Margaret Mitchell VIA COL VENTO Traduzione di Ada Salvatore e Enrico Piceni 1936 by the McMillan Company Copyright renewed 1964 by Stephens Mitchell and Trust Company of Georgia as esecutor of the will of Margaret Mitchell Marsh Copyright renewed 1964 by Stephens Mitchell All rights reserved Protection under the Berne Universal and Buenos Aires Conventions Titolo originale: Gone with the wind 1937 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano I edizione Omnibus dicembre 1937. 7 edizioni I libri del Pavone I edizione Il Bosco ottobre 1967 7 edizioni Oscar narrativa I edizione Oscar classici moderni maggio 1989 ISBN 88-04-49601-0 Questo volume è stato stampato presso Mondadori Printing S.p.A Stabilimento NSM – Cles (TN) Stampato in Italia – Printed in Italy PARTE PRIMA 1 Rossella O' Hara non era una bellezza; ma raramente gli uomini se ne accorgevano quando, come i gemelli Tarleton, subivano il suo fascino. Nel suo volto si fondevano in modo troppo evidente i lineamenti delicati della madre - un'aristocratica della Costa, oriunda francese - con quelli rudi del padre, un florido irlandese. Ma era un viso che, col suo mento aguzzo e le mascelle quadrate, non passava inosservato. Gli occhi verde chiaro, senza sfumature nocciola, ombreggiati da ciglia nere e folte, avevano gli angoli volti leggermente all'insù. Le sopracciglia nere e folte piegavano anch'esse verso l'alto, tracciando una strana linea obliqua sulla sua candida pelle di magnolia - quella pelle così apprezzata dalle donne del Mezzogiorno, che la riparano con infinita cura dai raggi ardenti del sole della Georgia mediante cuffie, veli e mezzi guanti. Seduta tra Stuart e Brent Tarleton, in quel chiaro pomeriggio d'aprile del 1861, nell'ombra fresca del porticato di Tara, la piantagione di suo padre, ella formava davvero un grazioso quadretto. Il suo abito nuovo di mussolina verde a fiori si allargava in pieghe ondeggianti sulla gonna a cerchi ed armonizzava a perfezione con le scarpine di marocchino verde dal tacco basso che suo padre le aveva portato recentemente da Atlanta. L'abito fasciava mirabilmente il vitino di quaranta centimetri di circonferenza, il più sottile nelle tre contee, e disegnava il seno, abbastanza maturo per i suoi sedici anni. Malgrado la castità dell'amplissima gonna, la semplicità con cui i capelli erano intrecciati e raccolti in un nodo, la compostezza delle bianche mani congiunte nel grembo, la sua vera personalità non riusciva a celarsi. Gli occhi verdi erano vivacissimi nel visino dolce, pieni di volontà, avidi di vita, in assoluto contrasto col suo contegno riservato. Questo derivava dagli affettuosi consigli materni e dalla severa disciplina della bambinaia; ma gli occhi erano suoi ed erano indipendenti. Seduti a fianco della fanciulla, i gemelli stavano comodamente appoggiati alle spalliere delle loro sedie; socchiudevano alla luce del sole gli occhi muniti di occhiali montati in metallo e ridevano e chiacchieravano incrociando pigramente le lunghe gambe dai saldi muscoli di cavalcatori. Avevano diciannove anni, erano alti un metro e novanta; coi volti abbronzati e i capelli fulvi, gli occhi dall'espressione gaia e arrogante, vestiti di identiche giacche turchine e calzoni da cavalcare color mostarda si somigliavano come due piante di cotone. Fuori, il sole del tardo pomeriggio scendeva all'orizzonte e illuminava il cortile avvolgendo in una gloria di raggi gli alberi di corniolo che formavano solide masse di fiori bianchi su uno sfondo verde tenero. I cavalli dei gemelli, due grossi animali rossicci come i capelli dei loro padroni, zampavano sulla strada maestra; attorno a loro squittiva e saltellava la muta dei veltri magri e nervosi che accompagnava Stuart e Brent dovunque andassero. Un po' in disparte, con aria aristocratica, era sdraiato un grosso cane da pastore, che, col muso posato sulle zampe anteriori, aspettava pazientemente che i giovanotti andassero a casa per la cena. Fra i cani, i due cavalli e i due gemelli era un'affinità più profonda di quella derivante dall'essere sempre insieme. Erano tutti giovani animali sani, spensierati, graziosi e vivaci; i ragazzi focosi e temerari come i loro cavalli ma, con tutto ciò, docili e ubbidienti con chi sapeva come trattarli. Benché fossero nati fra le agiatezze della vita della piantagione e fossero stati serviti in tutto e per tutto sin dall'infanzia, i volti dei tre giovani seduti sotto al porticato non avevano l'aspetto languido né molle. Avevano piuttosto il vigore e la vivacità di coloro che hanno passato tutta la vita all'aria aperta e non si sono troppo occupati di malinconia e di libri. La vita nella contea di Clayton nella Georgia settentrionale era ancora agli inizi, né aveva lo sviluppo già raggiunto in Augusta, Savannah, Charleston. Le provincie meridionali più vecchie e più tranquille guardavano con un certo disdegno gli abitanti di quella parte della regione che confinava coi loro paesi; ma qui, nella parte settentrionale, la mancanza di certe finezze dell'educazione classica non era considerata una vergogna, purché questa fosse compensata dall'abilità nelle cose che più importavano. E queste erano: il coltivare del buon cotone, saper cavalcare, ballare con leggerezza, tirare al bersaglio, inchinarsi alle signore con eleganza e comportarsi come un gentiluomo di fronte ai liquori. Tutte cose in cui i gemelli eccellevano: ed essi erano ugualmente saldi nella loro notoria incapacità ad apprendere qualunque cosa fosse contenuta fra le pagine di un libro. La loro famiglia aveva più danaro, più cavalli e più schiavi di qualsiasi altra nel paese; ma i ragazzi avevano meno nozioni grammaticali di quante ne avesse la maggior parte dei loro poveri vicini. Questa la ragione per cui Stuart e Brent poltrivano sotto il porticato di Tara in quel pomeriggio d'aprile. Erano stati espulsi in quei giorni dall'Università di Georgia; la quarta Università che li metteva alla porta in due anni; i due fratelli maggiori, Tom e Boyd, erano tornati sempre a casa anche loro, non volendo rimanere in un istituto dove i gemelli non erano i benvenuti. Stuart e Brent consideravano la loro ultima espulsione come un bellissimo scherzo; e Rossella, che da quando aveva lasciato l'anno prima l'Accademia femminile di Fayetteville non aveva più aperto un libro, lo trovava anch'essa divertentissimo. - Sapevo che a voi due non importava nulla di essere espulsi; e neanche a Tom - disse. - Ma Boyd? È uno di quelli che tengono ad avere un'educazione, e voi due gli avete fatto lasciare le Università di Virginia, di Alabama e della Carolina del Sud; e ora quella di Georgia. Con questo sistema, non riuscirà mai a finire gli studi. - Oh, potrà leggere il codice nell'ufficio del giudice Parmalee a Fayetteville - rispose Brent incurante. Del resto, ciò non ha importanza. Tanto saremmo dovuti tornare a casa ad ogni modo, prima che fosse finito il corso. - Perché? - La guerra, sciocca! Può darsi che scoppi da un giorno all'altro; e non puoi supporre che qualcuno di noi resti in collegio mentre c'è la guerra! - Sai benissimo che la guerra non ci sarà - fece Rossella seccata. -Son tutte chiacchiere. Ashley Wilkes e suo padre hanno detto la settimana scorsa al babbo che i nostri commissari a Washington stanno per venire ad un... un... accordo amichevole col signor Lincoln riguardo alla Confederazione. E ad ogni modo, gli yankees hanno troppa paura di noi per combattere. Non ci sarà nessuna guerra ed io sono stufa di sentirne parlare. - Non ci sarà la guerra! - esclamarono indignati i gemelli come se qualcuno li avesse truffati. - Ti assicuro, tesoro, che la guerra ci sarà - affermò Stuart. - Può darsi che gli yankees abbiano paura di noi, ma dopo il modo con cui il generale Beauregard li ha messi fuori dal Forte Sumter l'altro ieri, bisognerà che si battano se non vogliono essere bollati come codardi dinanzi al mondo intero. La Confederazione... Rossella fece una smorfia di noia e di impazienza. - Se pronunciate ancora una volta la parola "guerra" me ne vado in casa e chiudo la porta. Nessuna parola in vita mia mi è mai parsa tanto insopportabile, se non la parola "secessione". Il babbo parla di guerra la mattina, a mezzogiorno e la sera, e tutti quelli che vengono a trovarlo non fanno che nominare il Forte Sumter e i Diritti di Stato e Abe Lincoln, finché mi sento così esasperata che avrei voglia di urlare! E poi vi sono anche tutti i ragazzi che ne parlano. In tutta la primavera non c'è stato nessun divertimento, nessuna riunione perché i giovinotti non possono parlare d'altro. Sono stata tanto contenta che almeno la Georgia abbia aspettato dopo Natale a separarsi altrimenti anche i ricevimenti natalizi sarebbero andati a monte. Se pronunciate ancora la parola "guerra" me ne vado in casa. E lo avrebbe fatto, perché era incapace di sopportare per molto tempo una conversazione di cui ella non fosse l'argomento principale. Ma sorrideva nel parlare, sicché sulle sue guance si formavano due graziose fossette, e le sue lunghe ciglia nere palpitavano come ali di farfalla. I ragazzi furono affascinati, com'ella aveva previsto, e si affrettarono a chiederle scusa per averla annoiata. La sua mancanza di interessamento non la diminuiva al loro occhi; essi pensavano che la guerra era una cosa che riguardava gli uomini e non le donne, e il suo atteggiamento parve anzi a loro una prova della sua femminilità. Essendo riuscita a sviarli dal noioso argomento della guerra ella tornò ad interessarsi della loro situazione immediata. - Che cosa ha detto la mamma del fatto che siete stati nuovamente espulsi? I ragazzi si sentirono a disagio, ricordando qual era stata la condotta della mamma tre mesi prima, quando essi erano tornati dall'Università di Virginia. - Veramente - disse Stuart - non ha ancora avuto occasione di dir nulla. Stamattina noi e Tom siamo usciti presto, prima che si alzasse; Tom si è fermato dai Fontaine mentre noi siamo venuti qui. - E ieri sera, quando siete arrivati, non ha detto nulla? - Oh, siamo stati fortunati. Poco prima del nostro arrivo, era stato portato il nuovo stallone che mammà si è procurato il mese scorso nel Kentucky, e tutti erano sottosopra. Quel bestione - è un gran cavallo, Rossella; devi dire a tuo padre di venirlo a vedere - aveva già dato un morso, cammin facendo, al garzone che lo aveva condotto e aveva calpestato due negri di mammà che erano andati all'arrivo del treno a Jonesboro. E pochi minuti prima del nostro arrivo aveva mezzo demolito la stalla a calci e quasi ammazzato Strawberry, il vecchio stallone di mammà. Abbiamo visto mammà fuori della stalla con un sacchetto di zucchero, che cercava di ammansirlo, e vi riusciva. I negri, tutti spaventati, stavano a guardare mammà che parlava col cavallo come se fosse una persona e gli dava da mangiare in mano. Nessuno sa trattare i cavalli come mammà. Quando ci ha visti ha detto: “In nome del cielo, che diamine siete tornati a fare a casa? Siete peggio delle piaghe d'Egitto!” Allora il cavallo cominciò a sbuffare e a impennarsi, e mammà a gridare: “Via, andate via! Non vedete che è nervoso, questo tesoro? Andate, mi occuperò di voi domattina!” Così ce ne andammo a letto e stamattina ci siamo alzati prima di lei e abbiamo lasciato Boyd a casa per parlarle. - Credi che lo picchierà? - Come tutti gli abitanti della Contea, Rossella non riusciva a capire come la piccola signora Tarleton trattasse così tirannicamente i figliuoli grandi e li percuotesse col suo frustino quando l'occasione lo richiedeva. Beatrice Tarleton era una donna attiva, che dirigeva non solo la sua grande piantagione di cotone, con un centinaio di negri, e otto figliuoli, ma anche il più grande allevamento di cavalli della contrada. Era di umor vivo e facilmente irritata dalle frequenti scappate dei suoi quattro figli; e, mentre a nessuno era permesso di frustare un cavallo o uno schiavo, ella riteneva che una bastonata ogni tanto non facesse alcun male ai ragazzi. - Oh, non lo batterà di certo. Non lo ha mai picchiato molto perché è il più vecchio ed è anche il nano della famiglia - riprese Stuart fiero del suo metro e novanta. - Perciò lo abbiamo lasciato a casa a darle le spiegazioni. Dio benedetto, mammà dovrebbe smetterla di frustarci! Abbiamo diciannove anni e Tom ne ha ventuno e lei ci tratta come se fossimo bambini di sei anni! - E cavalcherà il suo nuovo cavallo domani, alla riunione dei Wilkes? - Ne avrebbe il desiderio, ma il babbo dice che è troppo pericoloso. E poi, le ragazze non glielo permetteranno. Vogliono vederla intervenire almeno una volta a una riunione in carrozza, come una signora. - Speriamo che non piova, domani - proseguì Rossella; - da una settimana piove tutti i giorni. Non c'è niente di più noioso di una merenda fatta in casa. - Oh, sarà bel tempo e caldo come in giugno - affermò Stuart. -Guarda il tramonto: non ne ho mai visto di più rossi. Sai che dal tramonto si può sempre prevedere che tempo farà il giorno seguente. Guardarono verso l'orizzonte vermiglio, oltre gli sterminati campi di cotone di Geraldo O'Hara. Ora che il sole stava declinando avvolto di porpora dietro le colline al di là del fiume Flint, il calore della giornata d'aprile dava luogo a una piacevole frescura. La primavera era giunta in anticipo quell'anno, con piogge tepide e un improvviso spumeggiare di rosei fiori di pesco; i cornioli macchiavano di grosse chiazze candide la palude scura e le colline lontane. L'aratura era quasi terminata e la gloria sanguigna del tramonto dava ai solchi di rossa terra della Georgia una tinta anche più ardente. Il terriccio umido che attendeva avidamente i semi del cotone appariva roseo nel fondo sabbioso dei solchi, vermiglio, scarlatto e focato dove si stendevano le ombre sui lati dei fossati. La casa di pietra intonacata di bianco sembrava un'isola in un selvaggio mare purpureo, un mare le cui onde si fossero improvvisamente pietrificate nel momento in cui si frangevano. Perché quivi non erano solchi lunghi e dritti come si vedevano nel campi di argilla giallastra della piatta Georgia centrale o nella terra nera delle piantagioni che sorgevano sulla costa. L'ondulosa e collinosa campagna della Georgia settentrionale era lavorata in un'infinità di curve per impedire che la terra generosa franasse e andasse a finire in fondo al fiume. Era un terriccio di un violento colore sanguigno dopo le piogge, simile a polvere di mattone durante i periodi di siccità; la migliore del mondo per la coltivazione del cotone. Un piacevole paesaggio di case bianche, di campi tranquilli e ben lavorati, di pigri fiumi dall'acqua giallastra; ma pieno di contrasti, di sole abbagliante e di ombre dense. Le zone dissodate e le vaste estensioni di campi di cotone sorridevano a un sole caldo, placido e compiacente. Ai loro margini sorgevano le foreste vergini, fresche ed oscure anche nei meriggi più ardenti, misteriose, un po' sinistre, ove i pini sembravano attendere con secolare pazienza e mormorare minacciosi: “Badate! State attenti! Vi abbiamo avuti una volta. Possiamo riprendervi nuovamente.” All'orecchio dei tre sotto al porticato giunse uno strepito di zoccoli, un tintinnar di catene di bardature e il riso stridente dei negri, poiché lavoratori e mule tornavano dai campi. Dall'interno della casa si udì la voce dolce della madre di Rossella, Elena O'Hara, chiamare la bimba negra che portava il suo cestello di chiavi. La voce acuta infantile rispose: Eccomi, signora - e vi fu uno scalpiccio nel retro della casa, verso il luogo dove si conservavano i viveri affumicati e dove Elena doveva misurare il cibo per i coltivatori che tornavano a casa. Vi fu un acciottolio di porcellane e un tramestio di argenti quando Pork, il domestico-maggiordomo di Tara, apparecchiò la tavola per la cena. Udendo questi ultimi rumori, i gemelli si accorsero che era ora di muoversi per tornare a casa. Ma non avevano nessuna voglia di trovarsi di fronte alla madre e rimasero ancora a gingillarsi sotto al porticato aspettando da un momento all'altro che Rossella li invitasse a rimanere a cena. - A proposito, Rossella. E per domani? - cominciò Brent. - Non sarebbe giusto che essendo stati via e ignorando dell'invito e del ballo, dovessimo essere privati di ballare con te domani sera. Non avrai promesso tutti i balli, spero? - Sicuro che li ho promessi! Come potevo sapere che sareste tornati? Non potevo correre il rischio di rimanere a far tappezzeria per aspettarvi! - Tu, far tappezzeria! - i ragazzi risero saporitamente. - Senti, cara - riprese Brent. - Mi darai il primo valzer e darai l'ultimo a Stu; e cenerai con noi. Staremo seduti sulla scaletta dell'approdo come abbiamo fatto all'ultimo ballo e ci faremo dire nuovamente la buona ventura da Mammy Jincy. - Non mi piacciono le predizioni di Mammy Jincy. Sapete benissimo che ha detto che dovevo sposare un signore coi capelli nerissimi e lunghi baffi neri; e sapete che non mi piacciono gli uomini bruni. - Ti piacciono i fulvi, non è vero, gioia? - rise Brent. -Via, promettici tutti i valzer e la cena. - Se ce li prometti, ti riveliamo un segreto - soggiunse Stuart. - Quale? - esclamò Rossella, ansiosa come una bambina. - Quello che abbiamo saputo ieri ad Atlanta, Stu? Se è quello, sai che abbiamo promesso di non parlare. - Sicuro: ce l'ha detto la signorina Pitty. - La signorina chi? - Sai, quella cugina di Ashley Wilkes che sta ad Atlanta: la signorina Pittypat Hamilton; la zia di Carlo e di Melania Hamilton. - La conosco; non ho mai conosciuto una vecchia più stupida. - Ebbene: ieri mentre eravamo ad Atlanta aspettando il treno per venire qui, la incontrammo in carrozza; si fermò a parlarci e ci disse che domani sera al ballo di Wilkes verrà annunziato un fidanzamento. - Oh, lo so! - esclamò Rossella delusa. - Quell'idiota di suo nipote, Carletto Hamilton, con Gioia Wilkes. Lo sappiamo da anni che un giorno o l'altro dovevano sposarsi, benché lui sia abbastanza tiepido. - Credi che sia un idiota? - chiese Brent. - A Natale hai lasciato che ti ronzasse intorno parecchio. - Non potevo impedirgli di ronzare - e Rossella alzò le spalle negligentemente. - Ma credo che sia proprio uno scemo. - Del resto, non è il suo fidanzamento quello che sarà annunciato - dichiarò Stuart trionfante - ma quello di Ashley con la sorella di Carletto, Melania. Il volto di Rossella non mutò, ma le sue labbra si sbiancarono come capita a chi riceve un colpo violento senza preavviso e che nel primo momento, non si rende ben conto di quanto accade. La sua espressione era così calma che Stuart, poco osservatore; ritenne per certo che ella fosse soltanto sorpresa e molto incuriosita. - La signorina Pitty ci ha detto che non volevano annunciarlo ufficialmente fino all'anno venturo, perché Melania è stata poco bene; ma con le voci di guerra che ci sono in giro, le famiglie hanno pensato che era meglio sollecitare il matrimonio. Così il fidanzamento sarà annunciato domani sera, durante la cena. Ora che ti abbiamo detto il segreto, devi prometterci di cenare con noi. - Senza dubbio - rispose Rossella automaticamente. - E tutti i valzer? - Tutti. - - Sei un tesoro! Scommetto che gli altri saranno furenti. - Che ce ne importa? - disse Brent. - In caso l'avranno da fare con noi. Un'altra cosa, Rossella: domattina, a mangiare la porchetta, siedi accanto a noi. - Che cosa? - Stuart ripeté la domanda. - Va bene. I gemelli si guardarono giubilanti ma con una certa sorpresa. Benché si ritenessero i corteggiatori favoriti di Rossella, non avevano mai fino ad ora ottenuto così facilmente dei segni del suo favore. Di solito ella lasciava che pregassero e supplicassero, prendendoli in giro, rifiutando di dire un sì o un no, ridendo quando si imbronciavano, diventando glaciale quando si adiravano. Ed ora aveva promesso praticamente di trascorrer con loro tutta la giornata seguente: stare con loro durante quella colazione all'aperto in cui si mangiava la porchetta arrostita intera, e poi tutti i valzer (avrebbero pensato loro a far suonare soltanto dei valzer!) e la cena. Valeva la pena di farsi espellere dall'Università. Pieni di nuovo entusiasmo per il loro successo, si gingillarono parlando del pic-nic, del ballo e di Ashley Wilkes e di Melania Hamilton, interrompendosi l'un l'altro, scherzando e ridendo e cercando di farsi invitare a cena. Passò un po' di tempo prima che si accorgessero che Rossella non parlava. L'atmosfera era mutata. I gemelli non capirono perché, ma lo splendore del pomeriggio era scomparso. Sembrava che Rossella prestasse poca attenzione a ciò che essi dicevano, benché rispondesse correttamente. Intuendo qualche cosa che non riuscivano a comprendere, annoiati e contrariati, i gemelli esitarono alquanto; quindi si alzarono con riluttanza, guardando i loro orologi. Il sole era basso al di là dei campi arati, e i grandi boschi oltre il fiume apparivano più grandi nei loro neri profili. Le ombre dei comignoli spiccavano sul cortile; e galline, anatre, tacchini attraversavano i campi barcollando sulle gambe corte. Stuart urlò: - Jeems! - Dopo un istante un giovinotto negro della loro età, alto e robusto, corse ansante, girando attorno alla casa verso i cavalli legati. Era il loro servitore e, come i cani, li accompagnava dovunque. Era stato il compagno di giochi della loro infanzia, regalato poi ai gemelli, in loro proprietà, per il loro decimo compleanno. Vedendolo, i cani dei Tarleton si alzarono dalla rossa polvere e rimasero ad attendere i loro padroni. I ragazzi si inchinarono e strinsero la mano a Rossella dicendole che l'indomani mattina si sarebbero trovati di buon'ora ad attenderla dinanzi alla casa dei Wilkes. Quindi si affrettarono a raggiungere i loro cavalli, balzarono in sella e, seguiti da Jeems, si avviarono al galoppo lungo il viale di cedri, agitando i cappelli ed emettendo grida di saluto. Oltrepassata la curva della strada polverosa che li nascondeva alla vista di Tara, Brent fermò il suo cavallo sotto a una macchia di cornioli. Anche Stuart si fermò e il ragazzo negro rimase a qualche passo di distanza. I cavalli, sentendo che le redini erano lente, allungarono il collo a brucare le tenere erbette primaverili, e i cani pazienti si sdraiarono nuovamente nella soffice polvere rossa e guardarono con bramosa nostalgia il fumo dei comignoli che svaniva nel cielo crepuscolare. La larga faccia ingenua di Brent aveva un'espressione di stupore e di lieve indignazione. - Senti: non ti pare che avrebbe dovuto invitarci a cena? - disse a suo fratello. - Infatti - rispose Stuart. - Credevo che lo avrebbe fatto. Lo aspettavo. E invece non ci ha detto nulla. Che ne dici? - Niente. Ma mi pare che avrebbe dovuto invitarci. Dopo tutto, è il primo giorno che siamo a casa, e avevamo tante altre cose da dirle. - Quando siamo arrivati, mi è sembrato che fosse molto contenta di vederci. - E' sembrato anche a me. - E poi, circa mezz'ora fa, è diventata silenziosa come se avesse mal di capo. - Infatti; ma lì per lì non ci ho badato. Che cosa credi che avesse? - Non saprei. Abbiamo forse detto qualche cosa che l'ha irritata? Rimasero per un minuto a riflettere. - Non ne ho nessun'idea. Del resto, quando Rossella si irrita, se ne accorgono tutti. Non si comporta come le altre ragazze. - Sì, e questo è quello che mi piace in lei. Non diventa fredda e astiosa, ma dice le sue ragioni. Sarà qualche cosa che abbiamo fatto o detto che l'ha fatta diventare silenziosa e quasi annoiata. Giurerei che quando siamo arrivati è stata contenta e aveva l'idea d'invitarci a cena. - Non sarà perché siamo stati espulsi? - - Ma no! Non dire sciocchezze. Ha riso tanto quando glielo abbiamo raccontato... - E poi Rossella non ha maggior passione pei libri di quanta ne abbiamo noi. Si volse sulla sella e chiamò il negro. - Jeems! - Badrone? - Hai sentito di che cosa parlavamo con la signorina Rossella? - Mai più, Mister Brent! Come bensare che io stare a spiare signori bianchi? - Spiare! Voialtri negri sapete sempre tutto quello che succede. Del resto, bugiardo che sei, ti ho visto coi miei occhi gironzolare attorno al porticato e accoccolarti nel cespuglio del gelsomini accanto al muro. Dunque: ci hai sentito dire qualche cosa che può avere irritato la signorina Rossella o aver ferito i suoi sentimenti? Interrogato in questo modo, Jeems smise di fingere di non aver udito la conversazione e aggrottò la sua nera fronte. - Veramende io non essere accorto che aver detto niente che botere irritarla. Mi è sembrato che essere molto condenda di vedere miei badroni, ed essere felice come un uccellino fino a quando avere barlato del fidanzamento di Mister Ashley con miss Melly Hamilton. Allora essere diventata silenziosa come uccello quando vede volare falco. I gemelli si guardarono e annuirono, ma senza capire. - Jeems ha ragione. Ma non vedo perché - disse Stuart. - Dio mio! Ashley è soltanto un amico per lei. Non è innamorata di lui. E' innamorata di noi. Brent annuì. - Forse si sarà adirata perché Ashley non le ha dato la notizia prima che agli altri. Sono amici da tanti anni; e poi le ragazze tengono molto ad essere informate per prime di queste cose. - Può darsi. Ma che ci sarebbe di male? Doveva essere un segreto, una sorpresa... e uno ha bene il diritto di serbare il silenzio sul proprio fidanzamento, no? Noi non lo avremmo saputo se non ce lo avesse detto la zia di miss Melania. Ma Rossella doveva sapere che un giorno o l'altro ci sarebbe stato questo matrimonio. Noialtri, infatti, lo sapevamo da anni. I Wilkes e gli Hamilton si sposano sempre tra cugini. Tutti sapevano che l'avrebbe probabilmente sposata, come Gioia Wilkes sposerà il fratello di Melania, Carletto. - E va bene, sarà così. Ma mi secca che non ci abbia trattenuti a cena. Ti giuro che non ho nessuna voglia di andare a casa e sentire quello che dirà la Mamma per la nostra espulsione. Non è la prima volta! - Forse a quest'ora Boyd l'avrà calmata. Ci riesce sempre, con le sue chiacchiere, quel vermiciattolo! - Sì, ci riesce, ma gli ci vuole del tempo. Parla, parla finché la confonde e allora la Mamma gli dice che la smetta e si risparmi la voce per quando farà l'avvocato. Ma in queste poche ore non è stato certo possibile. Scommetto che la Mamma è così eccitata per il suo nuovo cavallo che non si ricorderà neppure che siamo tornati, finché non siederà a cena e vedrà Boyd. E prima che la cena sia finita farà fuoco e fiamme. Arriveranno le dieci prima che Boyd trovi il momento opportuno per dirle che non sarebbe stato onorevole che uno della famiglia fosse rimasto in collegio dopo che il rettore ha trattato te e me in quel modo. E ci vorranno due ore perché Boyd le faccia cambiare umore; a mezzanotte sarà diventata furibonda contro il rettore e chiederà a Boyd perché non lo ha ammazzato. No, non possiamo andare a casa prima di mezzanotte. I gemelli si guardarono cupamente. Non avevano paura dei cavalli selvaggi, delle risse e delle questioni che finivano a rivoltellate, ma avevano un sacro terrore delle sgridate della loro fulva genitrice e dello scudiscio che ella maneggiava senza ritegno. - Facciamo una cosa - riprese Brent. - Andiamo dai Wilkes. Ashley e le ragazze saranno contenti di averci a cena. Stuart crollò il capo, sconfortato. - No, non ci possiamo andare. Saranno sottosopra a preparar tutto per domani; e poi... - Oh, non ci pensavo più - interruppe Brent. - Hai ragione; non ci andiamo. Diedero la voce ai cavalli e per un po' di tempo cavalcarono in silenzio; sulle abbronzate guance di Stuart era apparso un rossore di imbarazzo. Fino all'estate precedente Stuart aveva fatto la corte a Lydia Wilkes con l'approvazione di entrambe le famiglie e dell'intera contea. Tutti pensavano che la fredda e contegnosa Lydia avrebbe prodotto su lui l'effetto di un calmante. O almeno, lo speravano vivamente. E Stuart l'avrebbe sposata volentieri; ma Brent non approvò. Lydia gli piaceva, ma la trovava troppo semplice e innocua; impossibile innamorarsene anche lui, per far compagnia a Stuart. Era la prima volta che i gemelli non la pensavano allo stesso modo; e Brent era seccatissimo che suo fratello avesse delle attenzioni verso la fanciulla che a lui sembrava insignificante. E poi, l'estate precedente era accaduto che a una riunione politica che aveva luogo in un boschetto di querce, tutti e due avevano improvvisamente notato Rossella O'Hara. La conoscevano da molti anni e fin dalla loro infanzia era stata una delle compagne di giochi preferite, perché era capace di andare a cavallo e di arrampicarsi sugli alberi quasi tanto bene quanto loro. Ma adesso, con loro sorpresa, era diventata una giovine donna; ed era la più graziosa e la più simpatica del mondo. Per la prima volta si erano accorti che i suoi occhi verdi erano e mobilissimi, che quando rideva faceva le fossette, che aveva mani e piedi piccini e una vita sottile. Queste loro osservazioni l'avevano fatta ridere clamorosamente e, solleticati dall'idea che essa li riteneva una coppia notevole, i due avevano sorpassato se stessi. Era stata una giornata memorabile nella vita dei gemelli. In seguito, ogni qualvolta ne parlavano, essi si chiedevano sempre come mai non avevano prima d'allora notato le qualità di Rossella. E non riuscivano a trovare la soluzione dell'enigma; cioè che Rossella aveva deciso, quel giorno, di farsi notare da loro. Ella era costituzionalmente incapace di sopportare che un uomo - chiunque fosse - si innamorasse di una donna che non era lei; e la vista di Lydia Wilkes che discorreva con Stuart era stata intollerabile per il suo carattere rapace. Non contenta del solo Stuart, aveva gettato l'amo anche a Brent, ed era riuscita nel suo intento con una perfezione che sbalordiva entrambi i giovani. Ora erano tutti e due innamorati di lei, e tanto Lydia Wilkes quanto Enrichetta Munroe, di Lovejoy, a cui Brent aveva fatto una corte discreta, erano ben lontane dalla loro mente. Essi non si chiedevano quale sarebbe stato il perdente, qualora Rossella avesse scelto uno dei due. Avrebbero superato questa difficoltà quando fosse giunto il momento. Per ora erano contenti di essere nuovamente d'accordo sul conto della fanciulla, poiché fra loro non esisteva gelosia. Era una situazione che divertiva il vicinato e infastidiva la loro madre, la quale non aveva alcuna simpatia per Rossella. - Vi starà bene, se quella furbacchiona accetta uno di voi - soleva dire. - Oppure, può darsi che vi accetti entrambi, e allora dovrete andare a stare a Utah, se i mormoni vorranno accogliervi... cosa di cui dubito... Quello che mi preoccupa è che un bel giorno vi picchierete perché sarete gelosi uno dell'altro a causa di quella piccola e falsa creatura dagli occhi verdi, e vi ammazzerete. D'altronde, anche questa non sarebbe una cattiva idea. Dal giorno della riunione politica, Stuart si era sempre trovato a disagio dinanzi a Lydia. Non che essa gli avesse mai mosso alcun rimprovero o avesse rivelato in qualche modo di essersi accorta del suo mutamento. Era troppo signora per farlo. Ma Stuart si sentiva colpevole verso di lei. Sapeva di essere riuscito a farsi amare e che Lydia lo amava ancora; e, nel profondo del cuore, sentiva di non essersi comportato da gentiluomo. Continuava a trovarla molto simpatica e la rispettava per il suo contegno freddo ed educato, per la sua istruzione e per tutte le sue qualità. Ma, accidenti, era sempre così pallida e poco interessante e monotona, paragonata al fascino brillante e mutevole di Rossella. Con Lydia si sapeva sempre a che punto si era, mentre con Rossella non lo si sapeva mai. Questo poteva portare un uomo alla demenza, ma aveva il suo fascino. - Allora, andiamo da Cade Calvert e ceniamo da lui. Rossella ha detto che Caterina è tornata da Charleston. Forse avrà qualche notizia di Forte Sumter che ancora ignoriamo. - Caterina? Sono pronto a scommettere due contro uno che non sa neppure che il Forte era sopra al porto, e tanto meno che era pieno di yankees prima che noi li scacciassimo. Lei sa soltanto parlare dei balli a cui è stata e dei corteggiatori di cui ha fatto collezione. - Ad ogni modo, quando chiacchiera è divertente. Ed è un modo di passare il tempo finché mammà sarà andata a letto. - E va bene, perbacco! Caterina è simpatica e piacevole, e sarò contento di aver notizie di Carolo Rhett e dell'altra gente di Charleston; ma che il diavolo mi porti se tollero di mangiare ancora una volta avendo a tavola quella yankee della sua matrigna. - Non essere così aspro verso di lei, Stuart. È piena di buone intenzioni. - Non sono aspro. È una donna che mi fa pena, ma non mi piace la gente che mi fa pena. E poi continua a girare intorno, cercando di fare del suo meglio perché uno si senta come a casa sua; ma riesce sempre a fare e dire tutto il contrario di quello che dovrebbe. Mi dà ai nervi! E crede che i meridionali siano selvaggi. Lo ha detto alla mamma. Ha paura della gente del Sud. Quando siamo da lei, è terrorizzata. Mi dà l'idea di una gallina pelle e ossa, arrampicata su una sedia, con gli occhi brillanti e spauriti, pronta a starnazzare e schiamazzare al più piccolo movimento dei presenti. - Dopo tutto, non puoi biasimarla. Ricordati che hai ferito Cade in una gamba. - Ero esasperato perché ero stato picchiato, altrimenti non lo avrei fatto. E Cade non me ne ha serbato alcun rancore. E neanche Catina, né Raiford, né il signor Calvert. Solo quella matrigna yankee ha strepitato dicendo che ero un selvaggio e che le persone perbene non potevano stare in mezzo a questi meridionali incivili. - Non si può darle torto. È yankee ed ha avuto un'ottima educazione; e poi, hai ferito il suo figliastro.- Vai all'inferno! Non è una buona ragione per insultarmi. Tu sei figlio, vero figlio, di mammà; ma si è forse risentita quella volta che Tony Fontaine ti ha ferito alla gamba? Niente affatto; si limitata a mandare a chiamare il vecchio dottor Fontaine per medicarti e gli chiese come mai Tony mirasse così male. E disse che secondo lei le frustate danneggiavano l'abilità di un tiratore. Ti ricordi come si infuriò Tony per questo? I due ragazzi risero saporitamente. - La mamma è un tipo! - approvò affettuosamente Brent. - Si può sempre essere sicuri che sa come regolarsi e che non vi fa mai fare brutta figura di fronte agli estranei. - Sì; ma è capacissima di farci fare una figura pessima dinanzi al babbo e alle ragazze stasera quando arriviamo a casa - replicò Stuart abbattuto. - Sono sicuro, Brent, che in questo modo non riusciremo ad andare in Europa. Sai che la mamma ha detto che se ci facevamo espellere da un altro collegio non avremmo fatto il nostro viaggio. - Beh! E che ce n'importa? Che c'è da vedere in Europa? Scommetto che quegli stranieri non hanno da mostrarci nulla che noi non abbiamo già in Georgia. I loro cavalli non sono più veloci dei nostri né le loro ragazze più graziose; e sono sicuro che il loro whisky di segala non può stare a paragone di quello del babbo. - Ashley Wilkes ha detto che hanno un'infinità di teatri e di musica. Ad Ashley l'Europa piace molto. Non fa che parlarne. - Oh, sai bene come sono i Wilkes. Smaniosi di libri, di teatri, di musica. Mammà dice che è perché il loro nonno veniva dalla Virginia, e i Virginiani attribuiscono un grande valore a queste cose. - Beh, facciano pure. Quanto a me, con un buon cavallo e un buon liquore e una brava ragazza da corteggiare e un'altra... non brava con la quale divertirmi, sto benone qui come in Europa! Che ce n'importa di non fare il viaggio? Figurati, se fossimo in Europa adesso e scoppiasse la guerra? Non avremmo altro pensiero che di tornare a casa al più presto. Preferisco infinitamente andare alla guerra che in Europa. - Anch'io, il giorno in cui... Oh, senti! Ho pensato dove possiamo andare a cena. Attraversiamo la palude e andiamo a dire ad Abele Winder che siamo tornati tutti e quattro e siamo pronti per le esercitazioni militari. - Ottima idea! - esclamò Brent con entusiasmo. - Sapremo così tutte le notizie dello squadrone, e che colore hanno scelto finalmente per le uniformi. - Se sono uniformi da zuavo, mi faccio impiccare piuttosto che andare a fare il soldato! Con quei calzoni larghi, rossi, mi sembrerebbe di essere una donnetta. Somigliano alle mutande da donna di flanella rossa. - Badroni avere intenzione di andare da Mist' Wynder? - Chiese Jeems. - Perché se avere quest'idea, gredo che non trovare molto da mangiare. Loro guoco morto e non avere angora gombrato altro. Fare gucinare da una donna, e un negro avere detto che essere peggiore guoca di tutta regione. - Dio benedetto! E perché non lo hanno comprato? - Gosa volere che può gombrare bovero bianco straccione? Non avere mai avuto molti negri e non di buona razza. Nella voce di Jeems era uno schietto disprezzo. Egli era sicuro della propria condizione sociale, perché i Tarleton possedevano cento negri, e - come tutti gli schiavi delle grandi piantagioni - guardava dall'alto in basso i piccoli coltivatori che possedevano pochi schiavi. - Bada che ti levo la pelle! - gridò Stuart irritato. - Non ti permetto di chiamare Abele Wynder un "bianco straccione". Sarà povero, ma non straccione. E nessuno dei miei uomini, nero o bianco che sia, deve arrischiarsi a parlar male. Non vi è uomo migliore nella Contea; altrimenti perché lo squadrone lo avrebbe eletto luogotenente? - Non avere mai dubitato, badrone - riprese Jeems senza scomporsi per la sfuriata del suo padrone. Ma io bensare che loro fare meglio scegliere ufficiali fra giovani ricchi invece che fra miserabili della palude. - Non è un miserabile! Vorresti forse paragonarlo ai bianchi veramente poveri, come gli Slattery? Soltanto, non è ricco. È un piccolo coltivatore, non un piantatore in grande; e se i ragazzi, hanno avuto tanta stima di lui da eleggerlo luogotenente, nessun negro può arrischiarsi a parlarne impudentemente. Lo squadrone sa quello che fa. Lo squadrone di cavalleria era stato organizzato tre mesi prima, lo stesso giorno in cui la Georgia si era separata dall'Unione: da allora, però, le reclute non avevano più molta speranza che si facesse la guerra. Il reparto non aveva ancora un nome, benché non mancassero i suggerimenti: ciascuno aveva un'idea in proposito e non aveva voglia di rinunciarvi; come ciascuno aveva anche un'idea intorno al colore e alla foggia delle uniformi. "I gatti selvaggi di Clayton" - "I mangiatori di fuoco" "Zuavi" "Fucilieri dell'Interno" (benché lo squadrone dovesse essere armato di pistole, sciabole, pugnali e non di fucili) "Gli sterminatori" - "Rapidi e violenti - tutti avevano i loro aderenti. Ma finche non si prendeva una decisione, tutti parlavano dell'organizzazione come dello squadrone e malgrado il nome sonoro finalmente adottato, esso fu conosciuto sino alla fine come "Lo Squadrone". Gli ufficiali erano eletti dai membri, perché nessuno nella Contea aveva esperienza militare, ad eccezione di pochi veterani delle guerre col Messico e coi Seminoli; d'altronde, lo Squadrone avrebbe disprezzato un veterano come capo, se non lo avesse personalmente amato e stimato. Tutti quanti avevano simpatia per i quattro ragazzi Tarleton e per i tre Fontaine, ma purtroppo non li avevano potuti eleggere, perché i Tarleton erano troppo vivaci e amavano far delle mattane e i Fontaine avevano un carattere troppo impetuoso e attaccabrighe. Ashley Wilkes era stato eletto capitano perché era il miglior cavallerizzo della Contea e perché si faceva assegnamento sulla sua calma per mantenere un poco d'ordine; Raiford Calvert era stato fatto primo luogotenente perché tutti gli volevano bene, e Abele Wynder, figlio di un cacciatore delle paludi e piccolo coltivatore per conto suo, era stato nominato secondo luogotenente. Abele era un gigante, grave, furbo, illetterato, pieno di cuore, maggiore di età degli altri ragazzi, ma altrettanto educato, e anche di più, in presenza delle signore. Vi era poco snobismo nello Squadrone. Troppi, fra i padri e i nonni dei componenti, erano arrivati alla loro attuale situazione cominciando con l'essere dei piccoli coltivatori. Inoltre, Abele era il più bravo tiratore dello Squadrone, un vero puntatore che colpiva la testa di uno scoiattolo a settanta metri; ed era pratico di vita all'aperto, capace di accendere il fuoco sotto la pioggia, di scoprire sorgenti, di catturare animali. Lo Squadrone si inchinava dinanzi al merito; e siccome avevano anche simpatia per lui, lo nominarono ufficiale. Egli accettò l'onore gravemente senza eccessiva ritrosia, come se gli fosse dovuto. Ma le mogli e gli schiavi dei piantatori non potevano lasciar passare il fatto che egli non era nato gentiluomo, benché i loro signori e padroni lo trascurassero. Da principio, lo Squadrone era stato reclutato soltanto tra i figli dei piantatori: una truppa di signori, ciascuno dei quali provvedeva il proprio cavallo, l'equipaggiamento, l'uniforme e l'attendente. Ma i ricchi piantatori non erano numerosi nel giovine paese di Clayton; e per mettere assieme uno squadrone degno di tal nome si era dovuto estendere il reclutamento anche ai figli dei piccoli coltivatori, ai cacciatori della foresta, a quelli che tendevano i lacciuoli nelle paludi, e, in pochissimi casi, anche ai bianchi poveri, se erano al disopra della media della loro classe. Questi ultimi giovinotti erano ansiosi di combattere contro gli inglesi - il giorno in cui scoppiasse la guerra - non meno dei loro ricchi vicini; ma vi era la delicata questione del denaro. Ben pochi fra i piccoli coltivatori possedevano cavalli. Per i lavori della loro proprietà si servivano di muli; e anche di questi, non ne avevano d'avanzo: raramente più di quattro. Non si poteva privarsene per mandarli in guerra, anche se lo Squadrone li avesse accettati, ciò che non avvenne. Quanto ai rifiuti bianchi della palude, questi stimavano di essere già in condizione abbastanza buona quando possedevano una mula. I cacciatori della foresta e quelli della palude non avevano né cavalli né muli. Essi vivevano esclusivamente dei prodotti della loro terra e di caccia, commerciavano generalmente col sistema degli scambi e vedevano raramente cinque dollari in un anno; quindi cavalli e uniformi erano per loro irraggiungibili. Ma erano tanto orgogliosi nella loro povertà quanto i piantatori nella loro ricchezza; e non avrebbero accettato nulla, da quelli, che potesse apparire un'elemosina. Così, per salvaguardare i sentimenti di tutti e per dare allo Squadrone tutta la necessaria efficienza, il padre di Rossella, John Wilkes, Buck Munroe, Giacomo Tarleton, Ugo Calvert, tutti, insomma, i grandi piantatori della Contea con l'unica eccezione di Angus MacIntosh, si erano quotati per equipaggiare completamente lo Squadrone: uomini e cavalli. L'essenza dell'affare fu che ogni piantatore convenne di pagare l'equipaggiamento dei propri figli e di un certo numero di altri; ma la cosa fu trattata in modo che i membri meno ricchi potettero accettare cavalli ed uniformi senza offesa per il loro onore. Lo Squadrone si riuniva due volte la settimana a Jonesboro per fare le esercitazioni e pregare che la guerra cominciasse. Non erano ancora state completate le disposizioni per procurare tutti i cavalli occorrenti, ma quelli che avevano già i cavalli compivano ciò che immaginavano fossero manovre di cavalleria, dietro al Tribunale, sollevando un'enorme quantità di polvere, emettendo grida rauche e agitando le sciabole della Guerra Rivoluzionaria che erano state staccate dalle pareti del salone. Quelli che non avevano ancora il cavallo sedevano sull'orlo del marciapiedi dinanzi alla bottega di Bullard, e osservavano i loro camerati, masticando tabacco e raccontando delle storie. Oppure facevano delle gare di tiro. Non occorreva insegnare a nessuno a tirare a segno. La maggior parte dei meridionali era nata col fucile in mano; e la vita del cacciatore aveva fatto di tutti loro dei tiratori scelti. Dalle case dei piantatori e dalle capanne fra le paludi venne fuori una quantità di armi da fuoco svariate. Lunghi fucili da caccia che datavano dall'epoca della prima traversata degli Alleghany, vecchi tromboni ad avancarica, pistole da cavallo che erano servite nel 1812, pistole da duello con l'impugnatura ageminata d'argento, pistole a canna corta, moschetti a doppia canna e carabine inglesi di nuovo modello, col calcio di legno prezioso. Le esercitazioni terminavano sempre nei saloni di Jonesboro e al cader della notte erano già scoppiate tante risse, che gli ufficiali avevano il loro da fare per evitare ferimenti prima che questi fossero inflitti dagli inglesi. Era stato durante uno di questi tafferugli che Stuart Tarleton aveva ferito Cade Calvert e Tony Fontaine aveva ferito Brent. I gemelli erano appena tornati a casa, espulsi dall'Università di Virginia; lo Squadrone era stato organizzato in quei giorni ed essi avevano aderito con entusiasmo; ma dopo la rissa, avvenuta due mesi prima, la madre li aveva impacchettati e spediti all'Università statale, con l'ordine di non muoversi. Durante la loro assenza, essi avevano penosamente sentito la mancanza dell'eccitazione data dagli esercizi militari; ritenevano che la loro educazione fosse incompleta se non potevano cavalcare, gridare e sparar fucilate in compagnia dei loro amici. - Bene, allora andiamo da Abele - concluse Brent. Attraversando il fiume degli O'Hara e il prato dei Fontaine, arriviamo in un momento. - Non drovare nulla di mangiare; solo garne di sariga e un po' di legumi - obbiettò Jeems. - Tu non avrai un bel niente - sghignazzò Stuart. - Andrai a casa ad avvertire la mamma che non torniamo a cena. - Oh no, no! - esclamò Jeems spaventato. - No, no! non piacere assaggiare scudiscio di miss Beatrice più forte che con badroni! Brima di tutto lei arrabiarsi con me perché badroni nuovamente espulsi. E poi, perché io non avervi fatti tornare a casa stasera e lei potervi dare grossa lezione. E poi diventare furia come se tutto questo essere colpa mia e frustarmi forte. Se non volete portarmi da mist' Wynder, io restare nei boschi tutta la notte e forse guardie pattuglie prendere povero Jeems, ma io preferire guardie piuttosto che miss Beatrice quando essere infuriata. I gemelli guardarono con perplessità e indignazione il risoluto ragazzo negro. - Sarebbe capace davvero di farsi prendere dalle guardie, e questo darebbe argomento ai discorsi di mammà per qualche settimana. Giuro che i negri sono un bel fastidio. A volte penso che gli abolizionisti abbiano ragione. - In fondo, non è giusto fare affrontare a Jeems quello che non vogliamo affrontare noi. Lo porteremo con noi. Ma guarda, negraccio impudente, che se ti sogni di darti delle arie coi negri di Wynder e di raccontar loro che da noi si mangia pollo e prosciutto mentre loro non hanno che coniglio e sariga, ti... lo dirò alla mamma. E non ti faremo neanche venire alla guerra con noi. - Arie? Io darmi arie con quei miserabili? No, badrone; io avere educazione! E miss Beatrice avermi insegnato modo di gomportarmi come avere insegnato a tutti voi. - Non ha avuto un gran risultato con nessuno dei tre - rise Stuart. - Via, andiamo. Diede la voce al suo cavallo rossiccio e spronandolo leggermente gli fece saltare con facilità lo steccato divisorio della proprietà di Geraldo O'Hara, e si trovò nel soffice campo. Il cavallo di Brent lo seguì e dopo di lui quello di Jeems, col negro afferrato alla criniera e al pomo della sella. A Jeems non piaceva saltare gli ostacoli; ma ne aveva saltato anche dei più alti per seguire i suoi padroni. Mentre si avviavano attraverso i solchi purpurei e scendevano la collina verso il fiume nel crepuscolo che diventava sempre più cupo, Brent gridò a suo fratello: - Senti un po', Stu! Non ti pare che Rossella avrebbe dovuto invitarci a cena? - Infatti credevo che lo facesse – gridò a sua volta Stuart. - Ma perché...2 Quando i gemelli lasciarono Rossella sotto al porticato di Tara e l'ultimo scalpitar di zoccoli fu spento, ella tornò alla sua poltrona col passo di una sonnambula. Il suo volto era rigido, e la bocca le doleva perché involontariamente l'aveva sforzata a sorridere per evitare che i gemelli comprendessero il suo segreto. Piombò a sedere, con una gamba ripiegata sotto di sé, e le sembrò che il suo cuore si gonfiasse di disperazione fino ad essere troppo grande per il suo affetto. Lo sentiva battere a piccoli colpi bizzarri; aveva le mani fredde e un senso di sciagura la opprimeva. Nel suo volto era un'espressione di pena e di sbalordimento; lo sbalordimento di una bambina viziata che aveva sempre avuto tutto ciò che voleva, ed ora per la prima volta si trovava a contatto con quello che la vita ha di spiacevole. Ashley sposava Melania Hamilton! Oh, non poteva esser vero! I gemelli s'ingannavano. Le avevano fatto uno dei loro soliti scherzi. Ashley non poteva, no, non poteva essere innamorato di quell'altra. Nessuno poteva innamorarsi di un topolino come Melania. Rossella ricordò con sdegno la figuretta infantile di Melania, il suo volto triangolare dall'espressione seria e semplice. E Ashley non poteva averla vista in questi ultimi mesi. Non era stato ad Atlanta più di due volte dopo il ricevimento che avevano dato l'anno scorso alle Dodici Quercie. No, Ashley non poteva essere innamorato di Melania, perché - oh, in questo non s'ingannava! perché era innamorato di lei. Lei, Rossella, era la sola amata; lo sapeva! Udì il passo pesante di Mammy sul pavimento del vestibolo e si affrettò ad allungare la gamba e a cercare di dare al suo volto un espressione più tranquilla. Non bisognava che Mammy sospettasse che qualche cosa non andava bene. Mammy apparteneva agli O'Hara corpo e anima e i loro segreti erano i suoi segreti; bastava un'ombra di mistero per metterla sulla traccia, instancabilmente come un segugio. Rossella sapeva per esperienza che se la curiosità di Mammy non era immediatamente soddisfatta, essa ne avrebbe parlato ad Elena, e allora la fanciulla sarebbe stata costretta a rivelare tutto a sua madre o a cercare una menzogna plausibile. Mammy emerse dal vestibolo; una grossa vecchia con occhi piccoli e scuri come quelli di un elefante. Era di un nero lucido, puro africano, devota agli O'Hara fino all'ultima goccia del suo sangue, la mano destra di Elena, la disperazione delle sue tre figliole, il terrore delle altre persone di servizio. Mammy era negra, ma il suo codice di condotta e il suo senso di orgoglio era tanto alto quanto quello dei suoi proprietari, se non di più. Era stata allevata nella camera da letto di Solange Robillard, madre di Elena O'Hara: una francese fredda, schizzinosa, altera, che non risparmiava né ai suoi figli né ai suoi servi la giusta punizione per qualsiasi infrazione al decoro. Era stata la nutrice di Elena, ed era venuta con lei da Savannah quando ella si era sposata. Mammy ben castigava chi ben amava. E siccome il suo amore per Rossella e il suo orgoglio di lei erano enormi, i castighi erano quasi continui. - Essere andati? Come mai non averli fatti rimanere a cena? Io avere detto a Pork di mettere due coperti di più per loro. Dove essere tuoi cavalieri? - Oh, ero così stanca di sentirli parlare di guerra che non avrei potuto sopportarli anche a cena, specialmente con papà che si sarebbe unito a loro per strepitare contro Lincoln. - Tu avere tanta educazione quanto una gallina; dopo che Miss Elena mi avere fatto tanto faticare con te! E stare qui fuori senza scialle! A momenti cadere la notte. Ti avere detto tante volte che viene febbre se stare fuori di notte senza nulla sulle spalle. Venire subito in casa, Miss Rossella. Rossella si volse con studiata noncuranza, felice che nella sua preoccupazione per lo scialle, Mammy non avesse osservato il suo viso. - No, ho voglia di stare qui a contemplare il tramonto. E' così bello. Vai a prendermi lo scialle, ti prego, Mammy: starò qui finché papà torna a casa. - Avere voce come se ti venire raffreddore - fece Mammy sospettosa. - Ma no! - esclamò Rossella con impazienza. - Vai a prendermi lo scialle. Mammy attraversò il vestibolo barcollando e Rossella la udì che chiamava, dal basso delle scale, la cameriera che era al piano superiore. - Rosa! buttami giù lo scialle di Miss Rossella! - Poi, a voce più alta: - Fannullona di una negra! Non essere mai dove dev'essere e non fare nulla di buono. Mi toccare salire a prenderlo io stessa. La fanciulla udì la scala cigolare e si alzò in piedi leggermente. Certamente Mammy ritornando avrebbe ripreso la predica sulla mancanza di ospitalità della fanciulla; e questa sentiva che non avrebbe potuto sopportare altre chiacchiere su un argomento così volgare, mentre il suo cuore si spezzava. Rimase in piedi, esitante, chiedendosi dove poteva nascondersi finché la pena del suo cuore fosse diminuita un poco; le venne un'idea che le diede un barlume di speranza. Suo padre era andato quel pomeriggio a cavallo alle Dodici Quercie, la piantagione dei Wilkes, per combinare con loro l'acquisto di Dilcey, la mulatta moglie del suo servo Pork. Dilcey era capo delle donne e levatrice alle Dodici Quercie e fin dal suo matrimonio, avvenuto sei mesi prima, Pork aveva supplicato giorno e notte il suo padrone di comperare Dilcey, a fine di poter vivere entrambi nella stessa piantagione. Quel giorno Geraldo, avendo ceduto, era andato a fare un'offerta per Dilcey. Certamente, pensò Rossella, papà saprà se questa terribile storia è vera. Anche se non gli hanno detto nulla, forse si sarà accorto di qualche cosa, avrà notato una certa eccitazione nei Wilkes. Se posso vederlo da solo prima di cena, gli tirerò fuori la verità: cioè che si tratta di uno dei soliti scherzi malvagi dei gemelli. Era l'ora del ritorno di Geraldo; e se voleva vederlo solo, la miglior cosa per lei era di andargli incontro, dove il viale sboccava nella strada. Discese tranquillamente i gradini dinanzi alla casa, e si volse a guardare attentamente per assicurarsi che Mammy non la osservasse dalle finestre del primo piano. Non vedendo nessuna faccia nera avvolta in un candido turbante che la rimirasse disapprovando tra le cortine, sollevò audacemente la sua gonna verde a fiori e si affrettò lungo il viale, con la velocità consentitale dalle scarpine chiuse da nastri incrociati. Ai due lati del viale inghiaiato i rami dei cupi alberi di cedro s'incontravano formando un arco che trasformava il viale in una galleria. Appena ella si trovò sotto i rami nodosi degli alberi, sicura di non essere più vista dalla casa, rallentò il passo. Sospirava perché le scarpine erano allacciate troppo strettamente per consentirle di correre, ma camminava più rapidamente che poteva. In breve fu all'estremità del viale e uscì sulla strada principale, ma non si fermò finché non ebbe girato la curva che metteva fra lei e la casa una grande macchia di alberi. Ansante e rossa in volto, sedette su un tronco per aspettare suo padre. Era già in ritardo, ma ella ne fu contenta perché questo le dava tempo di calmare l'affanno e di dare al suo volto un'espressione tranquilla in modo da non destare sospetti. Da un momento all'altro si attendeva di udire lo scalpitare del suo cavallo e di vederlo discendere la collina con la sua solita fantastica velocità. Ma i minuti passavano e Geraldo non giungeva. Ella guardava la strada, col cuore che ricominciava a dolerle. "Oh; non può essere vero!" pensò. "Perché non viene?" I suoi occhi erano fissi sulla strada di un rosso sanguigno dopo la pioggia della mattina. Ricostruiva col pensiero il tragitto: lo vedeva discendere la collina sino al pigro fiume Flint e poi attraversare le paludi sino all'altra collina dov'erano le Dodici Querce e dove Ashley viveva. Quella strada ora non aveva altra importanza se non quella di essere la strada che conduceva verso Ashley e verso la bella casa a colonne bianche che incoronava la collina come un tempio greco. "Oh, Ashley, Ashley!" pensò; e il suo cuore batté più rapido. Il freddo senso di sgomento e di stupore che l'aveva oppressa da quando i ragazzi Tarleton avevano parlato, fu respinto da lei nel fondo del suo cuore; e al suo posto risorse la febbre che la possedeva da due anni. Ora era stupita che Ashley non le fosse sembrato così attraente durante la sua adolescenza. Nei giorni dell'infanzia lo aveva visto andare e venire senza badargli. Ma da quel giorno, due anni prima, quando Ashley, tornato dal suo viaggio di tre anni in Europa, era venuto a far visita ai suoi genitori, lo aveva amato. Una cosa semplicissima. Si trovava sotto il porticato mentre egli giungeva a cavallo lungo il viale, vestito di grigio, con una grande cravatta nera sulla camicia pieghettata. Ricordava ancora ogni particolare del suo abbigliamento, il cammeo con la testa di Medusa sulla cravatta, le scarpe lucide, l'ampio cappello di panama che si era tolto immediatamente vedendola. Era smontato, aveva lanciato le redini a un bambinetto negro, ed era rimasto a guardarla coi suoi grandi occhi grigi, pigri e sorridenti; il sole brillava sui suoi capelli biondi in modo da farli sembrare un elmo di lucido metallo. Aveva esclamato: - Come siete cresciuta, Rossella! E, dopo aver salito leggermente i gradini, le aveva baciato la mano. E la sua voce! No, ella non dimenticherebbe mai il balzo del suo cuore nell'udirla, languida e musicale, come se fosse la prima volta. Lo aveva desiderato in quel primo momento, desiderato semplicemente e irragionevolmente, come desiderava il cibo per nutrirsi, un cavallo per cavalcare e un morbido letto per dormire. Per due anni egli le aveva fatto da cavaliere a tutti i balli, le riunioni di pesca e quelle a base di porchetta arrostita. Non così assiduo come i gemelli Tarleton o Cade Calvert, non così insistente come i ragazzi Fontaine, ma non passava mai una settimana senza che Ashley si recasse a fare una visita a Tara. In verità non le aveva mai fatto la corte, né i suoi chiari occhi grigi avevano mai brillato di quella luce ardente che Rossella conosceva così bene negli altri uomini. Eppure... eppure... ella sapeva che l'amava. Non poteva ingannarsi; l'istinto più forte della ragione e della conoscenza nata dall'esperienza, le diceva che egli l'amava. Troppo spesso ella aveva sorpreso i suoi occhi non sonnolenti né distratti, ed egli la guardava con una tristezza e un turbamento che la stupivano. Sapeva che la amava. Perché non glielo diceva? Questo non riusciva a comprenderlo. Ma vi erano in lui tante cose che ella non comprendeva. Era sempre cortese, ma distante. Nessuno avrebbe potuto dire che cosa pensasse, e Rossella meno degli altri. In un ambiente in cui tutti dicevano quello che pensavano e appena lo avevano pensato, lo strano riserbo di Ashley era esasperante. Egli era abile quanto gli altri giovanotti nei soliti passatempi della Contea: caccia, gioco, danza e politica. Ed era il miglior cavalcatore di tutti; ma differiva dagli altri in quanto queste piacevoli attività non erano per lui lo scopo e il fine della vita. Ed egli rimaneva solo nella sua passione per i libri e per la musica e nel suo amore per la poesia e nella sua tendenza a comporne. Oh, perché era così graziosamente biondo, così gentile e distante, così follemente noioso coi suoi discorsi sull'Europa e sui libri e la musica e la poesia, e tante cose che non la interessavano per nulla... eppure così desiderabile? Tutte le notti, quando andava a letto dopo essere rimasta seduta con lui nella semioscurità del porticato, Rossella si agitava irrequieta per ore ed ore e si confortava unicamente col pensiero che la prossima volta certamente egli le avrebbe chiesto di sposarlo. Ma la prossima volta il risultato era identico; e la febbre che la possedeva diventava sempre più alta e più ardente. Lo amava, lo desiderava e non lo comprendeva. Era una creatura dritta e semplice come i venti che soffiavano su Tara e sul giallo fiume che la percorreva; e sino alla fine dei suoi giorni ella non sarebbe riuscita mai a comprendere certe complicazioni. E ora, per la prima volta, si trovava di fronte a una natura complicata. Infatti Ashley era nato da una razza di uomini che passavano le loro ore libere a riflettere, non ad agire, a intessere sogni brillantemente colorati che non avevano in sé un barlume di vero. Egli viveva in un mondo interiore molto più bello della Georgia, e tornava malvolentieri alla realtà. Guardava le persone senza provare per loro né simpatia né antipatia. Accettava l'universo e il suo posto in esso per ciò che erano e, crollando le spalle, tornava alla sua musica, ai suoi libri, al suo mondo migliore. Come avesse potuto conquistare Rossella il cui spirito era così estraneo al suo, era una cosa che la fanciulla ignorava. Il mistero che lo avvolgeva eccitava in lei la curiosità, come una porta senza chiave né serratura. Le cose che ella non poteva capire rendevano il suo amore più forte, e la maniera strana e contenuta con la quale egli la corteggiava non faceva che rafforzare la determinazione di lei di averlo tutto per sé. Ella non aveva mai dubitato che un giorno o l'altro Ashley si sarebbe dichiarato; era troppo giovine e viziata per aver mai saputo che cosa fosse una sconfitta. Ed ora, come un colpo di fulmine, era giunta quella tremenda notizia! Ashley doveva sposare Melania! Non poteva esser vero! Soltanto la settimana scorsa, mentre cavalcavano verso casa, al crepuscolo, tornando da Fairhill, egli le aveva detto: Rossella, debbo dirvi una cosa importante ma non so come cominciare. Ella aveva abbassato gli occhi modestamente, mentre il cuore le batteva con violenza, credendo giunto il felice momento. Quindi egli aveva ripreso: - Ora no! Siamo quasi a casa e non c'è il tempo... Oh, Rossella, come sono vigliacco! - e spronando il cavallo l'aveva riaccompagnata a casa salendo di corsa la collina. Seduta sul tronco d'albero, la giovinetta ripensava a quelle parole che l'avevano resa così felice; ma a un tratto esse presero un altro significato, un significato orribile. Forse aveva voluto darle la notizia del suo fidanzamento! Oh, se papà si fosse sbrigato a tornare a casa! Ella non poteva più sopportare l'attesa. Guardò nuovamente con impazienza la strada e fu nuovamente delusa. Il sole era adesso sotto all'orizzonte e lo splendore purpureo andava digradando in rosa. Il cielo sfumava lentamente dall'azzurro al delicato bluverde di un uovo di pettirosso, e la calma divina del crepuscolo rurale discendeva a poco a poco sopra di lei. Un'oscura opacità scivolava lentamente sui campi. I solchi scavati nella terra e la strada infossata perdevano il loro magico colore sanguigno e diventavano semplice terra bruna. Al di là della strada nel prato, cavalli, muli e mucche, con la testa al disopra della barriera, aspettavano tranquillamente di essere ricondotti nelle stalle per avere il foraggio. Non amavano le ombre cupe dei cespugli lungo il ruscello che scorreva attraverso il prato, e muovevano le orecchie verso Rossella, come se fossero stati capaci di solidarietà umana. Nella strana mezza luce, i grandi pini della palude, di un verde così caldo sotto i raggi del sole, erano neri contro il cielo color ardesia; una fila impenetrabile di giganti neri, che nascondevano ai loro piedi la pigra acqua giallognola. Sulla collina al di là del fiume, i grandi comignoli bianchi della casa di Wilkes svanivano gradatamente nell'oscurità delle grandi querce che li circondavano; soltanto qualche punto luminoso le lampade accese per illuminare la cena - mostrava che laggiù vi era una casa. L'umido e profumato tepore della primavera l'avvolgeva dolcemente, insieme col fresco odore della terra arata e dei verdi germogli. Tramonto, primavera e germogli non erano un miracolo per Rossella. Ella accettava quelle bellezze naturalmente, come l'aria che respirava e l'acqua che beveva, non avendo mai visto scientemente la bellezza in nulla se non nei volti femminili, nei cavalli, nelle vesti di seta ed altre cose tangibili. Eppure la serena luce crepuscolare sui ben coltivati campi di Tara portò una certa calma al suo spirito turbato. Ella amava quella terra, senza neanche sapere di amarla; l'amava come amava il volto di sua madre sotto la lampada, all'ora della preghiera. Sulla strada sinuosa Geraldo non si vedeva apparire. Certo, se ella fosse rimasta ancora ad attendere, Mammy sarebbe venuta a cercarla, per costringerla a rientrare. Ma appunto mentre aguzzava gli occhi nell'oscurità crescente, udì uno scalpitar di zoccoli giungere dall'estremità del poggio e vide mucche e cavalli disperdersi spaventati. Geraldo O'Hara stava tornando a casa attraverso la campagna a gran velocità. Salì la collinetta al galoppo del suo cavallo dal petto largo e dalle gambe sperticate, apparendo in distanza come un ragazzo su un cavallo troppo grande. I suoi lunghi capelli bianchi svolazzavano indietro; egli eccitava l'animale con lo scudiscio e con le grida. Benché piena della propria angoscia, Rossella lo guardò avvicinarsi con orgoglio affettuoso, perché Geraldo era un ottimo cavaliere. "Chi sa perché ha la smania di saltar le barriere quando ha bevuto un poco" disse fra sé. "Dopo la caduta dell'anno scorso, proprio in quel punto, quando si spezzò il ginocchio...Credevo che gli sarebbe servito di lezione; specialmente, poi, perché ha giurato alla mamma di non saltare più." Rossella non aveva rispetto per suo padre; lo considerava suo coetaneo più delle proprie sorelle, perché il saltar le siepi di nascosto di sua moglie gli dava un orgoglio da ragazzo e una gioia simile a quella di lei quando riusciva a farla in barba a Mammy. Si alzò in piedi e lo osservò mentre si avvicinava. Il grosso cavallo giunse alla barriera, si piegò sulle gambe posteriori e saltò senza sforzo, con la leggerezza di un uccello, mentre il suo cavaliere gridava d'entusiasmo, agitando lo scudiscio in aria, coi riccioli bianchi che ondeggiavano dietro il capo, Geraldo non vide sua figlia nell'ombra degli alberi, e proseguì accarezzando con approvazione il collo del cavallo. - Nessuno nella Contea può starti a paro, e neanche nella regione -disse con orgoglio alla sua cavalcatura. Quindi si pose frettolosamente a ravviarsi i capelli e a rassettare la camicia sgualcita e la cravatta che nella violenza della corsa gli era andata a finire sotto l'orecchia. Rossella conosceva questo frettoloso modo di rimettersi in ordine, che aveva per scopo di apparire dinanzi alla moglie come un signore che ha cavalcato tranquillamente tornando da una visita a un vicino. Sapeva anche che ciò avrebbe dato a lei il pretesto di iniziare la conversazione con lui senza rivelare il suo vero scopo. Rise forte. Come aveva previsto, Geraldo sobbalzò; poi la riconobbe e sul suo volto florido apparve un'espressione timida e diffidente nel tempo stesso. Mise piede a terra con difficoltà, a causa del ginocchio rigido e, passandosi le redini intorno al braccio, mosse verso di lei. - Beh, signorina - le disse prendendole il ganascino - sei stata qui a spiarmi e poi, come ha fatto tua sorella Susanna la settimana scorsa, andrai a dirlo alla mamma? Vi era dell'indignazione nella sua voce bassa un po' rauca, ma anche una certa blandizia, e Rossella per stuzzicarlo fece scoppiettare la lingua contro i denti, mentre lo aiutava a rimettere a posto la cravatta. L'alito di lui, che le respirava sul viso, sentiva fortemente di whisky Bourbon, con una lieve fragranza di menta. Egli emanava anche odore di tabacco da masticare, di cuoio e di cavalli; un miscuglio di profumi che Rossella associava sempre a suo padre e che le piaceva istintivamente negli altri uomini. - No, babbo, io non sono una pettegola come Susele - lo assicurò, esaminando con aria giudiziosa se tutto era in ordine nel suo aspetto. Geraldo era piccolo: poco più di un metro e cinquantacinque; ma così quadrato di spalle e grosso di collo, che quando era seduto gli estranei lo credevano alto. Il suo torso atticciato posava su corte gambe robuste, sempre serrate nei più bei stivaloni di cuoio che si potessero trovare e sempre largamente piantate come quelle di un ragazzino barcollante. La maggior parte delle persone piccole di statura sono ridicole quando si prendono sul serio; ma il gallo "bantam" è rispettato nel pollaio, e così avveniva per Geraldo. Nessuno avrebbe mai avuto la temerità di credere Geraldo un ometto ridicolo. Aveva sessant'anni e i suoi capelli ricciuti erano argentei; ma il volto malizioso non aveva una ruga e gli occhi azzurri erano giovanili, di quella persistente giovinezza di chi non si è mai tormentato il cervello con problemi più astratti della quantità di carte che bisogna chiedere in una mano di poker. Era un viso schiettamente irlandese, come se ne potevano trovare nel paese che aveva lasciato tanti anni prima: tondo, colorito; naso corto, bocca larga e aggressiva. Sotto il suo aspetto collerico, Geraldo O'Hara aveva il cuore più tenero del mondo. Non poteva vedere uno schiavo fare il broncio dopo una reprimenda, per quanto meritata, né udire un gattino miagolare o un bambino piangere; ma aveva orrore che questa sua debolezza fosse scoperta. Egli ignorava che tutti coloro che lo conoscevano scoprivano dopo cinque minuti la bontà del suo cuore; la sua vanità ne avrebbe terribilmente sofferto, perché gli piaceva credere che quando egli gridava i suoi ordini, tutti tremavano obbedienti al suono della sua voce. Non si era mai accorto che ad una sola voce si obbediva alla piantagione: alla dolce voce di sua moglie Elena. Era un segreto che non avrebbe mai scoperto, perché tutti, da Elena fino al più stupido lavoratore dei campi, erano uniti in una tacita e benevola cospirazione per lasciargli credere che la sua parola era legge. Rossella si lasciava impressionare meno di chiunque altro dalle sue grida e dalle sue ire. Era la sua figliuola maggiore; e Geraldo, ora che non sperava più che venissero altri figli maschi dopo i tre che giacevano nella tomba di famiglia, aveva preso a trattarla come avrebbe trattato una ragazzo, in una maniera che ella trovava divertentissima. Ella somigliava a suo padre più delle due sorelle minori, perché Carolene, battezzata Carolina Irene, era delicata e sognatrice, e Susele - nata Susanna Eleonora - si inorgogliva della propria eleganza e del proprio aspetto signorile. Inoltre, Rossella e suo padre erano legati da un reciproco accordo per nascondere le loro marachelle. Se Geraldo la sorprendeva a scavalcare una barriera invece di camminare per mezzo chilometro fino a trovare un'apertura, oppure a sedere fino a ora tarda sui gradini della casa insieme a un giovinotto, la puniva personalmente e con veemenza, ma taceva il fatto a Elena e a Mammy. E quando Rossella lo scopriva a saltare le siepi e le barriere malgrado la solenne promessa fatta a sua moglie, o veniva a sapere attraverso i pettegolezzi della Contea, l'ammontare preciso delle sue perdite a poker, si asteneva dall'accennare al fatto, sia pure nella maniera astuta e ingenua di Susele. Rossella e suo padre si assicuravano solennemente l'un l'altro che far giungere un fatto simile alle orecchie di Elena non avrebbe avuto altro risultato che di farla soffrire; e nulla al mondo li avrebbe indotti a darle un dispiacere. La fanciulla guardò suo padre nella luce crepuscolare e, senza saper perché, trovò nella sua presenza un certo conforto. Vi era in lui qualche cosa di vitale, di rude, di grossolano che le andava a genio. Essendo la negazione di ogni analisi, non si rese conto che ciò avveniva perché ella possedeva in alto grado quelle stesse qualità, malgrado sedici anni di sforzi da parte di Elena e di Mammy per distruggerle. - Ora hai l'aspetto molto presentabile - gli disse - e credo che nessuno possa sospettare i tuoi giochi se non sei tu a vantartene. Ma trovo che dopo esserti rotto il ginocchio l'anno scorso saltando la stessa barriera...- Ah, beh, ora ci manca soltanto che mia figlia mi dica quando devo e quando non devo saltare! - e le prese nuovamente il ganascino. - Il collo è mio; dunque... Del resto, signorina, che state facendo voi, fuori a quest'ora senza uno scialle? Vedendo che egli impiegava le solite manovre per sbrogliarsi da una conversazione spiacevole, ella infilò il braccio sotto al suo dicendo: - Ti stavo aspettando. Non sapevo che avresti fatto così tardi. Volevo sapere se hai comprato Dilcey. - L'ho comprata, e ad un prezzo rovinoso. Ho comprato lei e la sua piccola mulatta, Prissy. John Wilkes me le avrebbe quasi regalate, ma non voglio che si dica che Geraldo O'Hara approfitta dell'amicizia quando si tratta di affari. Gli ho fatto accettare tre biglietti da mille per tutt'e due. - Dio mio, babbo, tremila! E non avevi nessun bisogno di comprare Prissy! - Da quando in qua le mie figlie si mettono in cattedra a giudicarmi? Prissy è una graziosa piccola mulatta e...- La conosco. È una creatura stupida e timida; - replicò Rossella senza scomporsi. - E la sola ragione per cui l'hai comprata è che Dilcey ti ha pregato di comprarla. La spavalderia di Geraldo scomparve ed egli apparve confuso e turbato come sempre quando veniva sorpreso a compiere una buon'azione. La figlia rise del suo turbamento. - Beh, e se anche lo avessi fatto? A che mi sarebbe servito comprare Dilcey se poi si fosse immalinconita a causa della bambina? Del resto, non permetterò mai più a un negro di sposarsi fuori di qui. È troppo dispendioso. Suvvia, piccola, andiamo a cena. L'oscurità era diventata più profonda; dal cielo erano scomparse le ultime sfumature di verde e un freschetto pungente aveva sostituito il tepore primaverile. Ma Rossella s'indugiava, non sapendo come condurre il discorso su Ashley senza destar sospetti in suo padre. Era difficile, perché la fanciulla era priva di furberia; e suo padre le somigliava tanto che riusciva immediatamente a penetrare i suoi deboli sotterfugi, come lei penetrava i suoi. E nel farlo mancava generalmente di tatto. - Come stanno alle Dodici Querce? - Al solito. C'era Cade Calvert e dopo definita la faccenda di Dilcey ci siamo trattenuti tutti quanti nella galleria a bere qualche bicchierino. Cade è appena tornato da Atlanta, dove tutti sono agitati e parlano di guerra...Rossella sospirò. Se Geraldo cominciava a parlare della guerra e della secessione, non l'avrebbe più smessa per qualche ora. Lo interruppe con un altro argomento. - Ti hanno parlato della riunione di domani? - Aspetta che ci penso. Miss... come diamine si chiama? quella piccina graziosa che era qui anche l'anno scorso... sai, la cugina di Ashley... ah, sì: miss Melania Hamilton! Dunque, lei e suo fratello Carlo sono già arrivati da Atlanta...- Ah, dunque è venuta? - E' venuta; ed è molto carina; tranquilla e silenziosa come dovrebbero essere tutte le donne. Su, figliuola, non perdiamo tempo. La mamma ci starà cercando! Rossella si sentì cadere il cuore alla notizia. Aveva sperato e sperato che Melania Hamilton sarebbe stata trattenuta ad Atlanta dove abitava; e il sentire che anche suo padre approvava il suo carattere tranquillo così diverso dal suo, la decise a parlare apertamente. - C'era anche Ashley? - chiese. - C'era. - Geraldo lasciò il braccio di sua figlia e si volse a scrutarla. - E se è per questo che sei venuta ad aspettarmi, perché non lo hai detto subito, invece di girare intorno all'argomento? Rossella non trovò una parola da rispondere ed arrossì indispettita. - Avanti, parla. La fanciulla continuò a tacere, desiderando in cuor suo che le fosse permesso scrollare il proprio babbo per chiudergli la bocca. - C'era e ha chiesto molto cortesemente di te, come hanno fatto anche le sue sorelle e hanno detto che speravano che nulla ti avrebbe impedito di essere domani alla festa. Cosa di cui non garantisco. - aggiunse malizioso. - Ora, figliuola, che cos'è questa storia fra te e Ashley? - Nessuna storia - rispose Rossella brevemente riattaccandosi al suo braccio. - Rientriamo, babbo. - Ora sei tu che hai voglia di andare - osservò Geraldo. - Ma io rimango qui finché non ti ho capita. Ora che ci penso, da un po' di tempo in qua sei di umore strano. Ti ha fatto la corte? Ti ha chiesto di sposarlo? - No - fu la breve risposta. - E non lo farà - riprese Geraldo. Un impeto di furore la invase; ma Geraldo le accennò con la mano di calmarsi. - Aspetta, bambina! Ho saputo oggi molto confidenzialmente da John Wilkes che suo figlio sposerà miss Melania. Sarà annunciato domani. La mano di Rossella ricadde dal suo braccio. Dunque, era vero! Si sentì stringere il cuore come in una morsa. Sentiva però sopra di sé lo sguardo di suo padre, un po' compassionevole, un po' annoiato di trovarsi di fronte a un problema che era incapace di risolvere. Egli voleva bene alla figliuola, ma l'idea che ella lo costringesse a cercare una soluzione ai suoi problemi infantili gli dava fastidio. Elena era capace di risolverli; Rossella avrebbe dovuto confidare a lei le sue pene. - Hai dunque fatto una figura ridicola... e l'hai fatta fare a noi? - gridò, alzando la voce come sempre nei momenti di eccitazione. - Sei corsa dietro a un uomo che non ti ama, mentre potresti avere i migliori giovanotti della Contea? La collera e l'orgoglio ferito presero il sopravvento sul dolore. - Non gli sono corsa dietro. Soltanto... mi sorprende. - Menti! - Quindi scrutando il visino dolorante, soggiunse, in un impeto di tenerezza: - Mi dispiace, figliuola. Ma dopo tutto, sei ancora una bambina; e vi sono tanti altri giovinotti! - La mamma aveva quindici anni quando ti sposò; ed io ne ho sedici - replicò la fanciulla con voce sorda. - Tua madre era diversa. Non è mai stata leggera come te. Su, bambina, stai allegra; la settimana ventura ti porterò a Charleston a far visita a zia Eulalia; e con tutto il tumulto che c'è lì per Forte Sumter, in pochi giorni ti scorderai di Ashley. "Mi crede una bambina" pensò Rossella a cui dolore e collera toglievano la parola "e immagina che un giocattolo nuovo basterà per farmi dimenticare la mia pena." - Non fare la sciocca continuò Geraldo. - Se avessi giudizio, avresti sposato già da un pezzo Stuart o Brent Tarleton. Pensaci, figliuola. Sposa uno dei due gemelli e allora le piantagioni saranno riunite e Giacomo Tarleton ed io ti fabbricheremo una bella casa, proprio al confine, dove c'è la selvetta di pini...- Smettila di trattarmi come una bambina! - esclamò Rossella. - Non voglio andare a Charleston e non voglio avere una casa e sposare i gemelli. Voglio soltanto... - Si interruppe ma era troppo tardi. La voce di Geraldo era stranamente tranquilla ora ed egli parlava lentamente come se tirasse fuori ogni parola da un deposito di cui si serviva raramente. - Tu vuoi sposare soltanto Ashley e non lo avrai. E se egli ti volesse sposare, darei il mio consenso malvolentieri, e lo darei soltanto a causa della buona amicizia che vi è fra John Wilkes e me. - E poiché ella lo guardava stupita, concluse: - Io desidero che la mia bimba sia felice; e con lui non lo saresti. - Oh, lo sarei! Lo sarei! - No. Solo quando si sposa chi è simile a noi può esservi la felicità. Rossella provò subitamente il perfido desiderio di gridare: "Ma tu e la mamma siete stati felici, eppure non vi somigliate in nulla" ma lo represse temendo di ricevere un ceffone per la sua impertinenza. - Noi e i Wilkes siamo assai diversi - proseguì lentamente Geraldo, cercando le parole. - I Wilkes sono differenti da tutti i nostri vicini, differenti da tutte le famiglie che ho conosciuto. È gente strana; ed è meglio che si sposino tra cugini e si tengano tutta la loro stranezza. - Ma babbo, Ashley non è...- Taci, gattina! Non dico niente contro il ragazzo, perché mi è simpatico. E dicendo strano non intendo dire stravagante. Non è la stranezza dei Calvert che giocherebbero tutto quello che hanno su un cavallo, o dei Tarleton che hanno sempre uno o due ubriachi in ogni letto, o dei Fontaine che sono delle teste calde, pronti ad ammazzare un uomo per una sciocchezza. Questo genere di stranezze è facile a comprendersi e se non fosse per la grazia di Dio, sono difetti che anche Geraldo O'Hara potrebbe avere! E non voglio neanche dire che Ashley correrebbe dietro ad altre donne se tu fossi sua moglie o che ti batterebbe. Saresti forse più felice se lo facesse, perché almeno lo capiresti. È strano in un senso tutto diverso, e non vi è modo di comprenderlo. Nelle cose che dice io non trovo né capo né coda. Dimmi la verità, gattina, tu capisci qualche cosa di tutte le sue sciocchezze sui libri, la musica, la poesia, i vecchi quadri e altre stupidaggini di questo genere? - Oh babbo! - esclamò con impazienza Rossella. - Se lo sposassi, lo cambierei! - Credi? - replicò stizzosamente Geraldo lanciandole uno sguardo penetrante. - Allora vuol dire che conosci ben poco gli uomini, non escluso Ashley. Nessuna moglie ha mai cambiato il cervello del marito, ricordatelo! E quanto a cambiare un Wilkes... Per la camicia di Giove! Tutta la famiglia è così e lo è sempre stata; e probabilmente lo sarà sempre. Ti dico che lo sono di nascita. Guarda come si agitano per andare a Nuova York e a Boston a sentir delle opere in musica e a vedere dei vecchi quadri! E ordinano libri francesi e tedeschi senza esclusione degli inglesi... E poi stanno ore ed ore seduti a leggere e a sognare Dio sa che cosa, quando potrebbero passare il tempo a cacciare e a giocare a poker come fanno tutti gli uomini normali! - Nessuno nella Contea cavalca meglio di Ashley - ribatté Rossella, furente per quell'accusa di effeminatezza che veniva lanciata su Ashley. - Nessuno, eccetto forse suo padre. E quanto al poker, non ti ha vinto duecento dollari proprio la settimana scorsa a Jonesboro? - I ragazzi Calvert hanno fatto nuovamente dei pettegolezzi - borbottò Geraldo - altrimenti non sapresti la cifra. Ashley può competere col miglior cavaliere e col miglior giocatore: cioè con me, bambina! E non nego che se si mette a bere può dare dei punti perfino ai Tarleton. Fa tutte queste cose, ma senza passione. Perciò ti dico che è strano. Rossella rimase silenziosa e si sentì cadere il cuore in terra. Non poteva replicare a queste ultime parole, perché sapeva che Geraldo aveva ragione. Ashley non metteva alcuna passione nelle cose che faceva tanto bene. Si interessava solo con cortesia a tutto ciò che appassionava chiunque altro. Interpretando giustamente il suo silenzio, Geraldo le accarezzò il braccio e riprese trionfante: - Lo vedi, Rossella? Anche tu riconosci che è vero. Che ne faresti di un marito come Ashley? Lunatico come tutti i Wilkes! - Poi, con tono più lusinghevole:- Parlandoti dei Tarleton, poco fa, non ho inteso influenzarti. Sono dei cari ragazzi, ma se preferisci Cade Calvert, per me è lo stesso. I Calvert sono brava gente, tutti quanti, benché il vecchio abbia sposato un'inglese. E quando io non ci sarò più... Stammi a sentire, tesoro! Lascerò Tara a te e a Cade...- Non vorrei Cade neanche se mi coprissero d'oro! - esclamò Rossella furibonda. - E ti prego di smetterla con questi consigli! Non desidero Tara né altre vecchie piantagioni. Le piantagioni non valgono nulla se...Stava per aggiungere "se non si ha l'uomo che si desidera"; ma Geraldo inasprito dal modo impertinente col quale ella trattava il dono offerto, la cosa che egli amava di più al mondo, dopo Elena, proruppe in una specie di ruggito. - E hai il coraggio, Rossella O'Hara, di dirmi in faccia che Tara... che questa terra... non val nulla? La fanciulla annuì caparbia. Il suo cuore era troppo esulcerato perché ella potesse preoccuparsi di destare o no la collera di suo padre. - La terra è la sola cosa al mondo che valga qualche cosa - urlò Geraldo, e le sue braccia corte e grosse facevano grandi gesti di indignazione - perché è la sola cosa al mondo che rimanga e, non dimenticarlo!, la sola cosa per cui vale la pena di lavorare di lottare... di morire. - Oh babbo! - ribatté Rossella disgustata - parli come un irlandese! - Mi sono forse mai vergognato di esserlo? No; anzi ne sono orgoglioso. E non dimenticare che tu sei per metà irlandese! E per tutti coloro, che hanno nelle vene anche una sola goccia di sangue irlandese, la terra su cui vivono è come una madre. È di te che mi vergogno in questo momento. Ti offro la più bella terra del mondo: ad eccezione di Country Meath nel mio vecchio paese; e tu che cosa fai? Arricci il naso! Geraldo aveva cominciato ad abbandonarsi a una collera piacevolmente clamorosa, quando qualche cosa nel volto addolorato di Rossella lo fermò. - In fondo, sei giovane. L'amore per la terra ti verrà col tempo. Non potrà essere diversamente, perché sei irlandese. Ora sei una bambina, preoccupata soltanto dei tuoi adoratori. Quando sarai più vecchia, vedrai... Ora rifletti, cerca di pensare a Cade o ai gemelli o a uno dei ragazzi di Evan Munroe, e vedrai come ti metterò bene a posto! - Oh, babbo! Geraldo era ormai stufo della conversazione e infastidito del problema che veniva a gravare sulle sue spalle. Inoltre si sentiva offeso che Rossella avesse ancora l'aria desolata dopo che le erano stati offerti i migliori giovanotti della Contea e per di più, Tara. A Geraldo piaceva che i suoi doni fossero accolti con battimani e abbracci. - Ora non facciamo il broncio, madamigella. Non importa sapere chi sposerai, purché sia uno che la pensa come te e sia un bravo e orgoglioso meridionale. Per una donna, l'amore viene dopo il matrimonio. - Oh babbo queste sono idee del tuo paese! - E sono idee ottime! Guarda un po', questi americani che hanno la smania di fare dei matrimoni d'amore, come i servitori, come gli yankees! I matrimoni migliori avvengono quando i genitori scelgono per la ragazza. Come potrebbe una stupida ragazzina come te distinguere un gentiluomo da un mascalzone? Guarda i Wilkes. Che cosa li ha conservati forti e orgogliosi attraverso tante generazioni? Il fatto di essersi sempre sposati tra di loro: tutti hanno sempre sposato i cugini o le cugine desiderate dalla famiglia. Rossella diede un piccolo grido, sentendo rinnovarsi la sua pena alle parole del padre che confermavano la tremenda inevitabile verità. Geraldo guardò il suo capo chino e si sentì a disagio. - Piangi? - chiese; e cercò di sollevarle il mento mentre sul suo volto si dipingeva una grande pietà. - No! - gridò la fanciulla con ira, volgendo altrove la testa. - Dici una bugia, ma ne sono fiero. Sono contento che tu sia orgogliosa; e voglio che questo orgoglio tu lo dimostri domani. Non mi piace che tutta la Contea spettegoli e rida di te, perché hai dato il cuore a un uomo che non ha mai avuto per te un pensiero che non fosse di semplice amicizia. "Lo ha avuto il pensiero" disse fra sé Rossella dolorosamente. "Oh, ne ha avuti tanti! Lo so. Ne sono certa. Se avessi avuto ancora un po' di tempo, so che lo avrei condotto a dirmi... Oh, se non fosse che i Wilkes debbono sempre sposarsi fra cugini!” Geraldo le prese il braccio e lo passò sotto al suo. - Ora andiamo a cena; e tutto questo rimane fra noi. È inutile preoccupare tua madre. Soffiati il naso, bambina. Rossella si soffiò il naso nel fazzoletto lacerato; quindi si avviarono a braccetto per il viale, col cavallo che li seguiva lentamente. In prossimità della casa la giovinetta stava per ricominciare a parlare, ma vide sua madre nella semioscurità del porticato. Aveva la cuffia, lo scialle e dietro a lei era Mammy col volto annuvolato, tenendo fra le mani la borsa di cuoio nero in cui Elena O'Hara portava sempre le bende e i medicinali che adoperava per curare gli schiavi. Le labbra di Mammy erano grosse e pendule; e quando essa era indignata, quello inferiore poteva raggiungere il doppio della sua lunghezza normale. In questo momento era lunghissimo, e Rossella comprese che Mammy stava rimuginando qualche cosa che non approvava. - Mister O'Hara - gridò Elena quando li vide avvicinarsi lungo il viale. Elena apparteneva a una generazione che rimaneva cerimoniosa anche dopo diciassette anni di matrimonio e la nascita di sei figli. - Mister O'Hara, c'è bisogno di me dagli Slattery. Emma ha avuto un bambino, ma è moribondo e bisogna battezzarlo. Vado con Mammy a vedere che cosa posso fare. La sua voce aveva un tono interrogativo, come se ella attendesse l'approvazione di suo marito; una semplice formalità ma che a Geraldo faceva piacere. - Santo Dio! - proruppe Geraldo - perché quegli straccioni della palude vengono a chiamarti proprio a ora di cena e mentre io desidero raccontarti quello che si dice della guerra ad Atlanta! Vai, signora O'Hara. Non dormiresti tranquilla stanotte sapendo che fuori c'è qualcuno che ha delle angustie e tu non sei ad aiutarlo. - Non riposare mai tranquilla, perché dovere tante volte alzarsi per curare negri e bianchi poveri che non possono curarsi da soli borbottò Mammy con voce monotona mentre scendeva i gradini e andava verso la carrozza che aspettava nel viale laterale. - Prendi il mio posto a tavola, cara - disse Elena accarezzando dolcemente il volto di Rossella con la mano coperta dal mezzo guanto. Benché sentisse alla gola il nodo delle lagrime, la fanciulla rabbrividì al tocco magico della mano materna, e al debole profumo di verbena che emanava la sua veste di seta. Per lei vi era in Elena O'Hara qualche cosa che toglieva il respiro; un miracolo che viveva in casa con lei e le ispirava rispetto, la affascinava, la blandiva. Geraldo accompagnò sua moglie fino alla carrozza e diede ordine al cocchiere di fare attenzione. Tobia, che aveva cura da vent'anni dei cavalli di Geraldo, sporse le labbra con muta indignazione nel sentirsi dire come doveva guidare. Mentre si allontanava, con Mammy seduta accanto a lui, entrambi erano la perfetta personificazione del broncio africano pieno di biasimo. - Se io non facessi tanto per quegli straccioni bianchi degli Slattery ed essi dovessero pagare qualcuno per tante cose - si adirò Geraldo sarebbero costretti a vendermi quei miserabili pochi jugeri di fondo di palude e la Contea sarebbe sbarazzata di loro. - Poi, rallegrandosi in anticipazione di una delle sue solite burle: - Vieni, figliuola; andiamo a dire a Pork che invece di comprare Dilcey ho venduto lui a John Wilkes. Gettò le redini del suo cavallo a un negretto che era lì accanto e si avviò su per i gradini. Aveva quasi dimenticato il crepacuore di Rossella, e pensava solo a burlarsi del suo domestico. Rossella salì lentamente gli scalini dietro a lui, coi piedi pesanti. Pensava che, dopo tutto, un'unione fra lei e Ashley non sarebbe stata più strana di quella di suo padre con Elena Robillard O'Hara. Come sempre, si chiese come mai suo padre, così rumoroso e così poco sensibile, avesse potuto sposare una donna come sua madre; poiché mai vi erano state due persone più lontane come nascita, come educazione, come abitudini mentali. 3 Elena O'Hara aveva trentadue anni e, secondo le opinioni dell'epoca era una donna matura; aveva avuto sei figliuoli, di cui tre erano morti. Era alta (superava di tutta la testa il suo piccolo e focoso marito), ma si muoveva con una grazia così tranquilla nella sua ondeggiante gonna a cerchi, che la sua statura non attirava l'attenzione. Il collo, che si ergeva dal corpetto aderente di taffettà nero, era rotondo e sottile, con la pelle candidissima, e sembrava piegar sempre leggermente indietro per il peso della lussureggiante capigliatura raccolta in un nodo sulla nuca. Aveva ereditato gli occhi neri ombreggiati da lunghe ciglia e i capelli corvini da sua madre, una francese i cui genitori si erano rifugiati ad Haiti nel 1791 a causa della Rivoluzione; e da suo padre, soldato di Napoleone, le veniva il lungo naso dritto e la mascella quadrata che era però addolcita dalla curva soave delle guance. Soltanto la vita, però, aveva potuto dare al volto di Elena quella sua espressione di orgoglio senza alterigia, la sua grazia, la sua malinconia, e la sua mancanza di gaiezza. Sarebbe stata una donna di bellezza notevole se vi fosse stata più lucentezza nei suoi occhi, più calore nel suo sorriso, più spontaneità nella sua voce che suonava come dolce melodia all'orecchio dei suoi famigliari e dei servi. Parlava col molle accento dei Georgiani della Costa, liquido nelle vocali e dolce nelle consonanti, con una lontana traccia di accento francese. Era una voce che non si alzava mai per dare ordini a uno schiavo o per muover rimprovero a un bambino; ma tutti le obbedivano istintivamente a Tara, dove le grida e gli urli di suo marito erano pacificamente tenuti in non cale. Per quanto Rossella poteva ricordare, sua madre era stata sempre la stessa; la sua voce morbida e dolce, sia che lodasse sia che rimproverasse; i suoi modi calmi e dignitosi, malgrado le quotidiane necessità del governo della casa, e il suo spirito sempre sereno e il suo dorso diritto anche quando le erano morti i tre bambini. Rossella non aveva mai visto sua madre appoggiarsi alla spalliera della sedia, né l'aveva mai vista sedere senza un lavoro d'ago fra le mani, eccettuato durante i pasti o quando assisteva gli ammalati o si occupava della contabilità della piantagione. Se c'era gente, si trattava di un ricamo delicato; altrimenti le sue mani si occupavano delle camicie pieghettate di Geraldo, delle vesti delle bambine o degli abiti per gli schiavi. Rossella non riusciva a immaginare le mani di sua madre senza il ditale d'oro, né la sua figura attiva non accompagnata dalla bambina negra che non aveva nella vita altra funzione se non quella di togliere le imbastiture e di portare di stanza in stanza la scatola da lavoro di legno rosa, quando Elena girava per la casa sorvegliando la cucina, la pulizia, e la lavorazione degli abiti per i piantatori. Non aveva mai visto sua madre agitata, né l'aveva mai vista mancare a un impegno, a qualsiasi ora del giorno o della notte. Quando Elena si vestiva per un ballo o per ricevere degli invitati o anche per andare a Jonesboro per qualche riunione, aveva bisogno di due ore, due serve e Mammy per essere completamente soddisfatta; ma le sue tolette in casi come questi, erano magnifiche. Rossella, la cui camera era di fronte a quella di sua madre al di là del vestibolo, conosceva sin dall'infanzia il sordo scalpiccio dei piedi scalzi dei negri, che correvano sul pavimento di legno all'alba; il bussare frettoloso alla porta di sua madre e le voci spaventate e rauche dei negri che mormoravano di malattie, di nascite e di morti nella lunga fila di capanne imbiancate nel quartiere degli schiavi. Da bambina era spesso sgusciata sino alla porta e, guardando attraverso le fessure, aveva visto Elena uscire dalla camera buia, dove il russare di Geraldo continuava ritmico e ininterrotto nella luce tenue di una candela tenuta in alto, con la borsa dei medicinali sotto il braccio, i capelli ravviati e non un occhiello del suo abito sbottonato. Era sempre stato così dolce per Rossella udire sua madre mormorare compassionevole, ma con fermezza, mentre attraversava il vestibolo in punta di piedi: - Zitti, zitti, non tanto forte. Sveglierete il signor O'Hara. Certo non sta male da morire. Sì, era piacevole tornare a letto e sapere che Elena era fuori nella notte e che tutto andava bene. La mattina, dopo le sessioni notturne di nascite e di morte, quando il vecchio e il giovane dottor Fontaine erano entrambi in giro per visite e non potevano essere andati ad aiutarla, Elena presiedeva alla tavola della colazione come sempre, con gli occhi neri cerchiati ma senza che la sua voce e i suoi modi rivelassero la stanchezza. Sotto la sua ferma dolcezza era una tenacia ferrea che incuteva ammirazione e rispetto in tutti, sia in Geraldo che nelle figliole, benché Geraldo sarebbe morto piuttosto che ammetterlo. A volte, quando andava la sera in punta di piedi a baciar le guance di sua madre, Rossella guardava la sua bocca con le labbra troppo piccole e troppo tenere, una bocca troppo facile ad esprimere la sofferenza; e si chiedeva se si era mai curvata nelle sciocche risate infantili o se aveva mormorato dei segreti alle amiche intime durante le lunghe notti d'estate. Ma no, non era possibile. La mamma era sempre stata così: una colonna di forza, una fonte di saggezza, la sola persona che aveva la risposta pronta per tutti. Eppure Rossella aveva torto, perché tanti anni prima Elena Robillard di Savannah aveva riso nella simpatica città costiera nello stesso modo inesplicabile in cui ridono tutte le quindicenni e aveva bisbigliato con le sue amiche per lunghe notti scambiando confidenze e raccontando tutti i segreti meno uno. Era l'anno in cui Geraldo O'Hara, di vent'otto anni maggiore di lei, era entrato nella sua vita... l'anno in cui il suo giovane cugino dagli occhi neri, Filippo Robillard, ne era uscito. E quando Filippo, coi suoi occhi ardenti e le sue maniere violente, aveva lasciato Savannah per sempre, egli aveva portato con sé tutto il calore che era nel cuore di Elena, lasciando per il piccolo irlandese dalle gambe corte che l'aveva sposata soltanto un grazioso guscio vuoto. Ma questo bastava a Geraldo, oppresso dall'incredibile felicità di sposarla. E se qualche cosa in lei era venuto a mancare, egli non se ne era accorto mai. Perspicace com'era, egli si rendeva conto che era un miracolo che un irlandese, senza beni di fortuna e senza famiglia, conquistasse la figlia di una delle più ricche e più altere famiglie della Costa. Perché Geraldo era un uomo che doveva tutto a se stesso. Geraldo era venuto in America dall'Irlanda all'età di vent'anni. Era venuto in fretta e furia, come tanti altri irlandesi migliori o peggiori di lui erano venuti prima e dopo; coi soli abiti che aveva addosso, due scellini in tasca oltre al denaro del viaggio, e sulla sua testa una taglia che gli sembrava molto più vistosa di quanto il suo misfatto non comportasse. Infatti, non esisteva un Orangista (1) che valesse cento sterline per il Governo inglese o per il demonio in persona. Ma dal momento che il Governo inglese aveva preso così a cuore la morte dell'esattore di un possidente irlandese, Geraldo fu costretto a partire per mettere il mare fra sé e quel Governo. Per esser sinceri, dobbiamo riconoscere che egli aveva chiamato l'esattore "bastardo d'un Orangista!" - ma questo, secondo il modo di pensare di Geraldo, non dava affatto a quell'uomo il diritto di insultarlo mettendosi a zufolare le prime battute della canzone: "The Boyne water" (L'acqua del Boyne). La battaglia del Boyne era stata combattuta più di cento anni addietro; ma per gli O'Hara e per i vicini era come se fosse stato ieri che i loro sogni e le loro speranze, assieme alle loro terre e alle loro ricchezze, erano scomparsi nella stessa nube di polvere che aveva avvolto un principe Stuart spaventato e fuggiasco, lasciando Guglielmo di Orange e i suoi odiosi soldati con le loro coccarde arancione ad uccidere gli irlandesi aderenti degli Stuart. Per questa e per altre ragioni, la famiglia di Geraldo non era disposta a considerare il fatale esito della sua lite, come una cosa molto seria, se non fosse stato per il fatto che portava con sé delle conseguenze molto gravi. Per molti anni gli O'Hara erano stati in cattivi rapporti col Corpo di Polizia inglese a causa di sospetta attività contro il Governo; e Geraldo non era il primo O'Hara che si metteva le gambe in spalla e lasciava l'Irlanda dalla sera alla mattina. Egli ricordava vagamente i suoi due fratelli maggiori, Giacomo e Andrea, due giovani taciturni che andavano e venivano in certe strane ore della notte per misteriose ragioni o scomparivano per parecchie settimane con grande ansietà della loro mamma. Erano andati in America diversi anni prima, dopo la scoperta di un piccolo arsenale di fucili sepolti sotto il porcile di O'Hara, ed erano diventati dei ricchi negozianti a Savannah, "benché solo il buon Dio sappia dov'è questo posto", come la madre sempre diceva quando parlava dei suoi due figli maggiori; e il giovane Geraldo fu mandato presso di loro. Aveva lasciato la casa con un bacio frettoloso di sua madre sulla guancia, la sua fervente benedizione cattolica nelle orecchie e l'ammonizione di suo padre: "Ricorda chi sei e sappi essere sempre un uomo". I suoi cinque fratelli, tutti pezzi di giovani, lo salutarono con sorrisi ammirati ma leggermente protettori, perché Geraldo era il più giovane e il più piccolo di una famiglia robusta. I suoi cinque fratelli ed il padre erano alti più di un metro e ottantacinque, e robusti in proporzione; ma il piccolo Geraldo, arrivato a vent'anni, sapeva che il Padre Eterno nella sua saggezza non gli avrebbe regalato più del suo metro e cinquantacinque di statura. Però egli non aveva mai perso tempo a rimpiangere la statura che gli mancava, né aveva mai trovato che questo fosse un ostacolo per ottenere qualsiasi cosa desiderasse. Anzi, era la sua salda, benché piccola, corporatura che lo aveva fatto ciò che era, poiché egli aveva appreso di buon'ora che la gente piccola dev'essere solida per poter sopravvivere fra i grandi. E Geraldo era solido. I suoi fratelli, alti di statura, erano torvi e silenziosi; in essi la tradizione famigliare delle glorie passate perdute per sempre, si inaspriva in un odio contenuto, e prorompeva in amari sarcasmi. Se Geraldo fosse stato robusto, sarebbe diventato come gli altri O'Hara e avrebbe agito cupamente e silenziosamente fra i ribelli contro il Governo. Ma egli era "strillone" e "testone", come diceva scherzando sua madre; attaccabrighe e pronto a fare a pugni, con le sue spalle quadre dagli ossi così sporgenti che quasi si disegnavano sotto ai vestiti. Camminava zampettando in mezzo agli alti O'Hara, come un pettoruto galletto Bantam in un pollaio di giganteschi galli domestici; essi lo amavano, lo stuzzicavano affettuosamente per sentirlo strepitare e lo battevano coi loro grossi pugni non più di quanto fosse necessario per far rigar dritto un fratellino. Se l'educazione che Geraldo aveva portato in America era insufficiente, egli lo ignorò sempre. Né gliene sarebbe importato se gliel'avessero detto. Sua madre gli aveva insegnato a leggere e a scrivere con chiarezza. Sapeva far di conto; ma qui le sue cognizioni finivano. Il solo latino che egli conoscesse era quello delle risposte alla Messa, e, come storia, sapeva soltanto i molteplici torti fatti all'Irlanda. Non conosceva poesia eccetto quella di Moor, né musica eccetto le canzoni irlandesi che si erano tramandate attraverso gli anni. Mentre aveva il più gran rispetto per quelli che erano più istruiti di lui, la sua mancanza d'istruzione non gli dava fastidio. Che bisogno avrebbe avuto di queste cose in un paese nuovo dove i più ignoranti degli irlandesi avevano fatto fortuna? In quel paese che chiedeva agli uomini soltanto di essere forti e di non aver paura di lavorare? Neanche Giacomo e Andrea che lo accolsero a Savannah nel loro negozio furono disturbati dalla sua mancanza di coltura. La sua buona calligrafia, i suoi numeri esatti e la sua abilità nel contrattare conquistarono il loro rispetto, mentre cognizioni di letteratura o raffinato gusto musicale, se Geraldo li avesse posseduti, non avrebbero suscitato che la loro beffa e il loro disprezzo. L'America nei primi anni del secolo era stata favorevole agli irlandesi. Giacomo e Andrea che avevano cominciato col trasportare merci in carri coperti da Savannah alle città interne della Georgia, erano riusciti ad avere un negozio proprio, e Geraldo prosperò con loro. Gli piaceva il Sud e ben presto ritenne di essere diventato un meridionale. Vi erano negli Stati del Sud e nei loro abitanti molte cose che egli non avrebbe mai compreso; ma, con la cordialità insita nella sua natura, egli adottò le loro idee e i loro costumi, così come li comprendeva: poker e corse di cavalli, politica ardente e codice cavalleresco, diritti di Stato e maledizione a tutti gli yankees, schiavitù e cotone, disprezzo per i rifiuti bianchi ed esagerata cortesia verso le donne. Imparò perfino a masticare tabacco. Non vi era bisogno per lui di acquistare la facilità a bere whisky perché l'aveva di nascita. Ma Geraldo rimaneva Geraldo. Le abitudini di vita e le idee mutarono, ma egli non volle mutare i suoi modi anche se ne fosse stato capace. Ammirava l'eleganza affettata dei ricchi piantatori di riso e di cotone che si recavano a Savannah dai loro reami paludosi, a cavallo di purisangue seguiti dalle carrozze delle loro signore ugualmente eleganti e dai carri dei loro schiavi. Geraldo non riuscì mai a diventare elegante. Quel modo di parlare pigro e strascicato era piacevole per le sue orecchie; ma la sua lingua si rifiutava ad adottare altro linguaggio che non fosse il suo vivo dialetto. Gli piaceva la grazia indifferente con la quale essi conducevano affari importanti, arrischiando un patrimonio, una piantagione o uno schiavo su una carta e scrivendo le loro perdite con incurante buon umore e senza darvi maggior importanza di quando gettavano dei soldi ai piccoli negri. Ma Geraldo aveva conosciuto la povertà e non poté mai imparare a perdere il denaro allegramente e con buona grazia. Erano simpatici, quei Georgiani della Costa, con la loro voce dolce, le loro subite ire e la loro deliziosa inconsistenza, e a Geraldo piacevano molto. Ma nel giovine irlandese appena giunto da un paese dove il vento soffiava umido e fresco e dove nelle paludi nebbiose non si celava la febbre, era una vitalità ardente e irrequieta che lo rendeva diverso da quegli indolenti individui prodotti dal clima semitropicale e dalle paludi malariche. Da essi imparò ciò che gli sembrò utile, trascurando il resto. Trovò che il poker era la più utile delle abitudini meridionali; il poker e la resistenza al whisky; e fu la sua naturale attitudine alle carte e ai liquori che procurò a Geraldo due delle tre proprietà a cui teneva di più: il suo domestico e la sua piantagione. La terza era sua moglie; e questa egli l'attribuiva soltanto alla misteriosa bontà di Dio. Il servo, chiamato Pork, un negro lucente, dignitoso e pratico di ogni specie di eleganza vestimentaria, era il risultato di una notte di poker con un piantatore dell'Isola di S. Simon, il cui coraggio nel "bluff" uguagliava quello di Geraldo, ma che non aveva la sua stessa resistenza al rum di Nuova Orleans. Quantunque il proprietario di Pork offrisse poi di ricomprarlo per il doppio del suo valore, Geraldo rifiutò ostinatamente, perché il possesso di quel primo schiavo - per soprappiù, "il miglior dannato servitore della Costa" - costituiva il primo passo verso l'adempimento del desiderio che era in fondo al suo cuore. Geraldo desiderava di essere un proprietario di schiavi e un possessore di terreni. Si era messo in mente di non passare tutte le sue giornate a contrattare, come Giacomo e Andrea, e tutte le sue sere ad allinear cifre, al lume di una candela. Sentiva acutamente, ciò che i suoi fratelli non sentivano: le stimmate con cui la società bollava quelli che erano "nel commercio". Geraldo voleva essere un piantatore. Con la profonda avidità di un irlandese che è stato fittavolo nelle terre che un tempo erano state proprietà della sua famiglia, egli desiderava di vedere i propri campi stendersi verdi dinanzi ai suoi occhi. Con una spietata sincerità di propositi, egli desiderava la propria casa, la propria piantagione, i propri cavalli, i propri schiavi. E qui, in questo nuovo paese, libero dai due pericoli della terra che aveva lasciato - le tasse che divorano i raccolti e la continua minaccia di improvvisa confisca egli intendeva di averli. Ma col passar del tempo, si accorse che avere quell'ambizione e giungere a realizzarla erano due cose ben diverse. La Costa georgiana era tenuta troppo strettamente da un'aristocrazia trincerata in se stessa, perché egli potesse mai sperare di conquistare il posto che desiderava avere. Allora la mano del Destino e quella del poker si accordarono per dargli la piantagione che egli più tardi chiamò Tara, e nello stesso tempo lo tolse dalla Costa per mandarlo a stabilirsi nell'altipiano della Georgia settentrionale. Fu in un salone di Savannah, in una calda notte di primavera, che la conversazione di uno straniero seduto accanto a lui fece drizzare le orecchie a Geraldo. Costui, un nativo di Savannah era tornato al suo paese dopo dodici anni di assenza. Era stato uno dei vincitori della lotteria terriera emessa dallo Stato per dividere la vasta area della Georgia centrale, ceduta dagli indiani l'anno prima che Geraldo venisse in America. Colui si era recato e vi aveva stabilito una piantagione; ma ora che la sua casa si era incendiata, non aveva più voglia di stare in quel "maledetto luogo" e sarebbe stato felice se avesse potuto cederlo. Geraldo, sempre col pensiero di avere una piantagione propria, fece in modo da farsi presentare; e il suo interessamento aumentò quando lo straniero gli disse che la parte settentrionale dello Stato si stava popolando di persone che venivano dalla Carolina e dalla Virginia. Geraldo aveva ormai passato a Savannah tanto tempo che aveva acquistato il punto di vista degli abitanti della Costa; riteneva cioè che tutto il resto dello Stato fosse foresta folta con un indiano nascosto in ogni macchione. Trattando affari per i fratelli O'Hara, gli era avvenuto di visitare Augusta, a cento miglia a nord del fiume, e aveva viaggiato nell'interno visitando le vecchie città dell'ovest. Sapeva che quella parte era tanto bene organizzata quanto la Costa; ma dalla descrizione dello straniero la sua piantagione doveva trovarsi a più di 250 miglia nell'interno, a nord e a ovest di Savannah, a non grande distanza dal fiume Chattahoochee. Geraldo sapeva che a nord, al di là di quel fiume, il territorio era ancora in mano degli indiani Irochesi; quindi fu con stupore che udì lo straniero burlarsi dei timori di questioni con gli indiani e raccontare come nel nuovo paese si stessero sviluppando prosperose città e feconde piantagioni. Un'ora dopo, quando la conversazione cominciò a languire, Geraldo, con una scaltrezza smentita dai suoi grandi occhi azzurri, propose di fare una partita. Con l'avanzar della notte e dopo numerosi bicchieri, a poco a poco tutti abbandonarono il gioco lasciando soltanto Geraldo e lo straniero a battersi. Lo straniero puntò tutti i gettoni che aveva davanti e vi aggiunse il documento di proprietà della sua piantagione; Geraldo a sua volta spinse tutti i suoi gettoni e vi posò sopra il proprio portafogli. Se il denaro che conteneva apparteneva ai fratelli O'Hara, la coscienza di Geraldo non era tanto turbata da confessarlo prima della Messa dell'indomani mattina. Sapeva ciò che voleva; e quando Geraldo voleva una cosa, vi arrivava per la via più diretta. E poi, aveva una tal fede nel suo destino e nei dadi, che neanche per un momento si chiese come avrebbe restituito il denaro se avesse perduto il colpo. - Non è un buon affare il vostro, ed io son contento di non dover più pagar tasse laggiù - sospirò il possessore di un "full d'assi" dopo aver chiesto penna e calamaio. - La casa grande si è incendiata un anno fa e nei campi stanno crescendo boscaglie e pinastri. Ma è roba vostra. - Non mescolare mai carte né whisky se non sei stato svezzato con acquavite d'Irlanda - disse gravemente quella sera Geraldo a Pork mentre questi lo aiutava a coricarsi. E il servo, che aveva cominciato a masticare il dialetto irlandese nella sua ammirazione per il padrone, gli rispose in una strana combinazione di gergo negro e di idioma di County Meath che avrebbe intrigato chiunque, eccetto loro due. Il fangoso fiume Flint che correva silenzioso tra pini e querce sulle quali si arrampicava la vite selvaggia, avvolgeva la nuova proprietà di Geraldo come un braccio incurvato, abbracciandola da due lati. Per Geraldo, ritto sul piccolo cocuzzolo su cui era stata un tempo la casa, quella grande barriera verde rappresentava la piacevole evidenza del suo possesso, come se fosse uno steccato costruito proprio da lui per segnare il limite della proprietà. Ritto sulle fondamenta annerite della casa bruciata, egli guardava il lungo viale alberato che conduceva alla strada e bestemmiava allegramente, con una gioia troppo profonda per permettergli una preghiera di gratitudine. Quelle due linee parallele di alberi cupi erano sue, suo quel prato abbandonato, invaso dalle erbacce cresciute enormemente sotto i giovani alberelli di magnolie. I campi incolti e circondati di pinastri e di cespugli spinosi, che ai quattro lati stendevano lontana la loro superficie di argilla rossiccia, appartenevano a Geraldo O'Hara... erano suoi perché egli aveva un ostinato cervello irlandese, e il coraggio di arrischiare tutto su un colpo alle carte. Geraldo chiuse gli occhi e, nel silenzio del terreno senza lavoratori, sentì di essere giunto a casa. Qui, sotto i suoi piedi, sorgerà una casa di mattoni intonacati. Al di là della strada saranno nuove barriere di legno e di ferro, dietro alle quali pascoleranno mandrie ben pasciute e cavalli di razza; e il terreno sanguigno che giunge dalla collina al fertile fondo valle risplenderà al sole di un candore piumoso: cotone, jugeri e jugeri di cotone! La fortuna degli O'Hara risorgerà a nuovo splendore! Col piccolo peculio guadagnato che i fratelli gli liquidarono con scarso entusiasmo, e con una sommetta ottenuta mettendo un'ipoteca sul terreno, Geraldo comprò i primi agricoltori e si stabilì a Tara vivendo in solitudine nella casetta di quattro stanze del sorvegliante, fino al giorno in cui avrebbe potuto costruire la casa bianca. Dissodò i campi in cui piantò il cotone e si fece prestare altro denaro da Giacomo e da Andrea per comprare un maggior numero di schiavi. Gli O'Hara erano una tribù irlandese, unita nella prosperità come nell'avversità, non per eccessiva affezione famigliare, ma perché avevano imparato durante gli anni dolorosi, che una famiglia deve, per poter sopravvivere, presentare al mondo un fronte compatto. Prestarono il denaro a Geraldo, il quale, negli anni seguenti, lo restituì con gli interessi. Gradatamente la piantagione s'ingrandì, perché Geraldo comprò ancora del terreno vicino; e col tempo la casa bianca divenne una realtà invece di un sogno. Fu costruita dagli schiavi ed era un edificio largo e pesante che coronava il cocuzzolo dominante il verde pendio che giungeva sino al fiume; e piaceva molto a Geraldo perché anche quand'era nuova aveva l'apparenza di essere fabbricata da diversi anni. La vecchie quercie che avevano visto passare sotto il loro fogliame gli indiani circondavano la casa coi loro grossi tronchi e spandevano coi loro rami un'ombra densa sul tetto. Il prato, ripulito dalle erbacce, si ricoprì di trifoglio e di erba medica e Geraldo sorvegliò che fosse ben tenuto. Dal viale dei cedri alle bianche capanne del quartiere degli schiavi era in tutta Tara un'aria di solidità e di stabilità; e quando Geraldo girava al galoppo la curva della strada e vedeva tra i rami verdi il tetto della sua casa, il - suo cuore si gonfiava di orgoglio, come se lo vedesse per la prima volta. Era tutto opera sua, del piccolo, cocciuto e rumoroso Geraldo. Ed egli era in ottimi rapporti con tutti i suoi vicini, meno coi MacIntosh, il cui terreno confinava col suo a sinistra, e con gli Slattery i cui miseri tre jugeri si stendevano alla destra, lungo le paludi tra il fiume e la piantagione di John Wilkes. I MacIntosh erano scozzesi - irlandesi e Orangisti; e se anche avessero posseduto tutte le sante qualità del calendario cattolico, questa provenienza li avrebbe resi maledetti per sempre agli occhi di Geraldo. Veramente vivevano in Georgia da settant'anni e, prima, avevano trascorso il tempo di una generazione nella Carolina; ma il primo della famiglia che aveva messo piede sulle rive americane era giunto da Ulster, e questo bastava per Geraldo. Era una famiglia di gente rigida e taciturna, che viveva per conto proprio e si sposava fra parenti; Geraldo non era il solo ad avere antipatia per loro, perché la gente della Contea era socievole c cordiale, e non tollerava negli altri la mancanza di queste qualità. La fama di aver simpatia per gli abolizionisti non aumentava la popolarità dei MacIntosh. Il vecchio Angelo non aveva mai manomesso un solo schiavo ed aveva commesso l'imperdonabile colpa di vendere alcuni dei suoi negri a mercanti di schiavi di passaggio che si recavano ai campi di zucchero della Luisiana; ma le voci persistevano. - E' un abolizionista, non vi è dubbio, - osservava Geraldo a John Wilkes: - Ma in un Orangista, quando un principio è contrario all'avarizia scozzese, non viene più rispettato. Con gli Slattery la faccenda era diversa. Essendo essi dei bianchi miserabili non si aveva per loro neanche il forzato rispetto che l'indipendenza di Angelo MacIntosh otteneva dalle famiglie dei vicini. Il vecchio Slattery, che rimaneva disperatamente attaccato ai suoi pochi jugeri di terreno malgrado le ripetute offerte di Geraldo e di John Wilkes, era inetto e piagnucoloso. Sua moglie era una donna coi capelli scarmigliati, di aspetto pallido e malaticcio, madre di una nidiata che aumentava regolarmente ogni anno. Tom Slattery non possedeva schiavi; lui e i suoi due figli maggiori coltivavano spasmodicamente i lori pochi jugeri di cotone, mentre la moglie e i figli minori si occupavano del cosiddetto podere. Ma il cotone non cresceva mai bene e l'orto, a causa delle continue gravidanze della signora, forniva raramente di che nutrire il modesto armento. La vista di Tom Slattery che gironzolava sotto i porticati dei vicini, mendicando dei semi di cotone o un po' di lardo per poter tirar avanti, era frequente. Slattery odiava i suoi vicini con quel po' di energia che possedeva, intuendo il loro disprezzo sotto alla loro cortesia; e specialmente odiava i negri servi di questi ricchi. Gli schiavi negri della Contea si consideravano superiori ai "rifiuti bianchi" e il loro non celato disprezzo lo feriva, così come la loro più sicura posizione nella vita destava la sua invidia. Egli conduceva un'esistenza miserabile mentre essi erano ben nutriti, ben vestiti, e curati quando erano vecchi e ammalati. Essi erano fieri del buon nome dei loro padroni e generalmente fieri di appartenere a gente che era "qualcuno", mentre Slattery era disprezzato da tutti. Egli avrebbe potuto vendere la sua proprietà per il triplo del suo valore a qualsiasi piantatore della Contea; chiunque avrebbe considerato bene speso il denaro che liberava il Paese da un individuo spiacevole; ma egli preferiva rimanere e vivere miseramente del ricavato di una balla di cotone all'anno e della carità dei suoi vicini. Col rimanente degli abitanti della Contea, Geraldo era in rapporti di amicizia e con qualcuno di intimità. I Wilkes, i Calvert, i Tarleton, i Fontaine sorridevano quando la piccola figura sul grande cavallo bianco galoppava lungo i loro viali; e facevano cenno perché fossero portati dei grandi bicchieri in cui era stato versato una buona quantità di whisky su una cucchiaiata di zucchero e un pizzico di menta tritata. Geraldo era simpatico e i vicini apprendevano col tempo ciò che i bambini, i negri e i cani scoprivano a prima vista e cioè che dietro ai suoi modi truculenti e alla sua voce reboante si nascondeva un cuore ottimo, un orecchio sempre pronto ad ascoltare e un portafogli che si apriva con facilità. Il suo arrivo provocava sempre un tumulto di cani che abbaiavano e di bambini negri che urlavano correndogli incontro, litigando fra loro per il privilegio di tenere il suo cavallo, e poi si torcevano e ridevano ai suoi insulti scherzosi. I bambini bianchi volevano sedere sulle sue ginocchia per fare il cavalluccio, mentre egli denunciava ai loro genitori l'infamia degli uomini politici inglesi; le figlie dei suoi amici gli confidavano i segreti amorosi e i giovinotti del vicinato, che avevano paura di confessare ai loro padri i debiti d'onore, trovavano in lui un amico pronto ad aiutarli. - Avevi questo debito da un mese, ragazzaccio! - gridava. - Ma, in nome di Dio, perché non mi hai chiesto il denaro prima? Il suo modo ruvido di parlare era troppo noto per offendere; il giovanotto si limitava a sorridere imbarazzato rispondendo: Non volevo disturbarvi, signore, e mio padre...- Tuo padre è un buon uomo, ma un po' tirato; prendi questi e non ne parliamo più. Le mogli dei piantatori furono le ultime a capitolare. Ma la signora Wilkes (una gran signora che ha il dono di saper tacere, come la definiva Geraldo) disse una sera a suo marito, dopo aver visto Geraldo scomparire in fondo al viale - parla in modo volgare, ma è un signore -; e allora la posizione di O'Hara fu assicurata. Egli non sapeva che gli c'erano voluti quasi dieci anni per arrivare, perché non si era mai accorto che da principio i suoi vicini lo guardavano storto. Nella sua mente non vi era mai stato alcun dubbio in proposito, dal momento in cui aveva messo piede a Tara. Quando ebbe compiuto quarantatré anni - così atticciato di corpo e florido di volto che sembrava un gentiluomo sportivo gli venne in mente che Tara, per quanto fosse piacevole, e gli abitanti della Contea, per quanto avessero il cuore e la casa aperti per lui, non erano abbastanza. Gli ci voleva una moglie. Tara aveva bisogno di una padrona. Il grasso cuoco, un negro agricoltore elevato a quel grado per necessità di cose, non era mai puntuale nel preparare i pasti; e la cameriera, che prima lavorava essa pure nei campi, lasciava che la polvere si accumulasse sui mobili e non aveva mai tovaglie pulite, sicché l'arrivo di ospiti era sempre occasione di subbuglio e di confusione. Pork, l'unico negro abituato a servire in casa, aveva l'incarico di sorvegliare gli altri servitori, ma anche lui era diventato negligente e trascurato dopo tanti anni di vita rilassata. Come servitore teneva in ordine la camera da letto di Geraldo, e come cameriere serviva a tavola con dignità e con stile; ma oltre a questo, lasciava che le cose seguissero il loro corso. Con l'infallibile istinto africano, i negri avevano tutti scoperto che Geraldo era un cane che abbaiava ma non mordeva, e ne approfittavano vergognosamente. Si sentivano sempre alte minacce di vendere gli schiavi o di frustarli a sangue, ma nessuno schiavo era mai stato venduto fra quelli di Tara e una sola frustata vi era stata somministrata soltanto perché il cavallo preferito di Geraldo non era stato strigliato dopo una lunga giornata di caccia. Gli occhi azzurri di Geraldo osservavano come erano ben tenute le case dei suoi vicini e con che facilità le donne dai capelli ravviati e dagli abiti fruscianti, dirigevano la servitù. Egli ignorava l'attività di queste donne dall'alba a mezzanotte, fra la sorveglianza della cucina, del bucato, del rammendo e l'allevamento dei bimbi. Vedeva soltanto i risultati esteriori e questi l'impressionavano. L'urgente necessità di una moglie gli apparve chiaramente una mattina mentre si stava vestendo per recarsi in città ad assistere a un'udienza al Tribunale. Pork tirò fuori la miglior camicia a pieghettine di Geraldo così malamente rammendata che ormai solo il domestico avrebbe potuto metterla. - Mister Geraldo - aveva detto mentre ripiegava con riconoscenza la camicia e Geraldo strepitava quello che tu avere bisogno è moglie; una moglie che avere buon numero di negri per la casa. Gerardo rimproverò Pork per la sua impertinenza, benché fosse convinto che aveva ragione. Aveva bisogno di una moglie e aveva bisogno di bambini; e se non provvedeva subito, poi sarebbe troppo tardi. Ma non voleva sposare la prima venuta, come aveva fatto il signor Calvert, che aveva impalmato la governante inglese dei suoi bambini orfani di madre. Sua moglie doveva essere una signora, una vera signora dignitosa ed elegante come la signora Wilkes, e capace di governare Tara come la signora Wilkes governava la sua proprietà. Ma nelle famiglie della Contea vi erano due difficoltà. La prima era la scarsità di fanciulle in età da marito. La seconda, più seria, era che Geraldo era un "uomo nuovo", malgrado i suoi dieci anni di residenza, e uno straniero. Non si sapeva nulla della sua famiglia. Pur essendo meno inespugnabile dell'aristocrazia della Costa, la società della Georgia settentrionale non avrebbe mai ammesso che una delle sue figliuole sposasse un uomo del quale si ignorava chi fosse il nonno. Geraldo sapeva che, malgrado la simpatia sincera degli uomini della Contea coi quali cacciava, beveva e parlava di politica, non avrebbe potuto sposare la figlia di nessuno di loro. E non voleva che si potessero far delle chiacchiere attorno alle tavole, a cena, sul fatto che questo o quell'altro padre avesse con rammarico rifiutato a Geraldo O'Hara il permesso di far la corte alla sua figliuola. Non per questo Geraldo si sentiva inferiore ai suoi vicini: d'altronde nulla e nessuno avrebbe mai potuto far sì che egli si sentisse inferiore a chiunque. Soltanto, riconosceva che era una strana costumanza della Contea, quella che faceva maritare le ragazze solo con persone appartenenti a famiglie che vivevano nel sud da oltre vent'anni, e che durante tutto quel tempo erano stati possessori di schiavi e si erano dedicati unicamente ai vizi eleganti. - Prepara il bagaglio. Andiamo a Savannah - disse a Pork. - E se ti sento emettere una sola imprecazione, ti vendo immediatamente, perché sono espressioni che io stesso uso ben raramente. Giacomo e Andrea avrebbero potuto certamente dargli dei consigli intorno a questa faccenda del matrimonio; e forse tra i loro vecchi amici poteva esservi qualche fanciulla che avesse i requisiti voluti e che lo trovasse accettabile come marito. I fratelli ascoltarono pazientemente la sua storia ma non gli diedero eccessivo incoraggiamento. Non avevano parenti a Savannah a cui rivolgersi, perché entrambi erano già sposati quando erano venuti in America! E le figlie dei loro vecchi amici erano maritate da un pezzo e avevano già dei bambini. - Sei un uomo ricco ma non di grande famiglia - osservò Giacomo. - Sono diventato ricco e la grande famiglia me la farò. Ma non voglio sposare la prima venuta. - Hai delle vedute alte - replicò Andrea seccamente. Ma fecero del loro meglio per aiutare Geraldo. Erano ormai anziani e si erano creati a Savannah un cerchio di amicizie. Per un mese condussero Geraldo di casa in casa, facendogli frequentare balli, cene, pic-nic. - Ce n'è una che mi piace - disse finalmente Geraldo - una ragazza che quando io sbarcai in America non era ancora nata. - E chi sarebbe? - Miss Elena Robillard - e la risposta cercò di avere un tono indifferente, perché gli occhi neri e lievemente obliquati in basso di Elena lo avevano colpito più di quanto volesse dire, e il suo modo di fare, ingannevolmente incurante, così strano in una fanciulla quindicenne, lo aveva affascinato. Inoltre vi era in Elena una continua espressione di disperazione che gli andava al cuore e lo rendeva più gentile con lei che non fosse mai stato con nessun altro. - Ma potresti esser suo padre! - Sono nel fiore della vita! - ribatté Geraldo, punto. Giacomo prese la parola, con calma. - Ascoltami, Jerry: non vi è ragazza in Savannah con la quale tu possa aver minori probabilità. Suo padre è un Robillard; e questi francesi sono orgogliosi come Lucifero. E sua madre Dio l'abbia in gloria - era una gran signora. - Non me n'importa - si ostinò Geraldo. - Del resto, sua madre è morta e il vecchio Robillard mi vuol bene.