressione immediata e diretta della volontà della forze prevalenti in un dato momento storico della comunità internazionale. Essi si dividerebbero in: - principi costituzionali formali: afferenti alle fonti e riconducibili a due norme fondamentali consuetudo est servanda e pacta sunt servanda La dottrina maggioritaria osserva che la consuetudine è fonte primaria, mentre pacta sunt servanda è consuetudine. - principi costituzionali materiali: afferenti alle norme materiali e aventi vario contenuto e disciplinanti i rapporti tra Stati. Accettando la tesi del QUADRI si giungerebbe a conseguenze assurde in quanto i principi materiali si formerebbero indipendentemente dall’uso ma per sola imposizione delle forze prevalenti (Stati più potenti). È innegabile che spesso dietro una norma vi è un’imposizione e spesso questa deriva dal contegno delle superpotenze, ma questa tesi finirebbe per legittimare giuridicamente degli abusi. In questo senso i principi imposti mancherebbero di continuità e stabilità in quanto inizialmente imposti non verrebbero più seguiti. EQUITÀ: rappresenta il comune sentimento del giusto e dell’ingiusto. Si distingue in: - praeter legem: in cui l’equità è destinata a colmare le lacune del diritto internazionale - contra legem: in cui l’equità è destinata ad abrogare le norme di diritto internazionale - secundum legem: è ammessa ai fini interpretativi. Spesso rappresenta l’elemento fondante dell’opinio necessitatis. Si osserva che l’equità è ammessa solo come strumento interpretativo, salvo il caso in cui in arbitrato sia richiesto di giudicare ex aequo et bono. Il ricorso all’equità in tal senso dispiega differenti effetti a seconda del soggetto che vi ricorre: - giudice interno: l’effetto qui è diretto ai fini della formazione della consuetudine - giudice internazionale: l’effetto qui è indiretto nella formazione della consuetudine INESISTENZA DI NORME GENERALI SCRITTE: A) IL VALORE DEGLI ACCORDI DI CODIFICAZIONE: Nella comunità internazionale non esiste un’autorità dotata di poteri legislativi. Il trattato è l’unico strumento adoperabile per la codificazione del diritto non scritto in scritto. Alcuni passi in avanti si sono fatto con l’istituzione della Commissione di diritto internazionale delle Nazioni Unite secondo quanto prevede l’art. 13 dello Statuto ONU (sviluppo e codificazione del diritto internazionale). Tale Commissione è formata da individui che vi siedono a titolo personale ed ha il compito di predisporre testi di codificazione di norme consuetudinarie nelle materie di sua competenza. Tuttavia gli accordi di codificazione vincolano solo gli Stati contraenti e non già anche gli altri. Gli accordi di codificazione non costituiscono diritto generale scritto perché: 1. la codificazione è influenzata dalla mentalità dei soggetti della Commissione 2. la codificazione è influenzata dagli interessi degli Stati in sede di accordo 3. l’art. 13 ONU parla di “sviluppo progressivo” e quindi si introducono norme che non hanno la sufficiente stabilità e certezza L’unica funzione che può riconoscersi agli accordi de qua è quella di consentire all’interprete di avere un punto di partenza da cui ricostruire la consuetudine salvo sempre verificarne i presupposti. Ricambio delle norme codificate: quid in caso di mutamento della consuetudine a cui il trattato si riferisce? Sul punto occorrerà distinguere tra: a.) Stati contraenti: il diritto generale codificato si applica come diritto speciale ratione personam. Il diritto consuetudinario successivo abroga il diritto anteriore pattizio se: 1.) gli Stati contraenti hanno concorso alla formazione della nuova consuetudine e che 2.) gli Stati contraenti hanno mostrato intendere questa nei loro rapporti inter se come obbligatoria b.) Stati non contraenti: il diritto generale codificato non si applica B) LE DICHIARAZIONI DI PRINCIPI DELL’ASSEMBLEA GENERALE DELL’ONU: Le dichiarazioni emanate dall’Assemblea generale dell’ONU interessano i rapporti tra Stati, ma anche i rapporti Stato – sudditi. Esse assumono sempre la forma di raccomandazioni ed hanno per ciò carattere non vincolante. Dichiarazioni – consuetudine: non costituiscono diritto generale, ma in quanto prassi degli Stati contribuiscono alla sua formazione in misura tanto maggiore quanto è il numero degli Stati che vi aderisce (specie quando adottate per consensus). Dichiarazioni – accordi: l’Assemblea generale non ha un potere interpretativo sovrano. Tuttavia le dichiarazioni che equiparano la loro violazione alla violazione di accordi o della carta ONU hanno valore di accordi per gli Stati che le hanno votate (accordi in forma semplificata). Si presume che abbiano natura obbligatoria altrimenti sarebbero dichiarazioni non serie o con riserva mentale. La natura obbligatoria deriva dalla equiparazione della violazione di disposizioni della dichiarazione alla violazione della Carta o di una norma generale. L’equiparazione deve essere espressa e vale per le parti della dichiarazione coperte secondo interpretazione. I TRATTATI. PROCEDIMENTO DI FORMAZIONE E COMPETENZA A STIPULARE: Trattato (patto, accordo o convenzione) sono tutti sinonimi per indicare l’incontro di volontà di due o più Stati dirette a regolare una determinata sfera di rapporti relativi a questi ultimi. Secondo una distinzione obiettabile si distinguono in: - trattati normativi o legge: trattati con funzione di produzione di vere e proprie norme giuridiche (trattati istitutivi, di codificazione) - trattati negozio: trattati con funzione di produzione di rapporti giuridici (trattati di alleanza, di stabilimento) In realtà la distinzione non ha senso in quanto non ha senso l’idea di distinzione tra legge e negozio. Basti por mente alla norma che dice che il contratto fa legge tra le parti. Sicuramente ha più senso la distinzione tra: - norme materiali: disciplinanti i rapporti tra le parti contraenti - norme formali: disciplinanti le fonti normative I trattati sottostanno ad una serie di norme consuetudinarie che ne disciplinano la formazione, i requisiti di validità e di efficacia. Tutte queste norme costituiscono il cd. diritto dei trattati. Il testo fondamentale è la Convenzione di Vienna del 1969 riproduttiva in larga misura del diritto consuetudinario. Art. 4 C.d.V. salva restando l’applicazione di qualsiasi norma enunciata nella presente convenzione alla quale i trattati sarebbero soggetti in base al diritto internazionale indipendentemente dalla predetta convenzione, questa si applica nei confronti di tali Stati soltanto ai trattati conclusi dopo la sua entrata in vigore. In base a tale articolo si stabilisce che le norme convenzionali riproduttive della consuetudine internazionale trovano applicazione sempre e comunque, mentre per quelle che siano innovative la loro applicazione è ristretta sul piano temporale ai trattati stipulati successivamente alla C.d.V. e sul piano soggettivo agli Stati che la hanno ratificata. Quid in caso di trattato tra uno Stato parte della C.d.V. e uno Stato terzo? Al riguardo le soluzioni prospettate sarebbero che: a.) le norme della C.d.V. si applicano solo qualora gli Stati parti del successivo trattato siano anche parti della convenzione: cd. clausola si omnes. b.) le norme della C.d.V. si applicano solo qualora almeno uno degli Stati parti del trattato sia parte della convenzione. Sembrerebbe doversi preferire la soluzione sub b.) in quanto: (1.) la clausola si omnes in quanto limitativa dovrebbe risultare in modo espresso, (2.) lo spirito della C.d.V. è quello di allargare l’ambito di applicazione delle norme e (3.) la soluzione sub a.) sembra essere rifiutata dall’art. 3, lett. c. (con riferimento alle Organizzazioni Internazionali come parti del trattato successivo). Nel diritto internazionale vige il principio di libertà delle forme e procedimento in tema di formazione dei trattati. In generale è valida ogni manifestazione di volontà purché di identico contenuto e diretta ad obbligarli. PROCEDIMENTI DI FORMAZIONE DEI TRATTATI: PROCEDIMENTO NORMALE O SOLENNE: in precedenza la competenza a stipulare trattati era riservata al Capo di Stato. Il trattato veniva negoziato dagli emissari del Sovrano (cd. plenipotenziari). Essi nella negoziazione definivano il testo dell’accordo che doveva essere approvato all’unanimità. Seguiva la ratifica da parte del Sovrano mediante la quale veniva accertata se i plenipotenziari fossero effettivamente dotati del potere in questione. In fine la volontà di obbligarsi veniva portata a conoscenza della controparte mediante lo scambio delle ratifiche. Attualmente le fasi di tale procedimento si compongono in: negoziazione: mediante la quale i “plenipotenziari” (vd. art. 7 C.d.V.) che sono organi del Potere Esecutivo predispongono il testo dell’accordo, generalmente avviene all’unanimità o come avviene sempre più spesso a maggioranza (o combinazione della due regole); firma: chiude la fase di negoziazione e non impone ancora alcun vincolo per lo Stato sebbene conferisce autenticità e definitività al testo; ratifica: segue generalmente le norme di ciascun ordinamento interno. Nei trattati multilaterali si parla di adesione (accessione) quando è previsto nel trattato (cd. clausola di adesione che rende aperto il trattato) che uno Stato che non ha partecipato alla precedente fase di negoziazione possa manifestare la propria volontà ad aderire al testo del trattato [ In Italia il procedimento di ratifica è (artt. 80, 87, 89 Cost.): all’art. 87 si stabilisce che spetta al Presidente della Repubblica il potere di ratificare, previa, quando occorre, autorizzazione della Camere; all’art. 80 si stabilisce che l’autorizzazione della Camere è richiesta in forma di legge quando si tratti di trattati aventi NATURA POLITICA; REGOLAMENTI GIUDIZIARI; VARIAZIONI DEL TERRITORIO, ONERI FINANZIARI e MODIFICAZIONI DI LEGGI; a in fine all’art. 89 si stabilisce che nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dal ministro proponente che ne assume la responsabilità (il PDR non può rifiutarsi di sottoscrivere un trattato, ma può sollecitarne il riesame). In conclusione il potere di ratifica è di competenza del Governo che vede l’intervento concorrente del Parlamento in determinate materie.]; scambio delle ratifiche: è l’atto mediante il quale la volontà di una parte viene portata a conoscenza della controparte ed assume le seguenti forme: scambio con il quale l’accordo si perfeziona istantaneamente o deposito che viene adottato nei trattati multilaterali e con il quale l’accordo si perfeziona via via che le ratifiche vengono depositate sebbene si preveda che esso non sarà efficace fino al raggiungimento di un dato numero di ratifiche. L’art. 102 dello Statuto ONU stabilisce che ogni trattato o accordo deve essere registrato presso il Segretariato ONU e pubblicato. L’omessa registrazione comporta l’unico effetto di non consentire di invocare il trattato dinnanzi agli organi ONU. PROCEDIMENTI ALTERNATIVI: tali procedimenti si differenziano da quello sopra esposto perché seguono un procedimento che termina sempre con la ratifica (è il caso della cd. firma differita in base a cui gli Stati determinano una generica dichiarazione di disponibilità); ovvero seguono un procedimento che non termina con la ratifica. ACCORDI IN FORMA SEMPLIFICATA: sono gli accordi che entrano in vigore per effetto della sola sottoscrizione del testo da parte dei plenipotenziari quando (art. 12 C.d.V.): - il trattato prevede che la firma abbia tale effetto - è in altro modo stabilito che gli Stati partecipanti ai negoziati abbiano convenuto di attribuire tale effetto alla firma - l’intenzione della Stato di dare tale effetto alla firma risulta dai pieni poteri del suo rappresentante o è stato espresso nel corso della negoziazione Da tutto ciò si evince come in tale categoria rientrino tutti gli accordi che non prevedono la ratifica (es. scambio di note diplomatiche purché si ricavi l’intenzione a vincolarsi immediatamente, vd. art. 13 C.d.V.) purché la volontà ad obbligarsi sia sicura (ciò non sussiste ad esempio nelle intese tra Governi le quali valgono finché valgono. Potrebbe dirsi che esse sono accordi politici). APPLICAZIONE PROVVISORIA DEI TRATTATI: si trovano al confine tra gli accordi in forma semplificata e le intese non giuridiche e si hanno quando un trattato è da sottoporre a ratifica. Secondo il PICONE sono da annoverare alla categoria degli accordi giuridici non vincolanti ossia accordi revocabili senza pregiudizio per le situazioni precedenti interessate dall’esecuzione. TRATTATI SEGRETI: sono anch’essi annoverati nella categoria degli accordi giuridici non vincolanti secondo il FOIS. Tuttavia essi non avranno alcun valore se ciò lo prevede il diritto interno essendo tale problema riconducibile al tema dell’invalidità per violazione di norme interne di importanza fondamentale. In definiva il diritto internazionale si disinteressa del problema della validità e dell’efficacia dei trattai segreti. Si noti che in Italia gli accordi in forma semplificata non sono ammessi nelle materie ex art. 80 Cost. (NATURA POLITICA, REGOLAMENTI GIUDIZIARI, VARIAZIONI DI TERRITORIO, ONERI FINANZIARI MODIFICAZIONI DI LEGGI), [non previsti in bilancio] e mentre negli altri casi il Governo è libero di sottoporre a ratifica del Presidente della Repubblica il trattato o meno (secondo CASSESE). Altri sostengono che tale competenza è derivata da una prassi costituzionale (secondo MONACO e MARCHISIO), ma in realtà se si guarda alla prassi questa ammette anche accordi in forma semplificata che interessano materie riservate ex art. 80 Cost. il che non è ammissibile. Il Governo non è ammesso a stipulare trattati segreti secondo un’interpretazione sistematica della Costituzione. FIGURE INTERMEDIE: si hanno nell’ipotesi in cui l’entrata in vigore del trattato non è subordinata allo scambio o al deposito, ma alla comunicazione da parte di ciascun Governo firmatario che le procedure previste dal diritto interno sono state adempiute (es. ordine di esecuzione in Italia). ACCORDI INTERNAZIONALI CONCLUSI DALLE REGIONI: Competenza delle Regioni a stipulare nell’ordinamento italiano: si rilevano nell’ordine indirizzi successivi della Corte Costituzionale: 1. in un primo tempo si affermò che le Regioni fossero del tutto prive della competenza a stipulare trattati internazionali 2. in un secondo tempo con il D.P.R. 616/77 si stabilì che le Regioni potevano svolgere “attività promozionali all’estero” purché avessero ricevuto il preventivo assenso governativo 3. in ultimo, con tale decreto, si è giunti a sostenere la competenza delle Regioni a stipulare veri e propri accordi impegnati la responsabilità dello Stato ove avessero ricevuto il preventivo assenso governativo e rispettando due ordini di limiti: limite negativo stabilito dall’art. 80 Cost. e limite positivo dato dal fatto che gli accordi devono interessare materie legate da un nesso di strumentalità con le materie di competenza regionale (sviluppo economico, sociale e culturale). Da tali attività promozionali occorre distinguere le attività di mero rilievo internazionale (scambi di informazioni, collaborazioni, ecc…) che non sono però retti dal diritto internazionale. In realtà la soluzione finale non può accogliersi in quanto non esiste nel nostro ordinamento costituzionale una norma che attribuisca alle Regioni anche solo il potere a negoziare accordi internazionali. Le intese concluse dalle Regioni non sono altro che accordi privi di carattere giuridico. Alle Regioni è riconosciuta la competenza ad eseguire gli accordi ove questi interessino le materie che la Costituzione assegna loro. Quid se l’organo che stipula il trattato non ha competenza o non segue le procedure dettate dal diritto interno? Al riguardo rilevano due soluzioni estreme: a.) tesi internazionalistica: secondo tale tesi i trattati stipulati dall’Esecutivo sono comunque validi per il diritto internazionale in quanto esso ha lo ius repraesentationis omnimodae b.) tesi internistica: secondo tale tesi anche solo un vizio di ordine formale sul piano interno renderebbe invalido il trattato Accanto a queste soluzioni estreme si rilevano altre soluzioni che tengono in maggiore o minore considerazione gli indirizzi di cui sopra: a.) tesi vicina a quella internazionalistica: il trattato sarà valido ogni volta che la violazione del diritto interno non è riconoscibile dalle altre parti contraenti b.) tesi vicina a quella internistica: il diritto internazionale dovrebbe tener conto della ripartizione di fatto delle competenze, della Costituzione vivente ovvero delle prospettive di esecuzione che sussistono non ostante l’invalidità. Art. 46 C.d.V. il fatto che il consenso di uno Stato ad essere vincolato da un trattato sia stato espresso violando una disposizione del suo diritto interno concernente la competenza a concludere trattati, non può essere invocato da tale Stato per infirmare il proprio consenso, a meno che tale violazione non sia stata manifesta e non concerna una norma di importanza fondamentale del proprio diritto interno. Una violazione è manifesta quando essa appaia obiettivamente evidente ad ogni Stato che si comporti, in materia, in base alla normale prassi e in buona fede. Si osserva anzitutto che (1.) anche se la competenza spetta in alcune materie ad altri organi i Governi riescono prima o poi a procurarsi l’assenso da parte dell’organo interessato; (2.) di fronte a richieste di esecuzione o denuncie di violazioni di accordi è difficile stabilire se siano fatte per motivi giuridici o politici o di propaganda; in fine (3.) la giurisprudenza interna ha spesso rifiutato l’applicazione di trattati che non hanno rispettato la procedura di formazione o non sono stati conclusi dagli organi competenti senza alcuna preoccupazione per gli altri contraenti. Indubbiamente l’articolo in questione è riproduttivo del diritto generale dove dice che il trattato sarà invalido se concluso in violazione delle norme di importanza fondamentale per lo Stato contraente [in Italia il trattato sarà invalido tutte le volte in cui sia mancato il concorso nel procedimento degli organi quali il Parlamento nella materie elencate dall’art. 80 Cost.]. Non è riproduttivo della consuetudine internazionale l’articolo in questione nella parte ove è fatto riferimento al principio di buona fede. I trattati che siano conclusi in violazione di una delle norme fondamentali di uno degli Stati contraenti sono invalidi a prescindere dalla buona fede o meno dell’altro Stato. In conclusione quindi le intese che risultino invalide per incompetenza o vizio nel procedimento interno di formazione acquisiranno valore giuridico nel momento in cui l’organo messo da parte manifesti esplicitamente o implicitamente il proprio assenso e purché sia adoperato lo strumento formale previsto dalla Costituzione per il suo intervento. ACCORDI INTERNAZIONALI CONCLUSI DALLE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI: il fatto che sia riconosciuta alle Organizzazioni Internazionali la competenza a stipulare accordi è connaturato alla loro personalità giuridica di diritto internazionale. È lo Statuto che definisce gli organi a cui spetta la competenza a stipulare e per quali materie. Ovviamente è da tenersi conto anche della prassi sviluppatasi nell’Organizzazione, potendo quindi risultare che la competenza risulta allargata o modificata verso altri organi che prima ne erano privi. La prassi deve essere certa, ossia avere i caratteri della consuetudine e non deve esservi un organo ad hoc preposto per vigilare sul rispetto dello statuto (es. Corte di Giustizia Europea nel Trattato CE). Gli accordi conclusi che costituiscano una grave violazione delle norme statutarie comporta l’invalidità degli stessi. INEFFICACIA DEI TRATTATI NEI CONFRONTI DEGLI STATI TERZI. INCOMPATIBILITÀ TRA NORME CONVENZIONALI: Le norme contenute negli accordi internazionali a differenza del diritto consuetudinario valgono solo verso gli Stati contraenti (pacta tertiis nec nocenti nec prosunt) e non già verso gli Stati terzi. Può accadere che il trattato sia aperto mediante l’inserzione della clausola di adesione consentendo così agli Stati terzi di divenire parti del trattato in un secondo momento. Può accadere che nel trattato non sia prevista alcuna successiva partecipazione, ma gli Stati contraenti si limitano a costituire diritti e/o obblighi per uno Stato terzo. Questi avranno effetto solo dove si rinvenga un’accettazione. In definitiva perché uno Stato terzo possa essere coinvolto occorre sempre che venga rispettato lo schema PROPOSTA – ACCETTAZIONE. Trattato a favore di terzo: è figura che ricorre allor quando uno Stato parte dell’accordo si impegna verso la controparte a tenere un comportamento vantaggioso per uno Stato terzo. Fino a quando lo Stato terzo non dichiari di profittarne l’impegno potrà sempre essere revocato. Il KELSEN obietta a tale costruzione ritenendo che contro il primo accordo è necessario un accordo di segno contrario. Ciò però è erroneo in quanto si paragona il trattato alla legge e le parti al legislatore quando così non è. Art. 34 C.d.V. Un trattato non crea né obblighi né diritti per uno Stato terzo senza il consenso di quest’ultimo. Art. 35 C.d.V. Da una disposizione di un trattato nasce l’obbligo per uno Stato terzo quando la parti del trattato stesso intendano con quelle disposizioni creare tale obbligo e quando lo Stato terzo accetti esplicitamente per iscritto tale obbligo. Art. 36 C.d.V. Un diritto per uno Stato terzo nasce da una disposizione di un trattato quando le parti di tale trattato intendano, con tale disposizione, conferire tale diritto sia allo Stato terzo sia ad un gruppo di Stati al quale esso appartenga, che a tutti gli Stati e quando lo Stato terzo acconsente. Si presume che vi sia consenso fintanto che non esista una contraria indicazione, a meno che il trattato non preveda altrimenti. La disposizione appare eccessiva rispetto al diritto generale che richiede al terzo una manifestazione di volontà anche se implicita mediante facta concludentia. Art. 37 C.d.V. Nel caso in cui sia nato per uno Stato terzo un obbligo in base all’art. 35, detto obbligo non può essere revocato o modificato che con il consenso delle parti del trattato e dello Stato terzo, a meno che non ria accertato che essi avevano convenuto diversamente. Nel caso in cui per uno Stato terzo sia nato un diritto in base all’art. 36, tale diritto non potrà essere revocato o modificato dalle parti se non sarà stato accertato che detto diritto non avrebbe potuto essere revocato o modificato senza il consenso dello Stato terzo. Tale articolo al 2° comma aggiunge un ulteriore requisito perché si abbia creazione di veri e propri diritti a favore di uno Stato terzo e cioè occorre che ci sia oltre alla proposta degli Stati contraenti e all’ accettazione dello Stato terzo anche la volontà di rendere irrevocabile unilateralmente tale diritti. Incompatibilità fra norme convenzionali: il problema nasce quando uno Stato che sia parte in un accordo con un altro stipuli un secondo accordo con uno Stato terzo che si pone in conflitto con il primo: Stato A – Stato B Trattato 1 Stato A – Stato C Trattato 2 Trattato 1 è incompatibile con Trattato 2 Tesi maggioritaria: in via generale quando il trattato successivo vede le coinvolte le stesse parti del trattato precedente e tra questi vi sia conflitto allora prevale il trattato successivo. Quando però si verifica il caso in cui il trattato successivo coinvolge una o alcune delle parti di quello precedente, la parte contraente di entrambi dovrà operare una scelta. Operata questa si renderà internazionalmente responsabile verso gli Stati parti dell’accordo non rispettato. Tesi minoritaria: costruisce dei criteri che regolino l’inefficacia del secondo trattato incompatibile con il primo quando non tutte le parti di questo siano anche parti dell’altro. In particolare si sostiene che quando il primo trattato sia un accordo multilaterale di notevole importanza sul piano economico, politico o umanitario allora il secondo sarà invalido. Art. 103 Statuto dell’ONU stabilisce che gli obblighi derivanti da tale accordo prevalgono su ogni altro obbligo derivante da qualsiasi altro accordo internazionale. L’articolo in questione non costituirebbe però una norma convenzionale rientrante nel problema delle incompatibilità tra norme di trattati, ma costituirebbe ormai principio di ius cogens (diritto generale). Art. 30 C.d.V. Fatte salve le disposizione dell’art. 103 della Carta delle Nazioni Unite, i diritti e gli obblighi degli Stati parti di trattati successivi vertenti sulla stessa materia, sono definiti conformemente ai paragrafi seguenti. Quando un trattato precisa di essere subordinato ad un altro trattato anteriore o posteriore o non debba essere considerato incompatibile con quest’ultimo, prevalgono le disposizioni contenute in quest’ultimo. Quando tutte le parti del trattato anteriore sono del pari parti del trattato posteriore, senza che il trattato anteriore abbia avuto termine o la sua applicazione sia stata sospesa in base all’art. 59, il trattato anteriore non si applica che nella misura in cui la sue disposizioni siano compatibili con quelle del tratto posteriore. Quando le parti di un trattato anteriore non sono tutte parti del trattato posteriore: a.) nelle relazioni fra gli Stati parti di entrambi i trattati, la norma da applicarsi è quella enunciata al paragrafo 3; b.) nelle relazioni tra uno Stato parte di entrambi i trattati e uno Stato parte di uno solo dei due, il trattato del quale entrambi gli Stati sono parti regola i reciproci diritti e obblighi. Il paragrafo 4 si applica senza pregiudizio delle disposizioni dell’art. 41, di ogni problema relativo alla estinzione o alla sospensione dell’applicazione di un trattato ai sensi dell’art. 60 e di ogni questione di responsabilità che può sorgere per uno Stato dalla conclusione o dall’applicazione di un trattato le cui disposizioni siano incompatibili con gli obblighi che ad esso incombono nei confronti di un altro Stato in base ad un altro trattato. Art. 41 C.d.V. Due o più parti di un trattato multilaterale possono concludere un accordo avente lo scopo di modificare il trattato soltanto nei loro reciproci rapporti: a.) se la possibilità di una tale modifica è prevista dal trattato; o b.) se la modifica in questione non è vietata dal trattato, a condizione che essa: I) non pregiudichi in alcun modo per altre parti il godimento dei diritti derivanti dal trattato né l’adempimento dei loro obblighi; e II) non verta su di una disposizione dalla quale non si possa derogare senza che vi sia una