- Come uomo, sì; ma come genero, no. - E poi la ragazza non ti accetterebbe - intervenne Andrea. - Da un anno fa l'amore con quel ragazzaccio di suo cugino, Filippo Robillard, benché la sua famiglia la tormenti giorno e notte perché lo lasci. - E' partito il mese scorso per la Luisiana. - Come lo sai? - Lo so. - E Geraldo non volle svelare che quest'informazione gli veniva da Pork né che Filippo era andato in Occidente per espresso desiderio della sua famiglia. - E non credo che ne sia tanto innamorata da non poterlo dimenticare. Quindici anni son troppo pochi, perché l'amore sia profondo. - Preferiranno quel rompicollo di cugino a te. Giacomo e Andrea furono quindi stupiti come tutti gli altri quando si sparse la notizia che la figlia di Pierre Robillard avrebbe sposato il piccolo irlandese. I commenti furono infiniti e tutta la città chiacchierò sul conto di Filippo Robillard che era andato in Occidente; ma le chiacchiere rimasero lettera morta. E fu per sempre per tutti un mistero perché la più bella delle figlie di Robillard accettasse di sposare quel rumoroso ometto dal viso rosso, che le arrivava appena alle spalle. Neanche Geraldo comprese mai perfettamente com'era andata la cosa. Sapeva soltanto che era accaduto un miracolo. E fu l'unica volta in vita sua che si sentì umile umile, quando Elena, pallidissima ma calma, posò leggermente una mano sul suo braccio dicendogli: - Vi sposerò, Mister O'Hara. I Robillard, sbalorditi, conobbero la risposta; ma solo Elena e la sua Mammy seppero tutta la tristezza di quella notte in cui la fanciulla singhiozzò fino all'alba come una bambina col cuore spezzato, alzandosi al mattino con una ferma decisione. Con un doloroso presentimento, la bambinaia aveva portato alla sua padroncina un pacchetto proveniente da Nuova Orleans, con l'indirizzo scritto da una mano ignota; nel pacchetto era una miniatura di Elena, che ella lasciò cadere a terra con un grido, quattro lettere scritte da lei a Filippo Robillard e poche parole di un sacerdote di Nuova Orleans che le annunciava la morte di suo cugino in una rissa d'osteria. - Lo hanno cacciato via, il babbo, Paolina e Eulalia. Lo hanno cacciato via. Li odio. Non voglio più vederli. Voglio andar via. Voglio andare tanto lontano da non vedere mai più né loro né questa città né chiunque mi ricordi... lui. E al sorger del giorno, la nutrice, che aveva anch'essa pianto china sul capo bruno della sua padrona, aveva esclamato: - Ma non puoi far questo, tesoro! - Lo farò. E' un brav'uomo. Lo farò, o andrò a chiudermi in un convento a Charleston..Fu la minaccia del convento che finalmente strappò il consenso a Pierre Robillard, che non rinveniva dallo stupore e dal dolore. Era un fedele presbiteriano, benché la sua famiglia fosse cattolica; e l'idea che sua figlia diventasse monaca gli era anche più penosa del pensiero che fosse moglie di Geraldo O'Hara. Dopo tutto, contro costui non si poteva dir nulla, se non che non aveva famiglia. Così Elena, non più Robillard, volse le spalle a Savannah per non rivederla mai più e partì per Tara con un marito di mezz'età, la sua nutrice e venti "negri di casa". Dopo un anno nacque la prima bambina a cui diedero il nome di Caterina Rossella, come la mamma di Geraldo. Geraldo fu deluso, perché desiderava un maschio, ma ciò nondimeno fu abbastanza soddisfatto della sua bambina bruna da offrire, in segno di gioia, il rum a tutti i suoi schiavi, ubriacandosi anche lui, felice e rumoroso. Nessuno può dire se Elena rimpianse mai la sua decisione di sposare Geraldo; meno di tutti suo marito, il quale non stava nella pelle ogni volta che la guardava. Ella aveva scacciato dalla sua mente Savannah e i suoi ricordi, da quando aveva lasciato quella graziosa città marittima; e dal momento in cui era giunta nella Contea, la Georgia era diventata il suo paese. Lasciando per sempre la dimora di suo padre, ella aveva abbandonato una casa le cui linee erano dolci e morbide come quelle di un corpo di donna, come quelle di una nave a vele spiegate; una casa intonacata di un pallido rosa, costruita nello stile coloniale francese, elegantemente sollevata sul suolo da palafitte a colonne, e a cui si saliva mediante scale a spirale, con ringhiere di ferro battuto che sembravano un merletto: una casa ricca e graziosa, ma lontana. Ella aveva abbandonato non solo la bella abitudine, ma anche tutta la civiltà che era dietro quell'edificio; e si trovava in un mondo così strano e diverso come se fosse addirittura in un altro continente. La Georgia settentrionale era una regione aspra, abitata da gente aspra anch'essa. Dall'altipiano che si ergeva al disotto delle cime delle Montagne Azzurre, ella vedeva ovunque distese ondulate rossicce, con vasti spazi su cui affiorava il granito sottostante ed enormi pini che torreggiavano cupamente dovunque. Tutto sembrava selvaggio e inospitale ai suoi occhi abituati alla costa e alla tranquilla bellezza delle isole drappeggiate nel muschio grigio e verde, con le larghe strisce di rena ardente sotto il sole semitropicale, le lunghe distese di terra sabbiosa ornata di palmizi. Questa era una regione che conosceva tanto il freddo dell'inverno quanto il calore dell'estate; e nel popolo erano un vigore e un'energia che la sorprendevano. Era gente buona, gentile, generosa, ma risoluta, virile, facile all'ira. Gli abitanti della Costa che ella aveva abbandonato si vantavano di occuparsi di ogni cosa, anche dei loro duelli e delle loro proprietà, con aria noncurante; ma questi Georgiani erano invece dotati di violenza. Sulla Costa la vita era molle; qui era giovanile, nuova, piena di vivacità. Tutte le persone che Elena aveva conosciuto a Savannah erano dello stesso stampo: avevano tutti quanti gli stessi punti di vista, e le stesse tradizioni; qui vi era invece una grande varietà. I colonizzatori della Georgia settentrionale venivano da molti luoghi diversi: da altre parti della Georgia stessa, dalla Carolina, dalla Virginia, e anche dall'Europa e dal Nord. Alcuni, come Geraldo, erano individui recatisi colà a cercar fortuna. Altri, come Elena, erano membri di vecchie famiglie che trovavano la vita insopportabile nel loro paese e avevano cercato rifugio altrove. Altri ancora si erano trapiantati senza alcuna ragione se non che il sangue irrequieto dei loro padri nomadi scorreva ancora nelle loro vene. Questa gente, arrivata da luoghi diversi e con diverse origini, dava alla vita della Contea una mancanza di formalismo che per Elena era assolutamente nuova ed alla quale non riuscì mai ad abituarsi completamente. Sapeva per istinto che cosa avrebbe fatto uno della Costa in certe date circostanze; non riuscì mai a prevedere che cosa avrebbe fatto, nelle stesse circostanze, un Georgiano del nord. Ciò che dava vita al commercio della regione era l'ondata di prosperità che allora volgeva verso il Sud. Tutto il mondo chiedeva cotone, e il nuovo terreno della Contea, fertile e non sfruttato, ne produceva in abbondanza. Il cotone era la pulsazione del cuore del paese; la semina e il raccolto erano la sistole e la diastole della vermiglia terra. Dai solchi sinuosi veniva la ricchezza e anche l'arroganza; arroganza fondata sui verdi cespugli e sugli ettari di un bianco fioccoso. Se il cotone poteva farli ricchi in una generazione, quanto più ricchi sarebbero nella prossima! La certezza dell'indomani dava entusiasmo e gioia di vivere; e la gente della Contea godeva la vita con un fervore che Elena non riuscì mai a comprendere. Avevano abbastanza denaro e abbastanza schiavi per avere anche il tempo di divertirsi; e si divertivano volentieri. Sembrava che non fossero mai tanto occupati da dover mancare a una partita di pesca, a una caccia o a una corsa di cavalli: ed era raro che passasse una settimana senza la sua riunione a base di porchette arrostite e il suo ballo. Elena non avrebbe mai potuto o voluto diventare simile a loro aveva lasciato a Savannah troppo di se stessa - ma li rispettava e, col tempo ammirò la franchezza e la rettitudine di quel popolo che aveva poche reticenze ed apprezzava un uomo per quel che valeva. Divenne la signora più amata della Contea. Era una vigile ed economa padrona di casa, una buona madre e una moglie devota. L'altruismo che avrebbe dedicato alla Chiesa fu invece consacrato al servizio dei suoi figliuoli, della sua casa e dell'uomo che l'aveva allontanata da Savannah e dai suoi ricordi e non le aveva mai rivolto alcuna domanda. Quando Rossella ebbe un anno - più sana e vigorosa di qualsiasi altra bambina, secondo Mammy nacque la seconda bambina di Elena, Susanna Eleonora, sempre chiamata Susele, e, alla debita distanza, venne Carolene, iscritta nella Bibbia familiare come Carolina Irene. Seguirono poi tre maschietti, ognuno dei quali morì prima di avere imparato a camminare; tre bambini che ora dormivano sotto i cedri contorti, nel cimitero a cento metri dalla casa, sotto tre pietre ciascuna delle quali portava l'iscrizione "Geraldo O' Hara, Junior". Dal giorno in cui Elena giunse a Tara, il luogo fu trasformato. Benché avesse solo quindici anni, ella era nondimeno pronta per tutte le responsabilità di una padrona di piantagione. Anche allora, prima del matrimonio, le ragazze dovevano essere soprattutto belle, gentili, decorative; ma dopo sposate, bisognava che fossero in grado di dirigere un'azienda domestica che contava oltre cento persone, fra bianchi e negri; e venivano educate in vista di questo. Elena aveva ricevuto quella preparazione per il matrimonio che veniva data a tutte le fanciulle di buona nascita; inoltre aveva con sé Mammy, la quale, con la sua energia, era capace di galvanizzare il negro più inetto. In breve ella portò nel governo della casa di Geraldo ordine e dignità e diede a Tara una bellezza che non aveva mai avuta prima. La casa era stata costruita senza alcun piano architettonico prestabilito, aggiungendo delle camere quando occorrevano; ma con l'attenzione e la cura di Elena, acquistò un fascino speciale che derivava appunto dalla sua mancanza di disegno. Il viale di cedri che conduceva dalla strada principale alla casa quel viale di cedri senza il quale nessuna casa di piantatore georgiano sarebbe stata completa spandeva un'ombra cupa e fresca che per contrasto dava maggior vivezza e splendore al verde degli altri alberi. Il convolvolo che si arrampicava sulle verande appariva di un verde chiaro sul bianco delle mura; e insieme ad esso il rosa dei cespugli di ibisco accanto alla porta e le magnolie dai candidi fiori che si ergevano sulla spianata, nascondevano alquanto le linee goffe dell'edificio. In primavera e in estate il trifoglio e l'erba medica del prato diventavano color smeraldo, di uno smeraldo così seducente che rappresentava una tentazione irresistibile per i branchi di tacchini e di oche bianche che avrebbero, in realtà, dovuto abitare solo le regioni dietro alla casa. I volatili tentavano sempre delle clandestine avanzate sulla spianata, attratti dal verde dell'erba e dalla seducente promessa dei cespugli di gelsomini del Capo e delle aiuole di zinnie. Contro le loro ruberie era stata installata sotto al porticato una piccola sentinella nera. Il bambino seduto sui gradini, armato di un grande straccio bianco, faceva parte del quadro di Tara; ma era molto infelice perché gli era proibito di inseguire i gallinacei e doveva limitarsi a gridare e ad agitare lo straccio per spaventarli. Elena addestrava a questo compito dozzine di bambini negri: era il primo ufficio con una responsabilità che gli schiavi maschi avessero a Tara. Dopo i dieci anni venivano mandati dal vecchio Daddy, il ciabattino della piantagione per imparare il suo mestiere, o da Amos, il carpentiere, o da Filippo, il vaccaro, o da Cuffee, il guardiano delle mule. Se non mostravano attitudine per alcuno di questi mestieri, diventavano coltivatori e, nell'opinione dei negri, avevano perso il diritto a qualsiasi posizione sociale. La vita di Elena non era facile né felice; ma ella non si era aspettata che fosse facile, e quanto alla felicità, quello era il destino della donna. Il mondo era degli uomini ed ella lo accettava così. L'uomo era lodato per l'ordine della sua proprietà e la donna lodava la sua abilità. L'uomo rugghiava come un toro se una scheggia gli si ficcava in un dito e la donna soffocava i gemiti, quando metteva al mondo un figlio, per timore di disturbarlo. Gli uomini erano sgarbati e spesso ubriachi. Le donne ignoravano le cattive parole e mettevano gli ubriachi a letto senza parlare. Gli uomini erano rudi e brontoloni, le donne erano sempre buone, gentili e disposte a perdonare. Era stata educata nella tradizione delle grandi dame e le era stato insegnato a sopportare i propri dolori conservando il suo sorriso; ed ella intendeva che anche le sue tre figlie fossero, come lei delle vere signore. Con le figlie più giovani era riuscita, perché Susele desiderava tanto di essere piacente che prestava orecchio attento agli insegnamenti di sua madre, e Carolene era timida e facile da guidare. Ma, per Rossella, figlia di Geraldo, la via della signorilità fu dura. Con grande indignazione di Mammy, ella preferiva compagni di gioco che non fossero le sue ubbidienti sorelline o le bene educate fanciulle Wilkes, ma i bambini negri della piantagione e i maschietti del vicinato, ed era capace di arrampicarsi su un albero e di lanciar sassi.. Mammy era molto turbata che la figlia di Elena avesse simili inclinazioni, e spesso la scongiurava di "condursi come una signora", ma Elena considerava la faccenda con una tolleranza più lungimirante. Ella sapeva che i compagni d'infanzia sarebbero più tardi diventati dei corteggiatori; e il primo dovere di una ragazza era sposarsi. Diceva quindi fra sé che la bimba era semplicemente piena di vita e che vi era tempo per insegnarle le arti e i modi che attraggono gli uomini. A tal fine Elena e Mammy riunirono i loro sforzi, e col passare degli anni, Rossella divenne una buona allieva, ma solo in questa materia, ché per tutto il resto imparava assai poco. Malgrado una successione di istitutrici e due anni trascorsi nella Accademia Femminile di Fayetteville, la sua educazione era incompleta; ma nessuna fanciulla della Contea parlava più graziosamente di lei. Ella sapeva sorridere con garbo, camminare facendo ondeggiare i cerchi della sua gonna in modo attraente, sapeva guardare un uomo in faccia e poi abbassare gli occhi e battere le palpebre rapidamente in modo che sembrasse il tremito di una dolce emozione; e, soprattutto, aveva imparato a nascondere agli uomini un'intelligenza acuta sotto un viso dolce e semplice come quello di un bambino. Elena con la sua voce ammonitrice e Mammy con le sue costanti censure cercavano d'inculcare in lei le qualità che l'avrebbero resa veramente desiderabile come moglie. - Devi essere più dolce, cara, più remissiva - diceva Elena. - Non devi interrompere gli uomini che ti parlano, anche se credi di saperne più di loro sull'argomento. Gli uomini non amano le ragazze troppo perspicaci. - Ragazze superbe che darsi arie e dire "voglio questo, voglio quello" di solito non trovare marito profetizzava cupamente Mammy. - Le ragazze dovere abbassare occhi e dire "bene signore" e poi "Sì signore" e "avete ragione signore." Le insegnarono dunque tutto ciò che una gentildonna doveva sapere, ma ella imparò soltanto la vernice della gentilezza. Non apprese mai la grazia interiore da cui questa gentilezza doveva sgorgare, e non vedeva neppure la ragione di apprenderla. Le apparenze bastavano, perché le apparenze della signorilità le acquistavano dei corteggiatori; ed ella non desiderava di più. Geraldo proclamava che sua figlia era la più bella di cinque Contee, e con un certo fondo di verità; infatti ella ebbe proposte di matrimonio da quasi tutti i giovani del vicinato ed anche da luoghi lontani, come Atlanta e Savannah. A sedici anni, grazie a Mammy e ad Elena, appariva gentile, simpatica e briosa, mentre in realtà era volontaria, vana e caparbia. Aveva ereditato la facile eccitabilità del padre irlandese e nulla della natura altruista e indulgente di sua madre, se non d'apparenza. Elena non si rese mai completamente conto che era soltanto una vernice, perché Rossella le mostrava soltanto il suo volto migliore, nascondendo le sue scappate, piegando il suo temperamento e apparendo in presenza di Elena più dolce che poteva, perché sua madre, con un solo sguardo di rimprovero, riusciva a mortificarla fino alle lagrime. Ma Mammy non aveva illusioni sul suo conto ed era continuamente sul "chi vive" per le screpolature della vernice. Gli occhi di Mammy erano più acuti di quelli di Elena, e Rossella non ricordava di essere mai riuscita ad ingannarla per molto tempo. Non che questi due mentori affettuosi deplorassero la vivacità, il fascino e la disinvoltura della giovinetta. Di tali qualità le donne meridionali andavano fiere. Erano invece preoccupate dalla natura impetuosa e dalla cocciutaggine di Geraldo che risorgevano in lei; e talvolta temevano che questi difetti non si sarebbero potuti nascondere prima che ella facesse un buon matrimonio. Ma Rossella intendeva sposarsi - e sposare Ashley - e perciò voleva apparire modesta, docile, e leggera, se queste erano le qualità che attraevano gli uomini. Non sapeva perché gli uomini fossero così; sapeva soltanto che questi metodi funzionavano. La cosa non l'interessò mai tanto da farle cercare la ragione di questo, poiché ella ignorava il lavorio interiore di ogni essere umano, e perfino il suo. Sapeva soltanto che se ella diceva o faceva "così, e cosà" gli uomini invariabilmente rispondevano col complimento "così, e cosà". Era come una formula matematica e non più difficile di questa, perché la matematica era l'unica materia che era sembrata facile a Rossella quando andava a scuola. Se conosceva poco il raziocinio maschile, conosceva ancor meno quello femminile, perché le donne l'interessavano poco. Non aveva mai avuto un'amica e non ne aveva mai sentito la mancanza. Per lei tutte le donne, comprese le sue due sorelle, erano nemiche naturali che inseguivano la stessa preda: l'uomo. Tutte le donne, eccetto sua madre. Elena O'Hara era diversa, e Rossella la considerava come qualche cosa di sacro, fuori da tutto il resto del genere umano. Da bambina confondeva sua madre con la Vergine Maria, ed ora che era grande non vedeva ragione di mutare la sua opinione. Per lei Elena rappresentava la completa sicurezza che solo il cielo o una madre possono dare. Ella sapeva che sua madre era la personificazione della giustizia, della verità, della tenerezza affettuosa e della profonda saggezza: una gran dama. Rossella desiderava molto di essere come sua madre. La sola difficoltà era che essendo giuste e sincere, tenere e altruiste, si lasciavano sfuggire la maggior parte delle gioie della vita e senza dubbio si allontanavano molti corteggiatori. La vita era troppo breve per rinunciare a tante cose piacevoli. Un giorno, quando avesse sposato Ashley e fosse vecchia, un giorno, quando ne avrebbe il tempo, cercherebbe di essere come Elena. Ma fino allora... NOTE. Nota 1: "Orangeman" (orangista): membro di una società istituita in Irlanda nel 1795 per sostenere il protestantesimo, cioè la causa di Guglielmo d'Orange; società che divenne segreta dopo la sua soppressione ufficiale, nel 1835, in seguito a una lunga inchiesta parlamentare. 4 Quella sera a cena, Rossella adempì scrupolosamente il compito di presiedere la tavola in assenza di sua madre; ma il suo cervello era in fermento per la tremenda notizia che aveva udito su Ashley e Melania. Aveva un disperato desiderio che la mamma tornasse dalla casa degli Slattery, perché senza di lei si sentiva sola e smarrita. Che diritto avevano gli Slattery con le loro eterne malattie di portar via Elena dalla casa, proprio quando Rossella aveva tanto bisogno di lei? Durante il pasto malinconico la voce rumorosa di Geraldo continuò ad assordarla fino a diventarle insopportabile. Egli aveva completamente dimenticato la sua conversazione con lei, e continuava in una specie di monologo intorno alle ultime notizie del Forte Sumter, che punteggiava a colpi di pugno sulla tavola e agitando in aria le braccia. Geraldo aveva l'abitudine di dominare la conversazione quando si era a tavola, e di solito Rossella, immersa nei propri pensieri, lo udiva appena. Ma stasera non poteva farne a meno, per quanto fosse tesa ad ascoltare il rumore della carrozza che avrebbe annunciato il ritorno di Elena. Certo non direbbe a sua madre che cosa le pesava sul cuore, perché Elena sarebbe stata addolorata e scandalizzata nell'udire che una sua figlia desiderava un uomo fidanzato a un'altra ragazza. Ma nella profondità della prima tragedia della sua vita, ella desiderava il conforto della presenza di sua madre. Si sentiva sempre sicura quando Elena era accanto a lei, perché non vi era nulla di così doloroso che Elena non potesse attenuare, soltanto con la sua presenza. Si alzò improvvisamente dalla sedia a un rumore di ruote sulla ghiaia del viale, ma ricadde a sedere sentendo che il veicolo girava dietro alla casa. Non poteva essere Elena, perché essa si sarebbe fermata davanti alla scalinata. Vi fu poi nell'oscurità del cortile un vocio eccitato di negri e una stridula risata negra. Guardando dalla finestra Rossella vide Pork, il quale aveva lasciato la stanza un momento prima, che sollevava una fiaccola accesa, mentre da un carretto scendevano delle figure che ella non riusciva a distinguere. Le risa e le parole divennero più forti e nell'aria notturna furono voci cordiali e spensierate, gutturalmente dolci o musicalmente acute. Poi dei piedi nudi salirono le scale del portico posteriore e attraversarono il passaggio che conduceva alla casa principale, fermandosi nel vestibolo proprio dinanzi alla sala da pranzo. Qualche mormorio, quindi Pork entrò senza la sua consueta dignità, ma con gli occhi ridenti e tutti i denti bianchi splendenti in un sorriso. - Mister Gerald - annunciò ansimando, con tutto l'orgoglio di uno sposo sul viso lucente. -Vostra nuova donna essere venuta. - Nuova donna? Io non ho comprato nessuna donna, - dichiarò Geraldo fingendo una gran serietà. - Sissignore, tu avere comprata Mister Gerald! Sissignore! e adesso è lì fuori e desiderare parlarti. replicò Pork ridacchiando e stropicciandosi le mani tutto eccitato. - Bene, fai entrare la sposa, - disse Geraldo. E Pork, volgendosi fece cenno di entrare a sua moglie, che era appena arrivata dalla piantagione di Wilkes per venire a far parte del personale di Tara. Ella entrò e dietro a lei, quasi nascosta dalla sua voluminosa sottana di percalle, entrò una bimba di dodici anni attaccata alle gambe di sua madre. Dilcey era alta e aveva un portamento eretto. Poteva avere qualsiasi età dai trenta ai sessanta, tanto era priva di rughe la sua immobile faccia bronzea. Il sangue indiano era evidente nei suoi lineamenti, equilibrando le caratteristiche negroidi. Il colore rosso della sua pelle, la fronte stretta, gli zigomi sporgenti e il naso arcuato che s'incurvava sulle rosse labbra da negra, mostravano la mescolanza delle due razze. Era sicura di sé e camminava con una dignità che superava perfino quella di Mammy, perché Mammy l'aveva acquistata, mentre Dilcey l'aveva nel sangue. Quando parlava, la sua voce non era tanto strascicata come quella della maggior parte dei negri ed ella sceglieva le parole con più cura. - Buona sera, miss. Mister Gerald, mi dispiace di disturbarvi, ma volevo venire a ringraziare per aver comprato me e la mia bambina. Molti signori mi avrebbero comprata, ma non volevano comprare la mia Prissy, e io ringraziare per questo. Farò del mio meglio per voi per mostrare che non dimenticherò.- Uhm!... hurrump - fece Geraldo schiarendosi la gola per l'imbarazzo di essere sorpreso pubblicamente a compiere un atto di bontà. Dilcey si volse a Rossella e qualche cosa come un sorriso increspò gli angoli dei suoi occhi. - Miss Rossella, Pork mi ha detto che voi avere convinto mister Geraldo a comprarmi; perciò vi darò la mia Prissy come vostra cameriera personale. Si volse e trasse avanti la bambina. Era una piccola creatura bruna con le gambe scarne come un uccellino e una quantità di treccine accuratamente e rigidamente attorcigliate intorno alla testa. Aveva occhi acuti e penetranti a cui non sfuggiva nulla, e un'espressione studiatamente stupida. - Grazie, Dilcey - disse Rossella, - ma temo che Mammy troverà da ridire. È la mia cameriera da quando sono nata. - Mammy si persuaderà - replicò Dilcey con una calma che avrebbe esasperato Mammy. - È una brava bambinaia, ma voi siete ora una signorina e avere bisogno di una buona cameriera, e la mia Prissy ha fatto quest'ufficio presso Miss Lydia per un anno. Sa cucire e pettinare come una grande. - Stimolata da sua madre Prissy si piegò a un rapido inchino e sorrise a Rossella la quale non poté fare a meno di ricambiare il sorriso. "Dev'essere furba" pensò; e ad alta voce disse: - Grazie, Dilcey; vedremo quando la mamma viene a casa. - Grazie, miss; vi auguro la buona notte - salutò Dilcey; e voltandosi lasciò la stanza con la bambina, mentre Pork ballonzolava di gioia. Sparecchiata la tavola, Gerald riprese il suo discorso, ma con scarsa soddisfazione per se stesso e punta per l'uditorio. Le sue tonanti predizioni di guerra immediata e le sue retoriche domande se il Sud avrebbe tollerato ulteriori insulti dagli yankees. ottennero soltanto dei deboli e annoiati "sì, papà" e "no, papà" in Carolene, seduta su una stuoia sotto una grande lampada, era sprofondata nel romanzo di una ragazza che aveva preso il velo dopo la morte del suo innamorato e con lagrime silenziose che le sgorgavano dagli occhi si figurava con piacere se stessa in cuffia bianca. Susele, ricamando quello che gaiamente chiamava il suo corredo, rifletteva se le sarebbe stato possibile staccare Stuart Tarleton da sua sorella al convito di domani e a affascinarlo con le dolci qualità femminili che essa possedeva e Rossella no. E Rossella pensava ad Ashley. Come poteva papà continuare a parlare di Forte Sumter e degli yankees sapendo che il suo cuore era spezzato? Come succede nei giovanissimi, ella si stupiva che gli altri potessero essere così egoisti da non pensare a lei e che il mondo continuasse a girare malgrado il suo crepacuore. Le sembrava che il suo cervello fosse stato percosso da un ciclone, e trovava strano che la stanza da pranzo ove sedevano fosse così tranquilla e immutata da come era sempre. La pesante mobilia di mogano, l'argenteria massiccia, i tappeti di vivo colore sul pavimento lucido, tutto era al suo solito posto come se nulla fosse avvenuto. Era una stanza comoda e accogliente e generalmente Rossella amava le ore tranquille che la famiglia vi trascorreva dopo cenato; ma stasera la odiava, e se non avesse temuto le domande tonanti del padre, sarebbe sgusciata via attraverso il vestibolo buio nello studietto di Elena per piangere sul vecchio divano tutto il suo dolore. Era quella la stanza che Rossella preferiva in tutta la casa. Quivi Elena sedeva ogni mattina dinanzi alla grande scrivania, a riordinare la contabilità della piantagione, e ad ascoltare i rapporti di Giona Wilkerson, il sorvegliante. Quivi anche la famiglia oziava mentre la penna d'oca di Elena scriveva sui suoi registri; Geraldo nella vecchia poltrona a dondolo e le ragazze sui logori cuscini del divano che era troppo sciupato per arredare le stanze principali. Rossella non desiderava altro ora che essere in quella stanza, solo con Elena, in modo da poter mettere il capo nel grembo di sua madre e piangere in pace. Ma non tornava mai la mamma? Ed ecco la ghiaia stridere sotto le ruote e la dolce voce di Elena che licenziava il cocchiere. Tutto il gruppo alzò la testa ansiosamente mentre ella entrava frettolosa, facendo ondeggiare le sue gonne, col viso stanco e triste. Con lei entrò la tenue fragranza di verbena che sempre esalava dalle pieghe dei suoi abiti, una fragranza che nella mente di Rossella si collegava sempre col pensiero di sua madre. Mammy seguiva a qualche passo di distanza, con la borsa di cuoio in mano, il labbro inferiore sporgente e la fronte bassa. Borbottava fra sé nell'avanzare, badando che le sue osservazioni fossero abbastanza sommesse da non essere comprese, ma abbastanza forti per far comprendere la sua assoluta disapprovazione. - Mi dispiace di essere così in ritardo, - disse Elena togliendosi dalle spalle lo scialle di lana e porgendolo a Rossella che aveva accarezzato sulla guancia nel passare. La faccia di Geraldo si illuminò al suo entrare. - E' battezzato il piccolo? - chiese. - Sì, ed è anche morto, povera creatura. Temevo che Emma lo seguisse, ma spero che vivrà. I volti delle ragazze si volsero a lei, sgomenti e interrogativi, mentre Geraldo crollava il capo filosoficamente. - Beh, è meglio che sia morto il bimbo; ma senza dubbio il povero padre...- E' tardi, è meglio che diciamo le preghiere adesso.- interruppe Elena così dolcemente che, se Rossella non avesse conosciuto bene sua madre, l'interruzione sarebbe passata inosservata. Sarebbe stato interessante sapere chi era il padre del bambino di Emma Slattery, ma Rossella era sicura che non avrebbe mai appreso la verità se aspettava di udirla da sua madre. Rossella sospettava di Giona Wilkerson, perché lo aveva spesso veduto passeggiare sulla strada con Emma al cader della notte. Giona era Yankee e scapolo, e il fatto che egli fosse un sorvegliante metteva una insormontabile barriera fra lui e la vita sociale della Contea. Non vi era famiglia per bene che avrebbe acconsentito a dargli la figliola in moglie, né vi erano persone con le quali egli potesse far lega, eccetto gli Slattery e altra gente come loro. Siccome egli aveva un'educazione molto superiore a quella di costoro, era naturale che egli non pensasse di sposare Emma, per quanto andasse frequentemente a spasso con lei al crepuscolo. Rossella sospirò perché la sua curiosità era vivissima. Ogni cosa accadeva sempre sotto gli occhi di sua madre, la quale ignorava tutto ciò che era contrario alle sue idee di proprietà e convenienza, e cercava di inculcare gli stessi principi a Rossella, ma con scarso successo. Elena si era avvicinata al caminetto per prendere il suo rosario dalla scatoletta in cui era sempre, quando Mammy parlò con fermezza. - Miss Elena, dovere prendere qualche cosa prima di pregare.- Grazie, Mammy, ma non ho fame.- Andare a preparare qualche cosa e tu mangerai, - disse Mammy con la fronte aggrottata per l'indignazione; e si avviò per il vestibolo verso la cucina. - Pork, dire a cuoca di preparare piatti. Badrona essere tornata.Mentre le assi del pavimento scricchiolavano sotto il suo peso, il soliloquio che aveva cominciato a borbottare quando era entrata, diventò più forte ed intelligibile, giungendo chiaramente alle orecchie della famiglia nella stanza da pranzo. - Avere sempre detto io che essere inutile fare qualche cosa per quegli straccioni. Essere bersone più ingrate e più inette del mondo, e Miss Elena non dovrebbe occupare sé e affannare ad assistere gente che poi dire che ha i negri per assisterli. E avere detto...La sua voce si allontanò nel lungo passaggio aperto ai lati e coperto dal tetto che conduceva nella cucina. Mammy aveva un suo metodo per far conoscere esattamente ai suoi padroni il proprio pensiero. Era convinta che la dignità dei signori bianchi impediva loro di prestare la più lieve attenzione a ciò che faceva un negro quando borbottava fra sé. E sapeva che per salvaguardare questa dignità essi dovevano ignorare quello che lei diceva, anche se era nella stanza accanto e gridava. Ciò le evitava dei rimproveri e nello stesso tempo non lasciava dubbi in loro su quelle che erano le sue vedute su ogni argomento. Pork entrò nella stanza portando un piatto, una tovaglia e le posate. Era seguito da Jack, un piccolo negro di dieci anni che si abbottonava frettolosamente la giacca di tela bianca con una mano, e portava nell'altra uno scacciamosche fatto di strisce di giornali, legato a un bastone più lungo di lui. Elena aveva un bello scacciamosche di penne di pavone, ma questo si usava soltanto in occasioni speciali, e soltanto dopo lotte domestiche, dovute all'ostinata convinzione di Pork, di Mammy e della cuoca, che le penne di pavone portavano disgrazia. Elena sedette sulla sedia che Geraldo avanzò per lei e quattro voci la investirono. - Mamma, il merletto del mio nuovo abito da ballo è strappato. Vorrei metterlo domani sera alle Dodici Querce: mi fai il piacere di aggiustarlo? - Mamma, l'abito di Rossella è più bello del mio; e io in rosa sono uno spauracchio. Perché non mette lei il mio vestito rosa e mi lascia mettere il suo verde? Lei sta benissimo vestita di rosa.- Mamma, posso restare alzata domani sera per il ballo? Oramai ho tredici anni...- Elena, crederesti...Zitte, ragazze, altrimenti vi faccio assaggiare il mio frustino! Cade Calvert è stato stamattina ad Atlanta e dice... Volete tacere una buona volta. Non sento neanche la mia voce! E dice che tutti sono sottosopra e non parlano che di guerra; la milizia fa gli esercizi militari e si formano nuove truppe. E dice che secondo ultime notizie di Charleston non si vogliono più sopportare insulti dagli yankees. La bocca stanca di Elena sorrise nel tumulto; per primo ella si rivolse a suo marito, come è il dovere di ogni moglie. - Se quei gentiluomini di Charleston la pensano così, sono sicura che fra breve tutti saremo della stessa idea - disse, poiché era fermamente convinta che, ad eccezione di Savannah, la maggior parte della gente bennata di tutto il continente si trovava in quella piccola città marittima; opinione fermamente condivisa dai Charlestoniani.- No, Carolene; l'anno venturo. Allora potrai rimanere alzata quando si balla e portare gli abiti lunghi; e come si divertirà la mia piccola melarosa! Non fare il broncio, tesoro. Puoi andare al pic-nic, ricordatelo, e rimanere alzata fino all'ora di cena; ma sino a quattordici anni, niente balli. - Dammi il tuo abito, Rossella. Rammenderò il merletto dopo la preghiera.- Susele, non mi piace questo tono. Il tuo vestito rosa è carino e ti sta bene, come a Rossella sta bene il suo. Ma domani sera puoi mettere la mia collana di granate.Susele fece, dietro le spalle di sua madre, una smorfia di trionfo a Rossella, la quale aveva progettato di chiedere la collana per sé. Rossella le mostrò la lingua. Susele era una sorella noiosa con le sue lamentele e il suo egoismo; e se non vi fosse stata la mano di Elena a frenarla, Rossella l'avrebbe schiaffeggiata tutti i momenti. - Ora, Mister O'Hara dimmi qualche altra cosa di quello che Calvert ha raccontato di Charleston.Rossella sapeva che a sua madre non importava nulla della guerra e della politica, ritenendole faccende maschili di cui una donna intelligente non si doveva preoccupare. Ma Geraldo parlava volentieri di queste cose, e Elena cercava sempre di far piacere a suo marito. Mentre Geraldo si lanciava nuovamente nel suo argomento favorito, Mammy posò i piatti dinanzi alla padrona: petto di pollo fritto, biscotti e una patata dolce aperta e fumante, sgocciolante di burro sciolto. Mammy diede un pizzicotto al piccolo Jack, e questi si affrettò al suo compito, agitando lentamente i nastri di carta dietro a Elena. La negra rimase accanto alla tavola. osservando ogni boccone che dal piatto andava alla bocca, come se volesse spingere per forza il cibo nella gola di Elena, se questa avesse accennato a smettere di mangiare. Elena mangiava senza neppur capire che cosa metteva in bocca; era troppo stanca. Ma il volto implacabile di Mammy la costringeva a inghiottire. Vuotato il piatto e mentre Geraldo era appena a metà delle sue elucubrazioni sul ladrocinio degli yankees che volevano la libertà degli schiavi, ma senza pagare un penny per questo, Elena si alzò. - Dobbiamo dir le preghiere? - interrogò egli, riluttante. - Sì; è tardi. Senti? Sono le dieci. - In quel momento l'orologio batté le ore coi suoi rintocchi rauchi. Carolene dovrebbe essere a letto da un pezzo. La lampada, Pork, per favore; e tu, Mammy, dammi il mio libro di preghiere. Istigato dal rauco sussurro di Mammy, Jack mise il suo scacciamosche in un angolo e tolse i piatti, mentre Mammy frugava nel cassetto della credenza per cercare il logoro libro di preghiere di Elena. Pork si avvicinò in punta di piedi e tirò giù lentamente la lampada finché l'angolo della tavola fu brillantemente illuminato mentre il soffitto sembrava ritrarsi nell'ombra. Elena si rassettò le gonne e cadde in ginocchio sul pavimento, mettendo il libro aperto sulla tavola dinanzi a sé e giungendovi sopra le mani. Geraldo si inginocchiò accanto a lei; Rossella e Susele presero i loro posti consueti al lato opposto della tavola, raccogliendo le loro gonne voluminose come un cuscino sotto alle ginocchia, in modo che dolessero meno per il contatto col pavimento. Carolene, che era piccola per la sua età, non si poteva inginocchiare comodamente presso la tavola e perciò si poneva dinanzi una sedia, coi gomiti sul sedile. Le piaceva questa posizione perché generalmente si addormentava durante le preghiere; collocata in quel modo, sfuggiva agli occhi della mamma. I servi della casa si affollarono sospingendosi nel vestibolo per inginocchiarsi dinanzi alla porta, Mammy gemendo nel curvarsi, Pork dritto come un fuso, Rosa e Tina, le cameriere, graziose nelle larghe vesti di percalle a vivi colori, Cora, la cuoca, magra e gialla sotto il fazzoletto bianco che portava sul capo, e Jack, istupidito dal sonno, il più lontano possibile dalle dita spietate di Mammy. I loro occhi scuri brillavano di attesa, perché la preghiera insieme ai bianchi era uno degli avvenimenti della giornata. Le frasi vecchie e piene di colore delle Litanie, con la loro orientale ricchezza d'immagini, non avevano significato per loro, ma davano una certa soddisfazione ai loro cuori, ed essi chinavano il capo cantando le risposte "Kyrie eleison" e "ora pro nobis". Elena chiuse gli occhi e cominciò a pregare; la sua voce si elevava e si abbassava, cullava e molceva. Le teste si curvavano nel cerchio di luce gialla mentre ella ringraziava Dio per la ricchezza e la felicità della sua casa, della sua famiglia e dei suoi schiavi. Dopo aver terminato di pregare per quelli che vivevano sotto il tetto di Tara, per suo padre, madre, sorelle, per i tre bimbi morti e per le "anime del Purgatorio" strinse fra le lunghe dita la corona e cominciò il rosario. Come il fruscio di un dolce venticello si udiva il mormorio delle risposte delle gole bianche e di quelle nere: "Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell'ora della nostra morte. Così sia". Malgrado il suo mal di capo e la sofferenza delle lagrime represse, un senso profondo di quiete e di pace discese su Rossella, come sempre a quell'ora. Un po' delle delusioni della giornata e del timore dell'indomani scomparivano lasciando posto a un sentimento di speranza. Non era l'elevazione dell'anima a Dio che recava questo balsamo, perché in lei la religione non andava al di là delle preghiere mormorate a fior di labbro, ma piuttosto la vista della faccia serena di sua madre rivolta verso il trono di Dio, coi suoi angeli e i suoi santi, a chiedere la benedizione per tutti quelli che amava. Quando Elena parlava col cielo, Rossella era sicura che il cielo la ascoltava. Elena terminò; e Geraldo che non riusciva mai a trovare il suo rosario al momento delle preghiere, cominciò a contare le avemarie sulle dita. Mentre la sua voce tuonava, i pensieri di Rossella cominciarono suo malgrado a vagabondare. Sapeva che avrebbe dovuto fare l'esame di coscienza; Elena le aveva insegnato che alla fine di ogni giornata bisognava esaminare attentamente la propria coscienza, riconoscere le proprie colpe e pregare il buon Dio di averne il perdono e la forza di non più ripeterle. Ma Rossella esaminava il proprio cuore. Lasciò cader la testa sulle mani giunte, in modo che la madre non potesse vederla in viso, e il suo pensiero tornò tristemente ad Ashley. Come poteva egli progettare di sposar Melania mentre amava lei, Rossella? E mentre sapeva quanto ella lo amava? Come poteva volontariamente spezzarle il cuore? E ad un tratto un'idea le attraversò il cervello come un lampo di luce. "Ma Ashley non sa affatto che io lo amo!" Ebbe un sussulto: la sua mente rimase come paralizzata per un lungo momento durante il quale non respirò neppure; quindi prese l'aire. "Come potrebbe saperlo? Mi sono sempre comportata con tanta riservatezza, così da signora e così 'lasciatemistare' che probabilmente egli immagina che non m'importi nulla di lui se non come amico. Sì, per questo non ha mai parlato! Crede che il suo amore sia senza speranza. E perciò aveva l'aria tanto..." La sua mente tornò velocemente al tempo in cui lo aveva sorpreso a guardarla in modo strano, quando gli occhi grigi che nascondevano così bene i suoi pensieri le erano apparsi spalancati in espressione di tormento e di disperazione. "Sarà disperato perché crede che io sia innamorata di Brent o di Stuart o di Cade. E probabilmente ha pensato che dal momento che non può sposare me, tanto vale che accontenti la sua famiglia sposando Melania. Ma se sapesse che io lo amo..." Il suo spirito volubile passò dalla più profonda depressione alla felicità più vibrante. Questa era la ragione della reticenza di Ashley, della sua strana condotta. Egli non sapeva! La sua vanità venne in aiuto al suo desiderio di credere e questo desiderio divenne realtà. Se egli sapesse che lei lo ama, accorrerebbe accanto a lei. Ella non doveva che... "Oh!" pensò in estasi premendosi le dita sulla fronte china. "Come sono stata sciocca a non pensare a questo fino ad ora! Debbo trovare il modo di farglielo sapere. Non la sposerebbe se sapesse che io lo amo! Come potrebbe?" Con un sobbalzo si accorse che Geraldo aveva finito e che gli occhi di sua madre erano fissi su lei. Cominciò in fretta la sua decina, sgranando le avemarie automaticamente ma con una profondità di emozione nella voce che costrinse Mammy ad aprir gli occhi e a lanciarle uno sguardo inquisitivo. Quando ebbe terminato la sua decina e Susele e poi Carolene dissero le loro, la sua mente ricominciò a correre dietro al nuovo pensiero che l'aveva invasa. Non era ancora troppo tardi! Quante volte la Contea era stata scandalizzata dalla fuga di due innamorati quando uno o l'altro dei due era quasi davanti all'altare con un terzo! E il fidanzamento di Ashley non era ancora stato neanche annunciato! Sì, vi era tutto il tempo! Se non vi era amore fra Ashley e Melania, ma soltanto una promessa data tanto tempo fa, perché non avrebbe egli potuto sciogliersi dalla promessa e sposare lei? Certamente lo farebbe, se sapesse che lei, Rossella, lo amava. Doveva trovare il modo di farglielo sapere! E ora... Si svegliò bruscamente dal suo sogno di felicità, perché aveva trascurato di rispondere alle preghiere e sua madre la stava guardando con aria di rimprovero. Nel riprendere il rituale, aperse un attimo gli occhi e lanciò un rapido sguardo intorno alla stanza. Le figure inginocchiate, il quieto splendore della lampada, l'ombra in cui i negri si inchinavano, perfino gli oggetti familiari che un'ora prima le erano sembrati odiosi, presero in un momento il colore delle sue nuove emozioni e la stanza le sembrò ancora una volta un luogo piacevole. Non dimenticherebbe mai quel momento e quella scena. - "Virgo fidelissima" - intonò sua madre. Le litanie della Vergine erano cominciate e Rossella rispondeva obbedientemente:- "Ora pro nobis" - mentre Elena, col suo dolce contralto, lodava gli attributi della Madre di Dio. Come sempre fin dall'infanzia, questo era per Rossella il momento dell'adorazione per Elena anziché per la Madonna. Per quanto ciò potesse esser sacrilego, Rossella vedeva sempre, attraverso gli occhi chiusi, il volto di Elena e non la Beata Vergine mentre si ripetevano le antiche frasi. "Salus infirmorum... Refugium peccatorum... Sedes sapientiae... Rosa mystica..." erano belle parole perché erano gli attributi di Elena. Ma stasera, a causa dell'esaltazione del suo spirito, Rossella trovò in tutto il cerimoniale, nelle parole mormorate dolcemente, nel mormorio delle risposte, una bellezza che superava tutto ciò che aveva conosciuto prima. E il suo cuore si volse a Dio in sincero ringraziamento perché dinanzi ai suoi piedi si era aperto un sentiero... una strada che la conduceva fuori dalla sua miseria, dritta fra le braccia di Ashley. Dopo l'ultimo "amen" tutti si alzarono, qualcuno un po' faticosamente. Mammy riuscì a rimettersi in piedi mediante gli sforzi combinati di Tina e di Rosa. Pork prese dalla mensola del caminetto un lungo cerino, lo accese alla fiamma della lampada e si avviò per il vestibolo. Di faccia alla scala era una credenza di noce, troppo grande per la stanza da pranzo; sulla scansia superiore erano diverse lampade e una lunga fila di candele ficcate nei candelieri. Pork accese una lampada e tre candele e, con la pomposa dignità di un primo ciambellano della camera reale che accompagna il re e la regina nella camera da letto, precedette la processione per le scale, sollevando il lume in alto. Elena lo seguiva al braccio di Geraldo, e dopo di loro venivano le ragazze, ciascuna con un candeliere in mano. Rossella entrò nella sua stanza, posò il candeliere sul cassettone e frugò nell'armadio per prendere l'abito da ballo che bisognava aggiustare. Se lo gettò sul braccio e attraversò silenziosamente il pianerottolo. La porta della stanza da letto dei suoi genitori era semiaperta, e prima che ella avesse bussato, udì la voce di Elena bassa ma severa. - Mister O'Hara, devi licenziare Giona Wilkerson.Geraldo esplose: - E dove vado a prenderlo un altro sorvegliante che non mi truffi e non mi derubi? - Bisogna licenziarlo, immediatamente, domani mattina. Il grosso Sam è un buon caposquadra e può occuparsi di tutto finché tu non trovi un altro sorvegliante.- Ah, ah! - era la voce di Geraldo. - Capisco! È il bravo Giona che è il padre...- Bisogna licenziarlo."Dunque è lui il papà del bambino di Emma Slattery" pensò Rossella. "Sfido! Che altro ci si può aspettare da uno yankee e da una ragazza di quel genere?" Quindi, dopo una pausa discreta che diede tempo a Geraldo di smettere di borbottare, picchiò alla porta e porse l'abito a sua madre. Mentre si svestiva, Rossella rifletteva; e quando spense la candela il suo progetto per l'indomani era completo in ogni particolare. Era facilissimo, perché con la semplicità di spirito che aveva ereditato da Geraldo, i suoi occhi erano fissi soltanto sulla meta, ed ella pensava soltanto al mezzo più diretto per raggiungerla. Prima di tutto, sarebbe orgogliosa, come aveva ordinato Geraldo. Dal momento del suo arrivo alle Dodici Querce sarebbe più allegra e più spiritosa che mai. Nessuno sospetterebbe che ella era stata addolorata per il matrimonio di Ashley con Melania; e civetterebbe con tutti quanti. Questo tormenterebbe Ashley, ma lo farebbe spasimare per lei. Non trascurerebbe nessuno degli scapoli, dal vecchio Franco Kennedy, che era il corteggiatore di Susele, fino al tranquillo e timido Carlo Hamilton, fratello di Melania, il quale arrossiva così facilmente. Ronzerebbero attorno a lei come api attorno all'alveare, e certamente Ashley lascerebbe Melania per unirsi al circolo dei suoi ammiratori. E allora, ella manovrerebbe in modo da rimanere qualche minuto sola con lui, lontana dalla folla. Sperava che tutto andasse bene; altrimenti la cosa sarebbe stata difficile. Ma se Ashley non faceva il primo passo, lo farebbe lei. Quando fossero finalmente soli, egli avrebbe ancora dinanzi agli occhi il quadro degli altri uomini che le giravano attorno; sarebbe impressionato dal fatto che ognuno di coloro la desiderava, e lo sguardo triste e disperato riapparirebbe nei suoi occhi. Allora ella lo renderebbe nuovamente felice, lasciandogli scoprire che pure avendo tanti spasimanti, lo preferiva a tutti gli uomini del mondo. E dopo aver ammesso questo, pudicamente e dolcemente, si sorveglierebbe con attenzione comportandosi in tutto come una signora. Certo non le verrebbe neanche in mente di dirgli audacemente che lo amava; questo no. Ma questo era un particolare che non la turbava. Aveva già sbrogliato simili situazioni altre volte e lo farebbe ancora. A letto, col chiaro di luna che la bagnava tutta, si figurò la scena. Vedeva l'espressione di sorpresa e di felicità che gli illuminerebbe il volto nel momento in cui Ashley avrebbe compreso che ella lo amava, e udiva le parole che egli le direbbe chiedendole di essere sua moglie. Naturalmente essa gli risponderebbe che non poteva pensare a sposare un uomo che era fidanzato con un'altra, ma egli insisterebbe; e finalmente lei si lascerebbe persuadere. Allora deciderebbero di andar a Jonesboro nello stesso pomeriggio e... Sicuro, domani sera a quest'ora lei poteva essere la signora Ashley Wilkes. Sedette sul letto abbracciandosi le ginocchia, e per un momento fu veramente la signora Ashley Wilkes... la sposa di Ashley! che felicità! Ma subito dopo sentì un po' di freddo al cuore. E se le cose non andassero così? Se Ashley non le proponesse di fuggire con lui? Respinse decisamente questo pensiero. - Non voglio pensare a questo, adesso - disse decisamente. - Se ci penso, mi conturbo troppo. Non vi è ragione che le cose non vadano come io desidero... se Ashley mi ama; e so che mi ama! Sollevò il mento e i suoi occhi dalle lunghe ciglia nere brillarono nel chiaro di luna. Elena non le aveva mai detto che desiderio e raggiungimento sono due cose diverse; la vita non le aveva insegnato che il correre non sempre significa raggiungere il palio. Rimase nella luce argentea col coraggio che si rafforzava sempre più e facendo i progetti che una sedicenne può fare quando la vita è sempre stata per lei così piacevole che ogni sconfitta pare impossibile, e un bell'abito e una fresca carnagione sono per lei le armi che vincono il destino. 5 Erano le dieci di mattina di una calda giornata d'aprile. Il sole d'oro entrava a fiotti nella camera di Rossella attraverso le cortine azzurre della finestra spalancata. Le pareti gialline brillavano di luce e i mobili di mogano avevano riflessi di un rosso vinoso, mentre il pavimento splendeva come fosse di vetro, eccetto dove i tappeti lo coprivano con grandi macchie di colori vivaci. L'estate era già nell'aria, il primo annuncio dell'estate georgiana quando la primavera si ritrae riluttante davanti a un calore più ardente. Un dolce tepore balsamico penetrava nella stanza, pesante di profumi vellutati, fragrante di fiori, di germogli e della rossa terra appena arata. Attraverso la finestra Rossella vedeva l'orgia brillante delle bordure di asfodeli lungo il viale inghiaiato e le masse d'oro dei gelsomini gialli che allargavano sul terreno i loro rami fioriti come ampie crinoline. I merli e le gazze eternamente in lite per il possesso del feudo rappresentato dall'albero di magnolia che era sotto la sua finestra, strepitavano senza posa; le gazze aspre e stridenti, i merli dolci e lamentosi. Generalmente le mattinate così splendide richiamavano Rossella alla finestra, con le braccia spalancate a respirare a larghi polmoni i profumi di Tara. Ma oggi ella non aveva occhi per il sole e per il cielo azzurro, presa com'era da questo pensiero: per fortuna non piove. Sul letto era la veste da ballo di seta marezzata verde mela, coi festoni di pizzo crema, piegata in una grande scatola di cartone. Era pronta per essere portata alle Dodici Querce, affinché ella potesse indossarla prima che cominciasse il ballo; ma Rossella vedendola crollò le spalle. Se il suo progetto riusciva, stasera ella non indosserebbe quell'abito. Molto prima che il ballo avesse inizio, lei e Ashley sarebbero sulla via di Jonesboro per andarsi a sposare. Ora il problema era questo: che abito doveva mettere per il banchetto all'aperto? Quale abito metterebbe meglio in rilievo il suo fascino e la renderebbe più irresistibile agli occhi di Ashley? Fin dalle otto non aveva fatto che provare abiti e scartarli; ed ora, avvilita e irritata, stava davanti allo specchio in mutandine di pizzo, busto di tela e tre sbuffanti sottovesti di battista e merletto. Attorno a lei gli abiti scartati erano sul pavimento, sul letto, sulle sedie, formando gaie macchie di colore, striate dai nastri che li guarnivano. Quello di organza rossa con la lunga sciarpa color fragola, le stava bene, ma lo aveva già portato l'estate scorsa quando Melania era venuta alle Dodici Querce; e certamente quella se ne ricordava. E poteva essere abbastanza inopportuna da notarlo. Quello di trapuntato nero, con le maniche a sbuffo e la collaretta di trina, faceva risaltare mirabilmente la sua pelle bianca, ma la faceva apparire un pochino più vecchia. Rossella scrutò ansiosamente nello specchio il suo volto di sedici anni quasi come se temesse di scorgervi delle rughe o il doppio mento. Non avrebbe mai voluto apparire meno fresca accanto alla dolce giovinezza di Melania. Quello di mussolina color lavanda era bello, con le ampie incrostazioni di trina e tulle, ma non era mai stato adatto al suo tipo. Starebbe bene al delicato profilo di Carolene e alla sua espressione di fragilità; ma Rossella sapeva che a lei quel vestito dava l'aria di una scolaretta. E non voleva certo apparire troppo infantile accanto alla tranquilla posatezza di Melania. Il taffetà verde a quadri, tutto a volani, orlati di nastro di velluto verde, le si addiceva molto ed era infatti il suo abito favorito perché dava ai suoi occhi i riflessi dello smeraldo; ma disgraziatamente aveva proprio sul davanti una inequivocabile macchia di grasso. Avrebbe potuto nasconderla con la spilla, ma forse Melania aveva la vista buona. Rimanevano svariati abiti di cotone, che a Rossella non sembravano abbastanza eleganti per l'occasione; gli abiti da ballo e quello di mussolina a fiori che indossava ieri. Anche questo, però, era un abito da pomeriggio non adatto per un pic-nic, perché aveva le maniche corte a sbuffo e la scollatura troppo profonda. Ma non c'era nulla da fare: bisognava mettere quello. Dopo tutto non si vergognava del suo collo, delle sue braccia, e del suo petto, anche se non era corretto metterli in mostra di mattina. Guardandosi nello specchio e girandosi per vedersi di fianco, si disse che nella sua figura non vi era nulla di cui potesse vergognarsi. Il suo collo era corto ma rotondo, le sue braccia pienotte e seducenti, il seno, spinto in alto dal busto, era veramente bello. Non aveva mai avuto bisogno di cucire nella fodera dei suoi corpetti striscioline di seta increspata, come facevano molte ragazze di sedici anni per dare alle loro figure la pienezza e le curve desiderate. Era felice di avere ereditato le candide mani sottili e i piedini di Elena, e avrebbe voluto averne anche la statura. Ma comunque, la sua altezza la soddisfaceva abbastanza. Che peccato non poter mostrare le gambe pensò sollevando la gonna e osservandole con rimpianto, dritte e ben formate, sotto le mutandine. Aveva delle gambe tanto carine: lo riconoscevano perfino le ragazze del collegio di Fayetteville. Quanto alla vita, nessuno a Fayetteville, Jonesboro o nelle tre Contee poteva vantarsi di averla più sottile. Il pensiero della cintura la ricondusse a cose più pratiche. L'abito di mussolina verde aveva una cintura di quaranta centimetri, e Mammy le aveva allacciato il busto per l'abito di trapuntato che era tre centimetri più largo. Bisognava dunque che Mammy lo stringesse di più. Aperse la, porta, prestò ascolto e udì il passo pesante di Mammy nel vestibolo. La chiamò con impazienza gridando, sapendo di poter alzare la voce con impunità, perché Elena era nella dispensa a distribuire il cibo della giornata. - Credere che io poter volare - borbottò Mammy affannandosi per le scale. Entrò sbuffando con l'espressione di una che attende la battaglia ed è disposta ad affrontarla. Nelle sue grandi mani nere era un vassoio su cui fumavano due grosse patate dolci coperte di burro, un piatto di focaccine di grano saraceno imbevute di sciroppo e una grande fetta di prosciutto che nuotava nel sugo. Vedendo il carico di Mammy l'espressione di Rossella mutò, passando dall'irritazione all'ostinata bellicosità. Nell'eccitazione di misurare gli abiti ella aveva dimenticato la ferrea regola di Mammy, la quale esigeva che prima di recarsi a qualsiasi riunione le ragazze O'Hara dovevano essere talmente rimpinzate a casa da non poter mangiare nulla al ricevimento. - E' inutile. Non mangio. Puoi riportarlo in cucina. Mammy posò il vassoio sulla tavola e si mise le mani sui fianchi. - Sì, Miss; mangerai! Mi ricordare troppo bene quello che essere successo all'ultimo pic-nic, quando io ero troppo ammalata per poterti portare il vassoio prima che tu andare via. Dovere mangiare questo senza lasciare nulla. - Non lo mangio. Piuttosto vieni qui e allacciami più stretto poiché è già tardi. Sento la carrozza che è già davanti alla casa.Il tono di Mammy si fece più dolce: - Via, Miss Rossella, essere buona, mangiare un pochino. Miss Carolene e Miss Susele avere mangiato tutto.- Si capisce! - esclamò Rossella con disprezzo. - Hanno il cervello di un coniglio! Ma io no; basta coi vassoi. Mi ricordo ancora quella volta che ho mangiato tutto prima di andare dai Calvert e là fu presentato a tavola un gelato che avevano portato sul ghiaccio fino da Savannah, e io non ne potei mangiare che un cucchiaio. Oggi mi voglio divertire e mangiare quanto mi pare.A questa sprezzante eresia Mammy abbassò il capo con indignazione. Nella sua mente ciò che una signorina poteva o non poteva fare era diverso come il bianco dal nero; non vi era fra le due cose alcuna via di mezzo. Susele e Carolene erano una creta molle nelle sue mani vigorose, e ascoltavano rispettosamente i suoi avvertimenti. Ma era sempre stata una lotta per insegnare a Rossella che la maggior parte dei suoi impulsi naturali non erano da signora. Le vittorie di Mammy su Rossella erano conquistate duramente, ed erano il risultato di una scaltrezza sconosciuta ai bianchi. - Se a te non importare quello che dice la gente, a me importare. - muggì. - E io rimanere qui perché non voglio che tu andare a ricevimento affamata. Ti avere detto e ripetuto che si riconoscere una dama perché mangiare come un uccellino, e io non volere che tu andare dai signori Wilkes per cavarti la fame.- - La mamma è una signora eppure mangia - ribatté Rossella. - Quando essere sposata, potrai mangiare anche tu - ritorse Mammy. - Quando miss Elena avere tua età, non mangiare nulla quando usciva; e nemmeno tua zia Paolina e zia Eulalia. E tutte essersi sposate. Signorine che mangiare molto non trovare marito.- Non ci credo. A quel pic-nic, quando tu eri ammalata e io non mangiai prima di uscire, Ashley Wilkes mi disse che gli piaceva vedere una ragazza con un appetito sano.Mammy crollò la testa minacciosamente. - Quello che i giovanotti dire e quello che pensare essere due cose diverse; io non mi essere accorta che Mister Ashley avere chiesto di sposarti.Rossella aggrottò le ciglia e fece per rispondere aspramente; ma si trattenne. Vedendo l'espressione del suo volto, Mammy riprese il vassoio e con la furberia della sua razza, mutò tattica. Si avviò alla porta sospirando: - E va bene. Avere appunto detto alla cuoca, mentre preparare questo vassoio: "si riconosce una signora da quello che non mangia" e lei avere risposto: "non avere mai visto una signora bianca mangiare meno di quanto mangiare Miss Melly Hamilton l'ultima volta che essere stata a trovare Mister Ashley... voglio dire a trovare Miss Lydia".Rossella lanciò un'occhiata sospettosa; ma la larga faccia di Mammy aveva solo un'espressione d'innocenza e di rammarico per il fatto che Rossella non fosse tanto signora quanto Melania Hamilton. - Metti giù quel vassoio e vieni ad allacciarmi più stretto - ordinò la giovinetta irritata. - Cercherò di mangiare un pochino dopo; se mangio adesso non si può stringere abbastanza il busto.Nascondendo il suo trionfo, Mammy posò il vassoio. - Quale abito mettere? - Questo - rispose Rossella indicando il morbido ammasso di mussolina verde a fiori. Istantaneamente Mammy fu in armi. - Questo no; non essere adatto per mattino. Non potere mostrare il petto prima delle tre pomeridiane e quel vestito non avere colletto né maniche. Ti riempirai di lentiggini come quando sei nata e io non volere che tu tornare ad essere lentigginosa dopo tutto il latte con cui averti spalmata durante inverno per toglierti quelle che esserti presa a Savannah sulla spiaggia. Ora vado a parlare con la mamma.- Se le dici una parola prima che io sia vestita, non mangerò neanche un boccone, - rispose Rossella freddamente. - Mamma non avrà il tempo di farmi cambiare abito, una volta che sono vestita.Mammy sospirò rassegnata, sentendosi sconfitta. Fra i due mali era meglio che Rossella portasse di mattina un abito da pomeriggio piuttosto che dovesse mangiare come un maialetto. - Tieniti ferma e trattenere il fiato - ordinò. Rossella obbedì afferrandosi ad una delle spalliere del letto. Mammy tirò la stringa vigorosamente e quando la sottile circonferenza della cintura racchiusa fra le stecche di balena diventò ancor più sottile, un'espressione di orgoglio e di affetto apparve nei suoi occhi. - Nessuno avere vita sottile come il mio agnellino - disse soddisfatta. - Ogni volta che stringo Miss Susele oltre i cinquanta centimetri, sviene.- Uff... - fece Rossella respirando con difficoltà. - Io non sono mai svenuta in vita mia.-Beh, non essere nulla di male se ogni tanto tu avere svenimento - consigliò Mammy. - Non è bello, ti avverto, che tu sopportare la vista dei serpenti e dei topi. Non dico quando essere in casa, ma almeno quando essere in compagnia. E poi...- Oh, basta! Non parlare tanto. Il marito lo troverò, vedrai, anche se non grido e non svengo. Dio, come è stretto il mio busto! Infilami il vestito.Mammy infilò accuratamente i dodici metri di mussolina verde sulla montagna delle sottovesti e agganciò sul dorso il corpetto scollato. - Terrai la sciarpa quando essere al sole; e non ti levare il cappello anche se avere caldo - impose. Altrimenti venire a casa bruna come la vecchia Miss Slattery. Ora mangia, tesoro; ma non mangiare troppo in fretta. Rossella sedette ubbidiente dinanzi al vassoio, chiedendosi se le sarebbe stato possibile mettere qualche cosa nello stomaco e avere ancora abbastanza spazio da poter respirare. Mammy prese dall'armadio un largo asciugamano e lo annodò attorno al collo della fanciulla allargandoglielo sul grembo. Rossella cominciò col prosciutto perché le piaceva e si sforzò d'inghiottirlo. - Dio volesse che io fossi sposata - disse risentita mentre attaccava borbottando le patate dolci. - Sono stanca di dover sempre essere innaturale e di non fare mai quello che mi piace. Sono stanca di fingere di mangiare come un uccello e di passeggiare quando ho voglia di correre, di dire che mi gira la testa dopo un valzer, mentre ballerei due giorni di seguito senza stancarmi. Sono stufa di dire "siete straordinario!" a degli imbecilli che non hanno la metà dell'intelligenza che ho io e di far finta di non saper nulla perché gli uomini possano dirmi delle sciocchezze credendo d'insegnarmi chi sa che cosa... Non posso mangiare neanche un altro boccone.- Prova una focaccina calda. - Mammy era inesorabile. - Perché una ragazza deve far tanta fatica per trovare un marito? - Credo che essere perché i giovanotti non sapere quello che vogliono. Sanno soltanto quello che credono di volere. E se dare loro quello che credono di volere, evitare un sacco di dispiaceri e il pericolo di rimaner zitella. E loro credono di volere dei topolini stupidi e che hanno dei gusti da uccelletto. Io pensare che un giovinotto non sceglierebbe mai per moglie una donna se capire che lei ha più intelligenza di lui.- E non credi che gli uomini abbiano delle sorprese dopo il matrimonio quando si accorgono che la moglie ne capisce più di loro? - Allora essere troppo tardi. Essere già sposati.- Un giorno o l'altro mi metterò a fare e dire tutto quello che mi pare; e se alla gente non piace, non me ne importa nulla.- Non lo farai - disse gravemente Mammy. - Almeno finché io essere viva. Mangiare la focaccina; intingila nello sciroppo.- Non credo che le ragazze yankees facciano di queste sciocchezze. Quando siamo stati a Saratoga, l'anno scorso, ne ho viste tante che si comportavano come se fossero intelligenti, e anche davanti agli uomini.Mammy ebbe un riso beffardo. - Ragazze yankees! Può darsi che parlare e fare come dici tu; ma non ho mai saputo che qualcuna di loro essere stata chiesta in moglie a Saratoga.- Ma anche le yankees si sposano - contraddisse Rossella. - Non nascono per opera e virtù dello Spirito Santo. Si sposano e hanno dei figli. Ve ne sono anche troppi.- Le sposano per il denaro - replicò Mammy decisa. Rossella intinse la focaccia nello sciroppo e la mise in bocca. Forse quello che diceva Mammy era giusto. Doveva esserlo, perché Elena diceva la stessa cosa, benché con parole diverse e più delicate. Infatti, le mamme di tutte le ragazze che conosceva instillavano nelle loro figlie la necessità di essere creature fragili, deboli, con occhi da cerbiatta. Occorreva veramente una certa intelligenza per coltivare e conservare quegli atteggiamenti. Forse lei era stata troppo aspra. Aveva avuto occasione di discutere con Ashley e aveva sostenuto con franchezza le proprie opinioni. Forse questo e il sano godimento che ella provava nel cavalcare e nel passeggiare, l'avevano distolto da lei facendolo volgere verso la fragile Melania. Forse se ora mutasse tattica... Ma sentì che se Ashley fosse stato vinto dai premeditati armeggii femminili, ella non lo avrebbe più rispettato come lo rispettava ora. Non valeva la pena di avere un uomo che si lasciava impressionare da un sorriso, da uno svenimento e da un "oh, siete straordinario!" Eppure, sembrava che questo piacesse a tutti. Se in passato aveva usato una tattica sbagliata... oramai il passato era passato. Oggi ne userebbe un'altra; quella giusta. Lo voleva; e aveva solo poche ore per riuscire. Se svenire o fingere uno svenimento poteva giovare, farebbe anche quello. Se sorridere, civettare ed essere sventate poteva attrarlo, civetterebbe con piacere e sarebbe più sventata anche di Caterina Calvert. E se erano necessarie misure più ardite, ebbene! le prenderebbe. Oggi era la giornata! Non vi era nessuno che potesse dire a Rossella che la sua personalità, benché fosse tanto vivace da fare spavento, era più attraente di qualsiasi finzione ella potesse tentare. Se le fosse stato detto, sarebbe stata lieta ma incredula. E anche la società di cui ella faceva parte sarebbe stata incredula, perché mai prima o dopo di allora - la naturalezza femminile era stata così poco apprezzata. Mentre la carrozza la portava per la strada sanguigna verso la piantagione dei Wilkes, Rossella provò un senso di gioia colpevole perché né sua madre né Mammy facevano parte della brigata. Non vi sarebbe al pic-nic nessuno che, alzando delicatamente le sopracciglia o sporgendo il labbro inferiore, si intromettesse nel suo piano d'azione. Senza dubbio, Susele racconterebbe un sacco di storie domani; ma se tutto andava secondo le speranze di Rossella, l'eccitazione della famiglia per il suo fidanzamento con Ashley o per la sua fuga sarebbe tale da equilibrare il loro dispiacere. Sì; era ben contenta che Elena fosse stata costretta a rimanere a casa. Geraldo, montato da un buon bicchiere di cognac, aveva licenziato Giona Wilkerson quella mattina, ed Elena era rimasta a Tara per verificare i conti della piantagione prima della sua partenza. Rossella aveva salutato sua madre nello studietto dove ella era seduta dinanzi alla grande scrivania coi suoi casellari pieni di carte. Accanto a lei era Giona Wilkerson, col cappello in mano; la sua faccia pallida e sparuta nascondeva a stento l'ira e l'odio che lo invadeva vedendosi licenziato senza cerimonie dal miglior posto di sorvegliante che fosse in tutta la Contea. E tutto a causa di un po' di amor platonico. Aveva detto e ripetuto a Geraldo che il bambino di Emma Slattery poteva essere stato procreato da altri dodici uomini come da lui- nella qual cosa Geraldo era d'accordo - ma questo, secondo Elena, non mutava la situazione. Giona odiava tutti i meridionali. Odiava la loro gelida cortesia verso di lui e il loro disprezzo per la sua condizione sociale, malamente nascosto dalla loro urbanità. Odiava soprattutto Elena O'Hara, perché ella era il compendio di tutto quello che egli detestava nei meridionali. Mammy come superiora delle donne dalla piantagione, era rimasta a casa per aiutare Elena; quindi fu Dilcey che salì a cassetta accanto a Tobia, portando sulle ginocchia le scatole con gli abiti da sera delle ragazze. Geraldo cavalcava accanto allo sportello, riscaldato dal cognac e contento di sé per aver liquidato così rapidamente la spiacevole faccenda di Wilkerson. Aveva rovesciato tutta la responsabilità su Elena, senza menomamente pensare alla delusione di lei per dover rinunciare al convito e alla conversazione con le sue amiche; era una bella giornata di primavera, i suoi campi erano belli e gli uccelli cantavano ed egli si sentiva troppo giovine e giocoso per pensare ad altro. Ogni tanto si metteva improvvisamente a cantare qualche canzoncina irlandese o il lugubre lamento in morte di Roberto Emmet. Era felice, piacevolmente eccitato all'idea di trascorrere la giornata a dir male degli yankees e a parlare della guerra, e fiero delle sue tre belle figliuole nelle loro eleganti crinoline, sotto certi buffi e minuscoli parasoli di trina. Non pensava più alla sua conversazione del giorno precedente con Rossella, perché gli era completamente uscita di mente. Pensava soltanto che sua figlia era graziosa e somigliava a lui; e oggi i suoi occhi erano verdi come le colline d'Irlanda. Quest'ultimo pensiero gli diede una migliore idea di se stesso, e allora egli gratificò le ragazze di un'interpretazione a piena voce della canzone "La verde Erinni". Rossella lo guardava con l'affettuoso disprezzo che le mamme hanno per i ragazzi vanagloriosi e pensava che al tramonto sarebbe completamente ubriaco. Tornando a casa nell'oscurità avrebbe cercato, come sempre, di saltare tutte le barriere fra le Dodici Querce e Tara e - sperava Rossella - con l'aiuto della Provvidenza e il buon senso del suo cavallo, arriverebbe a casa senza rompersi il collo. Disdegnerebbe il ponte e attraverserebbe il fiume facendo nuotare il cavallo e arriverebbe a casa strepitando per esser messo a dormire sul divano dello studio con l'aiuto di Pork che in queste occasioni aspettava sempre nel vestibolo con la lampada accesa. Rovinerebbe il suo nuovo abito grigio, cosa che l'indomani mattina lo avrebbe fatto imprecare terribilmente; e avrebbe raccontato a Elena che nell'oscurità il cavallo era caduto dal ponte - una menzogna evidente a cui nessuno avrebbe creduto ma che tutti avrebbero finto di accettare, facendogli così ritenere di essere molto furbo. "Il babbo è un tesoro egoista e irresponsabile" pensò Rossella con un'ondata di tenerezza per lui. Si sentiva così felice e eccitata che includeva nel suo affetto tutto il mondo, oltre a Geraldo. Era graziosa e lo sapeva; Ashley sarebbe suo prima che la giornata fosse finita; il sole era caldo e dolce e la gloria della primavera georgiana si spiegava dinanzi ai suoi occhi. Ai lati della strada i cespugli di more nascondevano col loro verde tenero le selvagge fenditure rosse prodotte dalle pioggie invernali, e i ciottoli di granito che affioravano fra la terra vermiglia erano coperti dai rami delle rose di macchia e circondati di violette selvagge di una pallida sfumatura purpurea. Sulle colline boscose al disopra del fiume i fiori dei cornioli splendevano candidi come se fra il verde ancora permanesse della neve. I meli selvatici erano tutta una spuma di corolle che da un bianco delicato sfumavano in un rosa vivo e, sotto gli alberi dove i raggi del sole striavano di macchie gialle il suolo coperto di aghi di pino, gli arbusti formavano un tappeto variopinto di scarlatto, di rosa e di arancione. Vi era nell'aria una lieve fragranza di caprifoglio e tutto il mondo era profumato come se fosse cosa da mangiare. "Ricorderò finché vivo la bellezza di questa giornata" pensò Rossella. "Forse sarà il giorno delle mie nozze!" E col cuore che le batteva, pensò alla sua fuga insieme ad Ashley nel pomeriggio, attraverso quello splendore di fiori e di verde, oppure la sera, col chiaro di luna, verso Jonesboro e un sacerdote. Certamente, il matrimonio dovrebbe essere nuovamente celebrato da un prete di Atlanta; ma a questo penserebbero Elena e Geraldo. Si sgomentò un momento pensando che sua madre sarebbe impallidita di mortificazione sapendola fuggita col fidanzato di un'altra ragazza; ma era sicura che Elena le perdonerebbe vedendola felice; e Geraldo strepiterebbe e urlerebbe, ma sarebbe contento al di là di ogni immaginazione di un'alleanza tra la propria famiglia e quella di Wilkes. - Ma questa è cosa a cui bisognerà pensare dopo il matrimonio. - disse fra sé cercando di allontanare questo pensiero. Era impossibile provare altro che una gioia palpitante in quel sole primaverile, mentre i comignoli delle Dodici Querce cominciavano ad apparire sulla collina al di là del fiume. "Passerò qui tutta la mia vita e vedrò cinquanta primavere come questa e forse di più, e dirò ai miei figli e ai miei nipoti come era bella questa primavera, più bella di quella che essi potranno vedere." Fu così felice a questo pensiero, che si unì al coro che cantava l'ultima strofa di "La verde Erinni" ottenendo la fragorosa approvazione di Geraldo. - Non so perché sei così allegra, stamattina - disse Susele sgarbatamente, perché era ancora tormentata dal pensiero che l'abito da ballo di Rossella le sarebbe stato assai meglio del suo. E perché Rossella era sempre così egoista da non voler prestare i suoi vestiti e le sue cuffiette? E perché la mamma la sosteneva sempre dichiarando che il verde non era adatto a Susele? - Sai benissimo anche tu che stassera sarà annunciato il fidanzamento di Ashley. Lo ha detto il babbo stamattina, e so che da tanti mesi tu pensi a lui.- Questo è tutto quello che sai - rispose Rossella mostrandole la lingua e rifiutando di perdere il suo buon umore. Come sarebbe sorpresa madamigella Susanna domattina a quest'ora! - Sai benissimo che non è così, Susele - protestò Carolene. - Rossella ha simpatia per Brent.Rossella volse sorridendo gli occhi verdi sulla sorellina, stupita che fosse così gentile. Tutta la famiglia sapeva che il cuore tredicenne di Carolene batteva per Brent Tarleton, il quale non si era mai occupato di lei, se non come sorellina di Rossella. Quando Elena non era presente le sorelle la stuzzicavano a proposito di lui, sino a farla piangere. - Tesoro, non m'importa nulla di Brent - dichiarò Rossella troppo felice per non essere generosa. - E a lui non importa nulla di me. Aspetta che tu diventi grande.Il visino rotondo di Carolene divenne scarlatto, mentre la gioia lottava in lei con l'incredulità. - Davvero, Rossella? - Rossella, sai che la mamma ha detto che Carolene è troppo giovane per pensare ai corteggiatori, e tu le vai mettendo in testa di queste idee.- Vai a riferirlo alla mamma, e vedrai - replicò Rossella. -Tu vuoi che Carolene sia sempre una bambina perché sai che fra un anno sarà più bella di te. - Tenete la lingua a posto, oggi, altrimenti assaggerete il mio frustino - ammonì Geraldo. - Silenzio adesso! Non è un rumore di ruote? Saranno i Tarleton o i Fontaine.Mentre si avvicinavano all'incrocio della strada che veniva dalle colline boscose di Mimosa e di Fairhill, il rumore di zoccoli e di ruote divenne più forte e un clamore di voci femminili che disputavano gaiamente risuonò dietro agli alberi. Geraldo, oltrepassando la carrozza, fece trottare il suo cavallo accennando a Tobia di fermare il veicolo all'incrocio. - Sono le signore Tarleton - annunziò alle figliole illuminandosi, perché, eccettuato Elena, nessuna signora della Contea gli piaceva quanto la signora Tarleton coi suoi capelli rossi. - Ed è lei che guida. Ah, quella è una donna che sa come si tengono le redini! Ha le mani leggere come piume e forti come un guanto di ferro, e belle da baciare. Peccato che nessuna di voi abbia le mani così - aggiunse rivolgendo alle figliole uno sguardo affettuoso ma riprovevole. - Carolene ha paura delle bestie, Susele ha delle mani che sembran d'acciaio, quando prende le redini, e tu, gattina...- Ad ogni modo io non sono mai stata buttata giù - esclamò Rossella indignata - e la signora Tarleton ogni volta che va alla caccia va a finire in qualche fosso. - E si comporta come un uomo - riprese Geraldo - Senza svenimenti e senza storie. Ma zitta ora; sta arrivando.Si drizzò sulle staffe e si tolse il cappello, agitandolo appena vide spuntare la carrozza stipata di fanciulle in abiti chiari, parasoli e veli fluttuanti, con la signora Tarleton a cassetta, come Geraldo aveva annunciato. Con le sue quattro figliole, la loro bambinaia e gli abiti da ballo in lunghe scatole di cartone che riempivano la vettura, non rimaneva spazio per il cocchiere. E del resto, Beatrice Tarleton non permetteva mai che nessuno, bianco o negro, tenesse le redini quando lei aveva le braccia libere. Fragile, sottile di osso, e così bianca di pelle che i suoi capelli fiammeggianti sembravano aver assorbito nella loro massa ardente tutto il colore del suo volto, era nondimeno dotata di una salute esuberante e di un'energia instancabile. Aveva messo al mondo otto figliuoli, rossi di capelli e pieni di vita come lei, e li aveva allevati, si diceva, ottimamente, perché usava con loro la stessa severa disciplina e affettuosa indifferenza che usava coi suoi puledri. - Domateli, ma non togliete loro la vivacità - era il motto della signora Tarleton. Amava i cavalli e ne parlava continuamente. Li comprendeva e sapeva trattarli meglio di chiunque altro nella Contea. I puledri affollavano la pastura al confine del prato dinanzi alla casa, come i suoi otto figlioli affollavano la casa sulla collina; e puledri, figli e figlie, e cani da caccia la seguivano dappresso quando ella giungeva alla piantagione. Ella attribuiva ai suoi cavalli, specialmente alla sua giumenta Nelly, un'intelligenza umana; e se le cure della casa le impedivano di muoversi nell'ora in cui contava di fare la sua cavalcata quotidiana, ella metteva la ciotola dello zucchero nelle mani di un negretto e gli diceva: - Danne una manciata a Nelly, e dille che uscirò più tardi.Eccetto rare occasioni, portava sempre l'abito da amazzone, perché anche senza averlo fissato prima, aspettava da un momento all'altro di potere andare a cavallo; e in questa attesa, indossava l'abito appena alzata. Ogni mattina, pioggia o bel tempo, Nelly era sellata e passeggiava su e giù dinanzi alla casa, aspettando il momento in cui la signora Tarleton potesse togliere un'ora ai propri doveri. Ma Fairhill era una piantagione difficile da dirigere, e raramente era possibile trovare il tempo; il più delle volte Nelly passeggiava per delle ore senza cavaliere, mentre Beatrice Tarleton sbrigava le sue faccende con la gonna distrattamente rialzata sul braccio, mostrando al di sotto quindici centimetri di lucidi stivaloni. Oggi, con un abito di seta nera opaca, su una crinolina troppo piccola per la moda, sembrava ancora vestita da amazzone, perché l'abito era tagliato severamente come il suo costume da cavallo, e il cappellino nero con la lunga piuma, abbassato sugli occhi neri lucidi e ardenti, era una copia del vecchio cappello che adoperava per andare a caccia. Agitò la frusta vedendo Geraldo e trattenne la sua impaziente pariglia rossa, mentre le quattro ragazze si sporgevano fuori dalla carrozza vociferando i loro saluti a voce così alta che i cavalli sobbalzarono spaventati. Un osservatore casuale avrebbe supposto che i Tarleton e gli O'Hara non si vedessero da anni invece che da giorni. Ma erano persone socievoli e amavano i loro vicini, specialmente le ragazze O'Hara. Cioè amavano Susele e Carolene. Nessuna ragazza della Contea, eccettuata forse quella sventata di Caterina Calvert, amava veramente Rossella. In estate, nella Contea si avevano conviti e balli quasi ogni settimana. Ma per le fulve Tarleton con la loro enorme capacità di divertirsi, ogni riunione e ogni ballo era eccitante come se fosse il primo della loro vita. Era un grazioso e vivacissimo quartetto, così stipato nella carrozza che le ampie gonne a cerchi e i volanti si gonfiavano spumeggiando, e i piccoli parasoli si urtavano fra di loro al di sopra degli ampi cappelli di paglia di Firenze incoronati di rose e ornati di nastri di velluto nero. Tutte le sfumature del fulvo erano sotto quei cappelli: i capelli di Etta erano di un rosso schietto, quelli di Camilla color pannocchia, quelli di Miranda a riflessi cuprei e quelli della piccola Bettina color carota. - E' un bel branco, madama, - disse galantemente Geraldo portandosi col cavallo di fianco alla carrozza. - Ma son ben lontane dal superare la loro mamma.La signora Tarleton girò i suoi occhi bruni e si succhiò il labbro inferiore, come burlesco ringraziamento; le ragazze esclamarono: - Mamma, smettila di far la civetta, altrimenti lo diciamo al babbo! Vi assicuro, Mister O'Hara, che non ci dà mai modo di farci valere quando c'è un bell'uomo come voi.Rossella rise con le altre di queste celie, ma come sempre, la libertà con la quale le Tarleton trattavano la loro mamma, la urtò. Facevano come se essa fosse una di loro, e non avesse più di sedici anni. Per Rossella la sola idea di poter dire una cosa simile a sua madre, era un sacrilegio; eppure... eppure... vi era qualche cosa di molto piacevole nelle relazioni delle ragazze Tarleton con la loro mamma; ed esse la adoravano, benché la criticassero, la stuzzicassero, e la sgridassero. Non che lei potesse preferire una madre come la signora Tarleton, si affrettò lealmente a dire a se stessa; ma certo doveva essere molto divertente scherzare così con la mamma. Sapeva che anche questo pensiero era irrispettoso per Elena e se ne vergognò. Era sicura che nessun pensiero così fastidioso aveva mai turbato i cervelli sotto le quattro capigliature fiammeggianti; e come sempre quando si trovava diversa dalle sue vicine, si sentì invadere da una perplessità irritata. Benché il suo cervello fosse pronto, non era fatto per l'analisi; riusciva peraltro a rendersi conto che benché le ragazze Tarleton fossero sregolate come puledri e turbolente come giumente in marzo, vi era in loro una singolare spensieratezza ereditaria. Tanto da parte di madre che di padre, erano Georgiane del nord, solo di una generazione posteriore ai pionieri. Erano sicure di se stesse e del loro ambiente. Sapevano istintivamente ciò che dovevano fare, come i Wilkes, benché in modo assolutamente diverso. E in loro non erano quei conflitti, che frequentemente si dibattevano nel seno di Rossella, nella quale il sangue di un'aristocratica della costa, dolce e quieta, si mescolava col sangue di un contadino irlandese accorto e grossolano. Rossella desiderava rispettare e adorare sua madre come un idolo, ma anche scompigliarle i capelli e stuzzicarla. E sapeva che bisognava fare o una cosa o l'altra. Era lo stesso conflitto che le faceva desiderare di apparire una signora delicata e aristocratica ai giovanotti ed essere nello stesso tempo una sfacciatella che non faceva scrupolo per qualche bacio. - Dov'è Elena, stamattina? - chiese la signora Tarleton. - Abbiamo licenziato il nostro sorvegliante ed Elena è rimasta a casa per verificare i conti. E vostro marito? E i ragazzi? - Oh, sono andati alle Dodici Querce già da un pezzo, per assaggiare il ponce e sentire se era abbastanza forte; come se non vi fosse tempo fino a domattina per questo! Pregherò John Wilkes di ospitarli stanotte, anche se deve metterli nella stalla. Cinque uomini ubriachi sono troppi per me. Fino a tre me la cavo, ma...Geraldo la interruppe in fretta per mutare argomento. Sentiva dietro le sue spalle le figlie che ridacchiavano di lui, ricordando in che condizioni era tornato a casa l'autunno precedente dal banchetto dei Wilkes. - E come mai oggi non siete a cavallo, Signora Tarleton? Non mi sembrate voi, senza Nelly. Quando siete a cavallo vi si direbbe uno Stentore.- Uno Stentore! Ignorante che siete! - esclamò la signora Tarleton rifacendogli il verso. - Volete dire un centauro. Stentore era un uomo che aveva la voce come un tamburo di bronzo.- Stentore o centauro, fa lo stesso - rispose Geraldo senza scomporsi per il suo errore. - Del resto, anche voi avete una voce come un tamburo di bronzo quando chiamate i vostri cani.- Ti sta bene, mamma, - disse Etta. - Te l'avevo detto che urli come un indiano quando vedi una volpe.- Ma non così forte come urli tu quando Mammy ti lava le orecchie -ribatté la signora Tarleton. - E hai sedici anni! Quanto al non cavalcare oggi, è perché Nelly stamattina presto ha partorito.- Davvero? - esclamò Geraldo con vero interesse e con gli occhi brillanti della passione irlandese per i cavalli; e Rossella si sentì nuovamente urtata paragonando sua madre alla signora Tarleton. Per Elena né giumente né mucche partorivano mai. Quasi quasi neanche le galline facevano le uova. Elena ignorava completamente queste cose. Ma la Tarleton non aveva di queste reticenze. - Una puledra? - No; un piccolo stallone con delle gambe lunghe due metri. Dovete venire a vederlo, Mister O'Hara. È un vero cavallo Tarleton: rosso come i riccioli di Etta. - E le somiglia anche molto - soggiunse Camilla; e scomparve gridando in mezzo a un piccolo vortice di sottane, sottovesti e cappelli che si agitavano, mentre Etta, imbronciata, le dava dei pizzicotti. - Le mie puledrine sono tutte eccitate, stamattina - riprese la signora Tarleton. - Hanno cominciato ad essere impazienti da quando abbiamo avuto la notizia del fidanzamento di Ashley con quella sua cuginetta di Atlanta. Come si chiama? Melania? Dio la benedica, è una cara creatura, ma non riesco mai a ricordarmi né il suo nome né il suo viso. La nostra cuoca è la moglie del cameriere dei Wilkes e ieri sera ha portato a casa la notizia che stasera si annunzierà il fidanzamento; Cuochetta ce lo ha detto stamane. E come vi dico, le ragazze sono tutte eccitate; non ne capisco la ragione. Tutti sappiamo da anni che Ashley avrebbe fatto questo matrimonio, a meno che non avesse sposato una delle sue cugine Burr di Macon. Tale e quale come Gioia Wilkes che è destinata a sposare suo cugino Carlo. Ma ditemi una cosa, Mister O'Hara: è illegale per i Wilkes sposarsi fuori della loro famiglia? Perché nel caso...Rossella non udì il resto della frase pronunciata in mezzo a scoppi di risa. Per un attimo aveva avuto l'impressione che il sole fosse scomparso dietro a una nuvola densa, lasciando il mondo nell'ombra, scolorando tutte le cose. Il fresco fogliame parve morticcio, il corniolo pallido, e il melo selvatico, di un rosso così bello pochi minuti prima, lugubre e sbiadito. Rossella ficcò le unghie nell'imbottitura della carrozza, e il suo parasole ondeggiò. Un conto era sapere che Ashley era fidanzato, ma un altro conto era udirne parlare così indifferentemente. Il coraggio però le ritornò rapidamente; il sole riapparve e il paesaggio divenne un'altra volta gaio e brillante. Ella sapeva che Ashley la amava. Questo era certo. E sorrise al pensiero della sorpresa della signora Tarleton quando, la sera, non sarebbe stato annunciato alcun fidanzamento; e più ancora se vi fosse una fuga. E come parlerebbe dell'aria innocente con la quale Rossella aveva ascoltato i suoi discorsi su Melania, mentre intanto era d'accordo con Ashley... Questi pensieri fecero apparire le fossette sulle sue guance, mentre Etta, che stava osservando con curiosità l'effetto delle parole di sua madre, ricadde indietro sui cuscini con un'espressione leggermente perplessa. - Non siamo d'accordo, Mister O'Hara - stava dicendo enfaticamente Beatrice. - Questi matrimoni fra cugini non sono una buona cosa. Trovo già un errore che Ashley sposi la figlia di Hamilton; ma che Gioia, poi, debba sposare quel Carletto pallido e smunto... - Gioia non troverà marito se non sposa Carlo - disse Miranda, crudele e sicura delle proprie attrattive. - Non ha mai avuto nessun altro corteggiatore. E lui non è mai stato molto carino con lei, benché siano fidanzati. Ti ricordi, Rossella, come ti stava intorno, a Natale...- Non far la pettegola, madamigella - la interruppe sua madre.- I cugini non si dovrebbero mai sposare fra loro; neanche i secondi cugini. Il sangue si indebolisce. Non è come per i cavalli. Potete unire una giumenta a suo fratello o uno stallone a sua sorella e avete ottimi risultati, se conoscete la razza; ma fra uomini la cosa non va. I figli potranno avere dei bei lineamenti, ma punto robustezza. E...- Qui, signora, non sono d'accordo con voi! Potete citarmi gente più bella e robusta dei Wilkes? E si sono sempre sposati fra cugini, fin da quando Briano Boru era un ragazzo.- Ma sarebbe tempo che la smettessero, perché ora si comincia ad accorgersi del danno. Oh, non dico per Ashley, che è un bel ragazzo, quantunque anche lui... Ma guardate quelle due figliuole, che pena! Belline, senza dubbio, ma così pallide! E guardate la piccola Melania. Sottile come un crostino e tanto delicata che basta un soffio di vento a darle un raffreddore; e senza ombra di spirito: Non sa nulla di nulla. "Sì, signora! No, signora!" è tutto ciò che sa dire. Capite quello che intendo? Quella famiglia ha bisogno di un bel sangue vigoroso, come le mie testoline rosse o la vostra Rossella. Non mi fraintendete. I Wilkes sono persone simpatiche sotto tanti punti di vista e sapete benissimo che io voglio loro bene; ma siamo schietti! Sono troppo educati e anche poco naturali, non vi pare? Faranno buona figura su una carraia asciutta, ma badate a quello che dico: non credo che i Wilkes sappiano galoppare sulla strada infangata. Mi pare che non abbiano energia; e ritengo che non siano capaci di superare gli ostacoli che potrebbero presentarsi. Animali che hanno bisogno del bel tempo. Datemi un bravo cavallone che corra con tutti i tempi! E i loro matrimoni fra consanguinei li hanno resi diversi da tutti gli altri. Sempre a gingillarsi col pianoforte o sprofondati nei libri! Scommetto che Ashley preferisce leggere che andare a caccia! Sì, ne sono convinta, Mister O'Hara! E guardate che ossa. Troppo sottili. Hanno bisogno di giumente e stalloni robusti...- Ah... hhum...- fece improvvisamente Geraldo, rendendosi conto che la conversazione, che per lui era adatta e interessante, non sarebbe sembrata tale a Elena. La quale non avrebbe mai perdonato se avesse saputo che le sue figliuole erano state esposte ad ascoltare dei discorsi così espliciti. Ma la signora Tarleton era, come sempre, sorda ad ogni altra idea quando si ingolfava nel suo tema favorito: l'allevamento, di cavalli o di uomini che fosse. - So quel che dico perché ho avuto dei cugini che si sono sposati fra loro e vi assicuro che i loro bambini vennero tutti con gli occhi sporgenti come dei ranocchi, povere creature! E quando la mia famiglia voleva che io sposassi un secondo cugino, mi impennai come un puledro. Dissi: "No, mamma. Non fa per me. I miei figli devono avere spalle e fianchi, da buoni galoppatori". La mamma svenne sentendomi parlare di galoppatori, ma io rimasi imperterrita e la nonna mi sostenne. Anche lei era molto pratica di allevamento di cavalli, e disse che avevo ragione. E mi aiutò a fuggire con Mister Tarleton! E guardate i miei figli! Grandi e grossi e in buona salute, senza mai un raffreddore, benché Boys sia alto solo un metro e sessantacinque. Ora, Wilkes...- Non vi dispiacerebbe cambiare argomento signora? - interruppe frettolosamente Geraldo che aveva notato lo sguardo sbalordito di Carolene e l'avida curiosità dipinta sul viso di Susele e temeva che al ritorno a casa esse potessero rivolgere a Elena domande imbarazzanti le quali rivelerebbero che egli era un pessimo "chaperon". Fu lieto di notare che la sua Gattina sembrava pensare a tutt'altro. Etta gli venne in aiuto. - Ma sì, mamma, andiamo! - esclamò con impazienza. - C'è un sole che scotta e sento che mi stanno già venendo le lentiggini sul collo.- Un minuto, signora, prima di avviarci. Che cosa avete deciso di fare per i cavalli che vi abbiamo pregato di venderci per lo Squadrone? La guerra può scoppiare da un giorno all'altro e i ragazzi desiderano che la cosa sia sistemata. E' uno squadrone della Contea di Clayton e noi desideriamo per loro dei cavalli di Clayton. Ma voi, creature ostinate, rifiutate di venderci le vostre belle bestie.- Forse la guerra non ci sarà - temporeggiò la signora, completamente distratta, ora, dal pensiero delle abitudini matrimoniali dei Wilkes. - Ma signora, non potete...- Mamma - interruppe nuovamente Etta - non potete, tu e Mister O'Hara parlar di questo quando saremo alle Dodici Querce? - E' giusto, miss Etta - annuì Geraldo - e non vi trattengo più di un altro minuto d'orologio. Fra poco saremo alle Dodici Querce e tutti quanti, giovani e vecchi, vorranno sapere dei cavalli. Ma mi spezza il cuore vedere una brava signora come la vostra mamma così avara delle sue bestie! Dov'è il vostro patriottismo, Signora Tarleton? La Confederazione non ha nessuna importanza per voi? - Mamma - gridò Bettina - Miranda è seduta sul mio abito e me lo sgualcisce tutto! - Spingila perché si levi, e sta zitta. Quanto a voi, Geraldo O'Hara, ascoltatemi. - E i suoi occhi si accesero. - Non mi gettate in faccia la Confederazione! Reputo che essa abbia tanta importanza per me come per voi, avendo io quattro ragazzi nello Squadrone mentre voi non ne avete nessuno. Ma i miei ragazzi sanno badare a se stessi e i miei cavalli no. Li darei volentieri anche gratis, se sapessi che saranno cavalcati da ragazzi che conosco, signori abituati ai purosangue. No, non esiterei un minuto. Ma lasciare i miei tesori alla mercé di boscaioli e Crackers che sono abituati ad andare a dorso di mulo! No, signore! E' un incubo per me il pensiero che siano sellati con selle umide e che non siano governati come si deve! Credete che io voglia affidare le mie bestie tenere di bocca a degli ignoranti, per vederle ridotte con la bocca insanguinata e rovinata; ignoranti che li frusterebbero fino a far perder loro ogni vivacità! Mi viene la pelle d'oca solo a pensarci! No, Mister O'Hara; siete molto gentile chiedendo i miei cavalli, ma è meglio che andiate ad Atlanta a comprare per i vostri villani dei vecchi ronzini.- Mamma, vogliamo andare, per piacere? - Era Camilla che si univa al coro impaziente. - Sai benissimo che finirai col cedere e dare i tuoi tesori. Quando il babbo e i ragazzi ti convinceranno che la Confederazione ne ha bisogno, ti metterai a piangere e glieli darai.La signora Tarleton ridacchiò e crollò le spalle. - Non lo farò - disse poi, toccando leggermente i cavalli con la punta dello sverzino. La carrozza si mosse velocemente. - E' una brava donna - disse Geraldo rimettendosi il cappello e riprendendo il suo posto a fianco del proprio veicolo. - Vai, Tobia. La persuaderemo e avremo i cavalli. Senza dubbio ha ragione. Ha ragione. Se uno non è un signore, il cavallo non è affar suo. Il posto per lui è in fanteria. Ma purtroppo, in questa Contea non vi sono abbastanza figli di piantatori per fare un intero Squadrone. Che avevi detto, Gattina? - Ti prego, babbo, di andare davanti alla carrozza o dietro. Sollevi una tal quantità di polvere che soffochiamo - rispose Rossella che sentiva di non poter sopportare più a lungo la conversazione. La distraeva dai suoi pensieri; ed ella desiderava rendere questi e il proprio volto ugualmente simpatici prima di giungere alle Dodici Querce. Geraldo, ubbidiente, spronò il cavallo e si allontanò in una nube rossastra per raggiungere la carrozza dei Tarleton. Avrebbe potuto così continuare la sua conversazione di argomento equino. 6 Attraversarono il fiume e la carrozza si avviò su per la collina. Anche prima di scorgere la casa, Rossella vide una nube di fumo sospesa pigramente al disopra degli alberi alti, e alle sue nari giunse l'odore misto dei tronchi di noce che ardevano e degli arrosti di maiale e di montone. Le buche sulle quali si cuocevano i maialetti del convito, e che ardevano fin dalla notte, dovevano ormai essere dei lunghi fossi di ceneri a riflessi rossi e rosei, con le carni che giravano sugli spiedi, al disopra di esse e col grasso che gocciolava e strideva sui carboni. Rossella sapeva che la fragranza portata dalla lieve brezza proveniva dal boschetto di querce che si trovava dietro alla casa. John Wilkes teneva sempre in quel luogo i suoi banchetti: sulla dolce collinetta che conduceva al giardino pieno di rose; un posticino ombreggiato e molto più piacevole, per esempio di quello usato dai Calvert. La signora Calvert non amava il maiale arrosto e dichiarava che l'odore rimaneva in casa per parecchi giorni; così i suoi ospiti si radunavano sempre in un sito piatto e senz'ombra, a quasi mezzo chilometro dalla casa. Ma John Wilkes, la cui ospitalità era nota in tutto lo Stato, sapeva offrire dei banchetti veramente riusciti. Le lunghe tavole posate su cavalletti, coperte con le più belle tovaglie che i Wilkes possedessero, erano collocate dove l'ombra era più folta, fiancheggiate da lunghi banchi senza spalliera; sedie, sgabelli e cuscini erano sparsi sulla radura per quelli che non volevano sedere sui banchi. Ad una distanza sufficiente per ché gl'invitati non fossero incomodati dal fumo, erano le lunghe fosse in cui cuocevano le carni e le enormi pentole di ferro da cui emanava il succulento profumo delle salse e degli stufati. Il signor Wilkes disponeva sempre che almeno una dozzina di negri corressero avanti e indietro coi vassoi per servire gli ospiti. Più oltre, dietro ai granai, era sempre un'altra buca ove cuocevano le vivande per i servi della casa, i cocchieri e le cameriere degli ospiti, i quali avevano il loro festino a base di focacce all'indiana, di patate dolci e di trippa e altre interiora del maiale, pietanza cara al cuore dei negri; in estate, poi, vi erano tanti meloni da soddisfare abbondantemente tutti quanti. Quando l'odore dell'arrosto di maiale giunse alle sue narici, Rossella arricciò il naso con approvazione, sperando di avere un po' di appetito al momento di mangiarlo. In questo momento si sentiva così rimpinzata e così stretta nel busto che aveva continuamente paura di qualche rigurgito d'aria. E sarebbe stato fatale perché solo gli uomini e le signore molto vecchie potevano far questo senza timore della riprovazione sociale. Si fermarono al sommo della collina, e la casa bianca spiegò dinanzi a lei la sua perfetta simmetria; le grandi colonne, le ampie verande, il tetto basso; bella come una bella donna così sicura del suo fascino che può essere graziosa e generosa con tutti. Rossella amava le Dodici Querce anche più di Tara, perché avevano una bellezza maestosa e una dolce dignità che la casa di Geraldo non possedeva. L'ampio viale d'accesso era gremito di cavalli sellati e di carrozze e di ospiti che scendevano e salutavano ad alta voce gli amici. Negri sorridenti, eccitati come sempre ai ricevimenti, conducevano gli animali sotto le tettoie per toglier loro selle e finimenti. Frotte di bambini, bianchi e negri, correvano e gridavano attorno al prato di un verde fresco giocando ai quadrati, o a saltamontone, e gioivano al pensiero di poter fare una scorpacciata. L'ampio vestibolo che andava dal davanti della casa alla parte posteriore era affollato di invitati, e quando la carrozza di O'Hara si fermò dinanzi alla gradinata, Rossella vide fanciulle in crinolina, variopinte come farfalle, andare su e giù per le scale allacciate per la vita, fermandosi ad affacciarsi al di sopra della sottile ringhiera, ridendo e chiamando i giovinotti che si trovavano nel vestibolo sottostante. Attraverso i balconi aperti ella scorse le signore sedute nel salotto, vestite di seta scura, che si sventolavano parlando dei bambini, delle malattie, e di chi si era sposato, e del come e del perché Tom, il maggiordomo di Wilkes, si affrettava attraverso i salotti con un vassoio d'argento fra le mani, inchinandosi e sorridendo nell'offrire grandi bicchieri ai giovinotti in calzoni grigi e camicia pieghettata. La veranda soleggiata sul davanti era piena di ospiti. Sì; pensò Rossella: vi era tutta la contea. I quattro ragazzi Tarleton col padre, appoggiati alle alte colonne, i gemelli Stuart e Brent uno accanto all'altro, inseparabili come sempre, Boyd e Tom insieme al padre, Giacomo Tarleton. Il signor Calvert era accanto alla moglie Yankee, la quale anche dopo quindici anni di soggiorno in Georgia non sembrava mai completamente a suo agio. Tutti erano molto gentili e cortesi con lei perché la compativano, ma nessuno poteva dimenticare che ella aveva compensato il suo errore di nascita, facendo la governante dei figli di Mister Calvert. I due ragazzi Calvert, Rodolfo e Cade, erano con la loro sorella Catina dai capelli biondo chiaro, e stuzzicavano il bruno Joe Fontaine e la graziosa sua fidanzata Sally Munroe. Alessandro e Tom Fontaine sussurravano qualche cosa a Dimity Munroe, facendola ridere di cuore. Vi erano famiglie che venivano da Lowjoy, a dieci miglia di distanza da Fayetteville e da Jonesboro; qualcuna perfino da Atlanta e da Macon. La casa era rigurgitante di folla e un incessante brusio di parole, di risa schiette e di risa sommesse, di gridolini femminili, di esclamazioni, si alzava e si abbassava di tono. Sui gradini del porticato era ritto John Wilkes coi suoi capelli d'argento; da lui emanava una tranquilla simpatia e un fascino ospitale immancabile e pieno di calore, come il sole dell'estate georgiana. Accanto a lui Gioia Wilkes (così chiamata perché si rivolgeva indistintamente con questa affettuosa espressione a tutti gli agricoltori di suo padre) si muoveva irrequieta e salutava con una sciocca risatina gli invitati che arrivavano. L'evidente desiderio di Gioia di apparire attraente a tutti gli uomini, desiderio che la rendeva nervosa, contrastava vivamente con l'atteggiamento di suo padre; e Rossella pensò che dopo tutto vi era forse qualche cosa di vero in quello che diceva la signora Tarleton. Certamente i Wilkes (uomini) avevano un'aria di famiglia. Le pesanti ciglia color d'oro scuro che ombreggiavano gli occhi grigi di John Wilkes e di Ashley erano invece rade e incolori nei volti di Gioia e di sua sorella Lydia. Gioia aveva lo strano sguardo senza ciglia di un coniglio. Lydia non poteva venir definita altrimenti che con l'aggettivo "trascurabile." Lydia era invisibile, ma Rossella sapeva che probabilmente era in cucina a dare le ultime istruzioni alla servitù. "Povera Lydia!" pensò Rossella. "Ha sempre avuto tanto da fare a dirigere la casa da quando è morta sua madre, che non ha mai avuto la possibilità di attrarre un corteggiatore, eccetto Stuart Tarleton; e certo non è colpa mia se egli mi trova più carina di lei." John Wilkes scese gli scalini per offrire il braccio a Rossella. Nello scendere dalla carrozza ella vide Susele sorridere con affettazione e da quel sorriso comprese che ella doveva aver riconosciuto tra la folla Franco Kennedy. "Se io non riuscissi ad avere uno spasimante migliore di quella vecchia zitella in calzoni!..." pensò con disprezzo, nel fermarsi a ringraziare John Wilkes. Franco Kennedy si stava affrettando per aiutare Susele; e questa si dava tali arie, che fece venir la voglia a Rossella di mollarle un ceffone. Franco Kennedy poteva essere il più grande proprietario della Contea e al tempo stesso un bravissimo uomo; ma queste cose non avevano importanza di fronte al fatto che aveva quarant'anni, che era smilzo e nervoso e aveva una barbetta sale e pepe e delle buffe movenze da zitellona. Peraltro, ricordando il suo progetto, Rossella dominò il suo sdegno e gli rivolse un sorriso così luminoso per salutarlo, che egli si fermò di scatto, piacevolmente stupito col braccio teso verso Susele, facendo tanto d'occhi a Rossella. Lo sguardo di questa frugò la folla in cerca di Ashley, benché ella discorresse graziosamente con John Wilkes; ma il giovinotto non era nel porticato. Si udirono voci di saluto, e i gemelli Tarleton le andarono incontro. Le fanciulle Munroe si prodigarono in esclamazioni sulla bellezza del suo vestito ed in breve ella fu il centro di un gruppo di persone che vociavano sempre più forte, dato che ognuno cercava di farsi udire al disopra degli altri. Ma dov'era Ashley? E Melania e Carletto? Cercò di non farsi accorgere che si guardava intorno e scrutò i gruppi attraverso il vestibolo. Mentre chiacchierava, rideva e lanciava rapidi sguardi nell'interno della casa e nel cortile, i suoi occhi caddero su uno straniero, solo nel vestibolo, che la fissava con una fredda impertinenza che destò in lei un sentimento misto di piacere femminile per aver suscitato l'interesse di un uomo e di imbarazzo per la sensazione che il suo abito fosse eccessivamente scollato. Le sembrò tutt'altro che giovine: almeno trentacinque anni; alto e ben costruito. Rossella si disse che non aveva mai visto un uomo con le spalle così larghe e con muscoli così vigorosi, quasi troppo vigorosi per un signore. Quando lo sguardo di lei incontrò il suo, egli sorrise mostrando una dentatura candida da animale da preda sotto i baffi neri tagliati corti. Era bruno di pelle, abbronzato come un pirata, e i suoi occhi erano arditi e neri appunto come quelli di un pirata che abborda una galera per depredarla, o una fanciulla per rapirla. Il suo volto era freddo e indifferente e la bocca aveva un'espressione cinica mentre egli sorrideva. E Rossella trattenne il fiato. Sentiva che quello sguardo era insultante e si irritava di non sentirsi insultata. Non sapeva chi fosse colui, ma innegabilmente quel viso bruno rivelava la persona di buona razza. Ciò si vedeva anche nel naso sottile, aquilino, nelle labbra rosse e carnose, nell'alta fronte e negli occhi ben tagliati. Ella distolse lo sguardo senza rispondere al sorriso: e l'uomo si voltò mentre qualcuno chiamava: Rhett, Rhett Butler, venite qui! Voglio presentarvi alla ragazza più insensibile di tutta la Georgia. Rhett Butler? Il nome non le era nuovo; le sembrava di averlo udito in occasione di qualche avventura piacevolmente scandalosa; ma la sua mente era rivolta ad Ashley e quindi allontanò subito quel pensiero. - Devo andar su a ravviarmi i capelli - disse a Stuart e a Brent che cercavano di trarla lontano dalla folla. - Voialtri aspettatemi e non ve ne andate con qualche altra ragazza, altrimenti mi arrabbio.Vedeva che Stuart sarebbe stato poco maneggevole oggi, qualora ella avesse civettato con qualche altro. Aveva bevuto ed aveva quell'espressione bellicosa che, lo sapeva per averlo visto altre volte, conduceva facilmente a qualche disputa. Si fermò nel vestibolo per scambiare qualche parola con l'uno o con l'altro e per salutare Lydia che emergeva dal retro della casa coi capelli in disordine e la fronte coperta di goccioline di sudore. Povera Lydia! Non solo aveva i capelli sbiaditi, le ciglia invisibili e un mento proteso che rivelava disposizioni alla caparbietà; ma aveva già vent'anni e per di più era una zitellona. Chi sa se era molto irritata perché lei le aveva portato via Stuart? Molti dicevano che ne era ancora innamorata; ma non si poteva mai sapere che cosa pensasse un membro della famiglia Wilkes. Se ne era irritata, non lo aveva mai dimostrato e aveva sempre trattato Rossella con la stessa lieve cortesia, cordiale e distante, che sempre le aveva manifestata. Rossella le rivolse qualche parola gentile e si avviò alla scala. In quel momento udì pronunciare timidamente il suo nome; si volse e vide Carlo Hamilton. Era un grazioso ragazzo, con una massa di riccioli bruni sulla fronte bianca e occhi neri, dolci e affettuosi come quelli di un cane da pastore. Era vestito elegantemente: calzoni color mostarda e giubba nera; attorno al collo della camicia a pieghe, si avvolgeva una larga cravatta nera di ultima moda. Un lieve rossore gli invase il volto quando Rossella si volse, perché era timido con le donne. Come la maggior parte degli uomini timidi, egli ammirava moltissimo la vivacità e la disinvoltura delle fanciulle come Rossella. Fino ad ora, ella non gli aveva mai accordato altro che un saluto formale; perciò il vedersi accolto con un sorriso radioso e con le mani tese giocondamente gli tolse quasi il respiro. - Carlo Hamilton, simpatico vecchio amico! Scommetto che siete venuto da Atlanta apposta per spezzarmi il cuore! Quasi balbettando per l'eccitazione, Carlo prese fra le sue le manine tepide e fissò i begli occhi verdi e ridenti. In questo modo le ragazze solevano parlare con gli altri giovanotti; non mai con lui. Non sapeva perché, ma lo trattavano sempre come un fratello più giovine ed erano gentili, senza mai prendersi la pena di stuzzicarlo. Egli avrebbe voluto che si comportassero con lui come con altri assai meno belli e meno provvisti di beni di fortuna. Ma le rare volte in cui questo avveniva, egli non sapeva mai che cosa dire e soffriva un tormentoso imbarazzo a causa della sua timidezza. E restava poi sveglio tutta la notte a pensare alle galanterie che avrebbe potuto dire: ma raramente gliene capitava l'occasione, perché le fanciulle dopo un paio di tentativi lo trascuravano. Perfino con Gioia con la quale esisteva una tacita intesa di matrimonio per il giorno in cui egli entrasse in possesso della sua proprietà, era silenzioso e diffidente. A volte lo, assaliva il pensiero poco gentile che le civetterie di Gioia e i suoi atteggiamenti dispotici nei suoi riguardi non erano da attribuirsi a particolare simpatia, ma al fatto che le piacevano tanto i giovinotti che essa avrebbe avuto lo stesso contegno con chiunque gliene avesse dato l'opportunità. La prospettiva di sposarla non lo eccitava, perché la fanciulla non destava in lui nessuna delle emozioni violente che i suoi amati libri gli assicuravano fossero l'appannaggio del perfetto innamorato. Egli aveva sempre anelato d'essere amato da una creatura bella e ardita, piena di fuoco e di malizia. Ed ecco Rossella O'Hara che lo stuzzicava accusandolo di spezzarle il cuore! Cercò di pensare qualche cosa da dire ma non trovò nulla, e tacitamente la benedisse perché aveva cominciato a chiacchierare fitto fitto, liberandolo così da ogni necessità di conversazione. Era troppo bello per esser vero. - Aspettatemi qui finché torno, perché voglio mangiare la porchetta con voi. E non andate a fare il civettone con le altre ragazze, perché sono terribilmente gelosa. - Queste incredibili parole furono pronunciate dalle labbra rosse che avevano una fossetta a ogni angolo; e le folte ciglia nere si abbassarono pudicamente sugli occhi verdi. - Obbedirò - riuscì finalmente a dire in un soffio Carlo, non supponendo neppur lontanamente che dentro di sé ella lo paragonava a un vitello in attesa del macellatore. Lo percosse lievemente sul braccio col ventaglio chiuso e si volse di nuovo per salire; i suoi occhi caddero ancora una volta sull'uomo che aveva udito chiamare Rhett Butler e che era fermo a qualche passo da Carlo. Evidentemente egli aveva udito tutta la conversazione perché le sorrise maliziosamente come un gatto; nuovamente i suoi occhi la fissarono con uno sguardo completamente privo della deferenza a cui ella era abituata. “Per Giove!” disse fra sé indignata, usando l'imprecazione favorita di Geraldo. “Sembra che... sì, pare che sappia come sono quando sono svestita...” E crollando la testa, salì le scale. Nella camera da letto dov'erano deposti gli scialli, trovò Catina Calvert che si guardava nello specchio mordendosi le labbra per farle apparire più rosse. Aveva alla cintura delle rose fresche che armonizzavano con le sue guance, e i suoi occhi color fiordaliso brillavano di eccitazione. - Catina - disse Rossella cercando di tirare il corpetto un poco più in alto - chi e quell'antipatico, giù, che si chiama Butler? - Come, non lo sai? - rispose Catina eccitata, lanciando un'occhiata alla stanza vicina dove Dilcey e la bambinaia delle ragazze Wilkes stavano spettegolando. - Non so quanto farà piacere a Mister Wilkes averlo in casa; ma era in visita da Kennedy, a Jonesboro, credo per comperare del cotone, e Mister Kennedy naturalmente ha dovuto condurlo con sé. Non poteva certamente andarsene e piantarlo in casa! - Ma che cos'ha? - Tesoro mio, è un uomo che nessuno riceve! - Davvero? - Davvero! - Rossella digerì questo in silenzio, perché non si era mai trovata sotto lo stesso tetto con una persona che non è ricevuta. Era una cosa eccitantissima. - Che cos'ha fatto? - Ha una reputazione terribile. Si chiama Rhett Butler, è di Charleston e i suoi parenti sono bravissima gente; una delle migliori famiglie. Ma non hanno rapporti con lui. Carolina Rhett mi parlò di lui l'estate scorsa. Non sono parenti, ma lei, come tutti quanti, sa tutto di lui. E' stato espulso da West Point. Figurati! E per cose troppo gravi perché Carolina potesse saperle. E poi c'è stata la storia di quella ragazza che non ha voluto sposare.- Racconta! - Ma non sai proprio niente, tesoro? A me la raccontò Carolina, e sua madre morirebbe se sapesse che la figliuola ne sa qualche cosa. Dunque, questo signor Butler condusse una ragazza a fare una passeggiata in carrozzino. Non so chi sia la ragazza ma ho dei sospetti. Non doveva essere una gran cosa, altrimenti non sarebbe uscita con lui nel tardo pomeriggio senza accompagnatrice. Rimasero fuori quasi tutta la notte e finalmente tornarono a casa dicendo che il cavallo aveva preso la mano e il carrozzino si era fracassato e loro si erano smarriti nei boschi. E indovina che cosa...- Non posso indovinare. Dimmelo! - esclamò Rossella con entusiasmo, sperando il peggio. - L'indomani rifiutò di sposarla! - Oh! - fece Rossella, delusa. - Disse che non aveva... hm... non le aveva fatto nulla e non vedeva perché avrebbe dovuto sposarla. Suo fratello lo sfidò a duello, e lui disse che preferiva farsi ammazzare piuttosto che sposare una stupida scioccherella. Si batterono alla pistola e Mister Butler uccise il fratello della signorina. Dovette andar via da Charleston e ora nessuno lo riceve - terminò Catina trionfante, e appena in tempo perché Dilcey entrava in quel momento nella stanza per sorvegliare le tolette affidate a lei. - E la ragazza ebbe poi un bambino? - bisbigliò Rossella nell'orecchio di Catina. Questa scosse violentemente il capo. - Ma fu rovinata lo stesso. - sussurrò di rimando. "Dio mio, vorrei che Ashley mi compromettesse" pensò Rossella a un tratto. "E' troppo gentiluomo per non sposarmi." Ma nel suo intimo, aveva un senso di spontaneo rispetto per quell'uomo che aveva rifiutato di sposare una scioccherella. Rossella era seduta su un divano di legno rosa, sotto l'ombra di una quercia enorme dietro alla casa, coi suoi volanti e le sue gale fluttuanti attorno a lei; sotto alle gonne apparivano cinque centimetri di scarpine di marocchino verde: tutto quello che una signora può mettere in mostra rimanendo una signora. Aveva toccato i piatti, e aveva attorno sette cavalieri. La riunione aveva raggiunto il culmine e l'aria calda era piena di risa e di voci, di tintinnar d'argenteria e di acciottolio di porcellane e dell'odore pesante delle carni arrostite e degli stufati. Ogni tanto, quando si levava qualche soffio di brezza, sbuffi di fumo provenienti dalle buche infuocate fluttuavano sulla folla ed erano accolti da grida di disgusto scherzoso delle signore e scacciati da un violento agitar di ventagli di palma. La maggior parte delle fanciulle erano sedute coi loro cavalieri sui lunghi banchi accanto alle tavole, ma Rossella, dato che una fanciulla ha solo due lati e non può far sedere più di un uomo per lato, aveva pensato bene di sedere in disparte in modo da riunire attorno a sé il maggior numero possibile di giovinotti. Sotto agli alberi sedevano le donne maritate; i loro abiti neri mettevano una nota decorosa in tutto quel colore e quella gaiezza. Le donne maritate, qualunque fosse la loro età, si raggruppavano sempre insieme, separate dalle fanciulle dagli occhi ardenti, dai loro corteggiatori e dalla loro giocondità. Dalla nonna Fontaine, che eruttava francamente, col privilegio della sua età, fino alla diciassettenne Alice Munroe che lottava contro le nausee di una prima gravidanza, il gruppo ravvicinava le teste in interminabili discussioni ginecologiche e ostetriche, che rendevano quelle conversazioni molto piacevoli e interessanti. Lanciando loro sguardi di disprezzo, Rossella pensava che sembravano un branco di grasse galline. Le donne maritate non avevano mai nessun divertimento. Non le venne in mente che se avesse sposato Ashley sarebbe stata automaticamente relegata anche lei sotto agli alberi e nei salotti con gravi matrone vestite di seta nera grave e scura come loro e non più partecipe dei passatempi e dei divertimenti. Come molte ragazze, la sua immaginazione arrivava fino all'altare e non oltre. Del resto ora era troppo infelice per poter pensare ad altro. Abbassò gli occhi sul piatto e mordicchiò elegantemente un biscottino con una delicatezza e una mancanza d'appetito che avrebbe ottenuto l'alta approvazione di Mammy. Quantunque avesse una grande abbondanza di corteggiatori, non si era mai sentita più avvilita. Non riusciva a capir come i suoi progetti della sera prima fossero miseramente falliti per quanto concerneva Ashley. Ella aveva attratto altri giovani a dozzine, ma non Ashley; e tutti i timori di ieri tornavano a invaderla facendo battere il suo cuore velocemente e facendo arrossire e impallidire a volta a volta le sue fresche guance. Ashley non aveva in alcun modo tentato di unirsi al circolo che ella aveva attorno; ed ella non aveva scambiato una parola sola con lui da quando era arrivata, dopo il loro primo saluto. Si era avanzato a salutarla quando la giovinetta era entrata nel giardino posteriore; ma dava il braccio a Melania la quale gli giungeva appena alla spalla. Era costei una creatura snella e fragile, che dava l'impressione di una bimba che avesse indossato per mascherarsi le enormi gonne a cerchi di sua madre; illusione che veniva aumentata dall'espressione timida, quasi sgomenta dei suoi occhi neri troppo grandi. Aveva una massa di riccioli bruni talmente stretti nella rete, che non ne sfuggiva neanche uno; e quella massa scura che si addensava sulla nuca lasciando il viso disadorno, ne accentuava la forma triangolare, per gli zigomi troppo larghi e il mento troppo appuntito. Era un viso dolce e timido, ma non bello; ed ella non aveva furberie femminili che facessero dimenticare agli osservatori la sua scarsa bellezza. Sembrava, ed era, semplice come la terra, buona come il pane, trasparente come acqua di fonte. Ma nonostante i suoi lineamenti non belli e la statura insufficiente, vi era nel suo modo di fare una tranquilla dignità che era stranamente commovente, e molto al disopra dei suoi diciassette anni. La sua veste di organza grigia, con la sciarpa di raso color ciliegia attorno alla vita, nascondeva coi suoi drappeggi e le sue pieghe quanto il suo corpo aveva di troppo infantile; e il cappello giallo coi lunghi fiocchi pure color ciliegia, rischiarava la sua carnagione avorio. I pesanti orecchini d'oro coi lunghi pendenti scendevano sotto le trecce strettamente ravviate, che giravano sulla fronte molto vicino agli occhi, i quali avevano il tranquillo splendore di un laghetto in una foresta durante l'inverno, quando le foglie brune si specchiano nell'acqua tranquilla. Aveva sorriso timidamente salutando Rossella e facendole un complimento per il suo abito verde; e questa aveva stentato a risponderle gentilmente tanto era violento il suo desiderio di parlare sola con Ashley. Da allora, Ashley era rimasto seduto su uno sgabello ai piedi di Melania, lontano dagli altri invitati, parlando tranquillamente con lei e sorridendo di quel sorriso un po' stanco che Rossella amava. Ciò che peggiorava le cose si era che sotto a quel sorriso gli occhi di Melania si erano un po' animati, sicché perfino Rossella fu costretta ad ammettere che era quasi graziosa. Quando Melania guardava Ashley, il suo viso si illuminava come di una fiamma interna; se mai un volto rivelò un cuore innamorato, questo era il volto di Melania Hamilton. Rossella tentò di guardare altrove; ma non poté; dopo ogni sguardo il suo brio andava aumentando; ella rideva, diceva delle cose spinte, scherzava coi suoi cavalieri, scuoteva la testa ai loro complimenti, agitando i lunghi orecchini. Esclamò ripetutamente: "Sciocchezze!" dichiarando che nessuno di loro era sincero, e giurando che non credeva nulla di quanto le dicevano gli uomini. Ma Ashley non sembrò accorgersi di lei. Alzava soltanto lo sguardo verso Melania. Le parlava; e Melania abbassava lo sguardo su lui con un'espressione che affermava la sua dedizione. Così, Rossella era infelice. Per un osservatore esteriore, mai una fanciulla aveva avuto minor motivo di esserlo. Indubbiamente era la più bella della riunione, il centro dell'attenzione generale. In qualsiasi altro momento l'entusiasmo degli uomini, insieme all'irritazione delle altre ragazze le avrebbe fatto un enorme piacere. Carlo Hamilton, reso ardito dalla sua cortesia, si era piantato alla sua destra rifiutando di lasciarsi sloggiare dagli sforzi combinati dei gemelli Tarleton. Teneva in una mano il ventaglio di Rossella e nell'altra il suo piatto di porchetta e rifiutava caparbiamente d'incontrare gli occhi di Gioia, la quale sembrava che stesse per scoppiare in lacrime. Claudio era graziosamente sdraiato alla sua sinistra, tirandole ogni tanto la gonna per richiamare la sua attenzione e guardando Stuart con occhi di fuoco. Fra lui e i gemelli vi era già una certa elettricità, nell'aria, ed erano state scambiate parole aspre. Franco Kennedy strepitava intorno come una gallina con un pulcino correndo avanti e indietro dalla quercia alle tavole per prendere delle leccornie che dovevano tentare Rossella, come se non vi fossero una dozzina di servi per questo scopo. Come risultato, il cupo risentimento di Susele aveva oltrepassato il limite di sopportazione femminile ed ella fissava sua sorella con occhi incandescenti. La piccola Carolene avrebbe pianto perché, contrariamente alle parole incoraggianti che Rossella le aveva detto al mattino, Brent non aveva fatto altro che dirle "Hallò, piccola," e tirare il nastro dei capelli, prima di rivolgere tutta la sua attenzione a Rossella. Di solito egli era tanto buono e la trattava con una negligente deferenza che le dava l'impressione di essere una persona grande, e Carolene sognava segretamente il giorno in cui si sarebbe rialzata i capelli e avrebbe messo le gonne lunghe; allora avrebbe potuto riceverlo come un vero corteggiatore. E adesso invece era Rossella che se lo teneva accanto. Le ragazze Munroe celavano il loro dispiacere per la defezione dei bruni ragazzi Fontaine, ma erano annoiate della maniera in cui Tony e Alessandro stavano attorno al circolo aspettando di poter prendere posto vicino a Rossella, qualora uno degli altri si fosse alzato per un attimo. Telegrafarono a Etta Tarleton la loro disapprovazione per la condotta di Rossella, sollevando delicatamente le sopracciglia. La sola parola adatta per definirla era "sfacciata." Simultaneamente le tre signorine alzarono i loro ombrellini di pizzo, dissero che avevano mangiato abbastanza, grazie, e posando leggermente le dita sul braccio dell'uomo che avevano più vicino, dichiararono dolcemente che volevano vedere il giardino delle rose, il padiglione di primavera e quello d'estate. Questa ritirata strategica in buon ordine fu notata da tutte le donne presenti e da nessun uomo. Rossella rise fra i denti vedendo tre uomini rapiti al suo fascino e condotti a contemplare luoghi familiari alle fanciulle fin dalla loro infanzia. Lanciò uno sguardo acuto verso Ashley per capire se se ne fosse accorto: ma egli stava giocherellando con la sciarpa di Melania, e le sorrideva. Un dolore acuto le strinse il cuore. Sentì che sarebbe stata capace di graffiare con gioia la pelle di avorio di Melania, sino a farla sanguinare. Volgendo lo sguardo incontrò quello di Rhett Butler, che non si era mescolato con la folla, ma conversava in disparte con John Wilkes. La stava osservando e quando ella lo guardò, rise clamorosamente. Rossella ebbe la spiacevole sensazione che quell'uomo che non era ricevuto, fosse il solo fra i presenti che sapesse ciò che si nascondeva sotto alla sua selvaggia gaiezza, e che questo gli procurasse un divertimento beffardo. Avrebbe graffiato con piacere anche lui. "Se posso resistere a questa riunione fino al pomeriggio," pensò "tutte le ragazze andranno di sopra a fare un riposino per essere fresche stasera ed io rimarrò giù e riuscirò a parlare con Ashley. Certamente egli avrà notato come sono corteggiata." Calmò il suo cuore con un'altra speranza: "Senza dubbio, dev'essere premuroso con Melania, perché dopo tutto è sua cugina e non ha corteggiatori; e se egli non si occupasse di lei, rimarrebbe a far parete." Riprese coraggio a questo pensiero e raddoppiò i suoi sforzi in direzione di Carlo, i cui occhi neri la fissavano avidamente. Era una giornata magnifica per Carlo, una giornata di sogno, ed egli si era innamorato di Rossella senza sforzo alcuno. Dinanzi a questa nuova emozione, Gioia scompariva in una nebbia cupa: era un passero dalla voce stridula, mentre Rossella era un usignolo che gorgheggiava. Lo stuzzicava, lo favoriva, e gli rivolgeva delle domande a cui rispondeva lei stessa, sicché egli appariva intelligente senza dover dire una parola. Gli altri giovinotti erano perplessi e indispettiti da questo evidente interesse di Rossella per lui, poiché sapevano che Carlo era troppo timido per cucire assieme due parole, ed essi mettevano a dura prova la loro educazione per nascondere l'ira crescente. Tutti ardevano per quella fanciulla, e se non vi fosse stato Ashley, Rossella avrebbe goduto un autentico trionfo. Quando l'ultimo boccone di porchetta, di pollo, e di montone fu mangiato, Rossella sperò che Lydia si alzasse per dire alle signore di ritirarsi in casa. Frano le due e il sole era caldissimo; ma Lydia, stanca dopo tre giorni di preparativi per la riunione, era troppo contenta di poter stare un po' seduta sotto l'albero, parlando a voce altissima con un vecchio gentiluomo di Fayetteville, sordo come una campana. Una pigra sonnolenza discendeva sulla folla. I negri indugiavano sparecchiando le lunghe tavole su cui erano state le vivande. Le risate e le conversazioni diventavano meno animate; qua e là alcuni gruppi erano silenziosi. Tutti aspettavano dalla loro ospite il segnale che la prima parte della festa era finita. I ventagli di palma si agitavano più lentamente, e parecchi vecchi signori lasciavano penzolare il capo per il sonno e per lo stomaco carico. Il banchetto era terminato, e tutti provavano il desiderio di riposarsi mentre il sole era alto nel cielo. In questo intervallo tra la festa della mattina e il ballo della sera tutti sembravano placidi e tranquilli. Solo i giovinotti conservavano la instancabile energia che fino a poco prima aveva animato tutti quanti. Muovendosi fra i gruppi, trascinando le parole con la loro voce dolce, erano belli come stalloni di sangue e altrettanto pericolosi. Il languore del meriggio pesava sull'elegante accolta, ma sotto a questa tranquillità si nascondevano temperamenti che potevano in un attimo balzare ad altezze straordinarie e infiammarsi con la stessa rapidità. Uomini e donne erano belli e selvaggi, tutti un po' violenti sotto le loro buone maniere e solo in parte domati. La conversazione stava morendo, quando nella calma temporanea si udì la voce di Geraldo levarsi in accenti furibondi. A breve distanza dalle tavole, egli era al culmine di una discussione con John Wilkes. - Per Giove! Desiderare un accordo pacifico con gli yankees! Dopo che abbiamo scacciato quei mascalzoni dal Forte Sumter? Pacifico? Il Sud mostrerà con le armi che non vuole essere insultato e che non si scinde dall'Unione per bontà di questa, ma per la propria forza!"Oh, Dio, ci siamo!" pensò Rossella. "Ora si rimane seduti qui fino a mezzanotte." In un attimo la sonnolenza era scomparsa e qualche cosa di elettrico aveva attraversato l'aria. Gli uomini balzarono dai banchi e dalle sedie; furono braccia che si agitavano a larghi gesti e voci che proclamavano il diritto di farsi udire al di sopra delle altre. In tutta la mattina non si era parlato né di politica né di guerra perché il signor Wilkes aveva desiderato che non si annoiassero le signore. Ma ora Geraldo aveva urlato le parole "Forte Sumter" e tutti i presenti dimenticarono l'ammonimento dell'ospite. - Certo combatteremo... - - Yankees ladri... - - Ce ne sbarazzeremo in un mese...