incompatibilità con effettiva realizzazione dell’oggetto o dello scopo del trattato. A meno che, nel caso previsto dal comma a.) paragrafo 1, il trattato non preveda altrimenti, le parti in questione devono notificare alle altre parti la loro intenzione a concludere l’accordo e le modifiche che quest’ultimo reca al trattato. Le parti che concludano un accordo contravvenendo a tale disposizione non stipuleranno un accordo invalido (tesi dell’invalidità). Ciò è smentito dai lavori preparatori, dall’elenco delle cause di invalidità, e dal fatto che una soluzione che tendesse all’invalidità sarebbe dovuta essere indicata con termini più espliciti nella disposizione stessa. Deve concludersi che la violazione dell’art. 41 comporti solo un accordo illecito e coinvolga gli Stati sul piano della responsabilità internazionale. LE RISERVE NEI TRATTATI: La riserva indica la volontà indicano la volontà di uno Stato a: - non accettare alcune clausole del trattato - ad accettare alcune clausole con talune modifiche - ad accettare alcune clausole secondo una data interpretazione (riserva interpretativa): in dottrina si è avanzata la distinzione tra dichiarazioni interpretative qualificate (costituenti riserve) e mere dichiarazioni interpretative che non avrebbero alcun valore giuridico ma avrebbero l’unico scopo di evitare il consolidarsi, consolidare o iniziare a consolidare una certa prassi. Le riserve si rilevano nell’esperienza soprattutto nei trattati multilaterali dove elevato è il numero degli Stati. Diritto internazionale classico: le riserve erano ammesse solo tassativamente concordate in sede di negoziazione con riferimento alle clausole o agli articoli del testo. Esse dovevano comparire nel testo concluso dai plenipotenziari ed in mancanza non si poteva fare nulla. La procedura delle riserve seguiva due modalità: 1. alla negoziazione venivano indicate le clausole e le rispettive riserve nel trattato 2. alla negoziazione si faceva un generico rinvio alla possibilità di apporre riserve alla ratifica o all’adesione L’apposizione di una riserva non ammessa comportava una nuova proposta di accordo e non consentiva la formazione del consenso su tutto l’accordo negoziato. Diritto internazionale moderno: a seguito del parere della Corte Internazionale di Giustizia emesso su richiesta dell’Assemblea generale dell’ONU in riferimento alla Convenzione sul genocidio si stabilì che una riserva può apporsi in sede di ratifica anche quando non sia stata espressamente prevista purché risulti compatibile con l’oggetto e lo scopo del trattato. Ciò significa altrimenti che la riserva non deve riguardare le clausole fondamentali dell’intero trattato. Agli altri Stati è consentito contestare la riserva e ove non si raggiungesse l’accordo il trattato non sarà esistente nei rapporti tra lo Stato contestante e lo Stato che ha apposto la riserva. Art. 19 C.d.V. Uno Stato, al momento della firma della ratifica, dell’accettazione, dell’approvazione di un trattato o al momento dell’adesione, può formulare una riserva, a meno che: a.) la riserva non sia vietata dal trattato; b.) il trattato disponga che si possono fare determinate riserve, tra le quali non figura la riserva in questione; o c.) nei casi diversi da quelli previsti ai commi a.) e b.), la riserva sia incompatibile con l’oggetto o lo scopo del trattato. Art. 20, par. 5 C.d.V. Ai fini dei paragrafi 2 e 4 e a meno che il trattato non preveda altrimenti, si ritiene che una riserva sia stata accettata da uno Stato qualora quest’ultimo non abbia formulato obiezioni alla riserva, sia allo scadere dei dodici mesi successivi alla data in cui ne ha ricevuto notifica, che alla data in cui ha espresso il proprio consenso ad essere vincolato dal trattato, quando quest’ultima sia posteriore. Artt. 20, par. 4, comma b.) e 21, par. 3 C.d.V. Nei casi previsti da quelli dai paragrafi precedenti e a meno che il trattato non disponga altrimenti: a.) […] b.) l’obiezione ad una riserva sollevata da un altro Stato contraente non impedisce al trattato di entrare in vigore tra lo Stato che ha formulato l’obiezione e lo Stato autore della riserva, a meno che non sia stata chiaramente espressa una intenzione contraria da parte dello Stato che ha formulato l’obiezione; c.) […] Quando uno Stato che ha formulato un’obiezione ad una riserva non si è opposto all’entrata in vigore del trattato tra se stesso e lo Stato autore della riserva, le disposizioni oggetto della riserva non si applicano tra i due Stati, nella misura prevista dalla riserva stessa. Il combinato disposto dei due articoli in esame comporta che lo Stato obiettante se non vuole che la sua obiezione abbia rilevanza teorica dovrà far presente la propria obiezione in modo espresso stabilendo delle conseguenze. Ai fini dell’ammissibilità dalla riserva si rileva un duplice profilo: - profilo oggettivo: è ammessa quando (1.) non vietata dal trattato o (2.) compatibile con l’oggetto e lo scopo del trattato - profilo soggettivo: quando non vi è obiezione da parte degli Stati contraenti La giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani: comporta una svolta innovativa al tema delle riserve così come risulta dal diritto internazionale moderno. In particolare varrebbe la regola utile per inutile non vitiatur ossia qualora uno Stato apponga una riserva inammissibile esso non sarebbe estraneo al trattato e la sua riserva dovrà considerarsi non apposta. La regola in realtà è ben lungi dall’essere di diritto generale per il quale vale esattamente l’opposto. Le riserve inammissibili comporterebbero la non partecipazione dello Stato autore al trattato, salvo non risulti volontà contraria. Profilo interno: con riferimento all’ordinamento italiano il problema riguarda l’organo a cui spetti la competenza a formulare riserve. Tesi sulla competenza del Governo: si sostiene che poiché il Governo può non procedere a ratificare un trattato sebbene sia stato autorizzato dal Parlamento, così esso può restringere la portata degli obblighi che il trattato impone. Tesi sull’incompetenza del Governo: si sostiene che la ratio che è dietro l’art. 80 Cost. è quella di imporre un’effettiva collaborazione tra Parlamento e Governo. Soluzione: occorre considerare che la riserva è valida sia che vanga formulata autonomamente dal Parlamento sia che venga formulata autonomamente dal Governo. Poiché la volontà dello Stato si forma solo se vi è accordo tra i due organi, si può sostenere che il trattato sarà voluto per la parte non interessata dalla riserva. Al più il Governo si renderà responsabile politicamente davanti al Parlamento quando abbia disatteso la volontà del Parlamento circa la formulazione di riserve che non siano minoris generis mettendo in discussione la fiducia del Parlamento nei propri confronti. Sul piano internazionale quando il Governo non tenga conto di una riserva disposta dal Parlamento nella legge di autorizzazione si avrà una violazione di una norma di importanza fondamentale del proprio diritto interno (art. 46, par. 2; art. 80 Cost.) e per tanto lo Stato non potrà considerarsi vincolato per la parte coperta da riserva. L’INTERPRETAZIONE DEI TRATTATI: L’interpretazione dei trattati può svolgersi secondo due metodi: - metodo subiettivistico: trova la sua origine nella materia dell’interpretazione dei contratti e impone all’interprete di ricercare la volontà effettiva piuttosto che quella dichiarata dalle parti. Tale concezione è stata però abbandonata - metodo obiettivistico: si contrappone al precedente ed è attualmente seguito dalla dottrina maggioritaria. Esso impone all’interprete di attribuire al trattato il senso che è fatto palese dal suo testo, che risulta dai rapporti di connessione logica intercorrenti tra la varie parti del testo, che si armonizza con l’oggetto e la funzione dell’atto quali dal testo sono desumibili. A conferma di tale metodo si esprime la Convenzione di Vienna: Art. 31 C.d.V. Un trattato deve essere interpretato in buona fede in base al senso comune da attribuire ai termini del trattato nel loro contesto e alla luce dell’oggetto e dello scopo. […] 4. Si ritiene che un termine o un’espressione abbiano un significato particolare se verrà accertato che tale era l’intenzione delle parti. Ciò costituisce la regola generale per l’interpretazione dei trattati. Art. 32 C.d.V. Si potrà ricorrere a mezzi complementari di interpretazione, ed in particolare ai lavori preparatori ed alle circostanze nelle quali il trattato è stato concluso, allo scopo, sia di confermare il significato risultante dall’art. 31, che di definire un significato quando l’interpretazione data in base all’art. 31: - lasci il significato ambiguo od oscuro; o - porti ad un risultato chiaramente assurdo o non ragionevole. Art. 33 C.d.V. Quando un trattato è stato autenticato in due o più lingue, il suo testo fa fede in ciascuna di tali lingue, a meno che il trattato non preveda o le parti non convengano fra loro che, in caso di divergenza, prevarrà un determinato testo. […] 4. Ad eccezione del caso in cui un determinato testo prevalga in conformità del paragrafo 1, quando il confronto tra i testi autentici renda evidente una differenza di significato che l’applicazione degli articoli 31 e 32 non permette di eliminare, verrà adottato il significato che, tenuto conto dell’oggetto e dello scopo del trattato, concili nel migliore dei modi i testi in questione. Ai fini interpretativi valgono le regole elaborate dalla teoria generale: - interpretazione estensiva / restrittiva - interpretazione del favor debitoris o contra stipulatorem - interpretazione utile: che consenta di attribuire sempre una funzione alla norma - analogia: è da abbandonare l’antica concezione che i trattati internazionali andrebbero interpretati in via restrittiva in quanto comportanti una limitazione di sovranità degli Stati. La tendenza al ricorso all’analogia è rinvenibile sia sul piano internazionale che interno. Teoria dei poteri impliciti: tale teoria nasce da un’elaborazione della Corte Federale degli Stati Uniti per estendere i poteri dello Stato federale a scapito degli Stati membri. In base a tale teoria ogni organo non disporrebbe solo dei poteri espressamente attribuitigli dalle norme costituzionali, ma anche di tutti i poteri necessari per l’esercizio dei poteri espressi. La Corte Internazionale di Giustizia ha fatto uso di tale teoria applicandola agli organi dell’ONU e ampliandola nei contenuti, ossia ricollegando ad essi poteri desunti dai fini perseguiti dall’Organizzazione, fini che sono per altro assai indeterminati ed ampi. La teoria ha trovato anche riscontro nell’ambito della Comunità Europea. Mentre all’art. 235 <<quando un’azione della Comunità risulti necessaria per raggiungere, nel funzionamento del Mercato Comune, uno degli scopi della Comunità, senza che il presente Trattato abbia previsto i poteri d’azione a tal uopo richiesti, il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e dopo aver consultato il Parlamento europeo, prende le disposizioni del caso>> [In schema: PROPOSTA DELLA COMMISSIONE UNANIMITà DEL CONSIGLIO + PARERE PARLAMENTO] sembrerebbe escludersi un ricorso a tale teoria, la Corte di Giustizia Europea ha manifestato la tendenza a ricavare poteri in via interpretativa. Tale teoria si colloca all’opposto rispetto all’antica concezione della interpretazione restrittiva. Tuttavia rimane da osservare che tale teoria può avere seguito qualora si rimanga nell’ambito dell’interpretazione estensiva o analogica. Eccessivo appare il punto di partenza che si usa per importare la teoria sul piano delle Organizzazioni Internazionali, ossia quello di avvicinare i trattati istitutivi alle costituzioni e i loro organi agli organi statali. Solo questi ultimi sarebbero capaci di imporsi ai consociati. Interpretazioni unilateralistiche: sono le interpretazioni permetterebbero ad ogni trattato di assumere significati diversi per ogni Stato contraente. Tali interpretazione non ricevono cittadinanza nelle disposizioni della Convenzione di Vienna. Si consideri l’art. 33 che nel caso di testi non concordanti redatti in più lingue ufficiali si farà ricorso ad un’interpretazione che concili tutti i testi. Si consideri l’art. 31, par. 3 che impone di tenere conto anche di accordi ulteriori, della prassi applicativa e ogni altra regola del diritto internazionale applicabile alle parti. Non si comprendono le norme di diritto interno proprie di ogni contraente. LA SUCCESSIONE DEGLI STATI NEI TRATTATI: Tre ipotesi: 1. Distacco: passaggio di una parte di territorio di uno Stato ad un altro 2. Smembramento: uno Stato si estingue e sul suo territorio si formano due o più Stati 3. Mutamento radicale di Governo Quid ai diritti e agli obblighi che facevano capo allo Stato precedente? Al problema vi risponde la Convenzione di Vienna del 1978. Tale convenzione si riferisce alla successione intesa come sostituzione e allo Stato successore come lo Stato che subentra ad un altro nel governo di un territorio. Tali termini sono quindi intesi in senso atecnico. L’art. 7, par. 1 stabilisce che la convenzione si applica alle successioni intervenute dopo l’entrata in vigore della stessa. L’art. 7, par. 2 stabilisce che lo Stato successore può dichiarare di voler applicare la convenzione ad una successione intervenuta prima della stessa entrata in vigore di quest’ultima. Tuttavia tale dichiarazione varrà solo nei confronti della altre parti che abbiano dichiarato a loro volta di accettarla. Disposizioni di carattere generale: Trattati reali o territoriali o localizzabili: Lo Stato che in qualsiasi modo si sostituisce ad un altro nel governo di una comunità territoriale, è vincolato dai trattati, o dalle clausole di un trattato, di natura reale o territoriale (cd. trattati localizzabili: che riguardano l’uso di determinate parti del territorio): Res transit cum onere suo. Si faccia l’esempio delle servitù di passaggio. Non così per gli accordi di delimitazione: tali accordi esauriscono i loro effetti nel momento in cui la frontiera è delimitata. Dopo ciò è il diritto di sovranità territoriale a doversi rispettare in base al diritto consuetudinario internazionale. L’obbligo di rispetto delle frontiere stabilite dal predecessore non è mai stato messo in discussione nella comunità internazionale (principio dell’uti possidetis) e discende direttamente dal principio generale di sovranità territoriale. Non si ha successione in accordi a prevalente caratterizzazione politica, ossia accordi che siano altamente connotati dall’impianto strutturale della sovranità (non afferenti al mero mutamento di ideologia politica, bensì al mutamento della forma di Governo: monarchia / repubblica / dittatura…). Ciò in verità rappresenta l’esplicazione del principio generale rebus sic stantibus per il quale il trattato o alcune delle sue clausole continuano a ricevere applicazione se non mutano radicalmente le circostanze di fatto presenti al momento della conclusione. Trattati non localizzabili: in relazione a tale categoria di trattati vige la regola della tabula rasa in ragione della quale lo Stato che subentra nel governo di una comunità territoriale non è, in linea di principio, e salvi i temperamenti e le eccezioni, vincolato dagli accordi conclusi dal predecessore. La Convenzione non è rappresentativa del diritto consuetudinario in quanto distingue tra: - Stati di nuova indipendenza: sorti dal procedimento di decolonizzazione e per i quali vige il principio della tabula rasa. - Stati che subentrano nel governo di un territorio: per i quali vige la regola della continuità dei trattati. Ipotesi di mutamento di sovranità: 1. Distacco: può realizzarsi mediante a.) cessione / conquista: una parte del territorio di uno Stato passa ad un altro preesistente. Gli accordi vigenti cessano di avere vigore per la parte di territorio ceduta o conquistata e a questa si estenderanno gli accordi dello Stato subentrante (regola della mobilità delle frontiere dei trattati). b.) secessione: sulla parte di territorio distaccatisi si formano uno o più Stati nuovi. Gli accordi vigenti cessano di avere vigore per quella parte di territorio costituente il nuovo Stato. La prassi ha da sempre conosciuto l’applicazione della regola della tabula rasa indipendentemente dal fatto che si trattasse di Stati ex colonie o no. La Convenzione di Vienna del 1978 non è riproduttiva del diritto generale in quanto prescrive che per gli Stati non di nuova indipendenza non si applicherà il principio della tabula rasa. Accordi di devoluzione si sono conosciuti principalmente nel processo di decolonizzazione inglese in cui lo Stato di nuova formazione acconsentiva a subentrare al posto della madrepatria negli accordi conclusi da questa. In realtà tali accordi non importano una successione con effetto verso le parti contraenti con la madrepatria, ma obbliga lo Stato di nuova formazione a rinnovare i trattati. Il principio della tabula rasa trova applicazione integrale nei trattati bilaterali conclusi dal predecessore. Per tanto continueranno ad essere applicati solo se rinnovati mediante nuovo accordo con la controparte in via esplicita o implicita (facta concludentia). La medesima regola trova applicazione nei trattati multilaterali chiusi, per i quali si renderà necessario un rinnovo dell’accordo con tutte le controparti. Diverso è il caso dei trattati multilaterali aperti per i quali la Convenzione stabilisce che lo Stato successore può procedere a notificazione della successione con l’effetto che la sua partecipazione al trattato retroagirà (ex tunc) al momento dell’indipendenza e non ex nunc dal momento dell’adesione. 2. Smembramento: a differenza della secessione, qui la formazione dei nuovi Stati implica l’estinzione dello Stato che lo subisce. L’unico criterio distintivo è la continuità o meno dell’organizzazione di Governo preesistente. Ogni volta in cui uno degli Stati risultanti abbia la stessa costituzione materiale dello Stato precedente si sarà alla presenza di secessione e non di smembramento. Lo smembramento è da assimilare al distacco per la regola che disciplina la successione con il temperamento da applicare agli Stati aderenti alla Convenzione con riferimento alla successione nei trattati multilaterali aperti. In questo caso è fatta facoltà di notificazione della successione con effetto ex tunc alla partecipazione al trattato. La prassi recente è nel senso di prospettare un accollo delle obbligazioni pattizie dello Stato smembrato da parte degli Stati nuovi secondo una ripartizione pro quota. Tale prassi avvenendo da accordi tra gli Stati nuovi o mediante dichiarazioni unilaterali non è idonea a costituire regola consuetudinaria. L’accollo è subordinato all’accettazione degli Stati creditori. 3. Incorporazione / Fusione: la prima si ha quando uno Stato si estingue entrando a far parte di un altro; la seconda si ha quando due o più Stati si estinguono dando vita ad un nuovo Stato. Il criterio di distinzione è la continuità o meno dell’organizzazione di Governo preesistente. Si avrà incorporazione tutte le volte in cui l’organizzazione di Governo continuerà da uno Stato preesistente alo Stato risultante dall’unificazione. All’incorporazione verrà applicata la regola della mobilità delle frontiere dei trattati, ossia i trattati dello Stato estinto cessano di avere vigore (principio della tabula rasa), salvo che lo Stato incorporante non manifesti la volontà a rinnovarli, e i trattati dello Stato incorporante si estendono ai territori incorporati. Alla fusione verrà applicata il principio della tabula rasa. Il nuovo Stato nasce libero da impegni pattizi. Il principio della tabula rasa trova una deroga nell’ipotesi di costituzione tra gli Stati di un vincolo federale, ossia quando gli Stati incorporati o fusi conservino un notevole grado di autonomia. La Convenzione si discosta dal diritto consuetudinario ponendo il principio di continuità dei trattati entro i limiti territoriali dei vari Stati che si riuniscono senza distinzione tra incorporazione o fusione o costituzione di un vincolo federale. 4. Mutamento radicale di Governo: tale ipotesi si verifica quando non si ha aumento o diminuzione territoriale, ma attraverso un mutamento per vie extralegali si passa da un regime ad un altro radicalmente diverso. Lo Stato come soggetto di diritto internazionale si identifica nel concetto di Stato – Governo. A questa ipotesi la prassi indica di applicare la regola della successione nei trattati conclusi dal predecessore ad esclusione di quei trattati di carattere strettamente politico e quindi incompatibili con il nuovo regime. Quanto più il mutamento di governo sarà radicale tanto maggiori saranno le norme dei trattati a non avere più vigore nel nuovo Stato. Se si accogliesse il concetto di Stato – Comunità si arriverebbe alla conseguenza che non vi sarà alcuna successione. Se si accogliesse la concezione di Stato come ente ternario composto da popolo, territorio e governo non vi sarà lo stesso successione. Tuttavia il risultato sarà identico benché ci si arrivi argomentando dalla regola rebus sic stantibus. Quid sulla successione nei debiti contratti mediante accordo internazionale? Il problema è da in quadrare nel tema della successione nel debito pubblico. In particolare il problema sorge quando il debito abbia formato oggetto di accordo internazionale. Secondo il diritto consuetudinario occorre distinguere tra: - debiti localizzabili ossia quei debito contratti in relazione ad un certo territorio in cui è mutata la sovranità. Per questi vige il principio di successione. - debiti non localizzabili per i quali vige il principio della tabula rasa. Tuttavia la recente prassi ha conosciuto fenomeni in cui si è proceduto ad un equa ripartizione tra gli Stati nascenti in caso di smembramento. Ciò però non costituisce ancora una consuetudine. Secondo il diritto convenzionale stabilito dalla Convenzione di Vienna del 1983 avente per oggetto la successione nei debiti contratti mediante accordi con Stati stranieri od Organizzazioni Internazionali si fa la distinzione tra: - Stati di nuova indipendenza per i quali vige il principio della tabula rasa sia per i debiti non localizzabili che per quelli localizzabili. - Stati già indipendenti per i quali si applica la norma di diritto consuetudinario con dei contemperamenti. Nelle ipotesi di distacco e di smembramento la Convenzione applica il principio di successione per i debiti localizzabili e vi aggiunge il principio di equa ripartizione dei debiti nei debiti non localizzabili. Nell’ipotesi di incorporazione / fusione la Convenzione stabilisce che lo Stato incorporante o sorto da fusione succeda in tutti i debiti senza distinzione se gli Stati incorporati o fusi mantengano o meno la loro autonomia. CAUSE DI INVALIDITÀ E DI ESTINZIONE DEI TRATTATI: Sono cause di invalidità: 1. vizi della volontà: distinguendosi in - Errore essenziale: avente per oggetto un fatto od una situazione che lo Stato suppone esistente al momento della conclusione del trattato e che costituisce un elemento essenziale per il consenso dello Stato stesso. - Dolo: a tale figura può ricondursi anche la corruzione. - Violenza: intesa sia come fisica che morale. Sono cause di estinzione: 1. Condizione risolutiva 2. Termine finale 3. Denuncia quando previsto dal trattato 4. Recesso quando previsto dal trattato 5. Inadempimento per il principio inadimplenti non est adimplendum 6. Sopravvenuta impossibilità dell’esecuzione 7. Abrogazione totale / parziale, espressa / tacita Il problema della violenza: Art. 52 C.d.V. Qualsiasi trattato la cui conclusione sia stata ottenuta con le minacce o con l’uso della forza in violazione dei principi di diritto internazionale incorporati nella Carta delle Nazioni Unite sarà ritenuto nullo. Uso o minaccia dell’uso della forza armata: è da ritenere che l’articolo in esame corrisponda alla consuetudine internazionale che si è affermata dopo la IIa Guerra Mondiale. Su tale tesi si è espressa anche la Corte Internazionale di Giustizia. In passato si sostenne che l’uso della forza doveva ritenersi non causo di nullità in quanto altrimenti i trattati di pace non sarebbero potuti essere considerati validi. In realtà si osserva che tali trattati intervengono in un momento successivo dopo che è cessata la pressione. In oltre nel componimento di interessi del trattato di pace le parti non si trovano in posizioni di maggiore ineguaglianza rispetto ad altri trattati. In fine il trattato di pace può non essere stipulato o ratificato dallo Stato vinto. Forza internazionale e forza interna: quest’ultima si distingue dalla prima in quanto connaturata la potere di governo. Altre forme di violenza: non rientrano nel concetto di violenza (uso o minaccia dell’uso della forza armata) ulteriori pressioni ancorché illecite quali le pressioni politiche o economiche. Al riguardo è da rilevare che diversi Stati di nuova indipendenza spinsero affinché venissero ricomprese anche altre forme di violenza ulteriori, ma si fece solo menzione con valore esortativo di una generica dichiarazione di condanna in allegato alla Convenzione. Trattati ineguali: sono quei trattati nei quali una parte sia stata priva di un ampio margine di potere contrattuale. In tal caso il trattato sarà valido, e si opererà sul piano interpretativo secondo un’interpretatio contra stipulatorem. La clausola REBUS SIC STANTIBUS: con tale clausola si intendere considerare che il trattato si estinguerà in tutto o in parte qualora avvenga un mutamento delle circostanze di fatto esistenti al momento della stipulazione purché queste costituiscano elementi essenziali, ossia che hanno determinato il consenso dei contraenti. In sostanza essa costituirebbe una condizione risolutiva tacita nel senso di rinvenire una presunta volontà dei contraenti. Art. 62 C.d.V. Un fondamentale mutamento di circostanze che si sia prodotto in relazione a quelle che esistevano al momento della conclusione di un trattato e che era stato previsto dalle parti, non può essere invocato come motivo per porre termine al trattato o per ritirarsi da esso, a meno che: a.) l’esistenza di tali circostanze non abbia costituito la base essenziale per il consenso delle parti ad essere vincolate al trattato; e che b.) tale cambiamento non abbia l’effetto di trasformare radicalmente il peso degli obblighi che restano da eseguire in base al trattato. Un fondamentale mutamento di circostanze non può essere invocato come motivo per porre termine ad un trattato o per ritirarsi da questo: a.) quando si tratti di un trattato che fissa una frontiera; o b.) quando il fondamentale mutamento derivi da una violazione, da parte della