- - Figuriamoci, un meridionale può tener testa a venti yankees... - - Dargli una lezione che non dimenticheranno...- Pacifico? Ma sono loro che non ci lasciano in pace... - - Avete visto come Mister Lincoln ha insultato i nostri Commissari?... - - Sì, li ha portati in giro per delle settimane, giurando che avrebbe fatto evacuare Forte Sumter!...- - Vogliono la guerra: la avranno... - E sopra a tutte le voci, dominava quella di Geraldo. Tutto ciò che Rossella riusciva a udire era "Diritti di Stato, per Dio!" urlato sempre più forte. Geraldo gongolava; ma non così sua figlia. Secessione... guerra... Da un pezzo queste parole erano diventate un vero incubo per Rossella; ma ora le odiava addirittura, perché il loro suono significava che ormai gli uomini sarebbero rimasti lì per delle ore a discutere; e lei non avrebbe avuto nessuna opportunità di trarre in disparte Ashley. Certamente la guerra non vi sarebbe, e gli uomini lo sapevano. Ma piaceva a loro di parlare e di ascoltarsi parlare. Carlo Hamilton non si era alzato con gli altri. Trovandosi relativamente solo con la ragazza, le si avvicinò e, con l'audacia nata dal nuovo amore, le sussurrò la sua confessione. - Miss O'Hara... io... ho già deciso che se faremo la guerra, dovrò andare nella Carolina del Sud e unirmi a quelle truppe. Si dice che il signor Wade Hampton stia organizzando uno squadrone di cavalleria e certamente io desidero andare con lui. È un grand'uomo ed era il migliore amico di mio padre.Rossella pensò: "E che cosa crede che io faccia adesso? Che gridi evviva?" L'espressione di Carlo mostrava che egli le stava rivelando i segreti del suo cuore; ma ella non seppe che cosa dirgli e si limitò a guardarlo, chiedendosi perché gli uomini sono tanto sciocchi da credere che le donne si interessano di queste storie! Egli credette che la sua espressione significasse muta approvazione e continuò rapidamente, audacemente: - Se andassi... vi dispiacerebbe, miss O'Hara? - Bagnerei di lacrime il mio guanciale tutte le notti. - rispose Rossella facendo la disinvolta; ma Carlo prese le sue parole per moneta contante e arrossì di gioia. La mano di lei era nascosta fra le pieghe della sua veste; egli la cercò e la strinse, stupito della propria temerità e della condiscendenza di lei. - Pregherete per me?"Che idiota!" pensò amaramente Rossella, lanciando attorno uno sguardo furtivo, nella speranza che qualcuno venisse a salvarla da quella conversazione. - Sì o no? - Ma sì, certo, Mister Hamilton! Almeno tre rosari per sera!Carlo si guardò attorno e irrigidì i muscoli del petto trattenendo il fiato. Erano praticamente soli; ed egli non avrebbe mai più avuto una fortuna simile. E, anche se Domineddio gliel'avesse fatta avere, forse il coraggio gli sarebbe mancato. - Miss O'Hara... debbo dirvi una cosa...Vi... vi amo! - Hm? - fece Rossella distratta, cercando di vedere, attraverso la folla di uomini che ragionavano, se Ashley era ancora seduto ai piedi di Melania. - Sì - bisbigliò Carlo, in estasi perché ella non aveva riso, né era svenuta né aveva emesso un grido, come egli aveva sempre immaginato che ogni fanciulla dovesse fare in simili circostanze. - Vi amo! Siete la più... la più... - e per la prima volta in vita sua le parole non gli mancarono - ...la più bella fanciulla che io abbia mai conosciuta, e la più cara e la più buona e la più gentile; ed io vi amo con tutto il cuore. Non posso sperare che voi amiate uno come me, ma se voi, cara, vorrete darmi il più piccolo incoraggiamento, io farò tutto al mondo per farmi amare da voi. Voglio...Si interruppe perché non riuscì a pensar nulla di abbastanza difficile per convincere Rossella della profondità dei propri sentimenti; quindi disse semplicemente: - Desidero sposarvi.Rossella tornò alla realtà con un sussulto, al suono della parola "sposarvi". Stava pensando al matrimonio e ad Ashley, e guardò Carlo con malcelata irritazione. Perché quel cretino col viso di vitello veniva ad annoiarla coi suoi sentimenti proprio in quel giorno in cui lei era così preoccupata che le sembrava di perdere il cervello? Guardò gli occhi bruni supplichevoli e non comprese affatto la bellezza del primo amore di un ragazzo timido, dell'adorazione di un ideale divenuto realtà, della felicità e della tenerezza che mettevano in quegli occhi una fiamma. Rossella era abituata agli uomini che le chiedevano di sposarla, uomini più attraenti di Carlo Hamilton, uomini che avevano la delicatezza di non fare una domanda di matrimonio durante un convito all'aperto mentre lei aveva da pensare a tante altre cose più importanti. Vide soltanto un ragazzo di vent'anni, rosso come un peperone e con l'aria molto sciocca. Ebbe il desiderio di dirgli quanto era idiota. Ma automaticamente le salirono alle labbra le parole che Elena le aveva insegnato a dire in simili circostanze, e abbassando pudicamente gli occhi, per forza di abitudine, mormorò: - Mister Hamilton, sono molto sensibile all'onore che mi fate chiedendomi di diventar vostra moglie; ma la cosa è per me talmente inattesa che non so che cosa dirvi.Era un modo grazioso di accarezzare la vanità di un uomo e di tenerlo sulla corda; e Carlo abboccò a quell'amo come se fosse nuovo ed egli fosse il primo a inghiottirlo. - Aspetterò quanto vorrete! Voglio che siate sicura di voi... Ditemi che posso sperare, miss O'Hara! - Hm - fece Rossella, i cui occhi di lince osservavano in quel momento Ashley, il quale non si era alzato per prender parte alla discussione degli uomini sulla guerra e stava sorridendo a Melania. Se questo stupido che stava cercando di ottenere la sua mano tacesse un minuto, forse le riuscirebbe di udire ciò che quei due stavano dicendo. Doveva udirlo. Che cosa diceva Melania per destare negli occhi di lui quell'espressione di interessamento? Le parole di Carlo soverchiavano le voci che ella anelava di udire. - Oh, ssst! - gli bisbigliò pizzicandogli una mano senza neanche guardarlo. Spaventato e vergognoso, Carlo arrossì al rabbuffo; poi, vedendo gli occhi di lei fissi su sua sorella, sorrise. Rossella temeva che qualcuno potesse udire le sue parole. Naturalmente era imbarazzata e timida, e l'idea che altri potessero udire la sgomentava. Carlo si sentì invadere da un'onda di mascolinità che non aveva mai provata, perché questa era la prima volta in vita sua che egli turbava una ragazza. L'emozione fu inebriante. Diede al suo volto quella che credeva essere un'espressione indifferente e prudentemente ricambiò il pizzicotto di Rossella per mostrarle che era uomo di mondo e che comprendeva e accettava il suo rimprovero. Ella non sentì neppure il pizzicotto, perché in quel momento udiva la dolce voce che costituiva il fascino principale di Melania: - Non sono d'accordo con te su Thackeray. È un cinico. E credo che non sia un signore come Dickens."Che stupidi discorsi da fare a un uomo" pensò Rossella, pronta a ridere di sollievo. "Non è che una bas bleu, e tutti sanno che cosa pensano gli uomini delle bas bleu!". Per interessare un uomo e conservar vivo il suo interesse, bisognava parlargli di lui e poi gradatamente condurre la conversazione su se stessa... e mantenervela. Rossella si sarebbe allarmata se Melania avesse detto: "Sei straordinario!" oppure: "Come fai a pensare queste cose? Il mio cervellino scoppierebbe, se cercassi anch'io di pensarle!" Ed eccola lì, con un uomo ai suoi piedi, a parlare seriamente come se fosse in chiesa. La prospettiva apparve a Rossella più brillante; tanto brillante che rivolse a Carlo degli occhi radiosi e un sorriso giocondo. Entusiasmato per questa prova di affetto, egli afferrò il suo ventaglio e lo richiuse con tanto ardore che ella si sentì drizzare i capelli. - Non ci avete favorito la vostra opinione, Ashley - disse Tarleton volgendosi dal gruppo maschile vociferante; Ashley si scusò e si alzò. “Nessuno è bello come lui” pensò Rossella osservando la grazia del suo atteggiamento negligente e i capelli e i baffi che il sole faceva scintillare. Anche gli uomini anziani si interruppero per ascoltare le sue parole. - Ebbene, signori miei, se la Georgia combatterà, andrò anch'io. Altrimenti perché fare parte dello Squadrone? - furono le sue parole. I suoi occhi grigi erano spalancati e la loro sonnolenza era scomparsa dando luogo a una vivezza che Rossella non aveva mai vista prima. - Ma, come il babbo, spero che gli yankees ci lasceranno in pace e che la guerra non si farà...- Alzò la mano con un sorriso, perché dai ragazzi Tarleton e dai Fontaine giungeva una babele di voci. - Sì sì, so che ci hanno insultati e che ci hanno mentito... ma se noi fossimo stati nei loro panni, come avremmo agito? Probabilmente nello stesso modo."Eccolo, al solito" pensò Rossella. "Sempre la smania di mettersi nei panni degli altri." Per lei, in ogni argomento non vi era che un solo lato. A volte non era punto d'accordo con Ashley. - Non ci scaldiamo troppo la testa e non cerchiamo la guerra. La maggior parte delle miserie del mondo è stata cagionata dalle guerre. E quando le guerre erano finite, nessuno sapeva più la ragione che le aveva suscitate. Rossella arricciò il naso. Meno male che Ashley aveva una inattaccabile reputazione di coraggio; altrimenti le cose si sarebbero guastate. Mentre ella pensava questo, attorno ad Ashley si levò un clamore di voci dissenzienti e indignate. Sotto l'albero, il vecchio sordo percosse lievemente il ginocchio di Lydia. - Che c'è? - chiese. - Che stanno dicendo? - Guerra! - gli gridò Lydia nell'orecchio facendosi cornetto con la mano. - Vogliamo far la guerra agli yankees! - La guerra? - gridò a sua volta il sordo cercando il suo bastone e alzandosi con maggiore energia di quanta ne avesse mostrata da anni. - Gliene parlerò io, della guerra. Vi sono stato. - Non capitava spesso a Mister McRae l'occasione di poter parlare della guerra, perché le sue donne gli imponevano sempre il silenzio. Raggiunse rapidamente il gruppo, agitando il bastone e gridando e, siccome non udiva le voci degli altri, in breve fu padrone indisturbato del campo. - Ascoltatemi, giovani mangiatori di fuoco. Voi non potete volere la guerra. Io l'ho fatta e lo so. Quella contro i Seminoli; e fui tanto pazzo da fare anche la guerra messicana. Voialtri non sapete che cos'è la guerra. Credete che si tratti soltanto di cavalcare un bel cavallo, con le ragazze che vi gettano fiori chiamandovi eroe. Non è così, signori miei! Si tratta di soffrir la fame e di buscarsi polmoniti e malattie della pelle dormendo nell'umidità. E se non sono quelle, sono gli intestini che non vanno. Sì, signori; non potete immaginare che cos'è la guerra per gl'intestini degli uomini: dissenteria e cose del genere e...Le signore erano diventate rosse. Mister McRae stava ricordando i momenti più volgari della vita, come la nonna Fontaine con le sue sconce flatulenze: momenti che ognuno preferiva dimenticare. - Corri a chiamare il nonno - sussurrò una delle figlie del vecchio gentiluomo a una bimba che le era accanto. - Vi assicuro - mormorò poi alle signore attorno - che va peggiorando ogni giorno. Credereste che stamattina ha detto a Maria (la quale ha solo sedici anni): "Ora, figliuola..." - e il resto della frase si perse in un sussurro, mentre la nipotina correva a cercar di indurre il nonno a tornare a sedere all'ombra. Nei gruppi che si affollavano intorno agli alberi, fanciulle che sorridevano e uomini che parlavano appassionatamente, una sola persona sembrava aver conservato la calma. Gli occhi di Rossella si volsero verso Rhett Butler che stava appoggiato a un albero con le mani sprofondate nelle tasche dei calzoni. Da quando John Wilkes si era allontanato, egli era rimasto solo e non aveva pronunciato parola mentre la conversazione si riscaldava. Le labbra rosse sotto i baffetti si increspavano e negli occhi neri passavano lampi di disprezzo divertito; come se ascoltasse delle chiacchiere infantili. "Un sorriso sgradevole" pensò Rossella. Egli continuò ad ascoltare tranquillamente, finché Stuart Tarleton, coi rossi capelli arruffati e gli occhi scintillanti, gridò: - Ce li leveremo dai piedi in un mese! I gentiluomini combattono sempre meglio della plebe. Un mese...macché, una battaglia...- Signori - interruppe senza muoversi dal suo posto Rhett Butler, con un accento strascicato che rivelava la sua nascita (Charleston) e senza togliersi le mani di tasca - posso dire una parola? Il gruppo si volse verso di lui e gli prestò ascolto con la cortesia dovuta a uno straniero. - Ha mai pensato, nessuno di voi, che non vi è una fabbrica di cannoni a sud della linea MasonDixon? E alle poche fonderie che vi sono nel Sud? E industrie per la lana o per il cotone o concerie? Avete mai pensato che non abbiamo una sola nave da guerra e che gli yankees possono imbottigliare i nostri porti in una settimana, sicché non potremmo più vendere il nostro cotone all'estero? Ma... certamente avete pensato a queste cose."Questo significa che i ragazzi sono una massa di stupidi!" pensò Rossella indignata; e il sangue le salì al volto. Evidentemente non era la sola ad aver quest'idea, perché parecchi giovinotti cominciavano a drizzar la cresta. John Wilkes lasciò il suo posto in maniera indifferente, ma avanzandosi rapidamente verso colui che aveva parlato, come per ricordare ai presenti che quell'uomo era suo ospite e che, inoltre, vi erano delle signore presenti. - Il torto di molti di noi meridionali - proseguì Rhett - è che non viaggiamo abbastanza e non approfittiamo abbastanza dei nostri viaggi. Tutti voi, certamente, avete viaggiato. Ma che cosa avete visto? L'Europa, Nuova York, Filadelfia; e le signore, senza dubbio, sono state a Saratoga. - Si inchinò lievemente verso il gruppo sotto gli alberi. - Avete visto i musei, gli alberghi, i balli e le case da gioco. E siete tornati a casa convinti che non vi fosse un altro luogo come il Sud. Quanto a me, sono nato a Charleston, ma ho passato questi ultimi anni nel Nord. - Un sorriso dei suoi denti candidi fece comprendere che egli era sicuro che tutti quanti sapevano perché egli non dimorava più a Charleston, e non gl'importava nulla che lo sapessero. - Ho visto molte cose che voialtri non avete vedute. Migliaia di emigranti che sarebbero ben contenti di combattere per gli yankees avendone in cambio vitto e un po' di denaro; le fabbriche, le fonderie, i cantieri, le miniere di carbone e di ferro... tutte cose che noi non abbiamo. Quello che noi abbiamo è cotone, schiavi... e arroganza... In un mese ci batterebbero completamente.Un minuto di tensione silenziosa. Rhett Butler trasse dalla tasca della giubba un bel fazzoletto di lino e si spolverò distrattamente una manica. Quindi dalla folla sorse un mormorio minaccioso e da sotto gli alberi giunse un ronzio simile a quello di un'arnia disturbata. Benché Rossella sentisse ancora sulle guance il rosso calore della collera, pure qualche cosa nel suo spirito pratico le fece comprendere che quell'uomo aveva ragione e parlava con buonsenso. Infatti, ella non aveva mai visto una fabbrica né conosciuto nessuno che ne possedesse una. Ma anche se tutto ciò era vero, un gentiluomo non doveva fare queste dichiarazioni... soprattutto durante un ricevimento dove tutti si stavano divertendo. Stuart Tarleton si avanzò, con la fronte aggrottata, insieme con Brent. Senza dubbio, i gemelli erano dei ragazzi educati e non avrebbero fatto una scenata durante una riunione mondana, pur essendo provocati. Malgrado ciò, le signore erano piacevolmente eccitate, perché era ben raro, per loro, assistere a una scenata o a una lite. Di solito ne sentivano parlare di terza mano. - Che intendete dire, signore? - disse Stuart lentamente. Rhett lo guardò con occhio gentile ma beffardo. - Intendo dire che Napoleone... forse ne avete sentito parlare? dichiarò una colta "Dio è dalla parte del battaglione più forte." - Quindi si volse a John Wilkes, con una gentilezza che non era finta: - Mi avevate promesso di mostrarmi la vostra biblioteca. Posso chiedervi il favore di mostrarmela adesso? Debbo tornare a Jonesboro piuttosto presto nel pomeriggio, a causa di un affare.Si volse fronteggiando la folla, batté i tacchi e si inchinò come un maestro di danza; un inchino grazioso in un uomo così forte, e insolente come un ceffone. Quindi attraversò il prato con John Wilkes, col nero capo eretto; e il suono della sua risata scoraggiante pervenne al gruppo che era rimasto presso le tavole. Vi fu un attimo di silenzio allarmato; quindi il ronzio ricominciò. Lydia si levò stancamente dalla sua sedia sotto l'albero e si avvicinò all'incollerito Stuart Tarleton. Rossella non udì le sue parole, ma l'espressione dei suoi occhi mentre ella lo fissava in volto diede una specie di rimorso alla sua coscienza. Era la stessa espressione di dedizione che aveva Melania quando guardava Ashley; ma Stuart non la vide. Dunque, Lydia lo amava. Rossella pensò che se lei non avesse civettato così sfacciatamente con Stuart l'anno scorso, a quella riunione politica, forse a quest'ora egli avrebbe sposato Lydia. Ma il rimorso si dileguò subito, col pensiero che dopo tutto non era colpa sua se le altre ragazze non sapevano trattenere gli uomini accanto a loro. Finalmente Stuart sorrise a Lydia, un sorriso involontario, e accennò di sì. Probabilmente Lydia lo aveva pregato di non seguire Mister Butler e di non fare questioni. Un tumulto gentile si levò sotto agli alberi quando gli invitati si alzarono, scrollandosi dal grembo le briciole. Le signore maritate chiamarono le bambinaie e i bambini piccoli riunendo le loro covate per la partenza; gruppi di giovinette si misero in moto verso la casa, ridendo e chiacchierando, per recarsi nelle stanze da letto al piano di sopra a scambiar pettegolezzi e a fare un po' di siesta. Tutte le signore, eccetto la signora Tarleton, lasciarono l'ombra delle querce; Beatrice era trattenuta da Geraldo, da Calvert e da altri, che insistevano per aver da lei la risposta concernente i cavalli per lo Squadrone. Ashley si avviò lentamente verso il luogo ove sedevano Rossella e Carlo, con un sorriso curioso e divertito. - Un bell'arrogante, non è vero? - fece seguendo Butler con lo sguardo. - Sembra un Borgia.Rossella rifletté rapidamente, ma non ricordò nessuno della Contea o di Atlanta o di Savannah che si chiamasse così. - Non li conosco. È un loro parente? Chi sono?Una strana espressione si dipinse sul volto di Carlo, in cui incredulità e vergogna si trovarono a lottare con l'amore. Ma questo trionfò; egli si disse che per una ragazza bastava esser carina, dolce, e bella, anche se la sua istruzione era scarsa, e si affrettò a rispondere: - I Borgia erano italiani. - Ah, - fece Rossella disinteressandosi. - Stranieri.Rivolse ad Ashley il suo più bel sorriso, ma egli non la guardava in quel momento. Guardava Carlo e sul volto era comprensione e un po' di compassione. Rossella era sul pianerottolo e guardava cautamente, da sopra alla ringhiera, nel vestibolo sottostante. Era vuoto. Dalle stanze da letto al piano di sopra giungeva un incessante ronzio di voci, che si alzavano e si abbassavano punteggiate da scoppi di risa e da "Ma no! Gli hai proprio detto così?" e da "E lui che disse?" Sui letti e sui divani delle sei grandi camere le ragazze riposavano dopo essersi tolte il vestito e avere allentato il busto, coi capelli sciolti. La siesta pomeridiana era un'abitudine locale e non era mai così necessaria come nelle riunioni che duravano tutto il giorno, avendo inizio la mattina presto e terminando col ballo. Per mezz'ora le ragazze discorrevano e ridevano; poi le serve chiudevano le imposte e nella calda semioscurità le voci diminuivano in bisbigli e infine cessavano in un silenzio interrotto solo da respiri regolari. Prima di sgusciare nel vestibolo superiore e di affacciarsi alla ringhiera, Rossella si era assicurata che Melania era coricata sul letto insieme con Gioia e Etta Tarleton. Dalla finestra del pianerottolo vedeva il gruppo degli uomini seduti sotto gli alberi a bere, e sapeva che vi sarebbero rimasti fino al tardo pomeriggio. I suoi occhi scrutarono il gruppo, ma Ashley non vi era. Tese l'orecchio e udì la sua voce. Come aveva sperato, egli era ancora nel viale d'accesso, a salutare le signore che se ne andavano coi bambini e ad assistere alla loro partenza. Scese velocemente le scale, col cuore in gola. E se avesse incontrato il signor Wilkes? Che scusa avrebbe trovato per giustificare quel suo gironzolare per casa mentre tutte le altre ragazze riposavano per esser belle la sera? Beh, comunque, valeva la pena di arrischiare. Giunta in fondo alle scale, udì le serve che si muovevano in sala da pranzo agli ordini del maggiordomo, togliendo la tavola e le sedie per preparare per il ballo. Al di là dell'ampio vestibolo era la porta aperta della biblioteca; ella si affrettò a entrarvi senza far rumore. Attenderebbe là dentro che Ashley finisse i suoi saluti e lo chiamerebbe vedendolo rientrare. La biblioteca era nella semioscurità, perché le persiane erano chiuse. La stanza cupa dalle alte pareti completamente coperte di libri neri le diede un senso di oppressione. Non era quello il luogo che avrebbe scelto per un colloquio come sperava sarebbe stato quello a cui si preparava. La grande quantità di libri la opprimeva sempre, come pure le persone che amavano legger molto. Ad eccezione di Ashley. I mobili pesanti le sembravano enormi nella mezza luce, e così le sedie a spalliera alta e sedile profondo, fatte per i Wilkes che erano di statura elevata, e le solide e morbide sedie coi cuscini di velluto per le ragazze, con davanti sgabelli anch'essi coperti di velluto. All'altra estremità della lunga stanza, dinanzi al caminetto, il divano di due metri - il posto preferito di Ashley - drizzava la sua massiccia spalliera come un enorme animale. Chiuse la porta lasciando una fessura e cercò di calmare i battiti del proprio cuore. Si sforzò di ricordare con precisione quello che la sera prima aveva progettato di dire ad Ashley, ma non vi riuscì. Aveva pensato qualcosa e lo aveva dimenticato... o aveva soltanto progettato di far parlare Ashley? Non ricordava; e improvvisamente fu invasa da un gelido terrore. Forse, se il suo cuore smettesse di battere in modo così assordante, potrebbe pensare che cosa dire. Ma il rapido battito non fece che aumentare quando ella udì Ashley rivolgere un ultimo saluto ai partenti e rientrare nel vestibolo. Riusciva a pensare soltanto che lo amava... che amava tutto di lui, dall'altero portamento del suo capo dorato alle sue scarpe nere; amava la sua risata anche quando la canzonava, amava i suoi strani silenzi. Oh, se entrasse e la prendesse fra le braccia sicché ella non dovesse parlare! Doveva amarla... "Forse, se pregassi..." Chiuse gli occhi e cominciò a mormorare - Dio ti salvi, Maria, piena di grazia...- Oh, Rossella! - Era la voce di Ashley che interrompeva il rombo delle sue orecchie gettandola nella più gran confusione. Egli si era fermato nel vestibolo, scrutandola attraverso la porta parzialmente aperta, con un sorriso enigmatico sul volto. - Per chi vi nascondete? Per Carlo o per i Tarleton?Ella inghiottì la saliva. Dunque Ashley si era accorto degli uomini che le erano stati intorno! Com'era adorabile coi suoi occhi che ammiccavano, completamente ignaro del turbamento di lei Non fu capace di dire una parola, ma sporse una mano e lo trasse nella stanza. Egli entrò, perplesso ma interessato. Vi era in lei una tensione e nei suoi occhi una luce che non vi aveva mai visto prima; e anche nella semioscurità si distingueva il colore acceso delle sue guance. Automaticamente egli chiuse la porta dietro di sé e le prese la mano. - Che c'è? - chiese, quasi in un bisbiglio. Al contatto della sua mano ella cominciò a tremare. Ecco che stava per accadere quello che aveva sognato. Mille pensieri incoerenti si agitarono nella sua mente, ma non fu capace di afferrarne uno solo da forgiare in parole. Riuscì solo a crollare la testa e a guardarlo in faccia. Perché non parlava lui? - Che c'è? - ripeté Ashley. - Un segreto che volete dirmi?A un tratto ella ritrovò la parola e nello stesso istante tutti gli anni di insegnamento di Elena scomparvero e lo schietto sangue irlandese di Geraldo parlò sulle labbra di sua figlia. - Sì... un segreto. Vi amo.- Per un attimo fu un silenzio così profondo come se nessuno dei due respirasse. Quindi ella smise di tremare, mentre si sentiva invadere dalla felicità e dall'orgoglio. Perché non lo aveva fatto prima? Quanto era più semplice di tutte le manovre da signora che le avevano insegnato! E i suoi occhi cercarono quelli di lui. In questi era un'espressione di costernazione, di incredulità e di qualche altra cosa... Che cos'era? Sì, Geraldo aveva la stessa espressione il giorno in cui il suo cane preferito si era rotto una gamba, e bisognò abbatterlo. Perché le veniva in mente questo adesso? Che pensiero stupido. E perché Ashley la guardava così stranamente e non parlava? Qualche cosa di simile a una maschera di buona educazione apparve ora sul suo viso, ed egli sorrise galantemente. - Non vi basta di aver fatto oggi collezione dei cuori di tutti gli altri uomini? - E la sua voce aveva l'antica nota carezzevole e scherzosa. - Volete proprio l'umanità? Ebbene, avete sempre avuto il mio cuore e lo sapete benissimo. Da quando vi sono spuntati i primi denti.- No... nulla di tutto questo.- Non era così che ella aveva immaginato la cosa. Nel pazzo vortice di idee che si agitavano nel suo cervello, una stava cominciando a prendere forma. Per una ragione che ella ignorava, Ashley si comportava come se ella stesse civettando con lui. Ma egli sapeva che non era così. Era sicura che lo sapeva. - Ashley... Ashley... dite... dovete... Oh, non scherzate adesso! Io ho il vostro cuore? Oh caro, io vi a...La mano di lui le chiuse le labbra rapidamente. La maschera era scomparsa. - Non dovete dire queste cose, Rossella! Non dovete. Non è questo il vostro pensiero. Odierete voi stessa per averle dette, e odierete me perché le ho ascoltate.Ella volse la testa altrove. Un fiotto caldo correva velocemente nelle sue vene. - Non potrò mai odiarvi. Vi dico che vi amo e so che voi dovete volermi bene perché... - s'interruppe. Non aveva mai visto un'espressione così dolorosa sul viso di nessuno. - Ashley, mi volete bene... non è vero? - Sì - rispose egli con voce opaca. - Vi voglio bene.Se le avesse detto che l'odiava ella non si sarebbe spaventata di più. Afferrò la sua manica senza parlare. - Rossella, - riprese egli - non possiamo andar via dimenticare che abbiamo detto queste cose? - No, - bisbigliò la fanciulla. - Non posso. Non desiderate... sposarmi? Egli replicò: - Sto per sposare Melania.Senza saper come, si accorse di esser seduta sulla bassa sedia di velluto; Ashley, sullo sgabello ai suoi piedi, le teneva ambo le mani in una stretta tenace. Le diceva delle cose... delle cose che non avevano senso. La mente di Rossella era vuota, completamente vuota di tutti i pensieri che vi si erano affollati solo un momento prima, e le sue parole le facevano così poca impressione come la pioggia sul vetro. Cadevano in un orecchio che non ascoltava; erano parole tenere e buone, piene di compassione come quelle di un padre che parla a un bambino offeso. Nella sua incoscienza afferrò il nome di Melania e allora lo fissò negli occhi grigi. Vide in essi quell'aria distante che l'aveva sempre contrariata... e anche un'espressione di odio verso se stesso. - Il babbo annunzierà il fidanzamento stasera. Ci sposeremo presto. Ve lo avrei detto, ma credevo che lo sapeste. Credevo che lo sapessero tutti... da tanti anni. Non ho mai supposto che voi... avete tanti corteggiatori. Immaginavo che Stuart...In lei tornavano ora la vita, il sentimento e la comprensione. - Ma avete detto or ora che mi volevate bene. Le sue mani ardenti le fecero male. - Cara, perché volete costringermi a dirvi delle cose che possono ferirvi?Il silenzio di lei lo costrinse a proseguire. - Come posso farvi capire queste cose? Siete così giovane e irriflessiva che non sapete che cos'è il matrimonio.- So che vi amo.- L'amore non basta per fare un matrimonio felice, quando persone sono così diverse come noi. Voi, Rossella, da un uomo volete aver tutto: il corpo, il cuore, l'anima, i pensieri non li aveste sareste infelice. Ed io non potrei darvi tutto di me. Non posso dar tutto a nessuno. E non desidererei tutto il vostro cuore e la vostra anima. Voi ne sareste offesa e arrivereste odiarmi... oh, amaramente! Odiereste i libri che leggo e la musica che amo perché mi toglierebbero a voi anche per un momento, ed io... forse io...- La amate? - Essa è come me, è del mio sangue e ci comprendiamo a vicenda. Rossella, Rossella! Come posso farvi capire che un matrimonio può essere sereno e felice soltanto fra due persone simili?Qualcun altro aveva detto questo: "I simili devono sposare i loro simili, altrimenti non vi sarà felicità". Chi era stato? Le sembrava che fosse passato un milione di anni da quando aveva udito queste parole, che pure non la convincevano. - Ma avete detto che mi volevate bene.- Non avrei dovuto dirlo.In fondo al suo cervello si accese una piccola fiamma e l'ira cominciò ad avvampare in lei. - Dal momento che siete stato tanto mascalzone da dirlo...Egli impallidì. - Sono stato un mascalzone, perché sto per sposare Melania. Ho fatto torto a voi, ma l'ho fatto ancor più grande a Melania. Non avrei dovuto dirlo perché sapevo che non avreste capito. Come potevo fare a meno di volervi bene... a voi che avete tutta la passione di vivere che io non ho? Voi che potete amare e odiare con una violenza che per me è impossibile? Perché siete elementare come il fuoco e il vento e le cose selvagge, mentre io...Ella pensò a Melania e improvvisamente vide i suoi tranquilli occhi bruni con la loro espressione distante, le sue placide manine nei mezzi guanti neri di pizzo, i suoi dolci silenzi. E allora la sua ira proruppe, la stessa ira che aveva condotto Geraldo al delitto, ed altri irlandesi loro antenati ad azioni che avevano pagato con la loro testa. Non vi era adesso in lei più nulla dei beneducati Robillard che sapevano sopportare in silenzio qualsiasi insulto. - Perché non lo dite, vigliacco! Avete paura di sposarmi! Preferite vivere con quella stupida cretina, che apre la bocca soltanto per dire "sì" e "no" e che alleverà una schiera di marmocchi sciocchi e melliflui come lei! Perché...- Non dovete parlare così di Melania! - Non debbo, che l'inferno vi sprofondi?! E chi siete voi per dirmi che non debbo? Vigliacco, mascalzone... Mi avete fatto credere che mi avreste sposata e...- Siate giusta - pregò la voce di lui. - Quando mai io vi ho...Ella non voleva essere giusta benché sapesse che egli diceva la verità. Non aveva mai oltrepassato i limiti dell'amicizia con lei; e, nel ricordare questo, una nuova collera l'invase, la collera dell'orgoglio ferito e della vanità femminile. Gli era corsa dietro mentre egli non la voleva. Preferiva a lei una stupidina, con la faccia linfatica come Melania. Oh, come sarebbe stato meglio se avesse seguito i precetti di Elena e di Mammy e non gli avesse mai rivelato neppure che le era simpatico... meglio qualunque cosa che affrontare questa ardente vergogna! Balzò in piedi coi pugni stretti ed egli si alzò col volto pieno della muta angoscia di chi è costretto a guardare in faccia alla realtà quando la realtà è dolore. - Vi odierò finché vivrete, mascalzone... abbietto, abbietto...- Che altra parola voleva dirgli? Non riusciva a trovarne nessuna abbastanza violenta. - Rossella... vi prego...Tese la mano verso di lei e in quel momento ella lo percosse sul viso con tutte le sue forze. Nella stanza silenziosa il rumore fu come uno schiocco di frusta; e improvvisamente la sua ira scomparve lasciandole il cuore pieno di desolazione. L'impronta rossa della sua mano risaltava sul volto pallido e stanco. Egli non disse nulla, ma le prese la mano sinistra, la portò alle labbra e la baciò. Poi, prima che ella avesse potuto dire ancora una parola, uscì chiudendo piano la porta. Ella sedette di nuovo, perché la reazione le fece piegare le ginocchia se n'era andato e la memoria del suo viso addolorato l'avrebbe perseguitata fino alla morte. Udì il rumore attenuato dei suoi passi allontanarsi lungo il vestibolo, e l'enormità della sua azione le apparve. Lo aveva perduto, per sempre. Ora egli la odierebbe, e ogni qualvolta la vedesse si ricorderebbe che ella gli aveva dichiarato il suo amore senza essere stata menomamente incoraggiata da lui. "Sono come Gioia Wilkes" pensò all'improvviso; poi ricordò che tutti quanti, e lei più degli altri, avevano riso con disprezzo della condotta di Gioia. Vide la goffa agitazione di Gioia e udì le sue sciocche risatine quand'era al braccio di qualche giovanotto; e questo pensiero destò in lei una nuova ira, ira contro se stessa, ira contro Ashley, ira contro il mondo. Odiando se stessa, odiava tutti quanti con la forza dell'umiliato e contrastato amore dei sedici anni. Solo una briciola di vera tenerezza era mescolata a quell'amore. In massima parte esso era composto di vanità e di compiacente fiducia nel proprio fascino. Ora aveva perduto e, più grande del dolore della perdita, era in lei il timore di aver dato spettacolo di se stessa. La sua simpatia era stata palese? Chi sa se tutti ormai ridevano di lei? Questo pensiero la fece tremare. La sua mano si posò su un tavolino lì accanto, giocherellando con un piccolo portafiori di porcellana sul quale sorridevano due amorini. La stanza era così silenziosa che le venne voglia di gridare per rompere il silenzio. Doveva fare qualche cosa, altrimenti sarebbe impazzita. Prese il vasetto e lo scagliò violentemente attraverso la camera contro il caminetto. Esso oltrepassò l'alta spalliera del sofà e andò a infrangersi contro il marmo del caminetto. - Questo è troppo - disse una voce dalla profondità del divano. Nulla l'aveva mai spaventata tanto. E la sua bocca divenne troppo arida per permetterle di emettere un suono. Si afferrò alla spalliera della sedia sentendosi mancare le ginocchia, mentre Rhett Butler si alzava dal divano dov'era sdraiato e le faceva un inchino esageratamente cortese. - E' già abbastanza noioso avere la propria siesta disturbata da un colloquio come quello che sono stato costretto a udire; ma perché anche la mia vita dovrebbe correre pericolo? Era proprio vero. Non era uno spettro. Ma, Dio ne guardi, egli aveva dunque udito tutto! Rossella raccolse tutte le sue forze in un tentativo di assumere una certa dignità. - Signore, avreste dovuto palesare la vostra presenza.- Davvero? - I suoi bianchi denti brillarono e i suoi audaci occhi neri risero. - Ma eravate voi l'intrusa. Io sono costretto ad aspettare Mister Kennedy; e avendo la sensazione di essere forse individuo non grato alla società, ho avuto il tatto di allontanare la mia persona poco gradita e ritirarmi qui dove credevo di essere indisturbato. Ma ahimè! - Crollò le spalle e rise dolcemente. La collera stava ricominciando a invadere Rossella al pensiero che quell'uomo rozzo e impertinente aveva udito tutto; udito delle cose che per le quali ella avrebbe preferito esser morta piuttosto che averle pronunciate. - Spione... - cominciò furibonda. - Gli spioni odono spesso delle cose molto divertenti e istruttive - sogghignò l'uomo. - Avendo una lunga esperienza nell'origliare, posso...- Non siete un gentiluomo! - Osservazione giustissima - replicò egli allegramente. - E voi, Miss O'Hara, non siete una signora. Sembrò trovare la cosa molto divertente, perché rise di nuovo. - Nessuna donna può considerarsi una signora dopo aver detto e fatto quello che ho udito. Però le signore hanno raramente avuto un fascino ai miei occhi. Io so ciò che esse pensano; ma esse non hanno mai il coraggio o la mancanza di educazione di dire il loro pensiero. E questo, coll'andar del tempo, diventa una noia. Ma voi, mia cara Miss O'Hara, siete una ragazza di spirito, di uno spirito veramente ammirevole, ed io vi faccio tanto di cappello. Capisco benissimo quale simpatia l'elegante Mister Wilkes può provare per una ragazza che ha la vostra natura impetuosa. Egli deve ringraziare Dio in ginocchio, perché una ragazza col vostro... Come ha detto? Con la vostra "passione di vivere", ma povera di spirito...- Non siete degno di pulirgli le scarpe! - urlò esasperata. - E voi lo odierete tutta la vita! - Egli ripiombò a sedere sul sofà e rise. Se avesse potuto ucciderlo, Rossella lo avrebbe fatto. Invece chiamando a raccolta tutta la dignità che le fu possibile, uscì dalla stanza, sbattendo dietro di sé la porta pesante. Salì le scale così rapidamente che quando raggiunse il pianerottolo credette di svenire. Si fermò, aggrappata alla ringhiera, col cuore che le martellava in petto tanto forte, per la collera e la mortificazione, che sembrava le scoppiasse fuori dal corpetto. Cercò di trarre dei lunghi respiri, ma il busto allacciato da Mammy era troppo stretto. Se sveniva, se la trovavano lì sul pianerottolo, che avrebbero pensato? Oh, penserebbero Dio sa che cosa, Ashley, e quell'abietto Butler e quelle odiose ragazze che erano così gelose! Per la prima volta in vita sua rimpianse di non avere i sali, come le altre ragazze; ma non aveva mai posseduto neanche un po' d'aceto! Si era sempre vantata di non sapere che cosa fosse un capogiro. Impossibile svenire adesso! A poco a poco la sofferenza cominciò a diminuire. A momenti si sentirebbe bene, e si insinuerebbe silenziosamente nello spogliatoio accanto alla camera di Lydia per allentare il busto e poi arrampicarsi su uno dei letti sdraiandosi accanto a una ragazza addormentata. Cercò di calmare il suo batticuore e di comporsi un viso più tranquillo, poiché sentiva che doveva aver l'aspetto di una pazza. Se una delle ragazze si fosse svegliata avrebbe compreso subito che vi era qualche cosa che non andava. E nessuno doveva mai sapere che era successo qualche cosa. Attraverso l'ampia finestra del pianerottolo vide gli uomini che ancora indugiavano sotto agli alberi fronzuti. Come li invidiò! Che bella cosa essere un uomo e non aver da soffrire le pene attraverso le quali ella era passata pochi minuti fa! Mentre li guardava, con gli occhi che le ardevano e la testa che le girava, udì un veloce scalpitare di zoccoli nel viale principale, lo stridere della ghiaia e il suono di una voce eccitata che rivolgeva qualche domanda ai negri. La ghiaia scricchiolò ancora ed ella scorse la figura di un uomo a cavallo che galoppava attraversando il prato verde verso il gruppo indolente degli uomini. Un invitato ritardatario? Ma perché attraversava a cavallo il prato che era l'orgoglio di Lydia? Non lo riconobbe; ma quando egli balzò dal cavallo e afferrò il braccio di John Wilkes, distinse i suoi lineamenti eccitati. Tutti gli si affollarono intorno, abbandonando sulle tavole e a terra i bicchieri e i ventagli di palma. Malgrado la distanza, ella udì il clamore delle voci che interrogavano, chiamavano, e intuì la febbrile tensione degli uomini. Finalmente al disopra del vocio confuso si levò la voce di Stuart Tarleton in un grido esultante: - Yee-eey-y! - come se fosse a caccia. Ed ella udì per la prima volta, senza saperlo, il grido dei Ribelli. Mentre continuava a guardare, i quattro Tarleton, seguiti dai ragazzi Fontaine, uscirono dal gruppo e corsero verso le scuderie gridando: - Jeemes! Ehi, Jeemes! Sella i cavalli!"Si dev'essere incendiata la casa di qualcuno" penso Rossella. Ma fuoco o non fuoco, lei non doveva fare altro che rientrare nella stanza da letto prima di essere scoperta. Il suo cuore batteva meno violentemente adesso; ella salì in punta di piedi i gradini, al disopra del vestibolo silenzioso.Una calda sonnolenza pesava sulla casa, come se anch'essa dormisse come le ragazze, fino al sopraggiunger della notte in tutta la sua bellezza con la musica e le candele. Pian piano aperse la porta dello spogliatoio e scivolò dentro. Aveva ancora la mano sulla gruccia quando dalla fessura della porta di fronte che metteva nella camera da letto le giunse la voce di Gioia Wilkes, sommessa come un sussurro. - Mi pare che Rossella si sia comportata come una sfacciata, Oggi.La fanciulla sentì che il suo cuore ricominciava la folle danza; inconsciamente vi premette sopra la mano come per costringerlo a fermarsi. "Gli spioni ascoltano spesso cose molto istruttive" le risuonò nella memoria. Doveva uscire nuovamente? O farsi vedere e mettere in imbarazzo Gioia come meritava? Ma la voce che udì subito dopo la fece fermare. Neanche una coppia di muli avrebbe potuto trascinarla via quando riconobbe la voce di Melania. - Oh, Gioia, non esser cattiva. È soltanto vivace e spiritosa. A me è sembrata simpaticissima."Oh" pensò Rossella ficcandosi le unghie nel corpetto. "Sentirsi difendere da quella piccola ipocrita!" Era peggio della lieve maldicenza di Gioia. Rossella non aveva mai avuto fiducia in nessuna donna e non aveva mai attribuito a nessuna eccetto sua madre motivi che non fossero egoistici. Melania era sicura di Ashley, perciò poteva concedersi il lusso di manifestare uno spirito così cristiano. Rossella pensò che in questo modo Melania faceva pompa della sua conquista e in pari tempo si procurava la nomea di essere buona e dolce. Era un trucco che anche lei aveva usato molte volte parlando di altre ragazze con gli uomini; ed era sempre riuscita in quel modo a convincerli della sua bontà e del suo altruismo. - Senti, cara - riprese Gioia aspramente, alzando un po' la voce -bisogna dire che sei cieca.- Ssst Gioia - bisbigliò Sally Munroe - ti sentiranno in tutta la casa!Gioia abbassò la voce ma continuò. - Non hai visto che cercava di accaparrarseli tutti? Perfino Mister Kennedy che è il corteggiatore di sua sorella. Non ho mai visto una cosa simile! E certo ha cercato di attirare anche Carlo. - Gioia ridacchiò con una certa sufficienza. - Sapete bene che io e Carlo...- Davvero? - bisbigliarono alcune voci eccitate. - Sì, ma non ditelo a nessuno, ragazze... Non ancora! Vi furono ancora delle risatine e le molle del letto cigolarono come se qualcuno avesse spinto Gioia. Melania mormorò qualche parola sulla sua felicità di avere Gioia per sorella. - Ah, io non sarei davvero felice di avere Rossella per sorella, perché è sfacciata come non ve ne sono altre - giunse la voce afflitta di Etta Tarleton. - Ma è quasi fidanzata con Stuart. Brent dice che non glie ne importa un fico; ma in verità anche lui ne è pazzo. - Se domandate a me - mormorò Gioia con misteriosa importanza - c'è solo una persona di cui a lei importi. Ed è Ashley. I bisbigli si fusero violentemente interrogando, interrompendo, e Rossella si sentì ghiacciare dal timore e dalla umiliazione. Gioia era una stupida, una cretina, una sempliciona per quanto concerneva gli uomini, ma aveva per quanto concerneva le altre donne, un istinto femminile che Rossella non aveva mai considerato. La mortificazione e l'orgoglio offeso di cui aveva sofferto nella biblioteca con Ashley e con Rhett Butler erano punture di spillo a paragone di questo. Si poteva aver fiducia che gli uomini, anche un individuo come Mister Butler avrebbero taciuto; ma con le chiacchiere di Gioia Wilkes che spettegolava a destra e a sinistra, prima delle sei tutta la Contea sarebbe al corrente. E Geraldo la sera prima aveva detto che non voleva che il paese ridesse di sua figlia. Come riderebbero tutti adesso! Un sudore vischioso le bagnò le costole partendo dalle ascelle. La voce di Melania, misurata e tranquilla, si levò sulle altre con lieve rimprovero. - Sai benissimo che non è così, Gioia, e non è gentile da parte tua...- E' così, Melly, e se tu non fossi sempre intenta a cercare la bontà in quelli che non ne hanno, te ne accorgeresti.. E io sono contenta. Le sta bene. Rossella O'Hara non ha mai fatto altro che mettere scompiglio e cercare di portar via gli spasimanti alle altre ragazze. Sai benissimo che ha portato via Stuart a Lydia, mentre non sapeva che farsene. E oggi ha cercato di attrarre Mister Kennedy, Ashley, Carlo..."Debbo andare a casa!" pensò Rossella. "Debbo andare a casa!" Se avesse potuto per opera di magia essere trasportata a Tara, al sicuro! Poter essere con Elena, vederla, nascondere il viso nel suo grembo, piangere e raccontarle tutto! Se avesse udito ancora una parola si sarebbe precipitata nella stanza e avrebbe afferrato a manate i pallidi capelli di Gioia e avrebbe sputato in faccia a Melania Hamilton per mostrarle ciò che pensava della sua carità. Ma si era già comportata in modo abbastanza volgare oggi, proprio come una qualsiasi miserabile stracciona bianca; e questo era il suo tormento. Si strinse le mani contro le gonnelle perché non frusciassero e indietreggiò furtivamente come un animale. "A casa" pensava nell'attraversare velocemente il vestibolo davanti alle porte chiuse e alle stanze silenziose; "debbo andare a casa." Era già nel porticato, quando fu colpita da un nuovo pensiero: non poteva andare a casa, non poteva fuggire! Doveva assistere, sopportare tutta la malizia delle ragazze e la propria umiliazione e il crepacuore. Fuggire, significava dar loro maggiore esca. Picchiò il pugno chiuso contro la grande colonna bianca lì accanto, come se avesse desiderato essere Sansone e far crollare le Dodici Querce distruggendo tutti quelli che vi erano dentro. Li farebbe pentire, farebbe veder loro... Non sapeva ancora come, ma lo avrebbe fatto. Li offenderebbe peggio di come essi avevano offeso lei. Per il momento Ashley come Ashley era dimenticato. Non era il bel giovane sonnolento di cui ella era innamorata, ma era una parte dei Wilkes, delle Dodici Querce, della Contea; ed essa li odiava tutti perché ridevano. La vanità è più forte dell'amore, a sedici anni, e nel suo cuore ardente non vi era posto per altro, ora, che per l'odio. "Non andrò a casa" pensò, "rimarrò qui e li farò pentire. E non lo dirò mai alla mamma. No, non lo dirò a nessuno." Fece una sforzo per rientrare in casa, risalire le scale e andare in un'altra camera da letto. Nel voltarsi vide Carlo che rientrava dall'altra estremità del lungo vestibolo. Vedendola si affrettò verso di lei. Aveva i capelli in disordine e il viso color geranio per l'eccitazione. - Sapete che cosa è successo? - gridò anche prima di averla raggiunta. - Avete sentito? È arrivato or ora Paolo Wilson da Jonesboro con le notizie! - Fece una pausa, senza fiato, essendole arrivato accanto. Ella non fece motto e lo fissò. - Lincoln chiede uomini, soldati, volontari voglio dire, settantacinquemila! Di nuovo Mister Lincoln! Ma possibile che gli uomini non pensassero mai a ciò che realmente accadeva? Ecco che questo idiota si aspettava che lei si eccitasse per i capricci di Mister Lincoln, mentre aveva il cuore spezzato e la reputazione quasi rovinata. Carlo la fissò; il volto di lei era bianco come la cera e i suoi occhi verdi brillavano a guisa di smeraldi. Egli non aveva mai visto un fuoco simile nel volto di una fanciulla, un tale splendore negli occhi di nessuno. - Son troppo goffo - disse. - Avrei dovuto dirvelo più dolcemente. Ho dimenticato che le donne sono così delicate. Mi dispiace di avervi turbata così. Non vi sentite venir meno? Posso andarvi a prendere un bicchier d'acqua? - No - rispose Rossella e cercò di sorridere convulsamente. - Vogliamo andare a sedere sul banco? - chiese il giovane prendendola per il braccio. Ella annuì ed egli la aiutò cortesemente a scendere i gradini e la condusse attraverso l'erba fino al banco di ferro sotto alla quercia più maestosa, nel piazzale davanti alla casa. "Come sono fragili e tenere le donne" pensò; "basta nominare la guerra per vederle svenire." Questa idea lo fece sentire molto uomo, e quindi egli raddoppiò di gentilezza. La fanciulla sembrava così strana, e nel suo volto bianco era una selvaggia bellezza che gli fece balzare il cuore. Possibile che ella fosse sgomenta al pensiero che egli potesse andare in guerra? No, era una presunzione eccessiva. Ma perché lo guardava così bizzarramente? E perché le sue mani tremavano, mentre tirava fuori il fazzolettino di trina? E le sue folte ciglia battevano come quelle delle fanciulle nei romanzi che aveva letto, per timidità ed amore. Carlo si schiarì la voce tre volte per parlare, senza riuscirvi. Abbassò gli occhi perché quelli verdi di lei erano così penetranti che sembrava quasi che vedessero al di là di lui. "Ha una quantità di quattrini" pensava rapidamente Rossella, mentre nel suo cervello si formava un nuovo piano. "E non ha genitori che possano darmi noia; e per di più vive ad Atlanta. Se lo sposassi subito, farei vedere a Ashley che di lui non m'importava un fico... che volevo soltanto civettare. E per Gioia sarebbe la morte. Non troverà mai, mai un altro corteggiatore e tutti rideranno di lei. E Melania ne sarebbe addolorata, perché vuol molto bene a Carlo. E sarebbero addolorati anche Stu e Brent..." Non sapeva precisamente perché voleva dar loro un dispiacere, se non perché avevano delle sorelle dispettose. "E tutti sarebbero indispettiti quando io ritornassi qui in visita in una bella carrozza, con una quantità di bei vestiti e una casa mia. E non potrebbero mai, mai ridere di me." - Certo, vuol dire combattere - disse Carlo dopo parecchi tentativi imbarazzati. - Ma non vi agitate, Miss Rossella; in un mese sarà tutto finito e sentiremo i loro lamenti. Sicuro, i loro lamenti! Non vorrei per nulla al mondo mancare di sentirli. Ho paura che stasera non ci sarà il ballo perché lo Squadrone deve riunirsi a Jonesboro. I ragazzi Tarleton sono andati a diffondere la notizia. So che alle signore dispiacerà. Ella fece - Oh! - non sapendo dire altro; ma questo bastò. Le stava ritornando il sangue freddo e la sua mente ricominciava a veder chiaro. Su tutte le sue emozioni si formava uno strato di ghiaccio ed ella pensò che non sentirebbe mai più nulla di ardente. Perché non prendere quel bel ragazzo timido? Valeva come gli altri e a lei non importava nulla di nessuno. No, non avrebbe più voluto bene a nessuno, anche se avesse vissuto fino a novant'anni. - Non posso decidere ora se andrò con Mister Wade Hampton nella Legione della Carolina del Sud o con la Guardia di città di Atlanta. Ella disse ancora - Oh! - e i loro occhi s'incontrarono; e le ciglia che si agitarono furono la sua rovina. - Mi aspetterete, Miss Rossella? Sarà... Sarà divino sapere che voi mi aspettate finché li avremo battuti! - Attese senza respirare le parole di lei, osservando le labbra rosse che s'increspavano agli angoli e notando per la prima volta l'ombra di quegli angoli e pensando come sarebbe bello baciarli. La mano di lei, col palmo umido di traspirazione, scivolò nella sua. - Non vorrei aspettare - mormorò, e i suoi occhi si velarono. Seduto, stringendole la mano, egli la fissò a bocca aperta. Con gli occhi bassi, Rossella lo guardava attraverso le ciglia, con l'impressione che egli somigliasse a un rospo enorme. Egli fece per parlare più volte, boccheggiò, tornò ad arrossire. - Possibile che mi amiate? Ella non rispose ma abbassò gli occhi e Carlo fu nuovamente trasportato in un'atmosfera di estasi e d'imbarazzo. Forse un uomo non dovrebbe rivolgere una simile domanda a una ragazza. E forse per lei sarebbe sconveniente rispondergli. Non avendo mai avuto il coraggio di mettersi prima d'ora in una simile situazione, Carlo non sapeva come comportarsi. Aveva voglia di urlare, di cantare e di baciarla; di far delle capriole sul prato e poi di correre a dire a tutti quanti, bianchi e negri, che essa lo amava. Ma si limitò a stringerle la mano fino a farle penetrare gli anelli nella carne. - Volete sposarmi presto, Miss Rossella? - Uhm! - rispose ella giocherellando con una piega della veste. - Dobbiamo fare un doppio matrimonio con Mel...? - No, - rispose ella rapidamente, e i suoi occhi ebbero uno splendore minaccioso. Carlo comprese di aver nuovamente commesso un errore. Era naturale che una fanciulla desiderasse una festa di nozze propria, non una gloria condivisa. Come era buona a passar sopra ai suoi rossori! Se almeno fosse buio ed egli fosse incoraggiato dalle tenebre, e riuscisse a baciarle la mano dicendole tutto ciò che anelava di dirle! - Quando posso parlare con vostro padre? - Più presto è, meglio è - rispose ella, sperando che egli rallentasse la dolorosa pressione sui suoi anelli, senza costringerla a dirglielo. Egli balzò in piedi e per un attimo Rossella temette che facesse una capriola prima che la dignità lo trattenesse. La guardò, raggiante, con tutto il suo semplice onesto cuore negli occhi. Nessuno l'aveva mai guardata così, e nessuno più la guarderebbe in quel modo; ma ella pensò soltanto che le sembrava un vitello. - Vado a cercarlo - disse col viso illuminato da un sorriso. - Non posso aspettare. Volete scusarmi... cara? - Pronunciò questa parola con sforzo, ma essendovi riuscito la ripeté con piacere. - Sì, vi aspetterò qui. È fresco e si sta bene.Egli attraversò il prato e scomparve dietro alla casa, lasciandola sola sotto la quercia le cui foglie stormivano. Dalle scuderie uscivano uomini a cavallo; i servi negri cavalcavano frettolosamente dietro ai loro padroni. I ragazzi Munroe passarono velocemente agitando i loro cappelli; i Fontaine e i Calvert percorsero la strada gridando. I quattro Tarleton attraversarono il prato e le passarono davanti, e Brent gridò: - La mamma ci darà i cavalli! Y-eey-iii! - Scomparvero lasciandola nuovamente sola. La casa bianca drizzava davanti a lei le sue grandi colonne, e sembrava che si ritraesse da lei con dignità. Oramai, non sarebbe stata mai più la sua casa. Ashley non le farebbe mai oltrepassare quella soglia come sua sposa. Oh, Ashley! Che cosa ho fatto? Nella profondità del suo intimo, sotto l'orgoglio felice e il freddo senso pratico, qualche cosa si agitò dandole dolore. Era nata in lei un'emozione da adulta, più forte della sua vanità e del suo egoismo volontario. Ella amava Ashley, sapeva di amarlo, e non gli aveva mai voluto tanto bene come nel momento in cui vide Carlo scomparire alla svolta del viale inghiaiato. 7 Due settimane dopo Rossella era moglie, e due mesi dopo era vedova. Fu ben presto liberata dai legami che aveva allacciato con tanta fretta e con così poca riflessione; ma la spensierata libertà di quando era ragazza era svanita per sempre. La vedovanza aveva seguito troppo da vicino il matrimonio, e con suo sgomento, la maternità seguì dopo breve tempo. Negli anni di poi, quando ella ripensava agli ultimi giorni dell'aprile 1861, Rossella non ricordava mai perfettamente i particolari. Il tempo e gli avvenimenti erano visti come attraverso un telescopio, confusi come un incubo che non aveva né logica né realtà. Fino al giorno della sua morte vi sarebbero delle lacune nel ricordo di quei giorni. Specialmente vago era il ricordo del tempo trascorso fra quando aveva accettato Carlo e il matrimonio. Due settimane! Un fidanzamento così breve sarebbe stato impossibile in tempo di pace. Sarebbe stato necessario un decoroso intervallo di un anno, o per lo meno di sei mesi. Ma il Sud era tutto in fiamme per la guerra, e gli avvenimenti si succedevano rapidamente come portati da un vento impetuoso, e il ritmo tranquillo degli antichi giorni era scomparso. Elena si torse le mani e consigliò un ritardo affinché Rossella potesse riflettere. Ma alle sue insistenze Rossella rispose col viso duro e fece orecchie da mercante. Voleva sposarsi e presto. Fra due settimane. Sapendo che il matrimonio di Ashley era stato anticipato dal l'autunno al primo maggio, in modo che egli potesse partire con lo Squadrone, appena fosse chiamato in servizio, Rossella aveva stabilito la data delle proprie nozze per il giorno antecedente a quelle di lui. Elena protestò, ma Carlo perorò con nuova eloquenza, perché era impaziente di partire per la Carolina del Sud, a fine di raggiungere la Legione di Wade Hamton; e Geraldo parteggiava per i giovani. Era eccitato dalla febbre della guerra e compiaciuto che Rossella avesse fatto così buona scelta. Perché ritardare? Elena, stordita, finì coll'acconsentire come tante altre madri in quei giorni. Il loro mondo tranquillo era stato messo sottosopra, e le loro preghiere, i loro consigli, le loro esortazioni s'infrangevano contro le forze nuove che si agitavano. Il Sud era ebbro di entusiasmo, e di eccitazione. Tutti erano convinti che una battaglia basterebbe a terminare la guerra e i giovinotti si affrettavano ad arruolarsi prima che la guerra terminasse; si affrettavano a sposarsi prima di accorrere a battere gli yankees. Vi furono dozzine di matrimoni di guerra nella Contea e rimase ben poco tempo per il dolore della separazione, perché tutti erano troppo occupati ed eccitati per aver dei pensieri solenni o per perdere il tempo a piangere. Le donne preparavano uniformi, facevano calze e arrotolavano bende; gli uomini si esercitavano e sparavano. Treni carichi di truppe attraversavano quotidianamente Jonesboro per recarsi verso il Nord, ad Atlanta e a Virginia. Alcuni distaccamenti furono gaiamente vestiti con lo scarlatto, l'azzurro e il verde delle compagnie di Milizia sociale; alcuni piccoli gruppi ebbero mantelli di grossa lana e di pelle di tasso; altri, senza uniforme, vestivano di panno nero; tutti erano armati a metà, esercitati a metà, pieni di eccitamento e di voglia di gridare come quando si recavano a un picnic. La vista di quegli uomini dava ai ragazzi della Contea il terrore che la guerra potesse terminare prima che essi raggiungessero la Virginia; e preparativi per la partenza dello Squadrone furono accelerati. In mezzo a questo tumulto si fecero anche i preparativi per il matrimonio di Rossella; e quasi prima di rendersene conto, ella fu avvolta nell'abito nuziale e nel velo di Elena, e discese la larga scalinata di Tara al braccio di suo padre, mentre una quantità di invitati l'aspettava. Dopo ricordò, come in un sogno, le centinaia di candele che illuminavano le pareti, il volto di sua madre, affettuoso, un po' sgomento con le labbra che si muovevano in una silenziosa preghiera per la felicità di sua figlia; Geraldo rosso per le abbondanti libagioni di cognac e per l'orgoglio di maritare la sua gattina con un giovine dotato di denaro e di un bel nome... e Ashley, in fondo alla scala, con Melania al braccio. Vedendo l'espressione di quel volto, ella pensò: "Non può esser vero. Non può essere. È un incubo. Mi sveglierò e troverò che era un incubo. Non devo pensarvi adesso, altrimenti mi metto a piangere dinanzi a tutti. Non posso pensare adesso. Vi penserò più tardi, quando potrò sopportarlo... quando non vedrò più i suoi occhi". Era davvero come un sogno, quel passaggio attraverso due ali di gente che sorrideva, il volto scarlatto di Carlo e le sue parole balbettate e le proprie risposte così stranamente chiare e fredde. E poi le congratulazioni e gli abbracci e i baci e i brindisi e il ballo...tutto, tutto come in sogno. Anche la sensazione del bacio di Ashley sulla sua guancia, anche il dolce sussurro di Melania, "Ora siamo veramente sorelle" erano irreali. Perfino l'eccitazione cagionata dalla serie di svenimenti della rotondetta ed emotiva zia di Carlo, Miss Pittypatt Hamilton, sembrava un incubo. Ma quando il ballo e i brindisi finalmente terminarono e sopraggiunse l'aurora, quando tutti gli invitati di Atlanta che fu possibile ospitare a Tara e nella casa del sorvegliante si furono coricati nei letti, sui divani e sulle balle di cotone disposte sul pavimento, e tutti i vicini furono tornati alle loro case per riposarsi in vista del matrimonio del giorno seguente alle Dodici Querce, allora quello stato di catalessi simile a un sogno s'infranse come un cristallo dinanzi alla realtà. La realtà era Carlo che usciva pieno d'emozione dal suo spogliatoio in camicia da notte evitando - lo sguardo sgomento che ella gli rivolgeva dal letto. Certamente ella sapeva che le persone sposate occupano lo stesso letto; ma non aveva mai pensato a questo. La cosa sembrava naturalissima nel caso di suo padre e di sua madre ma non le era mai venuta l'idea di applicarla a se stessa. Ora, per la prima volta, dopo il banchetto, si rese conto di ciò che aveva fatto. Il pensiero che quel giovane estraneo che ella non aveva mai desiderato sposare, dovesse venire nel suo letto, mentre il suo cuore era pieno d'angoscia e di rimpianto per la sua azione troppo frettolosa e di desolazione per avere perduto Ashley per sempre, era insopportabile per lei. Mentre egli esitava ad avvicinarsi, ella mormorò con voce rauca: - Se vi avvicinate griderò forte, griderò, griderò con tutta la mia voce. Andatevene! Non mi toccate!E così Carlo Hamilton trascorse la sua notte di nozze su una poltrona in un angolo, senza sentirsi troppo infelice perché comprendeva, o credeva di comprendere, la verecondia e la delicatezza della sua sposa. Era disposto ad attendere finché i suoi timori svanissero; soltanto...soltanto... sospirò mentre si voltava per cercare una posizione comoda, fra breve bisognava partire per la guerra. Per quanto le proprie nozze avessero avuto per Rossella un carattere di incubo, quelle di Ashley furono anche peggiori. Nel suo abito verde-mela del "secondo giorno", ella stava nel salotto delle Dodici Querce, tra lo splendore di centinaia di candele e stretta nella stessa folla della sera prima; e vide il visino insignificante di Melania Hamilton risplendere fino a sembrar bello nel momento in cui diventò Melania Wilkes. Ora Ashley era perduto per sempre. Il suo Ashley. No, non più il suo Ashley. Ma era mai stato suo? Tutto era confuso nella sua mente, e il suo cervello era stanco e pieno di sgomento. Le aveva detto che le voleva bene, ma che cosa li aveva separati? Se almeno riuscisse a ricordare... Aveva imposto il silenzio ai pettegolezzi della Contea sposando Carlo, ma qual era il risultato? Allora le era sembrato importante, ma ora non lo era affatto. Tutto ciò che importava era Ashley. Ed ora egli era diviso da lei per sempre, ed ella era sposata ad un uomo che non solo non amava, ma per cui aveva un vero disprezzo. Oh, come rimpiangeva tutto! Aveva sentito parlare di gente che si tagliava il naso per far dispetto al proprio volto, ma finora questa non era stata che una figura retorica. Adesso comprendeva ciò che voleva dire; e insieme al desiderio frenetico di liberarsi di Carlo e tornare sana e salva a Tara, ancora signorina, aveva coscienza di dover biasimare solo se stessa. Elena aveva cercato di trattenerla, ed ella non aveva voluto ascoltare. Ballò tutta la sera come abbagliata e parlò meccanicamente e sorrise meravigliandosi della stupidaggine degli altri che la credevano una sposa felice e non vedevano che aveva il cuore spezzato. No, grazie a Dio, non lo vedevano! Quella sera, dopo che Mammy l'ebbe aiutata a svestirsi e se ne fu andata, e Carlo emerse timidamente dallo spogliatoio chiedendosi se doveva passare una seconda notte in poltrona, ella scoppiò in lacrime. Pianse finché Carlo si arrampicò sul letto accanto a lei e cercò di confortarla; pianse senza parole finché non ebbe più lagrime, e rimase a singhiozzare tranquillamente col capo sulla sua spalla. Se non vi fosse stata la guerra, si sarebbe avuta una settimana di visite attraverso la Contea, con balli e conviti in onore delle due coppie di sposi, prima che esse partissero per Saratoga o White Sulphur per il viaggio di nozze. Se non vi fosse stata la guerra, Rossella avrebbe avuto da indossare abiti per il terzo, quarto e quinto giorno, ai ricevimenti dei Fontaine, dei Calvert e dei Tarleton in suo onore. Ma non vi furono né ricevimenti né viaggi di nozze. Una settimana dopo il matrimonio Carlo partì per raggiungere il colonnello Wade Hampton; e quindici giorni dopo anche Ashley e lo Squadrone si misero in moto, lasciando tutta la Contea deserta di giovani. In quelle due settimane Rossella non ebbe mai occasione di vedere Ashley da solo, né di scambiare una parola con lui. Nemmeno nel terribile momento della partenza, quando egli si fermò dinanzi a Tara mentre si recava a prendele il treno, ella poté dirgli una parola. Melania, in cuffia e scialle tranquilla nella nuovamente acquisita dignità di donna, era al suo braccio; e tutto il personale di Tara, bianco e negro, uscì per salutare Ashley che andava in guerra. Melania disse: - Devi baciare Rossella, Ashley. Ora è mia sorella; - e Ashley si chinò e le sfiorò con le labbra fredde il volto rigido e impassibile. Rossella non ebbe alcuna gioia da questo bacio: non era soddisfatta perché era stata Melania a suggerirlo. Melly la soffocò in un abbraccio dicendole: - Verrai ad Atlanta a fare una visita a me e alla zia Pittypatt, no? Cara, desideriamo tanto di averti con noi! Desideriamo conoscere meglio la sposa di Carlo.Trascorsero cinque settimane durante le quali vennero dalla Carolina del Sud lettere di Carlo, timide, estatiche, innamorate, piene del suo amore e dei suoi progetti per il futuro, dopo la guerra; del suo desiderio di essere un eroe per amor suo, e della sua adorazione per il suo comandante Wade Hampton. Nella settima settimana giunse un telegramma del colonnello stesso e poi una lettera, una bella e dignitosa lettera di condoglianza. Carlo era morto. Il colonnello avrebbe voluto telegrafare prima, ma Carlo credendo che la malattia fosse cosa da nulla, non aveva voluto preoccupare la famiglia. Il disgraziato ragazzo non era soltanto stato truffato nell'amore che credeva di aver conquistato, ma anche nelle sue alte speranze di onore e di gloria sul campo di battaglia. Era morto ignominiosamente dopo una breve polmonite, a seguito di una rosolia, senza essersi neanche avvicinato agli yankees. A suo tempo nacque il bambino di Carlo; e siccome si usava dare ai figlioli il nome del comandante del loro genitore, egli fu battezzato Wade Hampton Hamilton. Rossella aveva pianto di disperazione quando aveva saputo di essere incinta e aveva desiderato di morire. Ma portò la sua gravidanza con un minimo di disturbi, mise al mondo il bimbo con poche sofferenze e si ristabilì così rapidamente da far dire a Mammy che questa era una cosa volgare, perché una signora doveva soffrire di più. Provò poco affetto per il bambino, pur cercando di nasconderlo. Non lo aveva desiderato e non era contenta della sua venuta; ed ora che lo aveva, le sembrava impossibile che fosse suo, parte di lei. Benché fisicamente si fosse rimessa molto presto, mentalmente era stordita e sofferente. Il suo spirito era depresso, malgrado gli sforzi di tutta la piantagione per sollevarla. Elena aveva la fronte aggrottata e preoccupata e Geraldo, bestemmiando più del solito, le portava da Jonesboro inutili doni. Perfino il vecchio dottor Fontaine ammise di essere imbarazzato dopo che il suo tonico composto di zolfo e di erbe non le aveva giovato. Disse a Elena in via privata che era il dolore che rendeva Rossella così irritabile e a volta a volta indifferente. Ma Rossella, se avesse avuto voglia di parlare, avrebbe potuto dire che si trattava di un dolore assai diverso e più complesso. Non disse che era la noia, lo sgomento di essere madre e soprattutto l'assenza di Ashley che le dava quell'espressione così addolorata. La sua noia era acuta e continua. La Contea era priva di ogni divertimento e di ogni manifestazione di vita sociale, da quando lo squadrone era andato alla guerra. Tutti i giovanotti interessanti erano partiti: i quattro Tarleton, i due Calvert, i Fontaine, i Munroe e tutti quelli di Jonesboro, Fayetteville e Lovejoy che erano giovani e attraenti. Erano rimasti soltanto i vecchi, gli invalidi e le donne; queste passavano il loro tempo a far la maglia e a cucire, a coltivare con più abbondanza cotone e grano e ad allevare maggior numero di maiali, pecore e mucche per l'esercito. Non si vedeva mai un vero uomo, eccetto quando una volta al mese veniva il commissario dello Squadrone, il maturo corteggiatore di Susele, Franco Kennedy, a rifornirsi di viveri. Gli uomini dei commissariati non erano molto eccitanti, e il timido corteggiamento di Franco la infastidiva fino a renderle difficile l'essere cortese nei suoi riguardi. Se almeno lui e Susele si fossero decisi! Ma se anche il commissario dei viveri fosse stato più interessante, ciò non avrebbe mutato la sua situazione. Ella era vedova, e il suo cuore era nella tomba; per lo meno tutti ne erano convinti e pensavano che ella dovesse agire in conformità. Ciò la irritava perché, per quanto cercasse, non riusciva a rammentare nulla di Carlo se non la sua espressione di vitello moribondo, quando ella gli aveva detto che lo avrebbe sposato. E anche questa immagine andava scomparendo. Ma era vedova e doveva sorvegliare il proprio contegno. I divertimenti delle ragazze non erano più per lei. Doveva ormai essere grave e seria. Elena glie lo aveva fatto capire il giorno che aveva trovato il luogotenente di Franco che gironzolava con Rossella nel giardino e la faceva ridere di cuore. Profondamente colpita, Elena le aveva detto come era facile che si chiacchierasse sul conto di una vedova. La condotta di questa doveva essere assai più circospetta di quella di una donna con marito. "E Dio solo sa" pensò Rossella mentre ascoltava ubbidiente la dolce voce di sua madre "che le donne sposate non si divertono affatto; dunque per le vedove tanto vale morire." Una vedova doveva portare degli orribili vestiti neri senza neanche una guarnizione per ravvivarli, né fiori né nastri né pizzi e neanche gioielli: soltanto spille di onice o collane fatte coi capelli del defunto. E il velo di crespo nero che portava sulla cuffia, doveva arrivarle alle ginocchia e poteva essere accorciato solo dopo tre anni di vedovanza, per giungere all'altezza delle spalle. Le vedove non potevano chiacchierare vivamente né ridere forte. Anche quando sorridevano, il loro doveva essere un sorriso triste e tragico, e questa era poi la cosa più terribile, non potevano in nessun modo mostrare di provar piacere nella compagnia maschile. E se qualche uomo fosse così indelicato da mostrare dell'interessamento, ella doveva ghiacciarlo con un dignitoso riferimento al ricordo del proprio marito. "Oh, sì," pensava Rossella tristemente. "Vi sono delle vedove che si rimaritano, ma quando sono vecchie e raggrinzite. E Dio solo sa come vi riescono, con tutti i vicini che si occupano sempre di loro! E di solito è con qualche vecchio vedovo desolato, il quale deve badare a una grande piantagione e a una dozzina di bambini." Il matrimonio era già una brutta cosa; ma la vedovanza... Oh, allora la vita era finita per sempre! Come erano sciocchi quelli che le dicevano che il piccolo Wade Hampton doveva esserle di gran conforto ora che Carlo non c'era più, e com'erano noiosi dicendole che ora aveva uno scopo nella vita! Tutti affermavano che doveva essere assai dolce per lei avere questo pegno postumo del suo amore; e naturalmente ella non li disingannava. Ma questo pensiero era il più lontano di tutti dalla sua mente. S'interessava pochissimo a Wade e qualche volta stentava perfino a ricordarsi che era suo. La mattina, quando si svegliava, nei primi momenti di dormiveglia era ancora Rossella O'Hara; il sole brillava tra i rami della magnolia dinanzi alla sua finestra, i merli cantavano e il piacevole odore del lardo fritto saliva alle sue narici. Era di nuovo giovane e spensierata. Quindi udiva un vagito affamato, e vi era sempre in lei un attimo di sorpresa durante il quale pensava: "Ma come, c'è un bambino in casa!" E allora si ricordava che era suo. E Ashley! Oh, più di tutto Ashley! Per la prima volta in vita sua ella detestò Tara, detestò la lunga strada rossa che conduceva dalla collina al fiume, detestò i campi purpurei coi verdi germogli del cotone. Ogni palmo di terreno, ogni albero ed ogni ruscello, ogni viale ed ogni sentiero le ricordavano lui. Egli apparteneva ad un'altra donna ed era andato alla guerra, ma il suo spirito vagava ancora sulle strade nel crepuscolo e le sorrideva coi suoi occhi grigi e sonnolenti nell'ombra del porticato. Ogni volta che lo strepito di zoccoli le giungeva dalla strada delle Dodici Querce, per un dolce attimo ella pensava: Ashley! Ora odiava le Dodici Querce, che una volta aveva amato. Le odiava, ma vi era trascinata, per poter udire John Wilkes e le ragazze parlare di lui; udir leggere le sue lettere dalla Virginia. Le facevano male ma voleva udirle. Le erano antipatiche Lydia così rigida e Gioia scioccherella e chiacchierona, e sapeva di essere ugualmente antipatica a loro. Ma non poteva rimanerne lontana. Ed ogni volta che tornava a casa dalle Dodici Querce, si metteva a letto di malumore e rifiutava di alzarsi per andare a cena. Questo rifiuto di mangiare era quello che maggiormente preoccupava Elena e Mammy. Mammy le portava dei vassoi pieni di cibi allettanti, insinuando che adesso che era vedova poteva mangiare quanto voleva; ma Rossella non aveva appetito. Quando il dottor Fontaine disse gravemente a Elena che il dolore spesso può minare un temperamento florido e condurlo alla tomba, la signora O'Hara impallidì, perché questo era il timore che ella nascondeva nel profondo del cuore. - E non si può far nulla, dottore? - Un cambiamento d'aria sarebbe la miglior cosa per lei. - rispose il dottore, ansioso di liberarsi di un'ammalata così restia. E così Rossella, senza entusiasmo, partì col suo bambino, prima per recarsi a visitare i suoi parenti O'Hara e Robillard a Savannah e poi per andare presso le sorelle di Elena a Charleston. A Savannah furono gentili con lei, ma Giacomo e Andrea e le loro mogli erano vecchi e amavano sedere tranquillamente a parlare di un passato che non aveva alcun interesse per Rossella. Lo stesso fu coi Robillard; e Charleston fu addirittura terribile. Zia Paolina e suo marito, un piccolo vecchio pieno di una cortesia formale e volubile e con l'aria assente di una persona che vivesse in un altro secolo, abitavano in una piantagione sul fiume, molto più isolata di Tara. I loro vicini più prossimi abitavano a una distanza di venti miglia che bisognava percorrere attraverso foreste vergini, paludi, boschi di cipressi e di querce. Le querce, con i loro drappeggi di musco grigio, davano sempre i brividi a Rossella, e le ricordavano le storie di Geraldo di spiriti irlandesi erranti fra le nebbie color di cenere. Non vi era nulla da fare tutto il giorno se non lavorare a maglia; e la sera ascoltare lo zio Carey che leggeva ad alta voce le opere istruttive di Bulwer Lytton. Eulalia, nascosta in un giardino dalle alte mura in una grande casa presso la Batteria di Charleston, non era più divertente. Rossella, abituata all'ampio paesaggio di colline rossastre, ebbe l'impressione di essere in prigione. Vi era qui più vita sociale che presso zia Paolina; ma Rossella non provava alcuna simpatia per i visitatori, con le loro tradizioni, le loro arie, le loro enfasi a proposito della famiglia. Sapeva che tutti la ritenevano il prodotto di una "mésalliance" e che erano ancora stupefatti che una Robillard avesse sposato un volgare irlandese. Rossella sentiva che la zia Eulalia la scusava dietro le spalle; cosa che la irritava perché, come suo padre, ella non teneva affatto all'aristocrazia della famiglia. Ed era fiera di ciò che Geraldo era riuscito a fare senz'altro aiuto se non il suo astuto cervello d'irlandese. E anche quelli di Charleston se la prendevano tanto per il Forte Sumter! Dio mio, ma non capivano che se non fossero stati loro a commettere la sciocchezza di sparare le prime fucilate che avevano portato alla guerra, vi sarebbero stati altri pazzi che lo avrebbero fatto? Abituata alle voci acute della Georgia dell'altipiano, le voci gravi e strascicate della pianura le davano noia. In certi momenti aveva voglia di urlare. Durante una visita di cerimonia giunse a un tal punto di esasperazione che ricorse al dialetto di Geraldo, con gran scandalo di sua zia. Allora decise di ritornare a Tara. Meglio essere tormentata dal ricordo di Ashley che dall'accento di Charleston. Elena, occupata giorno e notte a raddoppiare il prodotto della piantagione per aiutare la Confederazione, fu terrorizzata quando si vide tornare a casa la figlia maggiore, magra, pallida e inasprita. Aveva avuto ella pure il cuore spezzato; quindi, coricata accanto a Geraldo che russava, passava la notte a cercare che cosa potrebbe fare per alleviare il dolore di Rossella. La zia di Carlo, Pittypatt Hamilton, aveva scritto parecchie volte chiedendole di permettere a Rossella di recarsi ad Atlanta per un lungo soggiorno; ed ora, per la prima volta, Elena considerò con serietà la proposta. "Sono sola con Melania nella vasta casa ” scriveva Miss Pittypatt “senza protezione maschile ora che il caro Carlo è morto. È vero che c'è mio fratello Enrico, ma non abita con noi. Forse Rossella vi ha parlato di Enrico. La delicatezza mi vieta di scrivere lungamente sul suo conto. Melly ed io ci sentiremo più tranquille e sicure con Rossella in casa. Tre donne sole stanno meglio di due. E forse Rossella troverà un po' di sollievo al suo dolore, curando, come fa Melly, i nostri bravi soldati negli ospedali di qui...E poi, Melly ed io desideriamo tanto di vedere il caro piccino..." Così il baule di Rossella fu chiuso di nuovo con dentro i suoi abiti da lutto, ed ella partì per Atlanta con Wade Hampton, la sua bambinaia Prissy, una quantità di avvertimenti sul suo contegno da parte di Elena e di Mammy e cento dollari in biglietti della Confederazione datile da Geraldo. Non desiderava particolarmente di andare ad Atlanta. Riteneva zia Pittypatt la più noiosa vecchia che dar si potesse; e l'idea di vivere sotto lo stesso tetto con la moglie di Ashley le ripugnava. Ma la Contea, con tutti i suoi ricordi, era un soggiorno impossibile; e qualsiasi mutamento era il benvenuto. PARTE SECONDA 8 Nel treno che la conduceva verso il nord, in quella mattina di maggio del 1862, Rossella pensava che era impossibile che Atlanta fosse così noiosa come erano state Charleston e Savannah; e malgrado la sua antipatia per miss Pittypat e per Melania, aveva una certa curiosità di vedere com'era mutata la città dopo la sua ultima visita, nell'inverno antecedente alla guerra. Atlanta l'aveva sempre interessata più di qualsiasi altro luogo, perché quando era bambina Geraldo le aveva detto che lei e Atlanta avevano precisamente la stessa età. Crescendo, Rossella venne a scoprire che Geraldo aveva un po' alterato la verità, com'era sua abitudine quando una leggera modifica poteva migliorare una storia; ma Atlanta aveva solo nove anni più di lei e questo ne faceva una città straordinariamente giovane in confronto di tutte le altre città che le era capitato di vedere. Savannah e Charleston avevano la dignità dei loro anni; per l'una correva già il secondo secolo, l'altra entrava nel terzo; e ai suoi giovani occhi davano l'idea di vecchie nonne che si sventolassero placidamente al sole. Ma Atlanta era della sua stessa generazione, immatura dell'immaturità della giovinezza, ostinata e impetuosa come lei. La storia che le aveva raccontato Geraldo era fondata sul fatto che lei e Atlanta erano state battezzate nello stesso anno. Nove anni prima della nascita di Rossella, la città era stata chiamata dapprima Terminus, e poi Marthasville; solo nell'anno in cui nacque Rossella era diventata Atlanta. Quando Geraldo era andato a stabilirsi nella Georgia settentrionale, Atlanta non esisteva, neppure sotto forma di villaggio; il luogo era selvaggio e deserto. Ma nell'anno seguente, il 1836, lo Stato autorizzò la costruzione di una ferrovia che andava verso il nord, attraverso il territorio recentemente ceduto dagl'Indiani Irochesi. La destinazione della ferrovia, Tennessee e l'Occidente, era chiara e definita; ma il suo punto di partenza in Georgia era alquanto incerto; finché, dopo un anno, un ingegnere piantò un palo nell'argilla rossa per indicare il termine meridionale della linea; e Atlanta, nata Terminus, cominciò ad esistere. Allora non vi erano ferrovie nella Georgia settentrionale e ve n'erano ben poche anche altrove. Ma, durante gli anni antecedenti al matrimonio di Geraldo con Elena, la piccola colonia a venticinque miglia a nord di Tara divenne lentamente un villaggio che a poco a poco si spinse verso il nord. La costruzione della ferrovia era veramente cominciata. Dalla vecchia città di Augusta una seconda strada ferrata attraversò lo Stato verso Occidente, per congiungersi con quella nuova del Tennessee. Dalla vecchia città di Savannah una terza ferrovia fu costruita prima sino a Macon, nel cuore della Georgia e poi a nord, attraverso la contea ove dimorava Geraldo, fino ad Atlanta, per congiungersi con le altre due, dando così al porto di Savannah uno sbocco verso l'occidente. Dallo stesso punto di congiunzione, la giovine Atlanta, fu costruita una quarta ferrovia che volgeva verso sud-est, a Montgomery e Mobile. Nata da una strada ferrata, Atlanta si sviluppò con lo svilupparsi di quella. Il complesso delle quattro linee collegava con l'occidente, col mezzogiorno, con la Costa e, attraverso Augusta, col settentrione e con l'Est. Essa era diventata il punto d'incrocio per i viaggi da nord a sud e da est a ovest; così il piccolo villaggio sorse alla vita. In un lasso di tempo poco maggiore dei diciassette anni di Rossella, Atlanta era diventata una piccola città di diecimila abitanti ed era il centro dell'attenzione di tutto lo Stato. Le vecchie città, più tranquille, guardavano verso la giovine città tumultuosa con la sensazione di una gallina che ha covato un anatroccolo. Perché era così diversa dalle altre città della Georgia? Perché si sviluppava così presto? Dopo tutto, pensavano, non aveva nulla di speciale: soltanto le sue ferrovie e un pugno di gente che si faceva avanti a forza di gomiti. I fondatori della città, che la chiamarono successivamente Terminus, Marthasville e Atlanta erano veramente gente piena di volontà. Uomini irrequieti, energici, delle vecchie regioni della Georgia e di altri Stati più lontani, erano attratti da questa città che si estendeva attorno al nodo ferroviario. Vi si recavano con entusiasmo. Essi costruirono i loro negozi attorno alle cinque strade rossicce e fangose che si incrociavano presso il deposito, costruirono le loro belle case in via Washington e a Whitehall, e lungo il margine del terreno che innumerevoli generazioni di Indiani calzati di mocassini avevano calpestato, formando un sentiero che si chiamava "Il sentiero dell'albero di pesco". Erano orgogliosi del luogo, orgogliosi del suo sviluppo, orgogliosi di se stessi. Dicessero pure le vecchie città quello che volevano di Atlanta. Atlanta non se ne curava. Rossella aveva sempre amato Atlanta per le stesse ragioni per cui Savannah, Augusta e Macon la condannavano. Come lei, la città era un misto di vecchio e di nuovo, in cui il vecchio veniva frequentemente a conflitto col nuovo vigoroso e volitivo, e ne aveva la peggio. Inoltre vi era qualche cosa di personale, di eccitante in una città che era nata, o perlomeno era stata battezzata, lo stesso anno in cui lei era venuta al mondo. La notte precedente era stata piovosa; ma quando Rossella giunse ad Atlanta un sole caldo stava coraggiosamente tentando di asciugare le strade che erano trasformate in torrenti di fango rosso. Nello spazio aperto attorno al deposito, il suolo morbido era stato solcato e calpestato dal continuo affluire del traffico, fino a rassomigliare a un enorme porcile; a quando a quando i veicoli affondavano nel brago fino al mozzo. Una teoria incessante di carriaggi militari e di ambulanze caricavano e scaricavano dai treni rifornimenti e feriti aumentando il fango e la confusione quando arrivavano e ripartivano, coi conducenti che bestemmiavano, muli che si sospingevano e il fango che schizzava a metri e metri di distanza. Rossella era sul predellino del treno; una graziosa figura pallidissima negli abiti da lutto, col velo di crespo che giungeva quasi fino a terra. Era esitante perché non voleva infangarsi le scarpette e le gonne, e frattanto guardava nella ressa di carri, carrozze e carrozzini, se scorgeva Miss Pittypat. Non vi era traccia della rotondetta e colorita signora; ma mentre Rossella guardava ansiosamente, un vecchio negro, magro, coi cernecchi brizzolati e un aspetto di autorità dignitosa, si avanzò verso di lei nel fango, col cappello in mano. - Miss Rossella, vero? Io essere Pietro, cocchiere di Miss Pitty. Tu non scendere in questo fango ordinò severamente, mentre Rossella si raccoglieva le gonne preparandosi a saltar giù. - Tu delicata come Miss Pitty, che prendere raffreddore se bagnare piedi. Io ti portare.Malgrado la sua apparente magrezza e vecchiaia, egli prese in braccio Rossella con la massima facilità e osservando Prissy che era sulla piattaforma del treno col bimbo in braccio, si fermò:- Essere bambino che tu allevare? Tu, Miss Rossella, troppo giovine per allevare unico bambino di Mister Carlo. Ma questo penseremo dopo. Tu, bambina, venire dietro a me e attenta non fare cadere piccolo.Rossella si rassegnò senza proteste a farsi trasportare verso la carrozza, ed anche alla maniera perentoria con la quale zio Pietro trattava lei e Prissy. Nell'attraversare il fango con Prissy che s'inzaccherava imbronciata dietro a loro, si ricordò ciò che Carlo le aveva narrato sul conto dello zio Pietro. - Ha fatto tutta la campagna messicana col babbo, curandolo quando fu ferito; in fin dei conti fu lui che gli salvò la vita. Praticamente si può dire che ha educato Melania e me, perché eravamo molto piccoli quando morirono il babbo e la mamma. La zia Pitty aveva avuto in quell'epoca una questione con suo fratello, lo zio Enrico; perciò venne a vivere con noi, anche per badare alla nostra educazione. Ma è la donna più inesperta del mondo; è rimasta una cara bambina. E zio Pietro la tratta per l'appunto come se fosse tale. Non sarebbe capace di andare avanti, se Pietro non si occupasse di tutto. Fu lui che decise che io dovessi avere all'età di quattordici anni un assegno per le mie spese; ed insistette perché io andassi all'Università di Harward quando lo zio Enrico manifestò il desiderio che io prendessi la laurea colà. E decise quando fu il tempo che Melly si tirasse su i capelli e cominciasse a frequentare i divertimenti. È lui che dice a zia Pitty quando il tempo è troppo freddo o troppo umido perché non vada a fare delle visite, e quando deve mettere lo scialle... E' il più delizioso vecchio negro che io abbia mai visto ed è anche il più devoto. L'unico male è che sa di essere lui il padrone di tutti e tre noi altri: corpo e anima.Le parole di Carlo furono confermate quando Pietro si arrampicò a cassetta e prese la frusta. - Miss Pitty essere tutta turbata perché non essere venuta a riceverti. Avere paura che tu non capire, ma io avere detto che lei e Miss Melly infangarsi tutte e rovinare abiti nuovi e io spiegare a te. Miss Rossella, meglio tu prendere bambino. Quella piccola negra lasciarlo cadere.Rossella guardò Prissy e sospirò. La negretta non era la migliore delle bambinaie. La sua recente promozione dai vestitini corti e dalle treccine girate intorno al capo, alla dignità di un lungo abito di percalle e di un turbante bianco inamidato, era stata una vera ubriacatura per lei. Non sarebbe arrivata a questa sommità così presto se non vi fosse stata la guerra e le richieste del commissario di Tara che rendevano impossibile a Elena di risparmiare il lavoro di Mammy e di Dilcey o anche di Rosa o di Tina. Prissy non si era mai allontanata di più di un miglio dalle Dodici Querce o da Tara, e il viaggio in treno, aggiunto alla sua elevazione a bambinaia, fu più di quanto potesse sopportare il cervello che era racchiuso nel suo piccolo cranio nero. Il viaggio di venti miglia da Jonesboro ad Atlanta l'aveva talmente eccitata che Rossella era stata costretta a tenere il bambino per tutto il tempo. Ora, la vista di tanta gente e di tanti edifici, completò lo scombussolamento di Prissy. Ella si girava da una parte e dall'altra, saltava, balzava, indicava ciò che vedeva agitando il bambino che gemeva lamentosamente. Rossella pensò con nostalgia alle vecchie braccia grasse di Mammy. Bastava che Mammy posasse le mani su un bambino, che questo smetteva di piangere. Ma Mammy era a Tara e Rossella non poteva far nulla. Era inutile prendere Wade dalle braccia di Prissy: piangeva altrettanto, quando lo teneva lei. Per di più avrebbe tirato i nastri della sua cuffia e le avrebbe spiegazzato il vestito. Così finse di non aver udito le parole di Pietro. "Forse col tempo imparerò a trattare i bambini" pensò irritata mentre la carrozza sobbalzava e traballava nel fango davanti alla stazione . "Ma non riuscirò mai a divertirmi con loro." E poiché il volto di Wade era diventato pavonazzo a forza di urlare, ordinò sgarbata: - Dagli quel pezzetto di zucchero che hai in tasca Prissy. Qualche cosa per farlo tacere. So che ha fame, ma in questo momento non posso far niente.Prissy tirò fuori il pezzetto di zucchero che Mammy le aveva dato alla mattina e le grida del bimbo cessarono. Con la calma sopravvenuta e con la nuova vista, che si offriva ai suoi occhi, lo spirito di Rossella cominciò a risollevarsi. Finalmente, quando Zio Pietro riuscì a trarre la carrozza dalle buche limacciose e si avviò per la Via dell'Albero di Pesco, ella provò per la prima volta, da parecchi mesi, un certo interesse. Come era cresciuta la città! Era passato poco più di un anno da quando vi era stata per l'ultima volta, e non sembrava possibile che quella piccola Atlanta fosse così mutata. L'anno precedente ella era così preoccupata dei propri pensieri, così infastidita da qualsiasi menzione di guerra, che non si era accorta come dall'inizio di quella, Atlanta si fosse trasformata. Le stesse ferrovie che avevano fatto della città il punto d'incrocio commerciale in tempo di pace, erano di vitale importanza strategica in tempo di guerra. Lontana dalla linea di battaglia, la città e le sue ferrovie provvedevano al collegamento fra i due eserciti della Confederazione, quello della Virginia e quello del Tennessee e dell'Occidente. E nello stesso modo Atlanta riforniva gli eserciti di tutto ciò che occorreva loro e che proveniva dal Sud. A causa delle necessità della guerra, Atlanta era anche diventata un centro industriale, una base ospedaliera e uno dei principali depositi meridionali per le derrate e per le forniture degli eserciti in campo. Rossella si guardò attorno cercando la piccola città che ricordava così bene. Era scomparsa. Quella che vedeva adesso era come un bimbo che nottetempo fosse cresciuto fino a diventare un gigante indaffarato. Atlanta ronzava come un alveare, conscia della sua importanza nella Confederazione; e il lavoro era continuo per trasformare una regione agricola in industriale. Prima della guerra vi erano poche fabbriche di cotone, filande di lana, arsenali e negozi di macchine a sud di Maryland; fatto di cui i meridionali erano molto orgogliosi. Il Sud produceva uomini di Stato e soldati, piantatori e dottori, legali e poeti, ma non ingegneri o meccanici. Queste professioni volgari erano adatte per gli yankees. Ma ora che i porti della Confederazione erano bloccati dalle navi da guerra yankees e che ben poche merci giungevano, eludendo il blocco, dall'Europa, il Sud tentava disperatamente di adoperare il proprio materiale da guerra. Il Nord poteva rivolgersi a tutto il mondo per approvvigionamenti e per soldati; migliaia di irlandesi e di tedeschi si arruolavano nell'esercito dell'Unione attratti dal miraggio di laute paghe. Il Sud non poteva contare che su se stesso. In Atlanta vi erano delle fabbriche di macchine che faticosamente trasformavano i loro impianti per produrre materiale da guerra; faticosamente perché vi erano ben poche macchine nel Sud da potere utilizzare, e quasi ogni ruota e ogni dente dovevano essere fabbricati su disegni che venivano dall'Inghilterra. Vi erano molti stranieri ora, nelle strade di Atlanta. E i cittadini che un anno prima avrebbero drizzato le orecchie al minimo accento anche soltanto occidentale, ora non badavano affatto a tutte le lingue parlate da europei che avevano attraversato il blocco per venire a fabbricare macchine e munizioni. Uomini abili, senza i quali la Confederazione non avrebbe avuto la possibilità di fabbricare pistole e fucili, cannoni e polvere. Si sentiva quasi il palpito del cuore della città, mentre il lavoro continuava giorno e notte, per inviare a mezzo delle ferrovie il materiale da guerra ai due fronti di battaglia. I treni arrivavano e partivano a tutte le ore. Di notte le fornaci ardevano e i martelli battevano ancora per molto tempo dopo che la popolazione era andata a dormire. Dove l'anno prima erano terreni da costruzione, ora erano sorte fabbriche di finimenti e di scarpe, di fucili e di cannoni; fonderie che producevano binari ferroviari e carriaggi per sostituire quelli distrutti dagli yankees; e una varietà d'industrie minori per la fabbricazione di speroni, redini, fibbie, bottoni, tende, sciabole e pistole. Le fonderie cominciavano già a sentire la mancanza del ferro, perché attraverso il blocco ne giungeva poco o punto, e le miniere di Alabama erano quasi inoperose, dato che i minatori erano al fronte. Non si trovavano più ad Atlanta pali di ferro a sostegno delle siepi, né cancelli di ferro né verande montate in ferro e neanche statuette metalliche, perché tutto ciò aveva già preso la via delle fonderie. Lungo la Via dell'Albero di Pesco e nelle strade adiacenti stavano i quartieri generali dei vari dipartimenti dell'esercito, ciascuno dei quali affollato di uomini in uniforme: il commissariato, il corpo di segnalazioni, i servizi postali, i trasporti ferroviari, il servizio di approvvigionamenti. Al di là dei sobborghi erano depositi di rimonta ove cavalli e muli venivano radunati in vasti recinti, e nelle strade laterali sorgevano gli ospedali. Da quanto le disse Zio Pietro, Rossella concluse che Atlanta doveva esser la città dei feriti, perché ospedali generali, ospedali per contagiosi e convalescenziari erano innumerevoli. E ogni giorno i treni che giungevano dai Cinque Punti scaricavano nuovi ammalati e nuovi feriti. La piccola città era scomparsa; e la nuova era animata da un movimento e da un brusio incessante. La vista di tanta gente frettolosa diede quasi il capogiro a Rossella che veniva dalla tranquillità rurale; ma ciò le piacque. Quell'atmosfera eccitante la sollevava. Era come se sentisse il ritmo accelerato del cuore della città battere insieme al suo. Mentre avanzavano lentamente nella fangaia che era la strada principale della città, ella osservò con interesse le nuove costruzioni e i nuovi volti. I marciapiedi erano affollati di uomini in uniforme che portavano le insegne di tutti i gradi e di tutti i rami del servizio; nella stretta carreggiata si pigiavano i veicoli: carriaggi, calessini, ambulanze, furgoni militari guidati da conducenti borghesi, che bestemmiavano, mentre i muli si dibattevano per togliersi dalla mota in cui sprofondavano; corrieri impillaccherati che correvano da un quartier generale all'altro portando ordini e dispacci; convalescenti che zoppicavano appoggiati alle stampelle e avevano generalmente una caritatevole signora per parte. Trombe e tamburi e comandi militari echeggiavano dai campi di esercitazioni dove le reclute venivano trasformate in soldati; e col cuore in gola, Rossella vide per la prima volta le uniformi yankees, quando Zio Pietro le indicò, con l'estremità della frusta, un distaccamento di uomini che indossavano logori abiti turchini e che erano avviati al deposito, come un gregge di pecore, da una compagnia di confederati con la baionetta inastata, per esser poi portati in un campo di prigionieri. "Oh" pensò Rossella con un sentimento di vera gioia, il primo che avesse provato dopo il giorno del famoso convito alle Dodici Querce "come mi piacerà stare qui! Tutto è così vivace ed eccitante!" La città era anche più animata di quanto ella credesse, perché vi erano dozzine di nuovi locali di mescita; le prostitute, che seguono sempre gli eserciti, brulicavano nelle strade, e i lupanari si moltiplicavano con grande costernazione delle persone timorate di Dio. Alberghi, pensioni, case private erano piene di ospiti venuti per essere accanto ai parenti feriti che si trovavano nei grandi ospedali di Atlanta. Ogni settimana vi erano balli, ricevimenti e vendite di beneficenza e innumerevoli matrimoni di guerra, con gli sposi in congedo vestiti di grigio chiaro con gli alamari d'oro e le spose in fronzoli, tra file di sciabole sguainate, e brindisi fatti con champagne portato malgrado il blocco e addii lacrimosi. Di notte le strade buie risuonavano di musiche che venivano dai salotti, dove voci di soprano si univano a quelle dei soldati ospiti nella piacevole melanconia di "Le trombe suonan la tregua" e "La vostra lettera giunse, ma troppo tardi"; ballate lamentose che traevano le lagrime dagli occhi facili alla commozione di chi non aveva mai versato lagrime di vero dolore. Progredendo lungo la strada, nella fanghiglia molle, Rossella rivolse a Pietro un'infinità di domande a cui il negro rispose, indicando qua e là con la frusta, fiero di mostrare le proprie cognizioni. - Quello essere arsenale. Sì, miss; fare cannoni e altre armi. No, quelli non essere botteghe; essere uffici blocchi. Miss Rossella, tu non sapere cosa essere uffici di blocco? Essere uffici dove forestieri comprare nostro cotone confederato e mandare a caricare a Charleston e Wilmington e mandare a noi bolvere per fucili. No, miss, io non sabere che specie di forestieri essere. Miss Pitty dice che essere inglesi, ma nessuno capire una barola quando barlano. Sì, signora; essere fumo terribile e rovinare tutte tendine di seta di miss Pitty. Essere fonderie e laminatoi. E che rumore fare la notte! Nessuno boter dormire. No, signora, non botermi fermare per farti guardare; aver bromesso a miss Pitty di bortare te subito a casa... Miss Rossella, fare un inchino. Ecco miss Merriwether e miss Elsing che salutare.Rossella ricordava vagamente due signore che si chiamavano così, venute da Atlanta a Tara per il suo matrimonio e ricordava che erano le migliori amiche di miss Pittypat. Perciò si volse rapidamente dalla parte indicata da Pietro e si inchinò. Le due signore erano sedute in una carrozza dinanzi a un negozio di stoffe. Il proprietario e due commessi erano sulla soglia con le braccia piene di pezze di tessuto di cotone che stavano spiegando. La signora Merriwether era una donna alta e corpulenta, talmente stretta nel busto che il seno sporgeva in avanti come la prua di una nave. I suoi capelli grigi erano fatti più abbondanti da una frangia di riccioli finti che erano fieramente bruni, disdegnando di adattarsi al resto della capigliatura. Aveva un viso rotondo e molto colorito in cui si fondevano una naturale scaltrezza e l'abitudine di comandare. La signora Elsing era più giovane; una donnina sottile e fragile, che era stata una meraviglia e che conservava ancora ii ricordo della freschezza svanita e un'aria elegante e imperiosa. Quelle due signore, insieme a una terza, la signora Whiting, erano le colonne di Atlanta. Dirigevano in tutto e per tutto le tre chiese a cui appartenevano; il clero, i cori e i parrocchiani. Organizzavano vendite e presiedevano comitati di lavoro, balli e pic-nic; sapevano chi faceva un buon matrimonio e chi no, chi beveva segretamente, chi aspettava un bambino e per quando. Erano delle vere autorità in fatto di genealogie di qualunque famiglia della Georgia, della Carolina del Sud e della Virginia; e non si tormentavano il cervello per gli altri Stati perché erano convinte che chiunque avesse importanza negli altri Stati doveva esservi giunto da uno di quel tre. Sapevano come ci si doveva e come non ci si doveva comportare quando si era persone bennate, e non mancavano mai di dire schiettamente il loro modo di pensare: la signora Merriwether con una voce stridula. la signora Elsing con un accento strascicato e la signora Whiting in un mormorio desolato che mostrava come le dispiaceva parlare di certe cose. Queste tre signore si detestavano reciprocamente e non avevano fiducia una nell'altra come i primi Triumviri a Roma; e la loro stretta alleanza si doveva probabilmente a quelle stesse ragioni. - Ho detto a Pitty che desidero avervi nel mio ospedale - gridò la signora Merriwether sorridendo. Perciò non promettete nulla alla signora Meade o alla signora Whiting! - Me ne guarderò bene - rispose Rossella, ignorando completamente ciò che desiderava quella vecchia signora, ma provando una sensazione di calore nel vedersi bene accolta e nel sapersi desiderata. - Spero di vedervi presto.La carrozza continuò la sua strada e si fermò un momento per permettere a due signore che portavano appeso al braccio un cestino pieno di bende, di attraversare la strada melmosa posando il piede su alcune pietre che emergevano. Nello stesso istante l'occhio di Rossella fu colpito da una figura che era sul marciapiede, vestita di un abito sgargiante, troppo sgargiante per la strada, e di uno scialle con lunghe frange che le giungevano ai piedi. Voltandosi vide una donna alta e bella, con una massa di capelli rossi: troppo rossi per esser veri. Era la prima volta che vedeva una donna di cui poteva esser certa che. "aveva fatto qualche cosa ai suoi capelli" e la osservò, affascinata. - Zio Pietro, chi è quella donna? - bisbigliò. - Non sabere.- Sì che lo sai. Ne sono certa. Chi è? - Si chiama Bella Watling - e il labbro inferiore di Pietro cominciò a sporgersi. Rossella afferrò subito che il negro non aveva fatto precedere il nome dall'appellativo di "signora" o "signorina". - E chi è? - Miss Rossella - rispose il vecchio gravemente accarezzando il fianco del cavallo con la sua frusta Miss Pitty non permettere che voi domandare cose che non vi riguardano. In questo periodo esservi in città grosso mucchio di persone che non contare e che essere inutile parlare di loro."Dio mio!" pensò Rossella rinchiudendosi nel silenzio. "Dev'essere una donna cattiva!" Non aveva mai visto una donna di malaffare e si voltò a riguardarla finché quella si perse nella folla. Le botteghe e le nuove costruzioni erano ora più rade, con spazi di terreno fra l'una e l'altra. Finalmente il quartiere degli affari terminò; ora erano tutte case di abitazione. Rossella le riconobbe come vecchie amiche: quella dei Leyden, dignitosa e superba; quella dei Bonnell, con le colonnine bianche e le persiane verdi; la casa georgiana di mattoni rossi della famiglia McLure, dietro alle sue basse siepi di bosso. Ora progredivano più lentamente, perché dai porticati e dai giardini le signore la chiamavano. Ne conosceva alcune superficialmente; altre le ricordava vagamente; ma la maggior parte le era sconosciuta. Pittypat aveva certamente propagato la notizia del suo arrivo. Ogni tanto bisognava sollevare il piccolo Wade perché le signore che si avventuravano ad avvicinarsi alla carrozza attraversando il pezzetto di marciapiede potessero ammirarlo. Tutte le gridavano che doveva far parte del loro circolo di lavoro, cucito o maglia, e del loro ospedale e di nessun altro; ed ella promise instancabilmente a destra e a sinistra. Mentre passavano dinanzi a una villetta di legno coperta di rampicanti verdi, una bimbetta negra che era appostata sui gradini d'accesso gridò: - Eccola, eccola! - e subito uscirono il dottor Meade con sua moglie e il figlio tredicenne Filli, salutandola a gran voce. Rossella ricordò che anche loro erano venuti al suo matrimonio. La signora si avanzò sul pezzo di marciapiedi dinanzi alla casa e allungò il collo per vedere il bimbo, ma il dottore, senza preoccuparsi del fango, lo attraversò per avvicinarsi alla carrozza. Era alto e robusto, con una barbetta caprina color grigio-ferro; gli abiti ciondolavano sulla sua persona magra come se fossero sospesi a un attaccapanni. Atlanta lo considerava come la sorgente di ogni forza e di ogni saggezza e non era da stupire che egli avesse assorbito qualche cosa di questa loro fede. Ma a parte la sua abitudine di pronunciare delle affermazioni come se fossero oracoli e il suo modo di fare lievemente pomposo, era il più brav'uomo del mondo. Dopo avere stretto la mano a Rossella e aver solleticato Wade sotto il mento, il dottore annunciò che la zia Pittypat aveva promesso e giurato che sua nipote non andrebbe in altro comitato ospedaliero e di preparazione delle bende se non in quello della signora Meade. - Dio mio, ma ho già promesso a un migliaio di signore.- esclamò la giovine. - Alla signora Merriwether, scommetto! - esclamò la signora Meade indignata. - Al diavolo quella donna! Sono sicura che va incontro a tutti i treni! - Ho promesso perché non sapevo di che cosa si trattava.- confessò Rossella. - Prima di tutto, che cosa sono questi comitati ospedalieri?- Il dottore e la moglie scossero il capo, un po' scandalizzati della sua ignoranza. - Già, naturalmente siete stata seppellita in campagna e quindi non potete sapere - la scusò la signora Meade. - Abbiamo dei comitati per i diversi ospedali e in giorni diversi. Curiamo gli uomini e aiutiamo i dottori e facciamo bende e vestiti; e quando gli uomini sono in condizione di poter lasciare l'ospedale li accogliamo nelle nostre case per la convalescenza, finché sono in grado di tornare al reggimento. E ci occupiamo delle famiglie dei feriti poveri o peggio. Il dottor Meade è all'ospedale dell'Istituto dove opera il mio comitato; tutti dicono che è straordinario e...- Lascia andare, Mrs Meade - la interruppe affettuosamente il dottore. - Non vantarti di me con la gente. Faccio quel poco che posso, dal momento che non hai voluto lasciarmi andare con l'esercito.- Non ho voluto! - esclamò la moglie indignata. - Io? E' stata la città che non ha voluto, e lo sai benissimo. Figuratevi, Rossella, che quando si è saputo che voleva andare in Virginia come medico militare, le signore hanno firmato una petizione pregandolo di restare. La città non può fare a meno di lui.- Via, via, Mrs Meade - si schermì il dottore crogiolandosi evidentemente in quegli elogi. - Del resto, avere un figliolo al fronte può bastare, in questi tempi.- E io andrò l'anno venturo! - esclamò il piccolo Filippo saltando eccitato. - Come tamburino. Sto imparando intanto a suonare il tamburo. Volete sentire? Vado a prenderlo.- No, adesso no - ordinò la signora Meade stringendolo a sé, con una subitanea espressione di spavento. - Non l'anno venturo, tesoro. Forse fra due anni.- Ma allora la guerra sarà finita! - esclamò il ragazzo con petulanza, sottraendosi. - E me lo hai promesso! Gli occhi dei genitori si incontrarono al disopra del suo capo e Rossella vide lo sguardo. Darcy Meade era in Virginia; ed essi si attaccavano maggiormente al figliuolo che era rimasto. Zio Pietro tossicchiò. - Miss Pitty essere molto in bensiero quando io andare alla stazione e se non andare presto avrà svenimenti.- Arrivederci. Oggi nel pomeriggio sono libera - disse ancora la signora. - E dite a Pitty da parte mia che se voi non venite nel mio comitato, peggio per lei. La carrozza si avviò nuovamente per la strada fangosa e Rossella si appoggiò ai cuscini dello schienale sorridendo. Si sentiva bene come non si era più sentita da molti mesi. Atlanta, con la sua folla, la sua animazione e la sua corrente di eccitazione, era molto piacevole, molto esilarante, molto più graziosa della solitaria piantagione presso Charleston, dove il muggito degli alligatori rompeva solo il silenzio notturno; meglio della stessa Charleston, sognante nei suoi giardini difesi da alte mura; meglio di Savannah con le sue larghe strade bordate di palme nane e il fiume lutulento che le scorreva accanto. Sì; e provvisoriamente anche meglio di Tara, per quanto Tara fosse un luogo tanto caro. Vi era qualche cosa di eccitante in quella città con le sue strade strette e fangose; qualche cosa di rozzo e di immaturo che ricordava la rudezza e l'immaturità che era sotto la fine vernice data a lei da Elena e da Mammy. E a un tratto sentì che questo era il luogo fatto per lei, non le vecchie città serene e tranquille, cui il fiume pigro e giallo non dava vitalità alcuna. Le abitazioni erano adesso sempre più rade; sporgendosi in fuori Rossella vide finalmente i mattoni rossi e il tetto piatto della villetta di miss Pittypat. Era quasi l'ultima casa al nord della città. Dopo di essa, la Via dell'Albero di Pesco andava stringendosi e girava tortuosamente sotto alti alberi che la nascondevano alla vista, perdendosi poi nei folti boschi silenziosi. La barriera di legno era stata recentemente ridipinta in bianco e il giardinetto dinanzi alla casa che essa chiudeva era macchiato di giallo dalle ultime giunchiglie della stagione. Sulla gradinata erano due donne vestite di nero e dietro a loro una grossa donna gialla con le mani sotto il grembiule e la bocca aperta a un largo sorriso.. La rotondetta miss Pittypat saltellava agitata sui piedi piccolini, con una mano sul petto abbondante a frenare il cuore che le batteva forte. Rossella vide Melania che le stava accanto e, con un senso di antipatia si rese conto che essersi rifugiata nel balsamo di Atlanta significava vedere questa personcina vestita a lutto, coi suoi ribelli riccioli neri tirati e lisciati con dignità di donna sposata, che le rivolgeva un gentile sorriso di gioia e di benvenuto sul visino triangolare. Quando un abitante del Sud si prendeva la pena di riempire un baule e affrontare un viaggio di venti miglia per andare a fare una visita, questa non durava mai meno di un mese; a volte anche di più. I meridionali erano visitatori entusiasti, così come ospiti generosi; e non era insolito il fatto di parenti venuti a passar le feste di Natale che rimanessero sino a luglio. Spesso, quando le coppie di sposi facevano il loro giro di visite per la luna di miele, finivano col fermarsi in questa o quella casa di loro gradimento fino alla nascita del secondo bambino. Sovente vecchie zie o zii che venivano al pranzo domenicale erano sepolti nel cimitero del luogo qualche anno dopo. I visitatori non rappresentavano un problema, perché le case erano grandi, la servitù numerosa, e dar da mangiare a qualche bocca di più non aveva importanza, dove si doveva nutrire tante persone. Gente di ogni età e di ogni sesso si recava in visita; sposi in viaggio di nozze, giovani madri col bimbo al seno, convalescenti, persone che avevano perduto qualche parente prossimo, ragazze che i genitori volevano allontanare dal pericolo di un matrimonio poco consigliabile, ragazze che avevano raggiunto l'età di esser fidanzate e che si sperava potessero combinare un buon matrimonio, consigliate dai parenti, in un'altra città. I visitatori aggiungevano movimento e varietà alla torpida vita meridionale, ed erano sempre i benvenuti. Rossella si era dunque recata ad Atlanta senza avere idea di quanto tempo vi si sarebbe trattenuta. Se il suo soggiorno risultava malinconico come quello di Charleston e di Savannah, dopo un mese tornerebbe a casa sua. Se invece era piacevole, nulla le impediva di rimanere per un periodo indefinito. Ma appena arrivata, Zia Pitty e Melania iniziarono una campagna per indurla a stabilirsi permanentemente con loro. Adoperarono tutti gli argomenti possibili. Desideravano averla perché le volevano bene. Erano sole e spesso la notte avevano paura in quella casa tanto grande e lei era coraggiosa e dava coraggio anche a loro. Era così simpatica che le rallegrava alquanto nel loro dolore. Ora che Carlo era morto, il suo posto e quello del bimbo di lui era dov'egli aveva trascorso la sua fanciullezza. Del resto, metà della casa le apparteneva, secondo il testamento di Carlo. E infine, la Confederazione aveva bisogno di mani per cucire, far calze, preparar bende e curare i feriti. Lo zio di Carlo, Enrico Hamilton, che faceva vita di scapolo e abitava all'albergo Atlanta accanto al deposito, le parlò egli pure seriamente in questo senso. Lo zio Enrico era un vecchio ed irascibile signore, piccolo e panciuto, col viso rosso e una massa di lunghi capelli d'argento; assolutamente mancante di pazienza, con strane timidezze e ipocondrie simili a quelle di una donna. Per quest'ultima ragione, egli quasi non parlava con sua sorella. Fin dall'infanzia erano stati assolutamente opposti come caratteri; e più tardi erano stati anche in disaccordo per il modo in cui ella aveva educato Carlo: "Fare una femminuccia del figlio di un soldato!" E un giorno l'aveva talmente ingiuriata che da allora miss Pitty non parlava più di lui se non con timorosi bisbigli e con tali reticenze che un estraneo avrebbe potuto supporre che si trattava perlomeno di un assassino. L'offesa si era verificata un giorno in cui la signorina Pitty aveva voluto prendere 500 dollari dal suo patrimonio per investirli in una miniera d'oro inesistente. Egli non glielo aveva permesso e aveva affermato con calore che sua sorella aveva tanto buon senso quanto una pulce e, peggio ancora, che lo stare con lei più di cinque minuti lo rendeva nervoso. Da quel giorno ella non lo vedeva più che ufficialmente, una volta al mese, quando Zio Pietro la conduceva al suo ufficio per ricevere l'assegno alimentare. Dopo queste brevi visite, Pitty si metteva a letto per il resto della giornata che trascorreva in lacrime e coi sali odorosi. Melania e Carlo, che erano in ottimi rapporti con lo zio, le avevano più volte offerto di liberarla da questa incombenza, ma Pitty aveva rifiutato sempre serrando con caparbietà la sua bocca infantile. Enrico era la sua croce ed ella doveva portarla. Carlo e Melania dovettero desumere da ciò che quell'eccitazione occasionale le procurava un profondo godimento, essendo l'unico diversivo della sua vita solitaria. Allo zio Enrico, Rossella piacque immediatamente perché disse malgrado le sue stupide affettazioni, aveva qualche briciola di buon senso. Egli era amministratore non solo delle proprietà di Pitty e di Melania, ma anche di quella lasciata a Rossella da Carlo. Per Rossella fu una piacevole sorpresa apprendere di essere una giovine donna benestante, perché Carlo le aveva lasciato non solo la metà della casa occupata dalla zia Pitty, ma fattorie, terreni e anche proprietà in città. E le botteghe e i magazzini lungo la linea ferroviaria in prossimità del deposito avevano triplicato il loro valore dall'inizio della guerra. Fu nel metterla al corrente della sua proprietà che lo Zio Enrico mise in campo la questione della sua permanenza ad Atlanta. - Wade Hampton sarà un ricco giovinotto. Dato lo sviluppo della città, le sue proprietà varranno dieci volte tanto fra vent'anni; ed è giusto che il ragazzo sia allevato dove sono le sue proprietà, in modo da imparare ad occuparsene; sicuro, ed anche di quelle di Pitty e di Melania. Sarà l'unico uomo che porti il nome di Hamilton, poiché io non sono eterno.Quanto a Zio Pietro, egli non mise in dubbio che Rossella sarebbe rimasta. Era inconcepibile per lui che il figlio di Carlo dovesse crescere in un luogo dove lui, Zio Pietro, non potesse sorvegliarne l'allevamento. A tutte queste argomentazioni Rossella sorrideva ma non diceva nulla, non volendo impegnarsi prima di sapere come le sarebbe piaciuta la vita ad Atlanta e la convivenza coi suoi parenti d'acquisto. Sapeva anche che sarebbe necessario convincere Geraldo ed Elena. Inoltre, ora che era lontana da Tara ne aveva una grande nostalgia; nostalgia dei campi rossi e delle verdi piante di cotone e dei crepuscoli silenziosi. Per la prima volta comprese malinconicamente ciò che aveva voluto dire Geraldo quando aveva affermato che anche lei aveva nel sangue l'amore per la terra. Rispose quindi sempre evasivamente alle domande intorno alla lunghezza del suo soggiorno ed entrò furtivamente, quasi senza accorgersene, nella vita della casa di mattoni rossi alla tranquilla estremità della Via dell'Albero di Pesco. Vivendo coi consanguinei di Carlo e vedendo la casa da cui egli proveniva, Rossella poteva ora comprender meglio il ragazzo che l'aveva fatta moglie, vedova e madre in così rapida successione. Era facile vedere perché era così timido, così poco artificioso, così idealista. Se pure Carlo aveva ereditato qualcuna delle qualità del severo, impavido, ardente soldato che era stato suo padre, queste erano state distrutte nella fanciullezza dall'atmosfera femminile in cui era stato educato. Era stato attaccatissimo all'infantile Pitty e affezionato a Melania più di quanto non siano generalmente i fratelli; e non era possibile trovare due donne più dolci ma meno mondane. Zia Pittypat era stata battezzata come Sara Giovanni Hamilton sessant'anni prima; ma dall'epoca lontana in cui il suo affettuosissimo babbo le aveva dato quel soprannome a causa dei suoi piedini irrequieti che trotterellavano continuamente, nessuno l'aveva più chiamata in altro modo. Negli anni che seguirono questo secondo battesimo si verificarono parecchi mutamenti che resero quel nomignolo alquanto incongruo. Della bimba vivace e sgambettante non erano rimasti che i piedini, sproporzionati al suo peso, e una tendenza a chiacchierare volentieri e senza scopo. Era grassa, colorita, coi capelli grigi, e sempre un po' ansimante a causa del busto troppo stretto. Era incapace di percorrere più di cinquanta passi sui piedini che forzava entro scarpine troppo strette. Il suo cuore accelerava i battiti alla più piccola emozione ed ella lo comprimeva senza vergogna, pronta a svenire ad ogni occasione. Tutti sapevano che i suoi svenimenti erano per lo più affettazioni di gran dama; ma poiché le volevano bene si guardavano dal dirlo. Avevano simpatia, per lei, la trattavano come una bambina e rifiutavano di prenderla sul serio: tutti, meno suo fratello Enrico. Amava chiacchierare più di qualsiasi altra cosa al mondo, anche più di quanto amava i piaceri della tavola; e discorreva per ore intere sulle faccende altrui in maniera infantile e innocua. Non aveva alcuna memoria per i nomi di persone e di luoghi e per le date e spesso confondeva i personaggi di un dramma accaduto in Atlanta con quelli di un dramma accaduto altrove, cosa che non stupiva nessuno, perché nessuno era così sciocco da prendere sul serio quanto ella diceva. Nessuno le narrava mai nulla di spinto e di scandaloso, per riguardo al suo stato di signorina, sia pure sessantenne; e i suoi amici congiuravano per farla rimanere una vecchia bimba tranquilla e vezzeggiata. Melania era, in molte cose, simile a sua zia. Aveva la sua timidezza, i suoi subitanei rossori, la sua verecondia, ma aveva del senso comune. "In una certa misura, lo ammetto" confessava dentro di sé Rossella, a malincuore. Come zia Pitty, Melania aveva il viso di una bimba piena di riserbo, che non conosceva se non bontà e semplicità, verità e amore; una bimba che non sapeva che cosa fosse il male e che vedendolo non lo avrebbe neppure riconosciuto. Essendo sempre stata felice, desiderava che tutti lo fossero attorno a lei, o almeno soddisfatti. Per questo, vedeva sempre in ciascuno il lato migliore e lo notava con bontà. Non vi era serva stupida in cui ella non scoprisse qualche qualità di lealtà o di affettuosità; non fanciulla brutta e sgradevole in cui ella non trovasse grazie di forme o nobiltà di carattere; non uomo insignificante o noioso in cui ella non vedesse la luce delle sue possibilità piuttosto che delle sue attualità. A causa di queste doti che provenivano spontaneamente da un cuore generoso, tutti si radunavano intorno a lei; chi può, infatti, resistere al fascino di una persona che scopre nelle altre ammirabili qualità mai sognate neanche da loro stessi? Ella contava più amiche di ogni altra, nella città, e anche molti amici, benché avesse pochi corteggiatori essendo priva di quella volontà e di quell'egoismo che sono necessari per catturare i cuori maschili. Melania faceva semplicemente ciò che veniva insegnato a tutte le fanciulle del Sud: cercare che chi era accanto a loro si sentisse a suo agio e contento di sé. Era questa simpatica congiura femminile che rendeva la società del Sud così piacevole. Le donne sapevano che un paese dove gli uomini sono contenti, non vengono contraddetti e non subiscono punture nella loro vanità, è probabilmente il miglior paese per una donna. Così, dalla culla alla tomba, le donne si ingegnavano a far sì che gli uomini fossero soddisfatti di se stessi; e questi le ricompensavano prodigalmente con galanteria e adorazione. Infatti, gli uomini danno volentieri qualsiasi cosa alle donne, eccetto il riconoscimento della loro intelligenza. Rossella esercitava lo stesso fascino di Melania ma con arte studiata e con abilità consumata. La differenza fra le due fanciulle consisteva nel fatto che Melania diceva parole dolci e lusinghevoli per il desiderio di veder contente le persone, sia pure temporaneamente, mentre Rossella lo faceva soltanto perseguendo il proprio scopo. Le due persone che aveva maggiormente amate, non avevano esercitato su Carlo alcuna influenza severa, né gli avevano insegnato che cosa fosse l'asprezza della realtà; il luogo in cui era giunto all'adolescenza era stato per lui dolce e morbido come il nido di un uccellino. Era una casa tranquilla, serena, un po' all'antica, paragonata a Tara. Per Rossella, mancava in essa l'odore di tabacco, di acquavite e di olio di Macassar; mancavano le voci rauche e magari le imprecazioni, i fucili, i baffi, le selle, le briglie e i cani da caccia. Ella provava la nostalgia delle voci litigiose che si udivano a Tara non appena Elena voltava le spalle: Mammy che litigava con Pork, Rosa e Tina che si bisticciavano, le proprie zuffe acrimoniose con Susele, le urla minacciose di Geraldo. Non era da stupire che Carlo fosse stato così femmineo, venendo da una casa come quella. Qui non entrava mai nulla di emozionante; ciascuno si arrendeva cortesemente alle opinioni altrui e, infine, il brizzolato autocrate negro della cucina aveva libertà d'azione. Rossella, che aveva sperato di aver la briglia sul collo una volta sfuggita alla sorveglianza di Mammy, scoperse con dispiacere che le idee di Zio Pietro sul modo di comportarsi di una signora, specialmente per la vedova di Mist' Carlo, erano anche più severe di quelle di Mammy. In questo ambiente Rossella tornò a poco a poco in se stessa; e quasi prima di essersene resa conto, il suo spirito riprese ad essere normale. Aveva solo diciassette anni, era piena di salute e di energia e i parenti di Carlo facevano del loro meglio per renderla felice. Se in questo non riuscivano molto bene, la colpa non era loro, perché nessuno poteva togliere dal suo cuore il dolore che lo dilaniava ogni volta che veniva menzionato il nome di Ashley. E Melania lo nominava così spesso! Ma Melania e Pitty erano instancabili nel cercare il modo di addolcire la pena che credevano la tormentasse. Ricacciavano il loro dolore in fondo all'anima per cercare di distrarla. Si preoccupavano dei suoi pasti e badavano che facesse il suo riposino pomeridiano e la sua passeggiata in carrozza. Non solo ammiravano infinitamente la sua vivacità, la sua personcina, le sue manine e i suoi piedini, la sua pelle di magnolia, ma glielo dicevano tutti i momenti, accarezzandola, abbracciandola e baciandola per confermare le loro parole affettuose. Rossella non teneva alle carezze; ma i complimenti la mandavano in brodo di giuggiole. Nessuno a Tara le aveva mai detto tante cose carine. Infatti, Mammy aveva sempre cercato di abbassare la sua presunzione. Il piccolo Wade non era più una seccatura, perché tutta la famiglia, bianchi e negri, lo idolatravano; vi era un'incessante rivalità fra chi aspirava a tenerlo in grembo. Melania era specialmente tenera con lui. Anche nei momenti in cui urlava più disperatamente, ella lo trovava adorabile e aggiungeva: - Che tesoro! Vorrei che fosse mio!A volte Rossella faceva fatica a dissimulare i propri sentimenti; trovava ancora che Zia Pitty era la più stupida delle vecchie e la sua fatuità e inconsistenza la irritava in sommo grado. Aveva per Melania un'antipatia che andava crescendo col passar dei giorni; a volte le toccava uscire bruscamente dalla stanza quando Melania, raggiante di orgoglio amoroso, parlava di Ashley o leggeva ad alta voce le sue lettere. Ma in complesso la vita trascorreva felicemente quanto era possibile, date le circostanze. Atlanta era più interessante di Savannah o di Charleston o di Tara, e offriva una tale quantità di strane occupazioni da tempo di guerra che ella aveva poco tempo per pensare o annoiarsi. Solo qualche volta, quando spegneva la candela e sprofondava la testa nei guanciali, sospirava e pensava: "Se Ashley non si fosse sposato! Se non dovessi andare a curare i feriti all'ospedale! Oh, se almeno avessi qualche corteggiatore!" Aveva immediatamente avuto orrore di fare l'infermiera, ma non poteva sfuggire a quel dovere, perché faceva parte dei due comitati, quello della signora Meade e quello della signora Merriwether. Questo significava quattro mattine della settimana in un ospedale opprimente e maleodorante, coi capelli avvolti in un asciugamano e un pesante grembiale che la copriva dal collo ai piedi. Tutte le signore di Atlanta, vecchie o giovani, facevano le infermiere con un entusiasmo che a Rossella sembrava a un po' fanatico. Ritenevano che ella fosse imbevuta dello stesso fervore patriottico e sarebbero state scandalizzate se avessero saputo quanto poco le importava della guerra. Eccettuata la continua preoccupazione che Ashley potesse essere ucciso, la guerra non la interessava affatto; e se assisteva gli ammalati era unicamente perché non sapeva come potersi esimere da quell'obbligo. Certamente nel fare l'infermiera non vi era nulla di romantico. Per lei, significava gemiti, delirio, morte e cattivi odori. Gli ospedali erano pieni di uomini sudici, pidocchiosi, con la barba lunga che puzzavano terribilmente e avevano nel corpo delle ferite tanto orrende da far rivoltare lo stomaco. Gli ospedali puzzavano di cancrena; era un odore che colpiva le narici molto prima che si aprisse la porta e che rimaneva a lungo nelle mani e nei capelli e la ossessionava nei suoi sogni. Mosche, zanzare e mosquitos volteggiavano ronzando e cantando a sciami nelle corsie, tormentando gli uomini che imprecavano e singhiozzavano debolmente; e Rossella, grattando le proprie punture di zanzara, agitava ventagli di foglie di palma finché le spalle non le facevano male; e allora si metteva a desiderare che tutti gli uomini morissero. A Melania, invece, sembrava non dessero noia gli odori, le ferite, le nudità; e Rossella trovava strano ciò, in quella che sembrava la più timida e pudibonda delle donne. A volte, mentre reggeva bacinelle e strumenti al dottor Meade che tagliava delle carni incancrenite, Melania era pallidissima. E una volta, dopo una di quelle operazioni, Rossella la trovò in guardaroba che vomitava tranquillamente in un asciugamano. Ma finché si trovava dove il ferito poteva vederla, era gentile, allegra e piena di simpatia; gli uomini la chiamavano "angelo misericordioso". Anche a Rossella sarebbe piaciuto essere chiamata così; ma questo portava con sé il toccare uomini formicolanti di pidocchi, ficcare le dita nella gola di ammalati incoscienti per vedere se soffocavano per avere inghiottito una cicca; fasciare tronconi e togliere vermi dalla carne che si andava corrompendo. No, non le piaceva fare l'infermiera! Forse sarebbe stato sopportabile se avesse potuto usare del suo fascino sui convalescenti, perché molti di loro erano simpatici e di buona famiglia; ma essendo vedova non poteva farlo. Le signorine della città, a cui non si permetteva di andare all'ospedale per timore che vedessero cose non adatte ai loro occhi verginali, si occupavano di quelli. Non impedite dal matrimonio o dalla vedovanza, esse facevano strage fra i convalescenti; e anche le meno attraenti, notò Rossella cupamente, non tardavano ad esser fidanzate. Eccettuati gli ammalati e i feriti gravi il mondo di Rossella era esclusivamente femminile, e questo l'addolorava, perché ella non aveva mai avuto simpatia né fiducia nel proprio sesso e, quel ch'era peggio, esso l'annoiava profondamente. Per tre pomeriggi settimanali doveva recarsi ai comitati di lavoro per la preparazione di fasciature delle amiche di Melania. Le ragazze che tutte quante avevano conosciuto Carlo, erano buone e premurose con lei in queste riunioni, specialmente Fanny Elsing e Maribella Merriwether, figlie delle vecchie nobili della città. Ma la trattavano con deferenza, come se lei fosse una donna anziana e finita. E le loro continue chiacchiere sui balli e gli spasimanti la rendevano invidiosa dei loro divertimenti e irritata perché la sua vedovanza la escludeva da essi. Diamine, era tre volte più graziosa di Fanny e di Maribella! Oh, com'era ingiusta la vita! E come era sciocco che tutti credessero che il suo cuore era nella tomba di Carlo! Invece era in Virginia con Ashley! Ma nonostante queste afflizioni, Atlanta le piaceva. E il suo soggiorno si prolungava, mentre le settimane passavano. 