parte che la invoca, o di un obbligo internazionale ei confronti di qualunque Stato che sia parte del trattato. Se una parte può, in base ai paragrafi precedenti, invocare un fondamentale mutamento delle circostanze quale motivo per porre termine ad un trattato o per ritirarsi da questo, essa può anche invocarla per sospendere l’applicazione del trattato. In base a tale norma si prescrive che il trattato si estingue quando il mutamento (1.) interessi circostanze che costituivano la base essenziale del consenso delle parti, o (2.) comporti una radicale trasformazione degli obblighi da eseguire, o ancora (3.) non sia la conseguenza di un fatto illecito dello Stato che invoca l’estinzione. La regola REBUS SIC STANTIBUS trova applicazione nella successione dei trattati non localizzabili (il mutamento di regime di governo costituisce una circostanza essenziale) così come nell’impossibilità sopravvenuta. Effetti della guerra sui trattati: i trattati conclusi prima della guerra tra gli Stati belligeranti non troveranno alcuna applicazione nel corso di questa. Secondo il diritto internazionale classico la regola era quella di considerare successivamente alla guerra estinti i trattati tra Stati belligeranti. Secondo il diritto internazionale moderno si sono prospettate eccezioni (es. nei trattati multilaterali) che in generale impongono di considerare estinte quelle convenzioni che per l’oggetto o per lo scopo siano incompatibili con lo stato di guerra. Occorre osservare che la guerra può mutare le circostanze fondamentali del trattato, ma in quanto atto illecito (violazione di un obbligo internazionale) non consente allo Stato che la muove di invocarla come causa di estinzione sicché questi continueranno a spiegare la loro efficacia verso lo Stato belligerante. L’inadempimento di quest’ultimo per la regola inadimplenti non est adimplendum consentirà all’altro Stato di non adempiere gli obblighi corrispettivi. Automaticità delle cause di invalidità e di estinzione: si osserva da subito che esistono cause che per definizione operano in via automatica o richiedono un a denuncia. Tuttavia la maggior parte delle cause non risultano chiarite sul piano della loro operatività. Il problema è sentito al fine di evitare abusi o scioglimenti unilaterali. Sul piano empirico l’orientamento è quello di escludere l’automaticità quando la causa derivi da fatti difficili da provare. In linea di massima l’automaticità è da riconoscere in quanto gli operatori giuridici (giudici nazionali) non possono astenersi dal decidere se un trattato sia ancora in vigore o sia nullo o si sia estinto. Tuttavia la decisione dell’operatore giuridico in quanto avviene in sede interpretativa vale solo per il caso concreto senza per ciò valere per i casi successivi. Sul piano internazionale potrà avvenire che gli Stati contraenti che pretendano che il trattato sia ancora valido ed efficace presentino proteste, ritorsioni o rappresaglie, ma ciò può accadere in ordine a qualsiasi altra norma internazionale. Denuncia: è l’atto formale mediante il quale lo Stato manifesta la propria volontà a sciogliersi definitivamente dal trattato. In quanto atto recettizio implica che venga portato a conoscenza delle altre parti contraenti mediante notificazione. Quando non è il trattato stesso a prevedere la denuncia come potere, ma si fonda su un’altra causa di invalidità o estinzione la stessa non è necessaria. L’unica ragione che può scorgersi è quella di rendere certa ed inequivocabile la volontà a considerare il trattato invalido o estinto. Sul piano interno la denuncia emessa dagli organi competenti vincola gli organi chiamati ad applicare il trattato a disapplicarlo. Sul piano esterno la denuncia non vincola gli organi degli altri Stati chiamati ad applicare il trattato a disapplicarlo. Il trattato tuttavia entrerà in una fase di incertezza che poterà essere risolta solo mediante un nuovo accordo o con la sentenza di un giudice internazionale. La competenza a denunciare è strettamente correlata alla competenza a stipulare. In particolare in Italia il problema nasce dall’art. 80 Cost. che impone l’autorizzazione del Parlamento per particolari materie: quid in caso di denuncia? La prassi depone per una collaborazione tra Governo e Parlamento, ma questa non è idonea a condizionare l’efficacia della denuncia. Occorre distinguere tra formazione e manifestazione di volontà. Quest’ultima spetta sempre al Governo. Potrà così aversi che: a. il Governo denuncia senza informare preventivamente il Parlamento b. il Governo non denuncia su sollecitazione del Parlamento In questi casi il Governo si renderà politicamente responsabile verso il Parlamento che attiverà i meccanismi opportuni. Si noti che il Parlamento potrà sempre revocare l’ordine di esecuzione o l’autorizzazione alla ratifica che comporterà sul piano interno il vincolo a disapplicare il trattato. ► Procedura per far valere l’invalidità e l’estinzione (artt. 65 e ss. C.d.V.): Lo Stato che intende invocare una causa di invalidità o di estinzione deve notificare per iscritto la sua pretesa alle altre parti contraenti del trattato (art. 65, par. 1 e art. 67, par. 1). Entro tre mesi o un termine minore in caso di particolare urgenza può avvenire che: - nessuno Stato manifesti obiezione: in tal caso lo Stato notificante potrà dichiarare unilateralmente che il trattato è invalido o estinto. La dichiarazione deve essere notificata alle parti contraenti e sottoscritta dal Capo dello Stato / Capo del Governo / Ministro degli Esteri / Plenipotenziario - alcuni o tutti gli Stai contraenti manifestano obiezioni: in tal caso dovrà ricorrersi ad una soluzione con mezzi pacifici della controversa (arbitrato, conciliazione, negoziati…) entro 12 mesi. Decorso inutilmente tale termine ciascuna delle parti potrà azionare una complessa procedura conciliativa presso (1.) una Commissione ad hoc nell’ambito ONU. L’organo emetterà un rapporto non vincolante. (2.) Ad una decisione vincolante si giungerà solo ricorrendo unilateralmente alla Corte Internazionale di Giustizia quando l’invalidità si fondi su una norma di ius cogens. Se lo Stato o gli Stati non accettano il rapporto della Commissione la pretesa invalidità o estinzione rimarrà paralizzata in perpetuo. Tuttavia questa soluzione non si tradurrà sul piano interno in quanto i giudici nazionali saranno liberi di valutare la sussistenza o meno di una causa di invalidità o di estinzione con efficacia circoscritta al caso concreto. La procedura si applica a tutti gli Stati che aderiscono alla Convenzione in riferimento ai trattati da loro stipulati, salvo specifiche pattuizioni, con la conseguenza sul piano pratico che ove non sia seguita la specifica procedura di denuncia l’operatore giuridico interno non potrà considerare invalido o estinto il trattato. LE FONTI PREVISTE DA ACCORDI. IL FENOMENO DELLE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI. I trattati in generale e quelli istitutivi di Organizzazioni Internazionali possono contenere: - regole materiali - regole formali che istituiscono nuove fonti di produzione di norme (fonti di terzo grado) Compito delle O.I. è quello di promuovere la collaborazione tra gli Stati con attività di scarso valore giuridico (progetti di convenzioni o raccomandazioni). In genere il procedimento di formazione della volontà di un’O.I. segue la regola della maggioranza (qualificata), ma può accadere quando sia rappresentativa degli Stati di seguire la regola dell’unanimità o per consensus (approvazione di una risoluzione senza votazione formale dal contenuto piuttosto vago). A) LE NAZIONI UNITE: L’ONU è nata nel 1945 dopo la IIa Guerra Mondiale dai Stati Alleati che avevano combattuto le Potenze dell’Asse prendo il posto della Società delle Nazioni. La Carta o Statuto dell’ONU fu elaborata nella Conferenza di San Francisco nel 1945. A tutt’oggi vi aderiscono quasi tutti i Paesi del mondo ad esclusione della Svizzera. Organi principali: - Consiglio di Sicurezza: è composto da 15 membri di cui 5 denominati permanenti (USA, Russia [Ex Unione Sovietica], Cina, Francia e Gran Bretagna) e 10 eletti per un biennio dall’Assemblea generale. I Membri permanenti hanno diritto di veto sulle decisione del Consiglio. Tale organo ha competenza limitata (mantenimento della pace e della sicurezza internazionale) e le sue decisioni sono vincolanti. Decisioni vincolanti del Consiglio di Sicurezza: ci si riferisce a quanto stabilito dal Capitolo VII della Carta “azione rispetto alle minacce alla pace, alla violazione della pace e agli atti di aggressione”. In particolare assumono rilievo due articoli: 1. art. 42 che consente al Consiglio di Sicurezza di intraprendere azioni di tipo bellico contro uno Stato. 2. art. 41 che consente al Consiglio di Sicurezza di intraprendere misure non comportanti l’uso della forza armata. Nell’articolo sono indicate alcune misure a titolo esemplificativo (interruzione totale o parziale della relazioni economiche, delle comunicazioni ferroviarie, marittime…). - Assemblea generale: ha competenza illimitata (in pratica coincidente con le finalità dell’Organizzazione) e le sue decisioni che prendono forma di raccomandazioni sono non vincolanti. In essa sono rappresentati tutti gli Stati che aderiscono alla Carta e tutti hanno pari diritto di voto. Decisioni vincolanti dell’Assemblea generale: (1.) in base all’art. 17 Carta ONU all’Assemblea spetta il potere di decidere in maniera vincolante il riparto tra gli Stati delle spese sostenute dell’Organizzazione con la maggioranza dei 2/3. (2.) Alla stessa spettano poteri di decidere in ordine alle modalità ed ai tempi per la concessione dell’indipendenza dei territori coloniali. In base all’art. 19 Carta ONU uno Stato in mora di due annualità di contributi non ha diritto di voto all’Assemblea: quid sul significato di “spese dell’Organizzazione”? La questione interessò in maniera drammatica la vita dell’ONU quando alcuni Paesi si rifiutarono per motivi politici di partecipare alle spese incontrate per talune operazioni. Il rifiuto appariva legittimo sia perché le spese erano state decise in modo illegittimo; sia perché erano straordinarie e per tanto sottratte all’art. 17 (vd. sopra) ed infine perché consentendo all’Assemblea di decidere in via generale di ogni spesa significava attribuirle una funzione di supergoverno in contrasto con quanto stabilito dalla Carta. La questione si risolse con la decisione unanime di pareggiare le spese con contributi volontari. - Corte Internazionale di Giustizia: è composta da 15 giudici che siedono a titolo individuale ed ha funzione di dirimere le controversie internazionali e una funzione consultiva generale (ma i suoi pareri non sono vincolanti). - Segretariato generale: è retto dal Segretario generale il quale costituisce l’organo esecutivo dell’ONU nominato dall’Assemblea generale su proposta del Consiglio di Sicurezza. - Consiglio Economico e Sociale: è composto da membri eletti dall’Assemblea generale in carica per tre anni. Principi fondamentali: 1. L’ONU non può intervenire in questioni che appartengono essenzialmente alla competenza interna di uno Stato. 2. Tre settori di competenza: a.) mantenimento della pace e della sicurezza internazionale b.) sviluppo delle relazioni amichevoli tra gli Stati fondati sul rispetto del principio di eguaglianza dei diritti e dell’autodeterminazione dei popoli c.) collaborazione in campo economico / umanitario / sociale / culturale 3. La principale attività dell’ONU è quella della predisposizione di progetti di convezioni e dell’emanazione di raccomandazioni B) ISTITUTI SPECIALIZZATI: Sono organizzazioni i carattere economico – sociale che si pongono in posizione autonoma rispetto all’ONU, ma sono a questa legate mediante accordi di collegamento. L’ONU influisce su tali organizzazioni con poteri con coordinamento o controllo. Lo schema tipico di collegamento prevede l’ONU da un lato che negozia mediante il Consiglio Economico e Sociale l’accordo che verrà approvato dall’Assemblea generale. Ciò è stato in particolare per l’ILO, l’UNESCO e la FAO. Il contenuto prevede lo scambio di rappresentanti, documenti, il ricorso a consultazioni, il coordinamento dei rispettivi servizi tecnici, l’impegno delle Istituzioni specializzate a prendere almeno in esame le raccomandazioni dell’ONU. All’Istituito specializzato si ritengono applicabili poi le norme della Carta che impongono il coordinamento e il controllo da parte dell’ONU: Art. 58 che abilita l’Assemblea generale e il Consiglio Economico e Sociale ad emanare raccomandazioni per coordinare le attività ed i programmi delle Istituzioni specializzate. Art. 64 che attribuisce al Consiglio Economico e Sociale la facoltà di richiedere rapporti regolari. Art. 17, par. 2 che attribuisce all’Assemblea generale il potere di esaminare i bilanci degli Istituti specializzati ed emanare rispettive raccomandazioni. La violazione degli accordi di collegamento comporta l’illegittimità delle risoluzioni degli organi ONU o degli Istituti specializzati. Gli Istituti specializzati hanno: - funzioni normative: potendo emanare al raccomandazioni o redigere progetti di Convenzione. In alcuni casi è anche previsto l’emanazione di decisioni vincolanti, salvo che gli Stati non manifestino il proprio dissenso entro un certo periodo di tempo. - funzioni operative FAO (FOOD AND AGRICULTURAL ORGANIZATION) Struttura: - Conferenza si riunisce ogni due anni ed ogni Stato ha un delegato - Consiglio: composto da 18 membri eletti dalla Conferenza - Direttore generale: ha funzioni molto ampie ILO (INTERNATIONAL LABOUR ORGANIZATION) Struttura: - Conferenza generale: 4 delegati (2 per Governo; 1 per Lavoratori; 1 per Datori di Lavoro) decide per consensus - Consiglio di Amministrazione - Ufficio Internazionale del Lavoro - Direttore generale: funzioni di segretario Funzioni: - emanazione di raccomandazioni - predisposizione di progetti di Convenzione che gli Stati hanno l’obbligo di sottoporli all’organo competente per la ratifica che resta sempre facoltativa UNESCO (UNITED NATIONS EDUCATIONAL SCENTIFIC AND CULTURAL ORGANIZATION) Struttura: - Conferenza generale: 5 delegati per Stato ma questi ha a disposizione un solo voto - Comitato esecutivo: 18 membri eletti dalla Conferenza - Segretariato Funzioni: - emanazione di raccomandazioni - predisposizione di progetti di Convenzione che gli Stati hanno l’obbligo di sottoporli all’organo competente per la ratifica che rimane sempre facoltativa ICAO (INTERNATIONAL CIVIL AVIATION ORGANIZATION) Struttura: - Assemblea: ogni Stato dispone di un voto - Consiglio: composto da 21 Stati eletti dall’Assemblea in base al criterio di importanza in campo dei trasporti aerei e di rappresentatività delle varie aree geografiche - Segretario generale Funzioni: emana disposizioni sul traffico aereo (maggioranza dei 2/3 che divengono vincolanti per tutti gli Stati dopo 3 mesi dalla loro adozione). WHO (WORLD HEALTH ORGANIZATION) Funzioni: L’Assemblea può emanare (maggioranza di 2/3) regolamenti in tema di procedure per evitare epidemie, di caratteristiche di prodotti farmaceutici…i quali entrano in vigore dopo un certo periodo salvo dissenso degli Stati interessati. IMO (INTERNATIONAL MARITTIME ORGANIZATION) Funzioni: emette raccomandazioni in tema di sicurezza dei traffici marittimi che non risultano vincolanti né obbligano di sottoporle a ratifica. ITU (INTERNATIONAL TELECOMMUNICATION UNION) Funzioni: ha il potere di adottare regolamenti che risultano vincolanti per tutti gli Stati membri IMF (INTERNATIONAL MONETARY FOUND) Struttura: - Consiglio dei Governatori: costituisce l’organo deliberante ed è composto da 1 Governatore più 1 supplente per Stato. Ciascuno Stato dispone di un numero di voti proporzionale alla quota di capitale sottoscritto. - Consiglio di Amministrazione: che riveste funzioni esecutive - Direttore generale Funzioni: promuovere la collaborazione monetaria internazionale, la stabilità dei cambi e l’equilibrio della bilancia dei pagamenti. Agli Stati è data facoltà di ricorrere alle riserve del IMF in proporzione alle quote da loro possedute per far fronte a temporanei squilibri della bilancia dei pagamenti (il prestito deve essere restituito entro 3 – 5 anni). C) LE COMUNITÀ EUROPEE E L’UNIONE EUROPEA: CE: CEE (COMUNITÀ ECONOMICA EUROPEA) + CECA (COMUNITÀ EUROPEA DEL CARBONE E DELL’ACCIAIO) + EURATOM (COMUNITÀ EUROPEA DELL’ENERGIA ATOMICA) costituiscono le organizzazioni regionali dotate di poteri decisionali (vincolanti) per gli Stati membri. Le tre organizzazioni agiscono mediante organi comuni. ATTO UNICO EUROPEO E TRATTATO DI MAASTRICHT: quest’ultimo ha istituito l’Unione Europea. Questa risulta fondata su 3 pilastri: UE CE PESC GAI Dove PESC indica la Politica Estera di Sicurezza Comune e GAI indica Giustizia e Affari Interni. Tra le modifiche più rilevanti apportate dal Trattato di Maastricht sul Trattato di Roma sono da rilevare: - rafforzamento del ruolo del Parlamento Europeo - l’istituzione della cittadinanza europea - l’istituzione delle tappe di un’unione economica e monetaria dove assumono ruolo centrale la BCE (Banca Comune Europea) e la moneta unica (EURO). Sicuramente dei tre pilastri il più importante è la CE dove sono istituite le 4 libertà fondamentali: 1. libera circolazione delle merci (cd. unione doganale) 2. libera circolazione delle persone 3. libera circolazione dei servizi 4. libera circolazione dei capitali Discussa è la natura giuridica delle Comunità Europea: Organizzazione Internazionale o Embrione di Stato Federale? Sebbene vi siano spunti per affermare che alcune norme di diritto comunitario si impongono sul diritto interno (prevalenza) non può che considerarsi la CE come un’Organizzazione Internazionale in quanto l’organo decisionale è costituito dagli Esecutivi nazionali Struttura: - Commissione: composta da 17 membri che siedono a titolo individuale ha poteri esecutivi. - Consiglio: è composto dai rappresentati degli Esecutivi secondo materia degli Stati membri. Ha poteri normativi in quanto emana gli atti più importanti deliberando secondo la regola dell’unanimità (a volte a maggioranza semplice / qualificata). Consiglio Europeo: è stato riconosciuto dal Trattato di Maastricht come l’organo costituito dai Capi di Stato e di Governo con funzioni di impulso per lo sviluppo della Unione Europea. - Parlamento europeo: è composto dai rappresentati dei popoli degli Stati membri eletti a suffragio universale e diretto. Ha funzione di controllo politico sulle altre istituzioni comunitarie (esame di rapporti / istituzione di commissioni di inchiesta / mozione di censura / esame di petizioni individuali). Il Trattato di Maastricht ha allargato il suo ruolo nell’iter legislativo comunitario prevedendo: procedura di cooperazione secondo la quale il Consiglio può adottare l’atto se la decisione è presa all’unanimità anche contro la volontà del Parlamento purché in tal caso in seconda lettura gli emendamenti parlamentari siano stati esaminati; procedura di codecisione secondo la quale il Parlamento può bloccare l’atto del Consiglio con una decisione in tal senso presa dalla maggioranza assoluta dei suoi membri; potere di veto che consente l’adozione di certuni atti solo se hanno ottenuto il parere conforme del Parlamento. Rimangono comunque escluse dalla procedura di cooperazione e codecisione la politica agricola e commerciale comune. - Corte dei Conti: ha funzione di controllo sulle entrate e sulle spese della Comunità. - Corte di Giustizia: ha funzione di vigilare sul rispetto dei Trattati e può essere adita anche dagli individui. Ad essa è stato affiancato il Tribunale di primo grado. Legislazione comunitaria: atti vincolanti: REGOLAMENTI, DIRETTIVE e DECISIONI atti non vincolanti: RACCOMANDAZIONI e PARERI REGOLAMENTI: è l’atto con il quale la Comunità Europea nell’ambito delle proprie competenze si sostituisce e si sovrappone alla legislazione interna dei singoli Stati membri. L’atto contiene norme generali ed astratte che si impongono agli Stati membri dopo essere trascorsi almeno 20 giorni (vacatio legis) dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Comunità. DECISIONI: è un atto a portata concreta ed è vincolante per lo Stato che la riceve mediante notificazione. DIRETTIVE: vincola gli Stati in ordine al risultato che è da raggiungere lasciandoli liberi sulla forma ed i mezzi. La tendenza è quella di formulare le direttive in modo preciso e dettagliato (cd. direttive self executing) così da ridurre al massimo la discrezionalità degli Stati (in pratica possono scegliere solo l’atto formale interno: legge o regolamento o atto amministrativo…). ATTI ATIPICI: sono atti che si sono imposti nella prassi sebbene non rientrino nella previsione di alcuna delle norme comunitarie. In quanto atti presi non in ambito di alcuna delle istituzioni comunitarie e spesso all’unanimità possono risolversi in accordi in forma semplificata quando non hanno mera rilevanza politica. Relazioni esterne: in quanto Organizzazione Internazionale la Comunità Europea può concludere accordi internazionali. Competente per i negoziati è la Commissione, mentre per la ratifica è il Consiglio con parere conforme, quando richiesto, da parte del Parlamento. La Corte di Giustizia può essere chiamata ad esprimere un parere di compatibilità dell’accordo con il Trattato e se questo parere sarà negativo si dovrà procedere ad una modifica del Trattato stesso affinché l’accordo entri in vigore. Gli accordi conclusi dalla Comunità Europea vincolano anche gli Stati membri secondo quanto stabilisce l’art. 228, par. 7. Ciò costituisce un’eccezione al principio secondo cui gli accordi conclusi dalle Organizzazioni Internazionali non vincolano gli Stati che ne fanno parte. La Comunità Europea può altresì concludere con Stati terzi o con Organizzazioni Internazionali accordi che istituiscono un’associazione caratterizzata da diritti ed obblighi reciproci, da azioni in comune e da procedure particolari, nonché accordi che rientrano nella politica commerciale comune (accordi di associazione ex art. 238 e accordi commerciali ex art. 113). La distinzione tra i due tipi di accordi deve ritenersi ormai superata. Ciò che deve rilevarsi è la competenza esclusiva a concludere accordi in materia. Autorizzazioni del Consiglio e accordi misti: le prime nascono dall’esigenza di evitare che uno Stato terzo che voglia contrarre con un solo Stato membro debba necessariamente contrarre con la Comunità, i secondi quando vi è il dubbio che un accordo rientri solo in parte nelle competenze comunitarie, e in tal caso si chiede il concorso degli Stati. ● Quid in caso di violazione della competenza esclusiva da parte di uno Stato membro? Invalidità o incompatibilità? La tendenza è quella di collocare il diritto comunitario al di sopra della legge ordinaria. In Italia la supremazia del diritto comunitario sulla legge ordinaria si fonda sull’art. 11 Cost. e questo assumerebbe rango costituzionale. La competenza a stipulare sarebbe dunque modificata e la violazione della competenza esclusiva costituirebbe violazione di una norma costituzionale che in quanto norma di importanza fondamentale renderebbe invalido sul piano internazionale l’accordo concluso. ● Quid in caso di stipulazione di accordi non rientranti nella materia di competenza esclusiva della Comunità Europea? In linea di massima si sarebbe dovuto riconoscere un limite, nel senso che nelle altre materie regolate dal Trattato la Comunità non aveva competenza. In realtà la Corte di Giustizia Europea ha mutato questa soluzione distinguendo tra: - competenze interne - competenze esterne In pratica richiamandosi alla cd. teoria dei poteri impliciti si è affermato che in tutte quelle materie in cui la Comunità dispone di poteri volti all’emanazione di atti legislativi comunitari essa ha anche la competenza a concludere accordi con Stati terzi. L’esercizio di tale competenza la rende esclusiva. Convenzione di Montego Bay: in tale convenzione si è previsto nell’ANNESSO che un’Organizzazioni Internazionale alla quale alcuni degli Stati membri della Convenzione abbiano trasferito alcune delle competenze in materie regolate dalla Convenzione può partecipare a questa. Al momento della firma, della ratifica o dell’adesione l’Organizzazione deve indicare quali siano le materie su cui ha competenza. Stessa cosa devono fare gli Stati. Sia questi che le Organizzazioni Internazionali devono poi notificare i diversi cambiamenti di competenza e rispondere ad ogni quesito in posto da ogni Stato terzo. D) IL CONSIGLIO D’EUROPA E GLI ORGANI EUROPEI PER LA TUTELA DEI DIRITTI UMANI: OCSE: costituita dai Paesi dell’Europa occidentale nel secondo dopoguerra risulta attualmente composta da Stati non europei che costituirebbero il cd. occidente industrializzato: Organizzazione Europea per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico. Consiglio d’Europa: composto da quasi tutti gli Stati dell’Europa occidentale ed Orientale. Lo scopo è quello di: - di salvaguardare e promuovere gli ideali ed i principi che costituiscono il comune patrimonio dei suoi membri - di favorire il progresso economico e sociale Alla base dell’organizzazione c’è l’accettazione da parte dei suoi membri del cd. Stato di Diritto: - accettazione della preminenza del Diritto - ogni persona posta sotto la loro giurisdizione deve godere dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali Struttura: Comitato dei Ministri: è composto dai Ministri degli Esteri e dai loro sostituti e rappresenta tutti gli Stati membri ed ha i maggiori poteri. Assemblea consultiva: è composta dai rappresentati dei Parlamenti nazionali ed esprime voti e raccomandazioni al Consiglio. Segretariato: ha a capo il Segretario Generale. Attività del Consiglio d’Europa: predispone progetti di convenzioni in materia di diritto, procedura penale e diritti umani. CONVENZIONE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO: Rappresenta il principale lavoro dell’organizzazione e può dividersi un due parti: 1. parte sostanziale: sono norme che contengono l’elenco dei diritti e delle libertà fondamentali dell’uomo. 2. parte procedurale: dava vita a due organi prima del 1998: ● Commissione composta da tanti membri quanti sono gli Stati membri, questi erano eletti dal Comitato dei Ministri, duravano in carica 6 anni e sedevano a titolo personale. Essa aveva funzioni istruttorie e di conciliazione in ordine ai ricorsi che venivano presentati. ● Corte europea dei diritti dell’uomo. Con la riforma del 1998 i due organi sono stati fusi in un’unica Corte. Agli organi di tutela vi si possono accedere mediante ricorso tre ordini di soggetti: - Stato contraente - Individuo - Gruppi di individui Il ricorso deve essere ricevibile ossia: - devono essere esauriti i mezzi di ricorso interni - non devono essere trascorsi più di 6 mesi dall’ultima decisione - non devono essere anonimi o manifestamente infondati La Commissione passava ad istruire la causa e procedeva a conciliare le parti su una soluzione che rispettasse i diritti dell’uomo. Ove la conciliazione non fosse raggiunta essa doveva trasmettere un rapporto al Comitato dei Ministri. Entro tre mesi dal fallito tentativo di conciliazione ciascuna parte poteva adire la Corte (intervento giurisdizionale) salvo ricorrere al Comitato dei Ministri (intervento politico). Questo decideva con maggioranza dei 2/3 dei suoi membri sulla reale esistenza di una violazione della Convenzione e in caso positivo assegnava un termine per rimediare a questa. La decisione era vincolante per lo Stato a cui era rivolta. E) ALTRI ORGANI PER LA TUTELA DEI DIRITTI UMANI: Convenzione Americana sui Diritti dell’Uomo Carta Africana dei Diritti dell’Uomo e dei Popoli Patti delle Nazioni Unite sui Diritti dell’Uomo: Si distinguono in due: 1. Patti sui diritti civili e politici: è previsto un Comitato composto da 18 membri eletti dagli Stati contraenti che siedono a titolo individuale per 4 anni. Esso prende in esame i reclami proposti dagli Stati o dagli individui. Le decisioni dell’organo però non sono mai vincolanti. 