9 Rossella sedeva accanto alla finestra della sua camera da letto in quella mattina d'estate e guardava desolatamente le carrozze e i carrettini pieni di ragazze, di soldati e di accompagnatrici che sciamavano allegramente lungo la Via dell'Albero di Pesco per recarsi nei boschi a coglier rami per decorare il locale della vendita che doveva aver luogo quella sera a beneficio degli ospedali. La strada rossa aveva zone di sole e di ombra sotto i rami degli alberi, e gli zoccoli dei cavalli alzavano nuvolette di polvere vermiglia. Un carro avanti agli altri portava quattro robusti negri provvisti di scuri per tagliare gli alberi di sempreverdi e strappare le liane che si attorcevano ad essi; nella parte posteriore di questo carro erano ammucchiate ceste coperte da tovaglioli, panieri di vettovaglie e una dozzina di meloni. Due dei negri portavano un banjo e una fisarmonica, ed essi cantavano una buffa versione di: "Se volete divertirvi andate in cavalleria". Dietro a loro veniva la gaia cavalcata, fanciulle in abiti di cotone a fiori con leggere sciarpe, cuffie e mezzi guanti per proteggere il candore della pelle, oltre a piccoli parasoli che sollevavano al di sopra delle teste; signore anziane placide e sorridenti tra le risate, i richiami e gli scherzi tra l'una carrozza e l'altra; convalescenti stretti fra robuste accompagnatrici e sottili fanciulle che si davano un gran da fare attorno a loro; ufficiali a cavallo che andavano a passo tranquillo a fianco delle carrozze; scricchiolio di ruote, tintinnio di sproni, scintillio di alamari, agitar di parasoli e di ventagli, canto di negri. Tutti percorrevano la Via dell'Albero di Pesco per recarsi in mezzo al verde e fare un pic-nic e una mangiata di meloni. "Tutti quanti", pensò Rossella immusonita "meno io". Nel passare la chiamavano e le facevano grandi cenni di saluto a cui ella cercava di rispondere con buona grazia, ciò che le riusciva difficile. Nel suo cuore era cominciato un piccolo dolore sordo che saliva a poco a poco verso la gola dove fra poco diventerebbe un nodo; e il nodo si scioglierebbe in lagrime. Tutti andavano al pic-nic meno lei. E tutti andrebbero stasera alla vendita e al ballo meno lei. Cioè: meno lei, Pittypat e Melly e le altre disgraziate che erano in lutto. Ma pareva che a Melly e a Pittypat la cosa non importasse nulla. Non avevano neppur pensato che si potesse desiderare di andare. Rossella invece lo aveva pensato; e desiderava di andare, lo desiderava spasmodicamente. Non era giusto. Aveva lavorato molto più di tutte le altre, a preparare ogni cosa per la vendita. Aveva fatto calze e berretti alla turca e cuffiette per bambini, sciarpette e pizzi e belle ciotoline di porcellana dipinta e vasetti per la toeletta. E aveva ricamato mezza dozzina di cuscini per divano con la bandiera della Confederazione (le stelle erano un po' irregolari, certo; alcune quasi rotonde, altre avevano sei o sette punte, ma l'effetto era buono). Ieri aveva lavorato fino ad essere stanchissima nel vecchio granaio polveroso a drappeggiare sui banchi allineati lungo le pareti mussolina e tarlatana gialla rosa e verde. Sotto la direzione delle signore del comitato ospedaliero, questo lavoro era stato difficile e punto divertente. Già, non era mai divertente avere attorno la signora Merriwether e la signora Elsing e la signora Whiting e sentirsi dare degli ordini come se trattassero coi loro schiavi, e doverle ascoltare mentre si vantavano che le loro figliole fossero molto circondate. E come complemento, si era bruciata le dita producendosi due vesciche per aiutare Pittypat e la cuoca a fare dei pasticcini per la lotteria. E adesso, dopo aver lavorato come una schiava, le toccava ritirarsi decorosamente, proprio quando cominciava il divertimento. No, non era giusto che avesse il marito morto e un bambino che urlava nella camera accanto; e dover rimanere lontana da tutto quello che era svago. Dire che poco più di un anno prima ballava e portava degli abiti chiari invece di questo nero funereo, ed era praticamente fidanzata con tre giovinotti. Ora aveva soltanto diciassette anni e i suoi piedi avevano ancora tanta voglia di ballare. No, non era giusto! La vita passava dinanzi a lei nella strada calda e soleggiata, la vita con le uniformi grige, gli sproni tintinnanti, gli abiti di organza a fiori e i banjos che suonavano. Cercò di non sorridere e di non salutare con troppo entusiasmo gli uomini che conosceva meglio, quelli che aveva curato all'ospedale, ma era difficile dominare i propri impulsi, difficile comportarsi come se il suo cuore fosse nella tomba... dove non era. I suoi saluti e i suoi cenni furono bruscamente interrotti da Pittypat che entrò nella stanza ansimando come sempre quando saliva le scale, e che la trasse via dalla finestra senza cerimonie. - Ma sei impazzita, tesoro? Salutare gli uomini dalla finestra della tua camera! Ti assicuro, Rossella, che sono scandalizzata! Che cosa direbbe tua madre? - Ma loro non lo sanno che è la mia camera.- Ma possono immaginarlo, e fa lo stesso. Non devi fare di queste cose, tesoro. Tutti parleranno di te e diranno che sei sfacciata... ad ogni modo la signora Merriwether lo sa che è la tua camera.- E certamente quella vecchia gallina lo dirà ai ragazzi.- Sst! Gioia! Dolly Merriwether è la mia migliore amica.- Beh, è una gallina lo stesso. Oh, Dio scusami, non piangere! Non ho pensato che era la finestra della mia camera... Non lo farò mai più... Soltanto mi faceva piacere vederli andare... Vorrei poter andare anch'io.- Rossella! - Ma sì, sono stanca di stare in casa.- Rossella, promettimi di non dire più di queste cose. Figurati le chiacchiere! Direbbero che non hai rispetto per la memoria del povero Carlo...- - Ma non piangere, zia! - Oh, adesso ho fatto piangere anche te... - singhiozzò comicamente Pittypat frugando nella tasca della gonna per cercare il fazzoletto. Il piccolo dolore era finalmente giunto alla gola di Rossella ed essa ora piangeva... non, come credeva Pittypat, per il povero Carlo, ma perché gli ultimi echi delle risa e lo strepito delle ruote andavano dileguando. Melania irruppe dalla sua camera, con la fronte corrugata e una spazzola in mano, i capelli neri, generalmente ravviati con cura, liberi dalla rete e scompigliati intorno al volto in una massa di riccioli. - Care! Che è successo? - Carlo! - singhiozzò Pittypat, abbandonandosi con gioia alla voluttà della sofferenza e nascondendo il capo sulla spalla di Melania. - Oh... - fece Melly mentre nell'udire il nome di suo fratello il suo labbro inferiore cominciava a tremare. - Sii coraggiosa, cara. Non piangere. oh, Rossella!Rossella si era gettata sul letto e singhiozzava con quanta forza aveva in gola; singhiozzava sulla sua giovinezza perduta e sulle gioie che le erano vietate, singhiozzava con l'indignazione e la disperazione di una bambina che una volta otteneva, con le lacrime, tutto ciò che voleva ed ora sapeva che i singhiozzi non le servivano più a nulla. Col capo nascosto fra i guanciali, piangeva percuotendo coi piedi il copripiedi imbottito. - Vorrei essere morta! - singhiozzò appassionatamente. Ma prima che ella avesse emesso quest'esclamazione dolorosa, le lacrime di Pittypat erano cessate e Melania si era precipitata verso il letto per consolare sua cognata. - Cara, non piangere! Pensa quanto ti amava Carlo: questo dev'essere un conforto per te! Cerca di pensare a quella gioia del tuo piccino.L'indignazione per essere fraintesa si mescolò in Rossella alla disperazione di essere fuori di ogni cosa e le soffocò le parole in gola. Fu una fortuna, perché se avesse potuto parlare avrebbe gridato la verità con schiette parole, alla maniera di Geraldo. Melania le accarezzò la spalla e Pittypat trotterellò pesantemente per la stanza chiudendo le persiane. - Non chiudere! - esclamò Rossella sollevando dai guanciali un viso rosso e gonfio. - Non sono ancora morta abbastanza perché si debbano chiudere le imposte... e Dio sa se vorrei esserlo! Oh, andatevene e lasciatemi sola!Sprofondò nuovamente la faccia nel guanciale; e dopo una conferenza fatta di mormorii, le due donne uscirono in punta di piedi. Ella udì Melania che diceva sottovoce alla zia, mentre scendevano le scale: - Zia Pitty, vorrei che tu non le parlassi di Carlo. Sai che le fa male. Povera creatura, ha un'espressione così strana; capisco che si sforza per non piangere. Non dobbiamo affliggerla maggiormente.Rossella percosse di calci il copriletto in una rabbia impotente, cercando qualche cosa di cattivo da dire. - Per Giove! - gridò finalmente; e si sentì alquanto sollevata. Come poteva Melania contentarsi di stare in casa, senza mai un'ombra di divertimento, e portare il crespo per suo fratello mentre aveva appena diciotto anni? Sembrava che Melania non sapesse, o che non le interessasse, che la vita correva, con gli sproni tintinnanti. "Ma è talmente rigida!" pensò Rossella mentre prendeva a pugni il guanciale. "E non è mai stata corteggiata come me; perciò non sente come me la mancanza di tante cose. E poi... e poi, lei ha Ashley, mentre io... io non ho nessuno!" E a questa nuova constatazione, altre lacrime la sopraffecero. Rimase tristemente nella sua camera fino al tardo pomeriggio; ancora la vista dei gitanti che tornavano con le carrozze cariche di rami di pino, liane e felci non la rallegrò. Tutti sembravano beatamente stanchi mentre le facevano nuovamente cenni di saluto a cui ella rispose malinconicamente. La vita era monotona, senza speranza e non valeva la pena di esser vissuta. La liberazione giunse nella forma più inattesa quando, durante l'ora del riposo pomeridiano, la signora Merriwether e la signora Elsing vennero alla villetta di mattoni. Stupite di una visita a quell'ora, Melania, Rossella e Pittypat si alzarono, si riagganciarono frettolosamente i corpetti, si ravviarono i capelli e scesero nel salotto. - I bambini della signora Bonnell hanno la rosolia - annunciò la signora Merriwether bruscamente, mostrando chiaramente che riteneva la signora Bonnell responsabile personalmente, per aver permesso che una simile cosa accadesse. - E le ragazze McLure sono state chiamate in Virginia - proseguì la signora Elsing con la sua voce spenta, sventolandosi languidamente come se né questo né altro avesse molta importanza. - Dallas McLure è ferito.- Terribile! - fecero le tre visitate in coro. - Ed è grave? - No. Soltanto la spalla - rispose gaiamente la signora Merriwether. - Ma non poteva capitare in un momento peggiore. Le ragazze sono partite per ricondurlo a casa. Ma non abbiamo tempo di stare qui a discorrere. Dobbiamo tornare in fretta per finir di decorare il locale. Pitty, abbiamo bisogno di voi e di Melly stasera per prendere il posto della signora Bonnell e delle McLure.- Ma non possiamo venire, Dolly! - Non dite "non posso", Pitty Hamilton - ribatté vigorosamente la signora Merriwether. - Abbiamo bisogno di voi per sorvegliare i negri che portano i rinfreschi. E' quello che doveva fare la signora Bonnell. E Melly starà al banco di vendita delle due McLure.- Ma non è possibile... il povero Carlo è morto soltanto da...- Lo so; ma non vi è sacrificio troppo grande per la Causa - intervenne la signora Elsing con una voce dolce ma decisa. - Saremmo liete di aiutarvi ma... Perché non prendete qualche bella ragazza per i banchi di vendita?La signora Merriwether ebbe una risata beffarda che parve uscire da una trombetta. - Non so che cosa sono diventate le ragazze d'oggi. Non hanno il senso della responsabilità. Tutte quelle che non hanno già il loro banco trovano tante di quelle scuse che non vi so dire. Oh, non me la danno ad intendere. Vogliono soltanto non aver da fare per poter civettare con gli ufficiali: ecco tutto. E hanno paura che dietro ai banchi i loro abiti nuovi non si vedano abbastanza. Vorrei proprio che quel capitano che attraversa il blocco... come si chiama? - Il capitano Butler - suggerì la signora Elsing. - Vorrei che facesse entrare più rifornimenti per gli ospedali e meno trine e gonne a cerchi. Oggi saranno entrati venti vestiti, ve lo assicuro! Dunque, Pitty, non c'è tempo di discutere. Dovete venire. Tutti comprenderanno. Del resto, nella stanza di dietro nessuno vi vedrà; e Melly non sarà molto in vista. Il banco delle ragazze McLure è proprio in fondo e non è molto bello; quindi nessuno vi noterà.- Credo che dovremmo andare - disse Rossella cercando di dominare la sua agitazione e di conservare un'espressione seria e semplice. - E' il meno che possiamo fare per l'ospedale.Nessuna delle visitatrici aveva pronunciato il suo nome; esse si volsero a guardarla severamente. Malgrado il loro estremo bisogno, non avevano neppur pensato a chiedere a una vedova di pochi mesi di apparire in una riunione mondana. Rossella sopportò il loro sguardo con un'espressione infantile e innocente. - Credo che dobbiamo andare e fare del nostro meglio, tutte quante. Io andrò al banco con Melly perché... sì, mi pare che sia meglio essere in due. Non ti pare, Melly? - Ma... - cominciò Melly, smarrita. L'idea di apparire a una riunione essendo in lutto era così inaudita che ne rimaneva sbalordita. - Rossella ha ragione - affermò la signora Merriwether, osservando segni di indebolimento nella resistenza. Si alzò e si rassettò i cerchi della gonna. - Tutt'e due... sì, dovete venire tutte quante. Non ricominciate a cercar delle scuse, Pitty. Pensate che l'ospedale ha un gran bisogno di quattrini per nuovi letti e medicinali. E so che Carlo sarebbe contento di sapere che voi aiutate la Causa per la quale egli è morto.- Va bene - fece Pittypat, debole come sempre di fronte a personalità più forti della sua. - Se credete che la gente capirà le ragioni...“Troppo bello per esser vero! Troppo bello per esser vero!” cantava in cuor suo Rossella mentre s'insinuava modestamente dietro al banco delle ragazze McLure. Finalmente si trovava in una riunione! Dopo un anno di segregazione, di veli di crespo e di voci sommesse, dopo aver creduto quasi d'impazzire per la noia, ora si trovava in una riunione, la più grande che Atlanta avesse mai visto. Vedeva gente e luci, udiva musica e contemplava le trine, gli abiti, le guarnizioni che il famoso capitano Butler aveva portato attraverso il blocco, dal suo ultimo viaggio. Sedette su uno degli sgabelli dietro al banco e guardò la lunga sala che fino a quel pomeriggio era stata un ambiente nudo e disadorno. Come dovevano aver lavorato le signore oggi per renderlo così grazioso! L'effetto era veramente riuscito. Tutte le candele e i candelieri di Atlanta dovevano essere in quel luogo, pensò; d'argento con dodici braccia, di porcellana con graziose figurine che ne adornavano la base, d'ottone antico, rigidi e dignitosi, carichi di candele di ogni misura e di ogni colore, odorose di resina, posati su cavalletti da fucile che occupavano la sala nella sua lunghezza, sulle lunghe tavole fiorite, sui banchi di vendita, e perfino sui davanzali delle finestre aperte, dove il lieve soffio della tepida aria estiva bastava ad agitare le fiammelle. Nel centro della sala l'enorme lampadario di pessima fattura, che alcune catene arrugginite sospendevano al soffitto, era completamente trasformato da tralci di edera e di vite selvaggia che il calore cominciava già a far appassire. Le pareti erano decorate di rami di pino, che diffondevano un odore acuto e trasformavano gli angoli della sala in graziose nicchie, dove sedevano le accompagnatrici e le vecchie signore. Graziosi festoni di edera e di rampicanti drappeggiati al disopra delle finestre pendevano ovunque e si attorcigliavano sui banchi adorni di tarlatana colorata. E fra il verde, su bandiere e orifiammi splendevano le stelle della Confederazione sul loro sfondo rosso e blu. La piattaforma costruita per l'orchestra era particolarmente artistica. Era completamente nascosta alla vista dai tralci verdi e dalle bandiere stellate; e Rossella sapeva che quivi erano state trasportate tutte le piante in vaso della città: begonie, geranii, oleandri, ninfee, muse... e perfino le quattro preziose piante da gomma della signora Elsing, alle quali era stato dato il posto d'onore nei quattro angoli. All'altra estremità della sala, di fronte alla piattaforma poi, le signore avevano superato se stesse. A questa parete pendevano grandi ritratti del presidente Davis e del "piccolo Alec" Stephens, il georgiano vicepresidente della Confederazione. Al di sopra era un'enorme bandiera e al di sotto, su lunghe tavole, era il prodotto di tutti i giardini della città: felci, fasci di rose gialle, bianche e vermiglie, steli orgogliosi di gladioli dorati, mazzi di nasturzi variopinti, alti e rigidi rami di agrifoglio che drizzavano le loro sommità marrone e rossicce sugli altri fiori. Frammezzo, le candele ardevano tranquillamente come dinanzi a un altare. I due volti guardavano in basso la scena, due volti tanto diversi quant'era possibile in due uomini a capo di così gloriose imprese: Davis con la faccia magra e gli occhi freddi di un asceta, la bocca sottile chiusa con un'espressione decisa; Stephens con gli occhi neri e ardenti profondamente incavati in un viso che aveva conosciuto soltanto malattia e dolore ed aveva trionfato su questi con fervore giocondo: due volti che erano molto amati. Le signore più anziane del comitato, nelle cui mani era la responsabilità di tutta la vendita, andavano qua e là con l'importanza di navi bene attrezzate, spingendo frettolosamente le ritardatarie, signore e fanciulle, a prender posto, e poi si recavano nelle stanze adiacenti dov'erano preparati i rinfreschi. La zia Pitty le seguiva ansimando. I musicanti si arrampicarono sulla piattaforma, neri e ridenti, coi larghi volti lucidi di sudore, e cominciarono ad accordare i violini. Il vecchio Levi, cocchiere della signora Merriwether, che aveva diretto le orchestre di ogni vendita, ballo, o matrimonio fin da quando Atlanta si chiamava ancora Marthasville, picchiò l'archetto sul legno per richiamare l'attenzione. Erano giunte fino allora ben poche persone oltre le signore che dirigevano la vendita; ma tutti gli occhi si volsero verso di lui. Allora i violini, le viole, le fisarmoniche, i banjos e i crotali proruppero in una esecuzione di "Lorena" lentissima, troppo lenta per essere danzata; la danza incomincerebbe più tardi quando i banchi fossero vuoti di merci. Rossella sentì il cuore batterle più rapidamente all'udire la dolce melanconia di quel valzer: Gli anni passano lentamente, Lorena! La neve copre nuovamente l'erba. Il sole è lontano nel cielo, Lorena... Uno-due-tre; uno-due-tre, una scivolata... tre, giro... due-tre. Che bel valzer! Ella tese leggermente le mani, chiuse gli occhi e accompagnò il ritmo triste con una lieve oscillazione del corpo. Vi era qualche cosa di avvincente, in quella tragica melodia e nell'amore perduto di Lorena, che si mescolava alla sua eccitazione e le faceva nodo alla gola. Allora, come se fossero stati suscitati dalla musica del valzer, dalla strada buia giunsero dei rumori: scalpitar di cavalli e strepito di ruote; risate nell'aria tepida e la dolce asprezza delle voci dei negri, che si levavano discutendo per il luogo ove fermare i cavalli. Vi fu una certa confusione per le scale; gaiezza di cuori spensierati, voci fresche di fanciulle unite a quelle più profonde di chi le accompagnava, grida di saluto e scoppi di gioia di giovinette che riconoscevano le amiche da cui si erano separate solo poche ore prima. A un tratto l'ambiente fu pieno di animazione; in un attimo una quantità di fanciulle in abiti variopinti come farfalle, sorretti da cerchi enormi, con mutandine di pizzo che s'intravedevano al di sotto; piccole candide spalle rotonde, nude; e lievi accenni di morbidi seni che trasparivano sotto i corsaletti di trina; sciarpe di merletto gettate incurantemente sul braccio: ventagli splendenti di pagliuzze o dipinti, di piume di struzzo e di pavone, sospesi al polso da sottili nastri di velluto; fanciulle coi capelli neri pettinati a bande sulle orecchie e raccolti in nodi così pesanti che il capo pendeva alquanto all'indietro; fanciulle con masse di trecce d'oro sulla nuca e lunghi pendenti d'oro che si agitavano insieme ai riccioli ribelli. Trine, sete, alamari, nastri, tutta roba portata attraverso il blocco, e tutta preziosa e indossata con orgoglio, perché sembrava così di fare maggiore affronto agli yankees. Non tutti i fiori della città erano stati posti come tributo dinanzi ai ritratti dei capi della Confederazione. I boccioli più piccoli e più fragranti ornavano le giovinette. Rose tea appuntate dietro alle orecchie di madreperla, gelsomini del Capo e rose muschiate in piccole ghirlande disposte su cascate di boccoli laterali; mazzolini timidamente nascosti fra le pieghe delle cinture; fiori che prima del terminar della notte troverebbero riparo nelle tasche interne delle uniformi grige, come preziosi ricordi. Vi erano numerosissime uniformi nella folla; uniformi di uomini che Rossella conosceva, uomini che ella aveva veduto sulle brande degli ospedali, nelle strade, o sul campo di manovre. Uniformi risplendenti di lucidi bottoni e di galloni d'oro sui colletti e sui paramani, con bande rosse, gialle, o blu sui calzoni, secondo i diversi servizi; e sul grigio facevano un bellissimo vedere. Cinture d'oro e scarlatte si vedevano qua e là; sciabole che scintillavano e battevano contro gli stivaloni lucidi, sproni che risonavano e tintinnavano. "Che begli uomini" pensò Rossella con un senso d'orgoglio, mentre quelli salutavano, facevano cenno agli amici, si curvavano a baciar la mano alle signore anziane. Tutti d'aspetto giovanile, anche coi lunghi mustacchi biondi e le barbe nere e castane; belli, indifferenti, chi col braccio al collo, chi con la testa bendata da una candida fasciatura che contrastava stranamente col volto abbronzato. Alcuni camminavano con le stampelle; e com'erano orgogliose le ragazze che li accompagnavano, rallentando premurosamente il passo per adattarlo al loro! Fra le uniformi si vide splendere a un tratto una brillante macchia di colore che oscurò perfino gli abiti delle fanciulle e sembrò, in mezzo alla folla, un uccello tropicale uno zuavo della Luisiana, coi calzoni rigonfi a strisce bianche e azzurre, le uose crema e una giacchettina rossa: un ometto bruno, sorridente come una scimmia, col braccio in una fascia di seta nera. Era lo spasimante particolare di Maribella Merriwether, Renato Picard. Certamente tutto l'ospedale era presente; per lo meno tutti quelli che erano in grado di camminare; e tutti quelli che erano in licenza ordinaria o per malattia, e quelli che prestavano servizio alla ferrovia, alla posta e all'ospedale, e ai commissariati di Atlanta e di Macon. Come sarebbero contente le signore! L'ospedale doveva fare un sacco di quattrini stasera. Dalla strada giunse un rullar di tamburi, uno scalpiccio e grida d'ammirazione dei cocchieri. Uno squillo di tromba e poi una voce tonante che diede il comando di "rompete le righe!" In un attimo le Guardie Nazionali e la Milizia Unitaria, nelle loro uniformi brillanti, fecero scricchiolare l'angusta scaletta ed entrarono nella sala, salutando, inchinandosi, stringendo le mani. Nella Guardia Nazionale erano ragazzi fieri di giocare alla guerra e che si ripromettevano di essere nella Virginia l'anno venturo a quell'epoca, se la guerra durava ancora; vecchi con la barba bianca che rimpiangevano di non esser più giovani, ma erano felici di marciare in uniforme, nella gloria riflessa dei figliuoli che avevano al fronte. Nella Milizia erano parecchi uomini di mezz'età e alcuni anche più anziani; e un discreto gruppo di uomini adatti al servizio militare, che si comportavano meno gaiamente dei loro maggiori e dei loro minori; gente di cui ci si chiedeva sommessamente perché non erano con Lee. Come potevano accalcarsi tutti in quella sala? Sembrava così grande pochi minuti prima, ed ora era stipata, con l'aria surriscaldata dagli odori della calda notte estiva, di acqua di Colonia, di sacchetti profumati, di cosmetico per capelli e delle torce resinose, fragrante di fiori, e un po' densa perché lo scalpiccio di tanti piedi sollevava un pulviscolo leggero. Lo strepito e la confusione di tante voci rendeva quasi impossibile distinguere qualche parola, e - come se avesse compreso la gioia e l'eccitazione del momento - il vecchio Levi interruppe "Lorena" a metà battuta, battendo sul leggio col suo archetto; poi attaccando con nuova foga, l'orchestra intonò "Bella bandiera azzurra". Cento voci si unirono al ritornello, cantandolo, gridandolo come un urlo di gioia. Il trombettiere delle Guardie Nazionali si arrampicò sulla piattaforma e si unì alla musica proprio nel momento in cui cominciava il coro; e le note argentine squillarono sulla massa delle voci in modo da dare i brividi; un'emozione intensa percorse la folla. Urrà Urrà! Per i diritti degli abitanti del Sud, urrà! Urrà per la bella bandiera azzurra che porta una sola stella! Rossella, cantando insieme agli altri, udì il dolce soprano di Melania salire dietro a lei, chiaro e limpido come le note argentine della tromba. Si volse e vide Melly in piedi, con le mani strette al petto, gli occhi chiusi, una lacrimetta che spuntava negli occhi. Sorrise stranamente a Rossella, quando la musica finì con una smorfietta di scusa mentre si asciugava gli occhi col fazzolettino. - Sono tanto felice - mormorò - e così orgogliosa dei nostri soldati che mi è venuto da piangere.Nei suoi occhi era una luce profonda, quasi di fanatismo, che per un momento illuminò il suo visetto rendendolo bello. La stessa espressione era sul volto di tutte le donne quando la canzone terminò: lacrime di gioia sulle guance rosee o grinzose, sorrisi sulle labbra, una luce ardente negli occhi che esse volgevano ai loro uomini, l'innamorata all'amante, la madre al figlio, la moglie al marito. Erano tutte belle, di quella bellezza che trasforma anche la donna più brutta quando si sa protetta ed amata e ricambia l'amore a mille doppi. Amavano i loro uomini, credevano in loro, avevano fede fino al loro ultimo respiro. Come poteva la sventura abbattersi su simili donne, difese com'erano da un esercito di prodi? Vi erano mai stati uomini come questi, dalla creazione del mondo in poi: così eroici, giovanili, teneri e galanti? Com'era possibile che qualche cosa impedisse la vittoria di una Causa giusta come la loro? Una Causa che esse amavano non meno di quanto amavano i loro uomini; una Causa che servivano con le loro mani e i loro cuori, una Causa di cui parlavano, a cui pensavano, di cui sognavano... una Causa a cui avrebbero sacrificato quegli uomini se fosse necessario, sopportando la loro perdita con la stessa fierezza con la quale gli uomini portavano le loro bandiere sul campo. Nei loro cuori era una piena di devozione e di orgoglio, di sicurezza nella vittoria finale. I trionfi di Stonewall Jackson nella Vallata e la disfatta degli yankees nella battaglia dei Sette Giorni presso Richmond lo mostravano chiaramente. Come poteva esser diversamente, con dei capi come Lee e Jackson? Un'altra vittoria come quella, e gli yankees sarebbero in ginocchio a chieder la pace; gli uomini tornerebbero a casa accolti da risa e da baci! Ancora una vittoria e la guerra sarebbe finita! Senza dubbio, vi erano delle sedie vuote e dei bimbi che non vedrebbero mai il volto del loro babbo; e tombe senza nome presso le piccole baie solitarie della Virginia e nelle montagne del Tennessee; ma era forse un prezzo troppo grande da pagare per la Causa? Era difficile avere seta per gli abiti, e zucchero e tè; ma queste erano cose sulle quali si poteva scherzare. Del resto, quelli che attraversavano il blocco portavano di tutto, passando sotto al naso degli yankees, e rendendo il possesso di tutto ciò molto più emozionante. Fra breve Raffaele Semmes e la Marina della Confederazione darebbero da fare alle navi da guerra yankees; e allora i porti si riaprirebbero. E l'Inghilterra aiuterebbe la Confederazione a vincer la guerra, perché le fabbriche inglesi erano inoperose non avendo il cotone del Mezzogiorno. E naturalmente l'aristocrazia inglese simpatizzava con l'aristocratica gente del sud, contro quella razza avida di dollari che erano gli yankees. Così le donne facevano frusciar le loro sete e ridevano e, guardando i loro uomini col cuore gonfio di orgoglio, sapevano che l'amore diveniva più ardente di fronte al pericolo e che la morte era doppiamente dolce per la strana eccitazione che l'accompagnava. Appena volti gli occhi sulla folla, Rossella aveva sentito il proprio cuore battere più celermente per l'insolita animazione che le dava il trovarsi a una riunione mondana; ma quando vide l'espressione ispirata dei visi accanto a lei, pur comprendendo solo a metà, la sua gioia cominciò ad affievolirsi. Tutte le donne presenti ardevano di un'emozione che ella non sentiva. Ciò la sgomentava e la deprimeva. La sala non le sembrava più così bella né le ragazze così brillanti; e l'intensità dell'entusiasmo per la Causa che ancora illuminava tutti i volti, le sembrò... ma sì, le sembrò proprio stupida! In un subitaneo lampo di conoscenza di se stessa che le fece spalancare la bocca per lo stupore, si rese conto che non condivideva in alcun modo la fierezza e l'orgoglio di quelle donne, il loro desiderio di sacrificare se stesse e tutti i loro averi alla Causa. Prima ancora che l'orrore le facesse riflettere: "No, no... non debbo pensar questo! È un errore... un peccato...", comprese che la Causa non aveva alcuna importanza per lei e che era stufa di sentirne parlare da quella gente che aveva negli occhi un'espressione fanatica. La Causa non le sembrava sacra; ma piuttosto la riteneva una calamità che uccideva inutilmente degli uomini e costava molto denaro e rendeva difficile avere le cose di lusso. Ed era anche stufa dell'infinito lavoro a maglia e dell'infinita preparazione di fasciature e filacce che le rovinavano le unghie. Ed era stufa dell'ospedale! Stufa, annoiata e nauseata dello stomachevole odor di cancrena, e dei gemiti continui, e spaventata dall'espressione che l'avvicinarsi della morte dava ai visi distrutti. Si guardò attorno furtivamente, mentre questi empi e perfidi pensieri le attraversavano la mente, col timore che qualcuno potesse scorgerli scritti chiaramente sul suo viso. Ma perché, perché non poteva sentire come le altre donne? Così piene di cuore, così sincere nella loro devozione! Esse pensavano realmente ciò che dicevano e facevano. E se qualcuna potesse mai sospettare che lei... No, no, nessuno doveva saperlo! Bisognava che ella continuasse a fingere un entusiasmo e una fierezza che non sentiva recitando la sua parte di vedova di un ufficiale confederato, che sopporta coraggiosamente il suo dolore, che ha il cuore nella tomba di lui, e che sente che la morte di suo marito non ha alcuna importanza se è stata per il trionfo della Causa. Ma perché era così diversa, così lontana da quelle donne amorose? Ella non poteva amar nulla né nessuno con quell'altruismo. Era una sensazione di solitudine... e non si era mai sentita sola di corpo e di spirito prima d'allora. Dapprima tentò di soffocare quei pensieri; ma la schietta onestà verso se stessa che era in fondo alla sua natura non glielo permise. E così, mentre la vendita continuava, e mentre insieme a Melania attendeva i clienti, la sua mente lavorava attivamente, cercando una giustificazione di fronte a se stessa...compito che di solito non le riusciva difficile. Le altre donne erano semplicemente sciocche e isteriche coi loro discorsi patriottici; e gli uomini erano quasi altrettanto fastidiosi quando parlavano dei Diritti di Stato. Solo lei, Rossella O'Hara Hamilton, aveva un chiaro buon senso irlandese. Non si sarebbe rimbecillita per la Causa; ma non sarebbe neppur diventata la favola di tutti quanti rivelando i suoi veri sentimenti. Aveva abbastanza equilibrio per considerare la situazione e per fronteggiarla. Come sarebbero rimasti stupiti tutti quanti se avessero conosciuto i suoi pensieri! Che scandalo se fosse improvvisamente salita sulla piattaforma dell'orchestra e avesse dichiarato che riteneva che la guerra ormai doveva finire, in modo che tutti potessero tornare alle loro case a occuparsi del loro cotone, e che vi fossero di nuovo ricevimenti, spasimanti e una quantità di abiti verde chiaro! Per un attimo la sua auto-giustificazione le diede coraggio ma ella continuò a guardare la sala con disgusto. Il banco di vendita delle ragazze McLure era poco in vista, come aveva detto la signora Merriwether; e vi erano lunghi intervalli durante i quali nessuno si avvicinava e Rossella non aveva nulla da fare se non guardare con invidia la folla felice. Melania sentiva il suo malumore, ma, attribuendolo al ricordo di Carlo, non faceva alcun tentativo di conversazione. Si occupava di disporre gli articoli sul banco in modo più attraente, mentre Rossella guardava cupamente la sala. Perfino i fasci di fiori sotto i ritratti di Davis e Stephens la urtavano. "Sembra un altare" pensò arricciando il naso. "E il modo come tutti si spingono lì intorno, come se fossero il Padre e il Figliuolo!" Presa da improvviso terrore per la propria irriverenza, cominciò frettolosamente a farsi il segno della Croce come per scusarsi, ma si fermò in tempo. "Sicuro, è proprio così" discusse con la propria coscienza. “Tutti si spingono come se si trattasse di santi e non sono che uomini; e non sono neanche particolarmente simpatici a vedersi." In realtà, Stephens non poteva avere un aspetto diverso, essendo sempre stato di salute cagionevole, ma Davis... Guardò il volto altero simile a un cammeo. Era la sua barbetta che le dava soprattutto fastidio. "Gli uomini" pensò "dovrebbero essere interamente rasati oppure avere i baffi o la barba piena. Quei quattro peli danno l'impressione che siano tutto ciò che han potuto fare." E non riconosceva in quel volto la fredda e tenace intelligenza che governava un'intera nazione. No, non era felice adesso; la gioia che aveva provato da principio nel trovarsi in mezzo alla gente ora non le bastava più. Ella era alla vendita ma non ne faceva parte. Nessuno si occupava di lei: era l'unica donna senza marito che non avesse un corteggiatore, mentre per tutta la vita le era sempre avvenuto di essere il centro del quadro, qualunque esso fosse. Non era giusto! Aveva diciassette anni e i suoi piedini battevano nervosamente il pavimento, nel desiderio di ballare e saltare. Aveva diciassette anni, e un marito nel cimitero di Oakland e un bimbo in culla a casa di Zia Pitty; e tutti erano convinti che ella dovesse esser contenta di ciò che la vita le aveva assegnato. Aveva il seno più bello di qualsiasi fra le ragazze presenti; la vita più sottile e il piede più piccino; ma nessuno badava a lei più che se fosse stata coricata accanto a Carlo con "sua amata sposa" scolpito sulla pietra. Non era una ragazza che poteva ballare e civettare e non era una moglie che poteva sedere con le altre a criticare la smania di ballare e di civettare delle ragazze. E non era abbastanza anziana per atteggiarsi a vedova. Queste dovevano esser vecchie, tanto vecchie da non aver più alcun desiderio di ballare e di civettare, e di essere ammirate. No, tutto questo era ingiusto; ed era ingiusto dover parlare con voce sommessa e tener gli occhi bassi quando gli uomini, anche simpatici, si avvicinavano al suo banco. Tutte le ragazze di Atlanta erano circondate; anche le più brutte. E tutte quante avevano dei vestiti così belli! Lei invece sembrava una cornacchia, vestita di soffocante taffettà nero, con le maniche lunghe sino ai polsi, il corpetto chiuso fino al mento e neppur l'ombra di pizzo o di gallone, non un gioiello, eccetto la luttuosa spilla d'onice di Elena; e guardava le ragazze appese al braccio di uomini piacevoli ed eleganti. Tutto questo perché Carlo Hamilton aveva avuto la rosolia. Non aveva neanche avuto una fine gloriosa in battaglia, sicché ella potesse trarne vanto. Con un senso di ribellione appoggiò i gomiti al banco e fissò la folla, infischiandosi dell'ammonizione di Mammy tante volte ripetuta che non bisognava appoggiare i gomiti perché questo li faceva diventare brutti e grinzosi. Che gliene importava se diventavano brutti? Probabilmente non avrebbe mai più la possibilità di metterli in mostra. Guardava avidamente gli abiti che le passavano dinanzi; seta color crema con ghirlandine di bocciuoli di rosa; raso rosso con diciotto volanti bordati da un vellutino nero; taffettà azzurro chiaro, con la gonna larga dieci metri ornata di cascate di trina; seni esposti; fiori preziosi e profumati. Maribella Merriwether si avvicinò al banco accanto al suo, al braccio dello zuavo; il suo vestito di tarlatana verde mela era così largo da fare apparire la vita come quella di una vespa. Era tutto increspato e guarnito di un pizzo Chantilly color avorio giunto da Charleston con l'ultima spedizione che aveva attraversato il blocco; e Maribella lo ostentava orgogliosamente come se fosse stata lei e non il capitano Butler a compiere quella bravata. "Come starei bene vestita così" pensò Rossella col cuore pieno di un invidia selvaggia. "Lei ha la vita larga come quella di una mucca. Quel verde è proprio il mio colore e darebbe risalto ai miei occhi. Perché diamine le bionde si arrischiano a mettere quel colore? Alla sua pelle dà la tinta del formaggio vecchio. E pensare che non potrò portarlo mai più, neanche quando mi toglierò il lutto! No; neanche se riesco a rimaritarmi. Mi toccherà portare il grigio, il tané, il viola; al massimo il lilla." Per un attimo considerò l'ingiustizia di tutto questo. Com'era breve il tempo di divertimento, dei bei vestiti, della danza, della civetteria! Solo pochi anni, troppo pochi! Poi ci si sposava e si portavano degli abiti scuri e malinconici; i bambini sciupavano la linea del corpo e la vita si ingrossava; si rimaneva a sedere negli angoli con altre donne serie e posate e ci si alzava solo a ballare col proprio marito o con qualche vecchio signore che vi pestava i piedi. Se non si faceva in questo modo, le altre signore sparlavano; la reputazione di una donna era rovinata e la sua famiglia messa al bando. Che sciupio di tempo, passar tutta l'infanzia ad imparare come si fa ad attrarre gli uomini e a conservarli, e poi godere di queste cognizioni solo per un anno o due! Considerando la sua educazione compiuta da Elena e da Mammy, si rendeva conto che era stata buona, perché aveva sempre dato ottimi risultati. Vi erano delle regole che bisognava seguire: se le seguivate vedevate coronati i vostri sforzi. Con le vecchie signore bisognava esser dolci e ingenue, perché le vecchie sono furbe e sorvegliano le ragazze con gelosia, come dei gatti, pronte a graffiare alla più piccola indiscrezione della lingua o degli occhi. Coi vecchi signori una ragazza doveva esser vivace e impertinente e quasi, ma non completamente, civetta; cosicché la vanità dei vecchi imbecilli veniva solleticata. Questo li ringiovaniva; allora vi pizzicavano le guance dicendo che eravate una birichina. In queste occasioni bisognava arrossire; altrimenti i pizzicotti sarebbero diventati più audaci e poi i signori avrebbero detto ai loro figliuoli che eravate una sfacciata. Con le ragazze e con le giovani spose dovevate essere tutta dolcezza, baciandole ogni volta che le vedevate, anche se ciò avveniva dieci volte al giorno, e metter loro il braccio intorno alla vita, sopportando che facessero altrettanto con voi, per quanto la cosa vi desse noia. Ammiravate il loro abito o il loro bimbo indifferentemente; le stuzzicavate parlando dei loro corteggiatori o le complimentavate per i loro mariti; e ridevate un po' scioccamente affermando con modestia che il vostro fascino era nulla a confronto del loro. E soprattutto, non dicevate mai quello che veramente pensavate su qualsiasi argomento; come esse non dicevano mai a voi i loro veri pensieri. Lasciavate in pace severamente i mariti delle altre donne, anche se un tempo erano stati vostri spasimanti e anche se vi piacevano. Se eravate troppo gentili coi mariti giovani, le mogli avrebbero detto che eravate una spudorata; era quello il modo di acquistare una cattiva reputazione e di non trovar più un corteggiatore. Ma coi giovanotti... ah, la cosa era ben diversa! Potevate ridere tranquillamente di loro, e quando venivano di corsa a chiedere perché ridevate, potevate rifiutare di dirglielo e ridere sempre più forte sfidandoli a indovinarne la ragione. Con gli occhi potevate promettere tutte le cose più eccitanti, sicché ciascuno cercava di manovrare in modo da trarvi sola in disparte. E quando qualcuno vi riusciva, allora dovevate essere molto molto offesa, o molto irritata se tentava di baciarvi. Lo costringevate a chiedervi perdono per essersi comportato come un villanzone e poi gli perdonavate così soavemente che egli vi rimaneva intorno cercando di baciarvi una seconda volta. A volte, ma non spesso, glielo permettevate. (Elena e Mammy non glielo avevano insegnato; ma lei sapeva che era una cosa di grande effetto). Allora vi mettevate a piangere e dichiaravate che non sapevate che cosa vi aveva sopraffatta e che eravate certa che egli non vi avrebbe mai più rispettata. Egli vi asciugava gli occhi e il più delle volte vi chiedeva di sposarlo, appunto per dimostrarvi quanto vi rispettava. E allora... oh, allora vi erano tanti modi di comportarsi coi giovanotti, ed ella li conosceva tutti: la sfumatura del lungo sguardo obliquo, il mezzo sorriso dietro al ventaglio, l'ancheggiare in modo che le gonne si allargassero come campane, la risata, l'adulazione, la dolce simpatia. Tutti questi armeggi non avevano mai mancato allo scopo... eccettuato con Ashley. No, non vi era ragione di imparare tutte queste manovre per servirsene così breve tempo e poi metterle in disparte per sempre. Come sarebbe bello non sposarsi mai, ma continuare a indossare dei bei vestiti verde pallido ed esser sempre corteggiata. Ma se si continuava per troppo tempo, si diventava delle zitelle come Lydia Wilkes; e tutti dicevano "poverina" con un tono di odiosa compassione. No; in fin dei conti era meglio maritarsi e conservare il rispetto di se stessa, anche se non ci si poteva divertire mai più. Ma che pasticcio era la vita! Perché lei era stata così idiota da sposare proprio Carlo e terminare così la sua vita a sedici anni? Il suo trasognamento indignato e disperato fu interrotto quando la folla cominciò ad ammassarsi lungo le pareti, con le signore che trattenevano i cerchi delle gonne per impedire che un urto le sollevasse mettendo in mostra più che non fosse corretto delle loro mutandine. Rossella si drizzò in punta di piedi al disopra della folla e vide il capitano della milizia che saliva sulla piattaforma dell'orchestra. Egli gridò un ordine e metà della compagnia si mise sull'attenti. Per qualche istante essi eseguirono una brillante esercitazione che provocò il sudore della loro fronte e le grida e gli applausi degli spettatori. Rossella batté le mani debitamente insieme agli altri e quando i soldati dopo avere avuto l'ordine del "rompete le righe" si sospinsero verso i banchi dove si distribuivano ponce e limonata, ella si volse verso Melania sentendo che era preferibile continuare il suo inganno sul conto della Causa il meglio possibile. - Belli, non è vero? - fece. Melania stava riordinando sul banco alcuni articoli di maglieria. - Molti di loro starebbero assai meglio in uniforme grigia e in Virginia - rispose senza curarsi di abbassare la voce. Parecchie madri, orgogliose dei loro figliuoli che erano nella milizia, udirono l'osservazione. La signora Guinan divenne scarlatta e poi pallida, perché il suo venticinquenne Guglielmo era nella compagnia. Rossella fu sbalordita nell'udire simili parole da Melly e dinanzi a tutti. - Melly! - esclamò. - Sai benissimo che è vero, Rossella. Non parlo dei ragazzi e dei vecchi. Ma vi sono nella milizia molti che potrebbero tenere in mano un fucile; ed è ciò che dovrebbero fare in questo momento.- - Ma... ma... - cominciò Rossella che non aveva mai pensato a questo - qualcuno deve pur rimanere a casa per... - Che diamine le aveva detto Guglielmo Guinan per giustificare la sua presenza in Atlanta? Qualcuno deve pur rimanere a casa per proteggere lo Stato da un'invasione.- Nessuno ci ha invaso e nessuno ci invaderà - replicò freddamente Melania, guardando verso il gruppo della milizia. - E il miglior mezzo per tenere lontani gli invasori è andare in Virginia a battere gli yankees. Quanto alla storia che la milizia deve impedire una sollevazione dei negri... è la cosa più sciocca che io abbia mai udita. Perché dovrebbe sollevarsi il nostro popolo? E' un'ottima scusa, questa, per i codardi. Scommetto che sconfiggeremmo gli yankees in un mese se la milizia di tutti gli Stati andasse a combattere. Ecco!- Ma Melly! - esclamò di nuovo Rossella guardandola sbalordita. Gli occhi neri di Melania ardevano di collera. - Mio marito non ha avuto paura di andare e neanche il tuo. E preferirei che fossero morti tutti e due piuttosto che vederli qui a casa... Oh, cara, perdonami! Come sono crudele e imprudente! Afferrò il braccio di Rossella come per scusarsi e quella la fissò. Ma in quel momento non pensava a Carlo morto. Pensava ad Ashley. Se morisse anche lui? Si volse in fretta e sorrise automaticamente al dottor Meade che si avvicinava al loro banco. - Brave, figliuole - fece salutandole. - Siete state molto gentili a venire. So che per voi è stato un sacrificio; ma tutto si fa per la Causa. Ora vi dirò un segreto. Ho trovato un modo per fare parecchio denaro per l'ospedale; ma temo che qualche signora sarà scandalizzata.Si fermò e ridacchiò mentre si grattava la barbetta caprina. - Che cosa? Ditecelo, siate buono! - Veramente è meglio farvelo indovinare. Ma voialtre ragazze dovrete difendermi, se i membri della chiesa propongono di espellermi dalla città per questo. Del resto, è per l'ospedale. Vedrete. Non è mai stato fatto niente di questo genere.Proseguì pomposamente verso un gruppo di accompagnatrici in un angolo e proprio mentre le due giovani si volgevano l'una all'altra per discutere sulle possibilità di quel segreto, ecco avvicinarsi due vecchi signori i quali dichiararono ad alta voce che desideravano dieci metri di merletto. "Beh, meglio vecchi che niente" pensò Rossella misurando il merletto e rassegnandosi pudicamente ad essere accarezzata sotto il mento. I vecchi si rivolsero poi verso il banco dei rinfreschi ed altri presero il loro posto. Il loro banco non aveva tanti clienti come gli altri, dove risuonavano la risata squillante di Maribella Merriwether e la risatina sommessa di Fanny Elsing e le allegre risposte delle ragazze Whiting. Melly vendeva oggetti inutili ad uomini che non sapevano che cosa farne, tranquilla e serena come una negoziante, e Rossella modellava il suo contegno su quello della cognata. Dinanzi a tutti i banchi, eccettuato il loro, era una folla di ragazze che ciarlavano e di uomini che compravano. I pochi che si avvicinavano al loro banco parlavano della propria camerateria universitaria con Ashley, dicevano che era un bravo soldato, oppure accennavano rispettosamente a Carlo, affermando che la sua morte era stata una grande perdita per Atlanta. Quindi la musica attaccò il ritmo irregolare di "Johnny Booker, aiuta i negri!" e Rossella ebbe voglia di urlare. Desiderava ballare. Ne sentiva il bisogno. Guardò il pavimento e batté i piedi in cadenza; i suoi occhi ardevano di una fiamma verde. Attraverso la sala un uomo, appena arrivato e ancora fermo sulla soglia della porta, li vide, sussultò riconoscendoli e osservò più attentamente quegli occhi dal taglio obliquo nel volto caparbio e ribelle. Quindi ghignò fra sé riconoscendo l'invito che qualsiasi uomo avrebbe potuto leggervi. Era vestito di panno nero; alto in modo da superare tutti gli ufficiali che gli erano accanto, con le spalle larghe ma la vita sottile, e dei piedi assurdamente piccoli nelle scarpe verniciate. Il suo abito severo, con la camicia finemente pieghettata e i calzoni elegantemente allacciati sotto le uose molto alte, contrastava stranamente col suo volto e con la sua figura; appariva tutto agghindato, con gli abiti di un "dandy" su un corpo da atleta, e segretamente pericoloso sotto la sua graziosa indolenza. Aveva i capelli nerissimi e i baffi piccolini erano anch'essi neri, tagliati corti come quelli di uno straniero in paragone a quelli lunghi e sfioccati degli ufficiali di cavalleria che gli erano accanto. Sembrava, ed era, un uomo di appetiti viziosi e svergognati. Aveva un aspetto di sicurezza e di spiacevole impertinenza; vi era anche un lampo di malizia nei suoi occhi che fissavano audacemente Rossella, finché questa, sentendo finalmente il suo sguardo, si volse verso di lui. Ebbe l'impressione di riconoscerlo, pur non riuscendo dapprima a ricordare chi fosse. Ma era il primo uomo che, da molti mesi, le mostrasse un certo interesse; perciò gli sorrise gaiamente. Rispose con un piccolo cenno al suo inchino; ma quando egli mosse verso di lei con una singolare andatura, flessuosa come quella degli indiani, ella portò la mano alla bocca con un gesto d'orrore, riconoscendolo. Rimase paralizzata, come colpita dal fulmine, mentre egli si apriva un varco attraverso la folla. Quindi si voltò, pronta a fuggire nella sala dei rinfreschi; ma la sua gonna si impigliò in un chiodo del banco. La tirò furiosamente, lacerandola; ma intanto egli era giunto accanto a lei. - Permettete - disse chinandosi a staccare delicatamente il volano. - Non speravo che vi ricordaste di me, miss O'Hara.La sua voce suonò bizzarramente piacevole al suo orecchio; era la voce ben modulata di un signore, sonora e col leggero accento strascicato di Charleston. Ella lo fissò implorante, col volto che si era coperto di rossore al ricordo del loro ultimo incontro, e si trovò di fronte gli occhi più neri che avesse mai visto, che brillavano di una gaiezza spietata. Fra tutti gli uomini del mondo che avrebbero potuto capitare in quel luogo, bisognava che fosse proprio quel tremendo individuo che aveva assistito a quella scena con Ashley che le dava tuttora degli incubi; quell'odioso mascalzone che rovinava le fanciulle e non era ricevuto dalle persone perbene; quell'uomo spregevole che aveva detto, e con ragione, che lei non era una signora. Al suono di quella voce Melania si volse e, per la prima volta in vita sua, Rossella ringraziò il cielo per l'esistenza di sua cognata. - Ma... è il signor Butler, non è vero? - E Melania sorrise lievemente tendendogli la mano. - Vi ho conosciuto...- Nella felice circostanza dell'annunzio del vostro fidanzamento- la interruppe egli chinandosi a baciarle la mano. - Siete molto gentile a ricordarvi di me.- E che cosa fate così lontano da Charleston, Mister Butler? - Affari, Mrs Wilkes, e affari poco divertenti. Da ora in poi dovrò andare avanti e indietro dalla vostra città. Non soltanto debbo portar dentro le merci, ma anche sorvegliare come vengono distribuite.- Portar dentro... - cominciò Melania aggrottando la fronte; e subito dopo ebbe un sorriso di piacere.Ma allora... voi siete il famoso capitano Butler di cui ho sentito tanto parlare... quello che attraversa il blocco! Figuratevi, tutte le ragazze qui dentro indossano abiti che sono stati introdotti da voi. Rossella, non sei emozionata... Che hai, tesoro? Ti senti male? Siedi...Rossella piombò sulla sedia, respirando così affannosamente che ebbe paura che le stringhe del suo busto si rompessero. Oh, che cosa tremenda! Non aveva mai pensato di poter nuovamente incontrare quell'uomo. Egli prese dal banco il suo ventaglio nero e cominciò a sventolarla con sollecitudine, troppa sollecitudine; il suo volto era grave ma gli occhi brillavano ancora maliziosamente. - Fa troppo caldo qui - disse poi. - Non fa meraviglia che miss O'Hara si senta poco bene. Volete che vi accompagni a una finestra? - No. - Il monosillabo fu pronunciato con tanta durezza che Melly la guardò stupita. - E' un pezzo che non è più miss O'Hara - riprese poi Melania.- E' la signora Hamilton.. mia cognata. - E le lanciò un breve sguardo affettuoso. Rossella si sentì soffocare vedendo l'espressione del bruno volto di pirata del capitano Butler. - Sono sicuro che è una gioia per entrambe queste graziose signore replicò questi con un lieve inchino. - Era l'osservazione che facevano tutti gli uomini; ma detta da lui, a Rossella sembrò che significasse proprio il contrario. - Immagino che i vostri mariti siano qui stasera, in questa lieta occasione? Sarebbe un piacere per me rinnovarne la conoscenza.- Mio marito è in Virginia - rispose Melania alzando fieramente la testa. - Ma Carlo... - La sua voce si spezzò. - E' morto al campo - disse Rossella con voce atona. Quasi masticò le parole. Oh, non se ne andava mai quell'uomo? Melly la guardò stupita e il capitano ebbe un gesto di rimprovero verso se stesso. - Care signore.. non immaginavo...! Dovete perdonarmi. Ma permettete a un estraneo di dirvi che morire per il proprio paese e vivere per sempre.Melania gli sorrise attraverso le lacrime, mentre Rossella sentì dentro di sé un impeto di collera e d'odio impotente. Egli aveva nuovamente fatto un'osservazione gentile, il complimento che qualunque gentiluomo avrebbe fatto in simili circostanze; ma certo senza pensarne neanche una parola. Si burlava di lei. Sapeva che ella non aveva amato Carlo. E Melly era tanto sciocca da non capire quello che vi era sotto le sue parole. "Dio mio, speriamo che nessuno lo capisca!" pensò con un sobbalzo di terrore. Avrebbe detto quello che sapeva? Certo non era un gentiluomo; e perciò sarebbe stato capacissimo di spiattellare ogni cosa. Lo guardò e vide che la sua bocca era un po' abbassata agli angoli con beffarda simpatia, mentre egli continuava ad agitare il ventaglio. Qualche cosa in quell'espressione fu per lei come una sfida e le fece tornare le forze in un impeto di antipatia. bruscamente gli strappò di mano il ventaglio. - Sto benissimo - disse sgarbatamente. - E' inutile sventolarmi per scompigliarmi i capelli.- Rossella, cara! Capitano, dovete scusarla. Non è... E' fuori di sé quando sente parlare di Carlo... e forse non saremmo dovute venire qui stasera. Siamo ancora in lutto, come vedete; e per lei è uno sforzo...tutta questa gaiezza e la musica... povera figliuola! - Capisco - rispose egli con studiata gravità; ma nel rivolgere a Melania uno sguardo che penetrò fino in fondo nei suoi dolci occhi turbati, la sua espressione mutò. Sul suo volto bruno si dipinse il rispetto e una certa gentilezza. - Credo che siate una piccola donna molto coraggiosa, Mrs. Wilkes.“E non una parola per me!” disse fra sé, indignata, Rossella, mentre Melly sorrideva un po' confusa e rispondeva: - Oh Dio, no, capitano Butler! Il comitato dell'ospedale ci ha pregate di tenere questo banco perché all'ultimo momento... Un copricuscino? Eccone uno graziosissimo, con la bandiera.Si volse a tre soldati di cavalleria che si erano avvicinati al banco. Per un momento, Melania pensò che il capitano Butler era molto gentile. Poi si augurò che qualche cosa di più sostanziale che la tarlatana fosse tra il suo abito e la sputacchiera che era di fianco al banco, perché la mira dei soldati con la bocca piena di tabacco masticato non era così esatta come quella che essi dimostravano con le loro pistole. Quindi dimenticò il capitano, Rossella e la sputacchiera, perché nuovi clienti circondavano il banco. Rossella era rimasta tranquillamente seduta a sventagliarsi, senza osare alzare gli occhi e augurandosi di vedere il capitano sulla tolda della sua nave. - Vostro marito è morto da un pezzo? - Oh sì. Quasi da un anno.- Un'eternità, naturalmente.Rossella non ne era ben certa; ma sulla qualità adescatrice quella voce non potevano esservi dubbi. Comunque, non rispose. - Siete stata maritata per molto tempo? Perdonate la mia domanda, ma sono stato a lungo assente da questi luoghi.- Due mesi - rispose Rossella involontariamente. - Una vera tragedia - proseguì la voce tranquilla. "Che Dio lo maledica" pensò Rossella con violenza. "Se fosse un altro uomo non farei altro che prendere un'aria glaciale e congedarlo. Ma egli sa di Ashley e sa che non amavo Carlo. Ed ho le mani legate." Non rispose e guardò il suo ventaglio. - E questa è la vostra prima comparsa in società? - So che la cosa può sembrare strana - si affrettò a spiegare.- Ma le ragazze McLure che dovevano vendere a questo banco son dovute partire e non vi era nessun altro; quindi Melania ed io...- Nessun sacrificio è troppo grande per la Causa.Strano: le stesse parole della signora Elsing. Ma quando le aveva pronunciate lei, le erano sembrate tutte diverse. Le salì alle labbra una risposta bruciante ma la inghiottì. Dopo tutto, lei si trovava colà non per la Causa ma perché era stanca di stare in casa. - Ho sempre pensato - aveva ripreso il capitano riflessivamente- che il sistema del lutto e di imprigionare le donne nel crespo per il resto della vita impedendo loro le gioie più naturali, è tanto barbaro quanto il "sutti" indiano.- Il "sutti"?L'uomo rise ed ella arrossì della propria ignoranza. Detestava le persone che usavano parole che le erano sconosciute. - In India quando un uomo muore, lo bruciano invece di seppellirlo; e sua moglie si arrampica sul rogo funerario e viene arsa con lui.- - Che cosa orribile! E perché lo fanno? La polizia non lo impedisce? - No davvero. Una donna che non si facesse bruciare insieme al proprio marito sarebbe socialmente una fuori casta. Tutte le donne indù di una certa importanza parlerebbero di lei perché non si è comportata come deve una donna ben nata... precisamente come quelle degne signore in quell'angolo parlerebbero di voi se stasera foste apparsa qui vestita di rosso e se vi metteste a dirigere una danza. Personalmente io ritengo il "sutti" un uso molto più misericordioso che il nostro simpatico costume meridionale che seppellisce vive le vedove.- Come osate dire che io sono una sepolta viva! - Come ci tengono le donne alle catene che le imprigionano! Voi ritenete barbaro il costume indù... ma avreste avuto il coraggio di apparire qui questa sera se la Confederazione non avesse avuto bisogno di voi?Gli argomenti di questo genere confondevano sempre Rossella. Questo poi la confondeva doppiamente perché ella aveva una vaga idea che contenesse un fondo di verità. Ma adesso era venuto il momento di prendere la rivincita. - E' naturale che non sarei venuta. Sarebbe stato... oltre che irrispettoso... si sarebbe potuto credere che io non am...Gli occhi di lui attesero le sue parole con un'espressione cinicamente divertita; ed ella non riuscì a proseguire. Egli sapeva che Rossella non aveva amato Carlo, e non le consentiva di fingere i bei sentimenti che non provava. Che cosa terribile, terribile, aver a che fare con un individuo che non era un gentiluomo! Un gentiluomo aveva sempre l'aria di credere a una signora, anche quando sapeva che mentiva. Questa era la cavalleria del Sud. Il sesso forte obbediva alle regole e diceva soltanto le cose corrette, cercando di render facile la vita alle signore. Ma costui sembrava che non si curasse in alcun modo delle regole ed evidentemente si divertiva a parlar di cose di cui nessuno parlava mai. - Attendo con ansia.- Siete detestabile - disse ella smarrita, abbassando gli occhi. Egli si appoggiò sul banco chinandosi finché la sua bocca fu accanto al suo orecchio e bisbigliò, in un'ottima imitazione del tiranno che si vedeva a volte sulle scene: - Non temete, bella signora! Il vostro colpevole segreto è chiuso nel mio cuore.- Oh, - mormorò Rossella febbrilmente - come potete dire una cosa simile? -L'ho fatto per tranquillizzarvi. Che cosa volete che vi dica "Siate mia, o bella, altrimenti rivelerò ogni cosa?"Ella incontrò involontariamente i suoi occhi e vide che erano canzonatori come quelli di un bambino. E allora rise. Dopo tutto la situazione era buffa. Anch'egli rise, e così forte che alcune delle signore che erano nell'angolo si voltarono a guardare. Vedendo che la vedova di Carlo Hamilton si divertiva, o sembrava divertirsi con un estraneo, avvicinarono le teste, disapprovando. Vi fu un rullo di tamburo e molte voci fecero: "sst!" mentre il dottor Meade saliva sulla piattaforma e allargava le braccia invitando al silenzio.. - Tutti dobbiamo esprimere la nostra gratitudine alle gentili signore i cui sforzi patriottici ed instancabili hanno fatto di questa vendita non solo un successo finanziario, ma hanno anche trasformato questa rozza sala in un ritrovo di bellezza, in un giardino adatto ai meravigliosi boccioli di rosa che mi vedo intorno.Tutti applaudirono. - Le signore hanno dato tutto ciò che potevano; non solo il loro tempo ma anche il lavoro delle loro mani, e i graziosi oggetti che si trovano esposti sui banchi, sono ancor più belli essendo stati eseguiti dalle mani delicate delle nostre donne.Vi furono applausi anche più rumorosi e Rhett Butler che era appoggiato negligentemente al banco accanto a Rossella, mormorò: - Com'è vanitoso quel capretto, non è vero?Sbalordita e inorridita per questa mancanza di rispetto verso il più amato cittadino di Atlanta, essa lo guardò con riprovazione. Ma il dottore aveva veramente l'aspetto di una capra, con la barbetta grigia che si agitava ad ogni parola; per cui ella represse a stento una risata. - Ma tutto questo non basta. Le buone signore del comitato ospedaliero, le cui mani fresche hanno accarezzato molte fronti sofferenti e strappati agli artigli della morte molti bravi figliuoli, feriti per la più santa delle cause, conoscono le nostre necessità. Non le enumererò. Abbiamo bisogno di denaro per provvedere al rifornimento dei medicinali che vengono dall'Inghilterra; e stasera abbiamo qui con noi l'intrepido capitano che con tanto successo attraversa il blocco da un anno e che lo attraverserà per portarci le medicine che ci occorrono. Il capitano Rhett Butler!Benché preso alla sprovvista, questi fece un grazioso inchino. Troppo grazioso, pensò Rossella cercando di analizzarlo. Era quasi come se egli esagerasse in cortesia, proprio a causa del grande disprezzo che nutriva per tutti i presenti. Vi fu uno scoppio di applausi e un gran rigirarsi da parte delle signore che erano nell'angolo. Era dunque con quello che la vedova del povero Carlo Hamilton chiacchierava! E Carletto era morto appena da un anno! - Abbiamo bisogno di altro denaro ed io ve lo chiedo - continuò il dottore. - Chiedo un sacrificio, che però è molto piccolo a paragone di quelli che compiono i nostri uomini in uniforme grigia. Signore, desidero i vostri gioielli. Li desidero io? No, è la Confederazione che ve li chiede, e so che nessuna rifiuterà. Come è bello l'effetto di una gemma su un bel polso! Come scintillano le spille d'oro sul seno delle nostre patriottiche dame! Ma quanto è più bello il sacrificio di tutto l'oro e di tutte le gemme d'oriente! L'oro sarà fuso e le pietre vendute; e il denaro, adoperato per comprare medicinali e altri generi di massima necessità. Signore, due dei vostri valorosi feriti passeranno fra voi coi cestini e... - ma il resto del discorso si perse nello scroscio di applausi e di voci. Il primo pensiero di Rossella fu di profonda gratitudine perché il lutto le impediva di portare i preziosi pendenti e la pesante catena d'oro che era stata della nonna Robillard, e i braccialetti d'oro e smalto nero e la spilla di granate. Vide il piccolo zuavo con un cestello sotto il braccio sano, che faceva il giro della folla, dalla parte della sala dove lei si trovava, e vide le donne giovani e vecchie, ridenti e agitate, che si sfilavano i braccialetti e si toglievano gli orecchini fingendo di farsi male alle orecchie, aiutandosi l'una con l'altra a slacciarsi le collane e a spuntarsi le spille. Vi fu un leggero tintinnar di metalli ed esclamazioni di: Aspettate, aspettate, sono riuscita ad aprire la molla! Eccolo! - Maribella Merriwether si stava togliendo i suoi bei braccialetti gemelli da sopra e sotto il gomito. Fanny Elsing, gridando: - Mamma, posso? - si stava togliendo dai riccioli l'ornamento di perline montate in oro pesante che era nella famiglia da parecchie generazioni. Ad ogni offerta che cadeva nel cestino le grida e gli applausi raddoppiavano. Il piccolo uomo sorridente giungeva adesso accanto al loro banco, col cestino che già pesava sul braccio; mentre passava davanti a Rhett Butler, un bel portasigari d'oro fu gettato incurantemente fra gli altri oggetti. Quando giunse dinanzi a Rossella e posò il cestino sul banco, ella crollò la testa mostrandogli le mani aperte per fargli comprendere che non aveva nulla da dare. Era imbarazzante essere l'unica persona che non dava nulla, e in quell'istante vide brillare al suo dito la larga vera d'oro. Per un attimo cercò di ricordare il volto di Carlo, com'era quando glie l'aveva infilata al dito, ma la sua memoria era offuscata; offuscata dal subitaneo senso d'irritazione che il ricordo di lui le dava sempre. Carlo... era lui la ragione per cui la vita era finita per lei, per cui essa era una vecchia donna. Con un rapido gesto afferrò l'anello, ma questo aderiva. Lo zuavo si muoveva verso Melania. - Aspettate! - esclamò Rossella. - Ho una cosa per voi! - L'anello uscì dal dito e mentre ella lo gettava nel cestino pieno di catene, orologi, anelli, spille e braccialetti, incontrò lo sguardo di Rhett Butler. Le sue labbra erano piegate ad un lieve sorriso. Con atto di sfida lo lasciò cadere sul mucchio delle offerte. - Oh, cara! - sussurrò Melly afferrandole il braccio, con gli occhi splendenti di amore e di orgoglio. Brava, coraggiosa figliola! Aspettate... vi prego, luogotenente Picard, aspettate! Anch'io ho qualche cosa per voi.Si stava sfilando anche lei l'anello nuziale, quell'anello che Rossella sapeva non aver mai lasciato il suo dito da quando Ashley glie lo aveva posto. Meglio di chiunque, ella sapeva che cosa significava quell'anello per Melania. Uscì con difficoltà e per un breve istante rimase stretto nel piccolo pugno. Quindi fu posato dolcemente sul mucchio di gioielli. Le due fanciulle rimasero a guardare lo zuavo che muoveva verso il gruppo di signore anziane, Rossella con aria di sfida, Melania con un'espressione più dolorosa che se avesse pianto. E nessuna delle due espressioni andò perduta per l'uomo che era accanto a loro. - Se non avessi avuto tu il coraggio di farlo, io non ne sarei stata capace - disse Melly mettendo un braccio attorno alla cintura di Rossella e stringendola dolcemente. Per un attimo Rossella ebbe il desiderio di respingerla e di gridare: "In nome di Dio!" con tutta la forza dei suoi polmoni, come faceva Geraldo quand'era irritato. Ma vide lo sguardo di Rhett Butler, e riuscì ad atteggiare le labbra ad un sorriso agrodolce. Era spiacevole che Melly fraintendesse sempre i motivi che la spingevano ad agire... ma forse sarebbe stato peggio se avesse sospettato la verità. - Un bel gesto - mormorò dolcemente Butler. - Sono i sacrifici come il vostro che rinsaldano il cuore dei nostri valorosi ragazzi in grigio.Parole ardenti le salirono alle labbra; ella le ringhiottì con difficoltà. In tutto ciò che egli diceva si sentiva la canzonatura. E Rossella lo trovava singolarmente antipatico, vedendolo lì appoggiato negligentemente al loro banco. Ma in lui era peraltro qualche cosa di stimolante: qualcosa di vitale, di elettrizzante. Tutto quanto vi era in lei di irlandese si ridestò, alla sfida di quegli occhi neri. Decise quindi di fare abbassare alquanto la cresta a quell'uomo. La sua conoscenza del di lei segreto gli dava un vantaggio esasperante; bisognava dunque trovar modo di metterlo al di sotto. Dominò l'impulso di dirgli schiettamente ciò che pensava di lui. Si prendono più mosche con lo zucchero che con l'aceto, come diceva spesso Mammy, e lei si disponeva adesso ad acchiappare e sottomettere quel moscone in modo che egli non potesse più averla in suo dominio. - Grazie - gli rispose dolcemente, fraintendendo deliberatamente la sua ironia. - Un complimento come questo, da una celebrità come il capitano Butler è davvero prezioso.Egli gettò indietro il capo e rise francamente; “abbaiò” pensò Rossella con asprezza, mentre il rosso le tornava sul volto. - Perché non dite quello che pensate veramente? - le chiese egli abbassando la voce in modo che, nel vocio generale, giunse soltanto alle sue orecchie. - Perché non dite che sono un fiero mascalzone e non sono un signore, e che debbo andarmene o mi farete cacciar via da uno di quei valorosi giovinotti in uniforme? La risposta aspra era già sulla punta della sua lingua; ma dominandosi eroicamente, Rossella replicò: Macché, capitano Butler! Come correte! Come se tutti ignorassero che siete famoso, che siete coraggioso e che... che...- Sono deluso sul vostro conto.- Deluso? - Sì. In occasione del nostro primo fausto incontro avevo supposto di aver finalmente trovato una ragazza che fosse non soltanto bella, ma anche coraggiosa. Ora vedo che siete soltanto bella. - Vorreste dirmi che sono codarda? - Si agitava come una gallina. - Precisamente. Vi manca il coraggio di dire quello che sentite. Quando vi conobbi, pensai: questa è una ragazza come ce n'è una in un milione. Non è come quelle altre stupidine che credono a tutto ciò che le mamme e le bambinaie dicono, e agiscono in conseguenza, quali che siano i loro sentimenti. E nascondono sentimenti e desideri e piccoli dolori sotto una quantità di parole gentili. Pensai: “Miss O'Hara è una ragazza di uno spirito raro. Sa che cosa vuole e non ha riguardo a dire quel che le passa per la mente... o a gettare dei portafiori.”- Oh! - esclamò ella lasciandosi vincere dall'ira. - Allora vi dirò proprio quello che penso. Se aveste avuto un briciolo di superiorità non vi sareste avvicinato a parlare con me. Avreste compreso che desideravo non avervi mai più sotto gli occhi! Ma non siete un gentiluomo! Siete un individuo villano e ripugnante. E siccome le vostre luride e piccole navi riescono a passare sotto il naso agli yankees, voi credete di avere il diritto di venire qui a beffarvi di uomini coraggiosi e di donne che sacrificano tutto per la Causa...- Basta, basta, - pregò egli con un sorriso. - Siete partita ottimamente, dicendo quel che pensavate; ma ora non cominciate a parlarmi della Causa. Sono stufo di sentirne parlare e scommetto che lo siete anche voi...- Ma come potete... - ricominciò Rossella perdendo il controllo; quindi si trattenne subito, irritatissima contro se stessa per essere caduta in quella trappola. - Ero sulla soglia della porta prima che voi mi vedeste e osservavo le altre giovani. Sembrava che il volto di tutte fosse fuso in uno stesso modello. Il vostro no. Voi avete un viso sul quale si legge facilmente. Eravate svagata e potrei garantire che non pensavate né alla Causa né all'ospedale. Sul vostro volto era scritto che desideravate ballare, divertirvi, e che non potevate. Ed eravate furibonda di questo. Ditemi la verità. Ho ragione? - Non ho altro da dirvi, capitano Butler - ella rispose il più cerimoniosamente possibile, cercando di raccogliere attorno a sé i brandelli della propria dignità. - Pavoneggiatevi quanto vi pare perché siete il "grande sforzatore del blocco" ma astenetevi dall'insultare le donne.- Il "grande sforzatore del blocco"! E' uno scherzo. Vi prego di darmi ancora un attimo del vostro tempo prezioso prima di sprofondarmi nelle tenebre. Non vorrei che una così graziosa patriota facesse un errato apprezzamento su quello che è il mio contributo alla Causa della Confederazione.- Non tengo affatto ad ascoltare le vostre vanterie.- Il blocco per me è un affare che mi fa guadagnare dei quattrini. Quando non mi renderà più lo abbandonerò. Che ve ne pare? - Penso che siete un mascalzone mercenario... proprio come gli yankees.- Infatti - sogghignò il capitano. - E gli yankees mi aiutano a far quattrini. Figuratevi che il mese scorso ho ancorato la mia nave proprio nel porto di Nuova York per caricare della mercanzia.- Come? - esclamò Rossella eccitata e interessata suo malgrado.- E non vi hanno sparato addosso? - Povera innocente! Neppur per sogno. Vi sono nell'Unione molti bravi patrioti che non sono affatto alieni dal guadagnare del denaro vendendo merci alla Confederazione. Io ancoro la mia nave dinanzi a Nuova York, compro dalle ditte yankee (naturalmente per contanti) e me ne vado. E quando la cosa diventa un po' pericolosa, vado a Nassau, dove gli stessi bravi patrioti hanno portato per me munizioni e articoli di moda. È più comodo che andare in Inghilterra. A volte non è tanto facile riuscire a penetrare a Charleston o a Wilmington....Ma non potete immaginare come si arriva lontani con un po' di denaro...- Oh, sapevo che gli yankees erano abietti; ma ignoravo...- Perché sofisticare sugli yankees che guadagnano onestamente qualche quattrinello vendendo il loro Paese? Fra cento anni nessuno se ne ricorderà più. E il risultato sarà lo stesso. Essi sanno che la Confederazione sarà battuta: perché non dovrebbero guadagnarci sopra? - Battuti... noi? - Senza dubbio.- Volete farmi il favore di lasciarmi... o dovrò chiamare la mia carrozza e andarmene a casa per liberarmi di voi? - Un'ardente piccola ribelle - fece egli con un altro sogghigno. Si inchinò e si allontanò lasciandola ansimante di indignazione e di collera impotente. In lei era un amaro dispetto che non riusciva ad analizzare; simile a quello di un bimbo che vede crollare una sua illusione. Come aveva osato, colui, oscurare la gloria di quelli che attraversavano il blocco e come osava dire che la Confederazione sarebbe battuta? Bisognava fucilarlo per questo; fucilarlo come un traditore. Si guardò attorno e vide i visi noti, così sicuri del successo, così coraggiosi, così devoti; un piccolo brivido freddo le passò attraverso il cuore. Battuti? Ah no; non costoro! Certamente no! Il solo pensarlo era impossibile e sleale. - Che cosa stavate mormorando? - chiese Melania volgendosi a lei appena i suoi clienti si furono allontanati. - Ho visto che la signora Merriwether non ti lasciava con gli occhi; e sai che ha la lingua lunga...- Ah, quell'uomo è insopportabile! Un vero villanzone! rispose Rossella. - Quanto alla vecchia Merriwether, lascia pure che parli. Sono stufa di far la bambina per suo uso e consumo.- Ma via, Rossella! - esclamò Melania scandalizzata. - Ssst! - fece Rossella. -Il dottor Meade sta per fare un altro discorso.Il chiacchiericcio si interruppe nuovamente e la voce del dottore si alzò ancora una volta, prima di tutto per ringraziare le signore che avevano dato così volenterosamente i loro gioielli. - Ed ora, signore e signori, vi proporrò una sorpresa: un'innovazione che forse potrà urtare qualcuna di voi. Ma vi prego di considerare che tutto ciò si fa per l'ospedale e a beneficio dei nostri giovani feriti o ammalati.Tutti si tesero in avanti cercando di immaginare che cosa avrebbe potuto proporre il dottore, un uomo così serio. - Stanno per cominciare le danze; e il primo numero, senza dubbio sarà una danza scozzese, un reel seguito da un valzer. Le danze seguenti, polke, mazurke e scottish, saranno precedute da brevi reels (1). Conosco la gentile rivalità per condurre bene i reels, e perciò...- Il dottore inarcò le sopracciglia e lanciò uno sguardo canzonatorio verso l'angolo dove sua moglie sedeva insieme alle signore anziane. -Se voi, signori, desiderate condurre un reel con la dama di vostra scelta, dovete concorrere in un'asta di cui io sarò il banditore. Le dame saranno aggiudicate ai migliori offerenti e il ricavato andrà all'ospedale.I ventagli si fermarono improvvisamente e la sala fu attraversata da un'ondata di mormorii eccitati. L'angolo delle signore era in pieno tumulto e la signora Meade, desiderosa di sostenere suo marito in un'azione che in cuor suo disapprovava, si trovava in assoluto svantaggio. Le signore Elsing, Merriwether e Whiting erano rosse d'indignazione. Ma improvvisamente la Guardia Nazionale lanciò un'evviva che fu seguito da tutti i presenti. Le ragazze batterono le mani e saltarono eccitate. - Non ti pare che sia... che sia... come una piccola asta di schiavi? - sussurrò Melania, guardando incerta il bellicoso dottore che fino ad ora le era sempre apparso perfetto. Rossella non disse nulla, ma i suoi occhi brillarono e il suo cuore fu contratto da una pena leggera. Se almeno non fosse stata una vedova! Se fosse ancora Rossella O'Hara, con un abito verde mela guarnito di velluto verde scuro, e delle tuberose nei capelli neri... sarebbe lei a condurre quella danza. Sì, senza dubbio. Vi sarebbero una dozzina di uomini a battersi per lei e a pagare al dottore delle belle cifre. Oh, dover sedere qui a far da tappezzeria contro la sua volontà e vedere Fanny o Maribella condurre la danza come la più bella ragazza di Atlanta! Al di sopra del tumulto risuonò la voce del piccolo zuavo col suo accento creolo: - Se posso... venti dollari per Miss Maribella Merriwether.Maribella si nascose arrossendo dietro la spalla di Fanny e le due fanciulle celarono il volto ognuna nel collo dell'altra ridacchiando mentre altre voci cominciavano a gridare altri nomi ed altre cifre. Il dottor Meade aveva ricominciato a sorridere, ignorando completamente i bisbigli indignati che venivano dalle signore del Comitato ospedaliero. Da principio la signora Merriwether aveva dichiarato fermamente e ad alta voce che la sua Maribella non avrebbe mai partecipato ad una simile gara; ma poiché il nome di sua figlia veniva gridato sempre più spesso e la cifra aveva già superato i settantacinque dollari, le proteste cominciarono a diminuire. Rossella teneva i gomiti appoggiati al banco e guardava quasi ferocemente la folla eccitata che rideva affollandosi attorno alla piattaforma con le mani piene di banconote della Confederazione. Ora tutte ballerebbero, tranne lei e le vecchio signore. Tutti si divertirebbero, meno lei. Vide Rhett Butler dietro il dottore, e prima che potesse mutare l'espressione del suo volto, egli la scorse e abbassò un angolo della bocca sollevando un sopracciglio. Ella sollevò il mento e si volse altrove. In quel momento udì il proprio nome... pronunciato da un'inconfondibile voce charlestoniana che superò il frastuono. - Mrs. Carlo Hamilton... centocinquanta dollari... in oro. Un improvviso zittio attraversò la folla all'udire la somma e il nome. Rossella fu così sbalordita che non riuscì neanche a muoversi. Rimase seduta col mento fra le mani e gli occhi spalancati di meraviglia. Tutti si volsero a guardarla. Ella vide il dottore curvarsi sulla piattaforma e mormorare qualche cosa a Butler. Probabilmente gli diceva che essa era in lutto e non poteva ballare. Ma Rhett crollò le spalle incurante. - Forse un'altra delle nostre bellezze? - suggerì il dottore. - No - rispose Rhett ostinato, guardando la folla. - Mrs Hamilton.- Vi dico che è impossibile - insistette il dottore. - Mrs Hamilton non vorrà...La voce di Rossella le uscì di bocca quasi senza sua volontà, irriconoscibile. - Sì, son pronta!Balzò in piedi col cuore che le martellava così violentemente che temette di non potersi reggere; l'eccitazione di esser nuovamente il centro dell'attenzione, di esser la più desiderata e soprattutto! - la prospettiva di ballare... - Non me ne importa! Non m'importa quello che diranno! - mormorò trascinata da una specie di follia. Drizzò la testa e uscì dal banco battendo i tacchi come nacchere e tenendo il suo ventaglio nero completamente spiegato. Per un attimo scorse il volto incredulo di Melania, l'espressione delle vecchie signore, le fanciulle petulanti, i soldati che approvavano con entusiasmo. Quindi si trovò in mezzo alla sala e vide Rhett Butler che avanzava verso di lei, fra due ali di folla, col suo beffardo e detestabile sorriso. Ma non gliene importava... Stava per ballare... Per condurre il reel. Gli rivolse un piccolo cenno e un sorriso abbagliante; egli si inchinò con una mano sul petto. Levi, benché inorridito, si rimise rapidamente e urlò: - Scegliete le vostre dame!E l'orchestra intonò il reel più bello di tutti: "Dixie". -Come avete osato mettermi così in vista, capitano Butler? - Ma, cara Mrs. Hamilton, era così evidente che desideravate esserlo! - Come avete potuto gridare il mio nome così pubblicamente? - Avreste potuto rifiutare.- Ma... debbo alla Causa...Non potevo pensare a me stessa quando voi offrivate tanto denaro e in oro. Smettetela di ridere: tutti ci guardano.- Tanto, ci guardano lo stesso. Non cercate di darmela a bere, questa frottola della Causa. Voi desideravate ballare ed io ve ne ho dato la possibilità. Questa marcia è l'ultima figura del reel, non è vero? - Sì...Ora debbo smettere e sedermi.- Perché? Vi ho pestato un piede? - No... ma parleranno male di me.- Ve ne importa proprio... in cuor vostro? - Ma...- Non state commettendo nessun delitto, vero? Perché non ballereste il valzer con me? - Se la mamma venisse a...- Ancora legata al grembiale della mamma? - Avete un modo detestabile di far sembrare stupida ogni virtù.- Ma le virtù sono stupide. Che cosa v'importa se la gente chiacchiera ? - Niente... ma... Non ne parliamo più. Per fortuna, ora comincia il valzer. Il reel mi lascia sempre senza fiato.- Non eludete la mia domanda. Vi è mai importato nulla di quello che dicono le altre donne? - Oh, se debbo proprio esser sincera... no! Ma una ragazza dovrebbe esser cauta. Stasera, però, non me ne importa nulla davvero.- Brava! Ora cominciate a pensare con la vostra testa, invece di lasciare che gli altri pensino per voi. Questo è il principio della saggezza.- Ma...- Quando sul vostro conto si saranno fatte tante chiacchiere come sul mio, vi accorgerete della nessuna importanza di questo. Pensate che non vi è una casa a Charleston dove io sia ricevuto. Neanche il mio contributo alla nostra giusta e santa Causa è bastato a far togliere il bando.- Terribile! - Niente affatto. Finché uno non ha perso la reputazione, non capisce che era un peso enorme e che la libertà è una bella cosa.- Dite delle cose scandalose! - Scandalose e vere. Purché si abbia coraggio... e denaro, si può fare a meno della reputazione.- Non tutto si può comprare col denaro.- Questo deve avervelo detto qualcuno. Non avreste mai pensato da sola una simile insulsaggine. Che cosa non si può comprare? - Mah, non saprei... Per esempio, la felicità o l'amore.- Di solito si può comprare anche quello. E quando non si può, si compra qualcuno dei migliori surrogati.- E voi avete tanto denaro, capitano Butler? - Che domanda grossolana, Mrs. Hamilton! Sono sorpreso. Ma vi rispondo di sì. Per essere un giovinotto che si è trovato nella sua prima adolescenza di fronte alla vita senza uno scellino, me la son cavata discretamente. E credo che il blocco mi renderà un milioncino.- No?! - Oh sì! Quel che la gente sembra non capisca è che si può guadagnare tanto denaro nel naufragio di una civiltà come nella costruzione di un'altra.- - E che significa tutto questo? - La vostra famiglia, come la mia e tutti quelli che sono qui stasera, hanno fatto la loro fortuna trasformando un deserto in un luogo civile. Questo si chiama costruire un impero. E la costruzione di un impero fa guadagnar molto denaro. Ma se ne guadagna anche di più nella sua distruzione.- Di che impero state parlando? - Questo impero in cui viviamo... il Sud... la Confederazione... il Regno del Cotone... sta sprofondando sotto i nostri piedi. Solo gli sciocchi non lo vedono e non sanno trarre vantaggio da questo crollo. Io invece sto fabbricando in questo disastro la mia fortuna.- Credete veramente che saremo battuti? - Sì. Perché nasconder la testa come uno struzzo? - Dio mio, come mi annoia parlare di questo... Voi non dite mai delle cose graziose, capitano? - Vi piacerebbe che vi dicessi che i vostri occhi sono dei piccoli acquari pieni di una meravigliosa acqua verde e che quando i pesciolini vengono a nuotare a galla, come adesso, siete diabolicamente graziosa? - No, non mi piace questo... Non è bella questa musica? Oh, potrei ballare il valzer in continuazione...- Siete la più mirabile danzatrice che io abbia mai tenuto fra le braccia.- Capitano Butler, mi stringete troppo! Tutti ci guardano...- Se nessuno vedesse, protestereste ugualmente? - Capitano, mi pare che stiate diventando poco corretto.- Neppur per ombra. Come potrei, avendo voi fra le braccia? Che musica è questa? Una novità? - Sì. Non è bella? L'abbiamo rubata agli yankees.- Come s'intitola? - "Quando la guerra crudele sarà finita." - Come sono le parole? Cantatemele."Caro amor mio, ti ricordi quando ci siamo visti l'ultima volta? Quando mi dicesti il tuo amore inginocchiato ai miei piedi? Oh, come eri fiero dinanzi a me nella tua uniforme grigia! Quando giurasti eterna fede alla tua bella e al tuo paese! Ora piango triste e sola, i miei sospiri e le mie lacrime sono vani! Quando la guerra crudele sarà finita voglia Iddio che ci rivediamo!" - Veramente diceva "uniforme azzurra", ma noi l'abbiamo cambiata in "grigia"!... Ballate il valzer molto bene, capitano Butler. Sapete che molti grandi uomini non sanno ballare? E dire che passeranno anni e anni prima che io balli un'altra volta! - Solo pochi minuti. Vi impegno per il prossimo reel... e poi per il seguente e il seguente ancora.- Oh no, non posso! Non dovete! La mia reputazione sarebbe rovinata! - E' già abbastanza scossa; quindi, che importa un ballo di più? Forse darò la possibilità di ballare con voi agli altri giovinotti dopo che avrò ballato cinque o sei danze; ma l'ultima la voglio io.- Va bene. So che è una pazzia, ma non me ne importa. Non m'importa nulla di quello che diranno. Sono stufa di stare in casa. Voglio ballare, ballare...- E non vestir più di nero! Detesto il crespo funereo.- Oh, non posso togliermi il lutto... Non dovete stringermi tanto, capitano. Mi fate arrabbiare.- E siete uno splendore quando vi arrabbiate. Ora vi stringo di più...ecco... per vedere se vi adirate davvero. Non avete idea di come eravate deliziosa quel giorno alle Dodici Querce quando eravate furibonda e scagliavate gli oggetti...- Oh, vi prego...Non volete dimenticare quella giornata? - - No; è uno dei miei ricordi più preziosi... una delicata e beneducata bellezza meridionale in cui ribolle il sangue irlandese... Siete molto irlandese, sapete? - Dio mio, la musica finisce... Ecco zia Pittypat che esce dalla sala dei rinfreschi. Son certa che la signora Merriwether deve averglielo detto. Per carità, allontaniamoci e andiamo ad affacciarci alla finestra. Non voglio che mi fermi adesso...Ha gli occhi sgranati come se volesse divorarmi...NOTE. NOTA 1: "Reel" (pronuncia riil): è una danza scozzese abbastanza vivace, ballata da due o più coppie; la sua musica è scritta generalmente in tempo ordinario (quattro quarti) ma qualche volta anche in tempo di giga di sei per otto, o due terzine di crome. (N.d.T.) 10 La mattina dopo, mentre mangiavano dei cialdoni, Pittypat era piagnucolosa, Melania silenziosa e Rossella sfrontata. - Non m'importa quello che dicono. Scommetto che ho fatto guadagnare più denari per l'ospedale di tutte le altre... e anche di più che con tutto quel vecchiume che abbiamo venduto.- Ma che importa il denaro, tesoro mio? - gemeva Pittypat torcendosi le mani. - Non potevo credere ai miei occhi... Dire che il povero Carlo è morto appena da un anno... E quel tremendo capitano Butler che ti ha messa così in vista... ed è una persona impossibile, Rossella! La cugina della signora Whiting, una certa signora Coleman il cui marito è venuto da Charleston, mi ha raccontato che è la pecora nera di un'ottima famiglia. Oh, com'è possibile che un simile individuo sia uscito dalla famiglia Butler? Nessuno lo riceve a Charleston; ha una pessima reputazione e c'è anche stata una storia con una ragazza...qualche cosa di così orribile che neanche la signora Coleman sapeva bene...- Non credo poi che sia questo orrore - interruppe Melly dolcemente. - Sembra un perfetto gentiluomo; e se si pensa al coraggio che dimostra passando attraverso il blocco...- Non è affatto coraggioso - ribatté Rossella con perversità versandosi un po' di sciroppo sui cialdoni. - Lo fa per guadagnare del denaro. Me lo ha detto lui. Non gl'importa nulla della Confederazione e dice che saremo battuti. Ma balla divinamente.Le altre due donne erano ammutolite dall'orrore. - Sono stufa di rimanere in casa e non voglio rimanervi più. Se ieri sera si è sparlato di me, la mia reputazione è già rovinata; e allora non m'importa nulla di ciò che potranno dire ancora.Non le venne in mente che quest'idea era di Rhett Butler. Era così semplice e si adattava così bene ai suoi sentimenti! - Ma che dirà tua madre quando lo saprà? Che cosa penserà di me?Un freddo turbamento prese Rossella al pensiero della costernazione di Elena qualora venisse a conoscere la scandalosa condotta di sua figlia. Ma si rincorò pensando alle venticinque miglia di distanza fra Atlanta e Tara. Certamente Pitty non direbbe nulla ad Elena, per non esser posta lei in cattiva luce come accompagnatrice. E se Pitty non spettegolava, Rossella era salva. - Credo - rispose Pitty - che farei bene a scrivere ad Enrico in proposito... per quanto mi dia fastidio farlo... Ma è l'unico nostro parente; e lo pregherò di far le sue rimostranze al capitano Butler... Dio mio; se Carlo fosse vivo... Non devi parlare mai più con quell'uomo, Rossella!Melania sedeva silenziosa, con le mani in grembo; le frittelle si raffreddavano nel suo piatto. Si alzò e mettendosi dietro a Rossella le pose le braccia intorno al collo. - Tesoro - le disse - non ti crucciare. Capisco che ciò che hai fatto ieri sera è stato un gesto coraggioso e che porterà un grande aiuto all'ospedale. E se qualcuno osa dire una parola contro di te, provvederò io. Non piangere, zia Pitty. È doloroso per Rossella non andare in nessun posto: pensa che è una bambina. - Giocherellava lievemente coi capelli neri di Rossella. - E forse faremmo bene tutte quante ad andare ogni tanto a qualche ricevimento. Siamo state troppo egoiste a rimanere rinchiuse nel nostro dolore. Vivere in tempo di guerra è diverso. Quando penso a tutti i soldati che sono in questa città, lontani dalle loro famiglie e senza amici coi quali passar la sera... e quelli ricoverati in ospedale che stanno tanto bene da poter lasciare il letto ma non abbastanza da tornare al reggimento... Sì, siamo state egoiste. Dovremmo avere attualmente tre convalescenti in casa, come tutti quanti, e qualcuno dei soldati che sono qui in servizio, a pranzo ogni domenica. Via, Rossella, non ti agitare. La gente non farà chiacchiere, quando avrà compreso. Noi sappiamo che tu amavi Carlo.Rossella era ben lontana dall'essere agitata, e le dolci mani di Melania fra i suoi capelli la irritavano. Aveva voglia di gettare indietro la testa e di gridare: "Oh, quante storie!" perché in lei era ancora vivo il ricordo di come i militi delle Guardie Nazionali, la milizia e i soldati dell'ospedale si erano disputati il piacere di ballare con lei la sera prima. Melly era la persona che meno di chiunque altro al mondo ella avrebbe voluto come difensore. Pensasse a difendere se stessa; e se quelle vecchie streghe avevano voglia di graffiare... beh, lei avrebbe fatto a meno di occuparsi di loro. C'erano al mondo troppi begli ufficiali perché valesse la pena di turbarsi per quello che dicevano quattro vecchie. Pittypat si stava asciugando gli occhi, un po' calmata dalle parole di Melania, quando Prissy entrò con una grossa lettera. - Per te, Miss Melly. Aver portato biccolo negro.- Per me? - fece Melly stupita mentre lacerava la busta. Rossella stava mangiando le sue frittelle, senza badare a nulla finché uno scoppio di pianto di Melly le fece alzar la testa e vedere zia Pittypat che si portava la mano al cuore. - Ashley è morto! - gridò la zitellona gettando indietro la testa e lasciando ricadere le braccia inerti. - Oh Dio! - esclamò Rossella sentendosi gelare il sangue. - No, no! - gridò Melania. - Presto, i sali! Via, cara, tesoro; ti senti meglio? Respira profondamente. No, non è Ashley. Mi dispiace tanto di averti spaventata; piangevo perché sono felice... - Aperse il pugno che teneva stretto e portò alle labbra qualche cosa che brillò per un attimo. Rossella vide che era un largo anello d'oro. - Sono tanto felice! - E scoppiò nuovamente a piangere. - Leggi, leggi.- riprese poi indicando la lettera che era caduta a terra. - Oh, com'è caro, com'è buono!Rossella, stupita, raccolse il foglio e lesse queste righe, scritte da una ferma mano virile: "La Confederazione può aver bisogno del sangue dei suoi uomini, ma non richiede ancora quello del cuore delle sue donne. Accettate, cara signora, questo attestato di riverenza per il vostro coraggio e non crediate che esso sia stato inutile, perché questo anello è stato riscattato per dieci volte il suo valore. Capitano Rhett Butler". Melania si infilò l'anello e lo guardò con tenerezza. - Non te lo avevo detto che è un gentiluomo? - disse poi volgendosi a Pittypat, con un sorriso che brillava sul volto inondato di lacrime. - Solo un uomo pieno di delicatezza e di sensibilità poteva comprendere come mi si era spezzato il cuore... Manderò invece la mia catena. Zia Pitty, devi scrivergli un biglietto invitandolo a pranzo per domenica, perché io possa ringraziarlo.Nell'eccitazione del momento, nessuno pensò che il capitano non aveva restituito anche l'anello nuziale di Rossella. Ma ella lo notò, seccata. E sapeva che il gesto gentile del capitano non era dettato dalla sua delicatezza. Egli voleva essere invitato in casa di Pittypat e ne aveva abilmente trovato il mezzo. "Sono stata molto turbata apprendendo la tua recente condotta" scriveva Elena; e Rossella, che stava leggendo appoggiata alla tavola, aggrottò le ciglia. Le cattive notizie viaggiano presto. A Savannah e a Charleston aveva sempre sentito dire che la gente di Atlanta era molto pettegola e che si occupava dei fatti altrui più di quanto si facesse nelle altre città del Sud; ora ne era convinta. La vendita aveva avuto luogo lunedì sera, e oggi era soltanto giovedì. Chi delle vecchie streghe si era presa il disturbo di scrivere ad Elena? Per un attimo sospettò di Pittypat, ma abbandonò immediatamente il pensiero. La povera Pitty aveva troppo timore di esser biasimata per il contegno di Rossella; e sarebbe stata l'ultima a dar notizia ad Elena della propria scarsa sorveglianza. Piuttosto, la signora Merriwether. "Stento a credere che tu abbia potuto mettere in non cale la tua dignità e la tua educazione. Passerò sopra alla scorrettezza di apparire in pubblico essendo in lutto, realizzando così il tuo ardente desiderio di esser d'aiuto all'ospedale. Ma ballare, e con un uomo come il capitano Butler! Ho udito molto parlare di lui (e chi non ne ha udito altrettanto?) e anche la settimana scorsa Paolina mi scrisse che è un individuo di pessima reputazione, messo al bando perfino dalla sua famiglia a Charleston; eccezion fatta, naturalmente, della sua disgraziata madre. È un pessimo arnese, che ha approfittato della tua giovinezza e inesperienza per metterti in berlina e disonorare pubblicamente te e la tua famiglia. Come ha potuto Miss Pittypat trascurare così il suo dovere verso di te?" Rossella guardò sua zia attraverso la tavola. La vecchia signora aveva riconosciuto la calligrafia di Elena e la piccola bocca era stretta con un'espressione di sgomento come quella di una bambina che teme una sgridata e spera di allontanarla con le lacrime. "Ho il cuore spezzato pensando che hai dimenticato la tua buona educazione. Avevo pensato di richiamarti immediatamente a casa; ma lascerò la decisione di questo a tuo padre. Egli sarà in Atlanta venerdì per parlare col capitano Butler e per riaccompagnarti qui. Temo che sarà molto severo con te, malgrado le mie suppliche. Spero e prego che sia stata solo la gioventù e la sventatezza a consentirti un contegno così sfrontato. Nessuno più di me desidera servire la nostra Causa, e sono felice che le mie figlie abbiano gli stessi sentimenti, ma per disgrazia..." Continuava ancora sullo stesso tono, ma Rossella non terminò la lettura. Questa volta era veramente spaventata. Non si sentiva più audace e temeraria. Si sentiva giovine e colpevole come quando aveva dieci anni e aveva scaraventato a Susele un biscotto imburrato attraverso la tavola. Gli aspri rimproveri di sua madre, sempre così dolce, e il pensiero di suo padre che veniva apposta per parlare col capitano Butler, la turbarono fortemente. Ora comprendeva la serietà della faccenda. Geraldo sarebbe severo. Una volta, ella sapeva di potere evitare i castighi sedendo sulle sue ginocchia e facendosi gattina e carezzevole. - No... non vi sono cattive notizie? - balbettò Pittypat. - Il babbo arriva domani per castigarmi a dovere - rispose Rossella dolorosamente. - Prissy, cercami i sali - sussurrò Pittypat allontanando la sedia dalla tavola dov'era il piatto mezzo vuoto. - Sento... mi pare di svenire.- Essere dentro tasca tua sottana - fece Prissy che era rimasta a gironzolare attorno a Rossella intuendo un dramma sensazionale che l'avrebbe riempita di gioia. Vedere Geraldo adirato era sempre una cosa divertente, purché la sua ira non fosse diretta sopra di lei. Pitty frugò nella sua gonna e si portò la boccettina al naso. - Voialtre dovete restare accanto a me e non lasciarmi sola neanche un minuto - esclamò Rossella. - Vi vuol così bene papà, che se siete con me non farà tante storie.- Non potrò - fece Pitty debolmente alzandosi in piedi. - Mi... mi sento male. Debbo andarmi a mettere a letto. Vi resterò tutto domani. Gli farai le mie scuse."Vigliacca!" pensò Rossella guardandola irritata. Melly venne in soccorso, benché fosse pallida e sgomenta alla prospettiva di trovarsi dinanzi al furibondo signor O'Hara. - Io... ti aiuterò a spiegargli che l'hai fatto per l'ospedale. Certo lo capirà.- No, non capirà - si lamentò Rossella. - E io morirò se devo tornare a Tara in disgrazia, come minaccia la mamma! - No, non puoi tornare a casa! - esclamò Pittypat scoppiando in pianto. - Se tu te ne andassi, sarei costretta... sì, costretta a pregare Enrico di venire a stare con noi e tu sai che con Enrico io non posso vivere. Eppure sono così nervosa a stare in casa di notte, sola con Melania, con tanti stranieri in città! Tu sei così coraggiosa, che con te non m'importa di non avere un uomo! - No, non può riportarti a Tara! - disse Melly che sembrò anche lei sul punto di piangere. - Questa adesso è la tua casa. Che cosa faremo senza di te?"Sareste ben liete di farne a meno, se sapeste quello che veramente penso di voi" disse fra sé Rossella scontenta, desiderando che vi fosse qualche altra persona, piuttosto che Melania, per sventare le minacce di Geraldo. Era noioso essere difesa da una persona antipatica. - Forse dovremo posporre il nostro invito al capitano Butler. - cominciò Pitty. - Impossibile! Sarebbe il colmo della scortesia! - esclamò Melania desolata. - Accompagnami in camera. Mi sento proprio male - gemette Pitty. - Oh, Rossella, come hai potuto far succedere questo? Pittypat era a letto sofferente quando Geraldo arrivò nel pomeriggio dell'indomani. Gli espresse molte volte il suo rammarico attraverso la porta chiusa, e lasciò che le due ragazze sgomentate presiedessero la tavola della cena. Geraldo serbava un silenzio minaccioso, benché avesse baciato Rossella e pizzicato le guance di Melania affettuosamente, chiamandola "cuginetta". Rossella avrebbe preferito di molto imprecazioni, grida e accuse. Fedele alla sua promessa, Melania rimase attaccata alle gonne di Rossella, come una piccola ombra; e Geraldo era troppo gentiluomo per rimproverare sua figlia dinanzi a lei. Rossella fu costretta a riconoscere che Melania si comportava benissimo, regolandosi come se non fosse accaduto nulla; e riuscì perfino a trascinare Geraldo a discorrere, dopo che la cena fu servita. - Voglio sapere tutto della Contea - disse, guardandolo con un gaio sorriso. - Lydia e Gioia scrivono di rado e so che voi siete al corrente di tutto quanto succede. Parlateci del matrimonio di Joe Fontaine.Geraldo si ringalluzzì al complimento e disse che le nozze erano state senza chiasso, "non come quelle di voialtre" perché Joe aveva avuto solo pochi giorni di licenza. Sally, la piccola Munroe, era molto bellina. No, non ricordava come era vestita, ma aveva sentito dire che non aveva un "abito del secondo giorno". - Davvero? - fecero le ragazze scandalizzate. - E' naturale, dal momento che non ha avuto un secondo giorno. - spiegò Geraldo con una grassa risata, senza ricordarsi che queste osservazioni non erano adatte per orecchie femminili. Questa risata risollevò lo spirito di Rossella e ferì la delicatezza di Melania. - Perché Joe ritornò in Virginia l'indomani - si affrettò ad aggiungere Geraldo. - Quindi non vi sono state visite né balli. I gemelli Tarleton sono a casa.- Lo abbiamo saputo. Sono guariti? - No, sono stati feriti gravemente. Stuart ha avuto una pallottola in un ginocchio e Brent in una spalla. Avete anche saputo che sono stati citati all'ordine del giorno, per il loro coraggio?- No, raccontaci! - Sono due scervellati... tutti e due. Credo che in loro vi sia del sangue irlandese - proseguì Geraldo compiaciuto. - Non mi ricordo più che cosa hanno fatto, ma Brent adesso è luogotenente.Rossella fu contenta di apprendere le loro imprese; contenta alla maniera di una proprietaria. Una volta che un uomo era stato il suo spasimante ella era convinta che continuasse ad appartenerle; e tutte le buone azioni di lui risultavano a suo favore. - E ho sentito anche dire che vi stanno dimenticando entrambe. Pare che Stuart abbia ricominciato a corteggiare alle Dodici Querce.- Gioia o Lydia? - interrogò Melania eccitata, mentre Rossella, spalancava tanto d'occhi, quasi indignata. - Naturalmente, Lydia. Non le faceva già la corte prima che questa mia civetta gli strizzasse l'occhio? - Oh! - esclamò Melania imbarazzata dall'espressione di Geraldo. - E oltre a questo, il giovine Brent ha preso a girare intorno a Tara.Rossella non trovò parole. La defezione dei suoi spasimanti le sembrò quasi un insulto. Specialmente se ricordava come erano stati furibondi i due gemelli, quando ella aveva detto che avrebbe sposato Carlo. Stuart aveva perfino minacciato ai ammazzare Carlo o Rossella, o se stesso o tutti e tre. Era stata una cosa divertentissima. - Susele? - chiese Melly con un lieto sorriso. - Ma credevo che Mister Kennedy... - Quello - fece Geraldo. - Franco Kennedy se la prende comoda. Ha paura della sua ombra. Se non si decide a parlare gli domanderò quali sono le sue intenzioni. No, si tratta della mia piccola.- Carolene? - Ma è una bambina! - esclamò aspramente Rossella ritrovando la parola. - Ha circa un anno di meno di quello che avevi tu quando ti sei sposata - ritorse Geraldo. - Invidi forse alla tua sorellina il tuo antico spasimante? Melly arrossì, non essendo abituata a quella franchezza; e accennò a Pietro di portare la torta dolce di patate. Cercò freneticamente un altro argomento di conversazione che fosse un po' meno personale e che distogliesse il signor O'Hara dallo scopo del suo viaggio. Non riuscì a trovar nulla, ma Geraldo una volta preso l'aire non aveva bisogno di altro stimolo, se non di un uditorio. Parlò delle ruberie del commissario dipartimentale, che ogni mese aumentava le sue richieste; della supina stupidità di Jefferson Davis e della volgarità degli irlandesi che si erano arruolati nell'esercito yankee per il vile denaro. Quando fu portato il vino sulla tavola e le due ragazze si alzarono per lasciarlo solo a bere, Geraldo fissò uno sguardo severo su sua figlia e le ordinò di rimanere con lui alcuni minuti. Rossella lanciò un'occhiata disperata a Melly, la quale torse il fazzoletto, impotente, e uscì richiudendo piano la porta scorrevole. - Dunque, signorina! - muggì Geraldo versandosi un bicchiere di Porto. - Avete un bel modo di agire! Cercate già un altro marito mentre siete vedova da così poco tempo? - Non gridar tanto, babbo. I servi...- Certamente sono già al corrente, e tutti quanti sanno la nostra disgrazia; la tua povera mamma si è dovuta mettere a letto ed io non ho più il coraggio di tener alta la fronte. È una vergogna. No, gattina, è inutile che cerchi di venirmi intorno con le lacrime questa volta - aggiunse in fretta e con un certo panico nella voce, vedendo Rossella battere le palpebre e torcere la bocca. - Ti conosco, hai civettato perfino alla veglia funebre di tuo marito. Non piangere. Stasera non dirò altro perché devo vedere questo bravo capitano Butler che fa così poco conto della reputazione di mia figlia. Ma domattina... via non piangere. Non serve proprio a nulla. Quel ch'è sicuro è che ti riporterò domani a Tara prima che tu ci disonori tutti un'altra volta. Non piangere, tesoro. Guarda che cosa ti ho portato. Non è un bel regalo? Guarda, ti dico! Come hai fatto a creare tutto questo impiccio, costringendomi a venir qui con tutto il mio da fare? Non piangere!Melania e Pittypat erano andate a dormire da un pezzo, ma Rossella era sveglia nella tenebra calda, col cuore pesante e pieno di sgomento. Lasciare Atlanta proprio ora che la vita era ricominciata, e ritrovarsi a casa di fronte ad Elena! Preferiva morire piuttosto che guardare in faccia sua madre. Sì, morire in questo momento; così tutti si sarebbero rammaricati per essere stati così cattivi con lei. Si voltò e si agitò sui guanciali, finché dalla strada silenziosa giunse un rumore al suo orecchio. Era un rumore stranamente familiare, benché indistinto. Scivolò fuori dal letto e si avvicinò alla finestra. La strada coi suoi alberi fronzuti era buia sotto un cielo trapunto di stelle. Il rumore si avvicinò: cigolar di ruote, scalpitar di cavalli e voci. Improvvisamente sorrise, perché le giunse una voce impastata di dialetto e di whisky, che ella conosceva e che cantava "Margheritina nel carrozzino". Non era una giornata di udienza a Jonesboro, ma Geraldo tornava a casa nelle stesse condizioni. Vide l'ombra scura di un carrozzino fermarsi dinanzi alla casa, e scenderne delle figure indistinte. C'era qualcuno con lui. Due ombre si fermarono dinanzi al cancello; ella udì lo scatto della serratura e poi la voce di Geraldo. - Ora vi farò sentire "Il lamento di Roberto Emmet". È una canzone che dovreste conoscere, ragazzo mio; ve l'insegnerò. - Sarò molto lieto di impararla - rispose il suo compagno, nella cui voce strascicata si sentì un riso represso. - Ma non adesso, Mister O'Hara."Oh, mio Dio, è quell'orribile Butler!" pensò Rossella, molto irritata in un primo momento. Ma riprese subito cuore. Almeno non si erano picchiati. E dovevano essere in rapporti molto amichevoli se tornavano a casa insieme e in quelle condizioni. - La voglio cantare e voi l'ascolterete, altrimenti vi sparo perché siete un orangista.- Non sono orangista, sono Charlestoniano.- Tanto peggio. Ho due cognate a Charleston e so che gente siete."Vorrà adesso raccontarlo a tutti i vicini?" pensò Rossella terrorizzata, cercando la sua vestaglia. Ma che poteva fare? Non poteva scendere a quell'ora e trascinare dentro suo padre. Senz'altro preavviso, Geraldo, che si era afferrato al cancello, gettò indietro la testa e cominciò il "lamento" con voce di basso profondo. Rossella appoggiò i gomiti al davanzale e ascoltò sorridendo involontariamente. La canzone era bella... se suo padre non avesse stonato... era una delle sue preferite, e per un momento ella seguì la sottile melanconia dei versi che dicevano: Lontana è la terra ove dorme il suo giovine eroe, Vicini le sono i sospiri d'amore... La canzone terminò ed ella udì un movimento nelle camere di Pittypat e di Melly. Poverine! Certamente dovevano essere sconvolte. Non erano abituate ad uomini forti e violenti come Geraldo. Alla fine della canzone le due ombre si fusero, percorsero il viale e salirono i gradini. Un colpo discreto alla porta. "Mi toccherà scendere" pensò Rossella. "Dopo tutto è mio padre e la povera Pitty morrebbe piuttosto che andare." Inoltre, non desiderava che la servitù vedesse Geraldo in quelle condizioni. Se Pietro cercava di metterlo a letto, potevano succedere dei guai; soltanto Pork sapeva come trattarlo. Si chiuse la vestaglia sotto il mento, accese la candela e si affrettò per le scale e per il vestibolo. Posando la candela sulla cassapanca, aprì la porta e nella luce oscillante vide Rhett Butler senza un capello fuori posto, che sorreggeva suo padre piccolo e tondo. Il lamento era stato evidentemente il canto del cigno di Geraldo, il quale ora era completamente abbandonato fra le braccia del suo compagno. Gli era caduto il cappello e i lunghi capelli crespi erano scompigliati come una bianca criniera. Aveva la cravatta tutta storta e il davanti della camicia era macchiato di liquore. - Vostro padre, credo? - disse il capitano Butler i cui occhi brillavano gaiamente nel volto bruno. Le lanciò un'occhiata che sembrò attraversare la leggera vestaglia. - Portatelo dentro - replicò ella brevemente, confusa per il suo abbigliamento e furibonda contro Geraldo che la esponeva a farsi canzonare da quell'uomo. Rhett sospinse Geraldo. - Debbo aiutarvi a portarlo di sopra? Per voi è impossibile; è troppo pesante.Ella spalancò la bocca inorridita dall'audacia di questa proposta. Figuriamoci che cosa avrebbero pensato Pitty e Melly se il capitano Butler fosse salito di sopra! - No, per l'amor di Dio! Qui, in salotto, su quel divano.- Debbo levargli le scarpe? - No. Ha già dormito altre volte tenendole.Si sarebbe morsa le labbra per essersi lasciata sfuggire questo, sentendolo ridere piano mentre stendeva le gambe di Geraldo. - Vi prego, ora andate.Butler attraversò il vestibolo buio e raccolse il cappello che aveva lasciato cadere sulla soglia. - Vi vedrò domenica sera a pranzo - disse, e se ne andò chiudendo la porta senza strepito. Rossella si alzò alle cinque e mezzo, prima che la servitù fosse entrata in casa a preparare la colazione e scese silenziosamente al pianterreno. Geraldo era sveglio, seduto sul divano, stringendosi la testa fra le mani come se si volesse spremere il cranio. Alzò gli occhi furtivamente sentendola entrare. A muoverli gli dolevano: emise un gemito. - Accidempoli! - Hai fatto un bell'affare, papà - cominciò Rossella con voce sommessa ma irritatissima. - Venire a casa a quell'ora e svegliare tutto il vicinato col tuo canto! - Ho cantato? - Eccome! Hai svegliato tutti gli echi cantando il "lamento".- Non me ne ricordo affatto.- I vicini se ne ricorderanno finché vivranno; e così zia Pittypat e Melania.- Madre dei Sette Dolori! - si lamentò Geraldo passandosi la lingua ingrossata sulle labbra aride come pergamena. - Tutti i miei ricordi si confondono dopo la partita...- Che partita? - Quel ragazzaccio di Butler sosteneva di essere il miglior giocatore di poker in...- Quanto hai perso? - Macché! Naturalmente ho vinto. Qualche bicchiere mi ha aiutato a giocare.- Guarda nel tuo portafogli.Come se ogni movimento fosse una sofferenza, Geraldo trasse di tasca il portafogli e lo aperse. Era vuoto; ed egli lo guardò con desolato stupore. - Cinquecento dollari - disse. - Mi servivano per comprare della roba del blocco per la mamma; ed ora non ho più neanche il denaro per pagare il viaggio di ritorno.Nel guardare con indignazione il portamonete vuoto, alla mente di Rossella balenò un'idea che prese forma rapidamente. - Non potrò più alzar la fronte in questa città. Ci hai disonorati tutti.- Tieni la lingua a posto, gattina. Non vedi che ho la testa che mi scoppia? - Venire a casa ubriaco con un uomo come il capitano Butler, e cantare con tutta la forza dei tuoi polmoni e perdere tutto il tuo denaro! - Quell'uomo è troppo abile alle carte per essere un gentiluomo. Egli...- Che dirà la mamma quando lo saprà? - Geraldo alzò il capo con improvviso spavento. - Non andrai a dirlo alla mamma per farle fare il sangue cattivo, eh?!- Rossella non rispose ma strinse le labbra. - Pensa che dolore per lei che è così buona!- E pensa, papà, che solo ieri sera hai detto che io ho disonorato la famiglia! Io, con un misero balletto per guadagnare un po' di denaro per i soldati! Oh, vorrei mettermi a piangere! - No, non piangere - pregò Geraldo. - Sarebbe più di quello che la mia povera testa può sopportare; e ti assicuro che mi sta scoppiando.- E hai detto che io...- Gattina, gattina, non essere offesa di quello che ha detto il tuo povero vecchio babbo, che non ne pensava una parola e non ne capisce nulla! Ma sì, sei una figliuola piena di buone intenzioni; questo è certo.- E volevi riportarmi a casa in punizione! - No, tesoro, non volevo far questo. Era solo per spaventarti e tormentarti un poco. Non dirai niente alla mamma? - No - rispose Rossella con franchezza - se tu mi lasci qui e le dici che sono state tutte chiacchiere di quelle vecchie streghe.Geraldo guardò cupamente sua figlia. - E ieri sera è stato un vero scandalo! - Beh - cominciò adescandola - dimentichiamo tutto questo. Non credi che una brava signora come Miss Pittypat abbia in casa un po' di acquavite?Rossella si volse e attraversò in punta di piedi il vestibolo silenzioso per recarsi in sala da pranzo a prendere la bottiglia di acquavite, che lei e Melly chiamavano segretamente la "bottiglia dello svenimento" perché Pittypat ne prendeva sempre un sorso, quando il suo cuore delicato la faceva svenire, o fingere di svenire. Sul suo volto era scritto il trionfo e non vi era traccia di vergogna per il trattamento poco filiale usato verso Geraldo. Ora, se qualcun altro avesse scritto a Elena delle malignità, Geraldo saprebbe tranquillizzarla. E lei poteva rimanere ad Atlanta. E fare quasi tutto ciò che le piaceva, data la debolezza di Pittypat. Aperse l'armadio dei liquori e rimase un istante con la bottiglia e il bicchiere stretti contro il suo petto. Ebbe una lunga visione di pic-nic sulle acque gorgoglianti del fiumicello che scorreva lungo la Ripa dell'Albero di Pesco, e di banchetti alla Montagna Pietrosa, ricevimenti e balli, pomeriggi danzanti, gite in carrozzino e cene domenicali. Sarebbe stata dovunque, centro d'attrazione di una folla maschile. E gli uomini si innamoravano così facilmente, dopo che si facevano tante piccole cose per loro all'ospedale. Ora non le dispiaceva più andarvi. Gli uomini si lasciano menare per il naso così volentieri quando sono stati ammalati! Cadono ai piedi di una bella ragazza come le pere di Tara cadono solo a scuotere l'albero, quando son mature. Tornò verso suo padre col liquore vivificante, ringraziando Dio che la testa di O'Hara non fosse stata capace di resistere al bere smodato della sera prima; e a un tratto si chiese se Rhett Butler non entrasse per nulla in quella faccenda. 