2. Patti su diritti economici, sociali e culturali: in tal caso sono gli Stati a provvedere a rapporti periodici sull’applicazione del Patto verso il Consiglio Economico e Sociale. Questo può trasmetterli alla Commissione dei diritti umani ONU o sottoporli all’Assemblea generale. Dal 1985 è stato creato un Comitato dei diritti economici, sociali e culturali con compiti di assistenza delle competenze. LE RACCOMANDAZIONI DEGLI ORGANI INTERNAZIONALI: Le raccomandazioni sono l’atto tipico delle Nazioni Unite. Esse non hanno valore vincolante, ma si dice abbiano un generico effetto di liceità (Lo Stato che tiene un contegno contrario a norme di diritto internazionale pattizio o generale ma che segua quanto stabilito nella raccomandazione non commette illecito) fondato sul generico obbligo a cooperare. Requisiti affinché le raccomandazioni abbiano effetto di liceità: - hanno effetto solo nei rapporti tra Stati membri che l’hanno votata o l’hanno accettata senza riserve, in quanto in un voto contrario o nell’astensione è chiara la volontà più o meno intensa di dissociarsi. - devono rientrare nella competenza dell’organo che le emette ed essere strettamente conformi alle norme statutarie (legittimità della raccomandazione). Occorre osservare che dove manchi un organo chiamato a sindacare la legittimità delle raccomandazioni, siffatto controllo spetterà a coloro che si trovano ad attuarla. Critica No. 1: circa tale effetto si è opposto l’argomento che trae spunto dall’art. 103 Carta ONU che impone la prevalenza degli obblighi statutari sugli obblighi di altri accordi. Da ciò sembra escludersi che le raccomandazioni possano avere prevalenza. In realtà l’argomento non tiene conto del fatto che a fronte di una raccomandazione lo Stato è libero di scegliere se tenere il comportamento conforme ad essa o meno, mentre così non è per gli obblighi statutari. Critica No. 2: si è ritenuto che a fronte di una reiterata raccomandazione questa acquisirebbe la capacità di rendersi obbligatoria. La tesi non può ritenersi accettabile. LA GERARCHIA DELLE FONTI INTERNAZIONALI: I. CONSUETUDINE E PRINCIPI GENERALI DI DIRITTO DELLE NAZIONI CIVILI II. TRATTATI: in base al principio consuetudinario pacta sunt servanda III. FONTI PREVISTE DA ACCORDI Rapporti tra le fonti: - una norma di grado inferiore può derogare ad una norma di grado superiore se questa lo consente. Le norme consuetudinarie (lex generali) sono derogabili mediante accordo (lex specialis): lex specialis derogat generali. Tuttavia le norme consuetudinarie posteriori che si formino in droga alle norme di un determinato trattato sono idonee ad abrogare queste ultime - vi è un gruppo di norme di diritto generale che si pongono come ius cogens ossia siano per loro natura inderogabili: art. 53 C.d.V. è nullo qualsiasi trattato che, al momento della sua conclusione, sia in contrasto con una norma imperativa di diritto internazionale generale. è norma imperativa di diritto generale (ius cogens): una norma che sia accettata e riconosciuta dalla Comunità Internazionale degli Stati nel suo insieme in quanto norma alla quale non è permessa alcuna deroga e che non può essere modificata che da una nuova norma di diritto internazionale generale avente lo stesso carattere. Come è possibile notare non vi è un criterio che consenta di identificare con certezza le norme di diritto internazionale generale aventi carattere imperativo. Art. 103 Carta ONU che sancisce la prevalenza degli obblighi statutari su qualsiasi altro obbligo pattizio. Questo rappresenta un dato incontrovertibile che si è sviluppato dal secondo dopoguerra ad oggi, ossia rappresenta il fatto che gli Stati, sebbene con le dovute eccezioni, non hanno mai messo in discussione i principi contenuti nella Carta. Tale regola è andata assumendo un carattere generale e non più pattizio divenendo di ius cogens. A prova di questo sta anche l’art. 30 C.d.V. dove fa salve le disposizioni dell’art. 103 della Carta delle Nazioni Unite alla regola che una norma successiva abroga quella precedente. Occorrerà interpretare quali principi della Carta abbiano assunto carattere cogente: (1.) settore del mantenimento della pace (principio di collaborazione e divieto di ricorso all’uso della forza armata nelle relazioni internazionali); (2.) settore economico e sociale (divieto di compromettere irrimediabilmente l’economia di altri Stati); (3.) settore umanitario (principio del rispetto della dignità umana) e (4.) settore della decolonizzazione (principio dell’autodeterminazione dei popoli: condanna del Governo straniero). Critica: la SCISO ha osservato come in realtà l’art. 103 della Carta non parli di invalidità ma di prevalenza, tema che interessa l’efficacia e non la validità degli accordi successivi. Per tanto l’accordo che si pone incompatibile con gli obblighi statutari sarà temporaneamente inefficace. L’essenza dello ius cogens è quello di porsi in termini di inderogabilità e non di invalidità. Critica: ancorando lo ius cogens all’art. 103 della Carta ONU comporta che molti dei principi in essa contenuti per l’eccessiva generalità non siano suscettibili di pratica applicazione. Gli unici che sembrerebbero potersi effettivamente applicare sono i principi contenuti nel Capitolo VII con riferimento alle misure non implicanti l’uso della forza armata. - Sono altresì inderogabili le norme che disciplinano le cause di invalidità e di estinzione (norme sui vizi della volontà, clausola REBUS SIC STANTIBUS). PARTE SECONDA IL CONTENUTO DELLE NORME INTERNAZIONALI IL CONTENUTO DEL DIRITTO INTERNAZIONALE COME INSIEME DI LIMITI ALL’USO DELLA FORZA INTERNAZIONALE E INTERNA DEGLI STATI: Il contenuto del diritto internazionale (generale o pattizio) è costituito da due serie di limiti: - limiti riguardanti la forza verso l’esterno (cd. forza internazionale): con il concetto di forza internazionale ci si riferisce alla violenza bellica comportante operazioni militari e coincide con il concetto di aggressione. - limiti riguardanti la forza verso l’interno (cd. forza interna): con il concetto di forza interna ci si riferisce al potere di governo (sovranità o jurisdiction) e si esplica in azioni sugli individui e sui loro beni. Il potere di coercizione materiale (jurisdiction to enforce) è compreso nel concetto sopraddetto, ma non lo esaurisce. Il potere di coercizione normativa (jurisdiction to prescribe) non è totalmente compreso nel concetto sopraddetto, in quanto non basta la mera attività normativa per costituire una violazione del diritto internazionale, ma occorre che questa si attui concretamente (si pensi all’ipotesi di una Convezione di diritto uniforme: la violazione si verificherebbe qualora lo Stato non adotti la legge e paradossalmente nel caso l’adotti rimanendo lettera morta nel suo ordinamento non si verificherà alcuna violazione). Il concetto di forza interna si colloca tra il potere di coercizione materiale e quello di coercizione normativa. Il potere di governo è costituito da qualsiasi intervento concreto degli organi statali avente natura coercitiva e suscettibile di essere coercitivamente attuato. Affinché l’attività dello Stato rilevi per il diritto internazionale occorre: a. che sia diretta a persone determinate b. che riguardi questioni concrete c. che preveda la possibilità attuale e concreta di coazione Esempio: L’Anti Terrorism Act vietò di stabilire e mantenere in USA gli uffici dell’OLP. L’atto costituiva una violazione della Convenzione sui rapporti tra ONU e USA in relazione all’OLP in quanto: a.) colpiva la missione dell’OLP presso gli USA; b.) poteva essere coercitivamente attuato dall’autorità giudiziaria; c.) doveva cessare (come avvenne) quando sarebbe venuta meno la concreta ed attuale possibilità di tale attuazione. LA SOVRANITÀ TERRITORIALE: Costituisce il primo limite al potere di governo (forza interna) sul piano del diritto internazionale generale. ● Storia: si affermò quando venne meno il Sacro Romano Impero e conseguentemente venne meno ogni dipendenza formale delle singole entità statali dall’Impero e dal Papa. Essa fu concepita come una sorta di diritto di proprietà dello Stato (Sovrano) sul territorio e al quale si ricollegava un potere sulle persone che sono sul territorio [QUADRI: il territorio era tutto e gli individui erano pertinenze: quisquis in territorio meo est, meus subditus est]. ● Contenuto: al riguardo le opinioni sulla natura giuridica del territorio sono: - è diritto reale dello Stato - è ambito spaziale entro cui si esplica la potestà di governo dello Stato In realtà occorre osservare che la sovranità territoriale assume due contenuti: - positivo: lo Stato ha il diritto di esercitare il proprio potere di governo sulla sua comunità territoriale (individui e loro beni) - negativo: lo Stato non ha il diritto di esercitare il proprio potere i governo sull’altrui comunità territoriale (individui e loro beni). Caratteristiche del potere di governo che possono derivarsi dal contenuto sono: - esclusività - libertà nelle forme e nei modi del suo esercizio e contenuti Eccezioni al potere di governo sono numerose, ma tutte derivanti da limiti convenzionali. ● Acquisto e vicende: a ciò soccorre il criterio dell’effettività secondo il quale è l’effettivo esercizio del potere di governo a far sorgere il diritto all’esercizio del potere di governo, ciò non costituisce altro che applicazione del principio ex facto oritur ius. Il problema dell’acquisto della sovranità interessa a tutt’oggi ipotesi che si pongono in contrasto con il divieto di ricorso all’uso della forza armata o con il principio di autodeterminazione dei popoli. La prassi dimostra che il criterio dell’effettività risulta il modo per determinare l’acquisto della sovranità. Al più, guardando alla prassi dell’ONU, gli Stati possono negare effetti extraterritoriali ad atti di governo su un territorio acquistato illegittimamente e purché l’acquisto sia contestato dalla più gran parte degli Stati della comunità internazionale. I trattati che comportano acquisti o perdite di sovranità territoriale producono solo effetti obbligatori in quanto non sono idonei di per sé a far sorgere il diritto di sovranità territoriale. I LIMITI DELLA SOVRANITÀ TERRITORIALE: Limiti classici al poterei governo sono: - trattamento degli stranieri (e dei loro beni) - trattamento degli Stati stranieri e delle Organizzazioni Internazionali A) IL TRATTAMENTO DEGLI STRANIERI: Principio del collegamento: il principio è che lo Stato non può imporre obblighi agli stranieri che non siano giustificati da una sufficiente relazione di questi (e dei suoi beni) con la comunità territoriale. Quanto maggiore sarà la relazione dello straniero (e dei suoi beni) con la comunità territoriale, tanto più intenso potrà essere il potere di governo su di esso (e i suoi beni). Principio di universalità della giurisdizione penale: si considerino obblighi di natura politica, fiscale o economica. Questi generalmente non riguardano gli stranieri, salvo un giustificato collegamento con la comunità territoriale. A ciò fa eccezione principio in questione per cui lo Stato potrà punire i reati commessi ovunque purché presentino un qualche collegamento con esso. La potestà punitiva potrà essere esercitata indipendentemente dal collegamento quando si tratti di reati che offendano la coscienza dell’individuo medio. L’unico limite che ricorre a tale principio è quando la competenza dello Stato sia sostituita dalla competenza di una Corte internazionale [Tribunale per la Ex Jugoslavia costituito dall’ONU. Composizione: 2 camere di prima istanza formata da 3 giudici ciascuna; 1 camera d’appello formata da 5 giudici. Funzionamento: è previsto uno Statuto determinato dal Consiglio di Sicurezza che fissa la “primacy” del Tribunale sulle altre Corti nazionali ed elenca i crimini punibili e un Regolamento determinato dal Tribunale stesso che fissa le regole di procedura e sostanziali in tema di pene, aggravanti e attenuanti, ecc…]. Statuto della Corte Penale Internazionale: non ancora in vigore in quanto incontra le opposizioni di taluni Stati è stato elaborato in sede ONU. La sua competenza è limitata (crimini di genocidio, guerra e contro l’umanità) e complementare (è esercitata solo quando lo Stato non vuole o non può esercitare la propria giurisdizione). ► Crimina iuris gentium: sono i cd. crimini contro la pace e la sicurezza dell’umanità e ricadono nel principio di universalità della giurisdizione penale. Secondo la ripartizione operata dal Tribunale di Norimberga si distinguono in: a.) crimini di guerra: costituenti gravi violazioni internazionali dello ius in bello b.) crimini contro la pace: consistenti nello scatenamento di un atto di aggressione c.) crimini contro l’umanità: consistenti nel genocidio, tortura, trattamenti disumani, stupro, pulizia etnica… Il nucleo essenziale dei crimina iuris gentium è costituito da gravi violazioni dei diritti umani sia in tempo di pace che in tempo di guerra. Per il diritto internazionale generale lo Stato: 1. può punire, ma non deve 2. può considerare il crimine imprescrittibile, ma non deve ciò indica che si è di fronte ad una consuetudine in via di formazione. Si osserva infatti che il dovere di considerare imprescrittibile un crimine mal si concilia con la libertà di esercizio della potestà punitiva in relazione ad esso. 3. può concedere l’estradizione, ma non deve regola IUDICARE AUT DEDERE AUT è considerata nel “Progetto di codice dei crimini contro la pace e la sicurezza dell’umanità”, ma non è conforme al diritto internazionale generale. La prassi infatti conosce l’applicazione della regola anche per quei reati politici che sono esclusi dal progetto. Il progetto dilata oltre modo il concetto di crimine prevedendo la possibilità di perseguire gli organi supremi di uno Stato che aggredisca un altro Stato. In realtà la responsabilità di questi ricorrerà tutte le volte in cui abbiano commesso gravi violazioni dei diritti umani. Principio di universalità della giurisdizione civile: il principio ormai accolto dal diritto internazionale generale è riferito ai casi di responsabilità civile extracontrattuale. Obbligo di protezione dello straniero: lo Stato deve predisporre misure preventive e repressive contro le offese verso la persona o i beni dello straniero. In ordine alle prime la loro idoneità deve valutarsi caso per caso. In ordine alle seconde lo Stato deve disporre di una apparato giurisdizionale che garantisca la tutela dei diritti. Il diniego di giustizia costituisce illecito. Sull’obbligo di protezione della persona esistono a tutt’oggi numerose disposizioni in campo internazionale che costituiscono diritto consuetudinario e che assicurano una protezione molto estesa. Sull’obbligo di protezione dei beni si osserva che questi sono, salvo eccezioni di diritto pattizio, sacrificabili per il diritto internazionale. ► Investimenti stranieri: il problema si pone quando si considerino le rivendicazioni avanzate dai PVS (cc.dd. nuovo ordine economico) aventi per oggetto la sovranità permanente sulla risorse naturali e la posizione dei Paesi Industrializzati che mira alla massima protezione degli investimenti stranieri. I PVS partono dall’art. 2, lett. a) e b) della Carta dei diritti e doveri economici che sostiene che ogni Stato è libero di disciplinare gli investimenti (piano normativo: conformemente alle proprie leggi e regolamenti ed agli obbiettivi di politica economica e sociale) e di adottare le misure necessarie (piano concreto). Scopo di tale posizione è evitare gli abusi. Unico limite è quello di assicurare all’investimento straniero un’equa remunerazione. Espropriazione e altre misure restrittive della proprietà: l’espropriazione può avere ad oggetto singoli cespiti o intere categorie di beni (nazionalizzazioni). Nel primo caso è necessario indagare la sussistenza di motivi di pubblica utilità, mentre nel secondo caso gli stessi sussistono in re ipsa. Il nucleo del problema non è se lo Stato può o meno procedere ad espropriazioni, ma in che cosa deve consistere l’indennizzo corrisposto. In base all’art. 2, lett. c) della Carta dei diritti e doveri economici esso deve essere ricollegato al limite dell’equa remunerazione del capitale straniero. Nella prassi però grande è la confusione circa il quantum e il quo modo dell’indennizzo: - per il quantum tesi dei Paesi Industrializzati: esso deve essere pronto, adeguato ed effettivo. Può essere accolta in riferimento alle espropriazioni dei singoli cespiti, ma non è riuscita a imporsi in tema di nazionalizzazioni. Se l’indennizzo viene corrisposto per evitare che lo Stato espropriante consegua un indebito arricchimento, si è sostenuto che nel calcolo di questo si deve considerare anche l’indebito arricchimento conseguito dalle imprese nello sfruttamento delle risorse dello Stato espropriante (compensazione) [vd. art. 2, lett. c. della Carta dei diritti e doveri economici che consente di determinare l’indennizzo considerando le leggi e i regolamenti e ogni altra circostanza pertinente]. - per il quo modo: generalmente si ricorre ai modi più vari: (1.) accordi di compensazione globale (lump – sum agreements) con i quali lo Stato nazionalizzante corrisponde una somma forfetaria allo Stato straniero che decide come distribuirla (ciò consente di sacrificare in vista di altri vantaggi l’interesse del privato); (2.) accordi con le imprese con i quali lo Stato si accorda con i diretti interessati. In definitiva lo Stato nazionalizzante (a.) commetterà un illecito internazionale tutte le volte in cui appaia inequivoca la volontà a non corrispondere l’indennizzo e (2.) che questa deve escludersi quando sia chiara la volontà a raggiungere un accordo (transazione o convenzione d’arbitrato). ► Rispetto dei debiti pubblici: come rilevato sopra in tema di successione nei trattati, quando intervenga un mutamento di sovranità lo Stato successore subentra nei debiti contratti dal predecessore. Si osserva che i debiti pubblici possono sorgere nell’ambito del diritto interno (con persone fisiche o giuridiche) o nell’ambito del diritto internazionale (mediante accordi internazionali con Stati e O.I.). Con riferimento al debito contratto con privati si riteneva che tale problema fosse di pertinenza dell’obbligo di protezione dello straniero. A tutt’oggi tale distinzione ha perso importanza dovendosi piuttosto distinguersi tra debiti localizzabili (per i quali si ammette successione) e debiti generali o non localizzabili (per i quali si farà rinvio ad un accollo convenzionale tra successori). ► Ammissione ed espulsione degli stranieri: la sovranità territoriale non incontra limiti in questione. In caso di espulsione però è stabilito che essa debba avvenire in modo non oltraggioso e tenere conto di un ragionevole lasso di tempo. Ciò costituisce applicazione dell’obbligo di protezione dello straniero con riferimento alle misure preventive. Diritto internazionale pattizio: conosce specifici accordi (cc.dd. di stabilimento) con i quali le Parti si riconoscono regimi di favore in tema di stabilimento per attività d’impresa o professionale. ► Protezione diplomatica: quando lo Stato non rispetta le norme sul trattamento dello straniero commette un illecito internazionale. In tal caso lo Stato d’origine potrà esercitare la protezione diplomatica assumendo la difesa internazionale del proprio suddito (proteste, arbitrato, minacce di ricorso o ricorso a contromisure). Tale diritto appartiene allo Stato e non al suddito. Lo Stato non è rappresentante o mandatario del suddito e può rinunciare a ricorrervi, ciò tende a caratterizzare tale rimedio di una spiccata nota politica. Regola del previo esaurimento dei ricorsi interni: lo straniero deve avere esaurito tutte le procedure a sua disposizione nell’ordinamento giuridico dello Stato ospitante. Questa è presupposto per la protezione diplomatica. In sostanza l’illecito deve essere definitivo e non essere più a disposizione rimedi adeguati ed effettivi. Protezione diplomatica delle società: occorre qui rilevare che la nazionalità delle persone giuridiche è difficile da definire. Con riferimento alle società commerciali differenti sono le soluzioni qualora si ricorra a criteri formali (luogo di costituzione o della sede principale) o sostanziali (luogo al quale appartiene la maggioranza dei soci). A seguire i criteri formali è la Corte Internazionale di Giustizia e ciò rispecchia sicuramente la posizione del diritto internazionale generale. Tuttavia ci si chiede se possa ricorrere a protezione diplomatica l’azionista o la società multinazionale che per operare si serve di una società locale costituita. Critica: si è sostenuto che le controversie in tema di trattamento degli stranieri siano di competenza dei Tribunali dello Stato locale (cd. dottrina Calvo). A tale indirizzo si sono ispirati i Paesi Latino – Americani i quali nei rapporti con le imprese hanno stipulato contratti inserendovi una clausola mediante la quale le imprese rinunciavano a far valere la protezione diplomatica (cd. clausola Calvo). Allo stesso indirizzo si informa l’art. 2, lett. c) della Carta dei diritti e doveri economici dove sostiene che le controversie in tema di indennizzo dovranno regolarsi in conformità alla legislazione interna dello Stato nazionalizzante e dai Tribunali interni, salvo gli Stati si accordino per una risoluzione pacifica della controversia con altri mezzi. B) IL TRATTAMENTO DEGLI ORGANI STRANIERI, PARTICOLARMENTE DEGLI AGENTI DIPLOMATICI: Fonte di tale materia è costituita dalla Convezione di Vienna del 1961. Le immunità riguardano gli agenti diplomatici accreditati presso lo Stato territoriale e si applicano dal momento in cui l’agente entra nel territorio di tale Stato fino al momento in cui ne esce. La presenza dell’agente diplomatico è subordinata alla volontà dello Stato territoriale: AMMISSIONE GRADIMENTO ACCREDITAMENTO ESPULSIONE CONSEGNA DEI PASSAPORTI + INGIUNZIONE A LASCIARE IL PAESE IMMUNITÀ: sono le seguenti a.) Inviolabilità personale: l’agente diplomatico deve essere protetto contro le offese alla sua persona mediante particolari misure preventive e repressive. Da questo punto di vista l’obbligo dello Stato territoriale coincide con il generale obbligo di protezione dello straniero con i dovuti adeguamenti sul piano soggettivo (chi è lo straniero?) e sul piano oggettivo (quali circostanze?). In particolare l’agente diplomatico non può essere sottoposto a misure di polizia. Allo stato attuale l’importanza dell’agente diplomatico è di molto diminuita facendogli perdere quell'aura di sacralità che comportava che una offesa alla sua persona costituisse una delle massime offese allo Stato estero. Oggi l’assassinio di un ambasciatore perpetrato in gave colpa in vigilando non comporta nemmeno la rottura delle relazioni diplomatiche. b.) Inviolabilità del domicilio: si intende la sede della missione diplomatica e l’abitazione privata dell’agente diplomatico. In passato si fingeva che questa fosse extraterritoriale, ma in realtà non è così. Con tale concetti si intende solo stabilire che lo Stato territoriale non può compiere atti coercitivi senza il consenso dell’ambasciatore. c.) Immunità della giurisdizione penale e civile: occorre distinguere tra 1. atti compiuti come organo dello Stato: questi sono coperti dalla cd. immunità funzionale. Tale si spiega in considerazione che deve essere assicurata l’indipendenza dell’agente diplomatico (piano soggettivo) e che tali atti sono considerati atti di Stato estero (piano oggettivo). L’agente diplomatico non potrà mai rispondere nemmeno cessate le sue funzioni. 2. atti compiuti come privato: anche qui si estende l’immunità ma per la sola ragione di indipendenza (ne impediatur legatia). Tale immunità ha carattere processuale: ciò significa che egli non è dispensato dall’osservare le leggi dello Stato territoriale e cessate le sue funzioni potrà essere sottoposto a giudizio. In costanza delle sue funzioni egli non potrà essere giudicato nemmeno per gli atti compiuti prima dell’assunzione delle funzioni. d.) Immunità fiscale: riguarda esclusivamente le imposte dirette personali. SOGGETTI: con il termine agente diplomatico ci si riferisce ai capi – missione (Ambasciatori, Ministri plenipotenziari, Incaricati d’affari). Tuttavia nell’ambito delle immunità vi sono ricompresi anche: il personale diplomatico delle missioni (ministri, consiglieri, segretari…); le famiglie dell’agente diplomatico. La Convenzione di Vienna del 1961 stabilisce che le immunità riguardano anche il personale tecnico e quello amministrativo ad esclusione di coloro che siano cittadini dello Stato territoriale. Le immunità spettano per il diritto internazionale generale anche ai Capi di Stato, nonché ai Capi di Governo e ai Ministri degli Esteri in vista ufficiale. C) IL TRATTAMENTO DEGLI STATI STRANIERI: Principio di non intervento negli affari (interni ed internazionali) di un altro Stato è limite che rileva in tale ambito sebbene difficile sia da precisare il suo contenuto. Con il tempo la sua autonoma sfera di applicazione è andata riducendosi con l’affermarsi di nuove e più precise regole che si può dire, a tutt’oggi, ne abbiano assorbito la fattispecie. Tra queste rilevano: - Principio del divieto di minaccia o uso della forza - Principio del divieto di ingerenza economica: con ciò si vuole indicare che uno Stato non può compiere intereventi che incidano sulle scelte di un altro Stato. In verità ciò è difficile da stabilire: nel caso Nicaragua – USA la Corte Internazionale di Giustizia stabilì che non costituiva violazione l’interruzione di un programma di sviluppo o la riduzione o interruzione delle importazioni. In realtà occorre precisare che tali misure saranno vietate in tutti i casi un cui abbiano come unico scopo quello di incidere sulle scelte di un altro Stato. Tale considerazione trova però la sua ragion d’essere ove si consideri che il principio rimane assorbito dal principio di autodeterminazione dei popoli in negativo. - Principio del divieto di preparazione di atti terroristici contro altri Stati: tra origine dal problema se lo Stato debba ritenersi obbligato a evitare che sul proprio territorio siano svolte attività che possano incidere su altri Stati. L’unica regola di diritto generale è che lo Stato deve impedire che siano preparati atti di terrorismo contro Stati stranieri. Gli Stati sono assoggettabili alla giurisdizione di un altro Stato? Teoria dell’immunità assoluta: accolta in precedenza, si fondava sul principio par in parem non habet iudicium. Teoria dell’immunità relativa o ristretta: nata sulla spinta della giurisprudenza italiana e belga tale distingue tra: - atti iure imperii: atti attraverso i quali si esplica il potere di governo - atti iure gestionis o iure privatorum: atti aventi carattere privatistico La distinzione per quanto difficile in concreto da tracciare corrisponderebbe all’incirca alla distinzione tra diritto pubblico e diritto privato. L’esenzione dalla giurisdizione altrui sussisterebbe solo per gli atti iure imperii. In caso di dubbio: IMMUNITÀ regola SOTTOPOSIZIONE A GIURISDIZIONE eccezione L’immunità può sempre essere oggetto di rinuncia (espressa o implicita) da parte dello Stato straniero. Sul piano soggettivo l’immunità alla giurisdizione civile può tanto essere riconosciuta agli organi del potere centrale, quanto agli enti territoriali o alle persone giuridiche pubbliche. Sul piano oggettivo l’immunità alla giurisdizione civile copre tanto l’ambito cognitivo, quanto quello esecutivo. Non potranno compiersi così atti di esecuzione forzata su beni destinati ad una pubblica funzione. In Italia la legge del 1926 stabiliva che non si poteva procedere ad atti di esecuzione forzata di beni stranieri presenti in Italia senza autorizzazione del Ministro per la Giustizia. Il decreto di diniego dell’autorizzazione non era ricorribile in sede civile né amministrativa. La legge si applicava agli Stati a condizione di reciprocità. ● La Corte Costituzionale iniziò l’opera di smantellamento cominciando con il rilevare l’incostituzionalità per contrasto con l’art. 113 Cost. che considera sempre impugnabili gli atti per la tutela dei diritti e interessi legittimi. ● La Corte di Cassazione a Sezioni Unite sostenne che non era richiesta l’autorizzazione quando l’esecuzione avesse ad oggetto beni stranieri destinati a funzioni pubbliche. L’immunità sancita dal diritto internazionale generale per tale categoria di beni e introdotto dall’art. 10 Cost. non poteva essere negata da una fonte di rango inferiore. ● La Corte Costituzionale rilevò che la legge del 1926 continuava a valere per la parte relativa all’autorizzazione a procedere sui beni statali stranieri di carattere privato e che potevano essere dichiarati immuni a condizione di reciprocità. Ciò era in palese contrasto con l’art. 24 Cost. che impone la tutela giurisdizionale anche ai creditori dello Stato straniero. ► Controversie in tema di rapporti di lavoro: il problema nasce quando controversie nascono tra lavoratori dello Stato territoriale che prestano la propria opera in ambasciate, ecc… Qui è difficile stabilire quali aspetti del rapporto siano da ricondurre nell’alveo del diritto privato e quali in quello del diritto pubblico. La giurisprudenza italiana si era orientata sulle mansioni esplicate riconoscendo l’immunità tutte le volte in cui la partecipazione del lavoratore interessava funzioni sovrane o attività pubblicistiche. La conseguenza fu quella di riconoscere l’immunità ad un’ampia categoria di lavoratori snaturando il senso della distinzione poc'anzi accennata. Convenzione europea sulle immunità degli Stati: adotta per i rapporti di lavoro il criterio della nazionalità del lavoratore e del luogo della prestazione stabilendo che: - se il lavoratore ha la nazionalità di uno Stato straniero immunità - se il lavoratore ha la nazionalità dello Stato territoriale o risieda abitualmente in esso prestandovi lavoro no immunità L’orientamento pattizio esposto è rinvenibile in altri Paesi che non aderiscono alla convenzione consentendo di azzardare che tale sia la nuova regola di diritto internazionale generale. ► Dottrina dell’Act of State: tale orientamento, affatto seguito in campo internazionale, prevede che gli organi giurisdizionali di uno Stato non possono rifiutarsi di applicare una legge o un atto amministrativo straniero sindacandone la legittimità sul piano internazionale o interno. D) IL TRATTAMENTO DELLE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI: Immunità dei funzionari: non esistono norme di diritto generale che le impongono e per tanto deve concludersi che potranno essere previste solo su base convenzionale. Immunità dei funzionari ONU: la Carta delle Nazioni Unite demanda all’Assemblea generale il compito di promuovere delle convenzioni con i vari Stati che assicurino i privilegi e le immunità ai propri funzionari per l’esercizio indipendente delle loro funzioni. Le norme contenute in questi accordi sono di due specie: (1.) descrivono in modo dettagliato le varie immunità; (2.) rinviano alle norme di diritto internazionale generale per la definizione delle immunità. Immunità dei rappresentanti degli Stati nelle O.I.: anche per i rappresentanti degli Stati nono sono previste norme di diritto generale che impongano le immunità così che dovrà ricorrersi allo strumento della convenzione. Protezione dei funzionari internazionali: lo Stato territoriale che ospita il funzionario è tenuto ad accordargli le misure preventive e repressive previste che accorda agli stranieri sulla base delle norme sul loro trattamento. L’Organizzazione Internazionale può esercitare la protezione del funzionario, ma tale protezione è limitata al solo risarcimento del danno che si è prodotto nei suoi confronti (cd. protezione funzionale) e non anche al risarcimento del danno che si prodotto nei confronti del funzionario. Gli Stati che agiscono in protezione diplomatica possono chiedere il risarcimento per la totalità dei danni. La protezione funzionale si spiega sull’analogia che corre tra il funzionario dello Stato e il funzionario dell’Organizzazione Internazionale, mentre così non è per l’obbligo di chiedere i danni recati all’individuo in quanto non può avvicinarsi il rapporto di impiego con la cittadinanza: DANNI AL FUNZIONARIO NO OBBLIGO DI PROTEZIONE: CITTADINANZA ≠ RAPPORTO DI IMPIEGO DANNI ALLA FUNZIONE OBBLIGO DI PROTEZIONE: FUNZIONI PRESSO LO STATO = FUNZIONI PRESSO L’O.I. Immunità delle Organizzazioni Internazionali alla giurisdizione civile: è ammessa al pari dell’immunità degli Stati alla giurisdizione civile in quanto sviluppatasi da interpretazione estensiva. A tutt’oggi è divenuta norma di diritto internazionale generale. E) I LIMITI RELATIVI AL CD. DOMINIO RISERVATO: Oltre ai limiti classici, il potere di governo si trova limitato anche nei confronti della comunità territoriale sulla quale è esercitato. Tali limiti sono posti da norme convenzionali che perseguono finalità di cooperazione, solidarietà e giustizia tra i popoli e costituiscono un’erosione al cd. dominio riservato (domestic jurisdiction). DOMINIO RISERVATO comprende tutte le materie che non rientrano nel novero di quelle regolate dal diritto internazionale e per le quali, quindi, lo Stato è libero da obblighi. Se ha senso utilizzare questo concetto con riferimento al diritto generale, ormai esso ha perso gran parte del suo significato con riferimento al diritto convenzionale. Diritti umani: Diritto convenzionale: l’attività degli Stati si è tradotta in una serie di convenzioni quali: - Convenzione europea sui diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali - Convenzione americanata sui diritti umani - I Patti ONU (2) sui diritti civili e politici e sui diritti economici, sociali e culturali - Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli Tutte queste convenzioni comprendono un elenco assai dettagliato ed avanzato rispetto a quello delle moderne costituzioni degli Stati. Diritto generale: il settore dei diritti umani ha visto nascere anche norme di diritto internazionale consuetudinario: PRINCIPI GENERALI DI DIRITTO RICONOSCIUTI DALLE NAZIONI CIVILI (art. 38 Statuto CIG). Oggetto di protezione è il nucleo fondamentale e irrinunciabile di diritti umani, in particolare: - sono vietate le cc.dd. gross violations ossia violazioni gravi e generalizzate dei diritti umani (pratiche disumane ed efferate come l’apartheid, il genocidio, la tortura, la schiavitù, ecc…) - lo Stato deve assicurare ad adottate tutte le misure preventive e repressive contro le tutte offese all’individuo (es. il diniego di giustizia) - perché si realizzi una violazione dei diritti umani occorre che siano esauriti i mezzi di ricorso interni (regola del previo esaurimento dei ricorsi interni) così da configurare come definitiva la violazione (inesistenza di rimedi adeguati ed effettivi) - lo Stato che governa una comunità territoriale non sua ha l’obbligo di ritirarsi (principio di autodeterminazione dei popoli) Diritti economici: interessano in particolare i rapporti tra Paesi Industrializzati e Paesi in Via di Sviluppo e sono regolati interamente da convenzioni: - Dichiarazione sul nuovo ordine economico - Carta dei diritti e dei doveri economici degli Stati Escludendo il principio del divieto di tenere comportamenti che mettono in crisi l’intera economia di uno Stato, le convenzioni non si sono tradotte in norme consuetudinarie e sono rimaste norme a carattere programmatico che indicano le modalità di regolazione dei rapporti tra PI e PVS (accordi di cooperazione e sviluppo). Il potere di governo non incontra limiti nel diritto consuetudinario che vanno oltre gli obblighi sul trattamento degli stranieri. Alcuni tentativi nel ricercare ulteriori limiti si sono avuti con riferimento alla legislazione antitrust e sul commercio internazionale. Il PICONE ha sostenuto che il diritto generale si limita ad assumere un ruolo di carattere strumentale imponendo obblighi al più di consultazione e informazione tra Stati. Sfruttamento delle risorse naturali: i principali limiti si rilevano quando si pensi a sfruttamenti mediante attività inquinanti e irrimediabili distruzioni. Per il diritto consuetudinario lo Stato ha l’obbligo di impedire che si verifichino danni sul proprio territorio. Quid in caso di danno transfrontaliero? Responsabilità per danni da atto illecito o anche da atto lecito? Responsabilità oggettiva o elemento soggettivo? Rapporti di vicinato: occorre considerare la Dichiarazione di Stoccolma e la Dichiarazione della Conferenza di Rio secondo le quali gli Stati hanno il diritto sovrano di sfruttare le loro risorse naturali e hanno l’obbligo di assicurarsi che tali attività non causino danni all’ambiente. Tali dichiarazioni però non hanno forza vincolante. Il problema è stabilire se si tratti di diritto consuetudinario o pattizio: - diritto consuetudinario? Non esistono obblighi specifici che impongono un uso non nocivo delle risorse del territorio. Al più tali obblighi possono riguardare nello specifico acque comuni. Al più può esistere un obbligo di informativa circa le conseguenze che possono derivare da una data attività affinché si sia in grado di prendere le misure adeguate [Caso della Fonderia di Trail tra USA e Canada del 1941: la fonderia che operava presso i confini canadesi aveva danneggiato le coltivazioni di contadini americani. La sentenza arbitrale osservò che era contrario al diritto internazionale generale e al diritto degli USA l’uso o la concessione di uso del territorio da parte di uno Stato che provocasse danni al territorio di un altro Stato, alle persone o ai beni.]. Non si ha modo di stabilire se obblighi di risarcimento per il diritto generale spettino agli Stati che inquinano in quanto la prassi dimostra che forme di indennizzo sono sempre avvenute, ma gli Stati hanno sempre sottolineato il carattere grazioso di questi. Occorre considerare la posizione dei PVS che da sempre si sono battuti per il pieno e illimitato diritto allo sfruttamento delle proprie risorse naturali. Non bisogna confondere gli obblighi degli Stati da quelli degli individui. Se un’impresa inquina può essere chiamata a rispondere dei danni davanti ai giudici dello Stato danneggiato o dello Stato in cui ha sede. È questo il principio del chi inquina paga come stabilito dalla Dichiarazione della conferenza di Rio: lo Stato è tenuto ad apprestare strumenti per far valere la responsabilità dell’inquinatore. In fine lo Stato non è tenuto, sebbene la tendenza è in questo senso, a gestire razionalmente le proprie risorse secondo il principio dello sviluppo sostenibile (che contempera le esigenze di sviluppo con quelle economiche) e il principio della responsabilità intergenerazionale (che impone di considerare le esigenze delle generazioni future). - diritto pattizio? Numerose sono gli accordi bi – multilaterali che impongono però obblighi di cooperazione, consultazione e informazione. IL DIRITTO INTERNAZIONALE MARITTIMO. LIBERTÀ DEI MARI E CONTROLLO DEGLI STATI COSTIERI SUI MARI ADIACENTI: Fonti: Convenzione di Montego Bay (1982) Principio della libertà dei mari: tale principio si affermò tra il 1600 e il 1700 ad opera degli Olandesi. In base ad esso ciascuno Stato non può impedire né intralciare l’utilizzazione degli spazi marini da parte degli altri Stati e dalle comunità che appartengono a tali Stati (la libertà propria finisce dove inizia la libertà altrui). Gli Stati non sono quindi autorizzati a sottrarre permanentemente agli altri le risorse del mare. Principio del controllo delle acque adiacenti: non riuscì ad affermarsi come principio contrastante quello della libertà. Agli Stati costieri era riconosciuto un eccezionale potere di controllo sulle navi battenti bandiera straniera, ma null’altro. Tappe dell’erosione: - fine dell’800 si afferma l’idea del mare territoriale: fascia di mare equiparata al territorio dello Stato e quindi soggetta alla sovranità dello stesso. - 2° Dopoguerra si afferma l’idea sulla dottrina di Truman che prevede la piattaforma continentale: parte del sottosuolo marino che costituisce il prolungamento della terra emersa e che si mantiene a profondità costante prima di precipitare negli abissi. - anni ’80 i Paesi dell’America Latina e poi la più gran parte dei PVS affermano l’idea della cd. zona economica esclusiva: porzione di spazio estesa per 200 Mm dalla costa comprendente sia le risorse del fondo e del sottosuolo, sia le risorse delle acque sovrastanti che sono di pertinenza dello Stato costiero. - ultimi anni alcuni Stati costieri affermano di volere tutelare i propri interessi sul cd. mare presenziale: parte di mare estesa anche oltre la zona economica esclusiva di propria pertinenza su cui lo Stato intende tutelare i propri interessi in tema di conservazione della fauna marina. IL MARE TERRITORIALE E LA ZONA CONTIGUA: Art. 2 C.d.M.B. La sovranità dello Stato si estende, al di là del suo territorio e delle sue acque interne…una zona di mare adiacente alle coste denominata mare territoriale. Per il diritto consuetudinario che è riportato nella Convenzione di Montego Bay il mare territoriale si estende fino ad un massimo di 12 Mm. Zona contigua: è un concetto formatisi tra la Ia e la IIa Guerra Mondiale e secondo il quale lo Stato avrebbe il diritto di esercitare poteri di vigilanza doganale in una zona contigua al mare territoriale. Convenzione di Ginevra 1958: stabiliva che lo Stato costiero può esercitare il controllo sulla zona di mare contigua al mare costiero per prevenire o reprimere la violazione di proprie leggi in materia doganale, fiscale, sanitaria e di immigrazione. L’estensione di tale zona era fissata a 12 Mm rimanendo assorbita nel mare territoriale. Convenzione di Montego Bay: estende la zona contigua di vigilanza a 24 Mm. Diritto internazionale generale: allo Stato è riconosciuto un potere di vigilanza doganale che incontra un limite funzionale e non spaziale. Lo Stato può adottare qualunque misura preventiva o repressiva del contrabbando nelle acque adiacenti alle sue coste. L’unica condizione che si richiede è l’esistenza di una contatto tra la costa e la nave (Teoria della presenza costruttiva: considera la nave che ha contatti con la costa come se si trovasse negli spazi su cui è esercitata la sovranità dello Stato costiero). ► Quid sulla misurazione delle 12 Mm? È altrimenti denominato problema del limite interno o linea di base. Art. 5 C.d.M.B. stabilisce che la linea di base per la misurazione del mare territoriale è la linea di bassa marea. Art. 7 Cd.M.B. consente di derogare al criterio descritto sopra ricorrendo al sistema delle linee rette. Secondo tale sistema non si seguono le sinuosità della costa ma ricorrendo a delle linee retta: - per la costa si uniscono le sporgenze di essa - se ci sono isole o scogli si uniscono queste alla costa - in caso di delta o zone estremamente instabili si uniscono i punti più avanzati Limiti generali sono: - la linea di base non deve discostarsi dalla costa in misura apprezzabile - le acque all’interno della linea di base devono essere sufficientemente legate al dominio terrestre Deroga: - per la determinazione di certe linee di base si possono tener conto di alcuni interessi economici attestati da un lungo uso Art. 10 C.d.M.B. si interessa del problema delle baie: nozione di baia: è considerata tale l’insenatura che penetri in profondità nella costa la cui superficie sia almeno pari o superiore a quella di un semicerchio con diametro la linea d’entrata. - se la distanza tra i due punti naturali di entrata della baia non supera le 24 miglia la linea di base è costituita dalla congiunzione tra i due punti e le acque all’interno della baia sono considerate acque interne - se la distanza tra i due punti naturali di entrare della baia supera le 24 miglia si traccerà una linea interna di 24 miglia così che le acque al suo interno siano considerate acque interne. Baie storiche: sono quelle baie che pur non rientrando nella nozione di baia costituiscono aree su cui lo Stato costiere ha consolidato il proprio diritto e quindi sono da considerarsi acque interne a prescindere dalla loro estensione. Poteri dello Stato costiero: lo Stato può esercitare sul mare territoriale gli stessi poteri che può esercitare sul proprio territorio. Rilevano due limiti: 1. diritto di passaggio inoffensivo o innocente delle navi straniere (art. 17 C.d.M.B.): deriva dal principio della libertà dei mari. Ogni nave straniera ha il diritto di traversare, entrare o prendere il largo purché il passaggio sia rapido e continuo. È considerato inoffensivo il passaggio che non reca pregiudizio alla pace, al buon ordine e alla sicurezza dello Stato costiero (art. 19 C.d.M.B.). Tali norme si applicano a tutte le navi (civili e da guerra), salvo per i sottomarini l’obbligo di navigare in superficie. Tale limite può essere derogato quando ricorrono motivi di sicurezza e purché sia pubblicizzato e non discriminatorio. Regime degli stretti: quando gli stretti uniscono zone di mare la cui libertà di navigazione è pienamente assicurata, le navi hanno un diritto di passaggio in transito (no intralciato o sospeso), gli aerei possono liberamente sorvolarlo e i sottomarini attraversarlo senza obbligo di navigare in superficie. 2. divieto di esercizio della giurisdizione penale su navi straniere: lo Stato costiero non può esercitare sulle navi straniere che attraversano il mare territoriale la propria giurisdizione penale in ordine a fatti interni (che non hanno ripercussioni sulla comunità territoriale). La Convenzione di Montego Bay prescrive che lo Stato possa e non debba non esercitare la giurisdizione penale lasciando intendere che gli Stati sono liberi di decidere. LA PIATTAFORMA CONTINENTALE. LA ZONA ECONOMICA ESCLUSIVA: Piattaforma continentale: tale concetto è stato enunciato dal Presidente USA Truman e a tutt’oggi è divenuto principio di diritto consuetudinario ed è stato, in fine, trasfuso nella Convenzione di Montego Bay. Essa è il naturale prolungamento della terra emersa che si mantiene ad una profondità costante (200 metri) per poi precipitare negli abissi. Su di essa gli Stati costieri hanno un diritto esclusivo di sfruttamento. Come per il mare territoriale il suo acquisto è automatico. Tale diritto ha natura funzionale, ossia il potere di governo può esercitarsi al solo fine di controllare e sfruttare le risorse della piattaforma. Critica: la dottrina della piattaforma continentale contiene conto delle iniquità tra Stati dovute alle conformazioni geografiche (scarsa estensione, presenza di fosse separatrici…). ► Quid sulla delimitazione della piattaforma continentale tra Stati contigui o frontisti? Convenzione di Ginevra 1958 stabiliva che dovesse ricorrersi, salva diversa pattuizione tra gli Stati interessati, al criterio dell’equidistanza. Esso consiste nel tracciare una linea che sia equidistante dai punti delle rispettive linee di base del mare territoriale. Diritto generale: il criterio dell’equidistanza non corrisponde alle prescrizioni di diritto internazionale generale e per tanto per la delimitazione dovrà stabilirsi mediante accordo salvo ispirarsi a principi di equità [sent. 1969 CIG sulla piattaforma del Mare del Nord: la controversia verteva tra Repubblica Federale Tedesca contro Olanda e Danimarca. La prima si rifiutava di delimitare la propria piattaforma rispetto a Olanda e Danimarca. La forma delle coste gioca un ruolo fondamentale: ove si consideri che una costa convessa può accrescere di molto l’estensione della piattaforma, mentre il contrario si verificherà per una costa concava. La presenza di isole di uno Stato prossime alla costa di un altro può creare al pari effetti distorti]. Prima dell’accordo nessuno Stato può avanzare pretese sul diritto di sfruttamento esclusivo. Lo stabilire che l’accordo debba ispirarsi ad equità non significa subordinare la validità di questo a quella e per tanto un accordo iniquo sarà perfettamente valido. Convenzione di Montego Bay (art. 83): accoglie il principio stabilito dalla Corte Internazionale di Giustizia che rimette la determinazione all’accordo secondo principi di equità. Zona economica esclusiva: costituisce un correttivo importante alla dottrina della piattaforma continentale. Sviluppatasi da pretese di alcuni Stati e poi universalmente accolta da la più gran parte di essi è finita con l’assumere carattere di diritto consuetudinario. L’estensione della zona economica è fino a 200 Mm a partire dalla linea di base del mare territoriale. Circa il contenuto può dirsi che su di essa lo Stato costiero ha un diritto esclusivo di controllo e sfruttamento su tutte le risorse del suolo, del sottosuolo e delle acque sovrastanti sia biologiche che naturali (in particolar modo per la pesca). Allo Stato costiero spetterà stabilire la capacità massima per lo sfruttamento della zona e se questa inferiore al massimo concederne lo sfruttamento ad altri Stati mediante accordi. L’attribuzione delle risorse allo Stato costiero non può pregiudicare la partecipazione degli altri Stati alle possibili utilizzazioni della zona (gli altri Stai potranno godere dalle libertà di navigazione, sorvolo, posa di condotte e cavi sottomarini. Problema della gerarchia delle regole nella Zona Economica Esclusiva: ci si chiede se debba prevalere il principio di libertà dei mari (si pensi al contrasto che può sorgere tra l’interesse dello Stato costiero alla impiantare di pozzi petroliferi e l’interesse di uno Stato terzo in ordine alle usuali rotte delle proprie navi) ovvero il principio dell’esclusività dello Stato costiero (posizione supportata dai PVS). Il diritto dello Stato costiero ha natura funzionale così come stessa natura è rivestita dai diritti degli Stati terzi (esigenze di comunicazioni e traffici marittimi). Si osserva per tanto che agli Stati sono consentite solo le attività indispensabili per lo sfruttamento delle risorse (Stato costiero) ovvero per le comunicazioni e i traffici marittimi (Stati terzi) [vd. Convenzione di Montego Bay che impone di risolvere le controversie secondo equità considerando le circostanze pertinenti e gli interessi in gioco dei singoli e della comunità internazionale]. ► Quid per la delimitazione della zona economica esclusiva in caso di Stati contigui o frontisti? Al riguardo per il diritto consuetudinario la delimitazione deve stabilirsi mediante accordo tra Stati. ► Quid per la parte di piattaforma continentale che si estendesse oltre la zona economica esclusiva? La Convenzione di Montego Bay stabilisce, in conformità con il diritto generale, che di quanto lo Stato ricava dallo sfruttamento del margine continentale (parte di piattaforma che supera le 200 Mm) una parte dovrà essere destinata all’Autorità Internazionale per i Fondi Marini. ► Quid per gli Stati che non hanno accesso al mare (land – locked States)? La Convenzione di Montego Bay stabilisce che questi Stati hanno diritto a partecipare allo sfruttamento delle risorse biologiche (e non minerarie) in eccedenza nelle zone economiche esclusive dei Paesi della stessa regione o sotto regione. La partecipazione, nelle condizioni e modalità, è rimessa alla stipulazione di accordi. IL MARE INTERNAZIONALE E L’AUTORITÀ INTERNAZIONALE DEI FONDI MARINI: Da abbandonare è ormai la terminologia di alto mare (che era contrapposto al solo mare territoriale) e di mare libero (posto che aspetti di libertà funzionale permangono nella zona economica esclusiva). Più corretto è riferirsi al mare internazionale (res communis omnium) intendendosi con esso gli spazi marini sottratti al controllo di un singolo Stato. A tutt’oggi è solo per il mare internazionale che continua a valere il principio della libertà dei mari. In tale spazio ogni nave è sottoposta all’esclusivo potere dello Stato di bandiera. Ogni Stato è libero di sfruttare le risorse di