11 In un pomeriggio della settimana seguente Rossella tornò dall'ospedale stanca e indignata. Era stanca per essere stata in piedi tutta la mattina e irritata perché la signora Merriwether le aveva mosso aspro rimprovero vedendola seduta sul letto di un soldato mentre gli fasciava il braccio ferito. Zia Pitty e Melania con la loro cuffia migliore, aspettavano sotto al portico insieme a Wade e Pressy, pronte per il loro giro settimanale di visite. Rossella le pregò di scusarla se non le accompagnava e salì nella sua stanza. Svanito il rumore della carrozza, quand'ella fu sicura che la famiglia non era più in vista, si insinuò cautamente nella stanza di Melania e girò la chiave nella serratura. Era una stanzetta semplice e verginale; silenziosa e calda nell'irradiazione del sole pomeridiano. Il pavimento era lucido e nudo ad eccezione di qualche tappeto di tinta viva, e le pareti bianche e disadorne, salvo un angolo nel quale Melania aveva disposto una specie di piccolo altare. Sotto ad una bandiera della Confederazione graziosamente drappeggiata, era sospesa la sciabola dall'elsa d'oro, la sciabola del padre di Melania durante la guerra messicana, la stessa che Carlo aveva portato con sé partendo per la guerra. Anche la sciarpa e la cintura di quest'ultimo erano sospese alla parete, con la pistola nella fondina. Fra la sciabola e la pistola era un dagherrotipo di Carlo, molto rigido e orgoglioso nella sua grigia uniforme, coi grandi occhi neri che sembravano brillare nella cornice, e un timido sorriso sulle labbra. Rossella non diede neanche uno sguardo al ritratto, ma attraversò senza esitare la stanza fino al tavolino accanto al letto, sul quale era una scatola quadrata di legno rosa contenente un servizio di scrittoio. Da questa prese un pacchetto di lettere legate con un nastro azzurro, scritte da Ashley a Melania. In cima a tutte era quella arrivata la mattina: e fu questa che la giovane donna aperse. La prima volta che Rossella si era azzardata a leggere nascostamente quelle lettere, aveva avuto tali rimproveri dalla sua coscienza e una così grande paura di essere scoperta, che aveva stentato ad aprire la busta con le mani tremanti. Ora il suo senso di onore, mai eccessivamente scrupoloso, si era smussato col ripetersi dell'offesa; ed anche il timore di essere scoperta era svanito. A volte pensava, col cuore oppresso: “Che cosa direbbe la mamma se lo sapesse!?” Sapeva che Elena preferirebbe saperla morta, piuttosto che colpevole di un simile disonore. Da principio questo l'aveva turbata, poiché ella desiderava ancora di essere simile a sua madre. Ma la tentazione di leggere le lettere era troppo grande, ed ella scacciò il pensiero di Elena. Da qualche tempo aveva imparato a dirsi: "Adesso non voglio pensare a questa cosa noiosa. Ci penserò domani." E l'indomani, o il pensiero non le si affacciava più o era così attenuato dal tempo trascorso che non era nemmeno più spiacevole. E così anche la lettura delle lettere di Ashley non le pesava molto sulla coscienza. Melania era sempre generosa con le lettere di suo marito: ne leggeva buona parte ad alta voce a zia Pitty e a Rossella, ma ciò che tormentava quest'ultima e la trascinava alla lettura nascosta della posta di sua cognata era la parte che le rimaneva ignota. Aveva bisogno di sapere se Ashley, dopo avere sposato sua moglie, era arrivato ad amarla. O se lo fingeva. Chi sa se le scriveva delle parole tenere? Quali sentimenti le esprimeva? Lisciò la lettera con cura. Le prime parole "cara moglie" le fecero trarre un respiro di sollievo. Non la chiamava "amor mio" né "tesoro". "Cara moglie", mi hai scritto dicendomi che temevi che io ti nascondessi i miei veri pensieri e mi chiedevi che cosa in questi ultimi tempi occupa la mia mente. "Santissima Vergine!" pensò Rossella terrorizzata. "Nascondere i suoi veri pensieri! Possibile che Melly gli legga in cuore! O legga nel mio? Sospetta forse che lui ed io..." Le sue mani tremavano di terrore, ma nel leggere il periodo seguente si calmò. "Cara moglie, se ti ho nascosto qualche cosa è stato perché non volevo aggiungere alle tue preoccupazioni per la mia salute fisica, anche quelle per un mio tormento spirituale. Ma non posso nasconderti nulla, perché tu mi conosci troppo bene. Non aver paura: non sono ferito e non sono neanche stato ammalato. Ho abbastanza da mangiare e anche, ogni tanto, un letto da dormire. Per un soldato è anche troppo. Ma ho dei gravi pensieri, Melania, e voglio aprirti il mio cuore. "In queste notti estive spesso rimango sveglio, mentre tutto il campo dorme, e guardo le stelle chiedendomi: "perché sei qui, Ashley Wilkes? Per che cosa combatti?" "Non certamente per l'onore e per la gloria. La guerra è una brutta faccenda, e a me le cose brutte non piacciono. Non sono un soldato e non desidero cercare la fama neppure sulla bocca di un cannone. Eppure sono qui alla guerra; mentre Dio sa che non avevo mai desiderato altro che di essere uno studioso gentiluomo campagnolo. Le trombe non mi fanno bollire il sangue e i tamburi non mi eccitano; e vedo troppo chiaramente che siamo stati trascinati dalla nostra stessa arroganza meridionale, illudendoci che uno di noi potesse abbattere una dozzina di yankees, credendo che Sua Maestà il Cotone potesse governare il mondo. Illusi anche da parole, frasi, pregiudizi e odii che venivano dalla bocca di coloro che erano in alto, di quegli uomini per cui avevamo rispetto e riverenza; parole come "Sua Maestà il Cotone, Schiavismo, Diritti di Stato, maledetti yankees". "Così, quando sono sdraiato a guardare le stelle e mi chiedo "per che cosa combatto", penso ai Diritti di Stato, al Cotone, ai Negri, ed agli yankees che siamo stati educati a odiare; e so che nessuna di queste è la ragione per cui combatto. Invece vedo le Dodici Querce e ricordo il chiaro di luna attraverso le bianche colonne, il divino aspetto delle magnolie, e le rose rampicanti che ombreggiano il porticato anche nei pomeriggi più ardenti. E vedo la mamma seduta a cucire come quando ero bambino. E sento i negri che tornano cantando dai campi, al crepuscolo, stanchi e pronti per la cena, e il cigolio della carrucola quando il secchio scende nel pozzo fresco e poi vedo la lunga strada verso il fiume, attraverso i campi di cotone, e la nebbia che si alza dalla pianura al tramonto. Ed è per questo che io sono qui, io che non amo la morte né la miseria né la gloria e non odio nessuno. Forse questo è quello che si chiama patriottismo: amore per la propria casa e per il proprio paese. Ma la cosa, Melania, è ben più profonda. Perché quanto ho nominato non è che il simbolo di ciò per cui arrischio la mia vita, il simbolo del genere di vita che amo. Io combatto per i vecchi giorni, per le vecchie abitudini che amo tanto e che temo siano oramai svanite per sempre, comunque si vada a finire. Perché, vincere o perdere, noi perderemo lo stesso. "Se noi vinciamo questa guerra e abbiamo il Regno del Cotone dei nostri sogni, avremo ugualmente perduto, perché diventeremo diversi e l'antica tranquillità sarà scomparsa. Il mondo sarà alle nostre porte a chiedere il cotone e noi potremo dettare i nostri prezzi. E allora temo che diventeremo come gli yankees di cui oggi scherniamo l'attività per far quattrini e l'abilità commerciale. E se perdiamo, Melania, se perdiamo... "Non temo il pericolo di essere preso prigioniero o ferito o anche ucciso, se la morte deve venire; ma temo che una volta finita la guerra non torneremo più agli antichi tempi. Non so che cosa ci porterà il futuro, ma certamente non potrà essere così bello come il passato. Guardo i ragazzi che dormono accanto a me e mi domando se i gemelli o Alessandro o Cade hanno gli stessi pensieri. Chi sa se essi sanno che combattono per una Causa che è stata perduta fin dalla prima fucilata. Ma non credo che vi pensino; quindi saranno felici. Non prevedevo questa vita per noi, quando ti chiesi di sposarmi. Pensavo alla vita alle Dodici Querce, tranquilla, facile, immutata, come sempre. Noi ci somigliamo, Melania, perché amiamo le stesse cose; ed io vedevo dinanzi a noi una lunga serie di anni privi di avvenimenti, dedicati a leggere, ascoltar musica e sognare. Ma non questo! Non questo sconvolgimento, questo sangue, questo odio! Né i Diritti di Stato né gli Schiavi né il Cotone meritano questo. Nulla merita ciò che ci sta accadendo e che ci può accadere, perché se gli yankees vincono, il futuro sarà di un incredibile orrore. "Non dovrei scrivere questo, e neanche pensarlo. Ma tu mi hai chiesto che cosa avevo nel cuore; ed esso è pieno del timore della disfatta. Ti ricordi al banchetto, il giorno in cui fu annunziato il nostro fidanzamento, che un certo Butler suscitò quasi una questione con le sue osservazioni sull'ignoranza dei meridionali? Ricordi che i gemelli volevano ammazzarlo perché egli aveva detto che avevamo poche fonderie, poche fabbriche, poche navi, arsenali e industrie meccaniche? Ti ricordi quando disse che la flotta yankee poteva imbottigliarci così strettamente che noi non avremmo più potuto mandar fuori il nostro cotone? Egli aveva ragione. Noi combattiamo contro i nuovi fucili degli yankees, coi moschetti della Guerra Rivoluzionaria; e fra poco il blocco sarà troppo stretto per lasciar entrare anche i medicinali occorrenti. Dovevano dar retta a un cinico come Butler, che sapeva, invece che ad uomini di Stato che parlavano... e ignoravano. Infatti egli disse che il Sud non aveva nulla con cui iniziare la guerra, se non cotone e arroganza. Il nostro cotone oggi non val nulla ed è rimasto soltanto ciò che egli ha chiamato arroganza. Ma secondo me questa arroganza è coraggio incommensurabile e se..." Rossella ripiegò attentamente la lettera senza terminarla e la ficcò nella busta, troppo annoiata per continuare la lettura. Inoltre il tono di quelle parole e quegli sciocchi discorsi di disfatta la deprimevano alquanto. Dopo tutto, ella non leggeva la posta per apprendere le idee poco interessanti di Ashley. Ne aveva avuto abbastanza di ascoltarle quando in altri tempi egli sedeva sotto il porticato di Tara. La sola cosa che ella desiderava conoscere era se Ashley scriveva a sua moglie delle lettere appassionate. Fino ad ora non ne aveva scritte. Ella aveva letto tutte quelle che erano nella scatola di legno e in nessuna di esse era una frase che un fratello non avrebbe potuto scrivere a sua sorella, affettuose, umoristiche, discorsive, ma non certo le lettere di un innamorato. Rossella aveva ricevuto troppe ardenti lettere d'amore per non riconoscere a prima vista l'autentica nota della passione. E questa nota mancava. Come sempre, dopo le sue segrete letture, provò un senso di profonda soddisfazione, sentendosi sicura che Ashley l'amava ancora. La stupiva che Melania non si accorgesse che suo marito le voleva bene soltanto come a un'amica. Evidentemente non si accorgeva di ciò che mancava in quei messaggi; ma Melania non aveva ricevuto altre lettere d'amore per poter fare il confronto. "Che buffe lettere!" pensò Rossella. "Se un mio marito dovesse scrivermi di queste sciocchezze, mi farei sentire. Perfino Carlo scriveva delle lettere migliori di queste." Fece scorrere i fogli guardando le date e ricordando il loro contenuto. E nessuno di essi conteneva descrizioni di bivacchi e di cariche come quelle che Darcy Meade scriveva ai suoi parenti o il povero Dallas McLure aveva scritto alle sorelle zitellone, Fede e Speranza. I Meade e i McLure leggevano orgogliosamente queste lettere a tutto il vicinato e Rossella aveva spesso provato un segreto senso di vergogna perché Melania non aveva lettere di Ashley da leggere ad alta voce nelle riunioni di lavoro. Sembrava che nello scrivere a Melania Ashley dimenticasse la guerra e cercasse di tracciare attorno a loro due un cerchio magico fuori del tempo, scrollando lontano da sé tutto ciò che era avvenuto da quando il Forte Sumter era il discorso del giorno. Parlava di libri che egli e Melania avevano letto, di canzoni che avevano cantato, di vecchi amici, di luoghi che egli aveva visitato in Europa. E attraverso le lettere era una malinconica nostalgia delle Dodici Querce; lunghe pagine egli dedicava a rievocare le gelide stelle di un cielo autunnale; i banchetti con la porchetta arrostita, le riunioni di pesca, le quieti notti bagnate di chiaro di luna e il fascino sereno della vecchia casa. Ella ripensò alle parole di quest'ultima lettera: "non questo!" E le sembrarono il grido di un'anima tormentata dinanzi a qualche cosa che non avrebbe voluto, eppure doveva affrontare. Ma se non temeva le ferite e la morte, che cosa erano i suoi timori? Completamente priva di spirito analitico, ella scrollò da sé questo pensiero complesso. “La guerra gli dà noia... ed egli detesta le cose che lo annoiano. Per esempio, io... Mi amava, ma ebbe paura di sposarmi perché... forse temeva che io avrei turbato il suo modo di pensare e di vivere. No; neanche precisamente paura. Ashley non è vile. Non può esserlo, dal momento che è citato all'ordine del giorno e che il colonnello Sloan ha scritto a Melly una lettera di elogi per il suo valoroso contegno nel guidare le truppe all'assalto. Quando si è messo in mente di fare una cosa, nessuno è più deciso e più coraggioso di lui, ma.. Vive dentro di sé invece di viver fuori e detesta esser trascinato nel mondo... Mah! Non capisco. Se avessi capito questo allora, sono certa che mi avrebbe sposata.” Rimase un istante a stringersi le lettere al seno, pensando con nostalgia ad Ashley. I suoi sentimenti verso di lui non erano mutati dal giorno in cui se n'era innamorata. Era la stessa emozione che l'aveva ammutolita quel giorno, aveva quattordici anni quando sotto il portico di Tara lo aveva visto giungere a cavallo, e sorriderle coi capelli che brillavano al sole. Il suo amore era ancora l'adorazione della giovinetta per un uomo che non riusciva a comprendere; un uomo che possedeva tutte le qualità che a lei mancavano; ma che destavano la sua ammirazione. Egli era ancora il Principe Azzurro sognato da una fanciulla, la quale non chiedeva altro guiderdone per il suo amore se non un bacio. Dopo aver letto quelle lettere, ebbe la sicurezza che egli amava lei, Rossella, benché avesse sposato Melania; e questo era quasi tutto ciò che ella poteva desiderare. Era ancora giovine e intatta. Se Carlo, con la sua goffaggine e inettitudine e con la sua imbarazzante intimità, si fosse imbattuto in una delle vene profonde di passione che erano nascoste entro di lei, i sogni della giovinetta non si sarebbero limitati a desiderare da Ashley un bacio. Ma le poche notti trascorse con Carlo non avevano toccato nulla nel suo intimo né l'avevano minimamente maturata. Suo marito non le aveva fatto comprendere che cosa poteva essere la passione, la tenerezza, la vera intimità del corpo e dello spirito. La passione a lei sembrava soltanto una servitù a un'inesplicabile follia maschile, non condivisa dalle donne; qualche cosa di doloroso e di imbarazzante che era stato una sorpresa per lei, perché prima delle nozze Elena le aveva fatto comprendere che il matrimonio è una cosa che le donne debbono sopportare con dignità e fermezza; e i commenti bisbigliati dopo la sua vedovanza dalle altre donne, avevano confermato in lei quest'idea. Rossella era dunque ben contenta di non aver più a che fare con la passione e col matrimonio. Non aveva più a che fare col matrimonio; ma con l'amore sì, perché il suo amore per Ashley era diverso; era qualche cosa di sacro che le toglieva il respiro, un'emozione che andava crescendo durante le lunghe giornate di silenzio forzato, e si nutriva di ricordi e di speranze. Sospirò nel legare nuovamente il nastro attorno al pacchetto e nel rimetterlo a posto. Allora aggrottò le ciglia perché le venne in mente l'ultima parte della lettera, quella che riguardava il capitano Butler. Strano che Ashley fosse rimasto impressionato da ciò che quel furfante aveva detto un anno fa. Innegabilmente il capitano Butler era un furfante, ma ballava divinamente. Solo un mascalzone poteva dire quello che egli aveva detto della Confederazione quella sera alla vendita di beneficenza. Si avvicinò allo specchio e si lisciò i capelli soddisfatta di sé. Si sentì sollevata come sempre quando vedeva la sua pelle di magnolia e i suoi occhi verdi, e sorrise per far apparire le due fossette. Quindi scacciò dalla sua mente il capitano Butler, ricordando soltanto che ad Ashley le sue fossette piacevano molto. Nessun rimorso per il fatto di amare il marito di un'altra o di leggere la posta di quest'altra turbò la gioia di vedersi giovine e bella e di sentirsi sicura dell'amore di Ashley. Riaperse l'uscio e discese a cuor leggero la scala tenuta in una semioscurità che dava un senso di fresco. A metà scala cominciò a cantare: "Quando questa guerra crudele sarà finita". 12 La guerra continuava, generalmente con discreto successo; ma la gente aveva smesso di dire "ancora una vittoria e la guerra è finita", come aveva smesso di dire che gli yankees erano dei vigliacchi. Tutti erano ormai persuasi che non lo erano affatto e che sarebbe necessaria più di una vittoria per sconfiggerli. Vi furono però le vittorie dei Confederati: nel Tennessee, segnata dal generale Morgan e dal generale Forrest, e il trionfo della Seconda Battaglia di Bull Run; ma gli ospedali e le case di Atlanta furono rigurgitanti di feriti e di ammalati, e sempre più numerose furono le donne vestite di nero. Le monotone file di tombe di soldati nel Cimitero di Oakland diventavano sempre più lunghe. Il denaro della Confederazione era diminuito in modo considerevole, e il prezzo degli alimenti e dei vestiti era aumentato in proporzione. Gli approvvigionamenti richiedevano tal quantità di viveri che le tavole degli abitanti di Atlanta cominciavano a mostrare una certa penuria. La farina era poca e costava così cara che si adoperava generalmente il grano saraceno per biscotti e focacce. Le botteghe dei macellai erano quasi prive di bue e avevano ben poco montone; e questo costava tanto che solo le persone ricche potevano permettersi il lusso di mangiarne. In compenso, erano ancora abbondanti la carne di maiale, il pollame e i legumi. Il blocco yankee era diventato più rigoroso e alcuni articoli di lusso, come il tè, il caffè, le seterie, le stecche di balena, l'acqua di Colonia, le riviste di moda e i libri erano scarsi e carissimi. Perfino i tessuti di cotone più ordinari erano aumentati di prezzo e le signore erano costrette, loro malgrado, a indossare gli abiti della stagione precedente. Telai, che da anni erano stati relegati in soffitta a riempirsi di polvere tornavano all'onor del giorno e quasi in ogni salotto si trovavano rotoli di stoffa tessuta a mano. Tutti, soldati, borghesi, donne, bambini, negri, cominciavano a portare di queste stoffe. Il cenere, che era il colore delle uniformi della Confederazione, era praticamente scomparso per dar luogo a questi tessuti color bruno grigio. Gli ospedali cominciavano a preoccuparsi per la mancanza di chinino, di calomelano, di oppio, cloroformio e iodio. Le bende di tela e di cotone erano diventate troppo preziose per esser gettate via dopo averle adoperate; tutte le signore che facevano servizio di infermiera in qualche ospedale portavano a casa cestini di roba insanguinata da lavare e stirare per essere rimessa in uso. Ma per Rossella, appena uscita dalla crisalide della vedovanza, la guerra non era che un periodo di gaiezza e di divertimento. Anche le piccole privazioni di cibo e di vestiario non le davano noia in quella sua felicità di esser tornata nel mondo. Quando pensava alle giornate cupe e monotone dell'anno precedente, le sembrava che la vita avesse preso oggi un ritmo velocissimo. Ogni giorno le portava una nuova avventura; nuovi uomini che chiedevano di recarsi a farle visita, che le dicevano che era bella e che combattere e forse morire per lei era un privilegio. Amava Ashley con tutte le forze del suo cuore, ma non poteva fare a meno di invogliare altri uomini a chiederle di sposarla. La guerra sempre presente nello sfondo, dava alle relazioni sociali una piacevole mancanza di cerimonie, che le persone anziane osservavano allarmate. Le mamme stupivano vedendo che uomini a loro sconosciuti venivano a far visita alle figlie; gente che giungeva senza lettere di presentazione e i cui precedenti erano ignoti. La signora Merriwether, che non aveva mai baciato suo marito prima del matrimonio, non credeva ai suoi occhi quando sorprese Maribella che baciava il piccolo zuavo. E la sua costernazione aumentò quando Maribella rifiutò di sentirsi piena di vergogna. Anche il fatto che lo zuavo chiese immediatamente la mano della fanciulla non giovò a nulla. La signora Merriwether ebbe la sensazione che il paese andasse verso una completa rovina morale e non mancò di dirlo, spalleggiata dalle altre madri. Ma coloro che si aspettavano di morire fra una settimana o fra un mese non potevano certo attendere un anno per chiedere il permesso di chiamare una ragazza per nome, magari col "Miss" davanti. Né potevano perder tempo in un corteggiamento riguardoso come quello in uso prima della guerra. Al massimo aspettavano un paio di mesi prima di chiederla in moglie; e le ragazze a cui era stato insegnato che bisognava rifiutare almeno tre volte prima di accettare, ora accettavano alla prima domanda. Tutto ciò divertiva Rossella, la quale - a parte la noia di curare gli ammalati e di preparare le bende - sarebbe stata contenta che la guerra non finisse mai. In verità, ora sopportava ottimamente anche il servizio d'ospedale, perché questo luogo era un buonissimo terreno di caccia. I deboli feriti soccombevano al suo fascino senza lotta. Bastava cambiar le fasciature, sprimacciare i guanciali e sventolarli un pochino, ed ecco che si innamoravano. Era il paradiso, a confronto dell'anno scorso! Rossella era tornata ad essere quella che era prima di sposare Carlo; come se non si fosse mai maritata, non avesse mai avuto la triste notizia della sua morte, non avesse messo al mondo Wade. Guerra, matrimonio, maternità erano passate sopra di lei senza toccare alcuna corda profonda nel suo intimo; e il bambino era così ben curato dagli altri nella casa rossa, che ella quasi dimenticava di averlo. Era nuovamente Rossella O'Hara, la bella della Contea. I suoi pensieri erano identici a quelli di prima, ma il campo delle sue attività si era enormemente ampliato. Incurante della disapprovazione delle amiche di zia Pitty, ella si comportava come si era comportata prima del matrimonio; andava ai ricevimenti, ballava, usciva a cavallo con ufficiali, civettava, insomma faceva tutto ciò che faceva da fanciulla; soltanto non si toglieva il lutto. Sapeva che per Pitty e Melania sarebbe stato un colpo troppo forte. Si sentiva felice quanto poche settimane prima si era sentita disgraziata; felice di avere i suoi spasimanti, di essere sicura del proprio fascino; felice quanto era possibile esserlo con Ashley marito di Melania e in pericolo. Ma era più facile sopportare il pensiero che egli appartenesse a un'altra, quando era lontano; con le centinaia di miglia che erano fra Atlanta e la Virginia, a volte le pareva che fosse più suo che di Melania. I mesi d'autunno del 1862 trascorsero velocemente in queste divertenti occupazioni, interrotte da qualche breve visita a Tara. Queste non le davano la gioia che ella si riprometteva quando le pregustava ad Atlanta, perché non vi era il tempo di star seduta accanto ad Elena, mentre questa cuciva, aspirando il lieve profumo di verbena delle sue vesti; ed era impossibile avere lunghe conversazioni con sua madre e sentire le dolci mani di lei sulle sue guance. Elena, smagrita e preoccupata, era in piedi dalla mattina sino alla tarda sera, molto tempo dopo che tutta la piantagione era addormentata. Le richieste del commissario della Confederazione erano sempre più gravose; ed ella aveva il compito di far produrre a Tara il più possibile. Perfino Geraldo era occupatissimo, per la prima volta da molti anni, perché non aveva trovato un sorvegliante che sostituisse Giona Wilkerson e quindi correva in persona attraverso la piantagione. In queste condizioni, Rossella trovava Tara noioso. Perfino le sue sorelle si occupavano delle proprie faccende, Susele si era messa "d'accordo" con Franco Kennedy e gli cantava "Quando questa guerra crudele sarà finita" con un'intenzione maliziosa che Rossella trovava insopportabile e Carolene fantasticava pensando a Brent Tarleton, sicché non era una compagnia interessante. Benché Rossella andasse sempre volentieri a Tara, pure era ben contenta quando le inevitabili lettere di zia Pitty e di Melania la supplicavano di tornare. Elena sospirava, attristata dal pensiero che la sua maggior figliuola e l'unico nipotino dovessero lasciarla. - Ma non debbo essere egoista e trattenerti qui quando c'è bisogno di te come infermiera ad Atlanta – diceva. - Soltanto... mi pare di non avere mai il tempo di parlare con te, tesoro mio, e di sentire che sei di nuovo la mia piccina, come una volta.- Sono sempre la tua piccina - rispondeva Rossella; e nascondeva il volto nel seno di Elena, sentendo che la coscienza le faceva dei rimproveri. Non diceva a sua madre che erano i balli e gli spasimanti che la richiamavano ad Atlanta e non il servizio della Confederazione. Vi erano molte cose che ella taceva a sua madre. E soprattutto conservava il segreto sul fatto che Rhett Butler si recava sovente in visita a casa della zia Pitty. Durante i mesi che seguirono la vendita, Rhett andò a trovarla ogni volta che veniva ad Atlanta; e portava a passeggio Rossella nella sua carrozza, le faceva da cavaliere ai balli e alle vendite, la aspettava fuori dell'ospedale per riaccompagnarla a casa. Ella non temeva più che egli tradisse il suo segreto; ma in fondo al suo pensiero rimaneva il tormentoso ricordo che egli l'aveva vista nella peggior luce, e che sapeva la verità riguardo ad Ashley. Era questo che la costringeva a dominarsi quando egli la infastidiva. E ciò avveniva di frequente. Butler era sui trentacinque anni, più anziano di qualsiasi corteggiatore ch'ella avesse mai avuto, e dinanzi a lui ella si sentiva smarrita come una bimba e incapace di trattarlo come aveva trattato quelli della sua età. La stuzzicava e sembrava che nulla lo divertisse maggiormente che il vederla irritata. Ed ella si lasciava spesso trascinare dalla collera, perché aveva l'ardente temperamento di Geraldo sotto il visino dolce che aveva ereditato da Elena. E d'altronde, non si era mai presa la pena di controllarsi, eccetto in presenza di sua madre. Ora le seccava moltissimo dover ringhiottire le parole per timore di quel sorriso divertito. Se almeno avesse anche lui perduto il controllo dei propri nervi, ella non si sarebbe sentita in stato di inferiorità. Dopo qualche discussione con lui, dalla quale raramente usciva vittoriosa, ella giurava che era un uomo impossibile, sgarbato, maleducato, col quale non voleva aver mai più nessun rapporto. Ma presto o tardi egli tornava ad Atlanta, veniva a far visita, apparentemente, alla zia Pitty e presentava a Rossella, con esagerata galanteria, una scatola di dolci che le aveva portato da Nassau. O prenotava il posto accanto a quello di lei a un concerto o reclamava una danza; e di solito ella era così divertita della sua sfacciata impudenza, che rideva e dimenticava le liti precedenti, fino alla prossima occasione. Cominciò ad aspettare le sue visite. In lui era qualche cosa di eccitante che Rossella non analizzava, ma che lo rendeva diverso da tutti gli altri. "E' quasi come se ne fossi innamorata!" pensò un giorno sbalordita. Ma il senso di eccitazione persisteva. Quando egli veniva a far visita, la sua completa e schietta virilità faceva sembrare la casa signorile di zia Pitty troppo piccola, incolore e quasi misera. Rossella non era la sola in casa a reagire stranamente alla sua presenza; anche zia Pitty era in un curioso stato di agitazione e di fermento. Pur sapendo che Elena avrebbe disapprovato quelle visite e pur conoscendo che la società di Charleston lo aveva messo al bando, ella non resisteva ai suoi complimenti e ai suoi baciamano più di quanto una mosca resista a un vasetto di miele. Inoltre, egli le portava sempre da Nassau qualche regalino che le assicurava di essersi procurato espressamente per lei e di aver portato attraverso il blocco arrischiando la vita: cartine di spilli e di aghi, bottoni, rocchetti di seta e forcine per capelli. Era quasi impossibile procurarsi di questi oggetti di lusso in quell'epoca; le signore portavano delle forcine di legno curvato a mano e pezzetti di legno coperti di stoffa come bottoni; e a Pitty mancava la forza morale di rifiutarli. Del resto, aveva una passione infantile per le sorprese e non resisteva al desiderio di aprire i pacchetti contenenti i doni. E una volta aperti, non si sentiva di rifiutarli. Quindi, dopo avere accettato i doni, non aveva il coraggio di dire a Butler che la sua reputazione rendeva scorrette le visite frequenti a tre donne sole prive di un protettore. Zia Pitty sentiva il bisogno di questo protettore ogni volta che Rhett Butler era in casa. - Non so che cosa sia - sospirava sgomenta. - Ma... sì, credo che sarebbe simpatico se... se uno avesse l'impressione che nel profondo del suo cuore egli rispetta le donne.Dopo la restituzione dell'anello, Melania lo riteneva invece un gentiluomo pieno di delicatezza e si irritava a queste osservazioni. Egli era impeccabilmente cortese verso di lei, ma essa si sentiva un po' intimidita; anche perché era generalmente timida con gli uomini che non conosceva sin dall'infanzia. In fondo le faceva pena; sentimento questo che avrebbe molto divertito Butler se ne fosse stato a conoscenza. Era certa che un dispiacere di natura romantica lo aveva reso duro e amaro, e che ciò di cui egli aveva bisogno era l'amore di una donna buona. In tutta la vita ella non aveva mai conosciuto il male e stentava a credere che esistesse veramente; di guisa che quando i pettegolezzi la informarono dell'avventura di Rhett con la fanciulla di Charleston ella rimase scandalizzata e incredula. E questo, invece di renderla ostile a lui, la fece diventare anche più timidamente gentile, a causa del l'indignazione per quella che riteneva una grande ingiustizia sociale. Rossella era silenziosamente d'accordo con la zia Pitty. Anche lei sentiva che quell'uomo non rispettava alcuna donna, eccetto, forse, Melania. E aveva la sensazione di essere svestita ogni volta che egli la guardava; era quello sguardo insolente che le dispiaceva, come se tutte le donne fossero una sua proprietà di cui egli potesse godere quando gli pareva e piaceva. Solo per Melania non aveva quello sguardo; nessuna espressione beffarda, e nella sua voce, una nota speciale di cortesia, di rispetto, di desiderio di esserle utile. - Non so perché siate più gentile con lei che con me - disse Rossella con petulanza un giorno, mentre era sola con lui, perché Melania e Pitty sil erano ritirate per il riposo pomeridiano. Aveva osservato per un'ora Rhett che reggeva a Melania una matassa di lana e aveva notato la sua espressione imperscrutabile mentre questa aveva lungamente e orgogliosamente parlato della promozione di Ashley. Rossella sapeva che Rhett non aveva una grande opinione di Ashley e che non gl'importava proprio nulla che fosse stato fatto maggiore. Eppure rispose gentilmente e mormorò ciò che imponeva la cortesia a proposito del valore del giovine ufficiale. "E se io faccio tanto da nominare Ashley" pensò irritata "egli inarca subito le sopracciglia e sorride di quell'odioso sorriso d'intesa!" - Sono molto più bella, io - continuò; - e non capisco perché siate più gentile con lei.- Posso osare di sperare che siate gelosa? - Oh, non vi illudete! - Un'altra speranza distrutta. Se io sono "più gentile" con la signora Wilkes è perché lo merita. È una delle poche persone buone, sincere e disinteressate che ho conosciute. Forse voi non avete notato queste qualità. Inoltre, malgrado la sua giovinezza, è una delle poche gran signore che ho avuto il privilegio di avvicinare.- Vorreste dire che io non sono una gran signora? - Mi pare che siamo rimasti d'accordo che non eravate affatto signora, fin dal nostro primo incontro.- Oh, perché siete così odioso e scortese da riparlarne! Come potete incolparmi per un momento di collera infantile! È passato tanto tempo, e da allora sono diventata una donna; l'avrei bell'e dimenticato se voi non vi accennaste continuamente.- Non credo che sia stata collera infantile e non credo che siate mutata. Siete capace adesso come allora di scagliare un portafiori se non ottenete quello che volete. Ma di solito lo ottenete. E quindi non avete bisogno di distruggere i ninnoli.- Dio, come siete... vorrei essere un uomo! Vi metterei alla porta e...- E vi fareste ammazzare. Faccio centro a cinquanta metri. Meglio servirvi delle vostre armi: fossette, portafiori e simili.- Siete un furfante.- Vi aspettate di vedermi andare in furia per questo? Mi dispiace di darvi una delusione. Non potrete farmi infuriare dandomi dei titoli che mi spettano. Sicuro, sono un furfante; perché no? Siamo in un paese libero, e un uomo può essere un farabutto, se gli fa comodo. Sono soltanto gli ipocriti come voi, cara signora, (altrettanto neri di cuore ma che cercano di nasconderlo) che si adirano quando uno li chiama col nome adatto.Di fronte al suo calmo sorriso e alle sue parole pungenti ella rimase disorientata. Le sue consuete armi a base di scherno, freddezza e impertinenza si spuntavano nelle sue mani, perché nulla di quanto ella poteva dire riusciva a ferirlo. Sapeva per esperienza che il bugiardo è il più ardente difensore della propria sincerità, il codardo del proprio coraggio, il villano della propria signorilità, il farabutto del proprio onore. Ma con Rhett nulla di questo. Egli ammetteva tutto e rideva incitandola a dire ancora di più. Andò e tornò molte volte in quei mesi, giungendo senza preavviso e ripartendo senza commiato. Rossella non seppe mai con precisione quali affari lo conducessero ad Atlanta, perché pochi altri comandanti del suo genere trovavano necessario allontanarsi tanto dalla costa. Scaricavano la loro mercanzia a Charleston o a Wilmington, dove trovavano a riceverli una quantità di negozianti e di speculatori del Sud che compravano all'asta i generi importati. Le sarebbe piaciuto credere che egli faceva quei viaggi apposta per veder lei; ma perfino la sua enorme vanità si rifiutava a questa supposizione. Se le avesse fatto un po' di corte, se fosse sembrato geloso degli uomini che le si affollavano intorno, se avesse una volta cercato di trattenere la mano di lei fra le sue o le avesse chiesto un ritratto o un fazzolettino da conservare per ricordo, ella avrebbe trionfato vedendolo sedotto dalle sue grazie. Ma egli rimaneva indifferente e sembrava che non si accorgesse neppure di tutte le sue manovre per condurlo alle proprie ginocchia. Quando egli giungeva in città, fra tutte le donne era un vivo mormorio. Non solo egli interessava per l'aureola romantica che gli dava il fatto di attraversare con grave rischio il blocco yankee, ma vi era anche l'elemento attraente della sua cattiva reputazione. E ogni volta che le signore di Atlanta si radunavano a spettegolare, questa reputazione diventava peggiore, ciò che lo rendeva ancor più affascinante per le fanciulle. Innocenti per la massima parte, esse non sapevano con precisione su che cosa si fondasse tale reputazione; ma sapevano che una ragazza non era sicura quando stava con lui. Ed era strano che, invece, egli non avesse neppur baciato la mano di una ragazza da quando era venuto ad Atlanta per la prima volta. Questo però lo rendeva ancor più misterioso ed eccitante. Era l'uomo di cui si parlava di più, oltre agli eroi dell'esercito. Tutti sapevano che era stato espulso da West Point per ubriachezza e per "affari di donne". Il terribile scandalo della fanciulla di Charleston compromessa e del fratello ucciso era di dominio pubblico. Lettere da Charleston informarono poi che suo padre, un simpatico vecchio signore dotato di una ferrea volontà, lo aveva messo fuori di casa senza un penny, a vent'anni, e aveva perfino cancellato il suo nome dalla Bibbia famigliare. Dopo di allora egli si era recato in California, coi cercatori d'oro, nel 1849, e poi nell'America del Sud e a Cuba; i resoconti sulla sua attività in quei diversi paesi erano fin troppo saporiti. Ferimenti per causa di donne, omicidi, contrabbando d'armi nell'America centrale e, peggio di tutto, professione di giocatore; tutto questo era nella sua carriera, secondo quanto si narrava ad Atlanta. Non esisteva famiglia in Georgia che non avesse almeno un membro giocatore, il quale perdeva sul tappeto verde denaro, case, terre e schiavi. Ma la cosa era diversa. Si poteva giocare fino a ridursi sulla paglia rimanendo un gentiluomo; ma un giocatore di professione non poteva essere che un fuoricasta. Se non vi fossero state le particolari condizioni del tempo di guerra e i suoi servigi al governo della Confederazione, Rhett Butler non sarebbe mai stato ricevuto ad Atlanta. Ma oggi, anche i più restii comprendevano che il patriottismo richiedeva maggior larghezza di vedute. I più sentimentali sostenevano che la pecora nera della famiglia Butler si era pentita e cercava di espiare le sue colpe. Così le signore ritenevano che fosse un dovere incoraggiarlo sulla buona via. Inoltre, tutti sapevano che il destino della Confederazione riposava tanto sull'abilità delle navi che eludevano l'assedio yankee quanto sui soldati che erano al fronte. Si diceva che il capitano Butler fosse uno dei migliori piloti, assolutamente padrone dei propri nervi. Cresciuto a Charleston conosceva tutte le gole, insenature, baie, recessi, bassifondi della costa della Carolina; ed era come in casa sua anche nelle acque di Wilmington. Non aveva mai perso una nave né mai era stato costretto a buttare a mare un carico. Allo scoppiar della guerra, era emerso dall'oscurità con abbastanza denaro per comprare un veloce brigantino; e ora, guadagnando su ogni carico il duemila per cento, era proprietario di quattro navi. Aveva buoni piloti e li pagava bene; essi uscivano da Charleston e da Wilmington durante le notti buie, portando cotone per Nassau, l'Inghilterra, il Canadà. Le filande inglesi erano inoperose e gli operai morivano di fame; chiunque era capace di eludere il blocco yankee poteva poi chiedere il prezzo che voleva a Liverpool. Le navi di Rhett erano fortunate e riuscivano a portare, al loro ritorno, i materiali di cui il Sud aveva tanto bisogno. Sì, le signore sentivano che si potevano dimenticare e perdonare molte cose ad un uomo così abile e coraggioso. Era una figura notevole che tutti si voltavano a guardare. Spendeva con larghezza, cavalcava uno stallone nero e portava sempre abiti di ultimissima moda e di taglio perfetto. Questo sarebbe bastato ad attirare l'attenzione sopra di lui, perché le uniformi dei soldati erano adesso logore e macchiate e i borghesi, anche quelli più accurati, mostravano nei loro vestiti abili rammendi. Rossella non aveva mai visto calzoni così eleganti, fulvi, a quadretti o a righe. I suoi panciotti erano una meraviglia, specialmente quello di seta bianca ricamato a fiorellini rosa. E portava questi vestiti ricercati con aria indifferente, come se non si accorgesse neppure della loro eleganza. Poche donne resistevano al suo fascino quando egli aveva voglia di esercitarlo; e finalmente anche la signora Merriwether si piegò e lo invitò al pranzo domenicale. Maribella doveva sposare il suo piccolo zuavo alla prossima licenza di questi e piangeva ogni volta che ci pensava, perché si era messa in mente di sposare vestita di raso bianco e nella Confederazione non esisteva neanche un centimetro di questo tessuto. Né poteva farsi prestare il vestito, perché quelli degli anni precedenti erano stati trasformati in bandiere di combattimento. Invano la signora Merriwether cercava di convincerla che la lana tessuta a mano era l'abito ideale per una sposa confederata. Maribella voleva il raso. Era pronta a rinunciare alle forcine, ai bottoni, alle belle scarpine, ai dolci, al tè, per amore della Causa, ma voleva l'abito nuziale di raso. Rhett, avendo saputo questo da Melania, portò dall'Inghilterra metri e metri di magnifico raso bianco e un velo di trina e li regalò a Maribella come dono di nozze. Lo fece con una tal cortesia che non fu possibile neanche tentare di pagarglieli; e Maribella fu così felice che mancò poco non lo baciasse. La signora Merriwether si rese conto che un dono così costoso - e specialmente un dono di vestiario - non era affatto corretto; ma non trovò modo di rifiutare quando Rhett le disse, in linguaggio fiorito, che nulla era troppo bello per vestire la sposa di uno dei nostri eroi. E la signora lo invitò a pranzo, convinta di pagare largamente il dono con questa concessione. Oltre ad aver portato il tessuto, egli diede a Maribella ottimi consigli per la fattura del vestito. I cerchi a Parigi erano più larghi, quell'anno, e le gonne più corte. Non più ornate di crespe ma tagliate a festoni che lasciavano vedere le sottovesti ricamate. Disse pure che in istrada non aveva visto mutandine lunghe, sicché immaginava che non si portassero più. La signora Merriwether disse poi alla signora Elsing che temeva che, incoraggiandolo, egli avrebbe addirittura raccontato che specie di calzoncini portavano le parigine. Se non fosse stato un tipo così schiettamente virile, la sua abilità nel ricordare i particolari degli abiti delle signore lo avrebbero fatto passare per effeminato. Le signore trovavano strano assediarlo di domande concernenti la moda, ma lo facevano ugualmente, isolate com'erano dal mondo dell'eleganza, perché ben pochi libri passavano attraverso il blocco. Perciò Rhett era un ottimo sostituto al "Godey's" per le signore; e ogni volta che arrivava era il centro di gruppi femminili a cui riferiva che le cuffie erano più piccole e collocate più in alto, che si ornavano di piume e non di fiori, che l'Imperatrice dei Francesi aveva abbandonato lo -"chignon" per la sera, e portava i capelli raccolti in alto scoprendo tutte le orecchie, e che le scollature erano di nuovo scandalosamente profonde. Per qualche mese, egli fu l'individuo più popolare e più romantico della città, malgrado la sua precedente reputazione e malgrado le voci che lo dicevano impegnato non solo nei trasporti ma anche in speculazioni sui viveri. Quelli che avevano antipatia per lui dicevano che dopo ogni suo viaggio ad Atlanta i prezzi aumentavano di cinque dollari. Ma ad onta di questi pettegolezzi, egli avrebbe conservato la propria popolarità, se avesse creduto che ne valeva la pena. Invece sembrava che, dopo aver cercato la compagnia dei cittadini seri e patrioti ed essersi conquistato il loro rispetto e la loro simpatia, qualche cosa di perverso nel suo intimo lo spingesse a fare in maniera da offenderli, mostrando loro che il suo contegno era stato soltanto una mascheratura che ormai non lo divertiva più. Aveva l'aria di disprezzare tutto e tutti nel Sud, specialmente la Confederazione, senza prendersi neanche il disturbo di nasconderlo. Furono le sue osservazioni sulla Confederazione che lo fecero guardare dapprima con stupore, poi con freddezza e finalmente con ardente irritazione. Gli uomini gli si inchinavano con studiata freddezza e le donne cominciavano a trarsi vicino le figliuole quando egli appariva a una riunione. E si sarebbe detto che non solo gli facesse piacere offendere i sinceri e ardenti abitanti di Atlanta, ma anche presentarsi sotto la peggior luce possibile. Quando gli facevano dei complimenti per il suo coraggio nell'attraversare il blocco, egli soleva rispondere che quando si trovava in pericolo aveva sempre paura; paura come i bravi ragazzi che erano al fronte. Tutti sapevano che non vi era mai stato un soldato pauroso nella Confederazione; quindi le sue affermazioni erano singolarmente irritanti. E quando qualche giovine donna, cercando di civettare, lo ringraziava per ciò che faceva per loro, chiamandolo "eroe", egli si inchinava rispondendo che non era il caso, perché egli avrebbe fatto lo stesso per le donne yankee se si fosse trattato di guadagnare la stessa somma. Fin dalla prima sera che aveva visto Rossella alla vendita di beneficenza, aveva parlato in questo modo con lei; ma ora, con chiunque parlasse, nella sua conversazione era una leggera sfumatura di derisione. E ripeteva volentieri che se avesse potuto guadagnare altrettanto altrimenti, per esempio coi contratti governativi, avrebbe abbandonato i pericoli del blocco, e si sarebbe messo a vendere alla Confederazione stoffe fatte di stracci, zucchero misto con sabbia, farina guasta, e cuoio d'infima qualità. A molte delle sue osservazioni era impossibile rispondere. Vi erano già stati degli scandali sulle forniture militari. Lettere di uomini al fronte che si lamentavano che le scarpe non duravano più di una settimana, che la polvere da sparo non valeva nulla, che i finimenti cadevano a pezzi, che la carne era immangiabile e la farina verminosa. Gli abitanti di Atlanta cercavano di persuadersi che chi vendeva roba simile al Governo era gente di Alabama o della Virginia o del Tennessee, e non della Georgia. Non appartenevano forse alle migliori famiglie, i georgiani che avevano dei contratti di forniture? E non erano stati fra i primi a sottoscrivere in favore degli ospedali? L'ira contro i profittatori non era ancora desta e le parole di Rhett erano ritenute una prova della sua malvagità . Non solo egli offendeva la città con l'accusa di venalità a coloro che occupavano alte posizioni e di codardia agli uomini che erano in campo, ma si divertiva anche a mettere i dignitosi cittadini in posizioni imbarazzanti. Non sapeva resistere alla tentazione di pungere l'ipocrisia, la presunzione e il fiammeggiante patriottismo di quelli che lo circondavano, come un ragazzo che non può fare a meno di ficcare uno spillo in un palloncino gonfio di idrogeno. E lo faceva con tale garbo e tale apparenza di interessamento, che le sue vittime non erano mai sicure di ciò che era accaduto finché non si sentivano chiaramente messe in berlina. Rossella non aveva illusioni sul conto di quell'uomo. Ella sapeva la mancanza di sincerità delle sue elaborate galanterie e dei suoi madrigali fioriti. Sapeva che recitava la parte dell'eroico sfidatore del blocco unicamente perché ciò lo divertiva. A volte le sembrava fosse uno dei ragazzi insieme ai quali era cresciuta, ma sotto l'apparente leggerezza di Rhett ella sentiva che vi era qualche cosa di malizioso, quasi di sinistro nella sua soave brutalità. Benché si rendesse perfettamente conto della sua impostura, pure Rossella preferiva vederlo nel ruolo di romantico comandante di un brigantino. Questo, in un primo tempo, giustificava in certo modo la sua cordialità con lui. Perciò fu molto seccata quando egli lasciò cadere la maschera; e le parve che una parte delle critiche contro quell'uomo ricadesse anche sopra di lei. Fu alla riunione musicale della signora Elsing a beneficio dei convalescenti che Rhett firmò il suo definitivo mandato di ostracismo. Quel giorno la casa Elsing era affollata di soldati in licenza, di convalescenti, di membri della Guardia Nazionale e della Milizia Unitaria; di signore, vedove e fanciulle. La grande coppa di vetro inciso che il maggiordomo degli Elsing teneva fra le mani, accanto all'ingresso, era stata già riempita due volte di monete d'argento: l'offerta individuale di tutti gli intervenuti. Questo rappresentava già un successo, perché ogni dollaro d'argento valeva sessanta dollari di carta. Ogni giovane donna un po' musicista aveva suonato e cantato e i quadri viventi erano stati accolti da vivissimi applausi. Rossella era molto contenta di sé, perché non solo aveva cantato con Melania il commovente duetto "Quando sui fiori brilla la rugiada", ma era stata scelta per rappresentare nell'ultimo quadro lo Spirito della Confederazione. Era stata affascinante, vestita di tarlatana bianca orlata di rosso e di blu, con le Stelle e le Sbarre in una mano, mentre con l'altra tendeva al capitano Carey Ashburn, di Atlanta, inginocchiato dinanzi a lei, la spada con l'elsa dorata, che aveva appartenuto a Carlo e a suo padre. Terminato il quadro, cercò gli occhi di Rhett per vedere se egli avesse apprezzato la sua esibizione e vide con un senso di dispetto che egli era tutto intento a discutere e probabilmente non l'aveva neanche notata. Dai volti di coloro che lo circondavano ella comprese che erano furibondi per ciò che Butler stava dicendo. Rossella si aperse un varco tra la folla e, in uno di quegli strani silenzi che piombano a volte su una riunione, udì Guglielmo Guinan della Milizia dire semplicemente: - Debbo comprendere, signore, che intendete dire che la Causa per la quale sono caduti i nostri eroi non è sacra? - Se voi foste maciullato da un treno in corsa, la vostra morte non santificherebbe la Compagnia Ferroviaria, non è vero? - replicò Rhett; e la sua voce sembrava che chiedesse umilmente un'informazione . - Signore - e la voce di Guglielmo tremava - se non fossimo sotto questo tetto...- Io tremo al solo pensiero di ciò che accadrebbe - rispose Rhett. - Perché il vostro coraggio è ben noto.Guglielmo divenne scarlatto e tutte le conversazioni cessarono. Tutti erano imbarazzati. Guglielmo era sano e forte e in età da prestar servizio, eppure non era al fronte. Era figlio unico, questo è vero; e poi, bisognava pure che qualcuno rimanesse a casa per proteggere lo Stato. Ma quando Rhett parlò di coraggio, vi furono da parte degli ufficiali convalescenti delle risatine beffarde. "Ma perché non tace!" pensò Rossella indignata. "Rovina tutto il ricevimento!" Le sopracciglia del dottor Meade erano minacciose. - Per voi, giovinotto, non vi è nulla di sacro - cominciò con la voce che usava per i suoi discorsi. - Ma per i patrioti del Sud, uomini e donne, vi sono molte cose sacrosante. Una di queste è la libertà del nostro paese dagli usurpatori; un'altra è il Diritto di Stato, e...Rhett ebbe l'aria infastidita. - Tutte le guerre sono sacre - replicò. - Per quelli che debbono combatterle. Se coloro che cominciano una guerra non la dichiarassero sacra, chi sarebbe tanto sciocco da andare a battersi? Ma checché dicano gli oratori agli idioti che vanno a farsi ammazzare, qualunque sia il nobile scopo che assegnano alla guerra, la ragione di questa è sempre una sola. Il denaro. Tutte le guerre non sono che questioni di quattrini. Ma poca gente se ne rende conto. Le loro orecchie sono troppo piene di squilli di tromba e di rullar di tamburi e delle belle parole degli oratori che rimangono a casa. A volte il grido di guerra è: "Liberiamo il Sepolcro di Cristo dagli Infedeli!"; altre volte "Abbasso il Papato!"; altre volte ancora: "Libertà!" e qualche volta anche: "Cotone, schiavismo e Diritti di Stato!""Che diavolo c'entra il Papa?" si chiese Rossella. "E il Sepolcro di Cristo?" Ma mentre tentava di raggiungere il gruppo, vide Rhett inchinarsi seccamente e avviarsi alla porta. Tentò di raggiungerlo ma la signora Elsing la trattenne per la gonna. - Lasciatelo andare! - le disse con una voce chiara che risuonò nella sala improvvisamente silenziosa. E' un traditore e uno speculatore. E' un serpe che abbiamo nutrito nel nostro seno!Rhett, in anticamera e col cappello in mano, udì ciò che era stato detto appunto perché lo udisse e si volse ad esaminare un istante il salone. Fissò impertinentemente il seno piatto della signora Elsing, sogghignò e, facendo ancora un inchino, uscì. La signora Merriwether tornò a casa nella carrozza di zia Pitty; appena le quattro signore furono sedute, esplose. - Finalmente ci siamo, Pittypat Hamilton! Spero che sarete soddisfatta! - Di che cosa? - chiese Pitty in tono apprensivo. - Del contegno di quel miserabile Butler che voi avete protetto.Pitty si agitò, troppo sconvolta dall'accusa per ricordare alla signora Merriwether che Butler era stato anche suo ospite parecchie volte. Rossella e Melania lo pensarono ma, per educazione verso persone più anziane, si trattennero dal fare l'osservazione. Invece guardarono attentamente le proprie mani coperte dai mezzi-guanti. - Ci ha insultati tutti ed ha insultato anche la Confederazione - continuò la signora Merriwether, e il suo seno abbondante ansimava violentemente sotto la lucente guarnizione di passamaneria del suo corpetto. - Dire che combattiamo per il denaro! Che i nostri capi ci hanno mentito! Bisognerebbe metterlo in prigione. Sì; ne parlerò col dottor Meade. Se fosse vivo il signor Merriwether gliela farebbe scontare! Ora, Pitty Hamilton, state a sentire. Non dovete più permettere che quel mascalzone venga in casa vostra! - Oh! - fece Pitty smarrita e guardando, quasi a chiedere il loro soccorso, le due ragazze che tenevano gli occhi bassi; e poi il dorso eretto dello zio Pietro. Sapeva che egli ascoltava tutto quanto si diceva e sperava che si voltasse a prender parte alla conversazione, come faceva di frequente. Ma quegli non si mosse. Pitty sapeva che il vecchio negro non aveva alcuna simpatia per Butler. Quindi sospirò e mormorò: - Mah...Se credete, Dolly...- Credo - rispose con fermezza la signora Merriwether. - Intanto non so che idea abbiate avuto fin dal principio di riceverlo. Ma dopo il pomeriggio di oggi non vi sarà in tutta la città una casa onorevole che voglia accoglierlo. Abbiate un po' di abilità e proibitegli di venire in casa vostra.Volse alle ragazze un'occhiata penetrante. - Spero che voi due farete tesoro delle mie parole - continuò - perché in parte è colpa vostra. Siete state troppo gentili con lui. Ora dovete dirgli cortesemente, ma decisamente che la sua presenza e i suoi discorsi antipatriottici sono per voi ugualmente spiacevoli.Rossella si stava agitando internamente, pronta a reagire come un cavallo che sente la propria briglia toccata da un estraneo. Ma non osò parlare per timore che la signora Merriwether scrivesse un'altra lettera a suo padre. "Vecchia bufala!" pensò rossa d'ira repressa. "Che gioia sarebbe poterti dire quello che penso di te e del tuo modo di fare!" - Non avrei mai creduto di udire simili parole contro la nostra Causa - proseguì la signora Merriwether. - E se dovessi credere che voialtre due parlerete ancora con lui... per l'amor di Dio, Melly, che hai?Melania era pallida e aveva gli occhi sbarrati. - Continuerò a parlargli - disse a bassa voce. - Non sarò scortese con lui. Non gli proibirò di venire in casa.La signora Merriwether sembrò soffocare; zia Pitty spalancò la bocca e zio Pietro si voltò a guardare. "Perché non ho avuto io il coraggio di dir questo?" pensò Rossella con un senso di gelosia mista ad ammirazione. "Come fa questo piccolo coniglio ad avere il coraggio di ergersi contro la vecchia Merriwether?" Le mani di Melania tremavano, ma ella continuò in fretta come se avesse paura che l'ardire le venisse meno. - Non sarò scortese con lui a causa di ciò che ha detto, perché... ha avuto torto a dirlo forte... è stato sconsigliato... ma... è la stessa cosa che pensa Ashley. Ed io non posso vietare la mia casa a un uomo che la pensa come mio marito. Sarebbe un'ingiustizia.La signora Merriwether aveva ripreso fiato ed esplose. - Melly Hamilton! Non ho mai udito una simile menzogna! Nessuno dei Wilkes è mai stato un codardo...- Non ho detto che Ashley è un codardo - e gli occhi di Melania cominciarono a fiammeggiare. - Ho detto che egli pensa le stesse cose che pensa il capitano Butler, soltanto le esprime con parole diverse. E non va in giro a dirle nelle riunioni, spero. Ma a me lo ha scritto.La coscienza di Rossella si scosse mentre ella cercava di ricordare che cosa aveva scritto Ashley; ma la maggior parte di ciò che aveva letto le era uscito di mente. Quindi credette che Melania avesse smarrito il cervello. - Ashley mi ha scritto che non dovremmo combattere contro gli yankees e che siamo stati ingannati dagli uomini di Stato che ci hanno raccontato una quantità di bubbole - continuò Melly rapidamente. E ha detto che nulla al mondo vale il danno che ci produrrà questa guerra."Ah!" pensò Rossella. "E' quella la lettera...!" - Non ci credo - replicò la signora Merriwether. - Tu hai frainteso le sue parole.- Io capisco perfettamente Ashley - ribatté Melania tranquilla, benché le sue labbra tremassero. - Egli intende esattamente dire quello che dice il capitano Butler, ma detto in altro modo.- Dovresti vergognarti di paragonare un uomo come Ashley Wilkes a un farabutto come il capitano Butler! Forse anche tu pensi che la Causa non valga nulla! - Io... non so che cosa penso - cominciò Melania incerta, mentre il suo ardore l'abbandonava e una specie di panico s'impadroniva di lei. - Morirei per la Causa... ed anche Ashley. Ma... voglio dire... che questi pensieri vanno lasciati agli uomini.- Non ho mai sentito una cosa simile! Fermo, zio Pietro, siamo a casa mia! Zio Pietro occupato ad ascoltare la conversazione, stava oltrepassando la casa dei Merriwether. La signora Merriwether discese, coi nastri della sua cuffia che si agitavano come vele al vento. - Te ne pentirai - disse. Zio Pietro frustò il cavallo. - Tu, signorina, vergognarti di mettere Miss Pitty in questo stato, sgridò.- Non sono affatto agitata - rispose Pitty con stupore di tutti, perché generalmente sveniva per molto meno di questo. - Melly, tesoro, so che hai voluto difendermi, e sono stata veramente contenta di vedere che qualcuno ha umiliato Dolly. Come hai avuto tanto coraggio? Ma credi di aver fatto bene a dire ciò di Ashley? - Ma è vero!- esclamò Melly e cominciò a piangere piano. - E non mi vergogno di dire che egli la pensa così. Egli crede che la guerra sia un errore, ma è pronto a combattere e a morire, e per questo occorre assai più coraggio di quando si combatte per qualche cosa che si crede giusto.- Zitta, Miss Melly, non piangere in Strada di Albero di Pesco.- borbottò zio Pietro affrettando il passo del cavallo. - Gente subito pronta a fare chiacchiere. Aspettare di essere a casa.Rossella non parlò. Non strinse neanche la mano che Melania aveva messo nella sua per cercare conforto. Ella aveva letto le lettere di Ashley per un solo scopo; per assicurarsi che egli l'amava ancora. Ora Melania aveva dato un nuovo significato a certi punti delle lettere che Rossella aveva appena scorso. La urtava il pensare che qualcuno così perfetto come Ashley, potesse avere dei pensieri in comune con un reprobo come Rhett Butler. Disse fra sé: "entrambi vedono la verità in questa guerra; ma Ashley è pronto a morire e Rhett no. Mi pare che questo dimostri il buon senso di Rhett". Si fermò un attimo, colpita dall'orrore di avere avuto un simile pensiero sul conto di Ashley. "Entrambi vedono la stessa spiacevole verità; ma Rhett ama guardarla in faccia e irritare il pubblico parlandone; mentre Ashley non può sopportarne la vista." E questo la stupiva molto. 13 Sotto lo stimolo della signora Merriwether, il dottor Meade si decise a scrivere al giornale una lettera in cui non nominava Rhett, benché questi fosse facilmente riconoscibile. Il direttore del giornale, intuendo il dramma sociale che si nascondeva sotto quello scritto, lo pose in seconda pagina, ciò che era già una grande innovazione, perché le prime due pagine del giornale erano sempre dedicate ad avvisi pubblicitari per vendite di schiavi, muli, aratri, casse, case da vendere o d'affittare, cure per malattie segrete, rigeneratori per le forze indebolite. La lettera del dottore fu la prima di un coro d'indignazione che si cominciò a udire in tutta la regione contro speculatori e profittatori. A Wilmington, il principale porto dove si poteva ancora approdare ora che quello di Charleston era praticamente chiuso dalle navi da guerra yankee, la situazione s'era fatta veramente scandalosa. Gli speculatori affollavano la città. E, avendo del denaro contante, compravano interi carichi di mercanzia, e la imboscavano per poter poi rialzare i prezzi. Il rialzo arrivava sempre, perché con la diminuzione crescente del necessario, i prezzi diventavano ogni mese più elevati. I borghesi erano costretti a comprare ai prezzi degli speculatori; i poveri o coloro che erano in condizioni modeste soffrivano di questa carestia. Col rialzo dei prezzi la valuta diminuiva, e la sua rapida caduta segnò il sorgere di una folle passione-per il lusso. Si dava commissione ai comandanti dei brigantini di portare le merci di prima necessità, e si permetteva loro di commerciare in articoli di lusso, solo come accessorio; ma oggi le loro stive erano piene di merci di lusso, con esclusioni di quelle di cui la Confederazione aveva urgente bisogno. A peggiorare la situazione vi era l'unica linea ferroviaria da Willington a Richmond; e mentre migliaia di sacchi di farina e di scatole di lardo andavano a male nei magazzini delle stazioni per mancanza di carri da trasporto, gli speculatori che avevano vini, sete e caffè da vendere, riuscivano sempre a far giungere la loro mercanzia a Richmond, due giorni dopo che questa era sbarcata a Wilmington. Le voci che prima circolavano sommesse sul conto di Rhett Butler, il quale, a quanto si diceva, non solo speculava con le sue quattro navi, vendendo la mercanzia a prezzi inauditi, ma comprava i carichi di altre navi e li immagazzinava in attesa del rialzo dei prezzi, ora erano diventate argomento di tutti i discorsi. Si diceva che egli fosse il capo di una associazione che impiegava più di un milione di dollari, ed aveva Willington come quartiere generale con lo scopo di comprare ogni mercanzia appena sbarcata. Essi avevano dozzine di magazzini in quella città e a Richmond - si diceva - colmi di viveri e di oggetti di vestiario. "Vi sono molti uomini coraggiosi e patrioti in quel ramo della nostra Marina che ha il compito di eludere il blocco" diceva la lettera del dottore "uomini disinteressati che arrischiano la loro vita e la loro ricchezza perché la Confederazione possa sopravvivere. Essi sono adorati e onorati da noi tutti. Non è di loro che intendo parlare. "Ve ne sono altri, veri furfanti, che mascherano sotto la veste del patriottismo la loro avidità di guadagno; ed io chiamo la giusta collera e la vendetta di un popolo che combatte per la più santa delle cause, su- questi avvoltoi umani, che importano rasi e merletti quando i nostri uomini muoiono e i nostri eroi soffrono per mancanza di morfina. Indico all'esecrazione pubblica questi vampiri che succhiano il sangue vitale di coloro che seguono Roberto Lee. Come possiamo sopportare fra di noi facchini in scarpe verniciate, mentre i nostri ragazzi vanno all'assalto coi piedi scalzi? Come possiamo tollerarli col loro champagne e i loro pasticci di fegato d'oca, mentre i nostri soldati rabbrividiscono attorno ai loro fuochi da campo e si nutrono di lardo rancido? Non dubito che ogni leale confederato li scaccerà." Gli abitanti di Atlanta lessero, seppero che l'oracolo aveva parlato e, come leali confederati, si affrettarono a espellere Butler. Di tutte le case che l'avevano ricevuto sino alla fine del 1862, quella della signorina Pittypat fu quasi la sola in cui egli continuò ad entrare nel 1863; e se non fosse stato per Melania, probabilmente non vi sarebbe stato ricevuto. Zia Pitty era agitatissima ogni volta che egli era in città. Sapeva benissimo che cosa dicevano i suoi amici, perché ella lo riceveva; ma le mancava il coraggio di dirgli che era male accetto. Ogni volta che egli giungeva ad Atlanta, Pitty faceva la voce grossa e diceva alle ragazze che sarebbe andata sulla porta a proibirgli di entrare. Ed ogni volta che egli arrivava con un pacchettino in mano e un piccolo complimento sulle labbra, ella cedeva. - Non so che fare - gemeva. - Mi guarda... ed io... ho paura di ciò che potrebbe fare se gli parlassi. Ha una tale reputazione...Se per esempio mi battesse... o... Dio, Dio, se Carlo fosse vivo! Rossella, devi dirglielo tu che non venga più... dirglielo gentilmente. Povera me! Io credo che tu l'incoraggi e tutta la città ne parla; e se tua madre viene a saperlo, che cosa dirà di me? Anche tu, Melly, non devi essere così gentile con lui. Sii fredda e distante ed egli capirà. Forse sarà meglio che io scriva a Enrico pregandolo di parlare col capitano Butler...- Non ci penso nemmeno - rispondeva Melania. - E non sarò affatto scortese con lui. Credo che la gente si comporti molto male e dica un sacco di sciocchezze. Non può essere che egli sia tutto quello che dicono il dottor Meade e la signora Merriwether. È impossibile che immagazzini il cibo per far morire di fame la gente. Mi ha dato ultimamente cento dollari per gli orfani; sono sicura che è tanto leale e patriota quanto ognuno di noi, ma è troppo orgoglioso per difendersi.Zia Pitty non seppe fare altro che giungere le mani disperatamente. Quanto a Rossella, era da molto tempo rassegnata all'abitudine di Melania di vedere la bontà in tutti. Era una sciocca, Melania; ma a questo non vi era rimedio. Rossella sapeva che Rhett non era affatto patriota; ma a lei questo non importava nulla. La sola cosa che importava erano i regalini che egli le portava da Nassau; coserelle che ogni signora poteva accettare senza compromettersi. Coi prezzi attuali, come le sarebbe stato possibile avere forcine, dolci, aghi, se gli avesse vietato di venire in casa? No: era più comodo lasciare la responsabilità a zia Pitty che, dopo tutto, era la padrona di casa, l'accompagnatrice e l'arbitra di ciò che era o non era normale. Rossella sapeva che la città parlava delle visite di Rhett e anche di lei; ma sapeva anche che agli occhi di Atlanta, Melania Wilkes non poteva conservare un carattere di rispettabilità. Certo, sarebbe stato preferibile che Rhett non ripetesse le sue eresie. Ella non avrebbe avuto l'imbarazzo di vedere la gente che si voltava deliberatamente dall'altra parte quando la incontrava con lui. - Anche se pensate queste cose, perché le dite? - lo sgridò un giorno. - Sarebbe tanto più carino se voi, pur pensando ciò che vi pare, teneste la bocca chiusa.- Questo è il vostro sistema, non è vero, mia piccola ipocrita dagli occhi verdi! Mi illudevo che foste più coraggiosa. Avevo sempre sentito raccontare che gli irlandesi dicono quello che pensano. Ditemi sinceramente: non vi sentite scoppiare, a volte, a dover tenere la bocca chiusa? - Ma... sì - ammise Rossella con riluttanza. - Per esempio, mi annoio mortalmente a sentir sempre parlare della Causa, giorno e notte. Ma se lo confessassi, Dio benedetto, nessuno mi saluterebbe più e nessun giovinotto ballerebbe più con me! - Ah sì; e capisco che bisogna ballare ad ogni costo! Ebbene, ammiro la vostra padronanza di voi stessa, ma io non sono all'altezza. Non posso mettere la maschera del patriottismo, per quanto possa esser conveniente la simulazione. Vi sono abbastanza imbecilli che arrischiano fino all'ultimo centesimo e che usciranno dalla guerra poveri come Giobbe; non vi è nessun bisogno di me per aumentare il loro numero. Lasciate pure che abbiano l'aureola; la meritano. Vedete che sono sincero. D'altronde, l'aureola è la sola cosa che resterà loro fra uno o due anni.- Come fate a dire queste cose quando sapete che l'Inghilterra e la Francia stanno per venire in nostro aiuto...- Ma come, Rossella! Avete letto i giornali! Sono molto stupito. Non fatelo più; è una lettura che genera confusione nel cervello delle donne. Per vostra informazione, vi dirò che sono stato in Inghilterra meno di un mese fa e posso assicurarvi che essa non ha nessuna intenzione di venire in aiuto alla Confederazione. L'Inghilterra non scommette mai sul cane o sul cavallo che è in condizioni di inferiorità; e questa è la sua forza. Inoltre, quella grassa olandese che è sul suo trono è un'anima timorata di Dio e non approva la schiavitù. E' capace di lasciare che migliaia di operai delle filature muoiano di fame perché manca il cotone; ma non sparerà mai un colpo in favore dello schiavismo. Quanto alla Francia, quella pallida imitazione di Napoleone che la governa ha troppo da fare nel Messico per occuparsi di noi. Anzi benedice la guerra, perché ci impedisce di andare a scacciare dal Messico le sue truppe:..No, Rossella; l'idea degli aiuti stranieri è una fola dei giornali per risollevare il morale dei nostri. La Confederazione è agli sgoccioli. Io stesso, penso di non poter continuare i miei viaggi per più di altri sei mesi. Dopo, sarebbe troppo rischioso. E venderò le mie navi a qualche imbecille di inglese che crederà di poter fare quello che ho fatto io. Ma questo non mi preoccupa. Ho guadagnato abbastanza; e il mio denaro è nelle banche inglesi, in oro. Non voglio di questa cartaccia. Come sempre, le sue parole, che agli altri suonavano tradimento e perfidia, all'orecchio di Rossella apparivano piene di buon senso e di verità. Eppure avrebbe dovuto anche lei essere infuriata e scandalizzata; o perlomeno fingere di esserlo. Sarebbe stato un atteggiamento più degno di una signora. - Credo che quanto ha scritto di voi il dottor Meade sia giusto, capitano Butler. Il solo modo di redimervi è arruolarvi dopo aver venduto le vostre navi. Siete di West Point e...- Parlate come un predicatore battista che tiene un discorso per reclutare degli adepti. E se io non ho nessun desiderio di redimermi? Perché dovrei combattere per difendere un sistema che mi ha scacciato? Sarò invece ben lieto di vederlo distrutto.- Non so di che sistema parliate - replicò ella sgarbata. - No? Eppure ne fate parte, come ne facevo parte io; e sono sicuro che non lo amate più di quanto lo ami io. Perché sono la pecora nera della famiglia Butler? Perché non mi sono adattato a fare tante cose che bisognava fare soltanto perché sono sempre state fatte... Cose innocenti che non bisogna fare per la stessa ragione... Cose che infastidiscono perché sono prive di senso comune... Il non aver sposato una signorina di cui avete forse sentito parlare non è stato altro, per me, che l'ultima goccia che ha fatto traboccare il calice. E perché avrei dovuto sposare una noiosa scioccherella per l'unica ragione che un incidente mi ha impedito di ricondurla a casa prima che annottasse? E perché dovevo permettere a quel selvaggio di suo fratello di ammazzarmi, se io tiravo di pistola meglio di lui? Forse, se fossi stato un gentiluomo mi sarei lasciato uccidere e questo avrebbe cancellato la macchia dal blasone dei Butler. Ma... la vita mi piace. E così sono rimasto vivo e mi son divertito... Quando penso a mio fratello che vive fra le sacre mucche di Charleston ed è pieno di rispetto per esse, e mi ricordo quella donna indigesta che è sua moglie e quei suoi insopportabili balli provinciali... beh, vi assicuro che riconosco che aver troncato i rapporti col sistema ha i suoi compensi. Il nostro modo di vivere negli Stati del Sud, cara Rossella, è antiquato come il sistema feudale del medioevo. Il miracolo è che sia durato tanto. Doveva finire; e siamo vicini a questo. E volete che io mi metta ad ascoltare dei predicatori come il dottor Meade e mi ecciti al rullo dei tamburi ed afferri un moschetto per andare a spargere il mio sangue per Marse Robert? Ma per che imbecille mi prendete? Baciare la mano che mi ha percosso non è nel mio stile. Fra me e il Sud, la partita è regolata. Il Sud mi ha cacciato a morir di fame; non sono morto e ho guadagnato tanto denaro su quella che sarà la morte del Sud, da compensarmi per i diritti di primogenitura che ho perduti.- Siete abbietto e venale - ritorse Rossella; ma pronunciò queste parole automaticamente. La maggior parte di quanto egli diceva le entrava in un orecchio e usciva dall'altro, come la maggior parte delle conversazioni che non erano di argomento personale. Ma alcune cose erano giuste. Tutte le sciocchezze che comporta la vita tra persone per bene! Fingere di aver sepolto il proprio cuore mentre non era vero... E veder tutti scandalizzati quella volta che aveva ballato alla festa di beneficenza! E il modo in cui la guardavano ogni volta che diceva o faceva qualche cosa di diverso da tutte le altre... Eppure, rabbrividì udendolo attaccare tutte le tradizioni che le davano maggiormente noia. Aveva vissuto per troppo tempo fra persone che dissimulavano educatamente, per non sentirsi disorientata nell'udire manifestare in parole i propri pensieri. - Venale? No; sono soltanto lungimirante. Può darsi che questo sia semplicemente sinonimo di venale. Almeno, così dice chi non è previdente. Qualsiasi leale confederato che avesse avuto in cassa mille dollari nel 1861 avrebbe potuto fare quello che ho fatto io; ma pochi sono stati tanto previdenti da approfittare dell'occasione. Per esempio, subito dopo la caduta del Forte Sumter e prima che si stabilisse il blocco, io comprai parecchie migliaia di balle di cotone a bassissimo prezzo e le portai in Inghilterra, dove sono ancora nei magazzini di Liverpool. Non le ho vendute fino ad ora e le terrò finché le filande inglesi ne avranno bisogno e mi pagheranno il prezzo che vorrò. Non sarei sorpreso di ottenerne un dollaro a libbra.- Avrete un dollaro a libbra quando Pasqua verrà di maggio! - Invece sono persuaso che lo avrò. Il cotone è già arrivato a due cents la libbra. A guerra finita sarò ricco, perché sono stato previdente... pardon, venale. Vi ho già detto una volta che i momenti buoni per guadagnare sono due: quando si costruisce un paese e quando lo si distrugge. Lentamente nel primo caso, rapidamente nel secondo. Ricordatevi le mie parole. Forse un giorno vi potranno servire.- Apprezzo molto i buoni consigli - rispose Rossella con tutto il sarcasmo di cui fu capace. - Ma non ne ho bisogno. Credete che il babbo sia povero? Ha già più di quanto può occorrermi; e oltre a questo, ho l'eredità di Carlo.- - Credo che gli aristocratici francesi pensassero press'a poco lo stesso fino al momento in cui salirono sul carro che li portava alla ghigliottina.Spesso Rhett faceva notare a Rossella l'inopportunità di vestire in lutto mentre partecipava a tutte le attività sociali. Egli amava i colori smaglianti; e gli abiti funerei di Rossella e il velo di crespo che le giungeva quasi ai talloni lo divertivano e lo urtavano nello stesso tempo. Ma ella vi teneva, perché sapeva che se avesse messo degli abiti di colore prima che fosse passato qualche anno, gli strali della città si sarebbero appuntati contro di lei più di quanto già ne fossero. E poi, come avrebbe spiegato a sua madre? Rhett le disse francamente che il velo di crespo le dava l'aspetto di una cornacchia e che il nero l'invecchiava di dieci anni. Questa affermazione poco galante la fece precipitare allo specchio per vedere se realmente dimostrava ventotto anni invece di diciotto. - Dareste prova di maggiore buon gusto togliendovi quello che dimostra un dolore che certamente non avete mai provato. Facciamo una scommessa. Entro due mesi vi sarete tolto quel vestito e quel velo e avrete invece una elegantissima creazione di Parigi.- Neanche per sogno; e non parliamone più - ribatté Rossella un po' seccata per l'allusione a Carlo. Rhett, che si disponeva a partire per una nuova gita a Wilmington, si accomiatò con un curioso ghigno. Qualche settimana dopo, in una magnifica mattinata d'estate, riapparve portando in mano una scatola da cappelli; e trovando Rossella sola in casa, l'aperse. Avvolta nella carta velina era una cuffia che le fece esclamare: - Oh, che bellezza! - Privata da tanto tempo di bei vestiti, le sembrava la più graziosa che avesse mai visto. Era di taffettà verde scuro, foderata di seta leggera verde giada. I nastri che si annodavano sotto il mento erano anch'essi verde chiaro. Sul bordo era appuntato un ciuffetto di piume di struzzo verdi. - Provatela - sorrise Rhett. Ella fece un balzo allo specchio e posò la cuffietta sul capo, spingendo indietro i capelli per lasciar vedere gli orecchini e annodandosi il nastro sotto al mento. - Come mi sta? - chiese facendo una piroetta e scrollando la testa per far muovere la penna. Ma sapeva che le stava bene anche prima di leggerne la conferma negli occhi di lui. Il verde della fodera dava un riflesso di smeraldo ai suoi occhi e li faceva brillare. - Oh, Rhett, per chi è? Ho voglia di comprarla. A qualunque prezzo.- E' vostra. Chi altri potrebbe portare questa sfumatura di verde? Vi pare che mi sia ricordato bene il colore dei vostri occhi? - Davvero l'avete fatta fare per me? - Senza dubbio; e sulla scatola c'è scritto Rue de la Paix, se non vi dispiace.Ella continuava a guardarsi; era il più bel cappello che avesse messo in testa da due anni! Ma un tratto il suo sorriso svanì. - Non vi piace? - Oh, è un sogno! Ma... che rabbia dover coprire questo verde col crespo e far tingere le piume! In un attimo egli fu accanto a lei, sciolse il nastro e rimise il cappello nella scatola. - Che fate? Avevate detto che era mio! - Ma non per farlo diventare un cappello da lutto. Troverò qualche altra bella signora con gli occhi verdi che apprezzerà il mio gusto. - Oh no! Non farete questo! Mi farete morire! Siate buono, Rhett! Datemelo! - Per farlo diventare uno spauracchio come gli altri vostri cappelli? No, no!Ella afferrò la scatola. Quel delizioso cappellino che la faceva apparire così giovine e bella, darlo a un'altra? Mai! Per un attimo pensò all'orrore di Pitty e di Melania. Pensò ad Elena e rabbrividì. Ma la vanità fu più forte. - Non lo cambierò. Prometto. Ora datemelo.Egli le diede la scatola con un sorrisetto sardonico e la osservò mentre si rimetteva il cappello e tornava ad ammirarsi. - Quanto costa? - chiese a un tratto diventando seria. - Ho soltanto cinquanta dollari adesso; ma il mese venturo...- Costerebbe circa duemila dollari in denaro della Confederazione -rispose egli sorridendo della sua espressione desolata. - Dio mio! Beh, posso darvi cinquanta adesso e poi...- Non voglio niente. È un regalo.Rossella spalancò la bocca. Il suo concetto, per quanto concerneva il ricevere regali dagli uomini, era molto preciso. - Dolci e fiori, mia cara - aveva detto più volte Elena - e magari un libro di versi o un album o una boccetta di acqua di Florida sono le sole cose che una signora può accettare da un uomo. Mai, un dono dispendioso, neanche dal fidanzato. E mai un gioiello né un oggetto da mettere addosso: neanche guanti o fazzoletti. Accettare doni di questo genere autorizza un uomo a credere di non aver dinanzi una signora e a prendersi delle libertà."Dio mio" pensò guardandosi prima nello specchio e poi volgendo lo sguardo sul volto impassibile di Rhett "non posso dirgli che non lo accetto. È troppo carino. Preferirei piuttosto che si prendesse qualche libertà... se si trattasse di una cosa da poco." Inorridì per aver avuto un simile pensiero e arrossì. - Vi darò... vi darò cinquanta dollari...- Se lo fate, li getterò nel rigagnolo. O meglio, farò dire delle messe per la vostra anima. Sono sicuro che ne ha bisogno.Ella rise involontariamente, e il suo sorriso sotto quei riflessi verdi la decise istantaneamente. - Ma che intenzioni avete? - Di tentarvi con dei bei regali finché avrò distrutto i vostri ideali fanciulleschi e sarete alla mia mercé. - Quindi soggiunse con aria di scherno: - Bisogna accettare soltanto dolci e fiori dagli uomini, cara! - ed ella scoppiò in una risata. - Siete un furbacchione di tre cotte, Rhett Butler, e sapete che questo cappello è troppo carino perché io possa rifiutarlo.Gli occhi di lui la canzonavano, anche mentre la complimentavano per la sua bellezza. - Potete dire a miss Pitty che mi avete dato un campione di taffetà verde, che mi avete fatto il disegno del cappello e che me lo avete pagato cinquanta dollari.- No. Dirò cento dollari e lei lo racconterà a tutta la città e tutte saranno verdi d'invidia e parleranno della mia stravaganza. Ma non dovete più portarmi oggetti così costosi, Rhett. Siete infinitamente gentile, ma io non posso accettare nient'altro.- Davvero? Invece vi porterò dei regali finché mi farà piacere e ogni volta che vedrò qualche cosa che ritengo adatto a mettere in valore la vostra bellezza. Vi porterò della seta verde per fare un vestito analogo al cappello. E vi avverto che non è gentilezza la mia. Ricordatevi che non faccio mai nulla senza ragione, e non dono mai una cosa senza calcolare che mi sarà ricambiata. E sono sempre ripagato.- I suoi occhi neri la fissarono e poi fissarono le sue labbra. Rossella abbassò i suoi, piena di eccitazione. Ecco, ora stava per prendersi qualche libertà, come aveva predetto Elena. La bacerebbe o cercherebbe di baciarla; e lei non sapeva che fare. Se rifiutava, egli le toglierebbe il cappello e lo darebbe a un'altra. D'altra parte, se gli permetteva un casto bacino, con la speranza di averne un altro egli le porterebbe ancora qualche bel regalo. Chi sa perché facevano tante storie per un bacio. Spesso, dopo un bacio si innamoravano ciecamente e diventavano estremamente divertenti, purché la ragazza avesse la prudenza di fare la sostenuta dopo il primo bacio. Sarebbe piacevolissimo vedere Rhett Butler innamorato e implorare un bacio o un sorriso. Sì, si lascerebbe baciare. Ma egli non fece alcun gesto. Ella gli lanciò uno sguardo obliquo, di sotto in su, mormorando: - Ah sì, siete sempre ripagato? E che cosa mi chiedete? - Questo rimane a vedersi.- Se credete che in cambio del cappello io sia disposta a sposarvi, vi sbagliate - ella riprese audacemente; e scosse la testa per agitare la piuma. I denti bianchi di lui brillarono sotto ai baffetti. - Vi lusingate, signora. Io non desidero sposare né voi né nessun'altra. Non sono un tipo matrimoniabile.- Davvero! - esclamò Rossella sbalordita; e convinta ormai che egli si sarebbe preso qualche libertà riprese: - Ma non sono neanche disposta a darvi un bacio.- E allora perché increspate la bocca in quel modo ridicolo? - Oh! - Lanciò un'occhiata allo specchio e scorse che veramente la sua rosea boccuccia era disposta come per un bacio. - Oh!- gridò ancora perdendo ogni controllo e pestando i piedi. - Siete l'uomo più detestabile che io abbia mai conosciuto e non voglio vedervi mai più! - Se aveste davvero quest'idea, calpestereste piuttosto il cappello. Però, come siete violenta e come vi si addice quest'espressione! Ma probabilmente lo sapete. Via, Rossella, pestate sotto i vostri piedini quel cappello per mostrarmi ciò che pensate di me e dei miei doni.- Non vi azzardate a toccarlo! - esclamò la giovine afferrando la tesa della cuffia e ritraendosi. Egli la inseguì ridendo dolcemente e le prese le mani fra le sue. - Siete così bambina, Rossella, che mi sento stringere il cuore. E giacché a quanto pare, vi aspettate di esser baciata, non vi deluderò.- Si curvò indolentemente e le sfiorò la guancia coi baffetti. - Ecco. E ora non vi pare che, per salvare le convenienze, dovreste darmi uno schiaffo?Con la bocca imbronciata, essa lo guardò e vide nei suoi occhi una tale espressione di divertimento che non poté fare a meno di scoppiare essa pure in una risata. Che tormento era, quell'uomo, e com'era esasperante! Ma se non aveva desiderio di sposarla e neanche di baciarla, che cosa voleva? E se non era innamorato di lei, perché veniva così spesso e perché le faceva dei regali? - Così è meglio - riprese Butler. - Ma io ho una pessima influenza sopra di voi, Rossella; e se aveste una briciola di buon senso mi mandereste fuori dai piedi... sempre che ne foste capace. È difficile liberarsi di me. Ma sono un danno per voi.- Davvero? - Non ve ne accorgete? Da quando vi ho vista alla vendita di beneficenza, il vostro contegno è stato veramente scandaloso; e in massima parte la colpa è mia. Chi vi ha incoraggiata a ballare? Chi vi ha costretta ad ammettere che pensavate che la nostra gloriosa Causa non è né gloriosa né sacra? Chi vi ha aiutata a dare alle vecchie signore una buona quantità di materiale per spettegolare? Chi vi fa togliere il lutto troppo tempo prima di quello che vogliono le convenienze? E chi, infine, vi ha costretta ad accettare un dono che nessuna signora accetterebbe? - Vi lusingate, capitano Butler. Non ho fatto nulla di scandaloso; e se ho fatto qualche cosa di ciò che avete detto, è stato senza il vostro aiuto.- Ne dubito - e il suo volto divenne improvvisamente cupo. - Senza di me sareste ancora la vedova desolata di Carlo Hamilton, famosa per il bene che fa ai feriti. A meno che...Ma lei non lo ascoltava, perché si stava guardando di nuovo nello specchio, compiaciuta e pensando che il giorno stesso metterebbe quel cappello per andare all'ospedale a portar dei fiori agli ufficiali convalescenti. Non si accorse della verità contenuta nelle ultime parole di lui. Non si rendeva conto che era stato lui ad aprirle la prigione della vedovanza; né che gli insegnamenti di Elena erano ormai molto lontani. Il mutamento era stato così graduale, che l'abbandono di una piccola convenzione sembrava non avesse alcun rapporto con l'abbandono di un'altra; e nessuna delle due cose con Rhett. Incoraggiata da lui, ella aveva dimenticato le più severe ingiunzioni di sua madre sulle convenienze, dimenticato le lezioni concernenti il contegno di una signora. Vedeva soltanto che il cappello era il più grazioso del mondo, che non le costava un penny e che Rhett doveva essere innamorato di lei, lo ammettesse o no. E certo troverebbe modo di farglielo confessare. L'indomani Rossella era dinanzi allo specchio col pettine in mano e la bocca piena di forcine cercando di acconciarsi i capelli in una nuova foggia che Maribella, di ritorno da una visita a suo marito a Richmond, aveva riferito che faceva furore nella capitale. Si chiamava "Gatto, topo e topolino"; i capelli erano divisi da una scriminatura centrale e disposti ai lati in tre boccoli digradanti. Il primo, il "gatto", e il secondo, il "topo", si fissavano con una certa facilità; ma il "topolino" sfuggiva dalle forcine in modo irritante. Ed ella era decisa a riuscire, perché Rhett doveva venire a cena; egli notava e commentava sempre qualsiasi innovazione nel suo abbigliamento. Mentre lottava coi suoi riccioli ribelli, udì un passo precipitato nel vestibolo e riconobbe che era Melania di ritorno dall'ospedale. La udì fare i gradini a due per volta e si fermò pensando che doveva essere accaduto qualche cosa, perché Melania si muoveva sempre con decoro come una vera signora. Andò ad aprire la porta; Melania entrò a precipizio, rossa e affannata, come una bambina colpevole. Aveva le lacrime agli occhi, il cappello sulla nuca, sospeso al collo dai nastri, e i cerchi delle gonne che si agitavano violentemente. Stringeva in mano qualche cosa; e un profumo violento e volgare invase la stanza al suo entrare. - Oh, Rossella! - esclamò chiudendo l'uscio e piombando sul letto. -E' tornata la zia? No? Meno male! Sono così mortificata, Rossella, che vorrei morire! Sono quasi svenuta, e zio Pietro minaccia di dirlo a zia Pitty! - Dire che cosa? - Che ho parlato con quella... miss... - Melania si sventolò il viso accaldato col fazzoletto. - Quella donna coi capelli rossi, quella tale Bella Watling! - Ma come, Melania! - esclamò Rossella talmente scandalizzata da non saper dire altro. Bella Watling era la donna che ella aveva visto per istrada il primo giorno del suo arrivo; ed era ormai la meretrice più nota ad Atlanta. Molte prostitute erano affluite nella città, seguendo soldati; ma Bella rimaneva alquanto al disopra delle altre, sia per i suoi capelli rossi, sia perché portava sempre delle belle vesti, benché molto vistose. La si vedeva raramente in Via dell'Albero di Pesco o altre strade eleganti; ma se per caso vi appariva, le signore si affrettavano ad attraversare la strada per evitare quel contatto. E Melania le aveva parlato! Non era da stupire che zio Pietro fosse indignato. - Morirò se zia Pitty viene a saperlo! Lo direbbe a tutti quanti e io sarei disonorata... - singhiozzò Melania. - E non è stata colpa mia. Non ho potuto... non ho potuto piantarla in mezzo alla strada: non posso essere così sgarbata! Mi faceva tanta pena! Credi che faccio male a pensare così?Ma Rossella non si preoccupava della morale della faccenda. Come molte donne innocenti e bennate, aveva una curiosità divorante sul conto delle prostitute. - Ma che voleva? Come parla? - Oh, è sgrammaticata; ma poveretta, ho visto che cercava di parlare il meglio possibile. Uscivo dall'ospedale e siccome non ho visto zio Pietro con la carrozza, ho pensato di tornarmene a piedi. E quando sono arrivata davanti alla casa degli Emerson, lei era nascosta dietro alla siepe. Ringraziamo Dio che gli Emerson sono a Macon! e mi ha detto: "Scusate, Signora Wilkes, ascoltate una parola." Non so come sapesse il mio nome. So che dovevo sottrarmi affrettando il passo ma... oh, Rossella, aveva l'aria così triste... come se pregasse. Era vestita di nero e non era dipinta, se non fosse stato per i capelli rossi, sembrava assolutamente come si deve. Prima che io potessi risponderle, ha continuato: "So che non dovrei rivolgervi parola, ma ho cercato di parlare con quella vecchia pavonessa della signora Elsing, che mi ha messa alla porta dell'ospedale." - L'ha proprio chiamata pavonessa? - fece Rossella contenta; e rise. - Oh, non ridere! Non è una cosa divertente. Pare che miss... insomma, quella donna voglia fare qualche cosa per l'ospedale; capisci? Ha offerto di venire a fare l'infermiera e la signora Elsing dev'essersi sentita morire solo all'idea, e l'ha messa alla porta. E ha ripreso: "Eppure voglio fare qualche cosa. Non sono anch'io una Confederata come voi?" E ti assicuro che questo suo desiderio di rendersi utile mi ha commossa. Ho torto? - Per carità, Melania, chi vuoi che pensi se hai torto o ragione? Che altro ha detto? - Ha detto che è stata ad osservare le signore che andavano all'ospedale e... le è sembrato... che io avessi il viso dolce e così mi ha fermata. Aveva un po' di denaro e ha voluto darmelo perché io lo offrissi all'ospedale senza dirne la provenienza. Ha anche detto che la signora Elsing non permetterebbe di servirsene se sapesse che specie di denaro è. Che specie di denaro! E' stato allora che ho creduto di svenire. Ed ero così sconvolta e desiderosa di andarmene che le ho detto: "Ma sì, siete molto gentile" o qualche altra sciocchezza del genere; e allora lei ha sorriso dicendo: "Avete dei sentimenti veramente cristiani" e mi ha ficcato in mano questo fazzoletto. Puah, senti che razza di profumo?Tese a Rossella un fazzoletto da uomo sgualcito e fortemente profumato; alcune monete erano racchiuse in un nodo. - Mi stava ringraziando e dicendo che mi porterà del denaro ogni settimana, quando è apparso zio Pietro con la carrozza e mi ha vista! - Melly scoppiò in lagrime e nascose la testa nel guanciale. - E quando ha visto con chi ero ferma... figurati, Rossella, ha arricciato il naso... e poi ha detto: "Tu salire subito in carrozza!" Naturalmente ho obbedito; e per tutta la strada Zio Pietro non ha fatto che rimproverarmi, senza lasciarmi parlare, minacciandomi di dirlo a zia Pitty. Vai da lui, Rossella, e pregalo di tacere. Forse ti darà retta. Zia Pitty morrebbe se venisse a sapere che ho guardato in faccia quella donna. Mi fai questo piacere? - - Sì, vado. Ma guardiamo quanto denaro c'è qui dentro. Mi sembra pesante.Sciolsero il nodo e un gruppo di monete d'oro cadde sul letto. - Cinquanta dollari! - esclamò Melania dopo averle contate. - E in oro! Credi, Rossella, che si possa adoperare questa specie... voglio dire, il denaro guadagnato... in questo modo per i nostri soldati? Non credi che Dio comprenderà il suo desiderio di far del bene e non darà importanza al fatto che questo denaro è insudiciato? Pensa a quanti bisogni ha l'ospedale...Rossella non l'ascoltava. Stava guardando il fazzoletto sgualcito e si sentiva invadere dalla collera e dall'umiliazione. Nell'angolo era ricamato un monogramma: "R. K. B." E nel suo cassetto era un fazzoletto identico a quello; un fazzoletto che Rhett Butler le aveva prestato il giorno prima per avvolgerlo intorno ai gambi dei fiori di campo che avevano raccolti. Pensava di restituirglielo stasera, quando veniva a cena. Dunque Rhett aveva rapporti con quell'abbietta creatura e le dava del denaro. Ecco donde veniva il contributo per l'ospedale. E Rhett aveva la spudoratezza di guardare in faccia le signore perbene dopo essere stato con quella creatura! E lei aveva creduto che fosse innamorato di lei! Questo provava che la cosa era impossibile. Le donne di malaffare e tutto quanto le concerneva erano per lei cose misteriose e ripugnanti. Sapeva che gli uomini proteggevano quelle donne per motivi che una signora non può neanche nominare... o se ne parlava, doveva essere bisbigliando, o indirettamente o con eufemismi. Ella aveva sempre creduto che solo uomini volgari andassero a visitare quelle donne. Non aveva mai pensato che uomini eleganti, sì, uomini come quelli che lei conosceva e coi quali ballava, facessero cose simili. Era un nuovo orizzonte che le si apriva dinanzi; e com'era orrendo! Forse tutti gli uomini facevano così! Non bastava che costringessero le mogli a compiere cose indecenti: andavano anche da donne di quel genere e le pagavano per quello! Oh, gli uomini erano abbietti e volgari; e Rhett Butler era il peggiore di tutti. Gli sbatterebbe in faccia quel fazzoletto e poi lo metterebbe alla porta e non gli rivolgerebbe mai più la parola. Ma no; non poteva. Non poteva fargli sapere che conosceva l'esistenza di donne di malaffare e che gli uomini andavano a trovarle. Una signora non poteva far questo. "Oh" pensò furibonda "se non fossi una signora, che cosa non direi a quel rettile!” E appallottolando in mano il fazzoletto, scese in cucina a cercare zio Pietro. Nel passare dinanzi al fornello gettò il fazzoletto tra le fiamme e, con ira impotente, lo guardò bruciare. 14 Tutti i cuori meridionali erano pieni di speranza all'inizio dell'estate del 1863. Nonostante le privazioni e i disagi, nonostante gli speculatori e la penuria di cibo, nonostante le malattie e le sofferenze che avevano ormai segnato quasi ogni famiglia, gli Stati del Sud avevano ricominciato a dire: "Ancora una vittoria, e la guerra è finita"; e lo dicevano con maggior sicurezza che nell'estate precedente. Gli yankees avevano trovato una noce molto dura da schiacciare; ma finalmente riuscirebbero a infrangerla. Il Natale del 1862 era stato lieto per Atlanta e per tutti gli Stati del Sud. La Confederazione aveva ottenuto una brillante vittoria a Fredericksburg e i morti e feriti yankee si contavano a migliaia. Le feste furono dunque gioiose per tutti; il popolo era pieno di gratitudine per il mutamento degli eventi. L'esercito confederato veniva ora chiamato "dei vincitori"; i generali avevano dato prova della loro abilità e tutti erano convinti che alla ripresa delle ostilità in primavera, gli yankees sarebbero stati battuti definitivamente. La primavera giunse e la battaglia ricominciò. Nel mese di maggio la Confederazione ebbe un'altra grande vittoria, a Chancellorsville, e il paese esultò. Una incursione della cavalleria dell'Unione era stata trasformata in un trionfo dei georgiani. Più tardi, in aprile, una nuova sorpresa della cavalleria yankee fu compiuta dal colonnello Streight con ottocento uomini, a circa sessanta miglia a nord di Atlanta. Avevano per scopo di tagliare la ferrovia di vitale importanza fra Atlanta e Tennessee, e quindi di procedere verso il Sud allo scopo di distruggere le fabbriche e i rifornimenti concentrati in Atlanta. Era un colpo ardito e sarebbe stato assai duro per il Sud se non vi fosse stato il generale Forrest. Con una forza numerica tre volte inferiore, ma che uomini e che cavalieri!, era andato ad incontrarli, li aveva impegnati in una battaglia non lasciando loro requie né notte né giorno, e finalmente aveva catturato l'intero nucleo. La notizia giunse ad Atlanta quasi contemporaneamente a quella della vittoria di Chancellorsville; e la città fu ancora piena di esultanza e di allegria. La vittoria di Chancellorsville poteva essere più importante della cattura della cavalleria di Streight; ma questa rendeva gli yankees assolutamente ridicoli. - E' meglio non scherzare col vecchio Forrest - si diceva in giro allegramente. La fortuna della Confederazione sembrava aver messo nuove ali. Veramente gli yankees, guidati da Grant, avevano assediato Vickshurg fin dalla metà di maggio. Veramente il Sud aveva sofferto una grave perdita, quando Stonewall Jackson era stato mortalmente ferito a Chancellorsville. Veramente la Georgia aveva perduto uno dei suoi più coraggiosi e brillanti condottieri, quando il generale Cobb era stato ucciso a Fredericksburg. Ma gli yankees non potevano sopportare altre sconfitte come queste ultime due. Dovevano cedere, e allora la guerra crudele finirebbe. Nei primi giorni di luglio giunse la voce, più tardi confermata da telegrammi, che Lee marciava nel territorio di Pennsylvania. Lee in territorio nemico! Questa era veramente l'ultima battaglia! Atlanta era piena di eccitazione, di gioia e di ardente sete di vendetta. Ora gli yankees vedrebbero che cosa significava aver la guerra nel proprio paese! Saprebbero che cos'era vedere i fertili campi sconvolti, il bestiame rubato, le case incendiate, gli uomini trascinati in prigione, le donne e i bambini affamati! Tutti sapevano ciò che gli yankees avevano fatto nel Missouri, nel Kentucky, nel Tennessee e nella Virginia. Perfino i bimbi potevano narrare con odio e con paura gli orrori compiuti dagli yankees nel territorio conquistato. Atlanta era piena di rifugiati del Tennessee, i quali avevano raccontato i loro patimenti. Costoro gridavano affinché la Pennsylvania fosse messa a ferro e fuoco e perfino le donne più dolci e gentili avevano espressioni di feroce violenza. Ma quando giunse la notizia che Lee aveva dato ordine che nessuna delle proprietà private in Pennsylvania doveva essere toccata sotto pena di morte, e che l'esercito avrebbe pagato tutto ciò che requisiva... oh, allora solo il rispetto che si aveva per lui poté conservargli la popolarità. Non bisognava toccar nulla nei ricchi magazzini di quel prospero Stato? Ma che pensava il generale Lee? E i nostri soldati che hanno tanta fame e che hanno bisogno di scarpe, di abiti e di cavalli? Un biglietto frettoloso di Darcy Meade al dottore, la prima informazione diretta ricevuta in Atlanta in quel principio di luglio, passò di mano in mano con indignazione sempre crescente. "Potresti cercare, babbo, di procurarmi un paio di scarpe? Sono scalzo da due settimane e non vedo possibilità di procurarmele. Se non avessi i piedi grandi, potrei, come i miei camerati, rifornirmi con quelle degli yankees morti; ma non ho ancora trovato nessuno coi piedi così grandi. Se riesci a procurarle non me le spedire. Qualcheduno le ruberebbe e non potrei dargli torto. Piuttosto metti Phill sul treno e mandamelo. Ti scriverò dove saremo. Per adesso non lo so; so soltanto che andiamo verso il nord. Siamo nel Maryland e tutti dicono che andiamo in Pennsylvania. "Credevo che avremmo fatto assaggiare agli yankees la loro stessa medicina; ma il generale ha detto "no", e per conto mio non desidero affatto farmi fucilare per il piacere d'incendiare una casa yankee. Oggi abbiamo marciato attraverso i più grandi campi di grano che io abbia mai visto. È di una qualità diversa dal nostro. Debbo confessare che abbiamo fatto un po' di bottino di questo grano perché abbiamo molta fame e quello che si fa senza che il generale veda, non può meritar punizione. Ma il grano verde ci ha fatto male. Tutti i miei compagni avevano la dissenteria e quel grano l'ha aggravata. È più facile camminare con una gamba ferita che con la dissenteria. Ti raccomando, papà; cerca di procurarmi le scarpe. "Ora sono capitano e un capitano dovrebbe essere calzato, anche se non ha un'uniforme nuova e le spalline." Ma l'esercito era in Pennsylvania, e questo era l'importante. Ancora una vittoria e la guerra sarebbe finita; e allora Darcy Meade potrebbe avere tutte le scarpe che voleva e i ragazzi tornerebbero a casa e tutti sarebbero felici. Gli occhi della signora Meade si riempivano di lagrime quando ella si raffigurava il figliolo soldato, finalmente di ritorno per rimanere a casa. Il tre di luglio il telegrafo tacque improvvisamente. Fu un silenzio che durò sino al mezzogiorno del quattro, quando notizie frammentarie cominciarono a giungere al quartier generale di Atlanta. Vi era stata una violenta battaglia in Pennsylvania, presso una piccola città chiamata Gettysburg; una grande battaglia a cui aveva preso parte tutto l'esercito di Lee. La notizia era incerta perché la battaglia era stata combattuta in territorio nemico; e l'informazione era venuta attraverso Maryland, poi era giunta a Richmond e da qui ad Atlanta. L'attesa divenne ansiosa e un certo spavento cominciò a serpeggiare per la città. Le famiglie che avevano dei figlioli al fronte pregavano ardentemente che essi non si trovassero in Pennsylvania, ma coloro che li sapevano nello stesso reggimento di Darcy Meade, stringevano i denti e dicevano che era un onore per essi trovarsi alla grande battaglia che avrebbe sconfitto gli yankees per sempre. Nella casa della zia Pitty le tre donne si guardavano negli occhi con un terrore che non riuscivano a nascondere. Ashley era nel reggimento di Darcy. Il giorno cinque giunsero cattive informazioni, non dal nord, ma dall'ovest. Vicksburg era caduta, dopo lungo e amaro assedio; e praticamente tutto il Mississippi, da Saint-Louis a Nuova Orleans, era nelle mani degli yankees. La Confederazione era tagliata in due. In qualsiasi altro momento la notizia di questo disastro avrebbe dato luogo a paura e lamentazioni. Ma ora non si poteva troppo pensare a Vicksburg; vi era la preoccupazione di Lee in Pennsylvania. La perdita di Vicksburg non sarebbe stata una catastrofe se Lee avesse vinto. Da quella parte, ad est, erano Filadelfia, Nuova York, Washington. La loro cattura paralizzerebbe il nord e neutralizzerebbe la disfatta sul Mississippi. Le ore passavano e l'ombra cupa della calamità si addensava sulla città. Dovunque capannelli di donne si formavano dinanzi ai porticati, sui marciapiedi, perfino in mezzo alla strada, dicendosi che nessuna nuova è buona nuova, tentando di confortarsi a vicenda, cercando di darsi coraggio. Ma la voce spaventosa che Lee era ucciso, la battaglia perduta, e che vi era un'enorme quantità di morti e feriti si diffuse nelle strade tranquille della città come un stormo veloce di pipistrelli. Benché increduli, tutti, agitati dal panico, si precipitarono ai giornali, al Quartier Generale, chiedendo notizie, qualsiasi notizia, anche cattiva. Al deposito si formò una vera folla che sperava avere informazioni dai treni in arrivo; all'ufficio telegrafico, dinanzi al Quartier Generale, erano strane folle silenziose e che diventavano sempre più dense. Nessuno parlava. A quando a quando la voce tremante di un vecchio chiedeva se si sapeva nulla; ma l'inesorabile risposta era sempre uguale: - Nessun telegramma ancora dal nord, se non la conferma che stanno combattendo. - Le donne che giungevano a piedi e in carrozza erano sempre più numerose, e il calore che emanava quella moltitudine e la polvere sollevata dai piedi irrequieti erano soffocanti. Nessuna parlava, ma i volti pallidi avevano una muta eloquenza più efficace di ogni lamento. Ben poche erano le famiglie in città che non avevano al fronte un figlio, un fratello, un padre, un amante, un marito. Tutti attendevano di udire che la morte aveva bussato alla loro casa. Attendevano la morte, non la sconfitta. Questo era un pensiero che non entrava nelle loro menti. Potevano morire a migliaia; ma, come i denti del dragone, altre migliaia di uomini, col grido dei ribelli sulle labbra, scaturirebbero dalla terra a prendere il loro posto. Nessuno sapeva da dove questi uomini sarebbero venuti Ma erano certi, come erano certi che in Cielo regnava un Dio giusto e vigilante, che Lee era miracoloso, e l'esercito della Virginia invincibile. Rossella, Melania e Pittypat erano sedute nella loro carrozza dinanzi all'ufficio del "Daily Examiner". Le mani di Rossella erano così malferme che il suo ombrellino le tentennava sopra la testa. Pitty era tanto eccitata che il suo naso tremava come quello di un coniglio; ma Melania sedeva come una statua di pietra con gli occhi neri che si dilatavano sempre più. Fece una sola osservazione in due ore, tirando fuori dalla sua reticella una boccetta di sali e porgendola alla zia; e fu la sola volta, in tutta la sua vita, che le parlò in modo non garbato. - Tieni, zia e servitene se ti senti svenire. Ti avverto che se svieni ti farai portare a casa da zio Pietro, perché io non intendo muovermi da qui finché non so qualche cosa di... finché non so. E non lascerò andar via Rossella.Rossella non aveva alcuna intenzione di andarsene. No, neanche se Pitty fosse morta, ella avrebbe lasciato il luogo dove poteva avere notizie di Ashley. Egli era in battaglia, forse stava morendo; e la redazione del giornale era l'unico luogo dove si poteva sapere la verità. Diede un'occhiata alla folla, riconoscendo amici e vicini. La signora Meade col cappello di traverso e il braccio in quello del figliolo quindicenne; le signorine McLure che cercavano di mordersi le labbra tremanti; la signora Elsing, dritta come una madre spartana, che rivelava l'interna agitazione soltanto tirandosi i cernecchi grigi che pendevano fuori dal cappello; e Fanny Elsing, pallida come uno spettro. (Certamente Fanny non poteva essere così turbata per suo fratello Ugo. Aveva forse al fronte uno spasimante che nessuno sospettava?) La signora Merriwether sedeva nella sua carrozza accarezzando la mano di Maribella. Questa si drappeggiava alla meglio nel suo scialle per cercar di nascondere l'imminente maternità. Ma perché era così preoccupata? Nessuno aveva udito che le truppe della Luisiana fossero in Pennsylvania; sicché probabilmente il suo piccolo zuavo era sano e salvo a Richmond. Vi fu un movimento tra la folla, la quale si scansò per dar passaggio a Rhett Butler che spingeva il suo cavallo verso la carrozza di zia Pitty. Rossella pensò: "Ci vuole un bel coraggio a venir qui in questo momento, in cui basterebbe un nonnulla perché questa folla lo facesse a pezzi, unicamente perché non è in uniforme". Mentre egli si avvicinava, ella pensò che volentieri si sarebbe scagliata per la prima contro di lui. Come osava mostrarsi su quel bel cavallo, con le scarpe lucide e uno splendido vestito di lino bianco, elegante e ben nutrito e con un magnifico sigaro in bocca, mentre Ashley e tutti gli altri combattevano gli yankees a piedi nudi, affamati, stremati dal caldo e rovinati dalla dissenteria. Mentre egli si avvicinava lentamente attraverso la calca, alcuni gli lanciarono sguardi indignati. La signora Merriwether, che non temeva nulla, si sollevò leggermente nella sua carrozza e disse ad alta voce: - Speculatore! - con un tono pieno di veleno. Egli non badò a nessuno, ma sollevò il cappello per salutare Melly e zia Pitty. Quindi, avvicinandosi a Rossella, si curvò e le bisbigliò: - Non credete che sarebbe questo il buon momento per il dottor Meade, per pronunciare il suo solito discorso sulla vittoria che si posa come un'aquila ad ali spiegate sulle nostre bandiere?Coi nervi tesi dall'angoscia, ella si volse come un gatto infuriato, con le parole che le si affollavano sulle labbra. Ma egli la trattenne col gesto. - Sono venuto per dirvi, signore - disse ad alta voce, - che sono stato al Quartier Generale e che stanno giungendo le prime liste dei feriti e dei caduti.A queste parole un mormorio si levò fra quelli abbastanza vicini per udire e la folla si agitò, pronta ad accorrere verso il Quartiere Generale. - Non andate - gridò egli drizzandosi sulla sella e agitando una mano. - Le liste sono state mandate a tutti e due i giornali e si stanno stampando. Rimanete dove siete.- Oh, capitano Butler - esclamò Melly volgendosi a lui con gli occhi pieni di lacrime. - Come siete stato buono a venircelo a dire! Quando saranno pronte? - Fra pochi minuti, signora. È già mezz'ora che le hanno ricevute. Il maggiore non ha voluto che si sapesse, finché non erano stampate, per timore che la folla facesse troppa ressa negli uffici. Oh, guardate!Una finestra della redazione si era aperta e una mano che reggeva un fascio di bozze di stampa umide d'inchiostro e con lunghe file di nomi, si sporse. La folla lottò per averle, strappandosele; quelli avanti cercando di leggere e quelli dietro spingendosi in avanti. - Tenete le redini - disse Rhett brevemente a zio Pietro, balzando a terra. Videro le sue larghe spalle emergere dalla folla mentre egli si spingeva innanzi facendosi largo brutalmente. In un attimo fu di ritorno tenendo fra le mani una mezza dozzina di bozze. Ne diede una a Melania e distribuì le altre fra le signore più vicine: le signorine McLure e le signore Merriwether, Meade, Elsing. - Presto, Melly - gridò Rossella col cuore in gola, esasperata nel veder che le mani di Melly tremavano talmente che le era impossibile leggere. - Prendila tu - sussurrò Melania; e Rossella le strappò il foglio. Il W. Dov'era il W? Oh, proprio in fondo e tutto imbrattato. - White... -lesse; e la sua voce tremò. - Wilkins... Zebulon... Non c'è, Melly!... Non c'è!... Per carità, zia! Melly, i sali! Sorreggila!Melly, piangente di felicità, sorresse il capo di Pitty tenendole i sali sotto al naso. Rossella l'abbracciò dall'altra parte, col cuore che le danzava di gioia. Ashley era vivo. Neanche ferito. Com'era stato misericordioso il buon Dio! Come... Udì un gemito e volgendosi vide Fanny Elsing col capo sul seno di sua madre; la lista dei colpiti era caduta sul pavimento della carrozza; vide le labbra della signora Elsing tremare mentre stringeva la figlia tra le braccia e diceva piano al cocchiere: - A casa. Presto.- Rossella diede una rapida occhiata alla lista. Ugo non era tra i feriti. Fanny doveva avere avuto un innamorato che era morto. La folla si aperse con simpatia per lasciar passare la carrozza degli Elsing, seguita dal legnetto delle ragazze McLure. La signorina Fede guidava, col viso impietrito; e sua sorella, seduta accanto a lei, era rigida e si teneva attaccata alla sua gonna. Sembravano due vecchie. Il loro giovine fratello Dallas era il loro tesoro e l'unico parente maschio che avessero al mondo. E Dallas era morto. - Melly! Melly! - gridò Maribella con voce gioiosa. - Renato è salvo! E anche Ashley! Oh, ringraziamo Dio! - Lo scialle le era scivolato giù dalle spalle, sicché la sua gravidanza era visibilissima; ma questa volta né lei né sua madre vi fecero caso. - Mrs. Meade! Renato...- Ma la sua voce mutò istantaneamente. - Guarda, Melly, Oh, Mrs. Meade, per carità! Forse Darcy...La signora Meade aveva il capo chino e non lo risollevò udendo pronunciare il proprio nome; ma il volto del piccolo Phil accanto a lei era un libro aperto in cui ognuno poteva leggere. - Mamma, mamma, ti supplico... - continuava a ripetere smarrito. La signora Meade alzò gli occhi e incontrò lo sguardo di Melania. - Ora non avrà più bisogno delle scarpe - disse piano. - Dio, Dio! - singhiozzò Melania appoggiando zia Pitty sulla spalla di Rossella e balzando dalla sua carrozza per accorrere verso quella in cui si trovava la moglie del dottore. - Mamma, ti rimango io - mormorò Phil in un disperato sforzo di confortare la donna dal volto pallido e impietrito. - E se mi lasci andare, ucciderò tutti gli yank...La signora Meade gli afferrò il braccio come per trattenerlo: - No! - disse con voce strozzata come se stesse soffocando. - Taci, Phil! - impose Melania salendo e abbracciando la povera madre. - Credi che sia consolante per lei il pensiero che anche tu possa cadere? A casa, presto! - ordinò poi; e mentre Phil raccoglieva le redini si volse a Rossella. - Appena avrai riaccompagnato a casa la zia, vieni da Mrs. Meade. Capitano Butler, potete andare ad avvertire il dottore? È all'ospedale.La carrozza si mosse attraverso la folla che si andava diradando. Alcune donne piangevano di gioia; ma le altre sembravano troppo sbalordite per rendersi completamente conto della sventura che le colpiva. Rossella chinò la testa a guardare la lista, scorrendola velocemente per trovarvi i nomi di conoscenti. Ora che Ashley era salvo, poteva pensare agli altri. Dio, com'era lunga quella lista! E quante persone di Atlanta, della Georgia! Dio benedetto! - Calvert...Roberto, luogotenente. Roby! - A un tratto ricordò il giorno, così lontano, in cui erano scappati di casa, ma al cader della notte erano tornati perché avevano fame e il buio li spaventava. - Fontaine...Giuseppe, soldato semplice. - Il piccolo Joe, così irritabile! E Sally che aveva appena avuto il bambino! - Munroe...Lafayette, capitano. - Il fidanzato di Catina Calvert. Povera Catina! Doppia perdita: il fratello e il futuro sposo.. Ma la perdita di Sally era anche maggiore: il fratello e il marito. Aveva quasi paura di continuare a leggere. Certo... certo doveva esservi errore. Non potevano esservi tre "Tarleton" nella lista. Forse lo stampatore frettoloso...Ma no. Ecco. - Tarleton... Brenton, luogotenente. Tarleton...Stuart, caporale. Tarleton... Tommaso, soldato. - E Boyd, morto nel primo anno di guerra, era sepolto Dio sa dove, nella Virginia. Tutti i ragazzi Tarleton. Tom e i due indolenti gemelli che amavano tanto chiacchierare e giocare; e Boyd che aveva la grazia di un maestro di danza e la lingua di una vespa. Non poté leggere oltre. Impossibile vedere se qualche altro di quei ragazzi coi quali era cresciuta e aveva ballato, civettato, scambiato qualche bacio, era nella lista. Avrebbe voluto piangere, liberarsi dalle dita d'acciaio che le stringevano la gola. - Mi dispiace, Rossella. - Era la voce di Rhett. Ella alzò gli occhi. Aveva dimenticato la sua presenza. Molti dei vostri amici?Ella annuì e tentò di parlare. - Quasi tutte le famiglie della Contea e... tutti e tre i ragazzi Tarleton.Il volto di lui era tranquillo, quasi cupo; nei suoi occhi non vi era ombra di scherno. - E non è ancora finita - disse. - Queste sono le prime liste e sono incomplete. Domani ve ne sarà una più lunga. - Abbassò la voce per non farsi udire dalle carrozze vicine. - Rossella, il generale Lee deve aver perduto la battaglia. Ho sentito dire al Quartier Generale che si è ritirato nel Maryland.Ella alzò gli occhi sgomenta; ma il suo spavento non dipendeva dalla notizia della disfatta di Lee. Un'altra lista domani! Domani. Non aveva pensato a questo, felice soltanto che il nome di Ashley non fosse fra quelli che aveva dinanzi agli occhi. Domani. Forse in questo momento poteva esser morto, e lei non lo saprebbe che domani. O forse, fra una settimana. - Ma perché, Rhett, si fanno le guerre? Sarebbe stato meglio che gli yankees avessero pagato per i negri... o che noi li avessimo liberati, piuttosto che far succedere questo! - Non si tratta dei negri, Rossella. Quello non è che un pretesto. Le guerre vi sono state sempre perché gli uomini amano la guerra. Le donne no, ma gli uomini... sì, più di quanto non amino le donne.La sua bocca si piegò al sorriso consueto. Egli sollevò il largo cappello di panama. - Arrivederci. Vado a cercare il dottor Meade. È un'ironia della sorte che proprio io vada a dargli la notizia della morte di suo figlio; ma forse non se ne accorgerà neppure. Più tardi, probabilmente troverà orribile pensare che uno speculatore abbia recato la notizia della morte di un eroe.Rossella mise zia Pitty a letto e dopo averle dato una bevanda a base di alcool, zucchero e acqua, la lasciò in custodia di Prissy e della cuoca e discese in istrada affrettandosi alla casa dei Meade. La signora era nella sua camera, al primo piano, insieme con Phil, attendendo il ritorno del marito; Melania, nel salotto a pianterreno, parlava a bassa voce in un gruppo di vicini. Si affaccendava con aghi e forbici a modificare una veste di lutto che la signora Elsing aveva prestato alla sua disgraziata amica. Tutta la casa era piena dell'odore acre della tintura nera che bolliva in un'enorme caldaia, dove la cuoca rimestava singhiozzando tutti gli abiti della sua padrona. - Come sta? - chiese dolcemente Rossella. - Neanche una lacrima - rispose Melania. - E' terribile quando una donna non può piangere. Dice che andrà in Pennsylvania per riportare a casa la salma. Il dottore non può lasciare l'ospedale.- Ma sarà terribile! Perché non mandare Phil? - Perché teme che vada a raggiungere l'esercito. Sai che è alto per la sua età; e ora li prendono anche di sedici anni.Ad uno ad uno i vicini uscirono alla chetichella; nessuno teneva ad esser presente quando il dottore sarebbe rientrato. Melania e Rossella rimasero sole nel salotto a cucire. Melania era triste ma tranquilla; ogni tanto una lacrima cadeva sulla stoffa che aveva tra le mani. Ma evidentemente non aveva pensato che forse la battaglia stava continuando e che Ashley poteva anche esser morto. Col cuore angosciato, Rossella non sapeva se era meglio riferire a Melania le parole di Rhett, per avere il conforto di condividere il suo nuovo turbamento, o conservarlo per sé. Finalmente si attenne a quest'ultimo partito. Dopo un intervallo di silenzio, udirono rumore in istrada e, guardando attraverso le tende, scorsero il dottore che scendeva da cavallo. Aveva le spalle curve e il capo chino. Entrò lentamente e dopo aver deposto il cappello e la borsa, baciò le giovani donne senza parlare. Quindi salì le scale con passo stanco. Dopo un momento esse videro scendere Phil; tutto braccia, tutto gambe e tutto goffaggine. Gli accennarono di sedersi accanto a loro, ma il ragazzo andò a sedere sui gradini sotto il porticato, nascondendo il capo tra le mani. Melly sospirò. - E' furibondo perché non vogliono lasciarlo andare a combattere. A quindici anni! Che gioia dev'essere, Rossella, avere un figlio così! - E mandarlo a farsi ammazzare? - replicò Rossella brevemente, pensando a Darcy. - Meglio avere un figlio, anche se dovesse essere ucciso, che non averne - ribatté Melania ingoiando un singhiozzo. - Tu non puoi capire, perché hai il piccolo Wade, ma io... Oh, Rossella, come desidero un bimbo! Forse ho torto a dirlo, proprio adesso; ma questo è ciò che ogni donna desidera... E nessuno lo sa meglio di te.Rossella fece uno sforzo per non sogghignare. - Se Dio permettesse che Ashley... credo che non potrei sopportarlo; se egli morisse morrei anch'io. Se invece avessi un figlio suo per consolarmi della sua scomparsa... Oh, Rossella, come sei fortunata! Ti è rimasto un bambino di Carlo... Ed io, se Ashley morisse.. . io non ho nulla, nulla! Perdonami, Rossella, ma a volte sono tanto gelosa di te...- Gelosa... di me? - esclamò Rossella spaventata. - Sì, perché tu hai un bambino e io no. A volte mi illudo perfino che Wade sia mio, perché è terribile non averne!"Quante storie!" pensò Rossella con sollievo. Lanciò un'occhiata rapida alla figuretta sottile che chinava sul cucito il volto invaso da rossore. Melania poteva desiderare un bimbo, ma certo non aveva la figura adatta per la maternità. Era poco più alta di una fanciulletta di dodici anni; aveva i fianchi stretti e il seno piatto. Il solo pensiero che ella potesse mai avere un bimbo da Ashley era insopportabile per Rossella; le sarebbe quasi sembrato di esser defraudata di qualche cosa di suo. - Perdonami quello che ti ho detto a proposito di Wade. Sai che gli voglio tanto bene... Non sei in collera con me? - Non far la sciocca - replicò Rossella brevemente. - Piuttosto vai nel porticato a dire qualche cosa a Phil. Sta piangendo.- 15 L'esercito, ricacciato nella Virginia, si ritrasse per i quartieri d'inverno sul Rapidan: un esercito stanco e demoralizzato dopo la sconfitta di Gettysburg; e poiché il Natale si avvicinava, Ashley venne a casa in licenza. Rossella, rivedendolo per la prima volta dopo due anni, ebbe paura della violenza dei propri sentimenti. Allora, quando lo aveva visto nel salotto delle Dodici Querce, sposo di Melania, aveva creduto che non potrebbe mai amarlo con più intensità; ma ora si rendeva conto che i sentimenti di quella sera lontana assomigliavano a quelli di una bimba a cui vien tolto un giocattolo, mentre ora la sua emozione era acutizzata dal lungo pensare, dal lungo sognare e dal ritegno che era stata costretta ad imporsi. Questo Ashley Wilkes, nella sua uniforme scolorita, coi capelli biondi arsi dal sole di due estati, era assai diverso dal giovinotto distratto e trasognato che ella aveva amato disperatamente prima della guerra. Era magro e abbronzato, mentre prima era chiaro di carnagione è ben proporzionato di membra; i lunghi baffi biondi che gli ricadevano sulla bocca erano l'ultima pennellata occorrente a farne il quadro di un perfetto soldato. Si teneva dritto militarmente nella sua logora uniforme, con la pistola nella fondina consumata e il fodero della sciabola deformato che batteva elegantemente sugli stivaloni dagli sproni opachi: il maggiore Ashley Wilkes, C. S. A. (Confederate States of America). In lui si scorgeva ora l'abitudine del comando, un'aria di autorità e di sicurezza di sé; ai lati della sua bocca cominciava a disegnarsi qualche ruga. Vi era un non so che di nuovo e di strano nella forma quadrata delle sue spalle, nella lucentezza fredda dei suoi occhi. Mentre una volta appariva pigro e indolente, ora era svelto come un gatto, con la continua tensione di chi ha i nervi sempre tesi come corde di violino. I suoi occhi avevano un'espressione di stanchezza e di tormento; e la sua pelle arsa dal sole era tesa sulle ossa sottili del volto... Era sempre il suo bell'Ashley, ma tanto diverso. Rossella aveva progettato di passare il Natale a Tara; ma dopo il telegramma di Ashley nessuna forza al mondo, neanche un ordine di Elena, avrebbe potuto strapparla da Atlanta. Se Ashley avesse pensato di andare alle Dodici Querce, si sarebbe affrettata ad accorrere a Tara per essergli accanto; ma egli aveva scritto ai suoi che lo raggiungessero ad Atlanta; e il signor Wilkes, insieme a Lydia e Gioia, erano già arrivati. Andare a Tara e privarsi di vederlo, dopo due anni? Privarsi del suono della sua voce, privarsi di leggere nei suoi occhi che egli non l'aveva dimenticata? Mai! Per nulla al mondo! Ashley giunse quattro giorni prima di Natale, con un gruppo di giovani della Contea essi pure in licenza; un gruppo dolorosamente diminuito dopo Gettysburg. Fra essi era Cade Calvert; un Cade sparuto che tossiva continuamente; due dei Munroe, eccitatissimi perché era la loro prima licenza, dal 1861, e Alex e Toni Fontaine, tutti e due magnificamente ubriachi, impetuosi e attaccabrighe. Il gruppo aveva una sosta di due ore fra un treno e l'altro; per impedire ai Fontaine di litigare fra loro o con gli addetti al deposito, Ashley li condusse tutti quanti a casa di zia Pitty. - Come se non bastasse quello che hanno fatto in Virginia - osservò amaramente Calvert guardandoli che disputavano già come due galletti su chi sarebbe il primo a baciare zia Pitty, commossa e lusingata. Ma non hanno fatto altro che bere e questionare da quando siamo arrivati a Richmond. Sono anche stati messi agli arresti e avrebbero passato il Natale in prigione, se non si fosse intromesso Ashley.Ma Rossella non lo ascoltava neppure, troppo felice di trovarsi nuovamente nella stessa stanza in cui si trovava Ashley. Come poteva in quei due anni aver pensato che altri uomini erano belli o simpatici? Come aveva sopportato che le facessero la corte mentre c'era Ashley al mondo? Eccolo nuovamente a casa, separato da lei soltanto dalla larghezza di un tappeto; ed ella aveva bisogno di tutte le sue forze per non sciogliersi in lagrime di felicità ogni volta che lo guardava, seduto sul divano con Melly da una parte e Lydia dall'altra e Gioia appoggiata alla spalliera. Se avesse anche lei il diritto di sedergli accanto con un braccio passato sotto al suo! Se potesse almeno accarezzare un momento la sua manica, per essere ben certa della sua presenza... o tenergli una mano o servirsi del suo fazzoletto per asciugare le proprie lagrime di gioia! Melania faceva tutte queste cose senza vergognarsi. Troppo felice per essere timida e riservata, era in adorazione dinanzi a suo marito, con gli occhi, col sorriso, con le lacrime. E Rossella era troppo felice per esser gelosa! Ogni tanto si portava la mano sulla guancia che egli aveva baciata e risentiva l'emozione di quel momento. Certo non l'aveva salutata subito. Melania si era gettata fra le sue braccia, gridando incoerentemente, stringendolo come se non volesse più staccarsi da lui. E poi, Lydia e Gioia lo avevano abbracciato, strappandolo dolcemente alla moglie. Quindi Ashley aveva abbracciato suo padre; un abbraccio dignitoso che dimostrava la serenità del profondo sentimento che li legava. Poi zia Pitty che saltellava qua e là, tutta eccitata. E finalmente si era volto verso di lei che era circondata dai giovinotti che reclamavano un bacio, ed aveva esclamato: - Oh Rossella! Come siete sempre carina! - E l'aveva baciata sulla guancia. Quel bacio le fece dimenticare tutte le frasi di benvenuto che aveva pensato di dirgli. Solo dopo molte ore ricordò che egli non l'aveva baciata sulle labbra. E allora pensò come sarebbe stato il loro incontro se fossero stati soli: egli avrebbe curvato la sua alta statura e lei si sarebbe rizzata in punta di piedi per sentirsi stringere a lungo. E poiché tale pensiero la rendeva felice, ella si convinse che questo potrebbe veramente accadere. Ma c'era tempo per tutto: una settimana intera! Senza dubbio ella riuscirebbe a trovarsi sola con lui e gli direbbe: “Vi ricordate le nostre cavalcate per i sentieri solitari? Vi ricordate come splendeva la luna quella notte in cui voi sedeste sui gradini di Tara e recitaste una poesia? (Dio mio! Che poesia era?) Vi ricordate quel giorno che mi feci male alla caviglia e voi mi riportaste a Tara fra le vostre braccia?” Quante cose avrebbe potuto dirgli cominciando con le parole "vi ricordate"! Tanti episodi che lo riporterebbero ai bei giorni, quando andavano in giro per la Contea come i ragazzi spensierati; l'epoca in cui Melania Hamilton non era ancora entrata in scena. E forse ella leggerebbe nei suoi occhi una rapida emozione che le farebbe comprendere che, nonostante l'affetto coniugale per Melania, egli le voleva ancora bene, come quel giorno del banchetto, quando la verità gli era uscita di bocca suo malgrado. Non si fermava a pensare che cosa farebbe se Ashley le rivelasse il suo amore in parole inequivocabili... Le basterebbe sapere che le voleva ancora bene... Lo accarezzasse pure, Melania; ella saprebbe aspettare. Del resto, che cosa sapeva dell'amore quella candida creatura? - Amor mio, sembri un pezzente - disse Melania dopo che la prima eccitazione fu calmata. - Chi ti ha rattoppato l'uniforme e perché hanno adoperato dei pezzi di un altro colore? - Mi illudevo di essere elegantissimo - rispose Ashley. - Confronta la mia tunica con quelle degli altri e saprai apprezzare lo splendore di questi rattoppi. È stato Mosè che li ha fatti; e pensa che prima della guerra non aveva mai tenuto in mano un ago. Quanto ai rattoppi turchini... bisognava scegliere fra avere i buchi o chiuderli con pezzi di uniformi dei prigionieri yankee... Non c'era altro da fare. Quanto al sembrare un pezzente, ringrazia Dio che tuo marito non sia tornato a casa scalzo. La settimana scorsa ho dovuto dare addio alle mie vecchie scarpe, e sarei tornato a casa coi piedi avvolti in pezze di tela, se non avessimo avuto la fortuna di far la pelle a due "esploratori" yankee. Le scarpe di uno di loro mi andavano alla perfezione.Stese le lunghe gambe per fare ammirare le calzature. - Invece quelle dell'altro per me non vanno affatto - fece Calvert. - Troppo piccole e mi stanno facendo soffrire il martirio! Ma arriverò a casa in perfetto stile! - E quell'egoistaccio non ha voluto darle a uno di noi - interloquì Toni - mentre sarebbero andate benissimo al nostro aristocratico piedino. Mi vergogno di arrivare dalla mamma con queste ciabatte. Prima della guerra ella non avrebbe permesso neanche a uno dei nostri schiavi di portarle! - Non ci badare - esclamò Alex guardando le scarpe di Cade. -Gliele toglieremo quando saremo in treno. Della mamma non m'importa, ma... non voglio che Dimity Munroe mi veda con le dita che escono dai calzini! - Sicuro, sono mie - riprese Toni venendo in soccorso di suo fratello. - Sono stato io il primo a reclamarle.Ma Melania, prevedendo una delle famose liti dei Fontaine, intervenne a metter pace. - Avevo una magnifica barba - riprese Ashley. - Una delle più belle dell'esercito. Ma quando siamo arrivati a Richmond, quelle due canaglie - e indicò i Fontaine - hanno deciso che siccome loro si facevano radere, io dovevo fare altrettanto.A Rossella sembrò che egli parlasse febbrilmente, per impedire che gli fossero rivolte delle domande a cui non voleva rispondere. Vide i suoi occhi abbassarsi e rialzarsi sotto lo sguardo turbato di suo padre; e allora, un po' perplessa, si chiese che cosa poteva nascondersi nel cuore di Ashley. Ma questo pensiero svanì subito, perché nella sua mente non poteva esservi altro se non un senso di delirante felicità e la speranza di potersi trovare sola con lui. Quella felicità durò finché tutti quanti intorno al caminetto cominciarono a sbadigliare, e il signor Wilkes e le figlie si accomiatarono per tornare all'albergo. Allora, quando Ashley, Melania, Pittypat e Rossella salirono le scale illuminate da zio Pietro, un brivido ghiaccio le attraversò il cuore. Fino a quel momento Ashley era stato suo, soltanto suo, anche se in tutto il pomeriggio ella non aveva potuto scambiare una parola con lui. Ma ora, augurando la buona notte, vide che le guance di Melania erano di porpora e che essa tremava. Vide pure che la sua espressione era timida ma felice e che quando Ashley aperse l'uscio della loro camera, essa scivolò dentro senza alzare gli occhi. Ashley disse "buona notte" bruscamente e richiuse l'uscio senza più guardarla. Rossella rimase a bocca aperta, improvvisamente desolata. Ashley non era più suo. Era di Melania. E finché Melania viveva, poteva andare in una camera con suo marito e richiudere l'uscio... chiuderlo a tutto il resto del mondo. Ashley stava per ripartire; tornava nella Virginia, tornava alle lunghe marce sotto la pioggia, ai bivacchi fra la neve, ai disagi e ai rischi a cui doveva esporre la sua testa bionda e il suo corpo fiero, col pericolo di essere da un istante all'altro abbattuto, come una formica sotto un piede incurante. La settimana, con la sua agitazione febbrile e luminosa, era trascorsa. Veloce come un sogno, un sogno fragrante del profumo d'abete degli alberi di Natale, brillante di candele e di ornamenti luccicanti, un sogno i cui minuti fuggivano rapidi come i battiti del cuore. Una settimana affannosa, nella quale Rossella aveva cercato con un misto di dolore e di gioia di far provvista di piccoli incidenti da ricordare dopo la sua partenza, avvenimenti a cui ella riandrebbe comodamente in seguito, traendone briciole di consolazione: danzare, cantare, ridere, correre a prendere quello che Ashley desiderava, sorridere quando egli sorrideva, tacere quando egli parlava, seguirlo con gli occhi in ogni suo gesto, accorgersi di ogni movimento delle sue sopracciglia, di ogni fremito della sua bocca... Tutto questo restava impresso indelebilmente nella sua mente; perché una settimana passa presto e la guerra continua per sempre... Era seduta sul divano del salotto, tenendo in grembo il suo dono di commiato, aspettando che egli avesse salutato Melania e pregando Dio che scendesse solo, che il cielo le accordasse qualche minuto con lui. Aveva le orecchie tese ad ascoltare i rumori del piano superiore, ma la casa era stranamente silenziosa, sicché perfino il suo respiro le sembrava troppo percettibile. Zia Pitty piangeva fra i guanciali in camera sua, perché Ashley l'aveva salutata mezz'ora prima. Dalla stanza di Melania non giungeva mormorio di voci né suono di pianto. Parve a Rossella che egli fosse là dentro da un secolo; ed ella calcolò amaramente che il giovine maggiore prolungava gli addii a sua moglie: i momenti passavano veloci e il suo tempo era misurato. Ricordò tutto ciò che aveva avuto desiderio di dirgli in quella settimana. Ma non ne aveva avuto la possibilità; ed ora pensava che forse non l'avrebbe mai. Tante cose, e non vi era più il tempo! Anche i pochi minuti che rimanevano le sarebbero carpiti da Melania, se questa lo accompagnava giù e poi al cancello. Perché non era riuscita a parlargli in tutta la settimana? C'era sempre Melania accanto a lui, coi suoi occhi adoranti; e poi vicini, amici, parenti, dalla mattina alla sera. E dopo, la porta della camera da letto si chiudeva ed egli era solo con Melania. Non una volta il suo sguardo aveva detto a Rossella qualche cosa di più di un affetto fraterno. Eppure ella non poteva lasciarlo partire senza sapere se l'amava ancora. In questo caso, se egli morisse, le rimarrebbe il conforto del suo segreto amore sino alla fine dei suoi giorni. Dopo un'eternità, sentì lo scricchiolio delle sue scarpe e poi l'uscio che si apriva e si richiudeva. Lo udì scendere. Solo! Dio sia lodato! Discese lentamente, facendo tintinnare gli sproni; la sciabola gli batteva sugli stivaloni ad ogni gradino. Entrando in salotto, aveva gli occhi cupi e il viso pallido come se il sangue fosse affluito ad una ferita interna. Ella si alzò scorgendolo, e pensò con orgoglio di proprietaria che era il più bel soldato che si potesse vedere. La cintura e la fondina erano lustre; gli sproni d'argento e il fodero della sciabola scintillavano dopo l'industriosa opera di pulizia compiuta da zio Pietro. L'uniforme nuova, dono di Melania, non andava alla perfezione, perché il sarto aveva lavorato troppo in fretta; ma se anche avesse indossato un'armatura d'argento, non le sarebbe sembrato più "bel cavaliere" di come le appariva. - Ashley - cominciò ella bruscamente - posso accompagnarvi al treno? - No, vi prego. Vi saranno il babbo e le sorelle. E comunque, preferisco ricordarvi mentre mi salutate qui, piuttosto che nel freddo della stazione.Rinunciò immediatamente al suo progetto. La presenza di Lydia e di Gioia che avevano tanta antipatia per lei avrebbe reso impossibile una sola parola con lui. - Allora non vengo - aderì subito. - Guardate, Ashley, ho un regalino per voi.Un po' intimidita, ora che era venuto il momento di darglielo, aperse il pacchetto. Era una lunga sciarpa gialla, di seta cinese, con una frangia pesante. Rhett Butler le aveva portato dall'Avana uno scialle alcuni mesi prima, uno scialle giallo gaiamente ricamato di fiori e uccelli in turchino e magenta. Durante la settimana ella aveva pazientemente disfatto tutto il ricamo, e aveva tagliato una striscia in tralice per fare la sciarpa. - Che bellezza, Rossella! L'avete fatta voi? Allora l'apprezzo anche di più. Mettetemela addosso, cara. I camerati diventeranno verdi d'invidia quando mi vedranno in tutta la gloria della mia nuova uniforme con questa sciarpa! Ella gliela passò attorno alla vita sottile, al disopra della cintura e annodò le due estremità in un bel fiocco. Melania gli aveva regalato l'abito nuovo; ma questa sciarpa era il suo dono, il segreto guiderdone che egli porterebbe in battaglia, qualcosa che lo costringerebbe a ricordarsi di lei ogni volta che lo vedeva. Indietreggiò di un passo e lo guardò con orgoglio, pensando che neanche il generale Stuart, con la sua sciarpa fluttuante e la piuma sul cappello, era bello come il suo cavaliere. - Bellissima - ripeté Ashley giocherellando con la frangia. - Ma so che per farla avete dovuto tagliare un vestito o uno scialle. Non dovevate farlo, Rossella. È troppo difficile, di questi tempi, aver delle belle cose.- Oh, Ashley, io...Stava per dire: "avrei tagliato il mio cuore per darvelo", ma invece finì la frase così: - ...farei qualunque cosa per voi! - Davvero? - E nel chiedere questo i suoi occhi si rischiararono alquanto. - Allora vi è una cosa che potete fare per me, Rossella, e che mi farà essere più tranquillo quando sarò lontano.- Che cos'è? - chiese ella felice, pronta a promettere dei prodigi. - Rossella, volete aver cura di Melania per me? - Cura di Melly?Si sentì riempire l'animo di amara delusione. Questa era dunque la sua ultima domanda, quando lei era pronta a promettergli qualche cosa di bello, di grandioso! Fu presa dall'ira. Quel momento era il suo momento con Ashley, suo soltanto. E benché Melania fosse assente, la sua ombra pallida era fra loro. Perché nominarla nel momento del loro addio? Come poteva chiederle ciò che le chiedeva? Egli non si accorse della delusione espressa dal suo volto. Come una volta, i suoi occhi guardavano attraverso lei, al di là, verso qualche altra cosa, come se non la vedessero affatto. - Sì, abbiate cura di lei, fate attenzione. È fragile e non se ne rende conto. Si strapazza a cucire e a fare l'infermiera. Ed è così buona e così timida! Eccettuato zia Pitty, zio Enrico e voi, non ha parenti stretti; soltanto i Burr di Macon, e sono dei cugini in terzo grado. E zia Pitty... è come una bambina; lo sapete anche voi. Melania vi vuole molto bene, e non perché eravate la moglie di Carlo ma perché... sì, perché siete voi e vi vuol bene come a una sorella. Rossella, è un tormento per me il pensiero che se io fossi ucciso, Melly non avrebbe nessuno a cui rivolgersi. Volete promettermi...?Ella non udì neanche la sua preghiera, terrorizzata com'era dalle parole "se io fossi ucciso". Aveva letto tutti i giorni le liste dei morti e feriti, col cuore in gola perché sapeva che se gli fosse accaduto qualche cosa, il mondo sarebbe finito. Ma sempre aveva avuto il presentimento che, anche se l'esercito confederato fosse spazzato via, Ashley sarebbe salvo. Ed ora... ora sentiva il cuore batterle violentemente e si sentiva presa da un terrore superstizioso che non riusciva a vincere col ragionamento. Era abbastanza irlandese da credere alla chiaroveggenza, specialmente quando si trattava di morte; e vide nei suoi occhi grigi una tristezza sconfinata che interpretò come quella di un uomo che sente sulla sua spalla il tocco della mano gelida. - Non dovete dir questo! Neanche pensarlo! Porta disgrazia, parlare della morte! Dite una preghiera, presto! - Ditela voi per me e accendete qualche cero - rispose egli sorridendo del terrore che era nella voce di lei. Ma ella non poté replicare: dinanzi ai suoi occhi si dipingevano i quadri più spaventosi: Ashley morto tra le nevi della Virginia, lontano da lei. Egli continuò a parlare e nella sua voce era una malinconia e una rassegnazione che aumentarono il suo terrore e la sua delusione. - Non so che cosa sarà di me, Rossella, o di noi. Ma quando giungerà la fine, io sarò troppo lontano da qui, anche se sarò vivo, per potere aver cura di Melania.- La... la fine? - La fine della guerra... e la fine del mondo.- Ma non penserete, Ashley, che gli yankees possano batterci?! In questa settimana non avete parlato d'altro che della forza e dell'abilità del generale Lee...- Ho mentito, come tutti quanti quando sono in licenza. Perché spaventare Melania e zia Pitty senza bisogno? Sì, Rossella, credo che gli yankees ci batteranno. Gettysburg è stato il principio della fine. Molti ignorano... Ma sono tanti gli uomini scalzi Rossella; e c'è tanta neve adesso in Virginia. E quando vedo quei poveri piedi congelati avvolti in vecchi stracci o in pezzi di sacco, e vedo le impronte sanguinose che lasciano nella neve... e so che io ho delle scarpe... ebbene, mi pare che dovrei gettarle via e andare anch'io scalzo.- Oh, Ashley, promettetemi di non darle via! - Quando vedo queste cose... vedo la fine di tutto. Gli yankees stanno reclutando soldati in Europa a migliaia! La maggior parte dei prigionieri che abbiamo preso ultimamente non sanno neanche una parola d'inglese. Sono tedeschi, polacchi irlandesi che parlano gaelico. Ma quando noi perdiamo un uomo, non si può sostituirlo. E quando le nostre scarpe sono consumate, non ve ne sono altre. Siamo imbottigliati, Rossella. E non possiamo lottare contro tutto il mondo.Ella pensò: "crolli la Confederazione, finisca il mondo, ché tu non muoia! Non potrei vivere se tu morissi! - Spero che non ripeterete ciò che vi ho detto, Rossella. Non voglio allarmare gli altri. E non avrei voluto spaventare neanche voi; ma ho dovuto spiegarvi perché vi chiedevo di aver cura di Melania. È debole mentre voi siete così forte, Rossella! Sarà un conforto per me pensare che qualunque cosa possa accadere voi due siete insieme. Me lo promettete? - Oh sì! - ella esclamò, perché in quel momento, vedendogli la morte accanto, avrebbe promesso qualunque cosa. - Ashley, Ashley, non posso lasciarvi partire! Non posso aver tanto coraggio! - Dovete averlo - replicò egli; e la sua voce mutò. Era sonora, più profonda, e le sue parole sgorgarono rapide. - Dovete essere coraggiosa. Altrimenti, come potrei resistere?Gli occhi di lei cercarono il suo volto con gioia, perché credeva di comprendere che la separazione da lei gli spezzava cuore. Il volto di lui era cupo come quando era sceso dalla camera di Melania, ma nei suoi occhi ella non riuscì a decifrare nulla. Egli si chinò un poco, le prese il volto fra le mani, la baciò lievemente in fronte. - Rossella, Rossella! Siete così bella, forte e buona. E non per il vostro visino così dolce, ma per tutta voi stessa, per il vostro spirito e la vostra anima.- Oh Ashley - bisbigliò Rossella felice delle sue parole e commossa nel sentirsi le sue mani sul volto nessun altro mi ha mai...- Mi piace credere che forse vi conosco meglio degli altri e vedo le belle cose nascoste entro di voi e che altri, troppo frettolosi osservatori, non sanno scorgere.Si interruppe lasciando ricadere le mani, ma continuando a fissarla. Ella rimase un istante, col respiro affannoso, attendendo le due parole magiche. Ma queste non vennero. Questo secondo crollo delle sue speranze fu più di quanto il suo cuore potesse sopportare. Ella sedette, con un "oh!" di disperazione infantile sentendo le lacrime che le pungevano gli occhi. E in quella udì nel viale d'accesso un rumore che la riempì di terrore. Era la carrozza che zio Pietro conduceva dinanzi alla porta per accompagnare Ashley al treno. - Addio - mormorò piano Ashley. Prese dalla tavola il feltro a larghe tese che essa si era procurato facendo delle moine a Rhett e si avviò per il vestibolo semibuio. Con la mano sulla maniglia della porta si volse, e la fissò con uno sguardo lungo, disperato, come se avesse voluto portar via con sé tutti i particolari del suo volto e della sua figura. Attraverso una nebbia di lacrime ella scorse il suo viso e, con uno strazio che la soffocava, sentì che egli se ne andava, lontano da lei, lontano dal rifugio sicuro della sua casa, fuori dalla sua vita, forse per sempre, senza aver detto le parole che ella anelava di udire. Il tempo era passato ed ora era troppo tardi. Ella corse attraverso il salotto ed afferrò i lembi della sua sciarpa. - Baciatemi - gli disse in un soffio. - Baciatemi per dirmi addio.Le sue braccia la circondarono dolcemente ed egli si curvò sul suo visino. Al primo contatto delle loro labbra, le braccia di lei si avvolsero freneticamente al suo collo. Per un attimo incommensurabile, egli strinse al suo il corpicino di lei. Quindi ella sentì i suoi muscoli irrigidirsi; e, lasciando cadere a terra il cappello, egli staccò vivamente le morbide braccia dal suo collo. - No, Rossella, no - disse a bassa voce serrandole i polsi in una stretta che le fece male. - Vi amo - bisbigliò lei soffocando. - Vi ho sempre amato. Non ho mai amato nessun altro. Sposai Carlo per... farvi dispetto. Oh, Ashley, vi amo tanto che verrei nella Virginia... a pulirvi le scarpe e cucinare per voi e strigliare il vostro cavallo... Ashley, dite che mi amate! Vivrò di queste parole fino al mio ultimo giorno!Egli si chinò rapidamente a raccogliere il suo cappello, ed ella scorse di sfuggita il suo viso: il più infelice che ella avesse mai visto, ma da cui era scomparso ogni senso di distanza. La sua espressione rivelava il suo amore per lei, e la sua gioia che anche lei lo amasse, ma tutto ciò in un misto di vergogna e di disperazione. - Addio - disse con voce rauca. La porta si aperse e un soffio di vento freddo entrò in casa, agitando le cortine. Rossella rabbrividì vedendolo correre verso la carrozza, con la sciabola che brillava al pallido sole invernale e la sciarpa che ballonzolava gaiamente sul suo fianco. 16 Il gennaio ed il febbraio del 1864 passarono, piovosi e percorsi da venti freddi, col cielo fosco e pieno di nuvole. In conseguenza delle disfatte di Gettysburg e di Vicksburg, il centro del fronte meridionale aveva ceduto. Dopo scontri sanguinosi, quasi tutto il Tennessee era adesso tenuto dalle truppe dell'Unione. Ma anche questa nuova perdita non aveva abbattuto gli spiriti degli Stati del Sud. Una profonda risolutezza aveva sostituito le speranze; ma il popolo riusciva ancora a scorgere fra le nuvole un barlume d'argento. Intanto gli yankees erano stati fieramente respinti in settembre quando avevano tentato di far seguire alla loro vittoria nel Tennessee un'avanzata in Georgia. Nel punto più nord-occidentale dello Stato, a Chickamauga, seri combattimenti si erano svolti sul suolo della Georgia per la prima volta dal principio della guerra. Gli yankees, dopo essersi impadroniti di Chattanooga, erano penetrati nella regione attraverso i passi montagnosi, ma erano stati respinti con gravi perdite. Atlanta e le sue ferrovie avevano avuto una gran parte nel fare di Chickamauga una grande vittoria per gli Stati del Sud. Per mezzo della linea ferroviaria, le truppe del generale Longstreet avevano potuto raggiungere il campo di battaglia. Tutto il materiale utilizzabile era stato raccolto sulla linea lunga settecento miglia per il movimento occorrente. Atlanta aveva vegliato mentre i treni si succedevano ad ogni ora e la città era attraversata da diligenze, carri e furgoni pieni di uomini che gridavano. Arrivavano senza aver mangiato né dormito, senza cavalli, senza ambulanze né treni di rifornimento, e senza indugio balzavano direttamente dai convogli precipitandosi nella battaglia. E gli yankees erano stati scacciati dalla Georgia. Era il più grande episodio della guerra, e Atlanta era orgogliosa al pensiero che le sue ferrovie avessero reso possibile la vittoria. Ma il Sud aveva avuto bisogno della buona notizia di Chickamauga per sostenere il proprio morale durante l'inverno. Ora nessuno più negava che gli yankees fossero buoni soldati e avessero dei bravi generali. Grant era un carnefice a cui non importava di sacrificare molte vite per una vittoria, purché la vittoria vi fosse. Sheridan era un nome che portava lo sgomento nei cuori meridionali. E poi, vi era un certo Sherman che veniva nominato sempre più spesso, e la cui reputazione di grande combattente andava sempre aumentando. Nessuno di questi, naturalmente, si poteva paragonare al generale Lee. La fede in lui e nell'esercito era ancora forte, ma la guerra durava troppo a lungo; vi erano tanti morti, tanti feriti, tanti mutilati, tante vedove e tanti orfani. E vi era ancora da sostenere una lunga lotta che porterebbe con sé altri morti, altri feriti, altre vedove e altri orfani. A peggiorare la situazione cominciava a serpeggiare nella popolazione una vaga sfiducia in coloro che occupavano posizioni elevate. Molti giornali parlavano chiaramente contro il Presidente Davis e contro il suo modo di condurre la guerra. Le scarpe e gli abiti per l'esercito mancavano; i medicinali e i rifornimenti erano ancora più scarsi; le ferrovie necessitavano di nuovi vagoni per sostituire i vecchi e di nuovi binari in luogo di quelli che erano stati distrutti dagli yankees. I generali chiedevano truppe fresche; ed era sempre più difficile procurarle. Inoltre alcuni dei governatori degli Stati, e fra questi il governatore Brown della Georgia, rifiutavano di mandare armi e milizie fuori dai loro confini. Col nuovo ribasso della valuta, i prezzi tornarono a salire. Il bue, il maiale, e il burro costavano 35 dollari la libbra; la farina 400 dollari al sacco; la soda 100 dollari la libbra, il tè 500 dollari. Gli abiti invernali, quando era possibile averne, erano arrivati a prezzi così proibitivi, che le signore di Atlanta foderavano i loro vestiti vecchi di stracci, rinforzandoli con carta di giornali. Le scarpe costavano da 200 a 800 dollari il paio, secondo che erano fatte di carta pesta o di vero cuoio. Le signore portavano adesso uose fatte con pezzi di vecchi scialli di lana o di tappeti. Le suole erano di legno. La verità si era che il Nord teneva il Sud in un virtuale stato d'assedio. Le navi da guerra avevano ristretto il blocco, e ben pochi erano i bastimenti che riuscivano a passare attraverso di questo. Gli Stati del Sud avevano sempre vissuto vendendo il loro cotone e comperando ciò che non producevano; ma ora non potevano né vendere né comprare. Geraldo aveva immagazzinato sotto le tettoie, presso la dispensa di Tara il raccolto di cotone di tre anni; ma non ne traeva alcun giovamento. A Liverpool ne avrebbe avuto 150.000 dollari, ma non vi era alcuna speranza di potervelo portare. Da uomo ricco, Geraldo si era trasformato in un individuo che non sapeva come avrebbe potuto nutrire la sua famiglia e i suoi negri nell'inverno. La maggior parte dei piantatori di cotone erano nelle stesse condizioni. Impossibile far giungere la produzione meridionale in Inghilterra e impossibile importare i generi di assoluta necessità. Il Mezzogiorno agricolo, muovendo guerra al Settentrione industriale, aveva ora bisogno di un'infinità di cose della cui necessità non si rendeva conto in tempo di pace. Era una situazione creata da speculatori e profittatori, i quali ne traevano tutto il vantaggio possibile. Poiché cibi e vestiario divenivano sempre più scarsi e i prezzi sempre più alti, le accuse pubbliche contro gli speculatori si inasprirono. Nei primi giorni del 1864 non si poteva aprire un giornale che non contenesse denunce editoriali contro gli avvoltoi e i vampiri, e appelli al Governo perché li richiamasse al dovere con mano energica. Il Governo fece del suo meglio, ma senza alcun risultato efficace. Più che contro chiunque, l'opinione pubblica era violenta contro Rhett Butler. Egli aveva venduto le sue navi quando l'attraversare il blocco era diventato troppo pericoloso; ed ora speculava apertamente sui generi alimentari. Ciò che si raccontava di lui a Richmond e Wilmington faceva arrossire di vergogna coloro che in altri tempi lo avevano ricevuto nella loro casa ad Atlanta . Malgrado tutte queste tribolazioni, la popolazione di Atlanta era raddoppiata durante la guerra. Perfino il blocco aveva aumentato il prestigio di Atlanta; perché coi porti chiusi e la maggior parte delle città costiere occupate o assediate, la salvezza del Sud dipendeva dalle città interne. Il popolo di Atlanta soffriva disagi, privazioni, malattie, e morti come il resto della Confederazione; ma la città aveva guadagnato, piuttosto che perduto, in seguito alla guerra. Il cuore della Confederazione batteva ancora fortemente; le ferrovie che erano le sue arterie la rifornivano, con un afflusso continuo, di uomini, munizioni e provviste. In altri tempi Rossella sarebbe stata molto addolorata per i suoi abiti logori e le sue scarpe rattoppate, ma ora non gliene importava, perché la sola persona che contasse per lei non poteva vederla. Fu felice in quei due mesi, più che non lo fosse stata da anni. Non aveva forse sentito il battito del cuore di Ashley quando ella lo aveva abbracciato? E non aveva visto quell'espressione disperata, più eloquente di qualsiasi confessione? Egli la amava. Ora ne era sicura, e questa convinzione la faceva perfino essere più gentile con Melania. "Quando la guerra sarà finita!" pensava. "Quando..." A volte con un lieve senso di timore si domandava: "E poi?" ma subito scacciava il pensiero. Finita la guerra tutto si aggiusterebbe. Se Ashley l'amava non avrebbe potuto continuare a vivere con Melania. Ma non era possibile pensare a un divorzio; Elena e Geraldo, cattolici rigorosi, non le avrebbero mai permesso di sposare un uomo divorziato. Sarebbe stato un allontanarsi dalla Chiesa! Però, dopo aver riflettuto, Rossella decise che se avesse dovuto scegliere fra la Chiesa e Ashley, avrebbe scelto quest'ultimo. Che scandalo sarebbe stato! Le persone divorziate erano messe al bando non solo dalla Chiesa, ma dalla società. Ma ella era pronta a sacrificare tutto per Ashley. Fu al tempo degli acquazzoni di marzo, mentre tutti quanti erano costretti a rimanere in casa, che ella ricevette il colpo doloroso. Melania, con gli occhi brillanti di gioia e con un certo pudico imbarazzo, le disse che aspettava un bambino. - Il dottor Meade ha detto che sarà per la fine di agosto o i primi di settembre. Lo avevo immaginato... ma fino ad oggi non ero sicura. Non è una cosa magnifica, Rossella? Avevo tanta paura di non averne, io che ne desidererei una dozzina! Rossella, che si stava pettinando prima di andare a letto, si fermò col pettine a mezz'aria. "Dio mio!" pensò, senza rendersi immediatamente conto di ciò che aveva udito. E a un tratto le venne in mente la porta chiusa della camera di Melania; e un dolore acuto come una coltellata le trafisse il cuore. Un dolore così violento come se Ashley fosse suo marito e le fosse stato infedele. Un bambino. Un bambino di Ashley. Com'era possibile, se egli amava lei e non Melania? - So che sei sorpresa - continuò Melania un po' ansimante. - Ma come farò, Rossella, a dirlo ad Ashley? Non sarebbe imbarazzante se potessi dirglielo in un orecchio... oppure... forse non dirgli nulla e lasciarglielo indovinare a poco a poco.- Dio mio! - esclamò Rossella quasi singhiozzando, lasciando cadere il pettine e appoggiandosi al marmo della toletta per sorreggersi. - Non fare così, cara! Sai che non è poi tanto terribile. L'hai detto tu stessa, e non è il caso di essere così preoccupata. È vero che il dottor Meade ha detto che io sono... sono...- Melania arrossì - molto stretta di bacino, ma ha detto anche che forse tutto andrà bene e... Rossella, lo scrivesti tu a Carlo o glie lo scrisse tua madre? O forse tuo padre? Dio mio, se almeno avessi la mamma! Non so proprio...- Taci! - fece Rossella violentemente. - Taci! - Oh, come sono stupida, Rossella! Perdonami. È vero che tutta la gente felice è egoista. In questo momento dimenticavo Carlo.- Ma taci! - esclamò di nuovo Rossella, cercando di controllare il proprio volto e dominare l'emozione. Melania, la donna più piena di tatto che esistesse, aveva le lacrime agli occhi per la propria crudeltà. Come aveva potuto richiamare a Rossella il terribile ricordo di Wade nato alcuni mesi dopo la morte del povero Carlo? - Ti aiuto a svestirti, cara, - disse umilmente. - E ti pettinerò io.- Lasciami sola - ordinò Rossella col viso contratto. E Melania, scoppiando in lacrime di pentimento, uscì, lasciando la cognata con l'orgoglio ferito, la delusione e la gelosia come compagni del suo letto solitario. La giovane pensò che le sarebbe impossibile vivere ancora sotto lo stesso tetto con una donna che aveva in seno un bimbo di Ashley; e pensò di tornare a Tara, a casa sua. Si alzò l'indomani mattina con l'idea di preparare il suo baule subito dopo colazione. Ma appena furono sedute a tavola, Rossella cupa e silenziosa, Pitty stupita, e Melania felice, giunse un telegramma per quest'ultima; era dell'attendente di Ashley, Mosè. "Cercato ovunque senza ritrovarlo. Debbo tornare a casa?" Nessuno comprese il significato di quelle parole; ma gli occhi delle tre donne si volsero dall'una all'altra dilatati dal terrore, e Rossella dimenticò il suo proposito di andarsene. Interrompendo la loro colazione si recarono subito in città per telegrafare al colonnello di Ashley; ma appena giunte all'ufficio, fu consegnato loro un telegramma di questi. "Dolente informarvi Maggiore Wilkes mancante dopo ricognizione compiuta tre giorni fa. Vi terrò informata." Fu uno spaventoso ritorno a casa: zia Pitty piangeva nel suo fazzoletto, Melania sedeva rigida e pallidissima e Rossella era istupidita, rannicchiata in un angolo della carrozza. Giunte a casa, Rossella salì barcollando nella sua camera, afferrò il Rosario che teneva sul tavolino e, piombando in ginocchio, tentò di pregare. Ma la preghiera non venne alle sue labbra, ed ella fu presa da un folle terrore che Dio avesse distolto il Suo volto da lei a causa del suo peccato. Ella aveva amato un uomo sposato e aveva tentato di toglierlo alla moglie; e Dio l'aveva punita uccidendolo. Voleva pregare ma non poté levare al cielo lo sguardo. Avrebbe voluto piangere, ma le lacrime non venivano. Le ardevano nel seno ma non sgorgavano dai suoi occhi. La porta si aperse e Melania entrò. Il suo volto era pallidissimo, incorniciato dai capelli neri; gli occhi spalancati come quelli di un bimbo impaurito sperduto nel buio. - Rossella - disse tendendo le mani. - Devi perdonarmi quello che ti ho detto ieri perché.. non ho più altri che te. Oh, Rossella, so che il mio amore è morto! Un attimo dopo era fra le braccia di Rossella ed entrambe sedevano sul letto, strettamente abbracciate, con le lagrime dell'una che bagnavano le guance dell'altra. Anche Rossella piangeva adesso di un pianto doloroso. Ma quanto era peggio non piangere! "Ashley è morto" pensava "e sono io che l'ho ucciso perché lo amavo!" I singhiozzi la sopraffecero; e Melania, trovando un certo conforto in quel pianto, si strinse maggiormente a lei. - Almeno - bisbigliò - almeno... ho il suo piccino."Ed io" pensò Rossella, troppo colpita adesso per poter essere gelosa "non ho nulla... nulla... nulla... eccetto l'espressione del suo volto quando mi disse addio." Le prime informazioni dicevano "disperso - forse morto" e il nome apparve in questo modo sulla lista. Melania telegrafò una decina di volte al colonnello Sloan, e finalmente giunse una lettera di questi, piena di simpatia, nella quale era spiegato come Ashley, uscito in ricognizione con una pattuglia, non fosse tornato più. Si era parlato di una lieve scaramuccia avvenuta presso le linee yankee e Mosè, pazzo di dolore, aveva arrischiato la vita per ricercare il corpo del suo maggiore, ma non aveva trovato nulla. Melania, stranamente calma adesso, mandò telegraficamente all'attendente il denaro e l'ordine di ritornare subito a casa. Quando sulla nuova lista apparvero le parole "disperso - forse prigioniero", gioia e speranza rianimarono la casa. Melania non riusciva staccarsi dall'ufficio telegrafico se non per recarsi all'arrivo di tutti i treni, sperando di ricever lettere. Era molto sofferente; la gravidanza le dava parecchi disturbi, ma essa rifiutava di obbedire alle prescrizioni del dottor Meade che le ordinava di rimanere in letto. Era piena di una febbrile energia; la sera, Rossella la udiva per molto tempo passeggiare in camera sua dopo che tutti erano andati a dormire. Un pomeriggio tornò a casa nella carrozza che zio Pietro guidava col viso spaventato, sorretta da Rhett Butler. Era svenuta all'ufficio telegrafico e Rhett, che si trovava a passare e aveva visto la folla che si andava agglomerando, l'aveva riaccompagnata a casa. La portò su per le scale e la depose sul letto, sistemando i cuscini dietro il suo capo mentre tutte le donne di casa, sgomente, si affrettavano a prendere mattoni caldi, a cercare coperte e whisky. - Mrs. Wilkes - le disse Rhett bruscamente - voi aspettate un bimbo, non è vero?Se Melania non fosse stata così debole e sofferente, questa domanda l'avrebbe sbalordita. Anche con le amiche provava imbarazzo a parlare delle sue condizioni, e le visite del dottore erano un angoscioso tormento per lei. Ma che un uomo, e particolarmente Rhett Butler, le rivolgesse una domanda simile, era incredibile. Nel suo stato attuale, non fece che accennare di sì. E dopo, la cosa non le parve più tanto tremenda perché Rhett sembrava preoccupato e molto affettuoso. - Allora bisogna che abbiate più cura di voi stessa. Tutto questo correre su e giù non può farvi bene; e certamente danneggia il bambino. Se mi permettete, Mrs. Wilkes, cercherò, attraverso le relazioni che ho a Washington, di sapere qualche cosa di vostro marito. Se è prigioniero, sarà sulle liste dei Federali; e se non lo è... beh, tutto è preferibile all'incertezza. Ma ho bisogno della vostra promessa. Se non avete cura della vostra salute, giuro a Dio che non muoverò dito.- Come siete buono! - esclamò Melania. - Come fanno a dir tanto male di voi? - Quindi, sopraffatta dalla coscienza della spudoratezza dimostrata parlando del proprio stato con un uomo, cominciò a piangere debolmente. E Rossella, che saliva a precipizio le scale con un mattone caldo avvolto in un pezzo di flanella, la trovò con Rhett che le accarezzava una mano. Rhett mantenne la parola. Nessuno seppe mai quali fili egli riuscì a fare agire. Non osarono chiederglielo, per timore che ciò significasse un riconoscimento dei suoi stretti rapporti con gli yankees. Ci volle un mese prima di sapere qualche cosa; e le notizie che dapprima le sollevarono ai sette cieli, crearono nei loro cuori, in un secondo tempo, un'angoscia lacerante. Ashley non era morto! Era stato ferito e preso prigioniero; le informazioni dicevano che si trovava a Rock Island, un campo di prigionieri nell'Illinois. Nel primo impeto di gioia, pensarono solo ai fatto che egli era vivo. Ma quando cominciarono a calmarsi, si guardarono sgomente, esclamando: - Rock Island!come se avessero detto: “All'inferno!” Perché Aldersonville era un nome che spaventava quelli del Nord, così Rock Island terrorizzava gli abitanti del Sud che avevano che parente internato laggiù. Quando Lincoln rifiutò lo scambio dei prigionieri, credendo che il lasciare alla Confederazione il peso di nutrire e vestire i prigionieri dell'Unione avrebbe affrettato la fine della guerra migliaia di uomini vestiti d'azzurro furono raccolti ad Aldersonville, in Georgia. I Confederati avevano scarsità di cibo e mancavano di medicinali e di articoli sanitari per i loro ammalati e feriti; avevano perciò ben poco da dividere coi prigionieri. Diedero loro da mangiare quello che davano ai soldati: grasso di porco e piselli secchi; e a questa dieta gli yankees morivano come le mosche; a volte più di cento in un giorno. Inferocito da queste notizie, il Nord rese più aspro il trattamento usato ai prigionieri confederati; e il luogo dove tale trattamento era peggiore era Rock Island. Il cibo era insufficiente; vi era una coperta ogni tre uomini; e le stragi prodotte dal vaiolo, dalla polmonite e dal tifo fecero ritenere quel luogo come un lazzaretto. Tre quarti di coloro che vi erano mandati non ne uscivano vivi. E Ashley stava in quel luogo orrendo! Vivo, ma ferito; e a Rock Island la neve cadeva ininterrottamente. Era morto per le ferite, dopo che Rhett aveva avuto le informazioni? Era stato colpito dal vaiolo o delirava per la polmonite senza coperta che lo riparasse? - Oh capitano Butler, non v'è modo... Non potete fare uso della vostra influenza per ottenere che venga scambiato? - esclamò Melania. - Mister Lincoln, l'uomo giusto e pietoso che piange dirottamente sui cinque figliuoli della signora Bixby, non ha lacrime per le migliaia di uomini che muoiono a Aldersonville. - rispose torcendo la bocca. - Non gl'importa nulla della loro morte. L'ordine è perentorio. Niente scambi. Non... non ve lo avevo detto prima, Signora Wilkes, ma a vostro marito è stata offerta la possibilità di uscirne e l'ha rifiutata.- No! - gridò Melania desolata. - Vi dico di sì. Gli yankees stanno reclutando uomini per il servizio di frontiera onde combattere contro gli Indiani; e li reclutano tra i prigionieri. Chiunque vuol prestare giuramento di fedeltà e arruolarsi nel reggimento che va contro gli indiani, vien liberato ed inviato in Occidente. Mister Wilkes ha rifiutato.- Ma perché? - esclamò Rossella. - Perché non ha prestato giuramento per poi disertare e tornare a casa appena libero?Melania si volse a lei come una piccola furia. - Come puoi supporre che egli avrebbe fatto una cosa simile? Tradire la propria Confederazione prestando un abietto giuramento e poi mancare al giuramento stesso! Preferirei saperlo morto a Rock Island piuttosto che saperlo traditore. Sarei fiera di lui se morisse in prigione. Ma se facesse quello... non potrei più guardarlo in faccia. Mai! È naturale che abbia rifiutato. Quando Rossella accompagnò Rhett alla porta, gli chiese, indignata: - Se foste stato voi, non vi sareste arruolato con loro, per evitare di morire in quel luogo, e non avreste poi disertato? - Senza dubbio - rispose Rhett, facendo brillare i suoi denti bianchi sotto ai baffetti neri. - E allora perché Ashley non l'ha fatto? - Perché è un gentiluomo.E Rossella si chiese come fosse possibile mettere in quella parola rispettosa tanto cinismo e tanto disprezzo. PARTE TERZA 17 Giunse il maggio del 1864 - un maggio caldo che faceva appassire i fiori in boccio - e gli yankees, condotti dal generale Sherman, furono nuovamente in Georgia, sopra Dalton, a cento miglia a nordovest di Atlanta. Dagli informatori si sapeva che vi sarebbe un'aspra battaglia presso il confine fra la Georgia e il Tennessee. Gli yankees si ammassavano per un attacco contro la ferrovia "Occidentale e Atlantica", la linea che collegava Atlanta col Tennessee e con l'Ovest; la stessa linea che era stata affollata dalle truppe del Sud quando erano accorse per prender parte alla vittoria di Chickamauga. Ma in massima, Atlanta non si sentiva turbata dalla prospettiva di una battaglia nei pressi di Dalton. Il luogo ove gli yankees si stavano concentrando era soltanto a poche miglia a sud-est dal campo di battaglia di Chickamauga. Erano stati respinti quando avevano tentato di penetrare nella regione attraverso quei passi montagnosi; sarebbero respinti nuovamente. Atlanta - e tutta la Georgia con essa - sapeva che quella zona era troppo importante per la Confederazione, perché il generale Joe Johnston potesse permettere che gli yankees rimanessero troppo a lungo nei suoi confini. La Georgia doveva rimanere indisturbata, perché essa era il vasto granaio della Confederazione, oltre ad esserne il deposito e la fabbrica d'armi. Fra Dalton e Atlanta era la città di Roma con le sue fabbriche di cannoni e altre industrie, e Etowah e Allatoona con le grandi fonderie a sud di Richmond. Inoltre, Atlanta ospitava, insieme con le fabbriche di pistole, di selle, di tende e di munizioni, i più grandi laminatoi del Sud, i depositi delle Ferrovie e gli enormi ospedali. E per di più era il nodo ferroviario da cui dipendeva tutta la vita della Confederazione. Nessuno quindi, era molto turbato. Dalton era abbastanza lontana, e da tre anni si era ormai abituati al fatto che ci si battesse nel Tennessee; il campo di battaglia era quasi tanto lontano come la Virginia o il Mississippi. Si aggiunga che fra Atlanta e gli yankees vi era il generale Johnston, il più grande di tutti dopo il generale Lee - ora che Stonewall Jackson era morto. Il dottor Meade espose questo punto di vista una sera, sulla veranda della casa di zia Pitty, e fu ascoltato con emozione diversa, perché tutti coloro che sedevano nelle poltrone di vimini osservando, alla luce del crepuscolo, le prime lucciole della stagione che volavano come magici focherelli tra le piante, avevano un peso sul cuore. La signora Meade, con una mano sul braccio di Phil, sperava che suo marito avesse ragione, perché se la guerra si avvicinava, il suo Phil dovrebbe andare. Aveva sedici anni, oramai, ed era nella Guardia Nazionale. Fanny Elsing, pallida e con gli occhi cerchiati dopo la sconfitta di Gettysburg, cercava di distogliere la mente dal quadro che la torturava da allora: il luogotenente McLure morente in un carro traballante, trainato da buoi, durante la lunga, terribile ritirata nel Maryland. Il braccio ferito del capitano Carey Ashburn aveva ricominciato a dolere; inoltre il capitano era depresso al pensiero che la corte che egli faceva a Rossella fosse arrivata a un punto morto. La situazione era immutata da quando era giunta la notizia della cattura di Ashley, benché egli non si accorgesse del rapporto fra i due avvenimenti. Rossella e Melania pensavano tutt'e due ad Ashley, come sempre quando un lavoro urgente o la necessità della conversazione non le distoglieva da quel pensiero. Rossella diceva fra sé: "Dev'essere morto, altrimenti avrebbe fatto sapere qualche cosa." E Melania, cercando di far tacere il terrore che la tormentava continuamente, pensava: "Non può esser morto. Ne sono certa. Se fosse morto, lo sentirei." Rhett Butler sedeva nell'ombra, con le gambe accavallate, il volto imperscrutabile. Fra le sue braccia dormiva tranquillamente Wade, con un ossicino accuratamente pulito uno di quegli ossicini curvi che portano fortuna stretto nella piccola mano; Rossella permetteva sempre al piccolo di rimanere alzato quando veniva Rhett, perché il timido bimbo aveva molta simpatia per lui e anche Rhett, per quanto la cosa fosse strana, sembrava gli volesse bene. Quanto a zia Pitty, essa cercava nervosamente di reprimere le manifestazioni del suo stomaco, avendo mangiato a cena un indigesto arrosto di gallo. Era stato deciso il sacrificio del vecchio volatile e Pitty aveva voluto invitare un certo numero di amici, che certamente non mangiavano pollo da un pezzo. Melania, che era nel quinto mese e non usciva né riceveva, fu sgomenta all'idea di avere degli invitati. Ma Pitty, che riteneva un atto di egoismo mangiare il pollo da sola, fu, per una volta tanto, irremovibile. Melania non dovrebbe fare altro che mettere la crinolina un po' più in alto; nessuno vedrebbe nulla. - Ma zia, non ho voglia di veder gente quando Ashley...- Non è come se Ashley... fosse scomparso per sempre. - E la voce di Pitty tremò, perché in cuor suo ella era convinta che Ashley fosse morto. - E' vivo come te; e un po' di distrazione ti farà bene. Inviterò anche Fanny Elsing; sua madre mi ha pregato di fare qualche cosa per cercar di distrarla...- Ma è una crudeltà, zia, costringerla...- Basta, Melly; se discuti ancora mi metto a piangere. Sono tua zia e so quello che faccio. E voglio aver degli amici a cena.Così zia Pitty invitò i suoi amici; e, all'ultimo momento, un ospite non atteso e non desiderato si presentò. Proprio mentre l'odore dell'arrosto riempiva tutta la casa, Rhett Butler, di ritorno da uno dei suoi misteriosi viaggi, bussò alla porta, portando sotto al braccio una scatola di dolci e fornito dei suoi soliti complimenti a doppio taglio. Non si poteva fare a meno di pregarlo di rimanere, benché Pitty sapesse come la pensavano il dottore e sua moglie sul suo conto, e come era aspra Fanny verso chiunque non fosse in uniforme. Né i Meade né gli Elsing lo avrebbero salutato per istrada; ma in casa d'altri, naturalmente, dovevano esser cortesi con lui. D'altronde egli era adesso, più che mai, sotto la protezione della fragile Melania. Dopo che era riuscito a procurarle notizie di Ashley, ella aveva dichiarato pubblicamente che la sua casa gli era aperta finché viveva, checché gli altri dicessero contro di lui. Le apprensioni di Pitty si calmarono quando essa vide che Rhett si comportava benissimo. Egli si dedicò a Fanny con tale deferenza che riuscì perfino a ottenerne un sorriso, e la cena si svolse regolarmente. Fu una specie di festino: il capitano Ashburn aveva portato un po' di tè che aveva trovato nella borsa da tabacco di un prigioniero yankee, e ognuno ne ebbe una tazza che sapeva lievemente di tabacco. A ciascuno spettò anche un pezzetto del vecchio volatile arrostito, con un discreto contorno di meliga cotta con le cipolle; una scodella di piselli secchi, e un bel piatto di riso al sugo, quest'ultimo un po' acquoso per mancanza di farina. Per finire, una torta di patate dolci, e i dolci di Rhett; e quando questi tirò fuori dei veri sigari d'Avana per gli uomini, costoro dichiararono, mentre bevevano un bicchierino di liquore di more, che era stato veramente un banchetto luculliano. Quando gli uomini raggiunsero le signore sotto al porticato, la conversazione volse sulla guerra. Del resto, era ciò che accadeva sempre: qualsiasi discorso, gaio o triste, finiva a cadere sulla guerra. Romanzi di guerra, matrimoni di guerra, morti all'ospedale o al campo, incidenti di battaglie e di marcia, temerità, vigliaccheria, allegria, tristezza, privazioni, speranze. Sempre, sempre speranze; speranze inesauste, nonostante le batoste dell'estate precedente. Quando il capitano Ashburn annunciò che aveva chiesto ed ottenuto il trasferimento da Atlanta al reggimento che era a Dalton, le signore baciarono con gli occhi il suo braccio rigido e, nascondendo la loro fiera emozione, dichiararono che non poteva andare, perché non avrebbero altrimenti avuto più nessuno per far loro la corte. Il giovine Carey fu divertito e confuso da queste dichiarazioni da parte di signore anziane come la signora Meade e zia Pitty e sperò che, fra le giovani, Rossella fosse sincera. - Oh, tornerà presto - affermò il dottore mettendogli un braccio sulla spalla. - Vi sarà solo qualche scaramuccia e gli yankees indietreggeranno nel Tennessee. E allora, ci sarà il generale Forrest che ci penserà! Voialtre signore, non dovete aver paura, perché il generale Johnston ha stabilito fra le montagne un baluardo di ferro. Sì, un baluardo di ferro. Sherman non riuscirà mai a passare. Non potrà sloggiare il vecchio Joe. Le signore sorrisero approvando. Solo Rhett parlò. Non aveva più detto una parola, dopo la cena, ed era rimasto ad ascoltare i discorsi degli altri, con la testa del bimbo appoggiata alla sua spalla. - Ho sentito dire che Sherman ha più di centomila uomini, ora che gli sono giunti i rinforzi.- Ebbene? - replicò brevemente il dottore a cui solo il rispetto dovuto alla casa di Pitty vietava di mostrare apertamente i suoi sentimenti di antipatia. - Mi pare che il capitano Ashburn abbia affermato recentemente che il generale Johnston ne ha solo quarantamila, contando fra questi anche i disertori incoraggiati a tornare dall'ultima vittoria.- Signore - fece indignata la signora Meade - nell'esercito confederato non vi sono disertori.- Domando scusa - replicò Butler inchinandosi beffardamente. - Intendevo parlare di quelle migliaia che erano in licenza e dimenticarono di raggiungere i loro reggimenti e di quelli che sono guariti delle loro ferite da sei mesi ma rimangono a casa ad occuparsi dei loro affari.La signora Meade si morse le labbra. Rossella avrebbe riso volentieri della sua sconfitta, perché Rhett aveva colpito il bersaglio. Vi erano in realtà centinaia di uomini appiattati nelle montagne e nelle paludi e che sfidavano la Guardia Nazionale a costringerli a tornare in servizio. Alcuni dichiaravano che la guerra era uguale "per i ricchi e per i poveri" e che loro avevano fatto abbastanza. E vi erano coloro che, pur essendo portati sui ruoli come disertori, non avevano intenzione di disertare permanentemente; gente che da tre anni non aveva mai avuto una licenza, mentre ricevevano da casa lettere che dicevano: "Abbiamo fame. Non c'è raccolto perché non c'è nessuno per arare i campi e seminare". E il coro era sempre lo stesso: "abbiamo fame, fame, fame". Quando a costoro fu rifiutata la licenza, essi andarono a casa facendone a meno, per arare i loro campi e seminarli, per riparare le loro case e riattare le siepi. Gli ufficiali, comprendendo la situazione, scrissero allora a quegli uomini che se avessero raggiunto le loro compagnie, nessuno avrebbe detto loro nulla. E generalmente i soldati tornavano, dopo aver fatto sì che per qualche mese le loro donne e i loro bambini avessero da sfamarsi. Queste licenze "per arare" non erano considerate come "diserzione di fronte al nemico", ma indebolivano ugualmente l'esercito. Il dottor Meade si affrettò a interrompere la pausa di disagio che aveva seguito le parole di Butler. - La differenza numerica fra i due eserciti non ha mai avuto importanza, capitano Butler. Un confederato vale una dozzina di yankees. - Questo era vero prima della guerra - ribatté Butler. - E forse è ancora vero, purché il soldato confederato abbia munizioni per il suo fucile, scarpe ai piedi e cibo nello stomaco. Non è così, capitano Ashburn? La sua voce era dolce e piena di speciosa umiltà. Carey Ashburn si sentì a disagio. Egli pure aveva antipatia per Rhett e si sarebbe schierato volentieri col dottore; ma non poteva mentire. La ragione per cui aveva chiesto di tornare al fronte, malgrado il suo braccio invalido, era perché, a differenza dei borghesi, si rendeva conto della difficoltà della situazione. Altri uomini con una gamba di legno, ciechi da un occhio, senza un braccio o mutilati di una mano, avevano chiesto di lasciare i commissariati, i servizi ospedalieri, postali o ferroviari per raggiungere le loro unità combattenti. Sapevano che il Vecchio Joe aveva bisogno di tutti gli uomini, anche poco validi. Non rispose; e il dottor Meade, perdendo il controllo, tuonò: - I nostri uomini hanno combattuto senza scarpe e senza cibo e hanno vinto! E combatteranno e vinceranno ancora! Vi ho detto che Johnston non può essere sloggiato! I passi delle montagne sono sempre stati la difesa più sicura di un paese. Ricordatevi... le Termopili! Rossella cercò di ricordarsi che cosa volesse dire quella parola, ma non vi riuscì. - Morirono tutti, fino all'ultimo, non è vero? - chiese Rhett, con le labbra impercettibilmente stirate da un riso represso. - Mi state insultando, giovinotto? - Dio me ne guardi, dottore! Mi fraintendete! Ho chiesto solo per informazione. Non ho molta memoria per la storia antica.- Se sarà necessario, il nostro esercito morirà fino all'ultimo uomo prima di permettere agli yankees di entrare in Georgia - ribatté il dottore con aria di sfida. - Ma non sarà necessario. Li scacceranno dalla regione con qualche scaramuccia. Vedendo che la conversazione rischiava di degenerare, zia Pitty si alzò in fretta e pregò Rossella di suonare e cantare qualche cosa. Aveva preveduto che invitando Rhett a cena avrebbe avuto qualche noia. Succedeva sempre così, quando egli era presente. Dio, Dio, ma che cosa trovava Rossella in quell'uomo? E Melania perché lo difendeva sempre? Rossella rientrò in salotto e nel porticato fu un silenzio denso di risentimento contro Rhett. Credere nell'invincibilità del generale Johnston era un dovere; ma chi era tanto traditore da non credere, doveva almeno avere il buon senso di tacere. Rossella trasse qualche accordo, quindi la sua voce si levò, dolce e triste, nelle parole di una canzone popolare. "In una corsia dalle pareti imbiancate ove giacciono morti e moribondi... - feriti di baionetta, di proiettili, di schegge in un giorno lontano nacque una creatura. Una creatura cara a qualcuno giovine e coraggioso, che aveva ancora sul volto pallido e dolce - fra poco celato nella polvere della tomba la luce languida della sua grazia adolescente." - "I riccioli d'oro sono opachi e impolverati..." - continuò malinconicamente Rossella con la sua voce di soprano un po' tremula; ma Fanny si levò a metà esclamando con voce debole e soffocata: - Canta un'altra cosa! Il piano tacque a un tratto; Rossella era rimasta stupita e confusa. Quindi si affrettò ad accennare alle battute d'introduzione di "Tunica grigia", ma si fermò all'improvviso, ricordando che anche questa canzone era troppo descrittiva. Inutile: tutte le canzoni parlavano di morte, di separazione, di dolore. Rhett si alzò in fretta, depose Wade nel grembo di Fanny ed entrò rapidamente nel salotto. - Suonate "La mia vecchia casa nel Kentucky" - suggerì piano; e Rossella ubbidì, riconoscente. Alla sua voce si unì l'ottimo basso di Rhett, e quando essi cominciarono la seconda strofa, quelli che erano rimasti nel portico respirarono più liberamente, benché anche quella non fosse una canzone eccessivamente gaia. "Ancora pochi giorni, per trasportare il pesante fardello! Impossibile renderlo più leggero! Ancora pochi giorni, finché vacilleremo sulla strada... e poi, mia vecchia casa del Kentucky, buona notte!" La predizione del dottor Meade fu giusta... fino a un certo punto. Johnston costituiva veramente un baluardo di ferro; e la sua resistenza fu così salda che gli yankees si ritirarono e tennero consiglio di guerra. Non potendo spezzare la linea dei con federati con un assalto diretto, pensarono di attraversare di nottetempo altri passi a semicerchio, sperando di giungere alle spalle dell'esercito di Johnston, tagliando la ferrovia dietro di esso, a Resaca; a quindici miglia al sud di Dalton. Visto il pericolo della preziosa linea ferroviaria, i confederati abbandonarono le trincee difese fino allora disperatamente e, alla luce delle stelle, fecero una marcia forzata sino a Resaca, per la via più breve e diretta. Quando gli yankees, sciamando dalle alture, giunsero loro addosso, trovarono le truppe meridionali che li attendevano, trincerate dietro a parapetti improvvisati, con le batterie pronte e le baionette inastate. I primi feriti evacuati ad Atlanta portarono la notizia della ritirata del Vecchio Joe a Resaca; e la città fu sorpresa e un po' turbata. Era come se fosse apparsa una piccola nube a nord-ovest, la prima nube foriera di un temporale. Che diamine faceva il generale, permettendo che gli yankees penetrassero ancora per diciotto miglia nella Georgia? Le montagne erano una fortezza naturale, come aveva sempre detto il dottor Meade. Perché il Vecchio Joe non vi aveva trattenuto gli yankees? Johnston combatté disperatamente a Resaca e respinse di nuovo gli yankees; ma Sherman, con lo stesso movimento aggirante, formò col suo esercito un secondo semicerchio, attraversò il fiume Oostanaula e si lanciò ancora una volta sulla ferrovia alle spalle dei confederati. Le linee di questi furono nuovamente ritirate in gran fretta dai loro fossati rossi, per difendere la strada ferrata; e, indebolite dal sonno, esaurite dalla marcia e dalla battaglia e affamate, sempre affamate, esse fecero un'altra rapida ritirata a valle. Raggiunsero la cittadina di Calhoun, a sei miglia a sud di Resaca, con vantaggio sugli yankees, e si trovarono nuovamente pronti all'attacco quando quelli giunsero. Fu un attacco violento, in cui gli yankees furono respinti. Stanchi, i confederati chiesero adesso un po' di respiro e di riposo. Ma Sherman continuò ad avanzare inesorabilmente, allargando il suo esercito in una vasta curva, costringendo gli avversari a un'altra ritirata per difendere la ferrovia alle loro spalle. Marciavano dormendo, troppo stanchi per pensare; ma quando pensavano erano sempre pieni di fiducia nel Vecchio Joe. Sapevano che si ritiravano ma che non erano battuti. Soltanto, non avevano abbastanza uomini per poter contemporaneamente difendere le trincee e fronteggiare gli attacchi di fianco di Sherman. La ritirata era condotta con maestria; vi erano state poche perdite di uomini, mentre gli yankees lamentavano numerosissimi morti e feriti. I soldati grigi non avevano perduto un solo carriaggio e soltanto quattro cannoni; e Sherman non aveva potuto toccare la ferrovia alle loro spalle, malgrado i suoi attacchi frontali, lo spiegamento di cavalleria e gli attacchi di fianco. La ferrovia. Era ancora loro, quella piccola strada ferrata che attraverso la valle soleggiata giungeva ad Atlanta. I soldati si sdraiavano a dormire quando vedevano i binari scintillare debolmente alla luce delle stelle. Si sdraiavano a morire, e l'ultima cosa che i loro occhi scorgevano erano le rotaie metalliche che brillavano al sole spietato, nella calura soffocante. Mentre essi ripiegavano sulla vallata, un esercito di profughi ripiegava avanti a loro: piantatori e indiani crackers, ricchi e poveri, bianchi e negri, donne e bambini, vecchi, moribondi, paralitici, feriti, donne incinte affollavano la strada che conduceva ad Atlanta su treni, a piedi, a cavallo, in carrozze, carretti, furgoni su cui si accatastavano bauli e masserizie. I profughi precedevano di cinque miglia l'esercito in ritirata, fermandosi a Resaca, a Calhoun, a Kingston, sperando ad ogni tappa di sapere che gli yankees erano stati ricacciati sicché essi potessero tornare alle loro case. Ma non ritornavano sui loro passi per la strada piena di sole. Le truppe grige passavano dinanzi a case vuote, fattorie deserte, capanne solitarie con le porte spalancate. Qua e là qualche donna sola era rimasta con pochi schiavi spaventati; questi si recavano sulla strada a salutare le truppe, portando secchi d'acqua di pozzo per gli assetati; fasciavano i feriti e seppellivano i morti nelle loro tombe di famiglia. Ma in massima parte la valle era abbandonata e desolata e i raccolti si disseccavano sui campi lasciati nella più assoluta incuria. Da Calhoun, Johnston indietreggiò a Adairsville, poi a Cassville e a Cartersville. Oramai il nemico aveva percorso cinquantacinque miglia dopo Dalton. A Chiesa della Nuova Speranza i grigi si fermarono per una tappa decisiva. E gli azzurri si avanzarono, senza tregua, come un serpente mostruoso che si snodava, colpiva velenosamente, ritraeva le sue spire ferite, ma colpiva di nuovo. Vi furono undici giorni di battaglia continua, disperata, a Chiesa della Nuova Speranza; gli assalti yankee vennero sanguinosamente respinti. Finché Johnston, investito ancora una volta di fianco, dové di nuovo ritirar di qualche miglio le sue linee assottigliate. I morti e feriti a Chiesa della Nuova Speranza furono numerosissimi. I feriti affluirono ad Atlanta nei treni rigurgitanti e la città fu atterrita. Mai, neanche dopo la battaglia di Chickamauga, ve n'erano stati tanti. Gli ospedali erano gremiti; si collocavano i feriti sul pavimento di magazzini vuoti, sopra balle di cotone. Negli alberghi, nelle pensioni, nelle case private i sofferenti si accalcavano. Zia Pitty ebbe la sua parte, benché protestasse contro la scorrettezza di avere degli estranei in casa quando Melania era in condizioni speciali, e certe visioni raccapriccianti potevano provocare un parto prematuro. Ma Melania tirò un po' più su la sua crinolina per nascondere la vita ingrossata e i feriti invasero la casa di mattoni. Bisognò cucinare in continuazione, servire, far vento agli ammalati, lavare e arrotolare bende, e infinite furono le notti insonni, turbate dal parlare sconnesso di uomini in delirio. Finalmente la città fu satura, sicché i nuovi feriti furono incanalati verso Macon e Augusta. La nuvoletta all'orizzonte si era allargata rapidamente, e il temporale era ormai sulla città, con un vento pauroso e gelido. Nessuno aveva perduto la fede nell'invincibilità delle truppe; ma tutti - almeno i borghesi - avevano perso la fede nel generale. La Chiesa della Nuova Speranza era soltanto a trentacinque miglia da Atlanta! Il generale si era ritirato di sessantacinque miglia in tre settimane! Perché non resisteva, invece di ritirarsi? Era un pazzo, e peggio che un pazzo. Membri della Guardia Nazionale e della Milizia sostenevano che essi avrebbero condotto la campagna molto meglio e stendevano sulle tavole carte topografiche per dimostrare la verità di quanto asserivano. Quando le linee si assottigliarono ancora, il generale chiese disperatamente al Governatore Brown i suoi uomini; ma le truppe dello Stato erano in salvo e non vi era ragione di mandarle al macello. Combattere e ritirarsi! Per settanta miglia e venticinque giorni, i confederati avevano combattuto quasi quotidianamente. La Chiesa della Nuova Speranza era ormai un ricordo in mezzo ad altri tremendi ricordi del genere: caldo, polvere, fame, debolezza, marciare sulla strada rossa, sfangare nella mota rossastra, ritirarsi, trincerarsi, combattere... ritirarsi, trincerarsi, combattere. La Chiesa della Nuova Speranza era un incubo di vita trascorsa, e così Big Shanty, ove essi si rivoltarono a combattere come demoni.. Ma anche dopo che i campi furono tutti turchini di morti yankee, sempre dei nuovi ne arrivavano, sempre di più; sempre vi era quella sinistra curva delle linee azzurre, laggiù a sud-est, verso le retroguardie dei confederati, verso la ferrovia... verso Atlanta! Da Big Shanty le linee indebolite si ritirarono sulla strada della Montagna Kennesaw, presso la cittadina di Marietta, e quivi esse si allargarono in una curva di dieci miglia. Sui pendii delle montagne scavarono le loro trincee e stabilirono le feritoie, mentre sulle alture collocarono le loro batterie. Imprecando e sudando, gli uomini trascinarono i pesanti cannoni su per i versanti troppo ripidi perché i muli potessero arrampicarvisi. Messaggeri e feriti che giungevano ad Atlanta rassicurarono il popolo spaventato. Le alture di Kennesaw erano inespugnabili. Atlanta respirò di sollievo... Ma le montagne Kennesaw distavano solo ventidue miglia! Il giorno in cui i primi feriti giunsero da Kennesaw, la carrozza della signora Merriwether fu dinanzi alla casa della zia Pitty alle sette di mattina; un'ora inverosimile! Il negro Zio Levi era latore di un biglietto che ingiungeva a Rossella di vestirsi immediatamente e recarsi all'ospedale. Fanny Elsing e le ragazze Bonnell, chiamate anche loro, sbadigliavano sul sedile in fondo, e la Mammy degli Elsing sedeva malinconicamente a cassetta con in grembo un cestino di materiale di medicazione appena lavato. Rossella si alzò malvolentieri, perché aveva ballato fino all'alba alla festa della Guardia Nazionale, e i piedi le dolevano. Maledisse silenziosamente l'instancabile e premurosa signora Merriwether, i feriti e tutta la Confederazione degli Stati del Sud, mentre Prissy le abbottonava il più vecchio e sciupato dei suoi abiti di cotone, che usava per il servizio ospedaliero. Inghiottì l'amaro beveraggio di orzo e patate dolci disseccate che passava per caffè e scese a raggiungere le ragazze. Era stufa di tutto quel lavoro. Proprio quel giorno, direbbe alla signora Merriwether che Elena le aveva scritto di andare a Tara per un po' di tempo. Ma non le servì a nulla, perché la degna matrona, con le maniche rimboccate e il corpo robusto coperto da un ampio grembiale, le lanciò un'occhiata dura dicendole: - Non dite sciocchezze, Rossella Hamilton. Scriverò io oggi a vostra madre dicendole che ho bisogno di voi; e sono sicura che comprenderà e vi permetterà di restare. Svelta, mettetevi il grembiale e andate dal dottor Meade che ha bisogno di un aiuto per fare le fasciature."Dio mio, che guaio!" pensò Rossella. "Certo la mamma mi dirà di restare; e io morirò se continuerò a sentire questo terribile odore! Vorrei esser vecchia, per poter comandare alle giovani, invece di ricevere ordini... e mandare le vecchie streghe come la Merriwether a farsi benedire!" Sì, era stanca di quella vita. Se vi era stato qualche cosa di romantico nel far l'infermiera, questo era finito da un pezzo. E poi, i feriti nella ritirata non erano simpatici come i primi. Non si curavano affatto di lei e le chiedevano soltanto: - Come va la battaglia? Dov'è il Vecchio Joe? - E poi: - E' bravo, sapete, il Vecchio Joe!Lei non credeva affatto alla bravura del Vecchio Joe, che aveva lasciato penetrare gli yankees nella Georgia per una profondità di ottantotto miglia. E tutti quei disgraziati che morivano, rapidamente, silenziosamente, essendo troppo indeboliti per combattere l'avvelenamento del sangue, la cancrena, il tifo e la polmonite che li avevano colpiti prima che fossero giunti ad Atlanta e avessero trovato un medico! La giornata era calda e le mosche entravano dalle finestre a sciami: grosse mosche che tormentavano gli uomini più che non facessero le sofferenze. L'odore e i gemiti andavano aumentando. Il sudore bagnava il suo abito appena inamidato, mentre ella seguiva il dottor Meade con un catino fra le mani. Che nausea a stare accanto al dottore, cercando di non vomitare quando il suo bisturi tagliava le carni putride! E che orrore gli urli della sala operatoria dove si facevano le amputazioni! Il cloroformio era così scarso che lo si adoperava soltanto per le amputazioni più gravi e l'oppio era una cosa preziosa che serviva ad alleviare le pene dei moribondi, non quelle dei viventi. Non vi era né chinino né iodio. Rossella invidiava Melania che aveva il pretesto della gravidanza: l'unico accettato in quei momenti. A mezzogiorno si tolse il grembiale e sgusciò fuori dall'ospedale, incapace di resistere più a lungo. Sapeva che quando fossero giunti i feriti col treno pomeridiano, vi sarebbe da fare per lei fino a sera, e probabilmente senza neanche mangiare. Si affrettò verso la Via dell'Albero di Pesco, respirando a grandi sorsate l'aria pura, per quanto glielo permetteva il busto allacciato stretto. Si fermò all'angolo, incerta sul da fare, poiché si vergognava di tornare a casa da zia Pitty, ma ben decisa a non tornare all'ospedale. In quel momento passò Rhett Butler in carrozzino. - Sembrate la figlia di un cenciaiolo - osservò, guardando con occhio critico l'abito di cotone rammendato e bagnato di sudore e d'acqua che era schizzata dal catino. Rossella fu irritatissima. Perché quell'uomo osservava sempre l'abbigliamento delle donne, e perché era così indelicato da rilevare la sua attuale ineleganza. - Non voglio che mi diciate nulla. Fatemi salire e conducetemi in qualche luogo dove nessuno mi veda. Non voglio tornare all'ospedale neanche se m'impiccano! Vi assicuro che non ne posso più...- Traditrice della nostra gloriosa Causa! - Lo zoppo dà del cionco allo sciancato! Aiutatemi. Non m'importa dove stavate andando. Ora dovete condurmi a fare una passeggiata.Egli balzò a terra e Rossella pensò che era molto piacevole vedere un uomo non mutilato o pallido per la febbre o giallo per la malaria, ma di aspetto sano e ben nutrito. Era anche vestito elegantemente, e non aveva affatto l'aria preoccupata o turbata come tutti gli altri uomini. Il suo volto bruno era piacente e la sua bocca dalle labbra rosse e ben tagliate, francamente sensuali, sorridevano distrattamente mentre egli l'aiutava a salire in carrozza. I muscoli del suo corpo robusto si disegnavano sotto l'abito fatto da un buon sarto; e, come sempre, la sensazione della sua forza fisica, la colpì, appena gli fu seduta accanto. Da lui emanava una vitalità gagliarda ed elastica, come quella di una pantera che si stirasse al sole, una pantera pronta a balzare e a colpire. - Piccola imbrogliona - disse mentre frustava il cavallo - ballate tutta la notte coi soldati, dando loro rose e nastri e dicendo che sareste pronta a morire per la Causa, e appena si tratta di fasciare quattro feriti e di togliere pochi pidocchi, tagliate la corda! - Non potreste parlare di qualche altra cosa e far correre di più il cavallo? Non ci mancherebbe altro, che il vecchio Merriwether uscisse in questo momento dal suo negozio e poi andasse a dire alla vecc... a sua nuora che mi ha visto!Egli toccò la giumenta con la frusta e quella trottò vivamente lungo la strada dei Cinque Punti e attraversò i binari che tagliavano in due la città. Il treno carico di feriti era già arrivato e i portaferiti lavoravano attivamente a trasportare gli uomini malconci nelle ambulanze e nei carri coperti. Rossella non provò alcun rimorso vedendoli, ma solo un grande sollievo per essere riuscita a sfuggire. - Sono stanca dell'ospedale - riprese rassettandosi le gonne e legandosi meglio il nastro del cappello. E ogni giorno ne arrivano di più. Tutta colpa del generale Johnston. Se avesse tenuto testa agli yankees a Dalton...- Ma gli ha tenuto testa, bambina ignorante. E se avesse insistito a rimanere là, Sherman lo avrebbe aggirato e lo avrebbe schiacciato fra le due ali del suo esercito. Ed egli avrebbe perduto la ferrovia.- Insomma - fece Rossella per cui la strategia militare era arabo. - È sempre colpa sua. Avrebbe dovuto fare qualche cosa e mi pare che farebbero bene a mandarlo via. Perché non continua a combattere, invece di ritirarsi? - Anche voi, come tutti gli altri, chiedete la sua testa perché egli non può fare l'impossibile. A Dalton era Gesù il Salvatore; e alle montagne Kennesaw è Giuda il traditore. Tutto questo in sei settimane. Se riesce a respingere di nuovo gli yankees per venti miglia sarà nuovamente Gesù. Cara bambina, Sherman ha il doppio di uomini, e perciò può perderne due per ognuno dei nostri valorosi ragazzi. Invece Johnston non può perdere un solo uomo; anzi ha bisogno di rinforzi. - E' vero che sarà chiamata la Milizia? e anche la Guardia Nazionale? - Così si dice. Sicuro, i beniamini del governatore Brown probabilmente dovranno andare a sentire l'odore della polvere e la maggior parte di essi sarà molto sorpresa. Il Governatore aveva promesso che non sarebbero andati; quindi si credevano al sicuro. Ma chi avrebbe creduto che la guerra sarebbe arrivata fin qui, e che essi avrebbero dovuto realmente difendere il loro Stato? - Come siete crudele a ridere di tutto questo! Figuratevi i vecchi e i ragazzi della Guardia Nazionale! Dovrà andare anche il piccolo Phil Meade e il nonno Merriwether e anche lo zio Enrico.- Ma io non parlo dei ragazzi né dei veterani della guerra messicana; alludevo ai bravi giovanotti come Guglielmo Guinan che ama portare una bella uniforme e agitare la sciabola...- E voi! - Mia cara, io non porto uniforme e non agito la sciabola; e la fortuna della Confederazione non m'interessa. Non faccio parte della Guardia Nazionale né di nessun esercito. Ne ho avuto abbastanza delle cose militari a West Point... Beh! spero che il Vecchio Joe abbia fortuna. Il generale Lee non può aiutarlo perché ha da fare nella Virginia. Perciò le truppe della Georgia sono l'unico rinforzo che può avere. Ma se fanno tanto da respingerlo dalle montagne e farlo scendere nella pianura di Atlanta ricordatevi le mie parole: sarà un macello.- La pianura di Atlanta? Ma è impossibile che gli yankees vi arrivino.- Kennesaw è soltanto a ventidue miglia, e scommetto...- Guardate là in strada, Rhett! Tutta quella gente! Non sono soldati! Che diamine...? Sono negri! Sulla strada si avanzava una nube di polvere rossa da cui veniva uno scalpiccio di piedi nudi; un centinaio e più di voci negre, rauche e profonde, cantavano un inno. Rhett trasse la carrozza al di là della curva della strada e Rossella guardò curiosamente il gruppo di negri con zappe e picconi sulle spalle, guidati da un ufficiale e accompagnati da un gruppo di uomini che portavano le insegne del corpo del genio. - Che diamine...? - ricominciò. A un tratto i suoi occhi si posarono su un negro che era nella prima fila: un gigante alto quasi un metro e novanta, di un nero d'ebano, che camminava con la grazia flessuosa di una belva; i suoi denti bianchi brillavano mentre cantava "Scendi, o Mosè". Certamente sulla terra non vi era un altro negro così alto e con una voce così forte, eccettuato il grosso Sam, il capolavorante di Tara. Ma che diamine faceva qui il grosso Sam, così lontano da casa, specialmente ora che mancava il sorvegliante ed egli era il braccio destro di Geraldo? Mentre Rossella si sollevava a metà sul sedile della carrozza per vedere meglio, il gigante la scorse e sul suo volto nero si disegnò una smorfia di contentezza. Si fermò, lasciò cadere la sua zappa, e si avviò verso di lei, chiamando i negri più vicini: - Dio onnipotente; Essere Miss Rossella! Guarda, Elia! Profeta! Apostolo! Vedere Miss Rossella! Vi fu confusione nei ranghi.- La folla si fermò incerta, ghignando, e il grosso Sam, seguito da altri tre grandi negri, attraversò di corsa la strada verso la carrozza, seguito dall'ufficiale che gridava. - Tornate in linea! Tornate indietro vi dico, o... Oh, ma è Mrs. Hamilton! Buon giorno, signora; ed anche a voi, signore. Ma che cosa fate? Provocate l'ammutinamento e l'insubordinazione? Dio sa se mi hanno dato poco da fare stamattina, costoro! - Oh, capitano Randall, non li sgridate! Sono i nostri schiavi. Questo è il grosso Sam, il nostro capolavorante. E gli altri sono Elia, Apostolo e Profeta di Tara. È naturale che vengano a salutarmi. Come state, ragazzi?Strinse le mani a tutti; la sua bianca manina scomparve in quelle enormi dei negri, i quali furono pieni di gioia e di orgoglio, mentre spiegavano ai loro compagni che quella era la loro bella signorina. - Ma che cosa fate, così lontano da Tara? Scommetto che siete scappati.Essi risero compiaciuti. Poi il grosso Sam rispose: - Scappati? No, non essere scappati. Loro essere venuti a prenderci perché noi essere i più grandi e più forti di Tara. Avere specialmente cercato me, perché cantare così bene. Sì, Mist' Frank Kennedy essere venuto a prenderci.- Ma perché, grosso Sam? - Come, Miss Rossella! Non avere sentito? Noi dovere scavare trincee per signori bianchi per nascondersi dentro quando venire yankees.Il capitano Randall e i due che erano in carrozza nascosero un sorriso per questa ingenua spiegazione dell'uso delle trincee. - Mister Geraldo non volere lasciarmi andare perché dire che non poter fare senza me, ma la signora Elena avere detto: "Prendere lui, Mister Kennedy; Confederazione avere bisogno di grosso Sam più di noi. E avere dato a me un dollaro e detto di fare tutto quello che ufficiali bianchi ordinare. E noi essere qui.- Che vuol dire tutto questo, capitano Randall? - Oh, molto semplice. Dobbiamo aggiungere alle fortificazioni di Atlanta parecchie miglia di trincee, e il generale non può occupare a questo dei combattenti. Perciò abbiamo cercato nelle campagne i tipi più robusti per fare tutto il lavoro.- Ma...Un freddo principio di spavento strinse il petto di Rossella. Miglia di trincee! Per che cosa potevano servire? L'anno prima era stato costruito un certo numero di ridotte con piazzole per artiglieria tutto intorno ad Atlanta, a un miglio dal centro della città. Questi grandi lavori sotterranei erano collegati con fossati che circondavano completamente la città. - Ma... perché dobbiamo essere fortificati più di quanto siamo già? Certamente il generale non lascerà che...- Le nostre fortificazioni attuali sono soltanto a un miglio dalla città - replicò brevemente il capitano Randall. - E sono troppo vicine per essere comode... o sicure. Queste nuove giungeranno assai più lontano. Un altro ripiegamento condurrebbe i nostri uomini in Atlanta.Rimpianse immediatamente di aver detto queste parole, perché vide gli occhi di lei dilatarsi dal terrore. - Ma certamente non vi sarà un altro ripiegamento - si affrettò a soggiungere. - Le linee attorno a Kennesaw sono inespugnabili. Le batterie sono piantate al sommo delle montagne e dominano le strade; quindi gli yankees non possono in nessun modo attraversarle.Ma Rossella vide che egli abbassava gli occhi dinanzi allo sguardo penetrante di Rhett e fu sgomentata. Ricordò l'osservazione di Butler: "Se riescono a farlo ritirare nella pianura d'Atlanta, sarà un macello". - Ma credete, capitano...- Ma no! Non vi preoccupate. Il Vecchio Joe ritiene giusto prendere delle precauzioni che sono eccessive. Questo il motivo delle nuove trincee... Ma ora dobbiamo andare. Molto lieto di avervi veduta. Salutate la vostra padrona, ragazzi, e andiamo.- Addio, ragazzi. Se state poco bene, o altro, informatemi. Abito in Via dell'Albero di Pesco; quasi l'ultima casa della città. Un momento... - Frugò nella sua reticella. - Dio mio, non ho neanche un quattrino. Per favore, Rhett, datemi qualche spicciolo. Tieni, grosso Sam, compra un po' di tabacco per te e per i tuoi compagni. E siate buoni e ubbidienti col capitano Randall.Il gruppo si riformò, la polvere si levò nuovamente in una nuvola rossa quando essi ripresero a camminare. E la voce del grosso Sam si levò un'altra volta a cantare: "Scendi, Moseeeè! Quaggiù, sulla teeeerra d'Egiiiitto! E di' al vecchio Faraooone di lasciarci andar liiiiberi!" - Rhett, il capitano Randall mi ha mentito, come tutti gli uomini... che cercano di nasconderci la verità per timore dei nostri svenimenti. Se non vi è pericolo, Rhett, perché fanno queste nuove fortificazioni? E l'esercito è così povero d'uomini che occorre servirsi dei negri?Rhett diede la voce alla giumenta. - L'esercito è terribilmente impoverito. Altrimenti, perché verrebbe chiamata la Guardia Nazionale? Quanto alle fortificazioni, possono servire in caso d'assedio. Il generale si prepara a compiere qui la sua ultima ritirata.- Un assedio! Oh, voltate il cavallo. Voglio tornare a casa mia, a Tara, subito subito.- Perché tanta fretta? - Un assedio! Ma ci pensate: un assedio! Dio mio, ne ho sentito parlare... Il babbo ci si è trovato, o forse suo padre, e mi ha raccontato...- Quale assedio? - Quello di Drogheda, quando Cromwell strinse gli irlandesi e questi non avevano nulla da mangiare... Il babbo mi ha detto che morivano di fame per le strade e che finirono col mangiare gatti e topi e perfino scarafaggi... E mi ha detto che prima di arrendersi si mangiarono gli uni con gli altri... ma non so se questo sia vero. Un assedio! Madre di Dio! - Siete la donna più barbaramente ignorante che io abbia conosciuta. L'assedio di Drogheda è stato nel Seicento e qualche cosa, e il signor O'Hara non può esservisi trovato. Del resto, Sherman non è Cromwell.- Ma è peggio! Dicono...- Quanto alle carni strambe mangiate dagli irlandesi... vi assicuro che per conto mio preferirei un topo ben cucinato a certa roba che mi propinano all'albergo. Credo che farò bene a tornare a Richmond. Lì c'è ancora da mangiar bene se si ha denaro per pagarlo.I suoi occhi irridevano lo sgomento dipinto sul volto di lei. Irritata di aver lasciato vedere la propria paura, ella gridò: - Non so davvero perché siate rimasto qui tanto tempo! Non pensate se non a mangiar bene e altre cose del genere! - Trovo che è il miglior modo di passare il tempo: mangiare e... hm, altre cose del genere. Quanto all'essere rimasto qui... ho letto tante descrizioni di assedi, ma non ne ho mai visto nessuno. Non mi dispiacerebbe assistervi. Non ho nulla da temere, non essendo un combattente; e quest'esperienza mi attira. Non bisogna mai trascurare le esperienze, Rossella: esse arricchiscono la mente. E poi rimango per salvarvi quando vi sarà l'assedio. Non ho mai salvato una donna in pericolo. Anche questa sarà un'esperienza interessante.Rossella sentiva che egli la prendeva in giro; ma che nelle sue parole era un fondo di serietà. Crollò la testa, infastidita. - Non ho nessun bisogno che mi salviate. So badare a me stessa, grazie.- Non lo dite, Rossella! Pensatelo, se volete, ma non ditelo mai a un uomo. Questo è il torto delle ragazze yankee, che sarebbero simpaticissime se non dicessero sempre che non hanno bisogno di nessuno. E allora gli uomini lasciano che se la sbroglino da sole.Fu seccatissima, perché nessun insulto poteva esser peggiore che l'essere paragonata a una ragazza yankee. - Come correte! - gli disse quindi gelida. - Mi raccontate delle frottole; sapete benissimo che gli yankees non arriveranno mai ad Atlanta.- Scommetto che saranno qui fra meno di un mese. Scommetto una scatola di dolci contro... - I suoi occhi neri corsero alle rosee labbra di lei. - Contro un bacio.Per un attimo il timore dell'invasione yankee le strinse il cuore, ma la parola "bacio" la distrasse subito. Questo era un terreno conosciuto, assai più interessante delle operazioni militari. Represse a stento un sorriso di trionfo. Dal giorno in cui le aveva regalato il cappello verde, Rhett non aveva mai detto una parola che potesse essere interpretata come quella di un innamorato. E adesso, senza nessun incoraggiamento da parte sua, eccolo che parlava di baci. - Non mi piacciono questi discorsi - replicò con freddezza. - E del resto, preferirei baciare un maiale.- Non si tratta di gusto; e d'altronde ho sempre sentito che gli irlandesi hanno simpatia per i porci. Li tengono perfino sotto al letto. Ma voi, Rossella, avete un tremendo bisogno di baci. Tutti i vostri spasimanti vi hanno rispettata troppo, Dio sa perché!, o hanno avuto paura di comportarsi come bisognava con voi. Il risultato è che vi date delle arie insopportabili. Avete bisogno di esser baciata, e da uno che sa baciare.La conversazione non si svolgeva come Rossella desiderava; cosa che le accadeva sovente con lui. - E probabilmente credete di esser voi la persona adatta? - gli chiese con sarcasmo, dominandosi a stento. - Senza dubbio, se volessi prendermi la pena... Dicono che so baciare molto bene.- Oh... - cominciò indignata nel sentire così messo in non cale il suo fascino. Ma abbassò gli occhi confusa, vedendo nella profondità dei suoi occhi, malgrado il sorriso irridente, una fiammella che si spense subito. - Probabilmente, vi sarete chiesta perché non ho dato alcun seguito a quel casto bacetto che vi diedi, il giorno in cui vi portai il cappello...- Non ho mai...- Vuol dire che non siete sensibile, Rossella; e questo mi dispiace. Tutte le ragazze sensibili si stupiscono se un uomo non tenta di baciarle. Sanno che non dovrebbero desiderarlo e che dovrebbero sentirsi insultate se un uomo lo facesse... ma lo desiderano ugualmente. Fatevi coraggio, cara. Un giorno o l'altro vi bacerò e la cosa vi piacerà. Ma adesso no; perciò vi prego di non essere impaziente. Come sempre, il suo scherno la rendeva furente. Vi era sempre troppa verità in quello che egli diceva. Ma questo era troppo. Gli darebbe una buona lezione, il giorno in cui fosse tanto villano da tentare di prendersi qualche libertà! - Volete aver la bontà di voltare il cavallo, capitano Butler? Desidero tornare all'ospedale.- Davvero, bell'angelo assistente? Pidocchi e catini di sangue sono preferibili alla mia conversazione? Lungi da me impedire a due mani volenterose di lavorare per la Nostra Causa Gloriosa! - Voltò il cavallo questo riprese il cammino verso i Cinque Punti. - Quanto al fatto di non aver mosso più alcun passo - riprese come se ella non gli avesse fatto comprendere che la conversazione era terminata - vi dirò che aspettavo che foste un po' più donna. Sono egoista, nei miei piaceri; e non ho mai amato baciare le bambine. Accennò a un sogghigno, vedendo con la coda dell'occhio il seno di lei che ansimava di collera silenziosa. - E poi - continuò dolcemente - aspettavo che il ricordo dello stimabile Ashley Wilkes impallidisse alquanto.All'udire il nome di Wilkes, una pena improvvisa le strinse il cuore, mentre le lagrime le pungevano gli occhi. Impallidire, il ricordo di Ashley? Neanche se fosse morto da mille anni. Pensò al giovine ferito, moribondo in una lontana prigione yankee, senza un cencio per coprirsi, senza una persona amata che gli tenesse la mano, e fu piena di odio verso l'uomo ben pasciuto che le sedeva accanto e che le parlava con un leggero sarcasmo nella voce strascicata. Era troppo adirata per parlare, sicché continuarono per un poco a procedere in silenzio. - Ora ho ricostruito tutto sul conto vostro e di Ashley - riprese Rhett dopo un certo tempo. - Ho cominciato quando avete fatto quella volgare scenata alle Dodici Querce; e da quel giorno ho appreso molte cose tenendo gli occhi aperti. Quali cose? Per esempio, che voi nutrite ancora per lui una romantica passione da scolaretta, che egli ricambia nei limiti che la sua natura di uomo onesto gli permette. E che la signora Wilkes non ne sa nulla; fra tutti e due, le avete fatto un bello scherzo. Ho capito tutto, meno una cosa che punge la mia curiosità. L'ineffabile Ashley ha mai compromesso la sua anima immortale baciandovi? Un silenzio e un gesto del capo che si volgeva altrove furono la risposta. - Bene; dunque vi ha baciata. Immagino che sia stato quando fu qui in licenza. E ora che probabilmente è morto, voi circondate di un culto quel ricordo. Ma sono certo che finirete col dimenticarlo e allora...Ella si volse come una furia. - Allora... andate al diavolo! - E i suoi occhi verdi brillavano di collera. - E fatemi scendere da questa carrozza prima che io mi getti a terra. E non voglio che mi rivolgiate la parola mai più! Egli fermò la carrozza; ma prima che potesse scendere per aiutarla, ella era balzata a terra. L'abito le si impigliò nella ruota, e per un attimo la folla dei Cinque Punti ebbe una rapida visione di sottovesti e mutandine. Ma Rhett si chinò e la liberò con sveltezza. Ella sfuggì senza una parola, senza neanche voltarsi indietro; l'uomo rise piano e diede la voce al cavallo. 18 Per la prima volta, dal principio della guerra, Atlanta udiva la voce della battaglia. La mattina di buon'ora, prima che si destassero i rumori della città, il cannone di Kennesaw brontolava debolmente, lontano; un rombo che poteva sembrare quello di un tuono. A quando a quando era più forte, tanto da udirsi al disopra del traffico pomeridiano. La gente cercava di non ascoltarlo, cercava di parlare, di ridere, di continuare ad occuparsi delle proprie faccende, come se gli yankees non fossero a ventidue miglia; ma involontariamente le orecchie percepivano il suono. La città aveva un aspetto preoccupato, perché qualunque cosa si facesse, le orecchie ascoltavano, ascoltavano e i cuori sobbalzavano cento volte al giorno. Era più forte il rombo? O era una loro impressione? Riuscirebbe, questa volta, il generale Johnston? Il panico cominciava ad apparire; i nervi che, dall'inizio del ripiegamento si tendevano ogni giorno di più, si andavano rilasciando. Nessuno parlava di possibili timori: era un soggetto tabù; ma il nervosismo trovava un certo sollievo nel criticare il generale. Sherman era alle porte di Atlanta. Un'altra ritirata porterebbe i confederati in città. Dateci un generale che non ripieghi! Dateci un generale che resista e combatta! Col lontano brontolio del cannone nelle orecchie, la Guardia Nazionale e la Milizia di Stato, i "Beniamini di Joe Brown", marciavano fuori di Atlanta, per difendere i ponti del fiume Chattahoochee alle spalle di Johnston. Era una giornata grigia e cupa; e mentre le truppe marciavano lungo i Cinque Punti avviandosi per la strada di Marietta, cominciò a cadere la pioggia. Tutta la città era in istrada, per assistere a quella partenza: la folla si stringeva sotto gli architravi delle botteghe della Via dell'Albero di Pesco e cercava di salutare gaiamente i partenti. Rossella e Maribella Merriwether Picard avevano avuto il permesso di lasciare l'ospedale per assistere alla sfilata, perché lo zio Enrico Hamilton e il nonno Merriwether facevano parte della Guardia Nazionale; strette nella folla accanto alla signora Meade, cercavano di rizzarsi in punta di piedi per veder meglio. Rossella, benché dominata dallo stesso desiderio che avevano tutti i cittadini di credere le cose più rassicuranti, provò un freddo al cuore vedendo sfilare quegli uomini. La situazione doveva essere disperata, se venivano chiamati quei vecchi e quei ragazzi! La vista di questi, insieme a giovani abili e benportanti, le stringeva il cuore di pietà e di terrore. Vi erano uomini con la barba grigia, più vecchi di suo padre, che cercavano di marciare baldanzosamente sotto la pioggia, al ritmo dei pifferi e al rullo dei tamburi. Il nonno Merriwether, che era in prima fila e aveva sulle spalle il migliore scialle di sua nuora per ripararsi dalla pioggia, salutò le ragazze con un sorriso. Esse agitarono i fazzoletti; ma Maribella, afferrando il braccio di Rossella, sussurrò: - Povero vecchio! Se prende un acquazzone... con la sua lombaggine...Zio Enrico Hamilton marciava subito dietro al vecchio, col colletto del suo vestito nero rialzato a riparargli le orecchie, due pistole messicane nella cintura e un piccolo sacco da viaggio in mano. Dietro a lui era il suo servo negro, quasi della stessa età, con un ombrello aperto a riparare entrambi. Spalla a spalla coi più anziani venivano i ragazzi; nessuno di loro mostrava più di sedici anni. Parecchi avevano lasciato i banchi della scuola per raggiungere l'esercito; qua e là erano gruppi di allievi delle scuole militari in uniforme, col pennacchietto di penne di gallo bagnato di pioggia e le strisce di tela bianca incrociate sul petto. Fra loro era Phil Meade, che portava fieramente la sciabola e le pistole del fratello morto, col cappello spavaldamente inclinato. La signora Meade cercò di sorridere e fargli cenni di saluto finché fu passato; poi appoggiò la testa sulla spalla di Rossella come se le forze l'avessero improvvisamente abbandonata. Molti erano completamente disarmati: la Confederazione non aveva più fucili né munizioni. Questi uomini speravano di provvedersi di armi togliendole agli yankees uccisi o prigionieri. Parecchi portavano dei pugnali infilati negli stivali, e in mano lunghe aste di ferro appuntite. I più fortunati avevano dei vecchi moschetti appoggiati alla spalla e fiaschette di polvere alla cintura. “Johnston ha perduto diecimila uomini nella sua ritirata; ha quindi bisogno di altrettanti uomini freschi. Ed ecco che cosa gli giunge!" pensò Rossella terrorizzata. Al passaggio dell'artiglieria che spruzzava di fango la folla ammassata, l'occhio di Rossella fu colpito da un negro che cavalcava un mulo di fianco a un cannone. Era un giovinotto color sabbia e Rossella vedendolo esclamò: - Ma è Mosè! L'ordinanza di Ashley! Che cosa fa qui? - Si aperse un varco tra la folla e gridò: - Mosè! Fermati! Il giovane negro, vedendola, tirò le redini, sorrise contento e fece per scendere dal mulo. Ma un sergente che cavalcava dietro a lui urlò: - Non ti muovere dalla sella, altrimenti guai a te! Ti faccio vedere io...Incerto, Mosè volse lo sguardo dal sergente a Rossella; questa, incurante della mota e della vicinanza delle ruote, giunse ad afferrare la staffa di Mosè. - Solo un momento, sergente! Non scendere, Mosè. Che diamine fai qui? - Andare di nuovo alla guerra, Miss Rossella. Questa volta con vecchio Mist' John invece che con Mist' Ashley. - Mister Wilkes! - Rossella rimase sbalordita; il signor Wilkes aveva quasi settant'anni. - Dov'è? - Dietro, con ultimo cannone. Là, in fondo.- Scusate, signora. Avanti, ragazzo! Rossella rimase immobile, col fango sino alla caviglia, mentre i cannoni passavano. "No!" pensò. "E' impossibile. È troppo vecchio. E non ama la guerra, come Ashley!" Si ritrasse di qualche passo, verso il marciapiede e scrutò i volti di quelli che passavano. Accanto all'ultimo cannone lo vide, magro, dritto, coi lunghi capelli d'argento sul collo, a cavallo di una piccola giumenta baia, che zampettava tra il fango come una signora in abito di raso. "Ma è Nellie! La cavalla della signora Tarleton! La prediletta di Beatrice, rossa come lei!" Vedendola, il signor Wilkes tirò le redini con un sorriso di contentezza e scese a terra movendole incontro. - Speravo di venire da voi, Rossella. Debbo dirvi tante cose da parte dei vostri. Ma non ho avuto tempo. Siamo arrivati stamattina, e come vedete proseguiamo subito. - Oh, non andate, Mister Wilkes - gridò Rossella disperatamente tendendo le braccia. - Perché dovete andare? - Vi sembro troppo vecchio? - E sorrise con lo stesso sorriso di Ashley. - Forse per marciare; ma non per cavalcare e per sparare. E la signora Tarleton è stata tanto buona da prestarmi Nellie... spero non le capiti nulla, altrimenti non avrei più il coraggio di guardarla in faccia! Nellie era l'ultimo cavallo rimastole! -Rideva; e Rossella sentì svanire i suoi terrori. - Vostra madre e il babbo e le sorelle stanno bene e vi mandano tutte le loro tenerezze. Vostro padre stava per venire con noi! - Oh no, non il babbo! - esclamò la giovine, terrorizzata. - No! Non vorrà andare alla guerra?! - Voleva. Non può camminare, col suo ginocchio rigido; ma voleva venire a cavallo. Vostra madre ha acconsentito, purché egli riuscisse a saltare la barriera del pascolo; vostro padre ha creduto che fosse cosa facile ma... lo credereste? Il cavallo, arrivato alla barriera, si fermò bruscamente e vostro padre gli filò per le orecchie. Non so come non si è rotto il collo! Con la sua consueta ostinazione, volle ritentare. La terza volta Mrs. O'Hara e Pork dovettero aiutarlo a mettersi a letto. Era furibondo e diceva che vostra madre doveva essersi messa d'accordo col cavallo! Del resto, non c'è da vergognarsi. E bisogna bene che qualcuno rimanga a casa, altrimenti chi procura la farina per le truppe? Rossella non provava alcuna vergogna; soltanto un senso di profondo sollievo. - Ho mandato Lydia e Gioia dai Burr, a Macon - proseguì il vecchio Wilkes - e Geraldo si occuperà delle Dodici Querce come di Tara... Debbo andare, figliuola. Lasciate che baci il vostro bel visino. Rossella ricambiò il bacio con un dolore acuto che le stringeva la gola. Voleva molto bene al signor Wilkes; e una volta, tanto tempo fa, aveva sperato di diventare sua nuora. - E date questo bacio per me a Zia Pitty e quest'altro a Melania. Come sta, la cara Melly? - Sta bene.- Ah! - I suoi occhi grigi la fissarono, ma come se guardasse al di là, nella stessa maniera che aveva guardato Ashley. - Mi sarebbe piaciuto vedere il mio primo nipotino... Addio, mia cara.Balzò su Nellie e si avviò, tenendo il cappello in mano, coi capelli d'argento esposti alla pioggia. Rossella aveva raggiunto Maribella e la signora Meade prima di aver compreso la portata di quelle ultime parole. Ma improvvisamente l'afferrò, con un superstizioso terrore, e tentò di pregare. Aveva parlato di morte! E mentre le tre donne tornavano all'ospedale sotto la pioggia Rossella non fece che pregare silenziosamente. “Non fate morire anche lui, Dio onnipotente, anche lui oltre ad Ashley!” Le giornate piovose di giugno passarono per dar luogo ad un luglio cattivo. I confederati, battendosi disperatamente attorno alle alture fortificate, riuscivano a tenere ancora Sherman in scacco; sicché una selvaggia gaiezza si impadronì di Atlanta. La speranza dava alla testa come lo champagne. Urrà! Urrà! Li teniamo a bada! Fu un'epidemia di balli e di ricevimenti. Ogni volta che qualche gruppo di uomini veniva dal campo di battaglia in città, si organizzavano pranzi in loro onore, seguiti da danze; le ragazze, che erano dieci per ogni uomo, facevano a gara per poter ballare con loro. Atlanta era affollata di visitatori, profughi, famiglie di feriti, madri e mogli di combattenti. Rossella era occupatissima, fra il servizio ospedaliero e i divertimenti. A differenza della altre signore, che portavano abiti rivoltati e scarpe rattoppate ella era sempre elegantissima, grazie al materiale che Rhett Butler le aveva portato dal suo ultimo viaggio. Nelle calde notti estive le case di Atlanta erano aperte ai soldati, difensori della città. Suoni di banjo e di violini venivano dalle finestre illuminate, insieme a scalpiccii e a risate che l'aria notturna portava lontano. Attorno ai pianoforti erano gruppi numerosi che cantavano allegramente le tristi parole di "La tua lettera giunse, ma troppo tardi", mentre i giovani valorosi rivolgevano alle fanciulle ridenti dietro ai ventagli di penne di tacchino sguardi che chiedevano di non aspettare che fosse troppo tardi. E nessuna delle fanciulle aspettava, se poteva. I matrimoni erano affrettati; matrimoni con la sposa che arrossiva negli ornamenti presi frettolosamente in prestito, e lo sposo la cui sciabola batteva sui calzoni rattoppati. Quanta eccitazione! Urrà! Johnson teneva in scacco gli yankees a ventidue miglia dalla città! Sì; le linee attorno alle montagne di Kennesaw erano inespugnabili. Dopo venticinque giorni di battaglia, perfino il generale Sherman se ne era convinto, poiché le sue perdite erano enormi. Invece di continuare l'attacco diretto, egli allargò nuovamente il suo esercito in un cerchio e cercò di giungere tra i confederati e Atlanta. Questa strategia fu efficace ancora una volta. Johnson fu costretto ad abbandonare le alture per proteggersi le spalle. Aveva perduto un terzo dei suoi uomini, e il rimanente si trascinava stanco sotto la pioggia, verso il fiume Chattahoochee. Non aspettavano altri rinforzi, mentre la ferrovia, in mano degli yankees dal basso Tennessee al campo di battaglia, portava a Sherman ogni giorno truppe fresche e rifornimenti. Attraverso i campi ridotti paludi di fango, i grigi indietreggiavano verso Atlanta. Con la perdita delle posizioni ritenute inespugnabili, una nuova ondata di terrore si impadronì della città. Si sperava che almeno il generale riuscisse a fermare gli yankees sulla riva opposta del fiume, benché questo fosse abbastanza vicino: soltanto a sette miglia! Ma Sherman valicò il fiume a monte e le file dei grigi furono costrette ad attraversare l'acqua gialla e a gettarsi di nuovo tra gli invasori e Atlanta. Ripararono in trincee frettolosamente scavate a nord della città, nella valletta del Fiumicello del Pesco. Atlanta era angosciata dallo spavento. Combattere e ripiegare! Combattere e ripiegare! E ogni ritirata portava gli yankees più vicini alla città. Il Fiumicello del Pesco era solo a cinque miglia. Ma che cosa aveva in mente il generale? Il grido "Dateci un uomo che resista e combatta!" penetrò fino a Richmond. Richmond sapeva che Atlanta era perduta, la guerra perduta; e dopo che l'esercito ebbe attraversato il fiume Chattahoochee, il generale Johnston fu esonerato dal comando. Questo fu affidato al generale Hood, uno dei suoi comandanti, e la città respirò sollevata. Hood, quel gigante del Kentucky con la barba fluttuante e gli occhi ardenti, non avrebbe indietreggiato! Aveva la reputazione di un bulldog. E certo riporterebbe l'esercito sulle antiche posizioni e da queste sulla strada che andava a Dalton. Ma l'esercito gridò: "Ridateci il Vecchio Joe!" perché con lui aveva fatto tutta la tremenda ritirata ed essi sapevano gli ostacoli che avevano superati e che i borghesi ignoravano. Sherman non attese che Hood si preparasse all'attacco. L'indomani del mutamento di comando, il generale yankee piombò velocemente sulla cittadina di Decatur, a sei miglia al disotto di Atlanta, se ne impadronì e tagliò la strada ferrata. Era quella che collegava Atlanta con Augusta, Charleston, Wilmington e con la Virginia. Il colpo inferto alla Confederazione era violento. Ora Atlanta gridava il suo desiderio di agire; era tempo! E in un pomeriggio di luglio, con un caldo soffocante, Atlanta realizzò il proprio desiderio. Il generale Hood fece più che resistere: egli assalì gli yankees al Fiumicello del Pesco, lanciando i suoi uomini fuori dalle trincee verso le linee turchine dove i soldati di Sherman erano il doppio di loro. Sgomenti, pregando Dio che l'attacco di Hood fosse efficace, tutti ascoltavano il rombo del cannone e il crepitio delle migliaia di fucili che, benché lontani dieci miglia, sembrava sparassero nella strada accanto. Vedevano il fumo fermarsi come nuvole pesanti al di sopra degli alberi; ma per parecchie ore nessuno seppe l'esito della battaglia. Sul tardo pomeriggio vennero le prime notizie, incerte, contraddittorie, spaventose. Erano recate dagli uomini feriti nelle prime ore, che giungevano a gruppi, i meno gravi sorreggendo quelli che stentavano a muoversi. In breve fu un'affluenza di individui doloranti che si avviavano agli ospedali, coi visi neri di polvere da sparo, sudore e polvere della strada, con le ferite non fasciate, perdenti sangue, accompagnati da sciami di mosche. Quella della zia Pitty era una delle prime case a cui i disgraziati giungevano; uno dopo l'altro si afferravano al cancello e cadevano sul prato gemendo: - Acqua! Tutto il pomeriggio la famiglia di Pitty, bianchi e negri, rimase al sole, con secchi d'acqua e bende, a porger da bere, a fasciare ferite, finché non ebbero più bende; e anche le lenzuola tagliate a strisce e gli asciugamani furono esauriti. Zia Pitty aveva completamente dimenticato che la vista del sangue la faceva svenire e lavorò finché i suoi piedini nelle scarpe troppo strette si gonfiarono e rifiutarono di continuare a sorreggerla. Perfino Melania, ormai grossa, dimenticò la sua pudicizia e lavorò febbrilmente accanto a Rossella, Prissy e la cuoca, col viso angosciato come quello dei feriti. Quando finalmente svenne, non si seppe dove coricarla, se non sulla tavola di cucina, perché ogni letto, divano, poltrona della casa era occupato da qualche ferito. Dimenticato in quella confusione, il piccolo Wade, afferrato alla ringhiera della scala, guardava attraverso le sbarre come un coniglio spaventato, succhiandosi un dito e singhiozzando con gli occhi dilatati dal terrore. Una volta Rossella lo vide e gridò aspramente: - Vai a giocare nel cortile di dietro, Wade! - Ma il bimbo era troppo affascinato e terrificato dalla scena spaventosa, che si svolgeva dinanzi ai suoi occhi, per ubbidire. Il prato era coperto di uomini abbattuti, troppo stanchi per camminare ancora, troppo indeboliti dal sangue perduto per potersi muovere. Zio Pietro li caricava a gruppi nella carrozza per portarli all'ospedale, facendo un viaggio dopo l'altro senza interruzione; finché il vecchio cavallo fu coperto di schiuma. La signora Meade e la signora Merriwether mandarono le loro carrozze e anche queste furono caricate, con le molle che cigolavano sotto il peso dei feriti. Più tardi, nel caldo crepuscolo, giunsero dal campo di battaglia le ambulanze rumoreggianti e i carri dei commissariati, coperti di tele inzaccherate. E poi carri agricoli, carri tirati da buoi e perfino carrozze private requisite dal Corpo sanitario. Essi passarono dinanzi alla casa di zia Pitty, traballando sulla strada ineguale, carichi di feriti e di morti, lasciando strisce di sangue sulla polvere rossastra. Alla vista delle donne coi secchi e i mastelli, i veicoli si fermavano, ed era un coro misto di grida e di sussurri: - Acqua! - Rossella sorreggeva teste abbandonate, perché le labbra aride potessero bere, versava secchi d'acqua su corpi impolverati, febbrilmente, nelle ferite aperte per procurare un attimo di sollievo ai disgraziati. Si avvicinava coi secchielli in mano ai conducenti delle ambulanze e chiedeva col cuore in gola: - Che notizie? Che notizie? E da tutti aveva la stessa risposta: - Niente di certo, signora. È troppo presto per poter dire qualche cosa. Giunse la notte soffocante. Non un soffio d'aria; le fiaccole di pino tenute dai negri rendevano l'atmosfera ancora più calda. La polvere ostruiva le narici di Rossella e inaridiva le sue labbra. Il suo abito di calicò color lavanda, così ben stirato e inamidato la mattina, era macchiato di sangue, di sudore e di sudiciume. Ecco ciò che intendeva dire Ashley quando scriveva che la guerra non era che sudiciume e miseria. La stanchezza dava alla scena un aspetto irreale, fantomatico. Non poteva esser vero... perché se fosse stato vero, il mondo doveva essere impazzito. Altrimenti, perché ella si troverebbe qui, nel tranquillo prato dinanzi alla casa di zia Pitty, in mezzo a luci oscillanti, a versar acqua sui suoi spasimanti moribondi? Infatti molti dei feriti le avevano fatto la corte e vedendola cercavano di sorridere. Vi erano tanti uomini che vacillavano su quella strada buia e polverosa, uomini che ella conosceva bene e che morivano sotto i suoi occhi, coi volti insanguinati coperti di zanzare, uomini coi quali aveva riso, ballato, per i quali aveva suonato e cantato e che aveva stuzzicato, confortato anche... amato un pochino. Trovò Carey Ashburn fra un mucchio di feriti in un carro da buoi, ancora vivo benché avesse una pallottola da fucile nel capo. Ma non poteva trarlo dal carro senza disturbare altri sei feriti, quindi lo lasciò andare all'ospedale. Più tardi seppe che era morto prima ancora di esser veduto da un dottore, e che era stato sepolto non si sapeva precisamente dove. Ne erano stati sepolti tanti in quel mese, nelle tombe scavate frettolosamente nel cimitero di Oakland. Melania fu molto addolorata per non aver potuto tagliare una ciocca di capelli di Carey da mandare a sua madre ad Alabama. La notte trascorse; Pitty e Rossella avevano la schiena indolenzita e le ginocchia che si piegavano per la stanchezza, ma continuavano instancabilmente a chiedere: - Che notizie? Che notizie? E dopo lunghe ore ebbero risposta: una risposta spaventosa. - Stiamo indietreggiando. - - Ci ritiriamo. - - Sono migliaia e migliaia più di noi. - - Gli yankees hanno tagliato la strada alla cavalleria vicino a Decatur. - - Bisognava mandar dei rinforzi. - - Tutti i nostri saranno fra poco in città. Rossella e Pitty erano attaccate l'una al braccio dell'altra sorreggendosi a vicenda. - Stanno... vengono... gli yankees? - Sì, signora, vengono; ma non c'è d'aver paura. - - Non abbiate paura, Miss, non possono prendere Atlanta. - - No, signora, abbiamo costruito troppe fortificazioni intorno alla città. - - Ho sentito il Vecchio Joe dirmi personalmente: posso tenere Atlanta indefinitamente. - - Sì, se ci fosse il Vecchio Joe. Ma...- - Sta' zitto, imbecille! Che bisogno hai di spaventare le signore? - - Gli yankees non potranno mai conquistare Atlanta. - - Ma perché non andate a Macon o in qualche altro posto? Non avete parenti? - Gli yankees non possono prendere Atlanta; ma certo sarebbe meglio che le donne non rimanessero qui, sia pure per assistere al tentativo.L'indomani, in una giornata soffocante e piovosa, l'esercito sconfitto affluì ad Atlanta: migliaia di uomini esauriti dalla fame e dalla debolezza, demoralizzati da 70 giorni di battaglie e di ritirate, coi cavalli macilenti e spauriti, i cannoni e i cassoni tenuti insieme da pezzi di corda e strisce di vecchio cuoio. Ma non venivano col disordine di un esercito in rotta. Marciavano in buon ordine, malgrado i loro stracci, con le rosse e lacere bandiere di battaglia sventolanti sotto la pioggia. Avevano imparato a ripiegare col Vecchio Joe, il quale aveva fatto della ritirata un elemento strategico come un'avanzata. Le file di uomini barbuti e laceri percorsero la via dell'Albero di Pesco, cantando: "Maryland! O mia Maryland!"; e tutta la città venne fuori a salutarli. Vincitori o sconfitti erano i suoi soldati. La Milizia di Stato, che era andata in campo poco tempo prima, splendente nelle sue nuove uniformi, si distingueva a malapena dalle truppe stagionate, tanto i suoi componenti erano in disordine. Nei loro occhi era una nuova espressione. I tre anni, durante i quali non avevano fatto che giustificarsi, spiegando la loro assenza dal fronte, erano ormai dietro di loro. Essi avevano abbandonato la sicurezza delle retrovie per i pericoli della battaglia; molti di loro avevano lasciato una vita facile per una morte dolorosa. Ora erano dei veterani, veterani di un servizio breve, ma veterani ugualmente per la maniera in cui s'erano comportati. E cercavano nella folla i volti degli amici, fissandoli con fierezza. Adesso potevano tenere la fronte alta. I vecchi e i ragazzi della Guardia Nazionale marciavano: i primi muovendo a stento il passo, e i secondi col volto di bimbi stanchi che avevano troppo presto conosciuto le tristezze della vita. Rossella scorse Phil Meade e stentò a riconoscere il suo volto nero di polvere e di sudiciume, irrigidito dallo sforzo e dalla stanchezza. Zio Enrico si avanzava zoppicando, senza cappello sotto la pioggia, col capo riparato alla meglio da un pezzo di tela impermeabile. Il nonno Merriwether era in un carro d'artiglieria coi piedi nudi avvolti in ritagli di coperte. Ma per quanto guardasse non riuscì a scorgere John Wilkes. I veterani di Jonhson, però, camminavano col passo instancabile che avevano avuto per tre anni, ed avevano ancora la forza di sorridere alle belle ragazze e di insolentire gli uomini senza uniforme. S'avviavano alle trincee che circondavano la città; non fossati scavati in fretta, ma trincee costruite in piena regola, con parapetti all'altezza del petto, rinforzati con sacchi di terra e travi di legno. Erano miglia e miglia di solchi purpurei, che attendevano gli uomini che dovevano riempirli. La folla salutava le truppe come le avrebbe salutate se fossero state vittoriose. In ogni cuore era la paura; ma ora che si conosceva la verità, ora che il peggio era accaduto, ora che la guerra era tra loro, un mutamento sopravvenne. Non vi era più panico né isterismo. Ciò che era nel cuore non si leggeva sul volto. Ciascuno cercava di mostrarsi coraggioso e fiducioso dinanzi ai soldati. E tutti ripetevano ciò che il Vecchio Joe aveva detto proprio prima di essere esonerato dal comando: "Terrò Atlanta indefinitamente." Ora che Hood si era dovuto ritirare, molti desideravano, come i soldati, il ritorno del Vecchio Joe; ma non osavano dirlo e si limitavano a ripetere la sua frase: "Conserverò Atlanta indefinitamente!" La tattica prudente del generale Johnston non era quella di Hood; questi assalì gli yankees a est e li assalì a ovest. Sherman stava accerchiando la città come un atleta che cerca il punto debole nel corpo dell'avversario; e Hood non rimase nelle sue trincee ad aspettare l'attacco. Uscì temerariamente ad incontrare il nemico e gli piombò sopra con violenza. In pochi giorni furono combattute le battaglie di Atlanta e di Ezra Church, ed entrambe furono di un'importanza che fece apparire quella dell'Albero di Pesco come una scaramuccia. Ma gli yankees non sembravano disposti a indietreggiare. Avevano sofferto enormi perdite, ma non cedevano. Le loro batterie lanciavano proiettili nell'interno della città, uccidendo persone nelle case, scoperchiando tetti, scavando buche nelle strade. I cittadini si ripararono alla meglio nelle cantine e nei sotterranei. Atlanta era in pieno assedio. Undici giorni dopo di aver assunto il comando, il generale Hood aveva perso quasi tanti uomini quanti ne aveva perduto Johnston in 74 giorni di battaglie e di ritirata, e Atlanta era investita da tre lati. La ferrovia da Atlanta a Tennessee era adesso completamente nelle mani di Sherman. L'unica ferrovia ancora aperta era quella che giungeva a Macon e Savannah. La città era affollata di soldati, rigurgitante di feriti, invasa da profughi; e quell'unica linea ferroviaria era inadeguata ai suoi bisogni. Ma finché era possibile difendere quella linea, Atlanta poteva resistere. Rossella fu terrorizzata quando comprese come quella linea era importante e come Sherman avrebbe combattuto per impadronirsene, e come Hood l'avrebbe disperatamente difesa. Questa era la ferrovia che raggiungeva la Contea passando per Jonesboro. E Tara era soltanto a cinque miglia da Jonesboro! Tara che le era sembrata dover essere un divino rifugio a confronto dell'ardente inferno di Atlanta, Tara era solo a cinque miglia da Jonesboro. Rossella e molte altre signore erano sui tetti dei magazzini, riparate dai loro leggeri parasoli, ad osservare la battaglia. Ma quando qualche proiettile cadde nelle strade, esse fuggirono nelle cantine; e quella notte cominciò l'esodo delle donne, dei bambini e dei vecchi dalla città. Macon era la loro destinazione; e molti di quelli che presero il treno quella sera erano già fuggiti cinque o sei volte, da quando Johnston aveva cominciato a ripiegare. Ora viaggiavano con meno bagaglio di quando erano arrivati ad Atlanta. Parecchi non portavano se non una sacca da viaggio e un po' di viveri in un fardelletto. Qua e là servi spaventati portavano bricchi d'argento, posate e qualche ritratto di famiglia che era stato salvato nella prima fuga. Le signore Merriwether e Elsing rifiutarono di partire. C'era bisogno di loro all'ospedale; e inoltre esse dicevano fieramente che non avevano paura e che nessun yankee le avrebbe scacciate dalle loro case. Ma Maribella e il suo piccino, insieme a Fanny Elsing, andarono a Macon. La signora Meade fu disubbidiente per prima volta in vita sua e rifiutò di prendere, secondo l'ordine di suo marito, il treno che l'avrebbe portata in salvo. Disse che il dottore aveva bisogno di lei; e poi Phil era in trincea, ed ella voleva esser vicina, in caso... Ma la signora Whiting e molte altre signore del circolo di Rossella partirono. Zia Pitty, che era stata la prima ad accusare il Vecchio Joe per la sua politica di ripiegamento, fu anche tra le prime a fare i bauli. I suoi nervi - disse - erano delicati ed ella non poteva fuggire in cantina. Quindi andrebbe a Macon, dalla sua vecchia cugina, la signora Burr, e le ragazze andrebbero con lei. Rossella non desiderava affatto andare a Macon. Per quanto avesse paura delle cannonate, preferiva rimanere ad Atlanta, perché detestava cordialmente la vecchia Burr. Quindi disse che sarebbe andata a Tara, mentre Melly poteva andare a Macon con la zia. A questa proposta Melania cominciò a piangere in modo da spezzare il cuore. Quando Zia Pitty corse a chiamare il dottore, Melania prese fra le sue le mani di Rossella, supplicandola: - No, non puoi andare a Tara e lasciarmi! Sarò tanto sola senza di te! Morirei se tu non fossi con me quando... quando arriverà il bambino. Sì, sì, so che c'è zia Pitty, che è tanto cara... Ma lei non ha mai avuto bambini... E poi, certe volte mi dà ai nervi... Non mi lasciare! Sei stata una sorella per me e poi...e sorrise debolmente - hai promesso ad Ashley di aver cura di me. Mi disse che te lo avrebbe chiesto.Rossella la fissò stupita. Come poteva Melania voler tanto bene a chi stentava a dissimulare la sua antipatia per lei? E come poteva essere tanto stupida da non indovinare il segreto del suo amore per Ashley? Si era tradita tante volte, in quegli ultimi mesi di tormento! Ma Melania non poteva veder nulla di male nelle persone a cui voleva bene... Sì, aveva promesso di aver cura di Melania... E forse Ashley era morto; ma l'impegno che aveva preso la obbligava... - Va bene - disse brevemente - ho promesso e manterrò la mia promessa. Ma non voglio andare a Macon. Piuttosto verrai tu a Tara. Alla mamma farà piacere averti in casa.- Oh sì! È tanto cara, la tua mamma. Ma la zia morirebbe al pensiero di non essere accanto a me quando nascerà il bambino; e so che non vuole andare a Tara. È troppo vicina ai luoghi dove si combatte...Il dottor Meade, che era accorso all'urgente chiamata di Pitty aspettandosi di trovarsi di fronte a un parto prematuro, fu indignato; e udendo le ragioni di quello scompiglio, non nascose il suo pensiero. - Non c'è neanche da pensare, per voi, di andare a Macon, Melly. Non rispondo di voi se vi muovete. I treni sono rigurgitanti; e ci si può aspettare di esser pregati di scendere in mezzo ai boschi, se un treno occorre per trasporto di feriti. Nelle vostre condizioni...- Ma se andassi a Tara con Rossella...- Vi ho detto che non vi dovete muovere. Il treno di Tara è lo stesso treno di Macon. E poi, nessuno sa precisamente dove sono gli yankees... Il treno potrebbe anche essere catturato. E se anche arrivaste bene a Jonesboro, vi sono poi cinque miglia in carrozza per arrivare a Tara. Aggiungete che nella Contea non c'è neanche un medico, perché anche il vecchio dottor Fontaine ha raggiunto l'esercito.- Ma ci sono le levatrici...- Ho detto un medico - ribatté bruscamente il dottore; e involontariamente i suoi occhi corsero alla sua figuretta sottile. - Non voglio che vi muoviate. Non credo che desideriate di partorire in treno o in carrozzino, credo? La franchezza del sanitario costrinse le donne ad arrossire e a tacere imbarazzate. - Rimanete tranquilla qui, dove io posso sorvegliarvi; e state a letto. Inutile correre su e giù per le cantine. No, neanche se i proiettili entrano dalle finestre. Dopo tutto, pensate che fra breve gli yankees saranno battuti... Dunque, miss Pitty, voi andate a Macon e lasciate qui le giovani signore.- Sole? - gridò Pitty inorridita. - Ci sono tante donne anziane. E mia moglie abita a due passi. Del resto, con miss Melly in quelle condizioni, non credo che riceveranno visite di uomini. Dio mio, miss Pitty! È tempo di guerra. Non si può badare tanto alle convenienze. Uscì dalla stanza e discese, fermandosi nel porticato ad attendere che Rossella lo raggiungesse. - Vi parlerò francamente - le disse tirandosi la barbetta grigia. - Mi sembra che abbiate un certo buon senso; quindi risparmiatemi i rossori inutili. Non voglio più sentir parlare di viaggi per Melly. Temo che non resisterebbe. Avrà un parto difficile, anche nella migliore delle ipotesi...E' stretta di bacino e probabilmente avremo bisogno del forcipe; perciò non voglio che capiti nelle mani di qualche ignorante levatrice negra. Le donne come lei non dovrebbero aver bambini, ma... Ad ogni modo, fate i bauli di miss Pitty e mandatela a Macon. È così spaventata che non è una buona compagnia per sua nipote. Quanto a voi - proseguì fissandola coi suoi occhi penetranti - non voglio sentir dire che andate a casa. Rimarrete qui fino alla nascita del piccino. Non avete paura, spero? - Oh no! - mentì Rossella. - Brava figliuola. Mia moglie vi farà da accompagnatrice sempre che ne avrete bisogno, e vi manderò la vecchia Betsy per farvi la cucina, perché miss Pitty vuol portare con sé i suoi servi. Sarà per poco. Il bimbo dovrebbe nascere tra cinque settimane, circa; ma con le primipare non si può mai esser sicuri. Può anche anticipare.Zia Pitty partì per Macon, piangendo a calde lacrime, portando con sé zio Pietro e la cuoca. Regalò all'ospedale la carrozza e il cavallo, in uno slancio di patriottismo di cui si pentì immediatamente. E Rossella e Melania rimasero sole con Wade e Prissy in una casa che era adesso assai più tranquilla, malgrado il cannoneggiamento continuo. 