tale spazio salvo il limite della libertà altrui, ossia lo sfruttamento non può essere tale da comportare un ostacolo ad altri Stati di sfruttare le risorse. Sfruttamento del mare internazionale: il problema si pone se si considera che le risorse (soprattutto i noduli di manganese) sono esauribili. La risoluzione dell’Assemblea generale ha dichiarato le risorse del fondo marino patrimonio comune dell’umanità. Da ciò si sono prese le mosse per la costituzione di un’Organizzazione Internazionale (cd. Autorità Internazionale dei Fondi Marini) con il compito di presiedere allo sfruttamento delle risorse del suolo e del sottosuolo del mare internazionale. A prevederla è la Convenzione di Montego Bay (parte XI) a cui è seguito l’accordo applicativo dell’Assemblea generale. Quest’ultimo modifica in senso più favorevole agli Stati industrializzati le procedure e la messa in opera delle attività di sfruttamento e prevale in caso di incompatibilità sulla parte XI della Convenzione di Montego Bay. Struttura dell’Autorità Internazionale per i Fondi Marini: - Assemblea - Consiglio - Segretariato - Impresa: è l’organo operativo. Lo sfruttamento avviene secondo un sistema parallelo per cui il sito verrà diviso in due parti: una sfruttata dallo Stato che ha individuato l’area e l’altra dall’Impresa. LA NAVIGAZIONE MARITTIMA: Principio dello Stato della bandiera: ogni nave è sottoposta esclusivamente al potere dello Stato di cui ha la nazionalità. Ciò in quanto per fictio si diceva che la nave è territorio dello Stato (territoire flottant). Il potere di governo è esercitato mediante il comandante che si considera come organo dello Stato e per tanto ha poteri limitatamente ai fatti che si verifichino a bordo e con il solo obbligo del rispetto delle norme sul trattamento degli stranieri. Art. 92, par. 1 C.d.M.B. le navi navigano sotto la bandiera di un solo Stato e sono sottoposte in alto mare, salvi casi eccezionali espressamente previsti da trattati internazionali e dalle regole della presente Convenzione, alla sua giurisdizione esclusiva. Art. 94 C.d.M.B. stabilisce che lo Stato della bandiera ha l’obbligo di: a. tenere un registro marittimo b. adottare tutte le misure di sicurezza per la navigazione Eccezioni al potere esclusivo dello Stato della bandiera: - Pirateria: è considerata nave pirata la nave che commette atti di violenza contro le altre navi a fini di preda o fini non politici. La nave può essere catturata e sottoposta a misure repressive da qualsiasi Stato. - Self – dependance: è ipotesi di dottrina anglosassone che vede la possibilità di esercitare poteri di visita e cattura anche in tempo di pace quando sia necessario a difendere interessi essenziali dello Stato. Tale ipotesi non può accettarsi in quanto si presta a facili abusi. L’unico caso ammissibile è il contrabbando di guerra in tempo di pace ossia quando in è in atto nel Paese che effettua il controllo una guerra civile e la nave fermata si propone di portare aiuto agli insorti. - Diritto di visita da parte delle navi da guerra: tale ipotesi è ammessa dalla Convenzione di Montego Bay (art. 110). Il potere di visita è esercitato da una nave da guerra verso una nave mercantile di altra nazionalità quando sussistano seri motivi di sospettare che la nave pratichi: (1.) la pirateria; (2.) la tratta degli schiavi; (3.) trasmissioni radio – televisive di massa non autorizzate; ovvero che la nave: (4.) non abbia alcuna nazionalità; (5.) abbia la stessa nazionalità della nave da guerra (uso fraudolento della bandiera). Se i motivi risultino infondati e non cagionati da comportamento della nave visitata ad essa spetta un indennizzo. Nota che per i casi sub (2.) e sub (3.) la Convezione non è riproduttiva del diritto consuetudinario internazionale e per tanto se il potere è esercitato su nave di Stato non aderente alla Convenzione l’esercizio integrerà un illecito internazionale. - Inquinamento da incidenti avvenuti in mare internazionale Situazione della nave nella Zona Economica Esclusiva: lo Stato costiero può esercitare tutti i poteri relativi al diritto di sfruttamento delle risorse. Tutto ciò deve svolgersi nell’osservanza del principio funzionale ossia le misure coercitive devono essere proporzionate alle infrazioni commesse. RISORSE BIOLOGICHE: Art. 73 C.d.M.B. Nell’esercizio dei suoi diritti sovrani di esplorazione, sfruttamento, conservazione e gestione delle risorse biologiche della zona economica esclusiva, lo Stato costiero può prendere ogni misura, compresa la visita, l’ispezione, la cattura a l’apertura di un procedimento giudiziario, che sia necessaria per assicurare il rispetto delle proprie leggi e dei propri regolamenti adottati in conformità alle disposizioni della presente Convenzione. Le navi catturate e i loro equipaggi sono liberati senza indugi dietro versamento di una cauzione o prestazione di altre garanzie. Le sanzioni previste dallo Stato costiero per la violazione della disciplina della pesca nella zona economica esclusiva non possono comprendere pene detentive o altre punizioni corporali a meno che gli Stati interessati non si accordino diversamente. In caso di cattura o di fermo delle navi straniere lo Stato costiero comunica senza indugi allo Stato della bandiera le misure prese e le sanzioni che siano state successivamente irrogate. RISORSE MINERARIE: Art. 60 C.d.M.B. Tutte le navi devono rispettare le zone di sicurezza e conformarsi ai criteri internazionali generalmente accettati concernenti la navigazione in prossimità delle isole artificiali, installazioni, dispositivi e zone di sicurezza… Situazione della nave nel Mare Territoriale: in tale area lo Stato esercita il proprio potere di governo come se fosse il proprio territorio salvo i limiti del passaggio inoffensivo e della sottrazione alla giurisdizione penale dello Stato costiero relativamente ai fatti interni. DIRITTO DI INSEGUIMENTO: ● soggetti: possono esercitare tale diritto le navi da guerra e adibite a pubblici servizi. ● contenuto: tali soggetti possono inseguire la nave straniera che abbia violato le leggi dello Stato costiero. ● condizioni: l’inseguimento deve avere inizio: nel mare territoriale (o zona contigua di vigilanza) / nelle acque interne; nella zona economica esclusiva; nella piattaforma continentale. Ovviamente in queste ultime zone la violazione deve attenere alle misure consentite. L’inseguimento deve essere continuo e sulla nave potranno esercitarsi i poteri esercitabili nella zona in cui l’inseguimento è iniziato. L’inseguimento ha termine quando la nave entri nel mare territoriale di un altro Stato. Teoria della presenza costruttiva: come già rilevato la nave straniera in acque internazionali può essere soggetta a misure preventive e coercitive di uno Stato quando questa presenti un collegamento con lo Stato in questione. In realtà non è esplicazione del diritto di inseguimento, ma applicazione in funzione della vigilanza doganale. BANDIERE OMBRA: Art. 91 C.d.M.B. stabilisce che ogni Stato fissa le condizioni per l’immatricolazione nei registri navali, ma le navi devono avere un legame sostanziale (genuine link) con lo Stato. Art. 94 C.d.M.B stabilisce che lo Stato deve esercitare effettivamente il suo potere di governo e il suo controllo amministrativo, tecnico e sociale. L’ONU ha stabilito alternativamente che: 1. alla proprietà della nave partecipi un numero sufficiente di cittadini dello Stato di immatricolazione per assicurare il controllo effettivo 2. l’equipaggio della nave sia costituito per una quota soddisfacente di cittadini o residenti abituali dello Stato di immatricolazione In caso in cui non sia rispettata la norma sul legame sostanziale della nave allo Stato di immatricolazione deve concludersi che lo Stato costiero può esercitare il suo potere di governo. Ma è soluzione che non trova riscontro nella pressi internazionale. LA PROTEZIONE DELL’AMBIENTE MARINO: ► INQUINAMENTO: Diritto generale: la soluzione è la medesima di quella sulla protezione del territorio altrui, non esiste una norma che imponga un obbligo di non inquinare i mari. La Convenzione di Montego Bay all’art. 192 impone agli Stati il dovere di proteggere e preservare l’ambiente marino. Tuttavia la norma non sembra altro che l’inizio per uno sviluppo di norma consuetudinaria, ma non ha carattere precettivo. L’art. 235 stabilisce che gli Stati, responsabili sul piano internazionale, dispongano di sistemi interni per il risarcimento dei danni. Sul potere di governo volto ad impedire l’inquinamento da parte di navi straniere si avrà che queste siano soggette al potere dello Stato della bandiera, salvo si trovino nelle zone dove lo Stato costiero esercita il proprio potere (Nella zona economica esclusiva il potere sarà esercitato in funzione del diritto dello Stato, ma potendo l’attività inquinante colpire soprattutto le risorse biologiche, il potere in concreto sarà esercitabile con la medesima estensione in caso di mare territoriale). In caso di inquinamento in acque internazionali allo Stato costiero è dato intervenire sulla nave straniera adottando misure necessarie per impedire / attenuare i danni al proprio litorale. Diritto convenzionale: negli accordi regionali e universali sono stabiliti dei divieti che si indirizzano alle navi, alle persone fisiche e giuridiche ed operano sul piano degli ordinamenti interni. Sul potere di governo volto ad impedire l’inquinamento da parte di navi straniere la Convenzione di Montego Bay stabilisce che lo Stato costiero può legiferare solo in modo conforme ai principi di diritto internazionale generalmente accettati e l’applicazione di misure coercitive è subordinata allo stazionamento in porto da parte della nave inquinante, salvo casi gravi. L’intervento sulla nave straniera in porto può esserci anche quando l’attività inquinante si sia svolta in aree non sottoposte alla sua giurisdizione. SPAZI AEREI E COSMICI: Principi generali: 1. la sovranità dello Stato si estende allo spazio atmosferico sovrastante il territorio e il mare territoriale 2. lo spazio aereo sovrastante il mare internazionale e i territori inappropriati e inappropriabili deve rimanere libero all’utilizzazione di tutti gli Stati Sovranità sullo spazio aereo sovrastante: - potere di regolare il sorvolo - aerei di nazionalità straniera: sono soggetti alla sovranità dello Stato del territorio che attraversano con il limite del passaggio inoffensivo e del divieto di esercizio della giurisdizione penale (fatti interni). Zone di identificazione: l’introduzione dei motori a reazione ha permesso il sorvolo delle aree territoriali ad alta velocità Ciò ha imposto agli Stati la costituzione di zone che ove attraversate da aerei impongono a questi se diretti verso le coste dello Stato l’identificazione. L’inosservanza di tali obblighi comportano l’irrogazione di sanzioni diverse (intercettazione e atterraggio o abbattimento). Spazi cosmici: si ritiene che siano di tutti e le responsabilità sorgeranno solo in caso di incidenti. Risorse degli spazi atmosferici e cosmici: vige il principio di libertà. LE REGIONI POLARI: Teoria dei settori: gli Stati che si estendono al di là del circolo polare si considerano sovrani di tutti gli spazi, terresti e marittimi, inclusi in un triangolo avente per vertice il Polo Nord e per base la linea che congiunge i punti estremi delle coste proprie di ciascuno Stato. La teoria dei settori è però respinta, ne consegue che ciascuno Stato esercita il proprio potere sulle comunità che ad esso fanno capo: per le navi vige il principio dello Stato della bandiera; per le spedizioni scientifiche, esse saranno soggette alla sovranità dello Stato che le ha organizzate. Internazionalizzazione dell’Antartide: conseguita con il Trattato di Washington (1959). Di tale trattato vi fanno parte una quarantina di Stati tra cui le maggiori Potenze mondiali e i sette Paesi che rivendicano la sovranità. Norma chiave è costituita dall’art. IV che congela le pretesi di sovranità e le rispettive controversie. Caratteri dell’internazionalizzazione: - interdizione di ogni attività di carattere militare e nucleare - libera ricerca scientifica previo obbligo di notifica alle altre Parti dell’invio di spedizioni e l’istituzione di basi - cooperazione nella ricerca scientifica Categorie di Stati: 1. parti consultive: sono costituite dagli Stati firmatari originari e quegli Stati che dimostrano il proprio interesse in Antartide conducendo sostanziale attività di ricerca scientifica (stabilimento di basi, invio di spedizioni). Il problema sorge su questi ultimi in ordine al loro ingresso nella categoria. Si discute se l’ingresso si automatico ovvero richieda una deliberazione delle altre Parti: alla prima soluzione sembra ispirarsi la lettere del Trattato, ma nella prassi è invalsa la seconda soluzione. Tali soggetti hanno potere decisorio (vincolante all’unanimità) su tutte le questioni rientranti nell’oggetto del Trattato e questioni connesse e potere di controllo sull’osservanza del Trattato. 2. parti non consultive Le risorse dell’Antartide sono state considerate dalla dichiarazione dell’Assemblea generale dell’ONU patrimonio comune dell’umanità. Lo sfruttamento delle risorse segue: - Il regime di libertà con il limite che lo sfruttamento non può pregiudicare l’attività degli altri Stati (Stato non aderente al Trattato). - Il regime di sfruttamento nell’interesse dall’umanità (Stato aderente al Trattato). PARTE TERZA L’APPLICAZIONE DELLE NORME INTERNAZIONALI ALL’INTERNO DELLO STATO L’ADATTAMENTO DEL DIRITTO STATALE AL DIRITTO INTERNAZIONALE: Due teorie sull’adattamento del diritto interno al diritto internazionale: - teoria monista: concepisce il diritto interno come una specificazione del diritto internazionale che ne è il fondamento - teoria dualista: concepisce il diritto interno come un sistema del tutto separato ad autonomo dal diritto internazionale La distinzione ha però esclusiva rilevanza teoria, in quanto sul lato pratico occorre sempre tenere in considerazioni i meccanismi di adattamento del diritto interno a quello internazionale. Ha quindi maggior rilievo la distinzione che si opera tra: - procedimento ordinario: attraverso questo le norme internazionali vengono introdotte nell’ordinamento interno mediante norme interne che non si distinguono dalle altre se non per il motivo (occasio legis) per il quale sono emanate (riformulazione) Qui l’interprete si trova di fronte ad una norma che nulla differisce da un’altra interna se non per il motivo. L’errore di riformulazione operato dal legislatore non può essere corretto. L’estinzione della norma internazionale non importa l’estinzione della norma interna. - procedimento speciale: attraverso questo si opera un rinvio alla norma internazionale, ad un gruppo o ad una categoria di norme senza che vengano riformulate sul piano interno Qui l’interprete si trova di fronte ad un rinvio che gli impone di ricercare il significato della norma sul piano internazionale, il centro di applicazione si sposta dal legislatore all’interprete. L’errore di riformulazione operato dall’interprete rimarrà circoscritto al caso concreto a cui la norma è applicata. L’estinzione della norma internazionale importa l’estinzione della norma sul piano interno. Sebbene sia chiaro che il procedimento speciale risulti di gran lunga maggiormente preferibile di quello ordinario, quest’ultimo si impone soprattutto quando la norma internazionale non è direttamente applicabile (non self – executing). Distinzione tra norme self – executing e non self – executing: queste ultime devono essere strettamente circoscritte ai quando: - la norma internazionale attribuisce facoltà agli Stati: es. l’art. 5 della Convenzione di Montego Bay consente di scegliere il sistema delle linee rette per questo si impone una legge interna che richiami tale sistema piuttosto che quello della linea di bassa marea - la norma internazionale impone obblighi che non possono ricevere applicazione per carenza procedurale o istituzionale: es. caso Lockheed per il quale la Corte Costituzionale rilevò che l’art. 14, par. 5 del Patto sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite (diritto al doppio grado di giudizio nei procedimenti penali) non era applicabile ai giudizi di accusa ex art. 96 Cost. La norma non può essere considerata non self – executing quando nell’ordinamento esistono procedure o istituzioni simili che si prestino quindi ad adattamenti (es. Convenzione europea dei diritti dell’uomo prevede che l’estradando ha diritto a ricorrere al giudice, la Cassazione ha ritenuto applicabile l’art. 111 Cost. – ricorso in Cassazione contro i provvedimenti giurisdizionali – al decreto del Ministro della Giustizia che dispone l’arresto dell’estradando). La restrizione si impone per contrastare le tendenze a considerare non direttamente applicabili alcune norme internazionali che risultino indesiderate. Tendenza spesso giustificata da concetti come: - indeterminatezza: spesso la giurisprudenza (si pensi a quella tedesca per le norme del GATT) ricorre al criterio dell’indeterminatezza, ma ciò appare criticabile ove si veda che le medesime norme considerate indeterminate trovano applicazione in altri ordinamenti. Anche le norme che presentino un certo grado di indeterminatezza possiedono pur sempre una forza abrogatrice (vis abrogans) che non le lascia prive di applicazione - flessibilità / reciprocità: si è ritenuto che il rinvio a procedure internazionali di risoluzione delle controversie su una norma del trattato consenta quel grado di flessibilità che autorizza la non applicazione delle stesse. Così è anche per quelle norme del trattato che subordinano la loro applicazione a condizione di reciprocità. Occorre rilevare che lo Stato può non applicare le norme in questione preferendo altre misure, ma finché queste non rilevino l’interprete è tenuto ad applicare il trattato - clausola di esecuzione: diversi trattati prevedono che gli Stati si impegnino ad adottare le misure per dare esecuzione alle loro disposizioni, e da ciò si ricava la volontà del trattato alla sua non diretta applicazione. Rango interno delle norme internazionali: esso si determina in relazione alla fonte che le introduce. In linea di massima esse prendono lo stesso rango del procedimento che le introduce (costituzionale, legislativo, amministrativo…). L’ADATTAMENTO AL DIRITTO INTERNAZIONALE CONSUETUDINARIO: L’adattamento al diritto internazionale generale in Italia è previsto al livello costituzionale dall’art. 10, 1° comma Cost.: L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. Tale articolo introduce il procedimento speciale (o mediante rinvio) che consente un adattamento completo e continuo (PERASSI: trasformatore permanente). L’interprete – e il giudice soprattutto – sarà chiamato a risolvere il problema interpretativo dell’esistenza e del contenuto delle norme di diritto generale. Negli ordinamenti di Common Law l’adattamento è contenuto in una norma tacita. Si dice infatti che international law is a part of the law of the land. Rango del diritto internazionale generale: nell’ordinamento interno il diritto consuetudinario assume rango costituzionale in quanto introdotto da una norma costituzionale (art. 10, 1° comma Cost.). Una legge ordinaria che sia in contrasto con una norma di diritto internazionale generale si dovrà considerare costituzionalmente illegittima in quanto viola indirettamente l’art. 10 Cost. [occorre rilevare che sebbene la Corte Costituzionale abbia accertato in via teorica la primazia del diritto consuetudinario internazionale sulla legge ordinaria, in linea pratica sulle questioni di possibile contrasto non si è mai pronunciata per l’incostituzionalità]. Quid se una norma di diritto internazionale generale contrasta con una norma costituzionale? Occorre subito rilevare che le norme di diritto internazionale generale si occupano dei rapporti tra Stati, mentre quelle costituzionali si occupano dei rapporti tra Stato – sudditi (cd. dominio riservato o domestic jurisdiction). Tuttavia contrasti potrebbero non mancare (es. il tema delle immunità giurisdizionali degli agenti diplomatici, degli Stati e delle Organizzazioni Internazionali: riconoscendo queste si potrebbe paralizzare il diritto alla tutela giurisdizionale riconosciuto dalla Costituzione). L’interpretazione dell’art. 10 Cost. induce a ritenere che il diritto internazionale generale non è subordinato al diritto costituzionale con la conseguenza che questo si considererà lex generali e per tanto derogabile dal primo in quanto lex specialis. Tuttavia un’interpretazione sistematica porta a ritenere l’esistenza di una norma tacita che fa salvi i valori fondamentali a cui si ispira la Costituzione. Quali che siano tali valori è questione che deve risolvere l’interprete cum granum salis (es. ritenendo che il diritto alla tutela giurisdizionale sia un valore fondamentale del nostro ordinamento costituzionale, dovrà ritenersi non operante l’immunità degli agenti diplomatici, degli Stati o delle Organizzazioni Internazionali tutte le volte in cui nel caso concreto non sia assicurato tale diritto per equivalente, non esistano, cioè, procedure nello Stato dell’agente diplomatico, nello Stato straniero o in ambito dell’Organizzazione Internazionale che assicurino il medesimo diritto). [La Corte Costituzionale ha distinto tra consuetudini preesistenti e consuetudini successive alla Costituzione, solo queste ultime sarebbero soggette al limite dei valori fondamentali. Ciò in realtà appare criticabile in quanto l’art. 10 impone un adattamento che non considera il tempo come una discriminante per l’applicazione del diritto internazionale generale]. L’ADATTAMENTO AI TRATTATI E ALLE FONTI DERIVATE DAI TRATTATI: ◙ TRATTATI: nell’ordinamento italiano non esiste una norma costituzionale che imponga l’adattamento automatico ai trattati come prescrive l’art. 10 Cost. per le consuetudini internazionali. TESI DELL’ADATTAMENTO AUTOMATICO AL DIRITTO CONVENZIONALE: [QUADRI] l’autore ha sostenuto che l’art. 10 Cost. importi un adattamento anche per le norme convenzionali in quanto nel diritto internazionale è contenuta la norma generale pacta sunt servanda e ciò imporrebbe l’automatico adeguamento dell’ordinamento alle norme contenute nei trattati. Critica: contro tale tesi si osserva che 1. dai lavori preparatori il Costituente intese riferirsi alle norme materiali di diritto internazionale generale 2. considerato l’enorme numero di trattati stipulati, sarebbe assurdo ritenere che operi un tale meccanismo che consentirebbe di aggirare le garanzie costituzionali. ORDINE DI ESECUZIONE DEL TRATTATO: l’adattamento al diritto pattizio avviene mediante un atto ad hoc per ogni singolo trattato (cd. ordine di esecuzione). Tale atto opera un procedimento speciale (o mediante rinvio) di adattamento: “Piena ed intera esecuzione è data al Trattato X…” ed è accompagnato dalla riproduzione del testo dell’accordo. Generalmente l’ordine di esecuzione riveste la forma di legge ordinaria o atto amministrativo e precede l’entrata in vigore che può verificarsi con: (1.) scambio delle ratifiche; (2.) deposito di un certo numero di ratifiche. L’entrata in vigore non ha importanza in quanto è compito dell’interprete accertare l’esistenza della norma internazionale. Valore del trattato in mancanza dell’ordine di esecuzione: il problema interessa soprattutto il caso dei trattati in forma semplificata. La mancanza dell’ordine di esecuzione comporta che il trattato non ha efficacia vincolante per l’Italia. Tale soluzione prospettata dalla giurisprudenza è corretta, salvo riconoscere a tali accordi un valore interpretativo e salvo l’esistenza di norme interne contrarie. Rango del diritto internazionale pattizio: il rango assunto è quello proprio dell’ordine di esecuzione (legge ordinaria se l’ordine di esecuzione riveste tale forma). ► Rapporti tra norme internazionali introdotte: per le norme internazionali introdotte varranno i principi quali: - lex posterior abrogat priori - lex specialis (ratione personarum / materiae) derogat generali ► Rapporti tra norme internazionali introdotte e norme interne ordinarie: peraltro sorge la questione se tali regole abbiano valore anche nei rapporti tra norme internazionali introdotte con ordine di esecuzione (legge ordinaria) e leggi ordinarie. Tesi del rango superiore dei trattati alla legge ordinaria: tale tesi, richiamandosi in parte a quella del QUADRI, pur non ammettendo che i trattati introdotti con l’o.e. abbiano direttamente rango costituzionale considera le norme convenzionali inderogabili dal legislatore con legge ordinaria salvo violare indirettamente l’art. 10 Cost. che introduce nell’ordinamento italiano il principio di diritto internazionale generale pacta sunt servanda. Tuttavia tale costruzione non è accettata dalla giurisprudenza. Art. 10, 2° comma Cost. prevede che la condizione giuridica dello straniero è regolata in conformità delle norme e dei trattati internazionali. In base a ciò, per tanto, una violazione dei trattati e delle norme sul trattamento degli stranieri configurerebbe un’ipotesi di illegittimità costituzionale. La soluzione delineata vale però in riferimento ai trattati che si occupano in via esclusiva della condizione dello straniero in quanto sarebbe inconcepibile attribuire ad un medesimo trattato (ed esempio sui diritti umani) forza formale diversa a seconda che si tratti di stranieri o di cittadini italiani. Principio di specialità sui generis: Salvo quanto osservato le norme introdotte con l’o.e. sono soggette alle medesime regole anche nei rapporti con le leggi ordinarie interne. Tuttavia non manca la tendenza ad assicurare la prevalenza in via interpretativa attraverso: a. presunzione di conformità del diritto interno alle norme internazionali b. criterio della lex specialis ratione materiae c. criterio della necessaria abrogazione espressa con cognizione di causa: è in particolare a questo argomento che ci si dovrebbe riferire pensando che il trattato introdotto è sorretto da una duplice volontà normativa: volontà interna (tesa a disciplinare i rapporti come previsti dal trattato); volontà esterna (tesa a voler rispettare gli impegni verso gli altri Stati). Perché prevalga una legge posteriore occorre interna occorre che sia chiara tanto la volontà a disciplinare diversamente i rapporti (ed è in re ipsa), quanto la volontà a ripudiare gli impegni assunti. Da qui l’inammissibilità dell’abrogazione per incompatibilità. Abrogazione tacita: ci si domanda se la volontà a ripudiare gli impegni debba essere espressa o possa anche essere tacita. Al riguardo si deve rispondere che l’abrogazione può