19 In quei primi giorni dell'assedio, mentre gli yankees cercavano qua e là di penetrare attraverso il cerchio di difesa, Rossella provava una tal paura ad ogni cannonata che non riusciva se non a tapparsi le orecchie con le mani, aspettandosi da un attimo all'altro di esser travolta. Quando udiva l'urlo che annunciava l'avvicinarsi del proiettile, si precipitava in camera di Melania e si gettava sul letto accanto a lei; si abbracciavano strette nascondendo il capo fra i guanciali, gridando. Prissy e Wade fuggivano in cantina, nell'oscurità piena di ragnatele; Prissy urlando con quanta voce aveva in gola, Wade singhiozzando e gemendo. Allo spavento di potere essere squarciata da un obice si aggiungeva il terrore che da un momento all'altro nascesse il bimbo di Melania. Che avrebbe fatto, in questo caso? Sapeva che avrebbe lasciato morire Melania piuttosto che arrischiarsi ad andare a cercare il dottore, con le palle di cannone che cadevano come pioggia d'aprile. E sapeva che Prissy si sarebbe lasciata ammazzare prima di uscir di casa. Che farebbe, dunque? Discuteva di questo sottovoce con Prissy che calmò i suoi timori. - Miss Rossella, non preoccuparti per dottore quando essere momento. Io sapere come fare. Mia mamma essere levatrice, e avermi abituata per fare anche me levatrice. Tu lasciar fare a me.Rossella respirò sollevata; ma nondimeno continuò a desiderare disperatamente che quella prova fosse già passata. Anelante di esser lontana dal rombo del cannone, nella tranquillità di Tara, ogni sera pregò fervidamente perché il bimbo nascesse l'indomani; ella avrebbe allora assolto la sua promessa e potrebbe lasciare Atlanta. Tara le sembrava sicura e lontana da tutti gli spaventi. Smaniava per la sua casa e per la mamma come non aveva mai smaniato per nulla nella vita. Le sembrava che vicino a Elena non avrebbe paura, qualunque cosa accadesse. E ogni sera andava a letto con l'intenzione di dire a Melania, l'indomani, che non poteva più resistere e che voleva partire per Tara; Melania sarebbe andata in casa della signora Meade. Ma appena coricata, si rivedeva davanti il viso di Ashley mentre, torturato internamente, le diceva con un lieve sorriso: "Avrete cura di Melania, non è vero? Voi siete forte... Promettetemelo." Ed ella aveva promesso. Ashley era certamente morto, e la vedeva, la costringeva a mantenere la promessa. Rispondendo alle lettere di Elena che la scongiuravano di tornare a casa, ella scrisse diminuendo la gravità del pericolo, spiegando le condizioni di Melania e promettendo di partire subito dopo la nascita del bimbo. Elena, sensibile ai legami di parentela, acconsentì riluttante, ma chiedendo che mandasse immediatamente a casa Wade e Prissy. Quest'idea fu completamente approvata da Prissy, che era ormai ridotta un'idiota che batteva i denti al menomo rumore. Passava tanto tempo in cantina, che le ragazze non avrebbero neanche potuto mangiare, se non vi fosse stata la vecchia Betsy a cucinare qualche cosa. Rossella era anch'essa ansiosa di mandare il piccino lontano da Atlanta, non tanto per la sua salvezza, quanto perché i suoi terrori la irritavano in sommo grado. Wade era talmente impaurito dal fragore delle esplosioni che rimaneva afferrato alle gonne della madre anche durante i momenti di calma, senza neanche poter emettere la voce. Aveva paura di andare a letto la sera, paura del buio, paura di addormentarsi perché gli yankees potevano arrivare e portarlo via; e il suo tremito lieve durante la notte la esasperava. Ella non era meno sbigottita di lui; ma il vedersi ricordata continuamente la sua paura da quel visino atterrito la irritava. Sì; Tara era il luogo adatto per Wade. Prissy ve l'avrebbe portato subito, ritornando senza indugio per trovarsi presente al momento del parto di Melania. Ma prima che Rossella li avesse messi sul treno, giunse notizia che gli yankees si erano avanzati verso il sud e che continue scaramucce si svolgevano lungo la ferrovia fra Atlanta e Jonesboro. Se il treno su cui viaggiavano Prissy e il bimbo fosse catturato... Rossella e Melania impallidirono a questo pensiero, perché le atrocità degli yankees contro i bambini erano ben note. Quindi si rinunciò a mandarlo a Tara, ed egli rimase in casa, silenzioso come lo spettro della paura, sempre attaccato alla sottana di sua madre, come se quella fosse la sola salvezza possibile. L'assedio continuò durante le soffocanti giornate di luglio e la città cominciò ad adattarvisi. Sembrava che ormai il peggio fosse passato, e che non vi fosse altro da temere. La vita poteva riprendere quasi normalmente. Tutti sapevano che si trovavano su un vulcano, ma finché questo non eruttava, non vi era nulla da fare. Perché preoccuparsi, dunque? Chi sa se avrebbe eruttato mai... Hood tratteneva il nemico e la cavalleria difendeva la ferrovia di Macon. No, la città non sarebbe invasa! A poco a poco Rossella riprese coraggio. Certo, continuava a sobbalzare ad ogni cannonata, ma non correva più a nasconder la testa fra i guanciali di Melania. Si limitava a dire debolmente: - Questa è caduta vicina, vero? Era meno atterrita anche perché la vita ora aveva preso la consistenza di un sogno: troppo tremendo per esser vero. Non era possibile che lei, Rossella O'Hara, si trovasse in continuo pericolo di morte; non era possibile che la loro tranquilla esistenza fosse mutata completamente in così breve tempo. Era irreale - grottescamente irreale - che quel cielo così azzurro al mattino potesse esser profanato dal fumo dei cannoni che restava sospeso sulla città come nuvole dense; che i caldi meriggi pieni della penetrante dolcezza del caprifoglio e delle rose rampicanti potessero essere così spaventosi quando i proiettili scoppiavano nelle strade, lanciando attorno schegge che laceravano uomini e animali. Le sonnolente sieste pomeridiane erano cessate perché nonostante vi fossero periodi di calma - la Via dell'Albero di Pesco era rumorosa a tutte le ore per lo strepito dei cannoni e delle ambulanze che passavano, il gemito dei feriti che venivano trasportati agli ospedali, il calpestio frettoloso dei reggimenti che passavano, dalle trincee stabilite in un lato della città alle fortificazioni del lato opposto più minacciate, e la corsa precipitosa dei corrieri che si affrettavano verso il Quartier Generale come se da loro dipendesse il destino della Confederazione. Le notti portavano il silenzio; ma un silenzio sinistro e minaccioso. Era come se le rane, i grilli, i merli fossero troppo spaventati per alzar la voce nel consueto coro delle notti estive. Qua e là la quiete era interrotta dal crepitio di qualche fucilata sparata dalle ultime linee di difesa. Sovente, nelle ultime ore della notte, quando i lumi erano spenti e Melania dormiva, Rossella - che era desta - udiva cigolare il cancello d'entrata e bussare leggermente ma frettolosamente alla porta. Soldati senza volto erano nell'oscurità del porticato e voci sconosciute parlavano. A volte eran voci e modi più signorili: - Signora, infinite scuse del disturbo: potrei avere un po' d'acqua per me e per il mio cavallo? - A volte erano le voci profonde dei montanari, altre volte quelle nasali dell'estremo Sud, più raramente la cadenza strascicata della costa che le colpiva il cuore, perché le ricordava la voce di Elena. - Signora, c'è un mio compagno che avevo messo in groppa, ma non può più reggersi... Potete farlo entrare? - Signora, perdonate l'indiscrezione, ma... posso passare la notte sotto al vostro porticato? Ho visto le rose e ho sentito l'odore del caprifoglio... come a casa mia!No, quelle notti non erano reali. Erano un incubo e costoro ne facevano parte: uomini senza viso e senza corpo, voci stanche che uscivano dalle tenebre. Dar loro dell'acqua, somministrare cibo, metter guanciali nel porticato, fasciar ferite, sorregger la testa ai moribondi... No, impossibile che questo stesse accadendo a lei! Una notte fu zio Enrico che venne a bussare. Non aveva più l'ombrello né la valigetta e anche la sua pancia era scomparsa. La pelle del viso pendeva moscia come quella delle guance di un bull-dog e i suoi lunghi capelli bianchi erano incredibilmente sudici. Era quasi scalzo, formicolante di pidocchi e affamato; ma il suo spirito irascibile non era domo. Lo avevano utilizzato come un giovinotto; ed egli poteva effettivamente competere coi giovani, cosa impossibile al nonno Merriwether, con la sua lombaggine. Il capitano aveva voluto rimandare a casa il vecchio, ma questi si era opposto: preferiva ancora la guerra alla convivenza con la nuora, che brontolava tutto il giorno, per fargli smettere di masticar tabacco e altre cose simili. La visita di zio Enrico fu breve: aveva avuto solo ventiquattro ore di permesso; e la metà di quel tempo occorreva per venire dalle fortificazioni e ritornarvi. - Ragazze, non vi rivedrò per un pezzo - annunciò mentre immergeva voluttuosamente i piedi nel catino d'acqua fresca che Rossella gli aveva posto dinanzi, nella camera da letto di Melania. - La nostra compagnia si mette in moto domattina.- Per andar dove? - chiese Melania afferrandogli il braccio. - Non mi toccate! Sono pieno di pidocchi. La guerra sarebbe un divertimento, se non vi fossero i pidocchi e la dissenteria. Dove andiamo? Non me l'hanno detto, ma mi pare di aver capito che si va verso il Sud, verso Jonesboro. - E perché? - Perché ci sarà da combattere in quella zona, cara figliuola. Gli yankees tentano di impadronirsi della ferrovia. E se la prendono, buona notte Atlanta! - Dio, Dio, zio Enrico, credi che vi riusciranno? - Silenzio, ragazze! Come volete che la prendano, se ci sono io? - Zio Enrico sorrise del loro spavento; poi tornando serio: - Sarà una dura battaglia, figliuole. Dobbiamo vincerla. Sapete che gli yankees hanno in mano tutte le ferrovie, eccetto quella di Macon; ma oltre a questo, forse voialtre lo ignorate sono padroni di tutte le strade, eccetto quella di McDonough. Atlanta è in un culdisacco, e i cordoni di questo sono a Jonesboro. Se gli yankees prendono quella ferrovia, possono tirare la corda e prenderci come un topo in trappola. Ecco perché non bisogna che la prendano... Vado, ragazze. Sono venuto soltanto per salutarvi e per vedere se Rossella era ancora con te, Melania.- E' naturale che è con me - rispose Melania affettuosamente. - Non ti preoccupare per noi, zio, e bada a te stesso.Lo zio si asciugò i piedi; quindi, infilandosi le sue scarpe a brandelli, emise un gemito. - Bisogna che vada - disse poi. - Ho da percorrere cinque miglia. Rossella, trovami qualche cosa da mangiare, da portar via. Qualunque cosa.Dopo avere abbracciato Melania, scese in cucina dove Rossella stava avvolgendo in un tovagliolo una focaccia di granoturco e qualche mela. - Zio... è davvero una cosa tanto seria? - Seria! Sicuro, perbacco. Sono le nostre ultime difese.- E credete... che arriveranno a Tara? - Che diamine... - cominciò zio Enrico, irritato di quella mentalità femminile che pensava solo a ciò che la interessava personalmente. Quindi, vedendo il suo volto atterrito, si raddolcì. - Certo no. Tara è a cinque miglia dalla ferrovia, e gli yankees non mirano che a questa. Hai il cervello di un passerotto. - Si interruppe bruscamente. Poi riprese: - Non ho fatto tutta questa strada stasera soltanto per salutarvi. Ho delle cattive notizie da comunicare a Melania, ma quando è stato il momento di dirglielo, me n'è mancato il coraggio. Quindi lascio l'incarico a te.- Ashley... avete saputo... che è morto? - Come vuoi che sappia qualche cosa di Ashley, in fondo a una trincea? No. Si tratta di suo padre. John Wilkes è morto.Rossella sedette di colpo, tenendo in mano il fardelletto non ancora annodato. - Volevo dirlo a Melania... ma non ho potuto. Glielo dirai tu. E dalle questi.Trasse di tasca un pesante orologio d'oro da cui pendevano dei suggelli, una piccola miniatura della defunta signora Wilkes e un paio di grossi bottoni da polso. Fu soltanto nel vedere l'orologio che tante volte aveva scorto fra le mani del vecchio Wilkes, che Rossella comprese veramente che il padre di Ashley era morto. E fu troppo colpita per piangere. Lo zio tossicchiò senza guardarla, temendo delle lacrime che lo avrebbero sconvolto. - Era un uomo coraggioso, Rossella. Dillo a Melly. E dille che lo scriva alle figlie. Ed è stato un ottimo soldato, malgrado la sua età. Una granata lo ha squarciato ed ha ferito anche il cavallo, che ho poi finito io stesso. Era una bella giumenta. Sarà bene che tu scriva anche alla signora Tarleton per informarla. Teneva moltissimo alla sua cavallina. Dammi quel fardello, bambina, debbo andare. E non prendertela tanto. Non è una bella morte, per un vecchio, finire come un giovine? - No, non doveva morire! Non doveva andare alla guerra... Doveva vivere per veder crescere il suo nipotino e poi morire tranquillamente nel suo letto. Oh, perché è andato? Non credeva alla secessione e odiava la guerra...- Molti di noi la pensano così, ma a che serve? Credi che mi diverta servir da bersaglio, alla mia età, ai tiratori yankee? Ma non vi è altra scelta, in questi momenti, per un gentiluomo. Abbracciami, bambina, e non stare in pensiero per me. Uscirò da questa guerra sano e salvo. Rossella lo abbracciò e ascoltò i suoi passi nel buio; udì aprirsi e richiudersi il cancello. Rimase un attimo a guardare gli oggetti che aveva in mano. Poi salì le scale per andare da Melania. Alla fine di luglio giunse la notizia predetta da zio Enrico gli yankees, passando di fianco, stavano investendo Jonesboro Avevano tagliato la ferrovia a quattro miglia a sud della città, ma erano stati battuti dalla cavalleria confederata; e il Corpo del genio, sudando sotto il sole cocente, aveva riparato la linea. Rossella era frenetica di ansietà. Per tre giorni attese, in un'angoscia sempre crescente. Finalmente giunse una lettera di Geraldo rassicurante. Il nemico non era arrivato a Tara. Si udiva il rumore della battaglia, ma non si era visto nessun soldato yankee. La lettera era così piena di jattanza e di vanagloria per la maniera in cui gli yankees erano stati respinti dalla linea ferroviaria, che si sarebbe potuto credere che il fatto d'arme fosse stato compiuto da Geraldo in persona. Tre pagine rigurgitavano di elogi per il valore delle truppe; in fondo alla lettera egli menzionava brevemente che Carolene era ammalata. Elena aveva detto che si trattava di tifo. Non era grave e Rossella non doveva mettersi in pensiero; ma non pensasse assolutamente di tornare a casa adesso, anche se la ferrovia fosse stata sicura. Ora la signora O'Hara era contenta che Rossella e Wade non fossero andati a Tara al principio dell'assedio. La esortava ad andare in chiesa, a dire qualche rosario per la guarigione di sua sorella. Rossella si sentì rimordere la coscienza a queste ultime parole, perché da mesi non andava in chiesa. Una volta questa trascuraggine le sarebbe parsa un peccato mortale, ma ora non le sembrava più così grave. Obbedì a sua madre e andò in fretta in camera a recitare il Rosario. Quando si alzò, non sentì però quel conforto che la preghiera le aveva dato in altri tempi. Quella sera sedette nel porticato con la lettera di Geraldo in seno; le sembrava che quel contatto la riavvicinasse a Tara e ad Elena. L'aria era silenziosa; nemmeno una fucilata si era udita dopo il tramonto, e tutto il mondo sembrava lontanissimo. Rossella si dondolava nella poltrona di vimini, infelice dopo aver letto le notizie di Tara, desiderando una compagnia qualsiasi, magari quella della signora Merriwether. Ma questa era di servizio all'ospedale; la signora Meade era a casa sua a festeggiare Phil, venuto di passaggio, e Melania dormiva. Non aveva neanche la speranza di una visita: ormai tutti gli uomini abili avevano imbracciato il fucile ed erano in trincea o nei pressi di Jonesboro. Raramente era così sola. E non amava la solitudine perché questa la costringeva a pensare e i pensieri non erano piacevoli. Chiuse gli occhi e immaginò di essere a Tara, nella calma rurale, e che la vita fosse rimasta immutata. Ma sapeva che anche in campagna la vita non sarebbe mai più quella di un tempo. Pensò ai due Tarleton, i gemelli rossi di capelli e a Tom e Boyd e una tristezza infinita la prese alla gola. Uno dei gemelli avrebbe potuto essere suo marito. Ora, ritornando a Tara, a guerra finita, non udrebbe più i loro selvaggi richiami di quando imboccavano il viale dei cedri. E Riccardo Calvert che ballava così bene, non potrebbe più sceglierla come compagna di un giro di valzer. E i ragazzi Munroe e il piccolo Joe Fontaine... - Oh Ashley! - singhiozzò lasciando cadere la testa fra le mani. Udì aprirsi il cancello e si affrettò a rialzare il capo passandosi la mano sugli occhi umidi. Vide Rhett Butler che percorreva il viale tenendo in mano il suo largo cappello di panama. Non lo aveva più visto dal giorno in cui era scesa precipitosamente dal suo carrozzino ai Cinque Punti, dicendogli che non voleva più vederlo. Ma era così contenta, ora, di avere qualcuno con cui parlare, che scacciò dalla mente quel ricordo. Evidentemente egli aveva dimenticato, o fingeva di aver dimenticato, quel loro colloquio, perché sedette sui gradini ai suoi piedi senza fare il menomo accenno alla loro disputa. - Dunque, non siete fuggita a Macon! Avevo saputo che Miss Pitty era partita e credevo che foste andata anche voi. Perciò, vedendo illuminato, sono venuto a curiosare. Perché siete rimasta? - Per far compagnia a Melania. Non poteva... non può mettersi in viaggio.- Accidenti - borbottò Rhett; e, alla luce della lampada Rossella vide che aggrottava le sopracciglia. Volete dire che la signora Wilkes è ancora qui? Non ho mai sentito una simile idiozia. Nelle sue condizioni è doppiamente pericoloso...Rossella tacque, imbarazzata. Non poteva discutere di queste cose con un uomo, specialmente scapolo. - Siete poco galante. Non pensate che anche per me possa esservi pericolo? - Quando la finirete di cercare delle galanterie in ogni parola che vi vien rivolta da un uomo? - Quando sarò sul mio letto di morte - replicò ella sorridendo, pensando che vi sarebbe sempre qualcuno per farle dei complimenti, anche se Rhett se ne asteneva. - Vanità e nient'altro. Meno male che avete la franchezza di dirlo.Trasse un sigaro, lo accese e, incrociando le mani sulle ginocchia, con le spalle gettate indietro, rimase a fumare in silenzio. Rossella riprese a dondolarsi e le tenebre della calda notte tranquilla furono sopra di loro. Il merlo che faceva il nido in un cespuglio di rose e di caprifoglio emise una timida nota; ma poi, come se gli fosse sembrata inopportuna, tacque nuovamente. Dall'ombra del portico, Rhett rise improvvisamente; un riso dolce e sommesso. - Siete dunque rimasta con la Mrs. Wilkes! Davvero, è la più strana situazione che io abbia mai visto! - Non ci vedo nulla di strano - rispose Rossella a disagio, immediatamente all'erta. - No? Curioso. La mia impressione, fino a poco tempo fa, era che non potevate sopportare vostra cognata. La credevate stupida, e le sue idee patriottiche vi davano noia. Perciò mi stupisce che abbiate compiuto l'altruistico gesto di rimanere con lei durante questo bombardamento. Dunque, perché lo avete fatto? - Perché è sorella di Carlo... ed è come una sorella per me - replicò Rossella con la maggior dignità possibile, sentendosi arrossire nel buio. - O meglio perché è la vedova di Ashley Wilkes.Rossella balzò in piedi. - Stavo quasi per perdonarvi il vostro villano contegno, ma vedo che è impossibile. Non avrei dovuto nemmeno lasciarvi entrare qui, ma mi sentivo talmente depressa che...- Sedete e lisciatevi il pelo arruffato, gattina rabbiosa. - La sua voce era mutata. Si alzò e la spinse nuovamente nella sua poltrona. - Perché siete depressa? - Perché ho avuto oggi una lettera da Tara. Gli yankees sono vicino a casa e la mia sorellina è a letto col tifo... e ora, anche se potessi andare a casa, la mamma non vuole per paura del contagio per me. E se sapeste che desiderio ho della mia casa! - Non piangete adesso. - La sua voce si era addolcita. - Siete molto più sicura qui ad Atlanta, anche se vengono gli yankees, che a Tara. Non vi faranno niente di male.- Non mi faranno male! Perché mentite? - Cara bambina, gli yankees non sono dei selvaggi. Sono simpatici come molti meridionali... eccetto il fatto che sono più maleducati e che hanno un accento orribile.- Volete dire che gli yankees non... - Non vi violerebbero? Credo di no. Benché credo che ne avrebbero veramente il desiderio.- Se parlate in questo modo ignobile, sarò costretta a rientrare. - E fu lieta che le tenebre nascondessero il suo rossore. - Perché vi arrabbiate quando vi dico quello che pensate. Tutte le nostre delicate signore non pensano ad altro. Scommetto che perfino le vecchie come la signora Merriwether..Rossella inghiottì senza rispondere, ricordando che quando due o tre signore erano riunite, in quei tristi giorni, raccontavano sottovoce simili avvenimenti, capitati in Virginia o in Luisiana; mai troppo vicino a casa. Gli yankees violavano le donne, sbudellavano i bambini con le baionette e bruciavano le case in cui rimanevano le persone d'età. Anche Rhett doveva sapere che tutto ciò era vero. E aver la delicatezza di non parlarne. Comunque, non c'era punto da ridere. Era proprio odioso in certi momenti. Anzi, quasi sempre. Era terribile un uomo che sapeva che cosa pensavano le donne e di che cosa parlavano. Certo non poteva aver queste cognizioni da nessuna donna come si deve. - E a proposito - rispose Rhett - avete un'accompagnatrice o qualche persona del genere in casa? La rispettabile Mrs. Merriwether o Mrs. Meade? Mi guardano sempre come se pensassero che vengo per Dio sa quali scopi malvagi.- Di solito, la sera viene Mrs. Meade. Ma stasera non ha potuto. C'è Phil a casa - rispose Rossella lieta di cambiare argomento. - Che fortuna trovarvi sola! Qualche cosa nella voce di lui le fece battere il cuore più rapidamente. Aveva udito troppo spesso quella nota di dolcezza nelle voci maschili per non sapere che essa preludiava a una dichiarazione d'amore. Che divertimento! Come si vendicherebbe, ora, di tutti i sarcasmi coi quali l'aveva bersagliata ad ogni istante! Gli darebbe una lezione tale, da cancellar per sempre l'umiliazione del giorno in cui egli l'aveva vista percuotere Ashley sul viso. E poi gli direbbe con tenerezza che poteva essere solo una sorella per lui e si ritirerebbe con tutti gli onori della guerra. Rise nervosamente pregustando quella gioia. - Non ridete - disse Rhett; e prendendole la mano la voltò e premette le sue labbra sul palmo. Qualche cosa di vitale, di elettrico percorse tutto il suo corpo al contatto di quelle labbra calde. Le labbra arrivarono al suo polso; pensando che in quel modo egli avrebbe sentito che il suo sangue correva più velocemente, ella cercò di ritrarre la mano. Non aveva calcolato questo... quella corrente traditrice che le faceva desiderare di ficcargli le mani tra i capelli, di sentire le labbra di lui sulla propria bocca. Non era innamorata di lui, disse confusamente fra sé. Era innamorata di Ashley. Ma come spiegare quella sensazione che le faceva tremare le mani e sentir freddo alla bocca dello stomaco? Egli rise piano. - Non vi scostate! Non vi faccio male! - Farmi male? Non ho paura di voi né di nessuno! - esclamò, furente nel sentire che la sua voce tremava. - Un bellissimo sentimento; ma parlate più sottovoce, Mrs. Wilkes potrebbe udirvi. E ricomponetevi. - Sembrava contentissimo della sua emozione. - Rossella, io vi piaccio, non è vero? Questo somigliava di più a quanto ella si aspettava. - Qualche volta - rispose guardinga. - Quando non vi comportate come un mascalzone.Rise di nuovo e posò il palmo della manina contro la propria guancia ruvida. - Credo di piacervi proprio perché sono un mascalzone. Ne avete conosciuti così pochi, che questa differenza è quella che forma il mio strano fascino agli occhi vostri.Non era questa la conversazione che ella sperava. Perciò cercò nuovamente di liberare la sua mano, ma senza successo. - Non è vero! Mi piacciono gli uomini come si deve... quelli che serbano sempre il contegno di un gentiluomo.- Volete dire quelli che potete sempre dominare. È questione di definizione. Ma non importa.Ora le baciava nuovamente il palmo ed ella sentiva un brivido correrle lungo la schiena. - Ma vi piaccio. Potrete mai amarmi, Rossella? "Ci siamo!" pensò Rossella trionfante. E rispose con studiata freddezza: - Non credo, a meno che non mutiate considerevolmente il vostro modo di fare.- Non ne ho affatto l'intenzione. Dunque, non potreste amarmi? Meno male. Perché, mentre mi piacete immensamente, non vi amo; e sarebbe tragico per voi soffrire una seconda volta per amore non corrisposto, non è vero, cara? Posso chiamarvi cara, Mrs. Hamilton? Bisogna rispettare le convenienze! - Non mi amate? - No davvero. Lo speravate? - Non siate così presuntuoso! - Lo speravate! Ahimè, povere speranze! No, non vi amo. Ma mi piacete moltissimo, per l'elasticità della vostra coscienza, per l'egoismo che raramente vi curate di nascondere e per l'astuzia che dovete avere ereditato, temo, da qualche contadino irlandese vostro avo non troppo remoto.Contadino! Come la insultava! Si sentì soffocare senza trovar parole per rispondergli. - Non interrompetemi - continuò Rhett stringendole la mano. - Mi piacete perché io ho queste stesse qualità, e ogni simile cerca il proprio simile. Capisco che voi conservate ancora una cara memoria di quel divino testa-di-legno di Wilkes che probabilmente è sotterra da sei mesi. Ma nel vostro cuore dev'esservi posto anche per me. Finitela di agitarvi! Vi sto facendo una dichiarazione. Vi ho desiderata da quando vi vidi per la prima volta, nel vestibolo delle Dodici Querce, mentre stregavate il povero Carlo Hamilton. Vi desidero più di quanto abbia desiderato qualunque altra donna... e vi ho aspettata più di quanto abbia atteso qualunque altra. Queste ultime parole le tolsero il respiro. Malgrado i suoi insulti, egli l'amava; ma era così perverso che non voleva dirlo francamente, anche per timore che lei ne ridesse. Bene, ora gliela darebbe lo stesso la lezione! - Mi state chiedendo di sposarvi? Egli lasciò cadere la sua mano e rise così forte che ella ricadde indietro nella poltrona. - Dio mio, no! Non vi ho già detto che io sono uno di quelli che non si sposano? - Ma... allora... che cosa...Si alzò in piedi e, con una mano sul cuore, le fece un inchino burlesco. - Cara - le disse tranquillo - faccio un complimento alla vostra intelligenza chiedendovi di essere la mia amante senza avervi prima sedotta.Amante! Dentro di lei la parola risuonò come un insulto. Ma in quel primo momento ella non si sentì insultata. Fu solo invasa dall'indignazione che egli potesse crederla così sciocca. Rabbia, vanità offesa e delusione le diedero una specie di vertigine e, prima ancora che le venissero in mente le alte ragioni morali con le quali avrebbe potuto rimproverarlo, ella gli lanciò le prime parole che le salirono alle labbra. - La vostra amante! E che cosa ci guadagnerei, se non qualche marmocchio? Subito dopo fu inorridita di ciò che aveva detto. Egli rise cordialmente, cercando di vederla, seduta nell'oscurità, come colpita dal fulmine, col fazzoletto premuto sulla bocca. - Questo è quello che mi piace in voi! Siete la sola donna sincera che conosco, la sola che guarda il lato pratico delle cose, senza andare a scomodare il peccato e la morale. Qualunque altra al vostro posto prima sarebbe svenuta e poi mi avrebbe messo alla porta. Rossella balzò in piedi, rossa di vergogna. Come aveva potuto, lei, la figlia di Elena, con la sua educazione, ascoltare quelle parole impudenti e rispondere così svergognatamente? Avrebbe dovuto gridare. Svenire. Voltarsi senza una parola e rientrare in casa. Troppo tardi adesso! - Vi metterò alla porta! - gridò senza curarsi che Melania o Mrs. Meade, giù in istrada, potessero udirla. - Fuori di qui! Come osate dirmi una cosa simile! Ho mai fatto qualche cosa per incoraggiarvi... per farvi supporre... Andate via e non tornate mai più! E questa volta parlo sul serio. Inutile tornare coi pacchetti di forcine e di nastri per farvi perdonare! Lo dirò... Io dirò a mio padre e lui vi ucciderà! Egli raccolse il cappello e si inchinò; ed ella scorse, alla luce della lampada, che i suoi denti brillavano sotto i baffetti neri. Non sentiva vergogna, si divertiva di quanto ella diceva e la osservava con viva curiosità. Com'era detestabile! Si girò sui tacchi e si avviò per rientrare. Afferrò il battente della porta per sbattergliela in faccia, ma il gancio che la tratteneva aperta era troppo pesante per lei. Si sforzò, ma inutilmente. - Posso aiutarvi? - chiese Rhett. Sentendo che se fosse rimasta un minuto di più avrebbe avuto un travaso di sangue, ella fuggì su per le scale. E quando fu al piano di sopra sentì che egli cortesemente sbatteva la porta in sua vece. 20 Verso la fine di agosto, il bombardamento cessò improvvisamente. Sulla città piombò un silenzio impressionante. Le persone, incontrandosi in istrada, si fissavano a vicenda, incerte, sgomente di ciò che poteva accadere. Nessuno sapeva perché le batterie yankee tacevano; mancavano notizie delle truppe di cui si sapeva soltanto che erano state ritirate in gran numero dalle fortificazioni intorno alla città, e che marciavano verso sud, per la difesa della ferrovia. Non si sapeva dove si svolgeva la battaglia, se battaglia vi era, né come andava. Le sole notizie erano quelle che passavano di bocca in bocca. Mancando di carta, di inchiostro, di uomini, i giornali avevano sospeso le pubblicazioni dal principio dell'assedio, e le voci più gravi sorgevano non si sapeva da dove e si diffondevano nella città. La folla si assiepava dinanzi al Quartier Generale e chiedeva informazioni; dinanzi al telegrafo e al deposito sperando di avere notizie, buone notizie, perché ognuno si augurava che il silenzio dei cannoni di Sherman volesse dire che gli yankees erano in piena ritirata e che le truppe della Confederazione li inseguivano sulla strada di Dalton. Ma nessuna notizia giunse. Il telegrafo taceva; i treni non arrivavano sull'unica linea ferroviaria rimasta, e il servizio postale era interrotto. L'autunno col suo calore polveroso e soffocante aggiungeva il malessere fisico alla pena dei cuori angosciati. A Rossella, frenetica dal desiderio di aver notizie di Tara e che cercava, nondimeno, di mostrare un viso sereno, sembrava che l'assedio fosse cominciato da un'eternità. Eppure non erano che trenta giorni! La città circondata di trincee di terra rossiccia, il monotono e continuo cannoneggiamento, le lunghe linee di ambulanze e di carri che si lasciavano dietro una scia di sangue, il lavoro degli affossatori che interravano i cadaveri in lunghe file interminabili di fosse poco scavate... Solo trenta giorni! Ed erano soltanto quattro mesi che gli yankees avevano cominciato l'avanzata a sud di Dalton: quattro mesi soli! Guardandosi indietro, Rossella pensava che fosse trascorsa una vita intera... No, soltanto quattro mesi. Fino a quattro mesi fa Resaca, Dalton, Kennesaw non erano stati per lei che nomi di stazioni ferroviarie. Ora erano battaglie, battaglie combattute disperatamente da Johnston nel ripiegare. E il Fiumicello del Pesco, Decatur, Ezra Church non erano più i nomi di piacevoli località. Mai più potrebbe pensare ad essi come a graziosi villaggi pieni di amici accoglienti, cantucci freschi e verdi dove si andava a far merenda sull'erba soffice con dei begli ufficiali. Anche quei nomi significavano battaglie sanguinose e l'erba verde su cui ella si era seduta era solcata dalle ruote pesanti dei carriaggi, calpestata da piedi disperati, quando le baionette si incrociavano con le baionette, schiacciata da corpi agonizzanti... E i pigri corsi d'acqua erano più rossi di quanto li avesse mai resi l'argilla della Georgia. Il Fiumicello del Pesco era vermiglio, si diceva, dopo che gli yankees lo avevano attraversato. Decatur, Ezra Church... Nomi di tombe in cui erano sotterrati tanti amici, nomi di boschi ove giacevano corpi insepolti, nomi delle vicinanze di Atlanta dove Sherman aveva cercato di aprirsi un varco verso la città e dove gli uomini di Hood lo avevano tenuto in scacco e respinto. Finalmente giunsero notizie dal Sud; notizie allarmanti, specialmente per Rossella. Il generale Sherman stava nuovamente tentando di attaccare la città dal quarto lato, cercando di impadronirsi della ferrovia a Jonesboro. Da quella parte erano ora ammassati numerosi yankees; e migliaia di soldati confederati erano stati ritirati dalle fortificazioni attorno alla città per lanciarli contro di loro. Questo spiegava l'improvviso silenzio. - Perché Jonesboro? - si chiese Rossella sgomentata per la vicinanza di Tara. - Perché sempre Jonesboro? Non potrebbero attaccare la ferrovia in qualche altro punto? Da una settimana era priva di notizie; l'ultima breve lettera di Geraldo aveva aumentato il suo spavento. Carolene stava peggio, molto peggio. E ci volevano dei giorni, adesso, per avere la posta, per sapere se Carolene era viva o morta. Se fosse andata a casa al principio dell'assedio, Melania o non Melania! Vi era battaglia a Jonesboro; questo era tutto ciò che si sapeva. Ma nessuno ne conosceva le fasi; e le voci più discordi spaventavano la città. Finalmente giunse un corriere con la notizia rassicurante che gli yankees erano stati respinti. Però avevano fatto una sortita, avevano incendiato il deposito di Jonesboro, tagliato i fili telegrafici e distrutto tre miglia di binari prima di ritirarsi. Il corpo del genio lavorava disperatamente per riparare la linea, ma ci voleva un certo tempo, perché gli yankees avevano fatto dei falò sui quali avevano infocato i binari divelti, avvolgendoli poi intorno ai pali telegrafici a guisa di giganteschi spauracchi. Ed era difficile in quei momenti sostituire qualsiasi cosa fosse di ferro. No, gli yankees non erano arrivati a Tara. Lo stesso corriere che aveva portato i dispacci del generale Hood ne diede l'assicurazione a Rossella. Aveva incontrato Geraldo a Jonesboro, dopo la battaglia, ed egli lo aveva pregato di portarle una lettera. Ma che era andato a fare il babbo a Jonesboro? Il giovine corriere sembrò imbarazzato nel rispondere. Geraldo era andato a cercare un medico militare da condurre a Tara. Nel ringraziare il corriere, sotto il porticato, Rossella si sentì piegare le ginocchia. Carolene doveva stare assai male se Geraldo non aveva avuto più fiducia nell'abilità di Elena. Mentre il corriere scompariva in una piccola nube rossa, ella aperse la lettera con dita tremanti. La carta era così scarsa, ormai, che Geraldo si era servito dell'ultima lettera ricevuta da lei, scrivendo fra le righe, sicché la lettura era difficile. "Cara figlia, tua madre e tutt'e due le ragazze hanno il tifo. Stanno molto male, ma dobbiamo sperare. Quando la mamma si è messa a letto, mi ha imposto di scriverti che a nessun patto tu devi venire a casa ad esporre al pericolo del contagio te e Wade. Ti manda tutta la sua tenerezza e ti dice di pregare per lei." Pregare per lei! Rossella si precipitò nella sua camera, si inginocchiò ai piedi del letto e pregò come non aveva mai pregato prima. Non il Rosario, ma le stesse parole ripetute all'infinito: - Madre di Dio, non farla morire! Ti supplico, non farla morire! Sarò buona, ma non farla morire! Per una settimana Rossella si aggirò per la casa come un animale ferito, aspettando notizie, sussultando ad ogni scalpitar di cavallo, precipitandosi per la scala buia quando qualche soldato bussava, la notte; ma nessuna notizia venne da Tara. Come se fra la sua casa e lei vi fosse stata tutta la larghezza del continente, invece di 25 miglia di strada polverosa. La posta era ancora interrotta, e nessuno sapeva dov'erano i confederati e che cosa facevano gli yankees. Si sapeva soltanto che migliaia di soldati grigi e blu erano fra Atlanta e Jonesboro. Rossella aveva visto abbastanza ammalati di tifo nell'ospedale di Atlanta per sapere che cosa voleva dire una settimana di quella terribile infermità. Elena era ammalata, forse moribonda, e lei era lì, desolata, con una donna incinta sulle braccia e due eserciti fra lei e la sua casa. Elena ammalata... forse moribonda... forse morente. Non era mai stata male. Il solo pensarlo era incredibile. Tutti potevano essere ammalati, ma non lei. Elena aveva sempre curato gli altri e li aveva guariti. Rossella desiderava essere a casa sua, col disperato desiderio di un bambino atterrito che vuol rifugiarsi nell'unico luogo sicuro per lui. La sua casa! La casa bianca con le tende candide alle finestre, col folto trifoglio sul prato e le api affaccendate, e il piccolo negro sui gradini, che scacciava le anatre e i tacchini dalle aiuole, i campi rossi e le miglia e miglia di cotone che diventava bianco al sole! La sua casa! "Accidenti a Melania" pensava continuamente. "Perché non se n'è andata a Macon con zia Pitty? Doveva stare lì, coi suoi parenti, non con me. Io non sono del suo sangue. Perché tiene tanto a stare con me? Se lei se ne fosse andata a Macon, io sarei andata a casa, dalla mamma, e anche adesso... potrei tentare di arrivarci, malgrado gli yankees, se lei non aspettasse il bambino. Forse il generale Hood mi darebbe scorta. Ma no, devo aspettare questo bambino!... Oh, mamma, mamma! Non morire! Perché non arriva mai questo bambino? Ho visto oggi il dottor Meade e gli ho chiesto se non c'è modo di affrettare un parto... Il dottor Meade ha detto che Melania non ha avuto una buona gravidanza. Dio mio... potrebbe anche morire! Melania morta. Melania morta. E Ashley... no, non devo pensar questo. Ma Ashley... no, non debbo pensar questo, perché probabilmente è morto. Ma mi ha fatto promettere di aver cura di lei. E se io non me ne occupassi e lei morisse... e Ashley fosse ancora vivo... No, non devo. È peccato. E ho promesso a Dio di essere buona se non fa morire la mamma. Ma se il bambino venisse... Se potessi andar via da qui... a casa... dovunque, ma non qui." Rossella odiava la vista della città che un tempo aveva amata. Atlanta non era più il luogo gaio, disperatamente gaio che le era piaciuto. Sembrava una città colpita dalla peste, tanto era spaventosamente tranquilla dopo il frastuono dell'assedio. Lo strepito e il pericolo del bombardamento erano perlomeno eccitanti. Questo silenzio era orrendo. I volti che si vedevano in istrada erano contratti, e i pochi soldati che s'incontravano avevano l'espressione esausta di corridori che si imponessero un ultimo sforzo in una corsa già perduta. L'ultimo giorno di agosto giunsero voci che riferivano come si stesse combattendo la più fiera battaglia dopo quella di Atlanta. In una località al sud. In attesa dell'esito della battaglia, Atlanta smise perfino di tentar di ridere. Tutti si rendevano conto di ciò che i soldati sapevano già da due settimane: che se la ferrovia di Macon cadeva, anche Atlanta era perduta. La mattina del primo settembre Rossella si svegliò con una soffocante sensazione di terrore, un terrore che la sera prima aveva dimenticato nel sonno. Ancora assonnata pensò: "Di che cosa ero tanto preoccupata ieri sera? Ah sì, della battaglia. Stavano combattendo, ieri. Chi avrà vinto?" Si drizzò a sedere in fretta, strofinandosi gli occhi; e il suo cuore turbato sentì nuovamente tutto il peso che lo angosciava il giorno prima. L'aria era opprimente anche in quell'ora mattutina, calda della promessa di un meriggio infocato. La strada era silenziosa. Nessun carro cigolava, nessun soldato sollevava col suo calpestio la polvere rossa. Nessuna pigra voce di schiavo dalle cucine del vicinato, nessun rumore piacevole di preparativi per la colazione, perché tutti i vicini, eccetto le signore Meade e Merriwether, si erano rifugiati a Macon. E nemmeno dalle case di queste giungeva alcun rumore. Il silenzio le sembrò più sinistro che nelle mattine della settimana precedente, già così stranamente silenziosa. Si alzò in fretta e andò alla finestra sperando di vedere qualcuno. Ma la strada era vuota. Notò che le foglie degli alberi erano ancora verdi, ma secche e coperte di polvere rossa; e osservò che i fiori dinanzi alla casa, non curati da nessuno, apparivano tristi e avvizziti. Mentre guardava dalla finestra, giunse alle sue orecchie un suono distante, debole come il brontolio di un temporale lontano. "Pioggia" pensò in un primo momento; e il suo spirito campagnolo aggiunse: "Ne abbiamo proprio bisogno". Ma dopo un attimo: "Pioggia? Ma no! È il cannone!" Col cuore che le batteva si affacciò tendendo l'orecchio al brontolio lontano, cercando di distinguerne la provenienza. Ma era così distante che per un momento non riuscì a capire. - Fate che venga da Marietta, Signore; - supplicò - o da Decatur. O dal Fiumicello del Pesco. Ma non dal Sud! Non dal Sud! - Si aggrappò al davanzale e in quel momento il rombo le sembrò più forte. Veniva dal Sud. Il cannone laggiù! Al sud era Jonesboro, Tara... e Elena. Forse in questo momento gli yankees erano a Tara! Ascoltò ancora, ma il ronzio del suo sangue nelle orecchie le impedì di udire. No, non potevano essere ancora a Jonesboro. Il suono sarebbe più indistinto. Ma dovevano essere almeno a dieci miglia sulla strada verso Jonesboro. Il cannone nel Sud poteva significare i rintocchi funebri per la caduta di Atlanta. Ma per Rossella una battaglia al Sud significava soltanto battaglia vicino a Tara. Si torse le mani e per la prima volta pensò che l'armata grigia poteva essere battuta. Fu il pensiero delle migliaia di soldati di Sherman, così vicini a Tara, che le fece comprendere l'orrore della guerra, più che non l'avessero fatto il rombo dei cannoni che infrangeva i vetri delle finestre, le privazioni di cibo e di vestiario, le file interminabili di moribondi. Se anche gli yankees fossero battuti, forse indietreggerebbero sulla strada di Tara. E Geraldo non poteva fuggire con tre donne ammalate. Dalla cucina le giunse l'acciottolio di tazze: era Prissy che preparava la colazione. Ma non si udì la voce di Betsy. L'acuta e malinconica vocetta di Prissy accennò le prime note di una mesta canzone popolare... La canzone rattristò maggiormente Rossella, la quale si avvolse in uno scialle e scese nel vestibolo gridando: - Smettila di cantare, Prissy.Un malinconico "Sì, padrona" le giunse, ed ella respirò profondamente, ma con un lieve senso di vergogna. - Dov'è Betsy? - Non sapere. Non essere venuta.Rossella andò sino alla porta di Melania e aperse una fessura per guardare nella camera soleggiata. Melania era a letto, con gli occhi chiusi cerchiati di nero, il visino triangolare gonfio, e il corpo sottile completamente deformato. Rossella si augurò perfidamente che Ashley potesse vederla in quello stato. Era più brutta di qualsiasi altra donna nelle sue condizioni. Mentre la guardava, Melania aperse gli occhi e un dolce sorriso le illuminò il volto. - Entra, - la invitò volgendosi faticosamente su un fianco. - Sono sveglia dall'alba. Vorrei chiederti una cosa.Rossella entrò e sedette sul letto, su cui battevano i raggi del sole. Melania le prese la mano, stringendola affettuosamente. - Sono preoccupata per il cannone - disse. - E' verso Jonesboro, non è vero? - Uhm! - fece Rossella; e il cuore ricominciò a batterle più in fretta. - So quanto sei turbata. La settimana scorsa, quando ha saputo che la tua mamma stava male, saresti andata a casa se non fosse stato per me! Non è vero? - Sì - rispose Rossella sgarbata. - Cara Rossella! Sei stata così buona. Nessuna sorella avrebbe potuto essere più coraggiosa e più gentile. E io ti voglio bene per questo.- Rossella la fissò. Le voleva bene? Che sciocca! - E sono stata qui a riflettere, e voglio chiederti un grande favore. - Le strinse la mano più forte. - Se muoio, prenderai tu il mio bambino? Gli occhi di Melania erano dilatati e supplichevoli. - Lo prenderai? Rossella respinse la sua mano, presa dal terrore. Terrore che le indurì la voce. - Non essere sciocca, Melly. Non morirai. Tutte le donne credono di dover morire quando hanno il primo bambino. L'ho creduto anch'io.- No, tu non hai mai avuto paura di nulla. Lo dici per darmi coraggio. Io non ho paura di morire, ma di lasciare il bimbo se Ashley è... Rossella, promettimi di prendere il bimbo con te, se muoio. Allora non avrò più paura. Zia Pitty è troppo vecchia; Gioia e Lydia sono buone ma... desidero che tu mi prometta di occuparti di mio figlio. E se è maschio, educalo come Ashley; se è una bambina... cara, vorrei che fosse come te. - Per Giove! - esclamò Rossella balzando dal letto. - Ma non ci sono abbastanza tristezze perché tu debba anche parlar di morire? - Perdonami, cara. Ma promettimi. Credo che sarà per oggi. Ne sono sicura. Promettimi.- E va bene prometto. - disse Rossella guardandola stupita. Possibile che Melania fosse tanto sciocca da ignorare veramente che voleva bene a Ashley? O sapeva tutto e pensava che appunto a causa di quell'amore Rossella avrebbe avuto cura del bambino di Ashley? Ebbe l'impulso di rivolgerle queste domande, ma tacque quando Melania le riprese la mano e la tenne per un attimo su la sua guancia. I suoi occhi erano tornati tranquilli. - Perché credi che sarà per oggi, Melly? - Perché ho avuto dei dolori fin dall'alba, ma non molto forti.- Davvero? E perché non mi hai chiamata? Mando Prissy a cercare il dottor Meade.- No, non ancora. Sai che ha tanto da fare. Gli manderai un biglietto dicendogli che a un'ora qualunque della giornata si faccia vedere. Manda a chiamare Mrs. Meade e pregala di stare qui. Vedrà lei quando occorrerà veramente la presenza di suo marito. - Oh, finiscila di essere così altruista! Sai che hai bisogno del dottore non meno di quelli che si trovano all'ospedale. Lo mando a chiamare subito.- No, ti prego. A volte ci vuole tutta una giornata prima che il bambino nasca e io non posso trattenerlo qui delle ore, mentre quei poveri ragazzi hanno bisogno di lui. Manda a chiamare la signora. Vedrà lei.- Va bene.- 21 Dopo aver mandato a Melania il vassoio della colazione, Rossella disse a Prissy di recarsi a chiamare la signora Meade; quindi sedette con Wade per mangiare a sua volta. Ma per una volta tanto non aveva appetito. L'apprensione nervosa per Melania e il terrore del cannone le toglievano l'appetito. Il suo cuore si comportava in modo strano: per qualche minuto batteva regolarmente, poi a tonfi sordi e rapidi che le facevano quasi dolere il petto. Stentava a inghiottire la pesante farinata di granoturco; e la miscela d'orzo e di patate dolci che passava come caffè non era mai stata così ripugnante. Senza zucchero né crema, era amara come il fiele; la graminacea che doveva addolcirla ne migliorava assai poco il sapore. Respinse la tazza dopo il primo sorso. Se non vi fosse stata altra ragione per odiare gli yankees, vi era questa privazione di caffè con zucchero e crema. Wade era un po' più tranquillo e non protestava, secondo il suo solito, contro quella specie di pastone ripugnante. Ingoiava una dopo l'altra le cucchiaiate che sua madre gli metteva in bocca, mandandole giù con lunghe sorsate d'acqua. I suoi dolci occhi neri seguivano tutti i movimenti di lei, con uno sbalordimento che sembrava riflettere tutto il malcelato sgomento di Rossella. Quando ebbero finito, ella lo mandò a giocare nel cortile posteriore e lo guardò attraverso il prato con vero sollievo. Si alzò e rimase irresoluta ai piedi della scala. Salire da Melania? Non se ne sentì la forza. Perché Melania aveva scelto proprio quei giorni, per partorire! E tutti quei discorsi funebri! Sedette sul gradino più basso e cercò di ricomporsi, con un gran desiderio di sapere com'era andata la battaglia ieri, come stava andando oggi. Strano che una grande battaglia si svolgesse a poche miglia di distanza senza che se ne sapesse nulla! E com'era strano anche il silenzio di quella estrema propaggine della città, in contrasto col fragore del cannoneggiamento! Come si sentiva sola! Tranne il signor Meade e i Merriwether, tutti avevano abbandonato quella zona! Rimpianse di non avere zio Pietro, il quale avrebbe potuto andare al Quartier Generale per sapere qualche cosa. Se non fosse stato per Melania, sarebbe andata lei stessa; ma non poteva lasciarla prima che venisse Mrs. Meade. Perché non veniva? E dove si tratteneva Prissy? Si alzò e andò a mettersi sotto il porticato per vederle arrivare. Dopo un pezzo vide spuntare Prissy sola: camminava pigramente come se avesse avuto tutta la giornata di tempo e cercava di fare ondeggiare le sue sottane, torcendo il collo per vederne l'effetto. - Come te la prendi comoda! - esclamò Rossella quando la negra aperse il cancello. - Che ha detto Mrs. Meade? Quando viene? - Non c'era.- E dov'è? A che ora torna? - Io dire. - Prissy parlava lentamente, come per darsi la gioia di accrescere importanza al suo messaggio. - Cuoca avere detto che Miss Meade essere uscita presto perché giovine badrone Phil essere ferito; e miss Meade avere preso carrozza con vecchio Talbot e Betsy ed essere andata a cercarlo. Cuoca dice essere ferito grave e forse miss Meade non poter venire qui. Rossella ebbe l'impulso di scrollarla. I negri erano sempre fieri quando potevano dare una cattiva notizia. - Avanti, non stare lì come un idiota. Corri da Mrs. Merriwether e pregala di venire o di mandare la sua Mammy.- Non essere in casa, miss Rossella. Io essere passata da lei venendo a casa. Essere andata via. Casa tutta chiusa. Credo essere a ospedale. - Perciò sei stata tanto tempo! Per tua regola, quando ti mando in qualche posto, non devi "passare" da nessuno; capito? Ora vai...- Si interruppe. Chi era rimasto in città, dei loro amici, che potesse aiutarla? Ah, la signora Elsing. Certo non aveva alcuna simpatia per Rossella, ma voleva molto bene a Melania. - Vai dalla signora Elsing e spiegale bene tutto pregandola di venire qui. E stammi a sentire. Il bimbo di miss Melly sta per arrivare: ci può essere bisogno di te da un momento all'altro. Perciò spicciati! - Sì, badrona.- Svelta, ti dico! Prissy accelerò il passo in modo quasi insensibile e Rossella rientrò in casa. Esitò ancora prima di salire. Dovrebbe spiegare a Melania perché la signora Meade non poteva venire; e la notizia che Phil era gravemente ferito le avrebbe certo fatto male. Beh, le racconterebbe una frottola. Trovò Melania coricata di lato: il vassoio della colazione era intatto. - La signora Meade è all'ospedale; ho mandato a chiamare la signora Elsing. Ti senti male? - Non molto - mentì Melania. - Dimmi, Rossella, quanto tempo ci mise Wade a venire al mondo? - Pochissimo - rispose Rossella con una tranquillità che era lontana dal provare. - Ero nel cortile e feci appena a tempo a rientrare in casa. Mammy disse che era una cosa scandalosa... proprio come se fossi stata una negra! - Spero di fare anch'io come una negra - riprese Melania accennando un sorriso che si trasformò in una smorfia di dolore. Rossella guardò le anche strette di Melania, ma disse incoraggiandola: - Oh, non è poi una cosa tanto terribile.- Lo so. Forse io sono un po' vile. E... viene subito la signora Elsing? - Subito. Ora vado giù a prendere un po' d'acqua fresca per lavarti. Fa molto caldo oggi.Impiegò molto tempo a prender l'acqua, correndo continuamente alla porta per avvistare Prissy. Ma questa non si vedeva; sicché ella si decise a salire. Passò la spugna sul corpo in sudore di Melania e le pettinò i lunghi capelli neri. Dopo un'ora udì uno scalpiccio sordo sulla strada: si affacciò e vide Prissy che veniva lentamente, come prima, prendendo degli atteggiamenti come se vi fosse stato del pubblico ad ammirarla. "Un giorno o l'altro la picchierò" pensò Rossella affrettandosi a scendere le scale per andarle incontro. - Miss Elsing essere all'ospedale. Cuoca dire che molti soldati feriti arrivare con treno. Cuoca preparare zuppa per portare a badrona. E dire...- Non m'importa niente di quello che dice - interruppe Rossella sentendosi riempire di sgomento. Mettiti un grembiale pulito perché ora ti mando all'ospedale. Ti darò un biglietto per il dottor Meade; e se non c'è, lo darai al dottor Jones o a uno degli altri medici. E se non ti sbrighi a tornare, questa volta ti scortico viva.- Sì, badrona.- E domanda a quei signori le notizie della battaglia. Se non lo sanno, vai al deposito e domanda ai macchinisti che hanno condotto il treno. Domanda se stanno combattendo a Jonesboro o nelle vicinanze.- Dio Signore, miss Rossella! - e un subitaneo terrore invase il volto nero di Prissy. - Yankees non essere a Tara, vero? - Non lo so. Perciò ti dico di domandare.Prissy cominciò improvvisamente a singhiozzare ad alta voce, aumentando il senso di ansia di Rossella. - Smettila! Miss Melania ti sente. Vai presto a cambiarti il grembiale.Frettolosamente, Prissy corse nella parte posteriore della casa, mentre Rossella scarabocchiava due parole sul margine dell'ultima lettera di Geraldo: l'unico pezzetto di carta che fosse in casa. Nel ripiegarla, le caddero sott'occhio le parole di Geraldo: "... la mamma... il tifo... a nessun patto... venire a casa..." Singhiozzò quasi. Se non vi fosse stata Melania, sarebbe partita subito; anche se avesse dovuto andare a piedi! Prissy uscì di corsa, col biglietto in mano, e Rossella andò al piano di sopra, cercando una fandonia plausibile per spiegare l'assenza della signora Elsing. Ma Melania non chiese nulla. Era coricata sul dorso, e il suo viso era tranquillo; quella vista calmò per il momento Rossella. Sedette e cercò di parlare di cose indifferenti; ma il pensiero di Tara e di una possibile disfatta per opera degli yankees la torturava. Vedeva Elena morente, gli yankees che entravano in Atlanta che bruciavano tutto, uccidevano tutti. E il tuonare lontano intanto persisteva, penetrando nelle sue orecchie in ondate di spavento. Finalmente non riuscì più a pronunciar parola e rimase a fissare la finestra aperta sulla strada assolata, sugli alberi le cui foglie pendevano immote coperte di polvere. Anche Melania taceva; ad intervalli, però, il suo viso si contorceva pel dolore. Dopo ogni trafittura diceva: - Non è poi tanto terribile - ma Rossella sapeva che mentiva. Avrebbe preferito degli urli a quella silenziosa sopportazione. Sentiva che avrebbe dovuto aver compassione di Melania, ma non riusciva a mostrarle una briciola di simpatia. Era troppo tormentata dalla propria angoscia. Una volta guardò quel viso contorto dalle doglie e si chiese perché proprio lei, fra tutti al mondo, doveva essere qui con Melania in quel momento; lei che non aveva con quella donna nulla di comune, che la odiava, che sarebbe felice di vederla morta. Chi sa, forse questo desiderio sarebbe appagato, magari prima di sera. A quest'idea fu presa da un terrore superstizioso. Portava disgrazia desiderare la morte di qualcuno! E anche imprecare! Le imprecazioni ricadono su chi le lancia, diceva Mammy. Si affrettò a pregare che Melania non morisse e cominciò febbrilmente a parlare, senza neanche sapere quel che diceva. Finalmente Melania le posò una mano ardente sul polso. - Non sforzarti a discorrere, cara. So quanto sei preoccupata. E sono desolata di darti anch'io tanto pensiero.Rossella tacque, ma fu incapace di rimaner tranquilla. Che farebbe se né il dottore né Prissy tornavano in tempo? Andò alla finestra, guardò in istrada e tornò a sedere. Passò un'ora. E poi ne passò un'altra. Giunse il mezzogiorno; il sole era alto e scottante e non un soffio agitava le foglie polverose. Le doglie di Melania erano più forti adesso. I suoi lunghi capelli erano bagnati di sudore e la camicia da notte le si incollava al corpo. Rossella le asciugò il viso senza parlare; ma si sentiva invadere dal timore. Dio mio, se il bimbo si presentasse prima dell'arrivo del dottore! Che fare? Non aveva la più piccola nozione di ostetricia. Aveva contato, nell'eventualità, su Prissy, la quale sapeva tutto; almeno così aveva detto più volte. Ma dov'era Prissy? Perché non tornava? Perché non veniva il dottore? Andò di nuovo alla finestra e in quel momento le sembrò che il rombo del cannone fosse cessato. Se si allontanava, poteva significare che la battaglia era più vicina a Jonesboro oppure che... Vide Prissy che si avvicinava correndo e che, scorgendola alla finestra, aperse la bocca per un grido. Ma vedendo il panico scritto su quel volto nero e comprendendo che Melania si sarebbe spaventata udendo gridare una cattiva notizia, Rossella posò rapidamente il dito sulle labbra e lasciò la finestra. - Vado a prendere un po' d'acqua fresca - disse cercando di sorridere. Poi uscì chiudendo accuratamente l'uscio. Prissy era seduta sui gradini della scala, ansimando. - Stare combattendo a Jonesboro, miss Rossella! Dire che nostri stare perdendo. O Dio, miss Rossella! Che cosa succedere di mamma e di Pork? Oh Dio! Cosa succedere se yankees venire qui? Oh Dio...- Per l'amor di Dio, taci! - E Rossella le pose una mano sulla bocca. Che cosa succederebbe qui... e a Tara? Scacciò questo pensiero per preoccuparsi dell'urgenza immediata. - Dov'è il dottor Meade? Viene? - Non averlo visto, miss Rossella.- Come? - Non essere all'ospedale. Nemmeno miss Merriwether e miss Elsing. Un uomo aver detto che dottore essere sotto tettoia dei carri con feriti di Jonesboro, ma io avere avuto paura di andare sotto tettoia... esservi tanti moribondi. Io aver paura di morti...- E gli altri dottori? - Miss Rossella, non aver potuto trovare uno per far leggere tuo biglietto. Tutti correre per l'ospedale come matti. Un dottore aver detto a me di non seccare con bambini che nascere quando esserci tanti uomini che morire. Trovare donna per aiutarti. E allora io essere andata a chiedere notizie di battaglia perché tu avermi detto di domandare e tutti dire che si combatte a Jonesboro e...- Hai detto che il dottor Meade è al deposito? - Sì, badrona.- Stammi a sentire. Io vado a cercare il dottore e tu vai disopra, da miss Melania e farai tutto quello che ti dirà di fare. Ma se ti sfugge una parola sulla località della battaglia, ti mando subito nel Sud, quanto è vero Dio. E non dirle neanche che gli altri medici non possono venire. Hai capito? - Sì, badrona.- Asciugati gli occhi, prendi una brocca d'acqua fresca e vai su. Rinfresca miss Melania con la spugna. E dille che io sono andata a chiamare il dottore.- Essere arrivato momento, miss Rossella? - Non lo so. Ho paura che sia, ma non me ne intendo. Tu devi saperlo. Vai su.Rossella prese sulla tavola dell'anticamera il suo largo cappello di paglia e se lo mise sulla testa. Si guardò nello specchio e automaticamente respinse qualche ciocca di capelli, ma senza vedersi. Piccoli brividi irradiavano dal suo stomaco per tutto il corpo, benché si sentisse tutta sudata. Uscì in fretta nella strada assolata; nel calore soffocante sentiva le tempie batterle con violenza. Da lontano udì levarsi e poi diminuire un vocio confuso. Dopo un poco cominciò ad ansimare, perché il busto era allacciato molto stretto, ma non rallentò il passo. Il vocio diventava più forte. Verso la casa dei Leyden, in prossimità dei Cinque Punti, vi era un gran movimento; il movimento di un formicaio distrutto. Si vedevano negri correre col panico dipinto sul viso; sotto ai porticati alcuni bambini bianchi piangevano senza che nessuno se ne curasse. La strada era affollata di carri e di ambulanze rigurgitanti di feriti, e di carrozze su cui si accatastavano bauli, valige, mobili. Uomini a cavallo venivano dalle strade laterali e correvano verso il quartier generale. Dinanzi alla casa dei Bonnell vide il vecchio Amos che teneva le redini del cavallo e che la salutò con gli occhi spalancati. - Tu non andare ancora, miss Rossella? Noi andare adesso. Vecchia miss stare facendo valigia. - Andar dove? - Dio lo sa, miss. In qualche posto. Yankees stare venendo.Si affrettò senza neanche salutarlo. Gli yankees stavano venendo! Si fermò un attimo per riprender fiato e calmare il batticuore, appoggiandosi a un lampione per non svenire; in quel momento vide giungere a spron battuto un ufficiale. Istintivamente si pose in mezzo alla strada e gli fece cenno. - Fermate, per carità! Fermatevi! Egli trattenne il cavallo così improvvisamente che questi si drizzò sulle zampe posteriori. Il volto dell'ufficiale era segnato di stanchezza, ma egli si tolse ugualmente il cappello grigio. - Signora? - - Ditemi, è vero? Gli yankees stanno venendo? - Temo di sì.- Non siete certo? - Sì, signora, sono certo. Mezz'ora fa è arrivato al Quartier Generale un dispaccio dei combattenti di Jonesboro. - Di Jonesboro? Siete sicuro? - Sicuro. Inutili le menzogne pietose, signora. Il dispaccio era del generale Hardee e diceva: "Ho perduto la battaglia e sono in piena ritirata".- Oh Dio! Il volto abbronzato dell'uomo non mostrò commozione. Egli raccolse le redini e si rimise il cappello. - Un momento, signore, vi prego... Che dobbiamo fare? - Non saprei, signora. L'esercito sta evacuando Atlanta.- E ci lascia in balia degli yankees? - Pare di sì.Spronò il cavallo e Rossella rimase in mezzo alla strada coi piedi affondati nella polvere rossa. Gli yankees stavano venendo. L'esercito partiva. Che fare? Dove fuggire? No, non poteva fuggire. C'era Melania a letto, che aspettava il bambino. Ma perché le donne partorivano? Se non ci fosse Melania, lei prenderebbe Wade e Prissy e si nasconderebbe nei boschi dove gli yankees non potrebbero trovarla. Ma era impossibile portare Melania nei boschi. No, bisognava trovare il dottor Meade. Forse potrebbe affrettare il parto. Raccolse le gonne e riprese la corsa ritmando il passo sul ritornello: "Arrivano gli yankees! Arrivano gli yankees!" Cinque Punti era formicolante di gente, di carri, di ambulanze, di carrozze cariche di feriti. Da quella folla giungeva un fragore simile a quello di un mare in burrasca. Allora uno strano spettacolo colpì i suoi occhi. Frotte di donne venivano dalla parte della ferrovia portando sulle spalle prosciutti, sacchi di patate. Accanto a loro trotterellavano bambini che inciampavano sotto fasci di canne da zucchero; ragazzi più grandicelli trascinavano sacchi di granturco e di farina gialla. Donne, uomini, bambini, bianchi e negri si affrettavano, con visi sconvolti, trasportando involti e sacchi di viveri; più viveri di quanti ella ne avesse visti in un anno. A un tratto la folla si aperse per dare il passo a una carrozza nella quale era la fragile ed elegante signora Elsing, con le redini in una mano e la frusta nell'altra. Pallidissima e senza cappello, coi capelli grigi che le ciondolavano sul dorso, ella frustava il cavallo come una furia. Sul sedile posteriore della carrozza era la sua mammy negra, Melissy, che stringeva al petto con una mano un pezzo di lardo, mentre con l'altra e coi piedi cercava di trattenere le valige e le scatole ammonticchiate attorno a lei. Un sacco di piselli secchi si era aperto e il contenuto si andava disseminando lungo la strada. Rossella gridò per chiamarla, ma il vocio della folla coperse la sua voce e la carrozza continuò la sua pazza corsa. Per un istante non comprese il significato di quel movimento; ma poi, ricordando che i magazzini del commissariato erano accanto alla ferrovia capì che erano stati spalancati al popolo perché potesse salvare quanto poteva, prima dell'arrivo degli yankees. Si aperse un varco attraverso la calca, oltrepassò la folla isterica che si agglomerava ai Cinque Punti, e si diresse con la maggior velocità possibile verso il deposito. Attraverso il groviglio dei carri e delle ambulanze e una nuvola di polvere, scorse dottori, infermieri e portatori che fasciavano frettolosamente, si chinavano, sollevavano dei corpi. Meno male; almeno troverebbe subito il dottor Meade. Quando svoltò l'angolo dell'Albergo Atlanta e giunse completamente in vista del deposito e delle rotaie, si fermò sbigottita. Sotto il sole spietato, a spalla a spalla, teste contro piedi, giacevano centinaia di feriti, sulle rotaie, sui marciapiedi, sotto le tettoie dove usualmente si ricoveravano i vagoni. Alcuni erano rigidi e tranquilli, altri si torcevano gemendo. Dovunque, sciami di mosche si avventavano ronzando sui volti degli uomini; dovunque sangue, bende sudice, gemiti, imprecazioni. Sentore di sangue, di sudore di corpi non lavati, di escrementi si levava in ondate nauseabonde. Indietreggiò portandosi le mani alla bocca, sentendo che stava per rigettare. Non poteva andare avanti. Aveva visto feriti nell'ospedale, nel prato di zia Pitty, ma mai nulla di simile. Nulla che somigliasse a quest'inferno di spasimi, di fetore, di lamentazioni e...Presto, presto, presto!... Gli yankees stavano arrivando! Fece uno sforzo su se stessa e si avanzò, cercando di distinguere fra le figure di coloro che erano in piedi il dottor Meade. Ma si accorse che se non guardava dove metteva i piedi correva rischio di calpestare qualche soldato. Sollevò le gonne e cercò di dirigersi verso un gruppo di uomini che davano degli ordini ai portantini. Mani febbrili le afferravano gli abiti e voci rauche supplicavano: - Signora... acqua! Per pietà, signora, acqua! In nome di Cristo, acqua! Il sudore le rigava il volto mentre strappava il suo abito da quelle mani convulse. Se avesse calpestato uno di quegli uomini, avrebbe urlato e sarebbe svenuta. Calpestò dei morti, uomini che avevano gli occhi spalancati e le mani rattrappite sul petto dove il sangue coagulato era appiccicato alle uniformi lacere, uomini che avevano la barba indurita dal sangue rappreso e dalle cui mascelle frantumate usciva un gemito che voleva dire: "Acqua! Acqua!" Se non trovava il dottor Meade, comincerebbe a urlare anche lei, come una pazza. Guardò verso il gruppo degli uomini e gridò con tutta la sua voce: - Dottor Meade! C'è il dottor Meade? Un uomo si staccò dal gruppo e guardò verso di lei. Era il dottore. Senza giacca e con le maniche rimboccate sino alle spalle. La camicia e i calzoni erano rossi come quelli di un macellaio, e perfino l'estremità della sua barba grigia era insanguinata. Aveva il viso di un uomo ubriaco di stanchezza, di ira impotente e di ardente pietà. Ma la sua voce era calma e decisa. - Meno male che siete venuta. Ho bisogno di tutti quanti. Per un attimo ella lo fissò sbalordita, lasciando ricadere le sue gonne che andarono a sbattere sul viso di un ferito che cercò di voltare la testa per evitare quelle pieghe soffocanti. Che voleva dire il dottore? - Presto, figliuola! Venite qui. Ella raccolse nuovamente le gonne e lo raggiunse il più presto che poté attraverso le file di corpi. Gli mise una mano sul braccio e sentì che tremava di stanchezza; ma il suo volto non aveva traccia di debolezza. - Dottore! - esclamò. - Dovete venire. Melania sta per avere il bambino.Il dottore la guardò come se non capisse. Ella ripeté: - Melania. Il bambino. Dovete venire. Le...Come fare a dire certe cose con tanti uomini che sentivano? Ma non si poteva fare altrimenti. - Le doglie stanno aumentando. Vi prego, dottore! - Un bambino! Santo Dio! - tuonò il dottore. E a un tratto il suo volto si contrasse di odio e di rabbia verso un mondo nel quale potevano accadere simili cose. - Siete pazza? Io non posso lasciare questi uomini. Muoiono a centinaia. Non posso lasciarli. Trovate una donna che vi aiuti. Chiamate mia moglie.Aperse la bocca per dirgli la ragione per cui la signora Meade non poteva venire, ma si trattenne. Egli ignorava che suo figlio fosse ferito! Chi sa se sapendolo sarebbe rimasto lì... Qualche cosa nel suo intimo le disse che anche se Phil fosse moribondo, egli sarebbe rimasto al suo posto, dando il suo aiuto a centinaia di uomini anziché a uno solo. - Dovete venire, dottore. Voi stesso avete detto che sarà un parto difficile... - Era proprio lei, Rossella che diceva quelle cose indelicate ad alta voce, in quell'inferno di spasimi e di lamenti? - Morrà se non venite! Meade si liberò sgarbatamente dalla mano che posava sul suo braccio e parlò come se non la udisse. - Morire? Sì, muoiono tutti quanti... tutti questi uomini. Mancano le bende, i medicinali... chinino, cloroformio. Dio, Dio, un po' di morfina! Solo un po' di morfina per i più gravi. Solo un po' di cloroformio. Maledizione agli yankees! Maledizione agli yankees! Rossella cominciò a tremare; i suoi occhi si riempirono di lacrime di spavento. Il dottore non poteva venire. Melania morrebbe... e lei aveva desiderato che morisse. Il dottore non veniva. - In nome di Dio, dottore! Vi scongiuro! Il dottor Meade si morse le labbra; la sua mascella si irrigidì, il suo volto ridiventò freddo. - Tenterò, figliuola. Non posso promettere. Gli yankees stanno per arrivare e le truppe abbandonano la città. Non so che cosa faranno dei feriti. Non vi sono più treni. La linea di Macon è in mano loro... Ma tenterò. Correte a casa adesso. Del resto, non ci vuol molto a raccogliere un bambino. Tagliate il cordone...Si voltò perché un sergente era venuto a parlargli, e ricominciò a dare ordini indicando questo e quel ferito. L'uomo che era ai suoi piedi guardò Rossella con compassione. Ella si volse altrove: il dottore l'aveva dimenticata. Si fece nuovamente strada in mezzo ai feriti e tornò alla Via dell'Albero di Pesco. Il dottore non veniva. Doveva cavarsela da sola. Meno male che Prissy se ne intendeva... Le doleva il capo e sentiva che il corpetto dell'abito le si incollava alla pelle per il sudore. Le gambe sembrava che non volessero più portarla, e la strada le parve interminabile. Ma il ritornello "arrivano gli yankees!" ricominciò ad ossessionarla. Il cuore riprese a batterle con furia e le gambe ritrovarono un po' di forza. Attraversò nuovamente la folla ai Cinque Punti, tanto densa che non si poteva camminare sui marciapiedi. Passavano lunghe file di soldati coperti di polvere, disfatti dalla stanchezza. Sembravano migliaia, sudici, con la barba lunga, i fucili appesi alle spalle. Dietro a loro erano i carri d'artiglieria; i conducenti frustavano le mule macilente con rozzi staffili di pelle. Non aveva mai visto tanti soldati insieme. Ritirata! Ritirata! La soldatesca la respinse contro il marciapiedi affollato, ed ella sentì un acre odore di whisky di grano. Nella calca presso Via Decatur erano donne in abiti vistosi, i cui volti dipinti davano una nota di festa stranamente discordante. In gran parte erano ubriache, e i soldati a cui davano braccio erano più ubriachi di loro. Ella scorse fuggevolmente una massa di riccioli rossi e vide Bella Watling; udì il suo riso stridente e avvinazzato, mentre si aggrappava a un soldato mutilato di un braccio che barcollava. Dopo avere oltrepassato i Cinque Punti, trovò la folla meno densa; raccolse allora le gonne e riprese a correre. Dinanzi alla Chiesa wesleyana si fermò: ansimava, aveva un tremendo mal di stomaco e il busto troppo stretto le segava la vita. Piombò sui gradini della chiesa e si nascose il capo fra le mani, cercando di respirare profondamente. Non aveva mai dovuto agire di sua iniziativa, in tutta la vita. Vi era sempre stato qualcuno che aveva fatto le cose per lei, che l'aveva aiutata e protetta. Le sembrava impossibile di trovarsi così sola, senza un vicino, senza un amico. Aveva sempre avuto amici, conoscenti e schiavi volenterosi. E in quest'ora di necessità, nessuno. Era completamente sola, atterrita, lontana da casa sua. La sua casa! Se almeno fosse laggiù, a Tara... Anche con gli yankees. Anche se Elena era ammalata. Anelava al dolce viso di Elena, alle forti braccia di Mammy attorno al suo corpo. Si alzò a fatica e riprese a camminare. Giungendo in vista della casa scorse Wade che usciva dal cancello per correrle incontro, e che, vedendola, cominciò a frignare mostrandole un ditino scorticato. - Bibi! - gridava. - Fatto bibi! - Zitto! Zitto! Altrimenti ti batto. Vai nel cortile dietro alla casa a giocare. E non ti muovere. - Wade ha fame... - piagnucolò il bimbo ficcandosi in bocca il dito ferito. - Non me n'importa. Vai nel cortile e...Guardò in alto e vide Prissy alla finestra, con lo sguardo e la preoccupazione dipinti sul viso. Rossella le accennò di scendere ed entrò in casa. Che bel fresco in anticamera! Si sciolse i nastri del cappello e lo gettò sulla tavola, passandosi il braccio sulla fronte madida di sudore. Prissy scese i gradini a tre per volta. - Essere venuto dottore? - No. Non viene.- Dio, miss Rossella! Miss Melania star male.- Il dottore non può venire. Siamo sole. Bisogna che tu prenda il bambino; io ti aiuterò.Prissy spalancò la bocca agitando la lingua senza riuscire a spiccicar parola. Guardò Rossella di sbieco, agitò i piedi, inquieta, si contorse tutta. - Non fare la sciocca! - gridò Rossella infuriata da quell'espressione idiota. - Che c'è adesso? Prissy indietreggiò verso la scala. - Per carità, miss Rossella... - I suoi occhi erano pieni di vergogna e di spavento. - Ebbene? - Per carità... Bisogna avere dottore. Io... io... miss Rossella, io non saper niente di nascite di bambini. Mamma non aver mai voluto che io stare presente quando partorivano.Rossella si sentì mancare il respiro in un brivido di orrore, prima di essere invasa dall'ira. Prissy tentò di prender la fuga, ma Rossella l'afferrò. - Brutta negra bugiarda... che vuoi dire? Mi hai detto che sapevi tutto quello che bisogna fare... Qual è la verità ? Parla! - La scrollò furiosamente. - Aver detto bugia! Non sapere come aver mentito... Io aver visto solo un bambino, dopo essere nato, perché Mamma avermi mandata via per non farmi guardare.Rossella la fissò; Prissy indietreggiò nuovamente. Per un attimo la mente della giovine donna si rifiutò ad accogliere la verità; ma quando comprese che Prissy non ne sapeva di ostetricia più di quanto ne sapesse lei, si sentì infiammare dalla collera. Non aveva mai battuto uno schiavo in tutta la sua vita; ma ora percosse quella guancia nera con tutta la forza del suo braccio stanco. Prissy urlò, più per paura che per dolore e cominciò ad agitarsi per liberarsi dalla stretta di Rossella. Mentre quella gridava, il gemito al secondo piano cessò e la voce di Melania, debole e tremante, chiamò: - Sei tu, Rossella? Vieni, ti prego! Rossella lasciò il braccio di Prissy, la quale cadde a terra piagnucolando, e per un attimo rimase immobile, ascoltando il gemito che era ricominciato. Ebbe l'impressione di sentirsi schiacciare da un giogo; un peso che le gravava sulla nuca e che avrebbe sentito più greve appena avesse mosso un passo. Cercò di ricordarsi tutto quello che Elena e Mammy avevano fatto per lei quando era nato Wade; ma quasi tutto si perdeva in una nebbia confusa. Comunque, ricordando qualche cosa, parlò rapidamente e con autorità a Prissy. - Accendi il fuoco e metti a bollire dell'acqua nella caldaia. E porta su tutti gli asciugamani che trovi e quella balla di cotone. Portami anche le forbici. Non venirmi a dire che non le trovi. Cercale e portamele. Svelta. Rimise in piedi Prissy e la mandò in cucina con una spinta. Poi si irrigidì e cominciò a salire le scale. Sarebbe difficile dire a Melania che solo lei e Prissy avrebbero dovuto aiutare il bimbo a venire al mondo. 22 Come mai un pomeriggio poteva essere così lungo? E così caldo? E così pieno di mosche? Esse non cessavano dall'infastidire Melania, benché Rossella agitasse continuamente il ventaglio di palma; appena le aveva scacciate dal viso andavano a posarsi sulle gambe e sui piedi; ed ella gemeva: - Per carità! Sui piedi! Rossella aveva le braccia indolenzite. Aveva chiuso le persiane, di guisa che la camera era nella semioscurità; solo qualche puntino luminoso passava attraverso le fessure e ai lati. Gli abiti, in quel calore di stufa, diventavano sempre più bagnati di sudore a misura che le ore passavano. Prissy era accoccolata in un angolo e la sua traspirazione aveva un fetore così insopportabile che Rossella l'avrebbe mandata in cucina, se non avesse temuto che quella, appena fuori di vista, se la desse a gambe. Melania si torceva sul letto, senza tregua. A volte cercava di sollevarsi a sedere, ma ricadeva subito indietro e riprendeva a torcersi. Dapprima aveva cercato di trattenersi dal gridare, mordendosi le labbra; ma Rossella, i cui nervi erano tesi fino all'inverosimile, le aveva detto: - Non sforzarti ad essere coraggiosa, per carità. Urla, se ne hai bisogno. Non c'è nessuno che senta, all'infuori di noi. Con l'avanzarsi del pomeriggio, i gemiti di Melania aumentarono; qualche volta erano addirittura urli. In quei momenti Rossella si nascondeva la testa fra le mani coprendosi le orecchie e si contorceva augurandosi di morire. Tutto era preferibile all'essere incapace di alleviare quel martirio. Tutto era preferibile a rimanere ad attendere un bambino che impiegava troppo tempo a venire al mondo. Attendere, mentre sapeva che gli yankees erano ai Cinque Punti. Febbrilmente si pentiva di non aver prestato più attenzione ai discorsi delle donne maritate quando parlavano di maternità e di parti. Almeno ora saprebbe se Melania aveva un parto lungo o no. Ricordava vagamente che Zia Pitty raccontava di una sua amica che aveva avuto le doglie per due giorni ed era morta senza che il bimbo fosse nato. Se Melania dovesse continuare per due giorni! Ma era troppo delicata: non avrebbe potuto resistere a 48 ore di doglie. Se il bimbo non si sbrigava, morirebbe... E come potrebbe lei alzare più gli occhi in faccia ad Ashley, se questi era ancora vivo, e dirgli che Melania era morta... dopo avergli promesso di aver cura di lei? Da principio Melania aveva voluto tenere la mano di Rossella quando le doglie erano più forti; ma la stringeva talmente da stritolarle quasi le ossa. Dopo un'ora le mani di Rossella erano così indolenzite che non poteva neanche più muoverle. Quindi annodò insieme due lunghi asciugamani di cui legò le estremità alla spalliera del letto; poi diede a Melania la parte annodata. E quella vi si attaccò come attingendone forza, tirandola, torcendola, lacerandola. La sua voce ora somigliava a quella di un animale preso in trappola e moribondo. Ogni tanto lasciava ricadere l'asciugamani e guardava Rossella con gli occhi dilatati dalla sofferenza. - Parla, ti prego, parla! E Rossella diceva la prima cosa che le passava per la mente, finché Melania afferrava nuovamente l'asciugamani e ricominciava a torcersi. L'atmosfera era annebbiata dal caldo, dalla sofferenza, dalle mosche ronzanti e il tempo passava con una lentezza spaventosa. A Rossella sembrava di trovarsi lì da un'eternità: aveva voglia di urlare insieme a Melania e riusciva a vincersi soltanto mordendosi le labbra. Una volta Wade venne fino alla porta in punta di piedi e si fermò sulla soglia frignando. - Wade ha fame - Rossella si alzò per andare da lui, ma Melania sussurrò: - Non mi lasciare! Se tu sei qui, posso resistere! Allora Rossella mandò Prissy a riscaldare la farinata della colazione per dar da mangiare al bambino. Quanto a lei, pensò che non avrebbe mai più potuto inghiottire un boccone. L'orologio sul caminetto si era fermato e Rossella non aveva alcun modo di sapere l'ora; ma poiché il caldo soffocante era un po' scemato e i puntini luminosi si erano oscurati, ella aperse la persiana. Con sua sorpresa vide che il sole, come un'enorme palla vermiglia, era basso sull'orizzonte. Chi sa perché, aveva immaginato che non dovesse tramontare mai più. Chi sa che cosa era avvenuto in città? Chi sa se tutte le truppe avevano sgombrato? Se gli yankees erano arrivati? Se i Confederati avrebbero abbandonato il posto senza combattere? Confederati... com'erano pochi! E Sherman aveva tanti uomini e tutti ben nutriti! Sherman! Quel nome la sgomentava come quello di Satana. Ma non vi era tempo di pensarci adesso, perché Melania chiamava per avere un po' d'acqua, un asciugamani asciutto sulla testa e perché le scacciasse le mosche dal viso. Al crepuscolo, mentre Prissy, sgambettando come un piccolo fantasma nero, accendeva la lampada, Melania si sentì più debole. Cominciò a chiamare Ashley, con una insistenza che sembrava delirio, finché Rossella provò il desiderio di soffocare quella voce monotona con un guanciale. Forse il dottore avrebbe finito col venire. Con un barlume di speranza, alzò la testa e ordinò a Prissy di correre alla casa del dottor Meade a vedere se lui, o la signora, fossero tornati. - E se non c'è, chiedi alla signora Meade o alla cuoca che cosa bisogna fare. Pregale di venire! Prissy uscì di corsa e Rossella la vide allontanarsi con una velocità di cui non l'avrebbe creduta capace. Dopo un certo tempo tornò, sola. - Dottore non essere venuto a casa tutto il giorno. Forse essere andato via con soldati. Miss Rossella, Mist' Phil essere finito.- Morto? - Sì, badrona. Talbot, il cocchiere avere detto che essere stato...- Non importa.- Non avere visto miss Meade. Cuoca aver detto che miss Meade voler lavarlo e seppellirlo prima che arrivare yankees. Cuoca dice che se doglie essere troppo forti, tu mettere un coltello sotto il letto e questo tagliare doglie in due.Rossella provò il desiderio di batterla ancora; ma Melania aveva spalancato gli occhi terrorizzata e stava bisbigliando... - Dio mio... stanno venendo gli yankees? - No - rispose Rossella risoluta. - Prissy è una bugiarda.- Sì, badrona - annuì Prissy con calore. - Stanno arrivando - sussurrò Melania senza lasciarsi ingannare; e nascose il viso tra i guanciali. La sua voce giunse alle orecchie di Rossella come un soffio. - Il mio povero piccino... Il mio povero piccino... - E, dopo un lungo intervallo: - Tu non devi restare qui, Rossella. Devi prendere Wade e andar via.Era ciò che Rossella pensava; ma udirlo da Melania la irritò, e le diede un senso di vergogna, come se la sua vigliaccheria fosse scritta a chiare lettere sul suo viso. - Non dire sciocchezze. Non ho paura. E sai che non ti lascerò.- Potresti anche andare... Tanto, io sto per morire... - E riprese a mugolare. Rossella discese le scale al buio, lentamente, sorreggendosi alla ringhiera come una vecchia, per paura di cadere. Aveva le gambe pesanti, e rabbrividiva dal freddo, malgrado il sudore vischioso che le inondava il corpo. Si trascinò faticosamente fino al porticato e piombò sui gradini. Si appoggiò a una colonna del porticato e con mano tremante si sbottonò il corpetto. La notte era buia ed ella rimase con lo sguardo fisso nell'oscurità, completamente istupidita. Tutto era compiuto. Melania non era morta e il neonato, che frignava come un gattino, stava prendendo il suo primo bagno fra le mani di Prissy. Melania dormiva. Come poteva dormire, dopo quell'incubo di doglie spaventose e dopo quell'aiuto ignorante che doveva averle fatto più male ché bene? Perché non era morta? Ma Rossella sapeva che in questo caso sarebbe morta anche lei. Quando tutto era terminato, Melania aveva perfino mormorato (così piano che ella aveva dovuto avvicinare l'orecchio alla sua bocca per capire) "Grazie". E poi si era addormentata. Rossella dimenticava che anche lei aveva dormito dopo la nascita di Wade. Aveva il cervello vuoto; la vita non era mai esistita prima di quella interminabile giornata e non esisterebbe mai più dopo... Soltanto una notte calma e pesante, soltanto il suono di un respiro rauco e affannoso, soltanto il sudore che scivolava dalle ascelle ai fianchi, dalle anche alle ginocchia, freddo, vischioso, attaccaticcio. A poco a poco il suo respiro affannoso divenne un singhiozzo spasmodico, ma i suoi occhi erano asciutti e brucianti, come se non potessero spremere lacrime mai più. Si risollevò a fatica e si tirò le gonne pesanti fino a metà delle cosce. Aveva freddo e caldo nello stesso tempo e la sensazione dell'aria notturna sulle membra in traspirazione la calmava. Pensò vagamente che cosa direbbe zia Pitty se la vedesse sdraiata sotto il porticato, con le gonne rialzate in modo che si vedessero le mutandine; ma non gliene importava nulla. Non le importava più di nulla. Il tempo si era fermato. Poteva essere sera o poteva esser mezzanotte. Non lo sapeva e non le interessava di saperlo. Udì un calpestio al piano di sopra e pensò: "Dio maledica Prissy" mentre i suoi occhi si chiudevano e una lieve sonnolenza scendeva sopra di lei. Poi, dopo un intervallo indeterminato, si trovò Prissy seduta accanto, che chiacchierava soddisfatta. - Noi essere state brave, badrona. Non credo che mamma mia potere essere stata più brava.Rossella la fissò nel buio, troppo stanca per insultarla, troppo abbattuta per rimproverarla, per numerare i torti di Prissy: l'essersi vantata di un'esperienza che non aveva, e poi i suoi terrori, la sua goffaggine, la sua inutilità nel momento più grave, il suo perder le forbici proprio quando servivano, l'aver versato un catino d'acqua sul letto, l'aver lasciato cadere il bimbo appena nato. E ora veniva anche a dire che erano state brave! E gli yankees che volevano liberare i negri! Si appoggiò alla colonna senza parlare e Prissy, accorgendosi del suo umore, tornò in punta di piedi nell'oscurità del porticato. Dopo un lungo intervallo durante il quale il suo respiro finalmente si tranquillizzò, Rossella udì un rumore confuso di voci nella strada e lo scalpiccio di molti piedi. Soldati! Si drizzò lentamente, riabbassò le gonne, benché sapesse che nel buio nessuno poteva vederla. Quando giunsero dinanzi alla casa, ombre indistinte, di cui non si comprendeva il numero, ella chiamò. Una figura uscì dalla massa e si avvicinò al cancello. - Andate via? Ci lasciate? Le parve che l'ombra si togliesse il cappello; quindi una voce tranquilla rispose. - Sì, signora. Siamo gli ultimi uomini che erano nelle fortificazioni, a un miglio da qui.- Siete... Si ritira davvero l'esercito? - Sì, signora. Gli yankees stanno per arrivare.Gli yankees arrivavano! Se n'era dimenticata. La sua gola si contrasse ed ella non poté dire altro. L'ombra si mosse, si mescolò alle altre, lo scalpiccio si allontanò nell'oscurità. "Arrivano gli yankees! Arrivano gli yankees!" Era il ritmo che il suo cuore accompagnava con ogni battito. - Yankees arrivare! - schiamazzò Prissy balzandole accanto. - Oh, miss Rossella, ci ammazzeranno! Infilare loro baionette nella nostra pancia! - Taci! - Era già abbastanza terrorizzante pensare a queste cose, senza che vi fosse bisogno di esprimerle in parole. Lo spavento la invase di nuovo. Che fare? Dove fuggire? Chi potrebbe aiutarla? A un tratto le risovvenne Rhett Butler. Perché non aveva pensato a lui stamattina? Lo odiava, ma era un uomo forte e non aveva paura degli yankees. Ed era ancora in città. Certo, il loro ultimo colloquio era stato violento... Ma in questo momento, si poteva dimenticare ogni cosa. Ed egli aveva anche un cavallo e una carrozza. Potrebbe portarla via da quel luogo, lontana dagli yankees, in un luogo qualsiasi. Si volse a Prissy e le parlò febbrilmente. - Tu sai dove abita il capitano Butler... all'Albergo Atlanta? - Sì, badrona, ma...- Corri subito da lui e digli che ho bisogno che venga qui immediatamente, con la carrozza o un'ambulanza, se è possibile averla. Digli del bambino. Digli che voglio che ci porti via da qui. Corri, presto! - Dio benedetto, miss Rossella! Io aver paura di andare sola, al buio! Se gli yankees mi prendono...? - Se corri in fretta, raggiungi quei soldati che sono passati adesso, e loro non ti lasceranno prendere dagli yankees. Presto! - Io paura. E se capitano non essere in albergo? - Domanderai dov'è. Non sei capace? Se non è all'albergo, vai allo spaccio di via Decatur e domanda di lui. Vai a casa di Bella Watling. Cercalo. Ma non capisci, scema, che se non corri a cercarlo, gli yankees ci prenderanno davvero tutte quante? - Mamma mi picchierebbe se sapere che io andare in uno spaccio o in casa di quelle donne. Rossella le diede uno spintone. - Se tu non vai, te la faccio pagare. Non puoi metterti fuori a chiamarlo? O chiedere a qualcuno se c'è? Avanti, via! Vedendo che Prissy esitava ancora agitando i piedi e borbottando, Rossella le diede un altro spintone che la mandò a cadere lunga distesa sui gradini. - Se tu non vai, ti venderò e non vedrai mai più tua madre e nessuno di quelli che conosci. E ti venderò per lavorare nei campi, per di più! Corri! - Dio mio, miss Rossella...Ma sotto la spinta decisa della mano della sua padrona, discese i gradini della breve scalinata. Il cancello si aperse e Rossella gridò: - Corri, oca! Udì il calpestio dei piedi di Prissy mutarsi in un passo di corsa che si allontanò sul terreno soffice. 23 Rossella rientrò nel vestibolo e accese la lampada. La casa era soffocante, come se avesse conservato fra le sue pareti tutto il calore del pomeriggio. La stanchezza cominciava a farsi meno sensibile; era piuttosto lo stomaco, ora, che reclamava un po' di cibo. Si ricordò che non aveva ingoiato nulla dalla sera prima, eccetto una cucchiaiata di farinata, e prendendo la lampada andò in cucina. Il fuoco era spento. Trovò mezza pagnotta di pane di granturco e lo addentò avidamente mentre cercava se non vi era altro. C'era ancora un po' di farinata nella pentola; la mangiò col cucchiaio da cucina, senza neanche prendersi la pena di metterla in un piatto. Era senza sale; ma era troppo affamata per farvi caso. Dopo quattro cucchiaiate, il calore della cucina le sembrò insopportabile; quindi tenendo la pagnotta in una mano e la lampada nell'altra, tornò nel vestibolo. Avrebbe dovuto risalire e sedersi accanto a Melania. Sapeva che questa era troppo debole per chiamare, se si sentiva male. Ma l'idea di tornare in quella stanza ove aveva trascorso tante ore d'incubo la sgomentò. Non voleva più rivedere quella stanza: neanche se Melania fosse in procinto di morire vi rientrerebbe! Posò la lampada sul davanzale della finestra e tornò sotto al porticato. Era molto più fresco, benché la notte fosse sommersa in un calore dolce. Sedette sui gradini, nel debole cerchio di luce gettato dalla lampada, e continuò a masticare il pane di granturco. Dopo averlo mangiato, sentì tornarsi un po' di forza; e con la forza tornò anche il pungiglione dello spavento. Percepiva un rumore lontano, ma non riusciva a capire di che si trattasse. Cercò di ascoltare: il rumore aumentava e diminuiva di intensità, ma rimaneva sempre indistinto. I muscoli le dolevano per la tensione. Anelava di sentire lo scalpitare di un cavallo e di vedere gli occhi di Rhett che ridevano delle sue paure. Certo Rhett le porterebbe via. Non sapeva dove; ma non si curava di saperlo. Mentre si sforzava di distinguere qualche cosa nell'oscurità, in direzione della città, una lieve luce apparve al disopra degli alberi e divenne in breve più chiara. Il cielo si colorò di rosso sempre più vivo; e a un tratto una lunga lingua di fiamma si levò nel buio fondo. Balzò in piedi, mentre il cuore ricominciava la sua danza disordinata. Gli yankees erano arrivati! Erano arrivati e incendiavano Atlanta. Le fiamme sembravano venire dall'est verso il centro della città; si facevano sempre più alte e si allargavano rapidamente in un'enorme cortina vermiglia dinanzi ai suoi occhi atterriti. Doveva essere un intero blocco di case che ardeva. Un lieve soffio di brezza che si era levato portò fino alle sue nari un odore di bruciaticcio. Salì di volo le scale e corse alla finestra della sua camera per veder meglio. Il cielo aveva assunto un colore orrendo e grosse nuvole di fumo nero rimanevano sospese al disopra delle fiamme. Come una pazza, cercò di calcolare quanto tempo poteva occorrere perché il fuoco giungesse nella via dell'Albero di Pesco; fra quanto arriverebbero gli yankees alla casa di mattoni; dove fuggirebbe, che cosa farebbe. Le sembrava che tutti i demoni dell'inferno le urlassero nelle orecchie, e nel cervello aveva una confusione vorticosa. Si appoggiò al davanzale, cercando di chiamare a raccolta i pensieri. "Debbo pensare. Debbo." Ma non riusciva a fissare un pensiero; tutti le sfuggivano come uccellini spauriti. In quella, una tremenda esplosione la fece sobbalzare, più violenta di tutte le cannonate che aveva udito fino allora. Il cielo fu illuminato da una fiammata gigantesca. Altre esplosioni seguirono. La terra tremò e i vetri della finestra si frantumarono, cadendole attorno in schegge. Fu un inferno di fragore e di fiamme; le esplosioni si susseguivano assordanti. Torrenti di scintille salivano in alto e ridiscendevano lentamente, pigramente, tra le nubi di fumo sanguigno. Le sembrò di udire un debole richiamo dalla stanza accanto, ma non vi badò. Ora non aveva tempo per Melania. Non aveva tempo per nulla, se non per il terrore che le correva nelle vene con la stessa rapidità delle fiamme che vedeva. Era una bimba pazza di spavento e avrebbe voluto poter nascondere il capo nel grembo di sua madre per non vedere più quell'orrore. Se fosse a casa sua! A casa, con la mamma. Attraverso i rombi udì il rumore di un passo che saliva i gradini a tre per volta e una voce che guaiva, come quella di un cane sperduto. Prissy irruppe nella stanza e si afferrò al braccio di Rossella in una stretta convulsa. - Gli yankees... - gridò Rossella. - No, essere i nostri! - urlò Prissy ansimando, ficcando le unghie nel braccio di Rossella. - Stare incendiando fonderia e deposito di viveri dell'esercito e magazzini di armi ed essere settanta carri di palle da cannone e polvere da sparo... e i nostri dare fuoco a tutto, misericordia di Dio! Ricominciò a urlare e gemere e strinse così forte il braccio di Rossella che questa gridò e si svincolò. Gli yankees non erano ancora arrivati! C'era ancora il tempo di fuggire! Raccolse tutte le sue forze. "Se non mi padroneggio" pensò "mi metterò a urlare come un gatto scorticato!" E la vista dell'abietto terrore di Prissy la aiutò a irrigidirsi. Afferrò la negra alle spalle e la scrollò. - Smettila con queste sciocchezze! Gli yankees non sono arrivati, stupida! Hai visto il capitano Butler? Che ti ha detto? Viene? Prissy smise di urlare, ma batteva i denti. - Sì, badrona. Finalmente avere trovato. In uno spaccio, come tu avere detto...- Non m'importa dove. Viene? Gli hai detto di portare il cavallo? - Avere detto che nostri soldati avergli preso cavallo e carrozza per fare un'ambulanza.- Dio santo! - Ma venire lo stesso...- E che ha detto? Prissy aveva ripreso fiato, ma continuava a spalancare gli occhi. - Lui essere dentro spaccio e io avere chiamato e lui essere venuto fuori. E mentre io cominciare a parlare, soldati aver dato fuoco a una bottega in via Decatur e lui avermi preso per mano ed essere corso con me fino a Cinque Punti e avere detto: "Cosa c'è? Parla presto". E io avere detto tu avere detto che lui venire subito con carrozza; e miss Melly aver fatto bambino e tu volere andar via. E lui dire: "Dove?" E io dire: "Non sapere, ma voler fuggire per yankees e volere andare con te". E lui ridere e dire che soldati avere preso suo cavallo. Rossella si sentì morire: l'ultima sua speranza svaniva. Sciocca, come mai non aveva pensato che l'esercito in ritirata avrebbe preso ogni veicolo e ogni animale da tiro o da sella? Per un attimo rimase talmente sgomenta che non udì quello che Prissy le stava dicendo; ma si riebbe quasi subito per ascoltare. - E avere poi detto: "Dire a miss Rossella di stare tranquilla. Io rubare per lei un cavallo all'esercito, se essere rimasto". Dire: "Io rubare stasera stesso, anche se mi ammazzare". Poi ridere ancora e dire: "Tu correre a casa". E prima che io essermi mossa, buuuuum! uno strepito spaventoso e lui dire "non aver paura; essere nostre munizioni che far saltare per non dare agli yankees..." - Viene? Porta un cavallo? - Così avere detto. Trasse un profondo sospiro di sollievo. Se era possibile procurarsi un cavallo, Rhett Butler se lo procurerebbe. Un uomo in gamba, Rhett. Se la toglieva da quella situazione, gli perdonerebbe tutto. Fuggire! Con Rhett non aveva più paura. Rhett le proteggerebbe. Bisognava ringraziare Dio... Con la prospettiva della salvezza, tornò ad avere lo spirito pratico. - Sveglia Wade e vestilo e metti assieme un po' di vestiti per tutte noi e per lui. Mettili nel baule piccolo. E non dire a miss Melly che dobbiamo andar via. Non ancora. Ma avvolgi il bimbo in un paio di asciugamani pesanti e metti nel baule anche la sua roba. Prissy era ancora aggrappata alle sue gonne; roteava gli occhi di cui non si vedeva che il bianco. - Spicciati! - gridò Rossella sospingendola. Prissy lasciò la presa e scomparve con la velocità di un coniglio. Ora Rossella avrebbe dovuto salire a tranquillizzare Melania, perché questa doveva essere atterrita dal fragore continuo e dalla luce sinistra che accendeva il cielo. Si sarebbe detta la fine del mondo. Ma non si sentì la forza di rientrare in quella camera. Corse dentro, a pianterreno, con l'idea di impacchettare le porcellane di Pittypat e la poca argenteria rimasta. Ma quando fu in sala da pranzo le mani le tremavano in modo tale che lasciò cadere tre piatti che andarono in frantumi. Corse sotto al porticato ad ascoltare e poi di nuovo in sala da pranzo: questa volta lasciò cadere le posate. Inciampò anche nel tappeto e cadde al suolo, ma si rialzò così presto che non sentì neanche il dolore. Sentiva Prissy galoppare al piano di sopra come un animale selvaggio e quel rumore la faceva impazzire, perché essa pure correva avanti e indietro senza scopo. Per la decima volta corse fuori, ma non tornò più indietro al suo inutile lavoro. Sedette. Impossibile fare qualche cosa con quel batticuore, nell'attesa di Rhett. Le sembrava che fossero passate delle ore. Finalmente, in fondo alla strada, percepì il cigolio di ruote non ingrassate e uno scalpitare lento e incerto. Perché non si affrettava? Perché non faceva trottare il cavallo? Il rumore si avvicinò; ella balzò in piedi e chiamò Rhett. Lo vide confusamente discendere da un carrozzino, udì aprirsi il cancello, e lo vide avanzarsi nel viale d'accesso. Lo vide distintamente quando giunse nell'alone di luce della lampada. Era vestito inappuntabilmente come se si fosse recato in società: giacca impeccabile e calzoni di tela bianca, panciotto ricamato di seta grigia e camicia col davanti pieghettato. Il largo cappello di panama era posato di sbieco sul capo; infilate nella cintura aveva due lunghe pistole da duello con l'impugnatura d'avorio. Le tasche della giacca erano appesantite evidentemente da munizioni. Percorse il viale col passo elastico di un selvaggio, ma col capo eretto come un principe pagano. I pericoli della notte agivano su lui come qualche cosa di inebbriante. Nel suo volto bruno era una ferocia repressa, una crudeltà che l'avrebbe spaventata, se in quel frangente fosse stata in grado di accorgersene. I suoi occhi neri brillavano senz'ombra di sgomento; come se tutto quel rumore e l'orrendo chiarore fossero spauracchi per bambini. Ella gli si precipitò incontro, pallidissima, con gli occhi accesi da una fiamma verde. - Buona sera - disse la sua voce strascicata, mentre egli si toglieva il cappello con gesto elegante. Bella serata, eh ? Ho sentito che volete fare una passeggiatina.- Non scherzate, Rhett! - E la voce di Rossella tremava. - Non mi direte di aver paura! - E finse di essere stupito, sorridendo in un modo che le diede il desiderio di buttarlo giù dalla gradinata. - Sì, ho paura! E se aveste un po' di senso comune, avreste paura anche voi. Ma non abbiamo tempo di parlare. Dobbiamo andar via. - Al vostro servizio. Ma dove vi figurate di potere andare? Io sono venuto fin qui per semplice curiosità; proprio per sentire le vostre intenzioni. Non si può andare in nessuna direzione; gli yankees sono tutt'attorno. Vi è solo una strada di cui non si sono impadroniti; ed è la strada per la quale si sta ritirando l'esercito. La cavalleria del generale Steve Lee combatte verso McDonough per proteggere la ritirata dei soldati. E se voi li seguite sulla strada di McDonough, vi prenderanno il cavallo; e benché si tratti di una bestia malandata, mi è stato ben difficile rubarla. Dove volete andare, dunque? Lo guardava, ascoltando le sue parole senza udirle. Solo a questa domanda si scosse e improvvisamente vide dove doveva andare. Non vi era che un luogo, per lei. - A casa mia.- A casa vostra? A Tara? - Sì, a Tara! Oh, facciamo presto, Rhett! La guardò, come si guarda chi ha perso il cervello. - Dio benedetto! Ma non sapete che hanno combattuto tutto il giorno a Jonesboro? Per dieci miglia a nord e dieci a sud, e perfino nelle strade della città? Gli yankees debbono essere a Tara, oramai; debbono avere occupato tutta la contea. Nessuno sa dove sono, ma sono in quei pressi. Non potete andare a casa vostra! Non potete andarvi a gettare proprio nell'esercito yankee! - Voglio andare a casa mia! Voglio andare! - Pazzerella. - Le sue parole erano rapide e la voce aspra. - Non potete andare. Anche se non vi imbattete negli yankees, sappiate che i boschi sono pieni di sbandati e di disertori di tutt'e due le parti. L'unica possibilità, è tentar di seguire le truppe per la strada di McDonough, pregando Dio che nel buio non vi vedano. Ma non potete andare a Tara. Se vi arrivate, probabilmente troverete che hanno incendiato tutto. Non vi lascerò andare è una follia. - Voglio andare a casa mia! - E la sua voce si spezzò in un urlo. -Voglio andare a casa mia! Non potete trattenermi! Ho bisogno di mia madre! Vi ucciderò se tentate di trattenermi! Lacrime isteriche le rigavano il volto. Gli picchiò i pugni sul petto urlando ancora: - Voglio andare a casa mia! Dovessi fare tutta la strada a piedi! E improvvisamente fu tra le sue braccia, con la guancia premuta contro il suo petto e le manine che tentavano ancora di batterlo. Egli le accarezzò dolcemente i capelli scompigliati; anche la sua voce era dolce. Così dolce e così priva di scherno, che non sembrava più la voce di Rhett Butler, ma la voce di un estraneo che sentiva di tabacco, di cognac e di cavalli; odori confortanti perché le ricordavano Geraldo. - Buona, cara, state buona. Non piangete. Andrete a casa vostra, mia povera piccola coraggiosa. Andrete a casa vostra. Non piangete. Ella sentì qualche cosa sui suoi capelli e nel suo turbamento pensò che fossero le labbra di lui. Era così tenero, così affettuoso che Rossella desiderò di poter rimanere per sempre fra le sue braccia. Certo non potrebbe accaderle nulla di male, con quelle braccia così forti per proteggerla! Egli frugò in tasca, trasse un fazzoletto, le asciugò gli occhi. - Avanti, soffiatevi il naso come una brava bambina - le ordinò sorridendo - e ditemi che cosa bisogna fare. Occorre far presto. Ella si soffiò il naso ubbidiente, tremando ancora, ma non seppe dirgli nulla. Vedendo che le sue labbra tremavano e gli occhi lo fissavano smarriti, egli prese il comando. - La signora Wilkes ha avuto il bambino? Sarà pericoloso farla muovere... farle fare venticinque miglia in quel carrettino sconquassato. Meglio lasciarla con Mrs. Meade. - I Meade non sono in casa. Non posso lasciarla. - E va bene. La porteremo. Dov'è quella stupidina negra? - Sta preparando il baule.- Non si può portare un baule su quel veicolo. È quasi troppo piccolo per caricare tutte voialtre e le ruote minacciano di staccarsi senza farsi pregare. Chiamatela e ditele di prendere il più piccolo materasso di piume che è in casa e metterlo nel carro.Rossella si sentì nuovamente incapace di muoversi; ma egli le afferrò il braccio e un po' della vitalità che lo animava sembrò passare nel corpo di lei. Se potesse lei pure essere così fredda e positiva! Sulla soglia del vestibolo si fermò ancora, esitante; ma egli, con leggera beffa, le disse: - E questa è l'eroica donna che mi assicurava di non temere né Dio né gli uomini? Lo fissò, con odio. - Non ho paura. - Sì, avete paura. State per svenire e io non ho sali con me. Ella batté i piedi impotente; e senza una parola prese la lampada e cominciò a salire le scale. Egli la seguiva dappresso e Rossella lo udì ridere piano tra sé. Entrò nella stanza di Wade e lo trovò rannicchiato fra le braccia di Prissy, mezzo vestito e singhiozzante sommessamente. Prissy piagnucolava. Il materassino del letto di Wade era abbastanza piccolo, sicché Prissy ricevette l'ordine di portarlo giù e metterlo nella vettura. Wade la seguì; l'interesse di ciò che accadeva calmava alquanto i suoi singhiozzi convulsi. - Venite - disse Rossella avvicinandosi verso la porta di Melania seguita da Rhett, che teneva il cappello in mano. Melania giaceva tranquilla col lenzuolo tirato su fino al mento. Era mortalmente pallida, ma i suoi occhi incavati e cerchiati di nero, erano sereni. Non parve sorpresa di vedere Rhett nella sua camera, come se fosse una cosa naturale. Cercò di sorridere, ma il sorriso le morì sulle labbra. - Andiamo a casa mia a Tara - spiegò Rossella rapidamente. - Gli yankees stanno arrivando. Rhett ci accompagna. È l'unica salvezza, Melly. Melania cercò di annuire debolmente e fece un gesto verso il piccolo, Rossella prese in braccio il piccino e lo avvolse in un panno pesante. Rhett si avvicinò al letto. - Cercherò di non farvi male - disse raccogliendole intorno il lenzuolo. - Cercate di cingermi il collo con le braccia.- Melania tentò ma le sue braccia ricaddero. Egli si chinò, le passò un braccio sotto le spalle, un altro sotto le ginocchia e la sollevò dolcemente. Ella non fiatò; ma Rossella vide che si morse le labbra diventando anche più pallida. Rhett si avviò verso la porta e mentre Rossella alzava la lampada per fargli lume, Melania fece un debole gesto verso la parete. - Che cos'è? - chiese Rhett dolcemente. - Vi prego - bisbigliò Melania cercando di indicare. - Carlo. Rhett la guardò credendo che delirasse, ma Rossella comprese e ne fu irritata. Melania desiderava il dagherrotipo di Carlo che era tra la sua sciabola e la pistola. - Ti prego - bisbigliò ancora Melania - la sciabola. - Va bene - rispose Rossella; e dopo avere fatto lume a Rhett che scendeva con precauzione, tornò indietro e staccò la sciabola e la cintura con la pistola. Sarebbe stato scomodo portar le armi insieme alla lampada avendo in braccio anche il bambino. Erano sempre le idee di Melania, che pure essendo moribonda e con gli yankees alle calcagna, si preoccupava dei ricordi di Carlo. Nel prendere il dagherrotipo vi gettò uno sguardo. Quell'uomo era stato suo marito, aveva dormito con lei alcune notti, le aveva dato un bimbo con gli occhi neri e dolci come i suoi; ed ella stentava a ricordarselo. Il piccino agitò i piccoli pugni ed emise un lieve vagito; Rossella lo guardò e per la prima volta pensò che era il bambino di Ashley. E in quell'attimo desiderò con tutte le forze che le erano rimaste che fosse suo: suo e di Ashley. Prissy risalì le scale e Rossella le porse il bambino. Discesero in fretta, con la lampada che faceva danzare ombre incerte. Nel vestibolo Rossella vide un cappello e se lo mise in fretta annodando i nastri sotto al mento. Era il cappello di lutto di Melania, e non le stava in testa, ma Rossella non riuscì a ricordarsi dove aveva messo il suo. Uscì dalla casa portando la lampada e la sciabola. Melania era sdraiata nel fondo del carro e accanto a lei erano Wade e il neonato che Prissy aveva deposto sul materasso e che ora riprese in braccio. Il carro era realmente piccolo e le sponde erano molto basse. Le ruote erano inclinate in dentro e davano l'impressione che al primo movimento si potessero staccare. Rossella diede un'occhiata al cavallo e si sentì venir meno. Era un animale piccolo e magro con la testa che pendeva quasi fino a toccare le gambe anteriori. Il suo dorso era tutto cicatrici e il respiro era quello di un cavallo bolso. - Non è un cavallo di razza, vero? - rise Rhett. - Pare che stia per esalare l'ultimo respiro fra le stanghe. Ma è quel che ho trovato di meglio. Un giorno o l'altro vi racconterò con tutti i particolari dove e come l'ho rubato, e come c'è mancato poco che mi buscassi una fucilata. Solo il mio affetto per voi mi ha fatto diventare, a questo punto della mia brillante carriera, ladro di cavalli... e di un cavallo simile. Lasciate che vi aiuti. Le prese di mano la lampada e la posò a terra. Il sedile davanti era soltanto un'assicella appoggiata sulle due sponde. Rhett prese in braccio Rossella e la posò sul sedile. "Che bellezza essere un uomo così forte," pensò mentre si raccoglieva le ampie gonne. Accanto a lui non temeva nulla: né il fuoco né le esplosioni né gli yankees. Egli si arrampicò sul sedile accanto a lei e raccolse le redini. - Aspettate! - esclamò Rossella. - Ho dimenticato di chiudere la porta. Rhett scoppiò in una risata e frustò il cavallo con le briglie. - Di che ridete? - Di voi... che volete chiudere fuori gli yankees.Il cavallo si avviò lentamente, con riluttanza. La lampada sulla soglia continuava ad ardere, facendo un piccolo cerchio giallo di luce che divenne più piccolo a misura che essi si allontanavano. Rhett volse il cavallo a ovest dell'Albero di Pesco, e il carro traballante sobbalzò così violentemente sulla strada piena di buche, da strappare un gemito a Melania. Gli alberi oscuri s'intrecciavano al di sopra dei loro capi e ai due lati della strada le case buie e silenziose si distinguevano chiaramente, e le bianche palizzate delle barriere spiccavano come una fila di pietre sepolcrali. La strada stretta sembrava una oscura galleria, ma attraverso il denso fogliame rosseggiava l'orrendo bagliore del cielo, e le ombre si avvicendavano sulla strada nera come una danza di spettri. L'odore del fumo si faceva sempre più intenso e, sulle ali della brezza ardente, giunse un pandemonio di suoni dal centro della città; erano urla ed era il cupo rombo dei pesanti carri dell'esercito e il calpestio degli innumerevoli piedi che marciavano. Quando Rhett fece voltare il cavallo in una strada laterale un'altra esplosione assordante lacerò l'aria, ed un razzo mostruoso fatto di vampe e di fumo si proiettò verso il cielo a occidente. -Deve essere l'ultimo treno di munizioni - fece Rhett, calmo.- Non so perché non le hanno portate via stamattina, quegli sciocchi! C'era tutto il tempo. Beh, peggio per loro. Credevo che girando attorno al centro della città, avremmo evitato il fuoco e la folla ubriaca, raggiungendo senza pericolo la parte meridionale. Ma dobbiamo attraversare in un punto qualsiasi la via Marietta, e quest'esplosione, se non mi sbaglio, è avvenuta proprio in quei paraggi. - Dobbiamo... dobbiamo attraversare il fuoco? - chiese Rossella balbettando. - Se facciamo presto, no - rispose Rhett; e balzando giù dal carretto, scomparve nell'oscurità di un cortile. Quando tornò aveva tra le mani un ramo di albero che batté senza pietà sul dorso piagato del cavallo. L'animale prese un trotto pesante, ansimando e stentando; e il carro balzò in avanti con una scossa che li gettò uno sull'altro. Il bimbo emise un vagito, e Prissy e Wade gridarono; solo da Melania non si udì lamento. Avvicinandosi a via Marietta, gli alberi erano più radi e le enormi fiamme che salivano dagli edifici illuminavano la strada e le case come se fosse di pieno giorno creando ombre mostruose che si torcevano come vele lacerate di una nave che sta per affondare. Rossella batteva i denti; aveva freddo e tremava benché il calore delle fiamme fosse quasi contro il loro volto. Questo era l'inferno, ed essa vi si trovava; se ne avesse avuto la forza sarebbe balzata giù dal carro e sarebbe corsa nuovamente verso la strada buia da cui erano venuti, verso il rifugio della casa di Pittypat. Si strinse di più a Rhett, afferrò il suo braccio con dita tremanti, e lo guardò cercando una parola, un conforto, qualche cosa che la rassicurasse. Nel bagliore vermiglio che li avvolgeva, il suo profilo bruno si disegnava come un'antica medaglia; bello, crudele e decadente. Al suo contatto egli si volse verso di lei con gli occhi pieni di una luce che la spaventò come quella dell'incendio. - Guardate, - le disse, posando una mano sull'impugnatura di una delle pistole che aveva alla cintura se chiunque, bianco o negro, si avvicina al carro dalla vostra parte e cerca di mettere una mano sul cavallo, sparate; lo interrogheremo dopo. Ma per carità non sparate sul cavallo. - Ho... ho una pistola - sussurrò Rossella stringendo convulsamente l'arma che aveva in grembo, sicura che se la morte l'avesse guardata in faccia, ella avrebbe avuto troppa paura per far scattare il grilletto. - Davvero? E dove l'avete presa? - E' quella di Carlo.- Carlo? - Sì... mio marito.- Ma avete mai avuto veramente un marito, mia cara? - mormorò egli e rise dolcemente. Ma perché non aveva serietà, neanche in quel momento? Perché non correva? - E come pensate che io abbia avuto un bambino? - esclamò irritata. - Oh, c'è modo anche senza marito...- Volete tacere e affrettarvi? Ma egli tirò le redini bruscamente fermandosi nell'ombra di una casa, presso via Marietta, non toccata dalle fiamme. - Presto! - era la sola parola che ella potesse pensare. Presto! Presto! - Soldati - disse Rhett. I soldati del distaccamento scendevano da via Marietta, fra gli edifici in fiamme, con passo stanco, i fucili tenuti alla meglio, le teste basse, troppo affaticati per affrettarsi, per preoccuparsi delle travi che crollavano a destra e a sinistra e del fumo che li investiva. Erano tutti laceri, al punto che non vi era differenza tra ufficiali e soldati; soltanto qua e là, su qualche cappello, era appuntato un logoro distintivo con la scritta: "C.S. A." (1). Molti erano scalzi; qua e là una fasciatura sudicia bendava un braccio o una testa. Passarono, senza guardare né a destra né a sinistra, così silenziosi che se non fosse stato per il calpestio, si sarebbe potuto credere che fossero fantasmi. - Guardateli bene - disse la voce schernevole di Rhett - così potrete dire ai vostri nipotini, un giorno, che avete visto la retroguardia della Gloriosa Causa in ritirata. Rossella, a un tratto, sentì di odiarlo, con una forza che in quel momento superò il suo sgomento e lo fece apparire meschino e insignificante. Sapeva che la sua salvezza e quella di coloro che erano nel carro dietro a lei dipendevano da lui, da lui solo; ma lo detestò ugualmente perché scherniva quelle file cenciose. Pensò a Carlo morto, ad Ashley forse morto egli pure, e a tutti gli allegri e valorosi giovani sepolti alla meglio chi sa dove; e dimenticò che anche lei, una volta, li aveva considerati degli sciocchi. Non riuscì a spiccicar parola, ma gli occhi che fissò sopra di lui ardevano di odio e di disgusto. Al passaggio delle ultime file, una figura piccola che trascinava il fucile nella polvere, barcollò, si fermò, guardò gli altri con volto istupidito di un sonnambulo. Era piccolo come Rossella; il suo fucile era quasi più grande di lui e il viso sudicio era imberbe. "Al massimo sedici anni" pensò Rossella; "sarà uno della Guardia Nazionale o un ragazzo fuggito dalla scuola." Mentre ella lo guardava, le ginocchia del ragazzo si piegarono lentamente ed egli cadde nella polvere. Un altro, un uomo alto e barbuto, si chinò; porse il proprio fucile e quello del ragazzo a un compagno, poi sollevò il corpo sottile e se lo pose sulle spalle, ricominciando a camminare, appena curvo sotto il peso, mentre il ragazzo, infuriato come un bimbo preso in giro, gridava disperatamente: - Mettimi a terra! Posso camminare! Mettimi a terra, ti dico! L'uomo barbuto non rispose e scomparve col suo peso all'angolo della strada. Rhett, con le redini abbandonate, taceva: sul suo volto era una strana espressione di tristezza. In quel momento vi fu a pochi passi da loro uno scroscio di travi che crollavano e Rossella vide una lunga e sottile lingua di fiamma levarsi dal tetto del magazzino accanto al quale si erano riparati. Quindi larghi drappi sanguigni rischiararono il cielo; il fumo li investì e Wade e Prissy cominciarono a tossire. - In nome di Dio, Rhett! Siete pazzo? Presto, presto. Rhett non rispose ma percosse crudelmente col ramo d'albero il dorso del cavallo che fece un balzo in avanti. Con tutta la velocità che fu possibile ottenere attraversarono traballando e rimbalzando la via Marietta. Dinanzi a loro, ai due lati della strada corta e stretta, era una doppia cortina di fuoco; una luce accecante li abbagliava, un calore intenso ardeva la loro pelle e un muggito continuo percuoteva le loro orecchie, accompagnato da crolli e scricchiolii. Attraversarono quell'inferno in un minuto che sembrò loro un secolo; e quindi, improvvisamente, si ritrovarono nella semioscurità. Mentre percorreva la strada e poi traballando sulle rotaie della ferrovia, Rhett adoperava la frusta automaticamente. Il suo volto era irrigidito e sembrava assente, quasi egli avesse dimenticato dove si trovava. Aveva le braccia strette al corpo e il mento proteso in avanti, come se fosse immerso in pensieri spiacevoli. Il calore gli faceva gocciolare la fronte e le guance, ma egli non si asciugava. Voltarono in una strada stretta, quindi in un'altra, e poi in altre ancora, finché Rossella perse completamente l'orientamento, mentre sentiva diminuire il ruggito delle fiamme. Rhett continuava a tacere. Soltanto frustava il cavallo con regolarità. Il riflesso sanguigno nel cielo andava sfumando, e la strada si faceva così spaventosamente buia, che Rossella avrebbe voluto udire una parola, magari un insulto, un'ingiuria, purché fosse una parola. Ma egli taceva. - Rhett - mormorò a un certo momento afferrandogli il braccio. -Che cosa avremmo fatto senza di voi? Come sono contenta che non siate nell'esercito! - Egli volse il capo e le diede un'occhiata che la fece indietreggiare abbandonando il suo braccio. Non vi era sarcasmo, ora, nei suoi occhi; ma piuttosto un'espressione di collera e anche di stupore. Torse le labbra volgendo nuovamente il capo. Per un pezzo proseguirono in un silenzio interrotto soltanto dai lievi vagiti del bimbo e da qualche gemito di Prissy. Finalmente Rhett voltò il cavallo ad angolo retto e dopo un poco si trovarono su una strada larga e soffice. Le forme incerte delle case diventavano sempre più rare e ai due lati si stendevano folte boscaglie. - Siamo fuori città, adesso - disse Rhett brevemente tirando le redini; - e sulla strada principale per McDonough. - Presto. Non vi fermate! - Lasciate respirare un momento questa bestia.- Poi volgendosi a lei, le chiese lentamente: - Siete ancora decisa, Rossella, a commettere questa follia? - Quale? - Volete ancora tentare di arrivare a Tara? È un suicidio. Fra voi e Tara vi è la cavalleria di Lee e l'esercito yankee.Dio mio! Avrebbe ora rifiutato di condurla a casa, dopo ciò che ella aveva sopportato in quella tremenda giornata? - Oh, sì, sì! Vi prego, Rhett, sbrighiamoci. Il cavallo non è stanco. - Un momento. Non potete andare a Jonesboro seguendo la linea ferroviaria. Si è combattuto qui tutto il giorno. Conoscete altre strade, carrozzabili o sentieri, che non attraversino Jonesboro? - Oh, sì! - esclamò Rossella sollevata. - Conosco una strada carrozzabile che lascia Jonesboro di fianco e fa il giro di diverse miglia. Papà ed io la percorrevamo a cavallo. Sbuca vicino alla proprietà di MacIntosh ed è soltanto a un miglio da Tara. - Bene! Allora può darsi che riusciate. Il generale Steve Lee è stato da quella parte durante il pomeriggio di oggi per coprire la ritirata. Forse gli yankees non vi sono ancora. Quindi potete arrivare se gli uomini di Lee non vi prendono il cavallo. - Io... posso arrivare? - Sì, voi. - La sua voce era aspra. - Ma Rhett... voi... non ci accompagnate? - No. Vi lascio qui. Ella si guardò attorno con uno sguardo folle; guardò il cielo livido, gli alberi neri che sembravano le pareti di una prigione, le figure spaventate nel carro, e finalmente lui. Era impazzita? O non aveva udito bene? - Ci lasciate? E dove... dove andate? - Cara figliola, vado con l'esercito.Ella sospirò, sollevata e irritata. Perché scherzava in questo momento? Rhett nell'esercito! Dopo tutto quello che aveva sempre detto... - Che gusto spaventarmi così! Andiamo! - Non sto scherzando, mia cara. E sono dolente che voi non accettiate con spirito migliore il mio sacrificio. Dov'è il vostro patriottismo, il vostro amore per la Nostra Causa Gloriosa? Ora sarebbe il momento di dirmi che debbo tornare vittorioso o morto. Ma fate presto, perché a me occorre un po' di tempo per farvi un bel discorsetto prima di partire per la guerra. Era la solita voce beffarda. Egli la scherniva e in certo modo, scherniva anche se stesso. Non era possibile che parlasse sul serio. E non era credibile che pensasse di lasciarla su quella strada buia con una donna che poteva essere moribonda, un neonato, una piccola imbecille negra e un bimbo atterrito; non poteva lasciarle il compito di portarli attraverso miglia e miglia di campi di battaglia, in preda a mille pericoli. - Scherzate, Rhett! Gli afferrò il braccio e lacrime di terrore le sgorgarono dagli occhi. Egli sollevò la sua mano e glie la baciò leggermente. - Egoista sino alla fine, non è vero, mia cara? Pensate soltanto alla vostra preziosa salvezza e non alla valorosa Confederazione. Immaginate invece, come saranno rincorate le nostre truppe da questa mia comparsa all'ultima ora! - Nella sua voce era una maliziosa tenerezza. - Oh, Rhett, come potete farmi questo? Perché mi volete abbandonare? - Perché? - egli rise gaiamente. - Forse a causa di quella stupida sentimentalità che è appiattata in fondo a tutti noi meridionali. Forse... Forse perché mi vergogno. Chi lo sa? - Vergognarvi? Dovreste morire di vergogna a lasciarci qui, sole, senza aiuto...- Cara Rossella! Voi non siete senza aiuto, Quando si è egoisti e risoluti come voi, non si è mai abbandonati. Dio deve aiutare piuttosto gli yankees, se per caso capitate fra loro! - Scese bruscamente dal carro, e poiché ella lo guardava sbalordita, girò dalla sua parte e le ordinò: - Scendete. Ella lo fissò. Rhett la prese alla vita senza complimenti e la depose a terra accanto a lui. Tenendola leggermente alla cintura, la trasse a parecchi passi di distanza. Ella sentiva la polvere e i sassi penetrare nelle sue scarpine. Le tenebre calde l'avvolgevano come un sogno. - Non vi chiedo di comprendere o di perdonare. Io stesso non mi comprendo, e non mi perdonerò mai questa idiozia. In fondo, mi secca di trovare in me ancora tanto donchisciottismo. Ma i nostri bei Paesi del Sud hanno bisogno di ogni uomo. Non lo ha detto anche il nostro bravo governatore Brown? Ma non importa. Vado alla guerra. Rise improvvisamente, un riso squillante che destò gli echi nel bosco nero. - "Non ho potuto amarti, cara, più di quanto amassi l'onore." Un bel discorso, no? Certo migliore di quel che sarei capace di fare io in questo momento. Perché vi amo, Rossella, malgrado quel che vi ho detto quella sera sotto il porticato, un mese fa. La sua voce era carezzevole e le sue mani calde e robuste, le lisciavano le braccia nude. - Vi amo, Rossella, perché ci somigliamo tanto; rinnegati, tutti e due, e profondamente egoisti. A nessuno di noi due importa che il mondo vada in rovina, purché noi ci salviamo. Ella udiva le parole, ma non ne capiva il senso. Cercava di rendersi conto della tremenda verità: egli la lasciava sola, ad affrontare gli yankees. Il suo cervello le diceva: "Mi lascia, mi lascia." Ma non provava emozione. Allora le braccia di lui le circondarono la vita e le spalle, ed ella sentì i suoi muscoli saldi, e i bottoni della sua giacca che le premevano contro il petto. Un senso di calore, di stupore, e di sgomento la invase offuscando in lei ogni cognizione di tempo e di luogo. Si sentiva come una bambola di stracci debole e rilassata; e le piaceva sentirsi sorretta da quelle braccia vigorose. - Non volete cambiare idea a proposito di ciò che vi dissi quella sera? Non vi è nulla di meglio del pericolo e della morte per dare una spinta. Siate patriottica, Rossella. Pensate che manderete un soldato alla morte con un bel ricordo. Ora la baciava. E i suoi baffetti le sfioravano la bocca; la baciava con le labbra ardenti, lentamente, come se avesse avuto a sua disposizione tutta la notte. Carlo non l'aveva mai baciata così. E nemmeno i baci dei Tarleton e di Calvert le avevano dato quella sensazione di caldo e di freddo e l'avevano fatta tremare così. Le riversò il corpo all'indietro e le sue labbra le accarezzavano la gola, fin dove il cammeo le chiudeva la scollatura. - Tesoro - mormorò egli - tesoro...Ella scorgeva vagamente il carro nell'oscurità. A un tratto udì la vocetta acuta di Wade. - Mamma! Wade ha paula! Alla sua mente confusa tornò improvvisamente la realtà ed ella ricordò ciò che aveva dimenticato per un attimo: che aveva paura e che Rhett, quel maledetto mascalzone, stava per lasciarla. E per colmo aveva la sfacciataggine d'insultarla con le sue infami proposte. Ira e odio s'impadronirono di lei; con uno sforzo ella si strappò alle sue braccia. - Mascalzone! - esclamò; e cercò di ricordarsi i peggiori insulti, quelli che aveva udito adoperare da Geraldo contro Lincoln, contro McIntosh e contro i muli testardi: ma le parole non vennero. Abbietto, vigliacco, odioso! - E non riuscendo a trovare altre parole abbastanza sferzanti, alzò un braccio e lo colpì sulla bocca con tutta la forza che le rimaneva. Egli indietreggiò portandosi la mano al viso. - Ah! - fece soltanto; e per un attimo rimasero a fissarsi nell'oscurità. Rossella udiva il suo respiro pesante; ed ella pure ansimava come se avesse corso. - Avevano ragione; tutti avevano ragione! Non siete un gentiluomo! - Cara ragazza, come siete inopportuna! - Andatevene! Andatevene subito! Non voglio vedervi mai più! Spero che una palla di cannone vi colpisca, che vi faccia a pezzi. Che...- Il resto non importa. Accetto la vostra idea. Ma quando sarò morto sull'altare della patria, spero che la vostra coscienza vi rimprovererà.Lo udì ridere, mentre, voltava le spalle, si avviava verso il carro. Lo vide fermarsi e lo udì parlare con la voce rispettosa che usava sempre quando parlava a Melania. - Mrs. Wilkes? La voce spaventata di Prissy rispose: - Madre di Dio, capitano Butler! Miss Melly essere svenuta rovesciata indietro.- Non è morta? Respira? - Sì, signore. Respirare. - Allora, è meglio così. Se fosse cosciente, forse non potrebbe sopravvivere a tutto questo. Abbi cura di lei, Prissy. Questo è per te - e le diede una banconota. -...Cerca di non essere più stupida di quello che sei. - Sì, signore. Grazie, signore. -Addio Rossella. Si era voltato a guardarla, ma ella non parlò. L'odio l'aveva ammutolita. Udì il suo passo sui ciottoli della strada e per un attimo vide le sue larghe spalle disegnarsi nel buio. E dopo un momento, era scomparso. Udì allontanarsi il rumore dei passi, fino a cessare completamente. Allora tornò lentamente verso il carretto, con le ginocchia che le tremavano. Perché se n'era andato così, nel buio, a mescolarsi alla guerra, a una Causa che sapeva perduta, a un mondo impazzito? Perché era andato, Rhett che amava il piacere, le donne, i liquori, il buon vino e i letti comodi, i bei vestiti e le belle scarpe, che detestava gli Stati del Sud e derideva gl'imbecilli che combattevano per essi? Ora le sue scarpe verniciate lo portavano su una strada dolorosa, su cui la fame camminava con passo instancabile, e che le ferite, la debolezza, l'angoscia percorrevano come un branco di iene urlanti. E all'estremità di quella strada era la morte. Non doveva andare, lui che era ricco e tranquillo. Ed era andato, invece, lasciandola sola in una notte nera come la fuliggine, con l'esercito yankee fra lei e la sua casa. Ora si ricordò tutti gli insulti che avrebbe voluto lanciargli, ma era troppo tardi. Appoggiò il capo sul collo curvo del cavallo e pianse. NOTE. NOTA 1: "Confederated States of America." 