avvenire quando l’oggetto (con riferimento alla materia e ai soggetti) della lex posterior coincide con quello del trattato. Erronea interpretazione degli obblighi del trattato: la questione è strettamente correlata alla precedente. In particolare si sostiene che anche quando l’oggetto della legge posteriore sia perfettamente coincidente con quello del trattato manifestando la volontà a ripudiare gli impegni si può evitare l’abrogazione in quanto siano stati erroneamente intesi gli obblighi del trattato [caso USA – OLP: nella fattispecie il Congresso aveva emanato l’Anti Terrorism Act con il quale si vietava di stabilire e mantenere gli uffici dell’OLP negli USA. L’atto contrastava con l’accordo tra USA e ONU introdotto nell’ordinamento statunitense. La Corte Distrettuale di NY decise che l’ATA non doveva essere applicato, non ostante una serie di dati che dimostravano la volontà a ripudiare l’accordo USA – ONU, in quanto nell’emanare l’ATA si era agito sull’erroneo presupposto che le disposizioni dell’accordo non si applicassero all’OLP]. Quanto detto dimostra che per le norme introdotte nell’ordinamento interno rimangono in vigore fino a quando non si dimostri che la lex posterior importi la volontà a ripudiare gli impegni internazionali. È questa la tesi del principio di specialità sui generis (≠ il principio di specialità ratione personarum o ratione materiae) ► Rapporti tra norme internazionali introdotte e norme costituzionali: in questo caso essendo le norme internazionali convenzionali introdotte con legge ordinaria saranno soggette al sindacato di legittimità costituzionale come le norme interne ordinarie [Trattato di estradizione tra Italia e Francia: la Corte Costituzionale si è pronunciata per l’illegittimità di esso in quanto prevedeva l’estradizione per reati puniti con la pena di morte non ammessa secondo i valori fondamentali del nostro ordinamento]. Occorre però indicare che nella prassi esiste la tendenza a ricorrere a trattati interessanti le materie costituzionali per operare delle interpretazioni evolutive delle disposizioni costituzionali. ◙ FONTI DERIVATE DA TRATTATI: può accadere che un trattato disponga in ordine a procedure per la formazione di atti da parte degli organi da esso istituiti. Tali atti si porranno come fonte derivata. In Italia solo gli atti degli organi della CE si impongono come direttamente applicabili nell’ordinamento interno senza alcuna formalità. In Italia la prassi indica che gli atti derivati dalle decisioni degli organi internazionali vengono introdotti mediante singoli atti interni ricorrendo al procedimento ordinario (le norme internazionali vengono riformulate rivestendo la forma di legge, decreto legge o regolamenti amministrativi). Occorre rilevare che l’ordine di esecuzione copre anche la competenza degli organi a emanare decisioni vincolanti e quindi sembrerebbe superfluo un atto interno che le introduca. L’emanazione di singoli atti interni però consente: (1.) la certezza; (2.) l’integrazione del contenuto della decisione quando sia non self – executing. Deve concludersi che le decisioni vincolanti siano introdotte nell’ordinamento indipendentemente dall’ordine di esecuzione purché siano complete. Le norme derivate dai trattati sono sempre soggette al sindacato di legittimità costituzionale per quanto riguarda le norme materiali contenute nella Costituzione. Tesi della non vincolatività delle fonti derivate: secondo altri autori si sostiene che i trattati istitutivi di Organizzazioni Internazionali non potrebbero stabilire fonti derivate che impegnino l’Italia pro futuro. In tal modo si introdurrebbero delle procedure legislative diverse da quelle previste dalla Costituzione. La tesi non è giustificata ove si tenga presente (a.) il diritto internazionale privato e (b.) l’art. 11 Cost. che ammette limitazioni di sovranità dell’Italia per gli ordinamenti che assicurino la pace e la giustizia fra le Nazioni. L’ADATTAMENTO AL DIRITTO COMUNITARIO: COME AVVIENE L’ADATTAMNTO: i Trattati istitutivi sono stati introdotti con l’ordine di esecuzione rivestente forma di legge ordinaria. Mediante tale ordine si sono introdotte nell’ordinamento anche le norme derivate previste dal Trattato istitutivo CE. Regolamenti: l’ordinamento comunitario prevede i regolamenti come fonti secondarie (fonti primarie sono costituite dalle norme del Trattato istitutivo) e questi come già rilevato sono direttamente e automaticamente applicabili nell’ordinamento interno. Ciò, sebbene introduca in Italia un procedimento legislativo diverso da quelli previsti dalla Costituzione, non presenta profili di incostituzionalità in virtù dell’art. 11 Cost. che ammette limitazioni di sovranità a favore di organizzazioni internazionali (in particolare a favore degli organi comunitari) [tesi della Corte Costituzionale]. Il fatto che ai regolamenti sia attribuita forza formale di legge (diretta e automatica applicabilità) non esclude che siano necessari atti integrativi ad hoc quando essi si presentino come non self – executing (che stabiliscono facoltà o prescrivono istituzioni o procedure non presenti nell’ordinamento interno). Per lungo tempo è stata prassi, per altro condannata da dottrina e dalla Corte Costituzionale, che il legislatore recepisse i regolamenti mediante atti legislativi. Direttive e decisioni: tali atti hanno efficacia vincolante secondo le disposizioni del Trattato istitutivo CE. A lungo si è ritenuto che, non essendo prevista la diretta e automatica applicabilità come per i regolamenti, per le direttive e per le decisioni fossero necessari atti interni ad hoc. L’adattamento a tali atti seguiva il procedimento ordinario sicché la norma veniva interamente riformulata. In realtà ad una più attenta lettura del Trattato istitutivo CE anche le direttive e le decisioni rivestono carattere obbligatorio, il che non può che significare che esse devono essere comunque osservate. In particolare le direttive impongono un obbligo di risultato ed in ordine a tale risultato occorre distinguere quali siano gli effetti immediati e diretti e quali siano gli effetti indiretti. Anche la Corte di Giustizia Europea è nel senso di chiarire che le direttive sono direttamente applicabili quando pongono: a. obblighi teleologici: l’interprete è chiamato ad interpretare la disciplina interna in materia di cui si occupa la direttiva in conformità allo scopo di questa b. interpretazioni autentiche: quando la direttiva indica una preferenza tra più interpretazioni del trattato, ovvero chiarisce una norma di esso. c. obblighi di risultato: ciò consente agli individui di invocarla contro lo Stato dinnanzi al giudice nazionale per farne valere gli obblighi La CGE ritiene che le direttive esplichino solo effetti verso gli Stati (cd. effetti verticali). In realtà l’argomentazione letterale confonde lo Stato come soggetto di diritto comunitario e lo Stato come soggetto del proprio ordinamento: se la direttiva entra nell’ordinamento interno essa sarà invocabile contro tutti. Quando la direttiva interessi una materia che per l’ordinamento sia di competenza della PA la mancata realizzazione dell’obiettivo configura eccesso di potere. Riassumendo: 1. regolamenti, direttive e decisioni sono tutti atti comunitari caratterizzati dalla diretta applicabilità 2. l’emanazione di atti interni di esecuzione è necessaria quando gli atti comunitari non siano completi 3. le direttive essendo incomplete per definizione possono produrre effetti diretti che siano connessi con l’obbligo di risultato Accordi internazionali della CE: i trattati conclusi dalla CE con Stati terzi sono direttamente applicabili se contengono norme complete. RANGO DEL DIRITTO COMUNITARIO: ► Rapporti tra norme comunitarie e legge ordinaria: al riguardo è bene riassumere le tappe che hanno portato a riconoscere la primazia delle norme comunitarie. I. [rango della fonte che le recepisce]: Secondo la Corte Costituzionale il Trattato – Ordine di Esecuzione era soggetto alla regola della lex posterior. II. [rango costituzionale]: Nel 1975 la Corte Costituzionale cambia orientamento e sostiene che i Trattati istitutivi CE sono da ricollegarsi all’art. 11 Cost. e quindi ogni violazione diretta o indiretta di essi ad opera della legge si traduce in una violazione dell’art. 11 determinando l’incostituzionalità della legge. Anche il recepimento di norme comunitarie con lo strumento della legge ordinaria era da ritenersi illegittimo sul piano costituzionale perché significava attribuire a tali norme il rango dello strumento che le recepiva. Una legge interna di recepimento di un regolamento comunitario non consentiva l’applicazione di questo fino all’annullamento di quella (annullamento operante ex nunc). III. [tesi dell’inoccupabilità]: Nel 1984 la Corte Costituzionale visti gli inconvenienti (punto II.) si pronunciò sul fatto che la prevalenza del diritto comunitario è assicurata dell’operatore giuridico (e quindi dal giudice) in quanto, tutte le volte rilevi un contrasto tra norma comunitaria e norma interna, questi è chiamato a disapplicare la norma interna in quanto “occupa” lo spazio riservato al diritto comunitario. Critica: il ricondurre la primazia del diritto comunitario all’art. 11 Cost. è costruzione ermeneutica poco convincente in quanto nel disporre l’accettazione di limitazioni di sovranità a favore di O.I. (e non solo della CE) l’articolo si limita solo a dire che per gli atti vincolanti di tali organizzazioni non è necessario alcun atto di esecuzione ad hoc. L’articolo invece nulla dice sulla primazia delle norme internazionali sulle norme interne. La primazia deve invece rilevarsi sulla base del principio di specialità sui generis. Perché le leggi interne successive possano abrogare le norme comunitarie occorre non la semplice incompatibilità, ma anche la volontà a ripudiare gli impegni assunti. Il principio di specialità sui generis non consente la totale primazia del diritto comunitario su quello interno in quanto il legislatore può derogare se rende nota la volontà di cui sopra. Quid per la totale primazia del diritto comunitario? Nella sentenza del 1984 n. 170 la Corte Costituzionale menziona leggi dirette a impedire o pregiudicare la perdurante osservanza dei principi fondamentali del Trattato. In presenza di tali leggi il giudice non potrà disapplicare, ma spetterà alla Corte Costituzionale dichiararne l’incostituzionalità per violazione indiretta dell’art. 11. Rimane tuttavia difficile da chiarire quali siano queste leggi impeditive della perdurante osservanza del Trattato CE. In una successiva sentenza la Corte ha cercato di chiarire il significato, ma i principi fondamentali venivano desunti da specifiche disposizioni. Tutto ciò autorizzerebbe a ritenere che anche la norma interna che espressamente e intenzionalmente deroghi al diritto comunitario sia da ritenere legge impeditiva Con ciò la Corte Costituzionale ha inteso sottrarre al giudice la possibilità di porsi in aperto contrasto con il legislatore procedendo a disapplicare la legge che si ponga espressamente e intenzionalmente in contrasto con la norma comunitaria. ► Rapporti tra norme comunitarie e norme costituzionali: si è ritenuto in passato che l’adesione di uno Stato all’ordinamento comunitario non potesse comportare una rinuncia a priori di ogni difesa dei principi costituzionali. In particolare il diritto comunitario non poteva sfuggire al sindacato di legittimità costituzionale in relazione alle norme materiali di essa (solo di queste in quanto ammetterlo anche per le norme strumentali significherebbe ammettere l’incostituzionalità di tutti i regolamenti perché introdotto secondo un procedimento legislativo non previsto dalla Costituzione). Successivamente con il mutamento di tendenza la Corte Costituzionale è passata ad intendere i due ordinamenti (comunitario e interno) come separati. Alla Corte Costituzionale non spetta il sindacato di costituzionalità sulle norme di diritto comunitario. Un recente orientamento della Corte Costituzionale in direzione diversa si è avuto in tema di controllo di legittimità costituzionale del Trattato CE. Essa si è riservata tale sindacato quando si rilevi la possibilità di contrasto tra norme del Trattato CE e principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale / diritti inalienabili della persona umana. L’ADATTAMENTO REGIONALI: AL DIRITTO INTERNAZIONALE E LE COMPETENZE Un problema di coordinamento sorge quando il legislatore internazionale interviene in materie che rientrano nella competenza legislativa regionale (esclusiva o concorrente): COORDINAMENTO NORME INTERNAZIONALI – NORME STATALI COORDINAMENTO NORME INTERNAZIONALI – NORME REGIONALI Un punto fermo sembra essere la competenza ad introdurre il diritto internazionale nell’ordinamento interno. Tale competenza spetta al Governo in quanto: - la Repubblica è una ed indivisibile - il potere di eseguire accordi è strettamente connesso al potere di concludere accordi - è necessario che gli accordi operino su tutto il territorio della Repubblica Limiti alle competenze regionali: le leggi regionali che siano in contrasto con nome internazionali sono costituzionalmente illegittime poiché le Regioni, ancorché autonome non dispongono di poteri sovrani. Lo Stato è competente per ciò che attiene l’ordine di esecuzione. Inizialmente La Corte Costituzionale ritenne che le materie disciplinate dal diritto comunitario ed internazionale ricadessero nella sfera gli affari esteri (obbligo del rispetto degli impegni nei trattati) e pertanto riservata alla competenza esclusiva dello Stato. Obbligo del rispetto degli impegni assunti nei trattati Limite positivo: è competenza degli organi statali l’attuazione del diritto internazionale Limite negativo: alle Regioni è precluso ogni potere di attuazione del diritto internazionale La ragione del limite negativo era dettata dal fatto che la Costituzione non dava allo Stato gli strumenti necessari a sostituirsi alle Regioni in caso di inadempienza di queste per cui esso sarebbe rischiato di essere reso internazionalmente responsabile per inadempimenti non suoi e non da esso eliminabili. Per ovviare a questa sottrazione di competenza la Corte costituzionale decise che le Regioni avrebbero potuto intervenire nel procedimento di attuazione / integrazione con strumenti (come la delega) che assicurassero il controllo e la sostituzione dello Stato. In seguito la Corte Costituzionale mutò indirizzo. A tutt’oggi è riconosciuto: - alle Regioni il potere di attuare / integrare le norme di diritto internazionale che intervengono in materie in cui hanno competenza (competenza autonoma ed originaria) - allo Stato il potere di sostituzione fondato sul obbligo del rispetto degli impegni assunti nei trattati. Tuttavia non vengono specificati i casi in cui tale potere può esercitarsi (generici sono i riferimenti ai casi di urgenza o esigenze di uniformità) PARTE QUARTA LA VIOLAZIONE DELLE NORME INTERNAZIONALI E LE SUE CONSEGUENZE IL FATTO ILLECITO E I SUOI ELEMENTI COSTITUTIVI: Schema degli elementi Elemento soggettivo Comportamento (azione / omissione) attribuibile allo Stato Elemento oggettivo Illiceità del comportamento Lo Stato che non rispetta una norma di diritto internazionale commette un illecito. Occorre anzitutto determinare gli elementi costitutivi del fatto illecito e le conseguenze che derivano da esso, in particolare quali sono i mezzi a disposizione della comunità internazionale per reagire contro di esso. Nel 1980 la Commissione di diritto internazionale ONU approvò un Progetto di articoli sulla responsabilità dello Stato. Caratteristica di tale atto è quella di considerare la responsabilità dello Stato riguardo ogni violazione di norme internazionali e non solo ristretta alla violazione delle norme sul trattamento degli stranieri. A) L’ELEMENTO SOGGETTIVO: Elemento soggettivo è lo Stato – organizzazione in quanto è soggetto di diritto internazionale. In particolare è il comportamento (azione / omissione) di un qualsiasi organo dello Stato che abbia tale qualità secondo il diritto interno dello Stato medesimo. Organo dello Stato è inteso in senso ampio e comprende tutti coloro che partecipano all’esercizio del potere di governo. Il riferimento al diritto interno significa che la qualità di organo deve trovare fondamento nell’ordinamento statale. Saranno così organi dello Stato: - gli organi del Potere Centrale - gli organi degli Enti Pubblici territoriali - i privati ai quali è stato attribuito l’esercizio del potere di governo mediante autorizzazione o ratifica Sulla scorta della distinzione operata tra potere di coercizione materiale e potere di coercizione normativa il potere di governo (forza interna) si colloca a metà tra questi due e solo gli organi che possono esercitare tale potere potranno essere responsabili sul piano internazionale. L’organo che ha il potere di coercizione normativa non commette violazione di diritto internazionale in quanto manca la possibilità attuale e concreta di coazione. Illecito commesso dall’organo fuori dei limiti delle sue competenze: al riguardo le soluzioni prospettate sono due: a.) tali azioni sarebbero attribuibili allo Stato b.) tali azioni sarebbero attribuibili all’individuo lo Stato risponderà al più per non aver vigilato In base al Progetto è da accogliersi la soluzione sub a.) quando lo Stato che aveva l’obbligo di intervenire non lo ha fatto (regola del previo esaurimento dei rimedi interni). Illecito commesso dal privato contro individui, organi o Stati stranieri: ci si chiede al riguardo se sorga o meno una responsabilità dello Stato per i fatti illeciti commessi dai suoi sudditi contro individui, organi o Stati stranieri: a.) teoria della solidarietà di gruppo: lo Stato doveva ritenersi responsabile in quanto gruppo b.) teoria della patientia: lo Stato è responsabile dell’illecito commesso dal privato quando risulta averlo tollerato o esserne stato complice In base al Progetto è da accogliersi la soluzione sub b.) in quanto lo Stato ha l’obbligo di apprestare misure preventive e punitive contro offese ad altri soggetti. B) L’ELEMENTO OGGETTIVO: Elemento oggettivo è costituito dal fatto che il comportamento abbia il carattere dell’illiceità (antigiuridicità). In particolarmente si ha violazione di un obbligo internazionale da parte di uno Stato quando un fatto di tale Stato non è conforme a ciò che gli è imposto dal predetto obbligo. Perché si possa configurare come illecito un comportamento occorre che la violazione sia definitiva (regola del previo esaurimento dei ricorsi interni). Distinzioni del Progetto: OBBLIGHI DI MEZZI impongono un COMPORTAMENTO DETERMINATO (es. obbligo dei sottomarini a navigare in superficie nelle acque del mare territoriale). OBBLIGHI DI RISULTATO impongono un RISULTATO DETERMINATO (es. direttive europee). Si noti che la maggior parte delle norme internazionali impongono obblighi di tal genere e quindi è chiaro che la violazione si verificherà tutte le volte in cui il risultato non sia più raggiungibile nemmeno per equivalenti (definitività). Tempus commissi deliciti: la distinzione che qui rileva è quella tra illeciti di durata e illeciti istantanei. La determinazione del tempo di consumazione dell’illecito ha rilevanza in tema di successione delle norme nel tempo. Per il diritto internazionale, al pari del diritto civile, vale il principio tempus regit actum: il fatto si considera illecito sempre e solo quando esista l’obbligo al momento in cui il fatto è commesso a prescindere dalle successive modifiche. eccezione: il fatto non è considerato illecito quando intervenga successivamente una norma di ius cogens che imponga di tenere quel dato comportamento. Cause di esclusione del fatto illecito (CAUSE DI GIUSTIFICAZIONE): - Consenso dello Stato leso: il consenso validamente dato da uno Stato alla commissione da parte di un altro Stato di un fatto non conforme ad un obbligo esistente nei suoi confronti esclude l’illiceità di tale fatto nei rapporti tra due Stati sempre che il fatto medesimo resti nei limiti del consenso. In ogni caso il consenso non ha effetto quando il fatto rappresenti una violazione di ius cogens. Tale disposizione rappresenta il principio volenti non fit iniuria di natura consuetudinaria. Il consenso non costituisce accordo, ma resta pur sempre atto unilaterale. Tra le norme di ius cogens che possono importare la non esclusione dell’illiceità non ostante il consenso rilevano soprattutto il divieto di aggressione e il principio di autodeterminazione dei popoli [è l’ipotesi del Governo invade ed insella nel territorio un Governo al quale chiede il consenso per intervenite. In questo caso non si può parlare di vizi del consenso perché a far valere il vizio dovrebbe essere il Governo fantoccio]. - Autotutela: comprende le azioni illecite che sono dirette a reagire contro il fatto illecito. Tale disposizione rappresenta il principo vim vi repellere licet, anch’esso di natura consuetudinaria. - Forza maggiore / Caso fortuito - Stato di necessità: lo stato di necessità non può essere invocato da uno Stato come causa di esclusione dell’illiceità di un fatto di questo Stato non conforme ad un obbligo internazionale, a meno che: a.) il fatto abbia costituito l’unico mezzo per proteggere un interesse essenziale di detto Stato contro un pericolo grave ed imminente e b.) il fatto non abbia gravemente leso un interesse essenziale dello Stato leso. In ogni caso lo stato di necessità non può essere invocato: a.) se l’obbligo internazionale violato discende da una norma imperativa di diritto internazionale generale; o b.) se lo Stato in questione ha contribuito al verificarsi dello stato di necessità. - Raccomandazioni di organi internazionali: producono un effetto di liceità. - Principi costituzionali dello Stato: l’illiceità del fatto è esclusa quando l’obbligo internazionale non è conforme ai principi fondamentali della Costituzione dello Stato e sempre che esso non discenda da una norma imperativa di diritto internazionale generale [es. è il caso della dichiarazione di incostituzionalità degli ordini di esecuzione di trattati che concedevano l’estradizione verso Stati che prevedevano la pena di morte]. La causa in questione sembra essere non accettate dal Progetto in quanto esclude che il diritto interno possa avere rilevanza per il diritto internazionale. C) GLI ELEMENTI CONTROVERSI: LA COLPA E IL DANNO: COLPA: Tipi di responsabilità: 1. responsabilità per dolo / responsabilità per colpa (lieve o grave): l’elemento qui che rileva per la prima è l’intenzionalità del fatto illecito, mentre per la seconda è l’imprudenza, la negligenza, l’imperizia o l’inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline. 2. responsabilità oggettiva relativa: denominata nei sistemi di Common Law anche strict liability tale responsabilità che nel diritto civile è rappresentata dalla responsabilità contrattuale nasce dalla semplice commissione del fatto, salvo per l’autore dimostrare che sussiste una causa di giustificazione. Qui vi è uno spostamento dell’onere probatorio dal danneggiato al danneggiante. 3. responsabilità oggettiva assoluta: questa sorge al momento del compimento del fatto contrario all’obbligo e non ammette alcuna causa di giustificazione. Spesso è accompagnata da forme di assicurazione obbligatorie che inducono a ritenerla più una garanzia che non una responsabilità [es. RCA]. GROZIO: sostenne la tesi che la responsabilità dello Stato fosse una responsabilità colposa / dolosa. ANZILLOTTI: sostenne la tesi che la responsabilità dello Stato fosse una responsabilità oggettiva relativa. Regime di responsabilità dello Stato: GENERALE DOVERE DI PROTEZIONE DEGLI STRANIERI: [responsabilità per dolo / colpa] qui rileva il fatto che lo Stato ha il dovere di apprestare le misure preventive e repressive contro ogni offesa che possa essere recata gli stranieri. In caso di offesa lo Stato risponderà solo se se vi è almeno responsabilità per colpa, ossia se esso non abbia apprestato le dovute misure richieste secondo diligenza. CONVENZIONE SULLA RESPONSABILITÀ INTERNAZIONALE PER DANNI DA OGGETTI SPAZIALI: [responsabilità oggettiva assoluta] qui è stabilito che lo Stato ha la responsabilità (oggettiva) assoluta per la riparazione dei danni causati dal suo oggetto spaziale alla superficie della Terra o agli aeromobili in volo. REGIME GENERALE: [responsabilità oggettiva relativa] lo Stato sarà responsabile tutte le volte in cui il fatto commesso violi un obbligo internazionale e non dimostri che l’inosservanza non è a lui imputabile (impossibilità assoluta). Il regime delineato sembra essere accolto dal Progetto dove non si fa alcuna menzione della responsabilità per dolo o colpa ed anzi il riferimento alle cause di giustificazione sembra avvalorare tale idea. DANNO: si discute se sia necessario il prodursi del danno (materiale o morale), ossia la lesione di un interesse concreto e diretto dello Stato nei confronti del quale l’obbligo sussisteva, al fine di delineare la responsabilità dello Stato che commette il fatto illecito. Nel Progetto non vi è menzione di ciò e quindi si è indotti nel ritenere che tale elemento non sia richiesto ai fini di un a configurazione di responsabilità. Si osserva che la violazione di molte norme di diritto internazionale oggi viene avvertita come un illecito nei confronti non solo dei diretti interessati, ma anche nei confronti di tutta la comunità internazionale. LE CONSEGUENZE DEL FATTO ILLECITO: Norma primaria: obbligo internazionale Violazione – Fatto illecito Rapporto A Norma secondaria: obbligo a riparare e risarcire Rapporto B ANZILLOTTI: secondo tale autore con la violazione sorgerebbe un diritto dello Stato offeso e un conseguente obbligo dello Stato offensore a fornire: - una riparazione (ripristino della situazione quo ante o restituito ad integrum) - un risarcimento del danno materiale / una soddisfazione del danno morale Il ricorso all’autotutela costituirebbe un’esplicazione dell’autonomo diritto alla conservazione. AGO: specifica in realtà che il ricorso all’autotutela (contromisure coercitive) discende alla norma secondaria insieme al diritto di riparazione e risarcimento / soddisfazione. KELSEN: critica l’impostazione di cui sopra sostenendo che questa porterebbe ad un regressus ad infinitum ove si consideri che una violazione della norma secondaria comporterebbe il sorgere di un nuovo rapporto del medesimo contenuto e così via… L’unica e immediata conseguenza che deriverebbe dall’illecito sarebbe il ricorso all’autotutela. Il diritto di riparazione sarebbe eventuale discendendo da un accordo (diretto o di arbitrato) tra Stato offeso e Stato offensore a ricorrere a mezzi di risoluzione pacifica delle controversie. Il ricorso all’autotutela non configurerebbe un rapporto giuridico (diritto dello Stato offeso ad esercitarla e obbligo dello Stato offensore a subirla), ma ha natura coercitiva al pari della pena e dell’esecuzione forzata sebbene ad esse non assimilabile. Critica: quanto detto da KELSEN appare più adatto ai caratteri del diritto internazionale. Tuttavia l’autotutela (misure coercitive) non ha carattere eminentemente afflittivo, punitivo o coercitivo, ma ha natura reintegrativa. Da ciò si deriva che: - lo Stato offensore ha l’obbligo di far cessare l’illecito e cancellarne gli effetti (restituito ad integrum) - lo Stato offeso ha il diritto di ricorrere all’autotutela per costringere lo Stato offensore a cessare l’illecito e a cancellarne gli effetti. Per quanto concerne poi il diritto di riparazione la tesi di KELSEN risulta eccessiva. Occorre distinguere tra: - diritto alla soddisfazione (danno morale): per il quale può valere il fatto che gli Stati si accordino - diritto al risarcimento (danno materiale): è innegabile che questo sia previsto da una norma di diritto generale (la cui eventuale violazione sarà sanzionata dal ricorso all’autotutela). Indubbiamente il ruolo del giudice e delle parti hanno un peso rilevante in ordine al quantum, il diritto non nasce da un accordo. ► CONTROMISURE: le forme che può assumere il ricorso all’autotutela sono diverse. Tra le più importanti ricorrono le contromisure o rappresaglie. Il termine contromisura risulta in verità il più appropriato in quanto da conto della natura reintegrativa sebbene non si nasconda che secondariamente essa può avere natura afflittiva. Con contromisure si intendono i comportamenti dello Stato che di per sé sarebbero illeciti, ma che divengono leciti in quanto reazione ad un illecito altrui [es. la Convenzione di Vienna del 1969 introduce all’art. 60 la possibilità per una parte di sospendere l’esecuzione del trattato quando l’altra abbia violato lo stesso inadimplenti non est adimplendum]. Limiti: - principio di proporzionalità: la violazione commessa deve essere proporzionale alla violazione subita. In realtà a fronte della violazione di un determinato obbligo l’altra parte può reagire violando un obbligo diverso. È più appropriato dire che tra la violazione commessa e quella subita non deve esserci una eccessiva sproporzione. - norme di ius cogens: la contromisura o rappresaglia non può violare una norma imperativa di diritto internazionale generale. nella presente categoria rimangono assorbiti i diritti umanitari (non vi rientrano le immunità degli agenti diplomatici) - principio del previo esaurimento dei mezzi di soluzione delle controversie: perché siano considerare lecite le contromisure occorre che lo Stato abbia prima tentato il ricorso a tutti i mezzi di soluzione pacifica delle controversie. Tipologia di contromisure: rilevano - Legittima difesa: sul punto vedi “Gli Stati e il ricorso alla forza armata”. - Contromisure non violente - Ritorsione: si distingue per il fato che non importa una violazione di norme internazionali, ma in un comportamento inimichevole [attenuazione / rottura delle relazioni diplomatiche – attenuazione / rottura delle relazioni economiche o commerciali]. Alcuni osservano che la ritorsione non sarebbe annoverabile nella categoria delle contromisure in quanto il comportamento inimichevole può essere tenuto a prescindere da una violazione di norme internazionali. La prassi dimostra che spesso si utilizzano contro azioni di rilievo meramente politico. Sebbene nella ritorsione confluiscano motivi politici e giuridici, quando questi sono presenti non può escludersi che si sia alla presenza di una contromisura. AUTOTUTELA COLLETTIVA sul punto vedi “Gli Stati e il ricorso alla forza armata” ► AUTOTUTELA E DIRITTO INTERNO: una legge o altro atto normativo o amministrativo non costituirà violazione del diritto internazionale tutte le volte in cui costituisca una contromisura. Condizione di reciprocità: può considerarsi un meccanismo di carattere generale che ammette l’automatica violazione a titolo di contromisura quando uno Stato non accordi il medesimo trattamento ad esso riservato [La Costituzione Francese ammette che i trattati internazionali abbiano un’autorità superiore alla legge purché siano applicati dall’altra Parte contraente. Secondo la giurisprudenza l’inosservanza del trattato non determina solo il venir meno della primazia sulla legge, ma legittima anche il ricorso alle contromisure]. La condizione di reciprocità consente allo Stato di difendersi sul piano interno dalle norme di diritto generale in via di formazione. In questo caso lo Stato potrebbe adottare la regola consuetudinaria nuova dichiarando che la disapplicherà quando non ricorra la reciprocità. LA RIPARAZIONE: L’obbligo a riparare incombe sullo Stato che ha commesso il fatto illecito. In particolare: Restituzione in forma specifica (restituito ad integrum): lo Stato offensore ha l’obbligo di ripristinare la situazione originaria prima del prodursi del fatto illecito. Occorre osservare che tale obbligo non nasce a seguito della violazione della norma internazionale, ma è connaturato all’obbligo di osservare la norma internazionale. Distinzione tra obbligo di far cessare il fatto illecito e obbligo di cancellarne gli effetti [Sentenza arbitrale tra Francia – Nuova Zelanda: Caso Rainbow Warrior di Greenpeace. La nave fu gravemente danneggiata da due agenti francesi. In base ad un accordo tra Francia e Nuova Zelanda, la prima riconosceva il suo coinvolgimento nel fatto e si impegnava a confinare per 3 anni gli agenti. Prima della scadenza dei 3 anni i due agenti fanno rientro per motivi di salute. La Nuova Zelanda chiede di riconfinare i due agenti. Il tribunale arbitrale detta richiesta viene respinta in quanto l’obbligo a confinare – restituito ad integrum – era cessato essendo trascorsi 3 anni e che detta richiesta potesse configurarsi come cessazione del fatto illecito – violazione dell’accordo]. Soddisfazione: questa forma di riparazione è diretta a coprire il danno morale da fatto illecito. Nel Progetto si fa menzione a forme di soddisfazioni quali le scuse, il versamento di somme di denaro simboliche e non, la punizione dei responsabili, ecc… Ad ogni modo, qualunque forma essa assuma, la prassi dimostra che, se accettata dallo Stato leso, dal fatto illecito non derivano ulteriori conseguenze. La soddisfazione non è connaturata alla norma primaria (come avviene per la restituzione in forma specifica), ma nasce da un accordo, espresso o tacito, diretto o per arbitrato è teso ad eliminare la controversia. Risarcimento del danno: rappresenta la vera e propria riparazione del danno materiale causato dal fatto illecito. DANNI AGLI STRANIERI: se lo Stato al quale appartiene lo straniero esercita la protezione diplomatica esso esercita un diritto proprio. Il diritto al risarcimento spetterà allo Stato. DANNI AGLI STATI: il diritto al risarcimento spetterà allo Stato quando la violazione consista in un’azione violenta contro organi e beni dello Stato. In particolare i danni contro gli individui – organo devono distinguersi a seconda che il danno riguardi l’individuo (rientrando nel danno agli stranieri), ovvero riguardi l’organo (cd. danno alla funzione). Al di là di queste due ipotesi il diritto consuetudinario non dimostra di imporre il risarcimento del danno. Di diverso avviso è il Progetto ove si consideri che estende il diritto al risarcimento del danno in caso di qualsiasi violazione di norma internazionale. Il risarcimento comprenderà tanto il danno emergente (quantum mihi abest), quanto il lucro cessante (quantum lucrari potui) e gli interessi. LA CD. RESPONSABILITÀ DA FATTI LECITI: Si discute se fonte di responsabilità internazionale possono essere fatti che non costituiscano violazione di norme di diritto internazionale. In particolare viene in rilievo il settore di attività altamente pericolose o inquinanti. Non si nascondono le difficoltà che importano la distinzione tra responsabilità da fatto lecito e responsabilità oggettiva assoluta. Sicuramente una responsabilità oggettiva assoluta può qualificarsi come responsabilità senza illecito quando lo Stato sia chiamato a rispondere anche per fatti che non gli sono imputabili [es. è il caso della Convenzione sulla responsabilità internazionale per danni causati da oggetti spaziali. Tale convenzione rende responsabile lo Stato per il lancio di oggetti spaziali che provochino danni senza che sia dato provare cause di giustificazione. A ciò si aggiunge la responsabilità per il lancio di effettuato da individui sul suo territorio]. Tutto ciò che si può dedurre è che una responsabilità per fatto lecito non è ammessa dal diritto generale se non per casi specifici. Le numerose convenzioni che si occupano del risarcimento del danno derivante da attività lecite, ma pericolose, disciplinano la materia sul piano interno. L’art. 110 Convenzione di Montego Bay: responsabilità da fatto lecito?: in base a tale articolo le navi da guerra possono eseguire visite in mare internazionale su navi mercantili straniere quando vi è serio motivo di sospettare che: (1.) pratichino la pirateria; (2.) pratichino la tratta degli schiavi; (3.) effettuino trasmissioni radio – televisive di massa non autorizzate; (4.) non abbiano nazionalità di alcuno Stato; (5.) usino fraudolentemente la bandiera. Quando però i motivi risultino infondati senza che le navi visitate non abbiano commesso nulla per giustificare il sospetto, la nave da guerra è tenuta all’indennizzo. In questo caso si configura una responsabilità per fatto lecito. IL SISTEMA DI SICUREZZA COLLETTIVA PREVISTO DALLA CARTA DELLE NAZIONI UNITE: sul punto vedi “Gli Stati e il ricorso alla guerra” PARTE QUINTA L’ACCERTAMENTO DELLE NORME INTERNAZIONALI NELL’AMBITO DELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE LA FUNZIONE GIURISDIZIONALE INTERNAZIONALE: Occorre subito rilevare che per giurisdizione si intende nell’accezione di accertamento vincolante del diritto. Nel diritto internazionale la funzione giurisdizionale ha carattere arbitrale, ossia nessun giudice internazionale può giudicare se la sua giurisdizione non è stata accettata da tutti gli Stati parti della controversia. Gli Stati devono essere d’accordo nel demandare la decisione di una certa controversia intendendo tale decisione come vincolante. Nozione di controversia: la controversia è un disaccordo su di un punto di fatto o di diritto, un contrasto, un’opposizione di tesi giuridiche o di interessi tra due soggetti [Corte Internazionale di Giustizia – affare Mavrommatis]. Da quanto è possibile rilevare non esiste una distinzione tra controversie giustiziabili e non giustiziabili, ma al più può delinearsi una distinzione in ordine a quelle controversie per le quali gli Stati accettano di rimettersi alla decisione di un Tribunale internazionale o quelle controversie per le quali gli Stati ricorrono alle vie diplomatiche. Non ha quindi senso la distinzione fatta dalla precedente dottrina tra controversie giuridiche e controversie politiche. In queste si sosteneva che non viene in rilievo l’applicazione del diritto, ma almeno una parte pretendeva di mutare lo stesso diritto a proprio favore. Tutto ciò che si può dedurre è che è una questione interpretativa determinare l’oggetto dell’accordo al fine di stabilire se una certa controversia vi rientri o se ne sottragga. Art. 36, par. 2 Statuto della Corte Internazionale di Giustizia Gli Stati aderenti al presente statuto possono in ogni momento dichiarare di riconoscere come obbligatoria ipso facto e senza alcuna convenzione, nei rapporti con qualsiasi altro Stato che accetti il medesimo obbligo, la giurisdizione della Corte su tutte le controversie giuridiche concernenti: - l’interpretazione di un trattato - qualsiasi questione di diritto internazionale - esistenza di qualsiasi fatto che, se accertato, costituirebbe una violazione di un obbligo internazionale - la natura o la misura della riparazione dovuta per la violazione di un obbligo internazionale Esecuzione coattiva delle sentenze internazionali: qui il problema è il medesimo che riguarda l’osservanza delle norme internazionali. La mancata osservanza di una sentenza autorizzerà il ricorso alle contromisure. Vero è che occorre tener conto del momento interno della sentenza arbitrale, ossia degli effetti che dispiega nell’ordinamento interno. I giudici interni saranno tenuti ad osservare quanto deciso nella sentenza in virtù dei meccanismi di adattamento del diritto interno al diritto internazionale. Sviluppo della funzione giurisdizionale: può distinguersi i seguenti punti: - arbitrato isolato: inizialmente l’arbitrato internazionale si svolgeva nel seguente modo: sorta una controversia tra due o più Stati, questi procedevano a stipulare un accordo (cd. compromesso arbitrale) mediante il quale (1.) si nominava un arbitro / collegio arbitrale, (2.) si stabilivano le regole di procedura e (3.) ci si obbligava a rispettare la sentenza che non doveva essere necessariamente motivata - I fase: si inizia la prima fase dell’istituzionalizzazione dell’arbitrato. Tra il 1800 (Continente americano) e il 1900 (Continente europeo) si comincia a ricorrere ad alcuni accorgimenti per facilitare l’accordo per l’instaurazione del processo internazionale: cd. clausola compromissoria / trattato generale di arbitrato NON COMPLETI. La prima si distingueva dal secondo per il fatto di non costituire un autonomo trattato. In entrambi si costituiva l’obbligo generico di ricorrere ad arbitrato in ordine a tutte le controversie che potevano sorgere tra gli Stati parti (obbligo de contahendo con la conseguenza che se non si stipula il compromesso arbitrale non ci sarà alcuna sentenza). Nel trattato generale di arbitrato ricorreva anche alla cd. clausola eccettuativa dei trattati di arbitrato in base alla quale si escludevano certe controversie (di natura politica o sull’onore e l’indipendenza delle Parti – oggi quelle relative al dominio riservato). Si assiste alla creazione di tribunali internazionali permanenti (organi arbitrali e regole di procedura permanenti): Corte Permanente d’Arbitrato creata dalla Convenzione dell’Aja sulla guerra terrestre. L’istituzionalizzazione è minima in quanto è previsto un elenco di giudici aggiornato periodicamente dal quale gli Stati possono scegliere i soggetti per la composizione del collegio arbitrale. - II fase: continua il processo di istituzionalizzazione con una svolta significativa nel primo dopoguerra. Viene creata la Corte Permanente di Giustizia Internazionale (Società delle Nazioni) che successivamente diviene Corte Internazionale di Giustizia (1945). Tale organo agisce in seno alle Nazioni Unite e prevede (a.) un corpo permanente di giudici eletti dall’Assemblea generale e dal Consiglio di Sicurezza e (b.) delle regole di procedura inderogabili. Trattasi però di un tribunale arbitrale in quanto richiede l’accordo delle parti. Tale fase è caratterizzata dalla stipulazione della cd. clausola compromissoria / trattato generale di arbitrato COMPLETI. Questi non creano l’obbligo di ricorrere ad arbitrato, ma prevedono la sottoposizione a giudizio di un tribunale internazionale esistente. In altri termini in essi è compreso anche il compromesso arbitrale. Tribunali interni alle Organizzazioni Internazionali: ad esempio il Tribunale amministrativo delle Nazioni Unite. Sono organi che operano in seno alle Organizzazioni Internazionali con competenze limitate alle controversie che sorgono tra le Organizzazioni e i loro funzionari. Corte di Giustizia Europea: può non essere propriamente considerata come tribunale arbitrale sebbene con questi ne condivida l’origine: un accordo internazionale (Trattato CE). Le sue competenze sono: • ARBITRALE: sulla base dell’art. 182 essa è competente a conoscere di qualsiasi controversia tra gli Stati membri in connessione con l’oggetto del presente Trattato, quando tale controversia la venga sottoposta in virtù di una compromesso • GIURISDIZIONALE: distinguendosi in - COMPETENZA IN TEMA DI INADEMPIMENTO DEGLI STATI: il ricorso in caso di violazione del Trattato è proponibile (1.) dalla Commissione, ovvero (2.) da ciascuno Stato membro previa consultazione della Commissione. - COMPETENZA IN TEMA DI CONTROLLO DI LEGITTIMITÀ SUGLI ATTI COMUNITARI: Oggetto del controllo: sono solo gli atti vincolanti (regolamenti, direttive, decisioni). Effetto: è quello dell’annullamento ex tunc degli atti stessi. Motivi di annullamento sono: 1. incompetenza 2. violazione di forme sostanziali 3. violazione del Trattato o norma di applicazione 4. sviamento di potere. Legittimazione attiva: il vizio è denunciabile da ciascuno Stato, dalla Commissione o dal Consiglio, e per le decisioni anche da ogni persona fisica o giuridica che ne abbia interesse. - COMPETENZA IN TEMA DI QUESTIONI PREGIUDIZIALI: oggetto della competenza sono le questioni interpretative sul Trattato o atti comunitari. Il giudice di ciascuno Stato membri, dinnanzi al quale è sollevata la questione, ha il potere o il dovere (se giudice di ultima istanza) di sospendere il giudizio chiedendo alla Corte di Giustizia Europea di pronunciarsi sulla pregiudiziale. La pronuncia emessa deve essere rispettata dal giudice e da tutti gli altri Stati membri. Corte Europea dei Diritti dell’Uomo: tale tribunale arbitrale opera in ambito della Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali secondo l’atto integrativo denominato Protocollo n. 11. Composizione: la Corte è formata da un numero di membri uguale a quello degli Stati contraenti scelti tra giureconsulti di notoria competenza o persone che posseggano i requisiti per l’esercizio delle più alte funzioni giudiziarie. Competenza: secondo la riforma del 1998 alla Corte sono attribuite le competenze che precedentemente spettavano alla Commissione Europea dei Diritti dell’Uomo. In particolare le competenze di quest’ultima sono esercitate dalle varie Camere, mentre quelle esercitate già precedentemente alla riforma spettano alla Grande Camera. Questa opera in via eccezionale su questioni più importanti e per assicurare un’uniformità di giurisdizione. Legittimazione attiva: possono ricorrere alla Corte gli Stati membri della Convenzione, gruppi di individui e singoli soggetti purché siano esauriti i mezzi di ricorso interni, non siano trascorsi più di 6 mesi dall’ultima decisione e il ricorso non sia anonimo o manifestamente infondato. Controversie in ambito della WTO: sul punto vedi “Diritto del Commercio Internazionale” I MEZZI DIPLOMATICI DI SOLUZIONE DELLA CONTROVERSIE INTERNAZIONALI: I mezzi diplomatici si distinguono dai mezzi giurisdizionali in quanto non si ricerca la giustizia, ma una composizione di interessi. Nello specifico la differenza risiede nel fatto che: SOLUZIONE CON MEZZI DIPLOMATICI NON VINCOLANTE ancorché si fondi su motivazioni giuridiche. SOLUZIONE CON MEZZI GIURIDICI VINCOLANTE Tipologia: Negoziati: l’accordo è ricercato direttamente dalle parti. Esso rappresenta il mezzo più semplice di soluzione diplomatica, assumendo la forma di accordo internazionale. Buoni uffici e mediazione: la particolarità sta nell’intervento di un terzo che ha funzione di mediare tra le parti. Il terzo potrà essere uno Stato diverso, un organo supremo di uno Stato (Papa, Regina d’Inghilterra…) o di un’Organizzazione Internazionale (Segretario ONU…). La differenza tra buoni uffici e mediazione sta nella intensità dell’intervento del terzo. Generalmente con i primi si induce le parti a procedere per negoziati, mentre con la seconda vi è una partecipazione attiva alle trattative. Conciliazione: rappresenta la forma di soluzione diplomatica più evoluta. Organi preposti alla conciliazione sono le Commissioni di conciliazione che possono essere permanenti o occasionali. Tali organi sono composti da individui che hanno il compito di accertare i fatti e formulare la soluzione che non ha valore vincolante per le parti. Quando l’organo ha solo compito di accertare i fatti – si ribadisce, in via non vincolante – la procedura prende il nome di inchiesta. Funzione conciliativa delle Organizzazioni Internazionali: la particolarità non sta nei mezzi di soluzione utilizzati (buoni uffici, mediazione, conciliazione e inchiesta) quanto nel fatto che tali mezzi sono esercitati nel quadro istituzionale dell’Organizzazione. Ciò implica che tali procedure (1.) debbano essere conformi alle disposizioni statutarie, e (2.) sfocino in atti produttivi di effetti particolari (raccomandazioni effetto di liceità). MEZZI DIPLOMATICI + MEZZI GIURIDICI = MEZZI PACIFICI DI SOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE INTERNAZIONALI Art. 2, par. 3 Carta ONU I Membri devono risolvere le loro controversie internazionali con mezzi pacifici, in maniera che la pace e la sicurezza internazionale, e la giustizia, non siano messe in pericolo. Art. 33, par. 1 Carta ONU Le parti in una controversia, la cui continuazione sia suscettibile di mettere in pericolo il mantenimento della pace e dalla sicurezza internazionale, devono, anzitutto, perseguirne una soluzione mediante negoziati, inchiesta, mediazione, conciliazione, arbitrato, regolamento giudiziale, ricorso ad organizzazioni o accordi regionali, o altri mezzi pacifici di loro scelta. Deve ritenersi che tale articolo, non potendo costituire autonomi obblighi giuridici, sia da ricondursi al generale divieto di ricordo alla forza armata come mezzo di risoluzione delle controversie sancito dall’art. 2, par. 4 Carta ONU. Deve comunque considerarsi che l’articolo ha implicazioni procedurali in quanto richiamato dall’art. 37 che impone al Consiglio di Sicurezza di ingerirsi del merito della controversia quando non risulti praticabile dalla parti alcun mezzo pacifico di soluzione. FUNZIONE CONCILIATIVA DEGLI ORGANI ONU: ►Funzione conciliativa del Consiglio di Sicurezza: prevista dal Capitolo VI SOLUZIONE PACIFICA DELLE CONTROVERSIE Art. 34 attribuisce al Consiglio di Sicurezza un generale potere di inchiesta. Problema della natura del potere d’inchiesta: si discute se debba considerarsi decisione (vincolante) o raccomandazione (non vincolante) la delibera che origina l’inchiesta: - tesi della decisione: si fonda sull’art. 25 della Carta ONU secondo cui I Membri delle Nazioni Unite convengono di accettare e di eseguire le decisioni del Consiglio di Sicurezza - tesi della raccomandazioni: in base a quanto dispone il Capitolo VI qui il Consiglio di sicurezza disporrebbe di soli poteri non vincolanti In realtà l’inquadramento del problema è sbagliato. Occorre chiedersi fino a che punto gli Stati membri siano tenuti a collaborare con l’ONU. In questo caso qualunque sia la natura della delibera che origina l’inchiesta, l’obbligo di esistenza degli Stati membri si fonderà sull’art. 2, par. 5 Carta ONU che prevede che I Membri devono dare alle Nazioni Unite ogni assistenza in qualsiasi azione che queste intraprendano in conformità alle disposizioni del presente Statuto, e devono astenersi dal dare assistenza a qualsiasi Stato contro cui le Nazioni Unite intraprendano un’azione preventiva o coercitiva. Unico limite che può rilevarsi è quello di non essere obbligato ad aprire il proprio territorio (o area controllata) agli organi inquirenti in quanto ove questo è stato voluto dalla Carta (art. 43 Carta ONU: diritto di passaggio per le forze armate ONU) si trova espressamente sancito. Tuttavia lo Stato che si rifiuti dovrebbe fornire un’adeguata motivazione. Art. 33, par. 2 Carta ONU Il Consiglio di Sicurezza, ove lo ritenga necessario, invita le parti a regolare la loro controversia mediante tali mezzi. [invito generico] Art. 36 Carta ONU Il Consiglio di Sicurezza può, in qualsiasi fase di una controversia della natura indicata nell’art. 33 o di una situazione analoga, raccomandare procedimenti o metodi di sistemazione adeguati. Il Consiglio di Sicurezza deve prendere in considerazione le procedure per la soluzione della controversia che siano già state adottate dalle parti. Nel fare raccomandazioni a norma di questo articolo il Consiglio di Sicurezza deve in oltre tenere presente che le controversie giuridiche dovrebbero, di regola generale, essere deferite dalle parti alla Corte Internazionale di Giustizia in conformità alle disposizioni dello Statuto della Corte. [invito specifico] In base a tali articoli il potere si esplicherebbe sempre in raccomandazioni dal carattere non vincolante. Art. 37 Carta ONU Se le parti di una controversia della natura indicata nell’art. 33 non riescono a regolarla con i mezzi indicati in tale articolo, esse devono deferirla al Consiglio di Sicurezza. Se il Consiglio di Sicurezza ritiene che la continuazione della controversia sia in fatto suscettibile di mettere in pericolo il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, esso decide se agire a norma dell’art. 36, o raccomandare quella soluzione che ritenga più adeguata. A questo articolo corrisponderebbe un potere di raccomandare termini di regolamento. Tale potere starebbe subordinato a determinati presupposti: (a.) la controversia deve essere portata all’esame del Consiglio di Sicurezza da entrambi o da una delle Parti; (b.) non è stato raggiunta l’intesa con i mezzi ex art. 33, par. 1. La prassi dimostra però che il Consiglio di Sicurezza gode di un’ampia libertà in tema di potere a raccomandare termini di regolamento al pari del potere ex artt. 33, par. 2 e 36 sul sollecitare procedimenti o metodi di soluzione. ► Funzione conciliative dell’Assemblea generale: è stabilita nel Capitolo IV. Precisamente: Art. 14 Carta ONU L’Assemblea generale può raccomandare misure per il regolamento pacifico di qualsiasi situazione che, indipendentemente dalla sua origine, essa ritenga suscettibile di pregiudicare il benessere generale e le relazioni amichevoli tra le nazioni, ivi comprese le situazioni risultanti da una violazione delle disposizioni del presente Statuto che enunciano i fini ed i principi delle Nazioni Unite. L’unico vincolo a cui deve sottostare l’Assemblea generale nelle sue amplissime funzioni conciliative è dato dall’art. 12 che le impone di astenersi da ogni questione di cui si stia occupando il Consiglio di Sicurezza. ► Funzione conciliativa del Segretario ONU: sebbene non sussistano disposizioni statutarie che conferiscano tali funzioni, ad esclusione di una delega possibile effettuata dal Consiglio di Sicurezza o dall’Assemblea generale, deve ritenersi che tale funzione sia connaturata alla qualità di Segretario.
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