24 IL bagliore del sole del mattino che brillava fra gli alberi destò Rossella. Per un momento, irrigidita dalla posizione scomoda in cui aveva dormito, non si ricordò dov'era. Il sole l'accecava, le assi del carretto le facevano male, e sulle gambe sentiva un peso che le impediva di muoversi. Cercò di sollevarsi e vide che Wade, addormentato, aveva la testa sulle sue ginocchia. Vide anche i piedi nudi di Melania quasi sul proprio viso e, sotto il sedile del carretto, Prissy rannicchiata come un gatto nero, col bimbo coricato fra lei e Wade. Allora si ricordò. Si trasse a sedere e si guardò attorno. Grazie a Dio, nessun yankees in vista! Il loro nascondiglio non era stato scoperto durante la notte. Ricordò tutto; il viaggio tormentoso come un incubo, dopo che l'eco dei passi di Rhett si era spenta, la notte interminabile, la strada nera piena di radici e di buche sulle quali si trabalzava, i solchi profondi in cui il carretto scivolava, la forza quintuplicata dal terrore con la quale lei e Prissy erano riuscite a trarre le ruote da quei solchi. Ricordò con un brivido quante volte aveva spinto il cavallo nolente attraverso campi e boschi, quando sentiva avvicinarsi dei soldati, non sapendo se erano amici o nemici... ricordò anche la paura che un colpo di tosse, uno sternuto, i singulti di Wade rivelassero la loro presenza agli uomini in marcia. Oh, quella strada nera su cui gli uomini sembravano fantasmi senza voce; solo il calpestio nella polvere soffice, e il debole ticchettio delle briglie! E il momento terribile in cui il cavallo aveva rifiutato di entrare nel bosco, e soldati di cavalleria e carri di artiglieria leggera erano passati oltre, nel buio che le nascondeva, così vicini che ella avrebbe potuto quasi toccarli e che l'odore del loro sudore giungeva alle sue nari! Finalmente, quando era giunta in prossimità di un crocevia, aveva visto ardere dei fuochi da campo; erano gli ultimi resti della retroguardia di Steve Lee che aspettavano l'ordine di ritirarsi. Si era allora messa per un campo arato finché gli ultimi riflessi dei fuochi erano scomparsi. Ma aveva perduto l'orientamento nell'oscurità e aveva singhiozzato non potendo ritrovare la piccola strada carreggiabile che conosceva così bene. Quando finalmente era riuscita a trovarla, il cavallo era caduto a terra e aveva rifiutato di muoversi, di rialzarsi, anche quando lei e Prissy l'avevano percosso. Lo aveva staccato; quindi, disfatta dalla stanchezza, si era trascinata fino alla parte posteriore del carretto dove si era arrampicata a fatica. Ricordava vagamente di avere udito prima di chiudere gli occhi, una debole voce che anche quando pregava, si scusava: - Rossella, per favore, posso avere un po' d'acqua? - Non ce n'è - aveva risposto; e si era addormentata di colpo. Ora era mattina; e il mondo era calmo e sereno, verde e oro sotto i raggi del sole. Nessun soldato in vista. Aveva fame e sete; era indolenzita e piena di sudore per il fatto che lei, Rossella O'Hara, che non poteva dormire se non fra lenzuola di lino e su materasso di piume, aveva dormito sulle tavole come una misera schiava. Volse gli occhi abbacinati dal sole su Melania e sussultò inorridita. La povera donna era così pallida e immobile che Rossella credette che fosse morta. Sembrava una vecchia, coi lineamenti stirati, su cui le ciocche di capelli neri cadevano in disordine. Ma con un respiro di sollievo vide il lievissimo sollevarsi e abbassarsi del seno: Melania respirava ancora. Rossella si fece visiera con la mano e si guardò attorno. Evidentemente avevano trascorso la notte sotto gli alberi del cortile di accesso di qualche casa perché dinanzi a lei era un viale inghiaiato fiancheggiato da cedri. "Ma è la piantagione di Mallory" pensò; e il suo cuore balzò di gioia all'idea di trovare amici e aiuto. Ma nella piantagione era un silenzio di tomba. L'erba e gli arbusti del prato erano strappati e calpestati, come se zoccoli, ruote, piedi, avessero camminato freneticamente avanti e indietro finché il suolo non era stato completamente sconvolto. Guardò verso la casa, e invece del vecchio edificio bianco col tetto coperto di latta che conosceva così bene, scorse un lungo rettangolo di pietre di granito annerite; quelle delle fondamenta; e in mezzo agli alberi due grossi mucchi di mattoni fumiganti. Si sentì stringere il cuore, Troverebbe così anche Tara, rasa al suolo, silenziosa come la morte? “Non devo pensare a questo adesso” si disse in fretta. “Non devo. Altrimenti sarò ripresa dal terrore.” Ma suo malgrado il cuore ricominciò a batterle precipitosamente e ogni battito sembrava dirlo: “A casa! Presto! A casa! Presto!” Bisognava muoversi. Ma prima occorreva trovare qualche cosa da mangiare e dell'acqua; specialmente acqua. Svegliò Prissy la quale si guardò attorno con gli occhi spaventati. - Oh Dio, miss Rossella. Io credere di non svegliarmi mai più se non nella Terra Promessa. - C'è tempo, per quella, - rispose Rossella cercando di respingersi indietro i capelli, scarmigliati. Si sentiva sudicia e già bagnata di sudore. Gli abiti erano sgualciti; non si era mai sentita così poco pulita le sembrava quasi di emanare cattivo odore! - e così stanca. Muscoli che ignorava di possedere le dolevano per l'insolito esercizio a cui li aveva sottoposti la notte prima; ed ogni movimento acutizzava le sue sofferenze. Guardò Melania e vide che i suoi occhi neri erano aperti. Erano brillanti di febbre e cerchiati da occhiaie profonde. Le labbra aride si socchiusero e bisbigliarono: - Acqua. - Alzati, Prissy - ordinò Rossella. - Andiamo al pozzo a prendere un po' d'acqua. - Ma, miss Rossella, forse esserci qualche morto e...- Scendi subito, ti ho detto; altrimenti... - E Rossella, che non era in vena di discutere, discese faticosamente a terra. Pensò allora al cavallo. Dio! Se fosse morto durante la notte! Sembrava prossimo a dare l'ultimo respiro quando lei gli aveva tolto i finimenti. Girò attorno al carretto e lo vide sdraiato. Se fosse morto, lei maledirebbe Dio e morrebbe. Era successo a qualcuno nella Bibbia, che aveva maledetto Dio ed era morto. Ne comprendeva perfettamente i sentimenti, ora. Ma il cavallo era vivo. Respirava con fatica, ma era vivo. Un po' d'acqua farebbe bene anche a lui. Prissy discese riluttante dal carretto e con molti gemiti seguì timorosamente Rossella per il viale. Dietro alle rovine le file delle capanne degli schiavi imbiancate a calce, erano mute e deserte sotto gli alberi. Fra il quartiere degli schiavi e le fondamenta fumiganti, trovarono il pozzo; sospeso alla sua tettoia era ancora il secchio. Svolsero la fune e quando il secchio tornò in alto pieno di acqua fredda, Rossella lo portò alle labbra e bevve lungamente rumorosamente, spruzzandosi d'acqua dappertutto. Bevve finché la voce petulante di Prissy: - Anche io avere sete, miss Rossella! - le ricordò che anche gli altri avevano bisogno di bere. - Sciogli la corda, porta il secchio al carretto e dai da bere a miss Melania e a Wade; il resto dallo al cavallo. Non credi che miss Melania dovrebbe allattare il piccolo? Morirà di fame. - Oh, miss Rossella, miss Melania non avere latte e non potere neanche avere! - Come lo sai? - Avere visto troppe donne come lei. - Non darti delle arie con me. Lo abbiamo visto ieri, come te ne intendi di bambini! Sbrigati. Io vado a cercare qualche cosa da mangiare. La ricerca fu vana, finché nell'orto trovò alcune mele. I soldati erano passati prima di lei e sugli alberi non vi era più nulla. Quelle che trovò a terra erano per la maggior parte marce. Sollevando la gonna, si riempì il grembo delle migliori e tornò verso il carretto, sentendo che nelle scarpine le penetravano terriccio e sassolini. Perché non aveva pensato a mettere delle scarpe più pesanti, iersera? Perché non aveva preso il cappello da sole? Perché non aveva portato qualche cosa da mangiare? Si era comportata come una stupida. Ma aveva creduto che a tutte quelle cose pensasse Rhett. Rhett! Sputò a terra, per il disgusto di quel nome. Come lo odiava! Com'era stato spregevole! E lei si era lasciata baciare... i suoi baci le erano quasi piaciuti. Doveva essere pazza... Che individuo abbietto! Giunta al carretto, divise le mele e gettò quelle che avanzavano nella parte posteriore del veicolo. Il cavallo ora era in piedi, ma pareva che l'acqua non lo avesse ravvivato molto. Di giorno sembrava anche più miserevole che di notte. Aveva tutte le ossa fuori e il dorso era ridotto una sola piaga. Nel mettergli i finimenti, Rossella si ritraeva per non toccarlo e quando gli mise il morso in bocca vide che era completamente sdentato. Così vecchio? Non avrebbe potuto, Rhett, dal momento che rubava un cavallo, rubarne uno migliore? Salì sulla cassetta e lo frustò col ramo di noce americano. La bestia si avviò, respirando con difficoltà; ma così lentamente che Rossella si disse che certo avrebbe progredito più velocemente a piedi. Se non avesse dovuto occuparsi di Melania e di Wade, di Prissy e del pupo! Avrebbe percorso a passo veloce la distanza che la separava da Tara e dalla mamma. Non potevano esservi più di quindici miglia; ma col passo di quella rozza sfiancata ci vorrebbe tutto il giorno, perché sarebbe necessario fermarsi ogni tanto per farla riposare. Tutto il giorno! Guardò la strada rossigna e i solchi profondi prodotti dalle ruote dei carriaggi e delle ambulanze. Passerebbero delle ore prima di sapere se Tara esisteva ancora e se Elena vi era. Lunghe ore prima di terminare quel viaggio sotto il sole ardente. Guardò Melania che giaceva con gli occhi chiusi sotto quel sole; sciolse i nastri del suo cappello e lo porse a Prissy. - Mettiglielo sul viso. Almeno le riparerà gli occhi. - E sentendo il calore violento sul capo scoperto pensò: "Prima di sera sarò piena di lentiggini come un uovo di faraona". Non era mai stata al sole senza cappello o velo, non aveva mai tenuto le redini senza guanti, per proteggere la candida pelle delle sue mani. Eppure adesso era esposta al sole in un carretto sconquassato, con un cavallo bolso; assetata, affamata, lorda di polvere e di sudore, incapace di fare altro se non di procedere a passo lento per quella landa deserta. E dire che poche settimane prima era così sicura e tranquilla, nella certezza che Atlanta non sarebbe mai caduta e la Georgia non sarebbe mai invasa! Chi sa se Tara era ancora in piedi? O se anch'essa era stata spazzata via dal vento che si era scatenato sulla Georgia? Percosse con la frusta il dorso del cavallo e cercò di fargli affrettare il passo, mentre le ruote sconnesse sbalzavano lei e gli altri da un lato all'altro del carretto. C'era la morte nell'aria. Sotto i raggi del sole pomeridiano campi e boschi erano silenziosi, di un silenzio disumano che colmava di sgomento il cuore di Rossella. Ogni casa smantellata, ogni camino che sembrava far da sentinella a rovine annerite dal fumo, aumentava il suo spavento. Dalla sera prima non avevano visto un essere umano o un animale vivente. Uomini morti sì; e carogne di cavalli e di muli coperti di mosche; ma non una creatura viva. Non una voce di animale, non un canto di uccello, non uno stormire di foglie mosse dal vento. Solo lo stanco zampeggiare del cavallo e il debole vagito del bimbo di Melania rompevano il silenzio. La campagna sembrava sotto un tremendo incantesimo. "O, anche peggio" pensò Rossella con un brivido: somigliava al caro volto di una mamma, finalmente tranquillo dopo un'orrenda agonia. I boschi che un tempo le erano stati famigliari erano adesso pieni di fantasmi. I morti nella battaglia che era stata combattuta nelle vicinanze di Jonesboro erano migliaia. E popolavano quei boschi in cui il sole brillava di sbieco paurosamente attraverso il fogliame immobile; erano amici e nemici che la guardavano nel suo carretto sconquassato, con occhi accecati dal sangue e dalla polvere rossa: occhi ardenti e orribili. - Mamma! Mamma! - sussurrò. Oh, poter giungere a Tara, percorrere il viale di cedri, vedere il dolce viso di sua madre, nascondere il capo nel suo grembo! La mamma saprebbe che cosa fare. Farebbe in modo che Melania e il suo bimbo non morissero. Scaccerebbe tutti gli spettri e tutti i timori col suo tranquillo: "Ssst! Ssst!". Ma la mamma era ammalata; forse, chi sa?, morente. Frustò ancora il cavallo. La strada era interminabile. Fra poco sarebbe notte ed esse sarebbero sole in quella desolazione che somigliava tanto alla morte. Strinse le redini con le mani che le dolevano, e con quelle frustò il dorso del cavallo con quanta forza aveva. Il cavallo non reagì alle percosse ma continuò a trascinare le zampe inciampando nei sassi e barcollando come se stesse per cadere in ginocchio. Ma, col crepuscolo, giunsero finalmente all'ultima parte del lungo viaggio. Girarono una breve curva e sboccarono sulla strada principale che conduceva a Tara: a un miglio di distanza. Si distingueva chiaramente la massa oscura della siepe di sassifraghe che segnava il confine della proprietà di McIntosh. Un po' più avanti, Rossella tirò le redini dinanzi al viale di querce che conduceva dalla strada alla casa del vecchio McIntosh. Guardò verso la casa. Nessun barlume di luce. Aguzzando gli occhi, riuscì a discernere qualche cosa che durante quella tremenda giornata le era divenuto famigliare: due alti camini simili a gigantesche pietre tombali, al disopra del secondo piano rovinato, e finestre smantellate che sembravano, sui muri, occhiaie vuote senza palpebre. - Hallò! - gridò, raccogliendo tutte le sue forze. - Hallò! Prissy si aggrappò a lei in una frenesia di terrore. - Non gridare, Miss Rossella! Ti prego, non gridare! - bisbigliò con voce tremante. - Non sapere cosa poter rispondere. “Dio mio!" pensò Rossella con un brivido. "Ha ragione. Di là potrebbe uscire qualsiasi cosa!” Frustò ancora il cavallo con le redini. La vista della casa dei McIntosh le aveva tolto l'ultimo rimasuglio di speranza. Incendiata, rovinata, deserta come tutte le piantagioni dinanzi a cui era passata. E Tara era solo a mezzo miglio, sulla stessa strada, battuta dall'esercito. Anche Tara era rasa al suolo! Troverebbe soltanto i mattoni anneriti, i muri scoperchiati, Elena e Geraldo partiti, le ragazze partite, Mammy e i negri partiti, Dio sa per dove; e questa calma spaventosa dovunque. Perché si era messa in questa folle avventura, contro ogni senso comune, trascinandosi dietro Melania e il bambino? Meglio morire ad Atlanta che aver la tortura di questa giornata di sole ardente nel carretto traballante, per andare a morire a Tara. Ma Ashley le aveva affidato Melania. Ed ella aveva promesso. Perché si era legata con questa promessa, ancor più impegnativa ora che Ashley non c'era più? Anche nel suo stato di esaurimento detestava Melania, detestava il vagito sempre più fievole del bambino. Ma aveva promesso ed essi le appartenevano, con Wade e Prissy, ed ella doveva lottare per loro finché aveva forza e respiro. Avrebbe potuto lasciarli ad Atlanta, mettendo Melania in ospedale e abbandonandola. Ma se l'avesse fatto, non avrebbe mai più potuto guardare in faccia a Ashley, in questo mondo o nell'altro. Oh Ashley! Dove era stasera mentre lei si affannava per quella strada infestata dagli spiriti, portando seco sua moglie e il suo bambino? Era vivo e pensava a lei, o era morto di vaiolo già da qualche mese, assieme a centinaia di altri confederati? I nervi tesi di Rossella la fecero sobbalzare a un rumore improvviso che venne dal sottobosco. Prissy urlò e si gettò sul fondo del carretto, quasi schiacciando il bambino. Melania si agitò debolmente e le sue mani cercarono il bimbo, mentre Wade si copriva gli occhi, troppo spaventato per piangere. Quindi i cespugli scricchiolarono sotto un pesante calpestio e alle loro orecchie giunse un cupo muggito. - Non è che una mucca - disse Rossella ancora sgomenta. - Non fare la stupida, Prissy. Hai schiacciato il bambino e spaventato miss Melly e Wade. - E' uno spettro - lamentò Prissy nascondendosi il viso. Rossella si volse risoluta, sollevando il ramo d'albero che adoperava come frusta, e percosse con quello il dorso di Prissy. - Stai su, stupida, altrimenti te lo rompo addosso. Prissy alzò la testa lamentandosi, e guardando al di sopra del lato del carretto, vide che era proprio una mucca a chiazze rosse e bianche, che le guardava con grandi occhi spauriti, e che aperse ancora la bocca in un basso muggito lamentoso. - E' ferita? Non mi sembra un muggito normale. - Io credere che avere pieno di latte e bisogno di essere munta. - disse Prissy riacquistando un po' di coraggio. - Essere certo mucca di Mist' MacIntosh che negri avere portato nei boschi e yankees non avere rubato. - La portiamo con noi - decise Rossella vivamente. - Così avremo un po' di latte per il bimbo. - Come potere portare una mucca con noi, Miss Rossella? Non potere. Mucche non camminare se non essere state munte. Mammelle ciondolare e pesare. Per questo lei lamentarsi. - Giacché ne capisci tanto, levati la sottoveste e con quella legala al carretto. - Miss Rossella, tu sapere che io non avere sottoveste da un mese e se io avere non sprecare per quella. E io non sapere trattare mucche. Io avere paura. Rossella posò le redini e si sollevò la gonna. La sottoveste ornata di merletto era l'ultimo indumento elegante e intatto che le rimaneva. Sciolse il nastro della cintura e lasciò cadere la sottana a terra. La raccolse risolutamente, ne prese un lembo fra i denti e tirò finché la tela cedette. Tirò furiosamente, lacerò con ambo le mani e dopo poco la sottana era ridotta a strisce. Le annodò con le dita tremanti e insanguinate, tutte vesciche. - Passagliela sopra le corna - ordinò a Prissy. Ma questa si ritrasse. - Io avere paura di mucche. Avere mai avuto da fare con loro. Io non essere negra contadina, essere negra domestica. - Tu sei negra idiota, e la peggior cosa che ha fatto mio padre è stato il giorno in cui ti ha comprato rispose Rossella lentamente, troppo stanca per adirarsi. Prissy roteò gli occhi guardando prima la sua padrona e poi la mucca che muggiva lamentosamente. Fra le due, Rossella sembrava la meno pericolosa; perciò Prissy rimase dov'era, aggrappandosi al fianco del carretto. Rossella scese faticosamente dal sedile: ogni movimento era un tormento per i suoi muscoli indolenziti. Prissy non era la sola ad aver paura delle mucche. Anche Rossella le aveva sempre temute: ma ora non vi era tempo per queste piccole paure quando ve ne erano tante altre più grandi. Fortunatamente la mucca era remissiva. Nella sua sofferenza aveva cercato aiuto presso gli esseri umani, e quindi non fece alcun movimento minaccioso quando Rossella le gettò attorno alle corna il nodo scorsoio fatto con la striscia di tela. Legò l'altra estremità al carretto il più saldamente che poté. Mentre si avviava per tornare al sedile, si sentì prendere da capogiro e si afferrò al bordo del carretto per non cadere. Melania aperse gli occhi e vedendo Rossella mormorò: - Cara.. siamo a casa? A casa! Lacrime ardenti riempirono gli occhi di Rossella. La casa. Melania non sapeva che non vi era più casa e che erano sole in un mondo pazzo sole desolato. - Non ancora - disse tanto dolcemente quanto la sua gola contratta glielo permise. - Ma vi saremo tra poco. Ho trovato una mucca, così avremo un po' di latte per te e il piccino. - Povero piccino - mormorò Melania, cercando di agitare la mano verso il piccolo, ma lasciandola subito ricadere. Rossella dovette ricorrere a tutta la forza che le rimaneva per arrampicarsi sul carretto. Quando vi fu riuscita raccolse le redini, ma il cavallo con la testa china fino a terra rifiutò di muoversi. Rossella usò la frusta senza pietà, sperando che Dio le perdonasse la sua crudeltà verso un animale stanco. Infine si avviò lentamente; il carretto scricchiolava e la mucca gemeva lugubremente ad ogni passo. La voce di quell'animale urtava talmente i nervi a Rossella che ella fu tentata di fermarsi per scioglierla. A che le servirebbe se a Tara non vi era nessuno? Ella era incapace di mungerla; se anche avesse saputo farlo, certo la bestia avrebbe calciato contro chiunque le toccasse i capezzoli indolenziti. Ma giacché l'aveva, tant'era tenerla. I suoi occhi si velarono quando finalmente giunsero ai piedi della collinetta, sulla cui sommità era la piantagione di Tara. Quell'animale decrepito non riuscirebbe mai ad arrampicarsi. Il pendio le era sempre sembrato così dolce, quando ella cavalcava la sua veloce giumenta. Possibile che fosse diventato così ripido? Il cavallo non potrebbe mai salire, gravato da tanto peso. Discese faticosamente e lo prese per la briglia. - Scendi, Prissy - ordinò - e prendi Wade. Portalo in braccio, oppure fallo camminare. Metti il bimbo accanto a miss Melania. Wade ruppe in singhiozzi e lamenti fra i quali Rossella distingueva: - Buio... buio... Wade ha paula! - Miss Rossella, io non poter camminare. Avere piedi con vesciche e scarpe rotte... e Wade essere tanto pesante...- Scendi subito! Altrimenti ti tiro giù io! E ti lascio qui sola, nell'oscurità! Svelta! Prissy nicchiò, guardò gli alberi cupi ai due lati della strada alberi che potevano avanzarsi ad afferrarla se lasciava il riparo del carretto. Ma depose il bimbo accanto a Melania, scese e prese in braccio Wade. Questi singhiozzò abbracciando stretta la sua bambinaia. - Fallo tacere. Non posso sopportarlo - disse Rossella prendendo il cavallo per la briglia e tirandolo per farlo muovere. - Sii un omino coraggioso, Wade, e finiscila di piangere se non vuoi essere sculacciato. "Perché Dio aveva inventato i bambini?" pensò ferocemente nel momento in cui si storceva una caviglia. "Una vera calamità: inutili, sempre fra i piedi, sempre a piagnucolare, sempre bisognosi di cure!" - Miss Rossella - bisbigliò Prissy afferrandola per il braccio- non andare a Tara. Non esserci nessuno. Essere tutti andati via. Forse morti, tutti quanti. L'eco dei propri pensieri irritò Rossella che si svincolò dalle dita che la stringevano convulsamente. - Allora dammi la mano di Wade. Tu puoi rimanere qui. - No, badrona! No! - E allora, taci! Come camminava adagio il cavallo! Sulla mano sentiva gocciolare la bava della povera bestia; e la sua mente ripeteva fino all'ossessione poche parole di una canzone che cantava, una volta con Rhett; non ricordava il seguito: "Ancora pochi giorni per portare il pesante fardello..." "Ancora un passo... - ripeteva il suo cervello stanco - ancora un passo... per portare il pesante fardello..." Finalmente raggiunsero la sommità: dinanzi a loro erano le querce di Tara, una massa cupa contro il cielo buio. Nessuna luce. - Se ne sono andati! - E improvvisamente il cuore le pesò come se fosse diventato di piombo. Volse il capo del cavallo verso l'imboccatura del viale; i cedri unendo i loro rami in alto immersero il gruppo lamentevole in una completa oscurità. Aguzzando gli occhi, sembrò a Rossella di distinguere - o era allucinazione? - vagamente la forma della casa. La sua casa, la sua casa! I cari muri bianchi, le finestre con le tendine leggere, le larghe verande... tutto ciò era veramente dinanzi a lei? O le tenebre nascondevano pietosamente orrori come quelli della casa dei MacIntosh? Il viale sembrò interminabile; il cavallo inciampava ad ogni passo. Ansiosamente gli occhi di Rossella scrutavano nel buio. Il tetto sembrava intatto. Era possibile? Possibile? No, non poteva essere. La guerra non si fermava dinanzi a nulla; neanche dinanzi a Tara, costruita per durare cinquecento anni. La massa incerta cominciò a prender forma. Rossella trascinò il cavallo più in fretta. I muri bianchi si vedevano ora distintamente; e non erano neanche anneriti dal fumo. Tara era salva! La sua casa! Lasciò cadere le briglie e corse in avanti, con folle desiderio di stringere fra le braccia quelle mura. E vide una forma, un'ombra, emergere dall'oscurità del porticato, in cima alla breve gradinata. Tara non era dunque abbandonata! C'era qualcuno in casa! Un grido di gioia le salì alla gola, ma rimase soffocato. La casa era buia e silenziosa, eppure la figura non si muoveva. Che cosa era successo? Ma ecco: l'ombra si era mossa; scendeva lentamente i gradini. - Babbo? - mormorò Rossella, rauca, quasi dubitando che fosse lui. - Sono io...Caterina Rossella. Sono tornata. Geraldo avanzò verso di lei, come un sonnambulo, trascinando la gamba rigida. Le giunse accanto, la fissò stranamente come se credesse che fosse un sogno. Poi le posò una mano sulla spalla. Rossella lo sentì tremare, come se fosse stato svegliato da un incubo e non avesse ancora il senso completo della realtà. - Figlia... - mormorò con sforzo - Figlia mia. Poi tacque. "E' un vecchio!" pensò Rossella. Geraldo aveva le spalle curve. Nel volto, che ella scorgeva confusamente, non era più nulla della vitalità che ricordava in suo padre, e i suoi occhi avevano quasi l'espressione sgomenta di quelli del piccolo Wade. Era un piccolo vecchio accasciato. Lo spavento di mille cose ignorate la afferrò; ed ella rimase a fissarlo, con un fiume di domande che le urgevano in gola e non riuscivano a formularsi. Dal carretto giunse di nuovo il vagito lieve e Geraldo si volse con sforzo. - E' Melania col suo bimbo - sussurrò Rossella rapidamente. - Sta molto male. L'ho portata a casa. Geraldo lasciò cadere la mano che le teneva sul braccio e cercò di raddrizzare le spalle mentre si dirigeva a passi lenti verso il carretto. Era lo spettro dell'antico padrone di casa che si recava a dare il benvenuto agli ospiti. - Cugina Melania! - La voce di Melania mormorò indistintamente. - Cugina Melania, questa è casa vostra. Le Dodici Querce sono state bruciate. Dovete stare con noi. Il pensiero della prolungata sofferenza di Melania spinse Rossella all'azione, insieme alla necessità di mettere lei e il suo piccino in un letto morbido, e di fare per lei ciò che si poteva. - Bisogna portarla. Non può camminare. Si udì un fruscio di piedi e dal porticato emerse una figura scura. Pork scese i gradini di corsa. - Miss Rossella! Miss Rossella! - gridò. Rossella gli afferrò le braccia. Pork, parte di Tara, caro quanto le sue pietre e i freschi corridoi! Sentì le lagrime di lui scorrerle sulle mani, mentre egli l'accarezzava goffamente esclamando: - Tanto contento tu essere tornata! Tanto...Prissy era scoppiata in lacrime e balbettava parole incoerenti: - Pork! Pork! Caro! - E il piccolo Wade, incoraggiato dalla debolezza dei grandi, cominciò a piagnucolare: - Wade ha sete! Rossella prese la direzione. - Miss Melania è nel carretto col suo bambino. Devi prenderla in braccio, Pork, e portarla di sopra, nella stanza degli ospiti in fondo al corridoio. Prissy, porta dentro il piccolo e Wade, e dai a Wade un sorso d'acqua. C'è Mammy? Dille che ho bisogno di lei, Pork. Galvanizzato dall'autorità di quella voce, Pork si avvicinò al carretto. Un gemito uscì dalle labbra di Melania quando egli la sollevò dal materassino di piume su cui giaceva da tante ore. E poi fu nelle forti braccia di Pork, con la testa sulla sua spalla. Prissy, col bimbo in braccio e tenendo Wade per mano, lo seguì e scomparve nelle tenebre del vestibolo. Le dita infiammate di Rossella cercarono la mano di suo padre. - Come stanno, babbo? - Le ragazze si stanno rimettendo. Nel silenzio che seguì, un'idea troppo mostruosa per essere detta in parole prese forma. No, ella non poteva costringere le sue labbra ad aprirsi. Inghiottì a più riprese, ma la sua gola era arida come pergamena. Era dunque quello il significato dello spaventoso enigmatico silenzio di Tara? Come per rispondere al suo spirito, Geraldo parlò. - La mamma... - disse; e si fermò. - La mamma? - E'... è morta ieri. Col braccio di suo padre stretto al suo, Rossella attraversò il grande vestibolo nel quale, malgrado l'oscurità, sapeva muoversi senza esitazione. Evitò le sedie ad alta spalliera, la vecchia credenza con le zampe sporgenti, la rastrelliera vuota, e si sentì portata dall'istinto allo studietto dove Elena sedeva sempre riordinando la sua interminabile contabilità. Certo la troverebbe dinanzi alla scrivania; e la vedrebbe alzarsi in un fruscio di gonne che sapevano di verbena, per andare incontro alla figlia così stanca, ed esausta. Elena non poteva essere morta, benché il babbo avesse detto e ripetuto, come un pappagallo che sa una sola frase: - E' morta ieri... è morta ieri... è morta ieri.Strano: non sentiva altro, ora, che una stanchezza che le inceppava le membra come catene di ferro e una fame che le faceva tremare le ginocchia. Alla mamma penserebbe più tardi. Doveva allontanarla dalla sua mente in questo momento, altrimenti si metterebbe a balbettare stupidamente come Geraldo o a singhiozzare come Wade. Pork ridiscese frettolosamente le scale, ansioso di avvicinarsi a Rossella come un animale che ha freddo si avvicina al fuoco. - Luce? - chiese Rossella. - Perché tutta la casa è così buia, Pork? Porta delle candele. - Loro avere preso tutte le candele, miss Rossella, meno una che adoperare per lavori più fini ed essere quasi finita. Mammy adoperare stracci in un piatto di grasso di porco per potere curare miss Carolene e miss Susele. - Porta quello che è rimasto della candela - ordinò. - Portala nello studio della... nello studio. Pork trotterellò verso la stanza da pranzo e Rossella penetrò nella stanzetta e si lasciò cadere sul divano. Il braccio di suo padre era ancora sotto al suo, aggrappato disperatamente, supplichevole, come possono esserlo soltanto le mani dei giovanissimi e dei vecchi. "E' invecchiato e stanco" pensò di nuovo; e vagamente si stupì che non gliene importasse nulla. La luce penetrò nella stanza quando Pork entrò portando una candela consumata a metà in un piattino. L'ambiente si ravvivò: il vecchio divano logoro su cui sedeva, la grande scrivania con la fragile sedia intagliata dietro ad essa, gli scaffali ancora pieni di carte scritte dalla mamma, il tappeto consunto... tutto, tutto era come prima; soltanto Elena non vi era, Elena con la lieve fragranza di verbena e la dolce espressione dei suoi occhi dagli angoli tirati in basso. Rossella provò una leggera stretta al cuore, come se i nervi, lesi da una profonda ferita, cercassero di riprender vita. Ma non poteva lasciarli rivivere adesso: c'era davanti a lei tutto il resto della sua vita per soffrire! Non adesso, Dio, non adesso! Guardò Geraldo e per la prima volta in vita sua lo vide non raso, col viso non più florido irto di setole grige. Pork collocò la candela nel candeliere e le venne accanto. Se fosse stato un cane, le avrebbe posato il muso in grembo, aspettando una carezza. - Pork, quanti negri ci sono? - Miss Rossella, quei mascalzoni negri essere scappati e alcuni essere andati con yankees e...- Quanti ne sono rimasti? - Rimasti io e Mammy. E poi Dilcey. Mammy aver curato signorine tutto giorno e Dilcey tutta notte. Noi tre, miss Rossella. "Noi tre", mentre erano cento. Rossella alzò la testa con sforzo; il collo le doleva. Bisognava che la voce non le tremasse! Ma, con sua sorpresa, parlò freddamente e naturalmente, come se non vi fosse mai stata la guerra ed ella avesse potuto, con un cenno, chiamare una decina di schiavi. - Pork, muoio di fame. C'è qualche cosa da mangiare? - No, miss. Loro avere portato via tutto. - E nell'orto? - Loro avere fatto camminare dentro cavalli che aver pestato tutto. - Anche le patate dolci? Qualche cosa come un sorriso si disegnò sulle grosse labbra del negro. - Miss Rossella, io avere dimenticato patate dolci. Credo che essere ancora. Yankees non conoscere queste e credere che essere radici inutili... - A momenti si leverà la luna. Andrai a scavarne un certo numero e le farai cuocere. Non c'è grano saraceno? Piselli secchi? - No, badrona. Niente. I polli che non aver potuto mangiare avere portato via legati a loro selle. Non vi era dunque cosa che non avessero fatto, coloro? Non bastava avere incendiato e ucciso? Avevano anche lasciato donne e bambini a morir di fame nei luoghi che avevano devastati? - Miss Rossella, io avere alcune mele che Mammy aver seppellito dietro alla casa. Oggi esserci nutriti con quelle. - Portale prima di andare a scavare le patate. E...Pork, mi sento tanto debole. C'è vino in cantina, magari di amarasche? - Oh, miss Rossella, in cantina essere andati per prima cosa! Una nausea fatta di fame, di esaurimento, di sbalordimento la assalì improvvisamente, ed ella si drizzò aggrappandosi alla scrivania. - Non c'è vino - ripeté con voce opaca, rivedendo le file di bottiglie nella cantina. Un ricordo le balenò. - E quel whisky di grano che babbo mise in un bariletto di quercia e che sotterrò ai piedi dell'albero di noce moscata? Un altro barlume di sorriso illuminò il viso nero. - Oh, miss Rossella, io non dimenticare quel bariletto. Ma whisky non essere buono. Essere lì sotto da quasi un anno e non essere buono per signorine! Com'erano stupidi i negri! Non avevano mai l'idea di nulla, se uno non glielo diceva. E gli yankees volevano liberarli! - Sarà buono per questa signorina e per babbo. Svelto, Pork, vai a dissotterrarlo e portaci due bicchieri, un po' di zucchero e qualche foglia di menta. - Non essere zucchero a Tara da un pezzo. E cavalli aver mangiato tutta la menta; e loro aver rotto tutti bicchieri. "Se dice 'loro' ancora una volta, non potrò fare a meno di urlare!" pensò Rossella. Poi, disse: - Va bene; corri a prendere il whisky. Lo berremo puro. E... aspetta. Mi pare di dover pensare a tante cose... Ah, sì. Ho portato a casa un cavallo e una mucca. Questa ha bisogno di essere munta. E bisogna togliere i finimenti al cavallo e dargli da bere. Di' a Mammy di occuparsi della mucca. Che la metta in qualche posto. Il bimbo di Melania morirà se non gli si dà un po' di latte. - Miss Melania... non avere...? - Pork si interruppe per delicatezza. - No, non ha latte. - Dio mio, se la mamma la sentisse parlare così! - Allora, miss Rossella, mia Dilcey occuparsi del pupo di miss Melania. Mia Dilcey avere avuto anche lei bambino e avere abbastanza latte per due. - Tu hai un altro bimbo, Pork? Bambini, bambini, bambini. Perché Dio metteva al mondo tanti bambini? Ma no, non era Dio che li metteva al mondo: era la gente stupida. - Sì, badrona: grosso bambino nero. E... - Vai a dire a Dilcey che lasci per un poco le ragazze. Che si occupi del bimbo di miss Melania e faccia anche per miss Melania quello che occorre. Di' a Mammy che provveda per la mucca e metti nella stalla quel povero cavallo. - Non esservi stalla. Loro avere demolito per fare legna da ardere. - Non dirmi più nulla di ciò che "loro" hanno fatto. Ripeti a Dilcey quello che ti ho detto. E poi vai a prendere il whisky e qualche patata. - Non potere scavare al buio. - Non puoi accendere un pezzo di legno e con la fiamma...? - Non avere legna. Loro... - Fai quello che ti pare. Arrangiati. Ma fai quello che ti ho ordinato e sbrigati. Pork si affrettò fuori della stanza e Rossella rimase sola con Geraldo. Gli accarezzò dolcemente una gamba; e notò che i muscoli saldi si erano afflosciati. Bisognava fare qualche cosa per toglierlo da quell'apatia... ma non poteva chiedergli della mamma. Più tardi... - Perché non hanno incendiato Tara? Geraldo la fissò un momento come se non avesse compreso e Rossella ripeté la domanda. - Perché... - mormorò - hanno fatto qui il loro quartier generale. - Gli yankees... in questa casa? Ebbe la sensazione che fosse stata compiuta una profanazione. Quelle mura, sacre perché vi aveva vissuto Elena... e coloro vi erano penetrati! - E' stato così. Avevamo visto il fumo delle Dodici Querce prima che giungessero qui. Ma Lydia e Gioia si erano rifugiate a Macon, con alcuni schiavi, perciò non ce ne preoccupammo. Noi non ci potevamo muovere. Le ragazze stavano molto male... e la mamma... Non potevamo muoverci. I nostri negri fuggirono... non so dove. Rubarono i carri e i muli. Mammy, Dilcey e Pork... non sono fuggiti. Le ragazze... e la mamma... impossibile trasportarle. - - Sì, sì. - Non doveva parlare della mamma. Qualunque altra cosa; magari dirle che il generale Sherman in persona aveva usato quella stanza, lo studio della mamma, per il suo quartier generale. Qualunque altra cosa. - Gli yankees marciavano su Jonesboro, per tagliare la ferrovia. E attraversarono il fiume... migliaia e migliaia... coi cannoni e i cavalli... a migliaia... ed io andai a riceverli sotto il porticato. "Valoroso piccolo Geraldo!" pensò Rossella sentendosi venir meno. Geraldo che andava a ricevere il nemico sui gradini di Tara, come se avesse dietro un esercito, anziché dinanzi. - Mi dissero di andar via, perché volevano incendiare la casa. Risposi che l'avrebbero bruciata con me dentro. Non potevamo partire... le ragazze... la mamma...- E allora? - Possibile che tornasse sempre a parlare di Elena? - Dissi che vi erano ammalati in casa; il tifo; e che farli muovere sarebbe stato ucciderli. Bruciassero pure il tetto sulle nostre teste. Non potevo partire... lasciare Tara... La sua voce si spense; egli guardò le pareti e Rossella comprese. Troppi antenati irlandesi erano morti combattendo sino alla fine, piuttosto che lasciare le case dove avevano vissuto, lavorato, amato, generato dei figliuoli. - Dissi che vi erano tre donne moribonde: bruciassero pure la casa con loro dentro. Il giovine ufficiale era... era un gentiluomo. - Uno yankee gentiluomo? Andiamo, via, babbo! - Un gentiluomo. Se ne andò al galoppo e tornò dopo poco con un capitano medico che visitò le ragazze... e la mamma. - Hai lasciato entrare in camera loro un maledetto yankee? - Aveva dell'oppio. Noi non ne avevamo. Salvò le tue sorelle. Susele aveva un'emorragia. Era un brav'uomo. E quando andò a riferire che erano... ammalate... rinunciarono a incendiare la casa. Entrarono, il generale e il suo Stato Maggiore, e occuparono le stanze, meno quella delle ammalate. E i soldati... Si interruppe di nuovo, come se fosse troppo stanco per continuare. Il mento gli ricadde pesantemente sul petto, formando delle pieghe di carne floscia. Poi fece uno sforzo per parlare ancora. - Si accamparono intorno alla casa, dovunque, nel cotone, nel grano. I campi erano turchini delle loro uniformi. Quella notte vi furono mille fuochi di bivacco. Strappavano le barriere e le bruciavano per cucinarvi sopra il loro cibo; e così le tettoie e le stalle. Uccisero le mucche, i maiali, i polli... perfino i miei tacchini. - I preziosi tacchini di Geraldo. - Presero tutto; i quadri, le porcellane... - L'argenteria? - Non so che cosa ne hanno fatto Pork e Mammy; messa nel pozzo... non mi ricordo. - La voce di Geraldo era stizzosa. - E poi iniziarono la battaglia da qui... da Tara... Uno strepito infernale, gente che galoppava e calpestava tutto. E più tardi, le cannonate a Jonesboro; sembravano tuoni... Anche le ragazze le sentivano, benché stessero tanto male...- E... la mamma? Ha saputo che c'erano gli yankees in casa? - Non ha mai saputo nulla. "Dio sia ringraziato!" pensò Rossella. Almeno, questo era stato risparmiato alla mamma. Non aveva saputo, non aveva udito il nemico nelle stanze, non aveva sentito i cannoni a Jonesboro, non aveva sofferto perché la terra cara al suo cuore era sotto ai piedi degli yankees. - Li ho visti poco perché stavo al piano di sopra con le ragazze e con la mamma. Ho visto più di tutti il giovine medico. Era tanto buono, tanto! Dopo aver lavorato tutto il giorno intorno ai feriti, veniva a sedersi di sopra, con loro. Ha anche lasciato qualche medicina. Nel partire mi disse che le ragazze sarebbero guarite, ma la mamma... Era così fragile... troppo fragile per resistere a questo. Disse che aveva abusato delle sue forze... Nel silenzio che seguì, Rossella vide sua madre come doveva essere stata in quegli ultimi tempi; il sostegno di Tara, sempre pronta ad assistere, a lavorare, senza dormire e senza mangiare, perché gli altri potessero mangiare e dormire. - E poi, se ne sono andati. Tacque a lungo, poi cercò la mano di lei. - Sono contento che tu sia tornata. Dal porticato posteriore giunse uno scalpiccio. Il povero Pork, abituato da quarant'anni a pulirsi le scarpe prima di entrare in casa, non dimenticava di farlo neanche in questi momenti. Entrò, portando con precauzione due piccole borracce di zucca e con lui entrò un forte sentore di grappa. - Averne sprecato parecchio, miss Rossella. Essere difficile fare entrare grosso getto in piccola zucca.- Va bene, Pork; grazie. - Gli prese di mano la zucca sgocciolante, torcendo il naso per il disgusto di quell'odore forte. - Bevi, babbo - disse ponendogli in mano lo strano recipiente e prendendo dalle mani di Pork la seconda zucca, piena d'acqua. Geraldo, ubbidiente come un bambino, bevve rumorosamente. Ella gli porse l'acqua, ma Geraldo crollò il capo. Riprese la borraccia e se la portò alle labbra; e nel far questo vide che gli occhi di lui la seguivano, con una vaga espressione di disapprovazione. - So che le signore non bevono liquori - disse brevemente. - Ma oggi non sono una signora; e stasera c'è da lavorare, babbo. Sollevò il recipiente, trasse un profondo respiro e bevve. Il liquore le bruciò la gola e lo stomaco, soffocandola e facendola lacrimare. Trasse un altro respiro e sollevò di nuovo la zucchetta. - Caterina Rossella - fece Geraldo; e nella sua voce era la prima nota di autorità che ella avesse udito dopo il suo ritorno, - ora basta. Non sei abituata all'alcool e ti renderebbe brilla. - Brilla? - E rise di un riso cattivo. - Spero che mi ubriachi addirittura. Mi piacerebbe ubriacarmi e dimenticare tutto questo. Bevve ancora, sentendosi scorrere entro le vene un calore che giunse fino alla punta delle dita. Che piacevole sensazione, quel calore benefico! Le parve che penetrasse fino al suo cuore ghiacciato e le desse nuova forza. Vedendo il viso perplesso di Geraldo lo accarezzò di nuovo sforzandosi al sorriso che egli amava. - Come vuoi che mi ubriachi, babbo? Non sono tua figlia? Non ho ereditato la testa più salda della Contea di Clayton? Anche Geraldo abbozzò quasi un sorriso. Il whisky stava risollevando anche lui. Rossella gli porse nuovamente la borraccia. - Bevi ancora un poco; poi ti porterò di sopra e ti metterò a letto. Fu stupita. Quello era il modo in cui parlava a Wade; non poteva parlare nella stessa maniera a suo padre! Era poco rispettoso. Ma egli pendeva dalle sue labbra. - Sì, ti metterò a letto - proseguì leggermente - e ti darò ancora da bere... forse tutta la borraccia; così dormirai. Hai bisogno di dormire; e qui ora c'è Caterina Rossella e non devi preoccuparti di nulla. Bevi.Egli bevve di nuovo, ubbidiente; quindi, passando il suo braccio sotto a quello di lui, ella lo fece alzare in piedi. - Pork...Pork s'impadronì della borraccia con una mano e del braccio di Geraldo con l'altra.Rossella prese la candela e tutti e tre si avviarono lentamente per il vestibolo e poi per le scale fino alla stanza di Geraldo. La camera in cui Susele e Carolene giacevano gemendo e agitandosi nello stesso letto, aveva un odore nauseabondo, dato dal cencio attorcigliato che ardeva in un piatto di grasso e che costituiva l'unica fonte di illuminazione. Quando Rossella aperse la porta, l'atmosfera densa dell'ambiente, con tutte le finestre chiuse e il sentore combinato dei medicinali, del grasso e della malattia, la fece quasi svenire. I medici avevano un bel dire che l'aria fresca era fatale nelle camere degli ammalati; ma se lei fosse dovuta rimanere in quella stanza, sarebbe morta per mancanza d'aria. Aperse le tre finestre, lasciando penetrare l'odore delle querce e della terra; ma l'aria immota era insufficiente a disperdere il fetore accumulato da tante settimane nella stanza chiusa. Carolene e Susele, pallide ed emaciate, dormivano di un sonno interrotto, svegliandosi ogni tanto e lamentandosi, mentre fissavano con gli occhi spalancati l'ampio letto nel quale, in altri tempi, avevano tante volte passato le ore ridendo e bisbigliando. Nell'angolo della stanza era un lettino a un posto; un letto francese, stile Impero, che Elena aveva portato da Savannah. In quello era stata Elena ammalata. Rossella sedette accanto al letto grande, fissando stupidamente le due sorelle. Il whisky, bevuto a stomaco vuoto, le faceva degli strani scherzi. A volte le ragazze le sembravano piccine piccine, lontanissime e la loro voce le giungeva come il ronzio di un insetto. Altre volte le vedeva enormi e le pareva che si gettassero sopra di lei con la velocità del lampo. Era stanca da morire. Avrebbe voluto dormire per giornate intere. Si sarebbe poi destata sentendo Elena che la scuoteva dolcemente dicendole: - E' tardi, Rossella. Non devi essere tanto pigra. - Ma no; questo non accadrebbe mai più. Non c'è più nessuno, nessuno più vecchio di lei, nel cui grembo posare il capo, nessuno sulle cui spalle ella potesse deporre il suo grave fardello! La porta si aperse piano lasciando entrare Dilcey, col bimbo di Melania attaccato al seno, e la borraccia del whisky in mano. Nella luce fumosa e incerta, sembrò a Rossella più sottile di quando l'aveva vista l'ultima volta; e il sangue indiano era più evidente sul suo volto. Gli zigomi erano più sporgenti, il naso aquilino più aguzzo e la pelle color del rame più chiara. La veste di calicò scolorito era aperta davanti e lasciava vedere il suo seno florido. Stretto contro di lei, il bimbo di Melania aveva attaccato avidamente la sua boccuccia pallida al capezzolo bruno e succhiava, premendo i piccoli pugni contro la carne morbida, come un gattino nella calda pelliccia del ventre materno. Rossella si alzò faticosamente e pose una mano sul braccio di Dilcey. - Sei stata buona a rimanere, Dilcey. - Come potere io andar via con quella canaglia negra, miss Rossella, quando tuo padre essere stato tanto buono da comprare me e la mia piccola Prissy e anche tu essere stata così buona? - Siediti, Dilcey. Dunque, il bambino succhia? E come sta miss Melania? - Il bambino non ha niente; soltanto è affamato. E quando io prendere un bimbo affamato, lui dopo stare bene. Miss Melania va bene. Non morire; non dover temere, miss Rossella. Vedute tante, bianche e negre, come lei. Molto stanca e nervosa e spaventata per il bambino. Ma io averla lavata e dato poco liquore rimasto borraccia. Ora lei dormire. Così, il whisky di grano era servito a tutta la famiglia! Rossella pensò istericamente che forse sarebbe bene a darne un sorso al piccolo Wade, per vedere se cessasse i suoi singulti... E Melania non morrebbe. E al ritorno di Ashley... se tornasse... No, anche a questo penserà più tardi. Quante cose da pensare... più tardi! Improvvisamente sobbalzò sentendo un rumore stridente e un ritmico "ker-bunk, ker-bunk..." che interruppe il silenzio esterno. - Mammy tirare su acqua per fare spugnature alle badroncine - spiegò Dilcey, posando la borraccia sulla tavola fra boccette di medicinali e bicchieri. - Avere bisogno di bagnare spesso. Rossella rise improvvisamente. Doveva avere i nervi molto scossi se il cigolio del mulinello del pozzo, legato ai suoi ricordi più lontani, poteva spaventarla. Dilcey la fissò col viso immobile; ma Rossella sentì che quella la comprendeva. Ricadde sulla sua sedia. Se potesse togliersi il busto stretto, il colletto che la soffocava, le scarpine piene di terriccio e di sassolini che le facevano male ai piedi! Il mulinello cigolava più lentamente man mano che la fune vi si avvolgeva, portando il secchio più vicino all'orlo. Fra poco Mammy sarebbe con lei.. la sua Mammy, la Mammy di Elena. Sedette silenziosa, senza badare a nulla, mentre il bimbo sazio di latte, si lamentava piano per essere stato allontanato dalla mammella. Dilcey, senza parlare, guidò la bocca del piccino, acquetandolo, mentre Rossella ascoltava il lento avvicinarsi dei passi di Mammy attraverso il cortile posteriore. Com'era calma la notte! Le scale gemettero sotto il peso di Mammy; ed eccola nella stanza: Mammy con le spalle tirate giù dal peso di due secchi di legno, col suo buon viso nero triste della incomprensibile tristezza di un viso di scimmia. I suoi occhi si illuminarono alla vista di Rossella, i suoi denti bianchi brillarono mentre deponeva i secchi; e Rossella corse a lei, posando il capo sul largo seno su cui tante teste, bianche e nere, si erano posate. Ecco finalmente qualche cosa dell'antica vita che era rimasta immutata. Ma le prime parole di Mammy dissiparono le sue illusioni. - Essere tornata a casa, la bambina di Mammy! Oh miss Rossella, che cosa fare ora che miss Elena essere morta? Oh, almeno io essere morta insieme a lei! Io non potere stare senza miss Elena. Non essere rimasto altro che guai e miserie. Fardelli troppo pesanti, tesoro, troppo pesanti! Rossella alzò il capo e le accarezzò il volto rugoso. - Ma tu essere spellata! - Mammy afferrò le manine con le sue grosse zampe e le guardò inorridita. Ma come, miss Rossella, io averti sempre detto che dovere stare attenta alla tua pelle... e anche tutto il viso bruciato dal sole! Povera Mammy, pensava ancora a queste cose così poco importanti, benché la morte e la guerra le fossero passate accanto! A momenti direbbe che le signorine con le mani spellate e il volto macchiato di lentiggini non trovavano marito. Ma non le diede tempo di fare l'osservazione. - Mammy, voglio che mi racconti di mia madre. Non ho potuto sopportare che il babbo me ne parlasse. Gli occhi di Mammy si riempirono di lacrime mentre ella si chinava a prendere i secchi. Li portò senza far parola accanto al letto; quindi, tirando giù le lenzuola, cominciò a rialzare le camicie da notte di Carolene e di Susele. Rossella vide che Carolene aveva una camicia pulita ma a brandelli, e che Susele era avvolta in una vecchia vestaglia di tela bruna, guarnita di pesante trina d'Irlanda. Mammy piangeva silenziosamente mentre bagnava i due corpi, servendosi di un vecchio grembiule come asciugamani. - Miss Rossella, essere stati gli Slattery, quei rifiuti, straccioni, buoni-a-niente, abbietti Slattery che avere dato malattia a miss Elena. Io avere detto che non fare bene a occuparsi di quella gente, ma miss Elena così buona che non poter mai dire di no a chi aver bisogno di lei.- Slattery? - chiese Rossella stupita. - E come mai sono venuti qui? - Essere ammalati di quella malattia - e Mammy accennò col cencio alle due ragazze ignude e bagnate. - La figlia di vecchia miss Slattery, Emma, essersi messa a letto, e giovine miss Slattery essere venuta di corsa a chiamare badrona, come sempre fare quando qualche cosa andar male. E miss Elena essere andata a curare miss Emma. E stare poco bene già da un pezzo; essere indebolita, troppo da fare con commissario che rubare tutto quello che noi coltivare. E sempre mangiare come un uccellino. Io aver detto di lasciare bianchi straccioni soli, ma lei non darmi retta. Beh, quando miss Emma cominciare a star meglio, miss Carolene essersi ammalata. Sì, badrona, tifo arrivare qui e colpire miss Carolene e poi miss Susele. E miss Elena cominciare a curare anche loro. Con tutta battaglia e yankees che attraversare fiume e noi non sapere cosa poter succedere di noi, io sentirmi impazzire. Ma miss Elena sempre fredda come un cocomero. Essere soltanto preoccupata perché non potere avere medicine per badroncine. E una sera, dopo avere fatto spugnature circa dieci volte, dire a me: "Mammy, se io poter vendere mia anima, venderei per un pezzo di ghiaccio da mettere sulla testa di mie figlie". E non voler lasciare entrare Mist' Geraldo e neanche Rosa e Tina, soltanto io, perché avere già avuto il tifo. E poi essersi ammalata lei e io avere visto subito che esserci niente da fare. Mammy si irrigidì e si asciugò gli occhi col grembiule. - Essere stato molto rapido; e anche quel bravo dottore yankee non aver potuto far niente. Non capire più niente; io parlare e chiamare, ma lei non riconoscere più nemmeno sua Mammy.- Mi ha mai... nominata... mi ha mai chiamata? - No, gioia. Credere di essere una ragazza, di nuovo a Savannah. Non avere chiamato nessuno per nome. Dilcey si voltò, posando il bimbo sulle sue ginocchia. - Sì, badrona. Aver chiamato qualcuno. - Tu stare zitta, negra-indiana! - Mammy si era voltata con minacciosa violenza verso Dilcey. - Zitta, Mammy! E chi chiamò? Il babbo? - No. Non tuo babbo. Essere stato quella notte che bruciare cotone...- Hanno bruciato il cotone? Dimmi subito! - Sì, tutto. I soldati avere rotolato le balle nel cortile e aver dato fuoco gridando e cantando.Tre annate di cotone messe in serbo: centocinquantamila dollari In una fiammata! - E le fiamme fare luce come se essere giorno; noi avere paura che bruciare anche la casa ed essere tanto chiaro in questa camera che vedere come di giorno col sole. E quando luce brillare, miss Elena essersi come svegliata e drizzata sul letto e gridare forte: "Filippo! Filippo!" Io non avere mai sentito questo nome, ma lei averlo chiamato. Mammy fissava Dilcey pietrificata, ma Rossella si lasciò cadere il capo fra le mani. Filippo... chi era e che cos'era stato per la mamma, se lei era morta chiamandolo? Il lungo cammino da Atlanta a Tara era finito; terminata contro un muro bianco, la strada che doveva finire fra le braccia di Elena. Mai più Rossella potrebbe dormire tranquilla come una bimba, sotto il tetto di suo padre, protetta dall'amore di sua madre che la avvolgeva come morbida coltre di piume. E non vi era più nessuno a cui potersi appoggiare con sicurezza. Suo padre era vecchio e sbalordito, le sue sorelle ammalate, Melania debole, i bambini fragili; e i negri, con la loro fede infantile, si attaccavano a lei perché era la figlia di Elena e quindi credevano che anch'essa sarebbe per tutti un rifugio com'era stata Elena. Attraverso la finestra, alla fievole luce della luna nascente, Tara si stendeva dinanzi a lei: vuota di schiavi, coi suoi campi desolati, le tettoie crollate, come un corpo sanguinante sotto i suoi occhi. La fine della lunga via: vecchiaia tremante, malattia, bocche affamate, mani deboli aggrappate alle sue gonne. E lei, Rossella O'Hara Hamilton, a diciannove anni vedova con un bambino. Che fare? Zia Pitty e i Burr, a Macon, potrebbero raccogliere Melania e il suo bambino. Se le ragazze guarivano, la famiglia di Elena dovrebbe prenderle, volente o nolente. E lei e Geraldo potrebbero rivolgersi agli zii, Giacomo e Andrea. Guardò le forme macilente che si agitavano sotto le lenzuola bagnate. Non voleva bene a Susele. Se ne rendeva conto adesso: non gliene aveva mai voluto. E non aveva uno speciale affetto per Carolene: non poteva amare le persone deboli e fiacche! Ma erano del suo sangue; facevano parte di Tara. Non poteva lasciarle vivere in casa delle zie, come parenti povere. Una O'Hara che viveva di carità! No, mai! Il suo cervello lavorava a fatica. Tese le mani come se si trovasse nell'acqua e prese la borraccia. Vi era dentro ancora del whisky; non capì quanto ve ne fosse. Strano che ora l'odore non le desse noia! Bevve lentamente, ma questa volta il liquido non la bruciò; le diede solo un senso di calore. Posò la borraccia vuota e si guardò attorno. Tutto era un sogno: la stanza piena di fumo; le ragazze scheletrite; Mammy, un fagotto senza forma accovacciato presso il letto; Dilcey, un'immobile statua di bronzo con quel cosino rosso addormentato contro il suo seno oscuro...tutto un sogno da cui si sveglierebbe sentendo l'odor del lardo che frigge in cucina, udendo la risata gutturale dei negri, il cigolio dei carri che vengono dai campi e la dolce mano di Elena che la scuote leggermente. Poi si accorse di essere nella propria stanza, nel suo letto, con Mammy e Dilcey che la svestivano. Il busto non la torturava più, ed ella poteva ora respirare profondamente a pieni polmoni, dilatando tutto l'addome a suo agio. Sentì che le venivano tolte le calze e udì Mammy mormorare parole indistinte di conforto mentre bagnava i piedi infiammati e dolenti. Com'era fresca l'acqua e com'era bello essere coricata in un letto morbido, come una bimba. Sospirò abbandonandosi; e dopo uno spazio di tempo che poteva essere un anno o un minuto, si trovò sola; la stanza era illuminata dalla luna che gettava i suoi raggi sul letto. Non sapeva di essere ubriaca; ubriaca di stanchezza e di whisky. Sapeva soltanto di aver lasciato chi sa dove il suo corpo stanco e di galleggiare in un luogo ove non era sofferenza né stanchezza; e il suo cervello vedeva le cose con una chiarezza non umana. Vedeva ogni cosa con occhi nuovi, poiché, nella lunga strada che la avvicinava a Tara, aveva lasciato tutto ciò che era la sua infanzia. Non era più una creta molle che riceveva una nuova impronta ad ogni nuova esperienza. La creta si era indurita. Stasera per l'ultima volta era stata assistita come una bambina. Ormai era una donna e l'adolescenza era finita. No, non poteva e non voleva rivolgersi alle famiglie di Elena e di Geraldo. Gli O'Hara non accettavano l'elemosina. Ella porterebbe il proprio fardello, poiché le sue spalle erano ora abbastanza forti da sorreggerlo; poteva sopportare tutto, avendo già sopportato il peggio. Non poteva abbandonare Tara; apparteneva a quella terra rossa com'essa apparteneva a lei. Rimarrebbe e troverebbe modo di far vivere suo padre, le sue sorelle, Melania e il bimbo di Ashley e i negri. Domani... oh, domani! Domani metterebbe il collo sotto il giogo. Vi erano tante cose da fare. Andare alle Dodici Querce e alla piantagione di MacIntosh e vedere se negli orti abbandonati era rimasta qualche cosa; andare alle paludi e batterle per rintracciare polli e maiali smarriti, andare a Jonesboro e a Lovejoy coi gioielli di Elena... Doveva essere pure rimasto qualcuno che vendeva roba da mangiare! Domani... domani... La parola si agitava nel suo cervello come il battito di un orologio, sempre più lentamente; ma la chiarezza della visione persisteva. Dai vecchi racconti che aveva ascoltato nella sua infanzia, qualche cosa emergeva chiaramente. Geraldo, senza un soldo, aveva costruito Tara; Elena aveva superato qualche misterioso dolore; il nonno Robillard, sopravvivendo alla caduta di Napoleone, aveva fondato nuovamente la fortuna della sua famiglia sulla fertile costa della Georgia; il bisnonno Prudhomme si era fatto un piccolo regno nella giungla di Haiti, lo aveva perduto, e poi aveva vissuto abbastanza per vedere il suo nome onorato a Savannah. Vi erano le Rosselle che avevano combattuto coi volontari irlandesi per la libera Irlanda e gli O'Hara che erano morti sul Boyne combattendo fino all'ultimo respiro per difendere la loro proprietà. Tutti avevano sopportato le più grandi sventure. Non erano stati abbattuti dal crollo di imperi, di rivolte di schiavi, guerre, proscrizioni, confische. Il fato maligno aveva spezzato la loro vita, a volte, ma non i loro cuori. Non avevano ceduto; avevano lottato. Tutta quella gente il cui sangue scorreva nelle sue vene sembrava muoversi silenziosamente nella stanza inondata dal chiaro di luna. E Rossella non era sorpresa di vederli, quegli antenati che avevano avuto il peggio che il destino può assegnare e lo avevano trasformato nel meglio. Tara era il suo destino, la sua lotta, ed essa doveva vincere. Si voltò pigramente su un fianco; a poco a poco il suo spirito naufragava nell'oscurità. Erano davvero presenti, i fantasmi, e le mormoravano parole incoraggianti, o questo faceva parte del suo sogno? - Siate o non siate qui - mormorò sonnacchiosa - vi do la buona notte... e vi ringrazio.- 25 La mattina seguente il corpo di Rossella era così rigido e indolenzito che ogni movimento le strappava un gemito. Il viso era rosso per la scottatura del sole e le palme delle mani tutte vescicate e scorticate. Si sentiva la lingua melmosa e la gola che le bruciava come se fosse stata arsa; e per quanto bevesse non riusciva a togliersi la sete. Non poteva tenere alta la testa; e perfino girare gli occhi le dava fastidio. Una nausea tremenda le ricordava i primi tempi della sua gravidanza e le rendeva insopportabile fin l'odore delle patate dolci che erano state preparate per la colazione. Geraldo avrebbe potuto dirle che queste sono le normali sofferenze che seguono la prima esperienza di chi ha bevuto troppo; ma Geraldo non si accorgeva di nulla. Sedeva a capotavola con gli occhi assenti fissi sull'uscio e il capo teso leggermente in avanti per udire il fruscio delle gonne di Elena, per sentire il lieve profumo di verbena. Quando Rossella sedette, egli borbottò - Bisogna aspettare la signora O'Hara; è in ritardo. - Ella alzò la testa indolenzita e lo osservò incredula e sgomenta, ma incontrò gli occhi supplichevoli di Mammy che era in piedi, dietro la sedia di Geraldo. Si alzò faticosamente portandosi la mano alla gola e guardò suo padre. Anch'egli la guardò vagamente ed essa si accorse che le mani di lui e la testa erano agitate da un tremito. Fino a quel momento ella aveva inconsciamente fatto assegnamento su Geraldo per assumere la direzione di tutto e dirle che cosa doveva fare ed ora... Eppure ieri sera non le era sembrato ridotto in quello stato. Certo non aveva più nulla della sua antica vivacità; ma almeno le aveva raccontato tutto l'accaduto. Ed ora non si ricordava neppure che Elena era morta. L'impressione provata per l'invasione degli yankees contemporanea alla morte di sua moglie lo aveva istupidito. Aperse la bocca per parlare, ma Mammy crollò la testa con veemenza, e si asciugò gli occhi col grembiule. “Possibile che papà abbia smarrito il senno?" pensò Rossella; e le parve che la sua povera testa non potesse contenere anche questa preoccupazione. "No, no. È soltanto stordito da tutto questo. È come se fosse stato ammalato. Gli passerà. Che farei se non gli passasse? Non voglio pensarci adesso. Non voglio pensare ne a lui né alla mamma né a nessuna di queste orrende tristezze. Ho troppe altre cose a cui debbo pensare.. cose a cui debbo provvedere." Uscì dalla sala da pranzo senza aver mangiato, e andò nel portico posteriore dove trovò Pork, scalzo e coi resti laceri della sua migliore livrea, seduto sui gradini e occupato a schiacciare pistacchi. Il solo sforzo di tener alta la testa le costava una enorme fatica, ed ella parlava il più brevemente possibile, tralasciando le usuali forme di cortesia che sua madre le aveva insegnato ad usare anche coi negri. Cominciò a rivolgergli delle domande bruscamente e a dargli degli ordini in tono così deciso, che Pork alzò le sopracciglia stupito. Miss Elena non aveva mai parlato così con nessuno, nemmeno quando li sorprendeva a rubare pollame e meloni. Gli chiese nuovamente informazioni sui campi, sui giardini e su tutto, e i suoi occhi verdi avevano una luce dura che Pork non vi aveva mai veduto. - Sì, badrona, cavallo essere morto; mentre io avergli messo secchio sotto il naso. No, badrona, mucca non essere morta. Non sapere? Avere fatto vitello stanotte, perciò muggire tanto. - Sarà una brava levatrice, la tua Prissy, - notò causticamente Rossella: - Ha detto che muggiva perché aveva bisogno di essere munta. - Veramente, badrona, Prissy non pensare di essere levatrice per mucche - rispose Pork pieno di tatto. - Dovere essere contenti perché vitello volere dire mucca piena di latte per badroncine, e dottore yankee avere detto che avere molto bisogno di questo. - Va bene. Andiamo avanti. Non c'è nessuna provvista? - No, badrona. Niente. Solamente una maiala con suoi porcellini. Io averla cacciata dentro palude il giorno che essere venuti yankees, ma Dio sa come fare per riprenderla. - La riprenderemo benissimo. Tu e Prissy andrete subito e inizierete la caccia. Pork fu stupito e indignato. - Miss Rossella questo non essere affare per noi. Noi essere negri domestici. Una piccola fiamma apparve negli occhi di Rossella. - Voi due andrete a prendere il branco di maialini con la madre... altrimenti ve ne andrete di qui come hanno fatto gli altri negri.Negli occhi di Pork tremarono due lacrime. Oh, se ci fosse miss Elena! Ella comprendeva queste cose e si rendeva conto dell'abisso che era fra i doveri di un negro contadino e quelli di un negro domestico. - Prenderli, miss Rossella? E come fare? - Non lo so e non me ne importa. Ma chiunque a Tara non vuol lavorare può andarsene dagli yankees. Dillo pure agli altri. - Sì, badrona. - Ora, dimmi del grano e del cotone. - Grano? Dio mio, miss Rossella. Loro aver fatto pascolare cavalli nel grano e aver portato via quello che cavalli non hanno mangiato o calpestato. E avere trascinato carriaggi di cannoni sopra il cotone fino ad aver ridotto tutto un massacro, eccetto pochi jugeri nell'insenatura del fiume, di cui non si sono accorti. Ma non essere molto buon cotone, perché rendere soltanto tre balle, circa. Tre balle. Rossella pensò alle decine di balle che Tara produceva abitualmente; e la testa le fece ancor più male. Tre balle. Poco più di quanto producevano quegli straccioni degli Slattery. A peggiorare le condizioni c'era anche la faccenda delle tasse. Il governo confederato prendeva il cotone invece di danaro, per le imposte; ma tre balle non bastavano neanche a coprirne l'importo. “Beh, non voglio pensare neanche a questo” disse tra sé. “La faccenda delle tasse non riguarda una donna. Dovrebbe occuparsene il babbo... ma non voglio pensare al babbo adesso. La Confederazione aspetterà. Quel che ci vuole adesso è qualche cosa da mangiare.” - Pork, nessuno di voi è stato alle Dodici Querce o dai MacIntosh a vedere se negli orti è rimasto qualche cosa? - No, badrona. Noi non avere lasciato Tara. Paura che yankees prenderci. - Manderò Dilcey alla piantagione dei MacIntosh. Forse troverà qualche cosa. E io andrò alle Dodici Querce. - E con chi? - Da sola. Mammy deve assistere le ragazze e Mister Geraldo non può...Pork emise una esclamazione che la esasperò. Potevano esservi alle Dodici Querce degli yankees o dei negri mascalzoni. Lei non doveva andare sola. - Basta, Pork. Di' a Dilcey che vada subito. E tu e Prissy andate a cercare la scrofa coi maialini ordinò brevemente, e voltò i tacchi. Il vecchio cappello da sole di Mammy, scolorito ma pulito, era sospeso a un attaccapanni; e Rossella se lo mise sul capo ricordando come una cosa di un altro mondo il cappello con la piuma verde che Rhett le aveva portato da Parigi. Prese un cestino di corteccia di quercia e si avviò per la scala posteriore; a ogni gradino che scendeva, sentiva ripercuotersi dai calcagni lungo la spina dorsale un colpo che le faceva dolere tutte le ossa. La strada verso il fiume era rossa e riarsa dal sole fra i campi sconvolti. Non vi erano alberi che facessero ombra e i raggi ardenti penetravano attraverso il cappello di Mammy, come se questo fosse stato di velo, anziché di fitto tessuto di cotone. La strada era tutta buche e solchi entro cui erano stati trascinati i pesanti cannoni. Le piante erano calpestate dove la cavalleria e la fanteria avevano marciato, costrette a cedere la strada all'artiglieria. Qua e là si vedevano sul terreno fibbie, pezzi di cuoio, cassette sfasciate dagli zoccoli, ruote di carriaggi, bottoni, berretti blu, scarpe vecchie, cenci insanguinati, tutto il disordine lasciato da un esercito in marcia. Ella oltrepassò il gruppo di cedri e il muretto di mattoni che segnava il sepolcreto di famiglia, cercando di non pensare alla nuova tomba che era accanto alle tre dei suoi fratellini. Oh, Elena... Discese la collina, passò dinanzi al mucchio di ceneri che segnava il luogo dove era stata la casupola degli Slattery, e si augurò con furore che tutta la loro tribù fosse fra quelle ceneri. Se non fosse stato per gli Slattery... Se non fosse stato per quella ripugnante Emma che aveva avuto un bastardo dal loro sorvegliante, Elena non sarebbe morta. Una pietra tagliente le entrò nella scarpa ed ella emise un gemito. Ma che stava facendo? Perché Rossella O'Hara, la bella della Contea, l'orgoglio di Tara, camminava barcollando, quasi scalza, per quella strada disuguale? I suoi piedini erano fatti per ballare non per zoppicare; e i suoi scarpini sottili per apparire sotto agli abiti di seta, e non per riempirsi di sassolini e di polvere. Ella era nata per essere accarezzata e servita e invece eccola malata e cenciosa, trascinata dalla fame a cercare qualche cosa da mangiare negli orti dei suoi vicini. Ai piedi della collina scorreva il fiume; com'erano freschi e tranquilli gli alberi che si specchiavano nell'acqua! Si accasciò sulla riva bassa e strappandosi i resti delle scarpine e delle calze immerse i piedi ardenti nell'acqua ristoratrice. Come sarebbe bello poter rimanere lì tutto il giorno ad ascoltare il fruscio del fogliame e il mormorio dei piccoli vortici! Con riluttanza si rimise le calze e le scarpe e si avviò nuovamente. Gli yankees avevano bruciato il ponte, ma ella conosceva a un centinaio di metri più in giù una passerella gettata attraverso un punto in cui il fiume era più stretto. La attraversò guardinga e percorse l'altro mezzo miglio che la separava ancora dalla Dodici Querce. I dodici alberi erano tuttora eretti com'erano stati fin dai tempi degli indiani; ma le loro foglie erano abbruciacchiate e i rami arsi e contorti. Nel centro erano le rovine della casa di John Wilkes, i resti della casa che aveva incoronato la collina con le sue bianche colonne: la fossa profonda che era stata la cantina, le fondamenta di pietra annerita e due grandi comignoli segnavano il luogo. Una lunga colonna mezza combusta era caduta attraverso il prato, schiacciando i cespugli di gelsomini. Rossella sedette sulla colonna, troppo abbattuta per proseguire. Questa desolazione la colpiva più di tutto il resto. Era l'orgoglio dei Wilkes polverizzato, la fine della casa ospitale ove era sempre stata la benvenuta, la casa di cui nei suoi futili sogni aveva aspirato ad essere la padrona. Qui ella aveva ballato, pranzato e civettato; e qui, col cuore geloso e ferito, aveva osservato Melania che sorrideva ad Ashley; qui, nelle fresche ombre delle querce, Carlo Hamilton le aveva stretto la mano con gioia quando ella aveva accettato di sposarlo. "Oh, Ashley!" pensò. "Spero che siate morto. Non potrei sopportare che voi doveste vedere questo." Ashley si era sposato qui; ma suo figlio e il figlio di suo figlio non porterebbero mai la loro sposa in questa casa. Non vi sarebbero più unioni e nascite sotto il tetto che lei pure aveva amato e che aveva sognato di dirigere. La casa era morta e, per Rossella, era come se anche tutti i Wilkes fossero morti nelle sue ceneri. - Non voglio pensarvi adesso. Non posso sopportarlo; vi penserò più tardi, - disse ad alta voce volgendo gli occhi altrove. Per giungere all'orto, zoppicò attorno alle rovine, passando vicino all'aiuola di rose che le ragazze Wilkes avevano tanto curato; attraversò il cortile posteriore e calpestò le ceneri della dispensa, delle tettoie e dei pollai. La palizzata intorno all'orto era stata divelta e le file, un tempo così ordinate, delle piante avevano subito lo stesso trattamento di quelle di Tara. La terra morbida era piena di impronte di zoccoli, di solchi di ruote pesanti; e i legumi erano stati distrutti e calpestati. Non vi era nulla da raccogliere. Riattraversò il cortile e si incamminò per il sentiero verso la fila silenziosa di baracche imbiancate a calce: il quartiere degli schiavi; emise un - Hello! - ma nessuna voce le rispose. Neanche l'abbaiare di un cane. Evidentemente i negri di Wilkes avevano preso la fuga o avevano seguito gli yankees. Sapeva che ogni schiavo aveva il proprio minuscolo orto e sperò che almeno questi fossero stati risparmiati. La sua ricerca fu ricompensata; ma ella era troppo stanca per rallegrarsi alla vista delle rape e dei cavoli, un po' afflosciati per la mancanza d'acqua ma non ancora disseccati, e dei fagioli ingialliti ma ancora mangiabili. Sedette in un solco e cominciò a scavare la terra riempiendo lentamente il suo cesto. Stasera si mangerà bene a Tara, malgrado la mancanza di un po' di carne da far bollire coi legumi. Forse si potrà adoperare come condimento un po' del grasso che Dilcey usa per l'illuminazione. Bisognerà ricordarsi di dire a Dilcey che adoperi per quest'uso la resina dei pini e risparmi il grasso per cucinare. Accanto alla soglia di una capanna trovò una fila di ramolacci; subitamente provò lo stimolo della fame. Senza neanche nettarla dal terriccio, addentò avidamente una radice dal gusto asprigno, e la inghiottì in fretta. Era così forte che le fece venir le lacrime. Ma il suo stomaco vuoto si ribellò a quel cibo; coricata nel terreno molle, ella rigettò faticosamente. Il fetore di negro che proveniva dalla capanna aumentava la sua nausea; senza forza per combatterla, ella continuò a vomitare, mentre le capanne e gli alberi pareva danzassero una sarabanda attorno a lei. Rimase a lungo coricata sul suolo, come se fosse in un soffice letto; la sua mente vagolava qua e là debolmente. Era proprio lei, Rossella O'Hara, sdraiata a terra dietro alla capanna di un negro, in mezzo alle rovine, senza forza per muoversi; e nessuno al mondo lo sapeva o se ne curava. Lei che non si era mai chinata a raccogliere un fazzoletto o a togliersi le calze... lei, che per un piccolo mal di capo si era sempre fatta accarezzare e consolare... Era lì prostrata; troppo debole per scacciare i ricordi e le preoccupazioni che ora l'assalivano in folla. Non aveva più la forza di dire: - Penserò alla mamma, al babbo, ad Ashley più tardi... quando potrò sopportarlo. - Non poteva sopportarlo, adesso; eppure era costretta a pensarvi. E rimase a lungo sotto il sole scottante, ricordando cose e persone morte, ricordando un modo di vivere finito per sempre... e guardando verso il triste e cupo avvenire. Quando si rialzò e vide nuovamente le rovine delle Dodici Querce, le parve che gioventù e bellezza l'avessero abbandonata per sempre. Il passato era passato. I morti erano morti. La beata indolenza di altri tempi era sparita e non tornerebbe più. Impossibile indietreggiare: bisognava andare avanti. Per cinquant'anni negli Stati del Sud vi sarebbero donne desolate che guarderebbero indietro; che rievocherebbero i loro morti e i ricordi della vita trascorsa, sopportando orgogliosamente la povertà, perché ricche di memorie. Ma Rossella non guarderebbe mai più indietro. Fissò le pietre annerite e per l'ultima volta rivide le Dodici Querce com'erano una volta, simbolo di una razza e di un sistema di vita. Poi riprese la strada verso Tara, col cestino pesante che le affaticava il braccio. La fame le torturava nuovamente lo stomaco vuoto, ed ella disse ad alta voce: - Dio mi è testimone che gli yankees non mi abbatteranno. Supererò questo; e quando sarà passato, non soffrirò mai più la fame. Né io né i miei. Dovessi rubare o uccidere... Dio mi è testimone che non soffrirò la fame mai più.Nei giorni che seguirono, Tara fu simile all'isola di Robinson Crusoe, tanto era silenziosa e isolata dal resto del mondo. Con la morte del cavallo ogni mezzo di collegamento con gli altri luoghi era scomparso, e non vi era il tempo né la forza occorrente per percorrere a piedi tante miglia. A volte, nei momenti di pausa del lavoro estenuante, della lotta disperata per provvedere da mangiare e per curare le tre giovani ammalate, Rossella si sorprendeva a tendere l'orecchio come se avesse dovuto udire dei rumori familiari: le risa acute dei bambini negri nel quartiere degli schiavi, il cigolio dei carretti che tornavano dai campi, il nitrito dello stallone di Geraldo, le voci allegre di un gruppo di vicini che veniva a scambiare due chiacchiere. Ma ascoltava invano. La strada era silenziosa e deserta e neanche la più piccola nube di polvere rossa annunciava l'avvicinarsi di un visitatore. Eppure esistevano famiglie che mangiavano e dormivano tranquille nelle loro case. Dovevano esservi ragazze che vestivano elegantemente, che ballavano, cantavano, come lei stessa faceva fino a poche settimane fa. E vi era una guerra, e dei cannoni che tuonavano e città incendiate e uomini che affollavano gli ospedali in mezzo a un sentore dolciastro e nauseante. E vi era un esercito scalzo e con le uniformi lacere che marciava e combatteva, sonnacchioso, affamato e debole di quella debolezza che sopraggiunge quando ogni speranza è perduta. E in qualche parte della Georgia le colline erano azzurre di soldati yankee, ben nutriti e montati su cavalli col pelo lustro. Lontano da Tara - dove? - era la guerra... e il mondo. Ma nella piantagione non esistevano se non i ricordi che bisognava scacciare quando, nei momenti di esaurimento, si presentavano in folla. Non poteva occuparsi d'altro che del modo di riempire stomachi che reclamavano cibo. Come mai lo stomaco aveva una memoria così vigile? La mattina, quando Rossella era ancora nel dormiveglia, prima che le tornasse il ricordo della guerra e della fame, le sue narici cercavano di percepire il noto odore di lardo fritto e di focacce. E ogni mattina, lo sforzo di annusare la svegliava completamente. Sulla tavola di Tara vi erano mele, patate dolci, latte e pistacchi; ma anche questi alimenti primitivi erano in quantità insufficiente. Vedendoli tre volte al giorno, la mente ricorreva ai pranzi degli antichi tempi, con la tavola illuminata e il buon odore di vivande che profumava l'aria. Che prodigalità, che sciupio vi era allora! Focacce, crostini, biscotti, cialdoni gocciolanti di burro, tutto ad un pasto solo. Prosciutto ad un'estremità della tavola e pollo arrosto all'altra, cavoli che nuotavano nel condimento, fagioli ammucchiati nei piatti di porcellana a fiori, zucchine fritte, piselli al forno, carote alla crema, una crema densa da tagliarsi col coltello. E dolci di tre qualità, perché ognuno potesse scegliere: di cioccolata, biancomangiare alla vainiglia e torta ripiena di marmellata. Il ricordo di quei pranzi succulenti le faceva venire le lagrime, cosa che non avevano fatto la guerra e la morte; e il suo stomaco sempre affamato era assalito da nausee. Ma l'appetito che Mammy aveva sempre deplorato, il sano appetito dei diciannove anni, non le veniva meno; anzi era aumentato dalle fatiche che ella non aveva mai conosciute prima. E non lei sola era affamata a Tara: ovunque si volgesse erano visi famelici - bianchi o negri. Fra poco Carolene e Susele avrebbero l'insaziabile fame dei convalescenti di tifo. E già il piccolo Wade piagnucolava monotonamente: -Wade non ama patate dolci. Wade ha fame. Anche gli altri si lagnavano: - Miss Rossella, se io non avere un poco più da mangiare, non poter curare badroncine. - Miss Rossella, se non avere qualche cosa di più nello stomaco, non potere spaccare legna. - Agnellino mio, non vedere l'ora di mangiare un vero pasto. - Figliuola, non c'è altro che patate dolci? Solo Melania non si lamentava; Melania che diventava sempre più sottile e più pallida e che gemeva anche nel sonno. - Non ho fame, Rossella. Dai la mia parte di latte a Dilcey; Ne ha bisogno per allevare due bimbi. Gli ammalati non hanno mai fame. Questa sua dolcezza irritava Rossella più che le lamentele degli altri. Contro gli altri poteva gridare e rivolgere loro dei sarcasmi; ma contro l'altruismo di Melania era impotente; impotente e piena di risentimento. Geraldo, i negri e Wade erano adesso molto attaccati a Melania perché era dolce e gentile; cosa che Rossella non era davvero. Wade specialmente era sempre in camera di Melania. Il bimbo non stava bene; ma Rossella non aveva tempo di scoprire di che cosa soffrisse. Mammy disse che erano vermi, e Rossella gli diede la mistura di erbe secche e cortecce che Elena soleva dare ai bambini negri. Ma il vermifugo non fece che rendere il piccino più pallido. E per Rossella, Wade rappresentava solo un'altra preoccupazione, un'altra bocca da nutrire. Più tardi, quando questo tremendo periodo fosse passato, ella potrebbe giocare con lui e insegnargli l'abbecedario; ma per ora non ne aveva né il tempo né la voglia. E siccome le veniva intorno sempre quando aveva più da fare, sovente essa gli parlava sgarbatamente. Le dava fastidio che il più piccolo rimprovero desse agli occhi del fanciullo quell'espressione di terrore che lo faceva sembrare stupido. Rossella non capiva che il bambino viveva in uno stato di spavento troppo terribile perché un grande potesse comprenderlo; una paura che gli scrollava l'anima e la notte lo faceva piangere. Un rumore inatteso lo faceva sussultare perché nella sua mente ogni rumore era collegato con gli yankees. Prima dell'assedio, egli non aveva conosciuto che una vita tranquilla; anche se sua madre si occupava poco di lui, tutti gli dicevano parole dolci e lo accarezzavano. E una notte si era svegliato e aveva visto il cielo in fiamme ed era stato assordato dalle esplosioni. In quella notte e nel giorno seguente era stato per la prima volta battuto da sua madre e aveva udito la sua voce pronunciare parole aspre. Della fuga da Atlanta non aveva compreso nulla, se non che gli yankees lo inseguivano; ed ora viveva nel continuo spavento che lo trovassero e lo facessero a pezzi. Se Rossella alzava la voce in un rimprovero, Wade impallidiva perché la sua vaga memoria infantile lo riportava al tremendo momento in cui l'aveva udita per la prima volta parlare con quel tono. Rossella si accorgeva che il bimbo la evitava e, nei rari momenti in cui i suoi interminabili doveri le lasciavano il tempo di pensarvi, quest'idea la tormentava. Era peggio che averlo sempre attaccato alle gonne, ed il fatto che egli cercasse rifugio presso il letto di Melania dove rimaneva tranquillo a giocare secondo i suggerimenti di lei o ad ascoltare le favole che essa gli raccontava la offendeva e la irritava. Wade adorava "Zietta" che aveva una voce dolce, che sorrideva sempre e non diceva mai: - Zitto, Wade, mi fai venire mal di capo! - oppure: - Stai fermo, Wade, per l'amor di Dio! Un giorno che Rossella, la quale provava questo nuovo senso di gelosia, lo trovò accanto al letto di Melania e lo vide gettarsi sopra di lei, lo rimproverò: - Non sai far niente di meglio che tormentare la zia che è ammalata? Via, svelto, vai a giocare in cortile e non tornare più qui.Ma Melania trasse a sé il bimbo. - Rimani pure, Wade; non mi tormenti! Davvero, Rossella, non mi dà noia. Lascialo stare qui. Non posso fare altro che occuparmi un poco di lui; tu hai troppo da fare per avere anche il pensiero del bambino! - Non fare la sciocca, Melania. Tu non stai ancora bene; e avere Wade che si butta sul tuo stomaco non può farti del bene. Andiamo, Wade. E se ti trovo ancora una volta attorno al letto della zia, vedrai che cosa ti capita! E finiscila di tirar su col naso! Wade fuggì singhiozzando a nascondersi. Melania si morse le labbra e gli occhi le si riempirono di lacrime; e Mammy che aveva assistito alla scena guardò con cipiglio. Ma nessuno osava contraddire Rossella in quei giorni. Tutti avevano paura della sua lingua tagliente, della nuova personalità che si era sviluppata in lei. Rossella regnava adesso su Tara; e, come accade a tante persone che giungono improvvisamente all'autorità, tutti i suoi istinti tirannici vennero a galla. Non che fosse fondamentalmente cattiva. Ma era così sgomentata, e così poco sicura di sé, che diventava crudele per tema che gli altri si accorgessero delle sue manchevolezze e non rispettassero la sua autorità. D'altronde, era anche piacevole gridare e accorgersi che gli altri avevano paura! Era un sollievo per i nervi eccessivamente tesi. Ricordava che Elena le diceva sempre: - Sii gentile con gli inferiori, specialmente coi negri; - ma sapeva che se fosse stata gentile, quelli sarebbero rimasti tutto il giorno a sedere in cucina, a parlare dei bei tempi in cui non si pensava che un "negro domestico" dovesse fare il lavoro di un negro agricoltore. - Ama le tue sorelle e sii affettuosa con loro - diceva Elena. - Mostra della tenerezza agli afflitti, a coloro che sono ammalati e turbati. Non poteva amare le sue sorelle che erano soltanto un peso morto per lei. Quanto ad essere affettuosa, non le lavava, pettinava, non dava loro da mangiare, anche a costo di dover fare ogni giorno parecchie miglia per trovar dei legumi? Non stava imparando a mungere la mucca, anche se si sentiva il batticuore quando l'animale le mostrava le corna? Ora le ragazze erano convalescenti, ma rimanevano ancora a letto, deboli e indolenzite. Durante la loro malattia che le aveva tenute incoscienti, il mondo era mutato. Erano venuti gli yankees, i negri erano fuggiti, la mamma era morta. Tre avvenimenti incredibili, che il loro cervello stentava ad afferrare. A volte credevano di essere ancora in delirio. Anche Rossella era così cambiata che non poteva esser vera. Quando si appoggiava alla spalliera del letto e prospettava il lavoro che esse dovrebbero fare una volta guarite, la guardavano come se fosse uno spirito folletto. Non riuscivano a concepire che non vi erano più cento schiavi per lavorare. E non concepivano che una signora O'Hara dovesse fare un lavoro manuale. - Ma, sorella - diceva Carolene, col suo dolce visino infantile costernato - come vuoi che io possa preparare le fascine per il fuoco! Mi rovinerei tutte le mani! - Guarda le mie - rispondeva Rossella con un sorriso acido, mostrandole il palmo delle sue, scorticate e incallite. - E' una cattiveria parlare così con me e con la piccola! - gridava Susele. - Dici delle bugie per spaventarci. Se ci fosse la mamma, non ti permetterebbe di parlare così. Spaccare la legna e preparar le fascine! Susele guardava la sorella maggiore, convinta che questa parlasse solo per malvagità. Si sentiva così sola, Susele, dopo la morte della mamma; e avrebbe avuto bisogno di essere accarezzata e trattata con dolcezza. Invece Rossella si limitava ad apparire ogni giorno ai piedi del letto, apprezzando il loro miglioramento con una nuova luce odiosa nei suoi occhi verdi; e parlava di rifare i letti, preparar da mangiare, portare i secchi dell'acqua e spaccare la legna. E sembrava che si divertisse a dire queste orribili cose. Effettivamente, Rossella provava in questo una certa gioia. Tiranneggiava i negri e lacerava il cuore delle sue sorelle non solo perché era troppo preoccupata e stanca per fare diversamente; ma anche perché questo la aiutava a dimenticare la propria amarezza nel constatare che tutto quello che sua madre le aveva detto intorno alla vita era errato. Ciò che la mamma le aveva insegnato non valeva nulla; ed il cuore di Rossella era conturbato e perplesso. Non pensava che Elena non poteva prevedere il crollo della civiltà nella quale ella aveva allevato le sue figliuole e che nell'insegnarle ad essere gentile e graziosa, buona, modesta e fedele, ella aveva guardato verso un futuro tranquillo, simile agli anni monotoni della propria vita. Elena affermava che la vita era buona verso le donne che sapevano mettere a profitto queste lezioni. Disperata, Rossella pensava: "Niente, niente di quello che mi ha insegnato può servirmi! Che farmene della bontà? Che valore ha la dolcezza? Meglio sarebbe che io avessi imparato ad arare o a coltivare il cotone come un negro! Oh, mamma, come hai sbagliato!" Era un mondo completamente diverso; un mondo in cui tutte le proporzioni e tutti i valori erano sovvertiti; e quindi ella pure doveva mutare per affrontare questa nuova vita a cui non era preparata. Solo il suo sentimento per Tara non aveva subito cambiamenti. Ogni volta che ella tornava a casa stanca e, attraversando i campi, vedeva da lontano il bianco edificio, sentiva il cuore balzare di gioia. E quando dalla finestra contemplava i prati verdi e l'argilla rossa dei campi e la foresta al di là della palude, il senso di questa bellezza le colmava l'anima. Il suo amore per quella terra era una parte di lei stessa che rimaneva immutata anche quando tutto il resto si trasformava. Guardando Tara comprendeva, in parte, la ragione delle guerre. Rhett aveva torto dicendo che gli uomini combattevano per il denaro. No, essi combattevano per i campi solcati dall'aratro, per i prati verdi di erba tenera, per i fiumi gialli e sonnolenti, e per le case bianche e fresche fra le magnolie. Queste erano le sole cose per cui valeva la pena di combattere; la terra rossa che era loro e che sarebbe dei loro figliuoli, la terra rossa che produrrebbe il cotone per i loro figli e per i figli dei loro figli. I campi calpestati di Tara erano tutto ciò che le era rimasto ora che la mamma e Ashley erano scomparsi, ora che Geraldo era rimbambito per il dolore, ora che il denaro, i negri, la sicurezza e la posizione erano svaniti per sempre. Ricordava come un sogno una conversazione con suo padre a proposito della terra e si stupiva di essere stata così giovane e così ignorante da non aver compreso quando egli le aveva detto che la terra era la sola cosa al mondo per cui valesse la pena di combattere. "...Perché questa è la sola cosa nel mondo che duri... e per chiunque ha nelle vene una sola goccia di sangue irlandese, la terra su cui vive è come una madre... è la sola cosa per cui valga la pena di lavorare, di combattere, di morire." Sì, valeva la pena di combattere per Tara; ed ella accettò semplicemente e senza esitare la battaglia. Nessuno le toglierebbe Tara. Nessuno spingerebbe lei ed i suoi ad accettare la carità dei parenti. Ella terrebbe Tara, anche se dovesse fiaccare le ossa di tutti coloro che vi erano rimasti. 26 Rossella era a casa da due settimane, quando la vescica più grande del suo piede cominciò a suppurare facendole gonfiare l'estremità in modo che le era impossibile mettere la scarpa e che riusciva a camminare solo appoggiandosi al calcagno. La disperazione s'impadronì di lei. Se l'arto fosse andato in cancrena come le ferite dei soldati, ed ella dovesse morire così, senza un medico? Per quanto la vita fosse amara, ella non desiderava lasciarla. E poi, chi si occuperebbe di Tara se ella moriva? In un primo tempo aveva sperato che Geraldo tornasse in sé e prendesse la direzione della casa; ma in quelle due settimane la speranza era svanita. Oramai la piantagione e i suoi abitanti erano affidati alle sue mani inesperte, poiché Geraldo rimaneva lunghe ore seduto, come assente dalla vita; e quando ella gli chiedeva qualche consiglio rispondeva: - Fai come ti sembra meglio, figliola. - O, peggio ancora: Domanda alla mamma, gattina. Senza dubbio egli non muterebbe più; e Rossella comprendeva che fino alla morte Geraldo continuerebbe ad attendere Elena, convinto che ella fosse in un'altra stanza. Quella mattina la casa era tranquilla perché tutti, eccetto Rossella, Wade, e le tre inferme, erano andati nella palude alla caccia della scrofa. Perfino Geraldo si era avviato attraverso i campi malconci, appoggiando una mano sul braccio di Pork e tenendo nell'altra un pezzo di fune. Susele e Carolene avevano tanto pianto che si erano addormentate, come facevano almeno due volte al giorno, quando pensavano ad Elena e le lacrime inondavano le loro guance smunte. Melania, che si era alquanto sollevata sui guanciali per la prima volta in quel giorno, aveva i due pargoli uno su ogni braccio. Wade sedeva ai piedi del letto, ascoltando una fiaba. Per Rossella il silenzio di Tara era insopportabile, perché le ricordava troppo acutamente la quiete mortale della desolata campagna attraversata nel venire da Atlanta. La mucca e il vitello non si facevano sentire da qualche ora. Non vi erano uccelli che cinguettassero fuori dalla finestra, e perfino la rumorosa famiglia dei merli, che da tanti anni viveva nella magnolia, quel giorno era taciturna. Ella aveva trascinato una sedia bassa accanto alla finestra aperta della sua stanza, e guardava il viale d'accesso col mento appoggiato sulle braccia posate sul davanzale. Accanto a lei, sul pavimento, era un secchio d'acqua nel quale ella immergeva ogni tanto il piede ammalato. Era di pessimo umore. Proprio quando aveva bisogno di tutte le sue forze, quel piede si metteva a suppurare! Era sicura che quegli stupidi negri non riuscirebbero a catturare la scrofa. Avevano impiegato una settimana a prendere i porcellini, uno ad uno, e la madre era ancora in libertà. Se fosse andata lei nella palude, insieme a loro, si sarebbe alzata le gonne fino alle ginocchia e avrebbe lanciato il nodo scorsoio in men che non si dica... Ma anche dopo aver preso quella bestia... se si prendeva... Che fare dopo aver mangiato quella e i porcellini? La vita continuerebbe e l'appetito pure. L'inverno si avvicinava e non c'era più nulla da mangiare; anche i poveri rimasugli dei legumi dei vicini stavano per finire. Occorrevano piselli secchi, orzo, farina, riso,... tante, tante cose! E poi grano e semi di cotone per la semina della primavera e anche nuovi abiti. Dove prendere tutto questo, e come pagarlo? Aveva frugato nelle tasche di Geraldo e nella sua cassa, e tutto ciò che aveva trovato erano pacchetti di titoli della Confederazione e tremila dollari in banconote della Confederazione stessa. Bastavano giusto per un pasto completo per tutti, pensò ironicamente, ora che il denaro della Confederazione valeva quasi meno che nulla. Ma anche se avesse del denaro e potesse comprare delle provviste, come potrebbe portarle a Tara? Perché Dio aveva fatto morire il vecchio cavallo? Perfino quell'animale malandato sarebbe stato prezioso per loro. Oh, i bei muli muscolosi, e i bei cavalli, e la sua piccola giumenta, i ponies delle ragazze e lo stallone di Geraldo... Oh, avere solo una di quelle bestie, magari il più caparbio dei muli! Comunque, quando il piede sarà guarito, andrà a Jonesboro. Sarà la più lunga passeggiata della sua vita, ma la farà. Anche se gli yankees hanno bruciato completamente la città, vi sarà qualcuno nel vicinato che potrà dirle dove è possibile procurarsi dei viveri. In quel momento ebbe la visione di Wade piagnucoloso. Non gli piacevano le patate dolci, ripeteva; voleva del riso col sugo e poi voleva anche un bastone per il tamburo. La luce del sole improvvisamente si oscurò. Rossella lasciò ricadere la testa sulle braccia e lottò contro le lacrime. Piangere era inutile; il solo momento in cui le lacrime potevano servire, era quando un corteggiatore chiedeva qualche cosa. In quel momento fu colpita da uno scalpitio di zoccoli; ma non alzò la testa. Troppo spesso le era parso di udire quel rumore, nello stesso modo in cui aveva immaginato di udire il fruscio delle gonne di Elena. Sentì battere il cuore più velocemente, come sempre, prima di avere il tempo di dire a se stessa: "Non essere stupida". Ma il rumore di zoccoli rallentò assumendo il ritmo di una passeggiata; si sentì la ghiaia scricchiolare. Un cavallo... i Tarleton, i Fontaine! Alzò gli occhi. Era un soldato di cavalleria yankee. Automaticamente si trasse dietro la tenda e lo guardò affascinata, e così sgomenta, che le mancò il respiro. L'uomo, grosso, rozzo, con una barba nera incolta che gli scendeva sulla tunica sbottonata, cavalcava piegato in avanti. Gli occhi piccoli e socchiusi per il sole abbagliante, osservavano tranquillamente la casa, da sotto la visiera del berretto azzurro. Scese lentamente e attorcigliò le redini sul pomo della sella; frattanto Rossella sentì che il respiro le ritornava, improvviso e doloroso come dopo aver ricevuto un colpo nello stomaco. Uno yankee, uno yankee con una lunga pistola al fianco! E lei era sola in casa con tre ammalate e due lattanti! Mentre egli percorreva il viale con la mano sulla pistola e guardando vivamente a destra e a sinistra, un caleidoscopio di immagini spaventose le passò dinanzi agli occhi: storie raccontate da zia Pittypat di attacchi a donne indifese, di gole tagliate, di case incendiate, di bambini sventrati; tutti gli indicibili orrori inseparabili dal nome di "yankee". Il suo primo impulso fu di nascondersi nel gabinetto, di scivolare sotto al letto, di fuggire per la scala posteriore e correre urlando verso la palude; qualunque cosa pur di sfuggirgli. Ma udì il suo passo guardingo sui gradini dell'ingresso, e la sua andatura pesante nel vestibolo; e comprese che ogni via di scampo era ormai preclusa. Irrigidita dallo spavento, lo udì passare di camera in camera a pianterreno, con passo che diventava sempre più sicuro a misura che si accorgeva che la casa era deserta. Ora si trovava nella sala da pranzo; fra poco andrebbe in cucina. Al pensiero della cucina una rabbia subitanea invase Rossella. E lo spavento diede luogo a un furore strapotente. La cucina! Quivi, sul fornello, erano due casseruole: una piena di mele al forno e l'altra di minestrone fatto coi legumi portati faticosamente dalle Dodici Querce e dall'orto di MacIntosh; un pranzo che doveva servire per nove persone affamate ed era appena sufficiente per due. Rossella dominava il suo appetito da qualche ora, aspettando il ritorno degli altri; e il pensiero che lo yankee potesse divorare il loro magro pasto la fece tremare di collera. Dio li maledica tutti! Erano discesi come delle cavallette, distruggendo tutto, ed ora tornavano ancora per rubare i miseri rimasugli. Ah no, per Dio, ecco uno yankee che non ruberebbe più nulla a nessuno! Si tolse l'altra scarpa e, a piedi scalzi, andò velocemente al cassettone senza neanche più sentire il dolore della sua ferita. Aperse senza far rumore il cassetto superiore e afferrò la pesante pistola che aveva recata da Atlanta: l'arme che Carlo aveva portata, ma con la quale non aveva mai sparato. Frugò nella borsa di cuoio sospesa alla parete sotto la sua sciabola e trasse una cartuccia che insinuò nell'arme con mano che non tremava. Rapidamente e silenziosamente corse fuori dalla stanza e scese le scale reggendosi alla ringhiera con una mano e tenendo con l'altra la pistola fra le pieghe della gonna. - Chi va là? - chiese una voce nasale. Ed ella si fermò a metà delle scale, col sangue che le ronzava nelle orecchie in modo così violento che quasi non le faceva udire la voce dell'uomo. - Fermi, o sparo! gridò ancora la voce. Era fermo sulla soglia della stanza da pranzo, con la pistola in una mano e nell'altra la cassettina da lavoro di legno rosa in cui erano il ditale d'oro, le forbicine e l'agoraio d'oro. Rossella sentì agghiacciarsi le gambe, ma l'ira le fece avvampare il volto. La scatola da lavoro di Elena in quelle mani! Volle gridare: "posatela subito! Posatela subito, brutto..." ma le parole non uscirono. Rimase a guardarlo al di sopra della ringhiera e vide il suo volto mutare la sua espressione di turbamento e di tensione in un sorriso fra sprezzante e grazioso. - Dunque c'è qualcuno in casa - disse rimettendo la pistola nel fodero e attraversando il vestibolo fino a trovarsi proprio sotto a lei. - Tutta sola, bella signorina? Con la rapidità del lampo ella sollevò l'arme al di sopra della ringhiera in direzione del viso barbuto. Prima che egli potesse portare la mano alla cintura, Rossella fece scattare il grilletto. Il rinculo della pistola la fece indietreggiare, mentre il fragore dell'esplosione le riempiva le orecchie, e il fumo acre le penetrava nelle narici. L'uomo cadde all'indietro con una violenza che fece tremare il mobilio. La scatola gli sfuggì dalle mani spargendo attorno il contenuto. Senza neanche accorgersi di ciò che faceva, Rossella scese le scale di corsa e fu accanto a lui, guardando ciò che era rimasto di quel volto al di sopra della barba; un buco sanguinoso al posto del naso, gli occhi bruciati dalla polvere. Due rivoli di sangue cominciarono a scorrere sul pavimento, uno proveniente dal viso, l'altro dal capo. Era morto. Senza alcun dubbio. Aveva ucciso un uomo. Il fumo saliva in lente volute al soffitto e il rigagnolo rosso si allargava. Per un tempo incalcolabile ella restò immobile, e nel calore della mattina d'estate ogni minimo rumore e profumo sembrò ingigantire il battito del suo cuore, il fruscio delle foglie di magnolia, il lontano lamento di un uccello di palude, la lieve fragranza dei fiori fuori della finestra. Aveva ucciso un uomo, lei che non era mai rimasta sino al termine di una caccia, che non sopportava le stride dei maiali al macello, il guaito di un coniglio in trappola. "Ucciso!" pensò stupidamente. "Ho commesso un assassinio. E' impossibile." I suoi occhi corsero alla mano tozza e villosa che posava sul pavimento, vicino alla scatola da lavoro, e improvvisamente ebbe la sensazione di essere nuovamente viva, viva gioiosamente, di una fredda gioia da tigre. Avrebbe affondato con piacere il tallone nella larga ferita che era al posto del naso di quell'uomo, e il sangue caldo sul piede nudo le avrebbe dato piacere. Aveva colpito per vendicare Tara... ed Elena. Sul pianerottolo superiore udì un calpestio affrettato e incerto; poi una pausa; quindi nuovi passi, lenti e strascicati, accompagnati da un rumore metallico. Riprendendo coscienza del momento e del luogo, Rossella alzò gli occhi e vide in cima alla scala Melania vestita solo dell'accappatoio cencioso che funzionava da camicia da notte; il suo debole braccio era tirato in basso dal peso della sciabola di Carlo. Gli occhi di Melania afferrarono la scena nel suo insieme; il corpo vestito di azzurro nella pozza di sangue, la scatola da lavoro, Rossella scalza e pallida con la pistola stretta nella mano convulsa. I suoi occhi incontrarono quelli di Rossella. Un raggio di orgoglio feroce illuminava il suo volto generalmente dolce; nel suo sorriso era un'approvazione e una gioia che uguagliavano il tumulto che agitava il seno della giovine temeraria. "E' come me!" pensò Rossella. "Comprende i miei sentimenti! Avrebbe fatto lo stesso!" Con un brivido, guardò la fragile donna per la quale non aveva mai provato che disprezzo e antipatia. Ora, lottando contro l'odio per la moglie di Ashley, nasceva in lei un sentimento di ammirazione e di cameratismo. In un lampo, si accorgeva che sotto la voce gentile e gli occhi di colomba di Melania si celava una lama d'acciaio infrangibile; e sentì pure che nel sangue tranquillo di Melania erano squilli e fanfare di intrepido ardimento. - Rossella! Rossella! - gridarono le voci sgomente di Carolene e di Susele, soffocate dall'uscio chiuso; e la vocetta di Wade urlò: -Zietta! Zietta! - Melania pose rapidamente un indice sulle labbra e posando la sciabola sul primo gradino, attraversò faticosamente il pianerottolo e aperse la porta delle ammalate. - Non abbiate paura, bambine! - La sua voce era scherzosa. - Vostra sorella ha voluto pulire la pistola di Carlo e involontariamente ha fatto partire un colpo che le ha fatto una paura terribile!... Pensa, Wade, che la mamma ha sparato con la pistola del tuo papà! Quando sarai grande, sparerai anche tu. "Con che freddezza sa mentire!" pensò Rossella con ammirazione. "Io non avrei avuto l'idea... Ma perché mentire? Bisogna che sappiano quello che ho fatto." Guardò nuovamente il corpo; ora la sua ira e il suo terrore svanivano e la reazione le faceva vacillare le ginocchia. Melania si trascinò nuovamente sino alla sommità della scala e cominciò a scendere reggendosi alla ringhiera, mordendosi il pallido labbro inferiore. - Torna a letto, sciocca; ti ammazzerai! - esclamò Rossella; ma Melania la raggiunse nel vestibolo. - Rossella - bisbigliò - dobbiamo portarlo fuori e seppellirlo. Non può essere che sia solo; e se lo trovano qui...- Dev'essere solo - replicò Rossella. - Non ho visto nessun altro dalla finestra. Sarà uno sbandato. - Anche se è solo, bisogna che nessuno sappia...I negri potrebbero parlare, e tu potresti essere arrestata. Dobbiamo nasconderlo prima che gli altri tornino dalla palude.Spinta ad agire dall'insistenza di Melania, Rossella rifletteva. - Potrei seppellirlo nell'angolo del giardino, sotto il noce... Il terreno dev'essere morbido, perché Pork ha scavato per dissotterrare il bariletto di whisky. Ma come portarlo fin là? - Prendiamo una gamba per ciascuna e trasciniamolo - disse Melania con fermezza. L'ammirazione di Rossella aumentò. - Tu non puoi – riprese. - Lo trascinerò io. Torna a letto. Ti ammazzerai. Non tentare di aiutarmi, altrimenti ti porto su in braccio. Il volto pallido di Melania abbozzò un sorriso di comprensione. - Sei molto buona, Rossella - e le sfiorò la guancia con le labbra. Poi, prima che Rossella si fosse riavuta dalla sorpresa, proseguì: - Se tu puoi trascinarlo da sola, io pulirò intanto il... sì, il pavimento prima che gli altri tornino a casa; e... senti...- Di'? - Credi che sarebbe... disonesto frugare nella sua giberna? Potrebbe esservi qualcosa da mangiare. - Hai ragione - rispose Rossella, seccata di non avere avuto lei stessa quell'idea. - Tu guarda nella giberna; io esaminerò le tasche. Chinandosi sul morto con disgusto, finì di sbottonargli la tunica e cominciò sistematicamente a frugare nelle tasche. - Dio mio! - mormorò tirando fuori una saccoccia rigonfia avvolta in uno straccio. - Melania...Melly, questa è piena di denaro! Melania non rispose, ma sedette a un tratto sul pavimento e si appoggiò alla parete. - Non badarci - mormorò - mi sento un po' debole. Rossella tolse il cencio e allargò le pieghe del cuoio con mano tremante. - Guarda, Melly... guarda! Melania guardò e i suoi occhi si dilatarono. Ficcate dentro alla rinfusa erano una quantità di banconote degli Stati Uniti, insieme a denaro della Confederazione, e in mezzo a quelle erano una moneta d'oro di dieci dollari e due da cinque. - Non metterti a contare adesso - riprese Melania mentre Rossella cominciava a sfogliare i biglietti di banca. - Non abbiamo il tempo...- Capisci, Melania, che questo denaro significa che potremo mangiare? - Sì, cara. Lo so; ma ora non abbiamo tempo. Guarda nelle altre tasche mentre io frugo nella giberna.- Le tasche dei calzoni contenevano soltanto un mozzicone di candela, un temperino, una borsa da tabacco e un pezzo di spago. Melania trasse dalla giberna un pacchetto di caffè che annusò come se fosse il più soave dei profumi, un rimasuglio di galletta e la miniatura di una bambina in una cornicetta d'oro ornata di perline, una spilla di granati, due larghi braccialetti d'oro, due catenelle e un ditale anche d'oro, una tazza d'argento da bambino, un anello con un solitario, un paio di forbici d'oro e un paio di pendenti di brillanti a forma di pera che anche ai loro occhi inesperti sembrarono essere non meno di un carato ciascuno. - Un ladro! - mormorò Melania ritraendosi con ribrezzo. - Deve aver rubato tutto questo! - Senza dubbio. Ed era venuto qui sperando di rubare ancora qualche altra cosa. - Hai fatto bene a ucciderlo - e i dolci occhi di Melania s'indurirono. - Ma ora bisogna sbrigarsi.Rossella si chinò e afferrò i piedi del morto. Ma com'era pesante e come si sentì improvvisamente debole! E se non riuscisse a smuoverlo? Si volse di spalle e mettendosi sotto le braccia quei piedi, cominciò a tirare. Il suo piede ammalato che nell'eccitazione aveva dimenticato, ora le dava una sofferenza che le faceva stringere i denti, costringendola a portare tutto il proprio peso sul calcagno. Sforzandosi e sudando riuscì a trascinarlo per tutto il vestibolo, lasciandosi dietro una traccia rossa. - Se fa sangue nel cortile, non potremo nasconderlo - disse rabbrividendo. - Dammi il tuo accappatoio, Melania, glie lo avvolgerò intorno alla testa. Il volto pallido di Melania divenne vermiglio. - Non fare la sciocca, nessuno ti guarda. Se io avessi una sottoveste o delle mutandine, le adoprerei.Accoccolandosi presso la parete, Melania si sfilò l'accappatoio cencioso e lo porse a Rossella, cercando di coprirsi il seno alla meglio con le braccia. "Meno male che io non ho tanto pudore" pensò Rossella sentendo più che vedere, l'imbarazzo di Melania, mentre ella avvolgeva la tela attorno al viso in poltiglia. Riuscì a trascinare il corpo fino al porticato posteriore e, fermandosi per asciugarsi la fronte col dorso della mano, diede un'occhiata verso Melania che era rannicchiata contro la parete con le ginocchia piegate contro il petto nudo. "Era proprio il momento di stare a pensare al pudore!" disse fra sé Rossella; ma subito dopo si vergognò. Dopo tutto... dopo tutto Melania si era trascinata fuori dal letto per venire in suo aiuto con un'arme troppo pesante per lei. C'era voluto del coraggio, quella specie di coraggio che Rossella riconosceva lealmente di non possedere; quel coraggio tutto d'un pezzo che aveva caratterizzato Melania nella terribile notte della resa di Atlanta e durante il lungo viaggio verso casa. Era l'intangibile, incrollabile coraggio dei Wilkes, qualità che Rossella non possedeva, ma a cui rendeva omaggio. - Torna a letto - le disse voltandosi. - In questo modo arrischi la vita. Pulirò io dopo averlo sepolto. - Ma no; strofinerò con uno di quei tappeti vecchi - sussurrò Melania guardando la pozza di sangue col viso sconvolto. - Ah, be', se vuoi proprio star male, io poi non verrò a curarti! Piuttosto, se qualcuno ritorna prima che io abbia finito, trattienilo in casa e digli che il cavallo è venuto qui non si sa da dove. Melania rimase rannicchiata contro la parete e si coperse le orecchie per non udire la serie di colpi prodotti dalla testa del morto che batteva contro i gradini. Nessuno domandò da dove era venuto il cavallo; era ovvio che fosse un superstite della recente battaglia e tutti furono troppo contenti di averlo. Nessuno spettro si levò dalla tomba scavata da Rossella per spaventarla durante le lunghe notti in cui la stanchezza le impediva di dormire. Nessun sentimento di orrore o di rimorso l'assaliva; e ciò la stupiva perché ella sapeva che fino a un mese prima sarebbe stata incapace di quel gesto. La graziosa e giovane signora Hamilton, con le sue fossette e i suoi pendenti sempre in moto, che riduceva in poltiglia il viso di un uomo e poi lo seppelliva in una fossa scavata frettolosamente! Rossella sogghignò pensando alla costernazione che una simile idea avrebbe dato a coloro che la conoscevano. - Non voglio più ricordarmene - decise. - Oramai la cosa è fatta e sarei stata molto stupida se non l'avessi ammazzato. Ma credo di essere cambiata parecchio da quando sono tornata a casa, altrimenti non avrei potuto. Era effettivamente cambiata più di quanto non immaginasse, e la corazza che aveva cominciato a formarsi attorno al suo cuore quel giorno in cui ella giaceva nell'orto degli schiavi alle Dodici Querce, si andava a poco a poco indurendo. Ora che aveva un cavallo, Rossella poteva pensare a informarsi di quel che fosse accaduto ai vicini. Da quando era arrivata a casa si era chiesta disperatamente mille volte: "Ma siamo proprio i soli rimasti nella Contea? Tutto è stato incendiato, tutti si sono rifugiati a Macon?" Con la memoria fresca della rovina delle Dodici Querce e delle abitazioni dei MacIntosh e degli Slattery, aveva paura, quasi, di apprendere la verità. Ma era meglio sapere il peggio che ignorarlo. Decise quindi recarsi prima alla casa dei Fontaine, non perché fossero i più vicini, ma perché poteva esservi il vecchio dottor Fontaine; e Melania aveva bisogno di un medico. Non si andava rimettendo come avrebbe dovuto e Rossella era spaventata del suo pallore e della sua debolezza. Non appena il suo piede le permise d'infilare una scarpina, ella montò quindi il cavallo dello yankee. Con un piede in una staffa accorciata e l'altra gamba di traverso sul pomo della sella, ella si avviò attraverso i campi, verso Mimosa. Con sua sorpresa e piacere vide che la casa giallo-pallido era ancora ritta fra gli alberi di mimosa. Una felicità che le fece quasi venire le lacrime la invase quando vide uscire dalla casa le tre signore Fontaine che le diedero il benvenuto con baci ed esclamazioni di gioia. Ma quando i primi saluti affettuosi furono scambiati, e tutte si riunirono nella sala da pranzo, Rossella ebbe un brivido. Gli yankees non erano arrivati a Mimosa, perché questa era lontana dalla strada principale; perciò i Fontaine avevano ancora la loro casa e le loro provviste. Ma a Mimosa regnava lo stesso strano silenzio che opprimeva Tara e tutta la regione. Tutti gli schiavi, ad eccezione di quattro serve, erano fuggiti, spaventati dall'avvicinarsi degli yankees. Non un uomo in casa a meno che non si volesse calcolare come tale il bambino di Sally, il piccolo Joe appena fuori dalle fasce. Nella grande casa erano sole la nonna Fontaine, ormai settantenne, sua nuora che era sempre stata chiamata la signora giovane, benché avesse compiuto i cinquant'anni, e Sally che ne aveva appena compiuto venti. Quantunque isolate e prive di qualsiasi protezione, non mostravano terrore; probabilmente, - pensò Rossella - perché Sally e la signora giovane troppo temevano l'indomabile nonna che aveva sempre avuto occhi e lingua ugualmente acuti, per osare lamentarsi. Fra le tre donne non esisteva parentela di sangue, ed esse erano di età assai diversa; ma pure erano unite da un legame di spirito e di esperienza. Tutte portavano abiti neri tinti in casa, tutte erano tristi, preoccupate e amareggiate; ma questi sentimenti non trapelavano dai loro sorrisi e dalle loro parole. I loro schiavi erano fuggiti, il loro denaro non valeva nulla, il marito di Sally era morto a Gettysburg e anche la signora giovane era vedova, essendo il giovane dottor Fontaine morto di dissenteria a Vicksburg. Gli altri due ragazzi, Alex e Toni, erano nella Virginia, e nessuno sapeva se erano vivi o morti; il vecchio dottor Fontaine era rimasto con la cavalleria di Wheeler. - E quel vecchio pazzo, a settantatré anni cerca di fare il giovinotto benché sia pieno di reumatismi disse la nonna, fiera di suo marito, con gli occhi che smentivano le parole aspre. - Sapete nulla di ciò che sta succedendo ad Atlanta? - chiese Rossella dopo che si furono messi a sedere. - Noi a Tara siamo completamente privi di ogni notizia. - Qui siamo nella stessa condizione, figliola - rispose la vecchia. - Sappiamo soltanto che Sherman si è finalmente impadronito della città. - Ed ora che sta facendo? Dove sta combattendo? - Come vuoi che tre povere donne isolate in campagna sappiano qualche cosa della guerra, quando da settimane non abbiamo visto né una lettera né un giornale? - replicò la vecchia aspramente. - Uno dei nostri negri ha parlato con un altro che ne aveva visto un terzo che era stato a Jonesboro. Hanno detto che gli yankees si erano acquartierati ad Atlanta per far riposare uomini e cavalli; ma non so se sia vero.- Pensare che eravate a Tara e non lo sapevamo! - esclamò la signora giovane. - Come mi rimprovero di non essere mai venuta a vedere! Ma qui c'è tanto da fare dopo che i negri sono andati via, che non mi sono mai potuta muovere. Avrei pur dovuto trovare il tempo; era un dovere. In verità credevamo che gli yankees avessero bruciato Tara, come hanno fatto per le Dodici Querce e per la casa di MacIntosh, e che i vostri si fossero rifugiati a Macon. Non immaginavamo mai che voi, Rossella, foste tornata. - E come potevamo pensare diversamente, se i negri del signor O'Hara, quando passarono di qui, erano tutti spaventati e ci dissero che gli yankees stavano per incendiare Tara? Una sera, poi, vedemmo i riflessi del fuoco da quella parte, e durarono per delle ore; e i nostri stupidi schiavi si spaventarono tanto che fuggirono. Che cosa fu bruciato? - Tutto il nostro cotone: un valore di centocinquantamila dollari - rispose Rossella amaramente. - Ringrazia Dio che non abbiano bruciato la tua casa - replicò la nonna, appoggiando il mento al suo bastone. - Il cotone si può coltivare ancora, mentre la casa non si ricostruisce. A proposito, avete cominciato a raccogliere il cotone, voialtri? - No, - rispose Rossella; - ma è quasi tutto rovinato. Non credo che ve ne sia più di tre balle. E poi, tutti i nostri negri contadini se ne sono andati e non c'è nessuno per raccoglierlo. - Dio mio, tutti i contadini andati via e nessuno per raccoglierlo! - scimmiottò la nonna, lanciando a Rossella uno sguardo satirico. - E le tue belle manine, e quelle delle tue sorelle? - Io raccogliere il cotone? - esclamò Rossella inorridita, come se la nonna avesse suggerito un delitto. Come una contadina? Come una stracciona? Come le donne di Slattery? - Straccioni! Dio mio, com'è delicata e signorile questa generazione! Ti dirò che quando io ero una bambina, mio padre perse tutto il suo patrimonio, e io non ebbi paura di lavorare con le mie mani, anche nei campi, finché papà non mise assieme abbastanza denaro per comprare degli altri schiavi. Ho zappato la terra, ed ho raccolto il cotone, e se sarà necessario, lo farò ancora. - Ma allora - esclamò la nuora lanciando sguardi imploranti alle due ragazze perché la aiutassero a lisciare le penne rabbuffate della vecchia, - erano altri tempi, e adesso tutto è cambiato! - I tempi non cambiano mai quando c'è bisogno di lavorare - affermò la vecchia senza lasciarsi addolcire. - Ed io mi vergogno per te, Rossella, di sentirti parlare come se il lavoro onesto fosse una cosa indegna. Per cambiare argomento Rossella si affrettò a chiedere: - E che notizie dei Tarleton e dei Calvert? Si sono rifugiati a Macon? Hanno avuto la casa incendiata? - Gli yankees non sono arrivati a casa Tarleton, perché come la nostra, è lontana dalla strada maestra; ma sono andati dai Calvert e hanno rubato tutte le provviste e il pollame, e hanno fatto fuggire tutti i negri.Era Sally che aveva cominciato a parlare, ma la nonna l'interruppe. - Sicuro! Promisero a tutte le negre abiti di seta e orecchini d'oro! E Catina Calvert ha raccontato che alcuni soldati son partiti portando in groppa delle stupide negre. I risultati saranno dei bambini gialli, e non credo che il sangue yankee migliorerà. - Oh, mamma! - Non fare quella faccia scandalizzata, Giovanna. Siamo tutte maritate, no? E Dio sa che abbiamo visto dei bambini mulatti anche prima di ora! - Come mai non hanno bruciato la casa dei Calvert? - La casa è stata salvata per gli sforzi combinati della seconda signora Calvert e di quel suo sorvegliante yankee, Hilton - rispose la vecchia signora, la quale parlava sempre della ex-governante come della "seconda signora Calvert" benché la prima fosse oramai morta da venti anni. - "Noi siamo simpatizzanti con l'Unione" - continuò con voce nasale e strascicata rifacendo l'accento yankee. - Ed affermò che tutti i Calvert erano yankees. Pensare che il signor Calvert è morto nel Wilderness! E Raiford a Gettysburg e Cade è nella Virginia, con l'esercito! Catina era così mortificata che avrebbe preferito che la casa fosse incendiata! Disse che Cade diventerebbe idrofobo il giorno in cui, tornando a casa, venisse a saperlo. Ma questo è ciò che accade quando un uomo sposa una yankee: né orgoglio né dignità; non pensano che alla loro pelle... Ma come mai non hanno incendiato Tara, Rossella? Per un attimo Rossella tacque. Sapeva che la domanda seguente sarebbe: "E come state tutti? Come sta la cara mamma?" E non poteva, no, non poteva dire che Elena era morta. Sapeva che se avesse pronunciato quella parola dinanzi a quelle donne simpatiche sarebbe scoppiata in lacrime; e non doveva piangere. Non aveva pianto da quando era arrivata a casa; ed era certa che se aprisse la via alle lacrime, tutto il suo coraggio svanirebbe. Ma capiva anche che se taceva, le Fontaine non le perdonerebbero mai di aver loro nascosto quella notizia. - Suvvia, parla - proseguì con asprezza la vecchia. - Non lo sai? - Ecco: io sono arrivata a casa l'indomani della battaglia - rispose in fretta - e gli yankees erano andati via. Il babbo mi disse che... non avevano bruciato la casa perché Susele e Carolene stavano tanto male che non si poteva trasportarle altrove. - E' la prima volta che sento dire che uno yankee si è comportato come si deve. - La vecchia signora sembrava si rammaricasse di dovere riconoscere un sentimento umano negli invasori. - E ora come stanno le ragazze? - - Molto meglio; ma sono debolissime. - Poi, vedendo la domanda sulle labbra della vecchia signora, si affrettò a cambiare conversazione. - Volevo appunto... volevo chiedervi se potete prestarci qualche cosa da mangiare. Gli yankees hanno distrutto tutto, come uno stormo di cavallette. Ma se siete poco provviste, ditemelo francamente e...- Manda Pork con un carretto e ti daremo la metà di quello che abbiamo: riso, farina, prosciutto, qualche pollo. - No, questo è troppo! Io...- Non una parola! Non voglio sentirla. Altrimenti, perché si sarebbe vicini? - Siete così buona che non so... Ma ora debbo andare. A casa saranno preoccupati di non vedermi ancora tornare. La nonna si alzò bruscamente e prese Rossella per un braccio. - Voi due rimanete qui - disse alle altre. - Debbo dire una parola a Rossella. Aiutami a scendere gli scalini, Rossella. La signora giovane e Sally salutarono Rossella, promettendo di andare presto a trovarla. Erano divorate dalla curiosità di sapere di che cosa dovesse parlare la nonna; ma sapevano che questa non lo avrebbe mai detto. Con la mano sulla briglia del cavallo, Rossella attendeva, col cuore angosciato. - Ora dimmi: - cominciò la vecchia - che cosa c'è che non va bene a Tara? Che cosa ci nascondi? Rossella fissò gli occhi acuti che la guardavano e comprese che potrebbe parlare senza piangere. Nessuno piangeva dinanzi alla nonna Fontaine, a meno che non ne avesse il permesso da lei. - La mamma è morta - disse piano. La mano appoggiata al suo braccio si strinse e le palpebre grinzose ebbero un battito. - L'hanno uccisa gli yankees? - E' morta di tifo. Il giorno prima del mio arrivo. - Non ci pensare. - La voce era severa; e Rossella vide che la nonna inghiottiva con sforzo. - E tuo padre? - Il babbo è... il babbo non è più lo stesso.- Che vuoi dire? E' ammalato? - Il colpo... è così stranito... non è...- Non dirmi che non è più in sé. Il colpo gli ha toccato il cervello? Fu un sollievo per lei udire enunciare così schiettamente la verità. Com'era buona la vecchia a non dirle parole di simpatia che l'avrebbero fatta piangere! - Sì - rispose con tristezza - ha perduto il senno. Sembra come addormentato e a volte non si ricorda che la mamma è morta. Rimane delle ore ad aspettarla pazientemente, lui che era così impaziente! Ma è peggio quando si ricorda... Improvvisamente balza in piedi e corre fuori di casa, fino al nostro cimitero. Ritorna trascinandosi, con gli occhi pieni di lacrime e dice: "Caterina Rossella, la mamma è morta. La mamma è morta". E lo ripete all'infinito, tanto che mi par di impazzire. Di notte, qualche volta, sento che la chiama; allora scendo dal letto e vado a dirgli che è andata a trovare uno schiavo ammalato. E lui brontola perché dice che si strapazza sempre per curare gli altri. È difficile farlo tornare a letto: è come un bambino. Come vorrei che il dottor Fontaine fosse qui! So che farebbe qualche cosa per il babbo. E anche Melania ha bisogno del medico. Non si è rimessa come dovrebbe dopo il parto e...- Melly... un bambino? Ed è con te? - Sì. - E perché non è a Macon con sua zia e i suoi parenti? Non mi pareva che tu avessi gran simpatia per lei, benché fosse sorella di Carlo. Andiamo, via, raccontami. - E' un po' lungo, nonna Fontaine. Non volete rientrare in casa e mettervi a sedere? - Posso stare in piedi - fu la breve risposta. - E se racconti la storia dinanzi alle altre, si mettono a piangere e ti fanno commuovere e dopo ti senti male. Avanti, racconta. Rossella cominciò semplicemente a narrare l'assedio e lo stato di Melania; e mentre andava avanti, trovava negli occhi che la fissavano le parole di sgomento e di orrore che da principio le erano mancate. Tutto le tornò in mente: il calore estenuante della giornata in cui era nato il bimbo, il terrore, la fuga, l'abbandono di Rhett. Parlò dell'oscurità della notte, dei fuochi che potevano essere di amici o di nemici, degli uomini e dei cavalli morti che aveva incontrato lungo la strada, delle rovine fumiganti, della fame, della desolazione, della paura che anche Tara fosse bruciata. - Credevo che arrivando a casa avrei deposto il tremendo fardello. Credevo che mi fosse già accaduto quanto di peggio poteva accadere; ma quando seppi che era morta, compresi che cosa era veramente il peggio. Abbassò gli occhi e attese che la nonna dicesse una parola. Il silenzio era così prolungato che temette di non essere stata compresa. Finalmente udì la voce; parlava con un tono di bontà assolutamente nuovo. - Figliuola, è male per una donna trovarsi di fronte al peggio che le può accadere, perché dopo di questo non ha più paura di nulla.. Ed è male, per una donna, non aver paura di nulla. Credi che non capisca tutto quello attraverso cui sei passata? Ho capito benissimo. Avevo circa la tua età quando avvenne la rivolta degli indiani, dopo il massacro del Forte Mims... - la sua voce era stranamente lontana - e riuscii a nascondermi fra i boschi e vidi la nostra casa incendiata e i miei fratelli e sorelle scotennati dagli indiani. E io non potevo fare altro che supplicare il Cielo perché la luce delle fiamme non rivelasse il mio nascondiglio. Trascinarono fuori mia madre e la uccisero a pochi metri dal luogo dove io ero sdraiata nel sottobosco. E anche a lei tolsero il cuoio capelluto; e ogni indiano le ficcava il suo tomahawk nel cranio. Io ero la beniamina della mamma... e vidi tutto questo. La mattina mi avviai all'accampamento più vicino, che era a circa trenta miglia. Mi ci vollero tre giorni, attraverso le paludi e gli indiani; i nostri, quando li trovai, mi credettero pazza... Là conobbi il dottor Fontaine, che si occupò di me. Sono passati cinquant'anni; e da allora non ho mai più avuto paura di nulla, perché sapevo che nulla di peggio potrebbe ormai accadermi. Dio vuole che le donne siano creature timide; in una donna che non ha paura è qualche cosa di innaturale... Rossella, cerca che ti rimanga sempre qualche cosa di cui temere... e cerca che ti rimanga qualche cosa da amare...Tacque e rimase con gli occhi fissi, come se rivedesse il giorno in cui aveva avuto paura, mezzo secolo prima. Rossella si mosse impaziente. Aveva creduto che la nonna l'avrebbe compresa e forse l'avrebbe aiutata a risolvere i suoi problemi. Ma, come tutti i vecchi, si era messa a parlare di cose avvenute tanto e tanto tempo prima; cose che non interessavano nessuno. Si pentì di essersi confidata a lei. - Ora vai, bambina; altrimenti a casa staranno in pensiero - riprese a un tratto la vecchia signora. Manda Pork col carretto oggi nel pomeriggio... E non credere di poter deporre il tuo fardello, perché non lo puoi. Lo so.I giorni di novembre furono piacevoli per gli abitanti di Tara. Il peggio era ormai passato. Ora avevano un cavallo per potersi muovere; avevano uova fritte per colazione e prosciutto per cena, onde variare la monotonia delle patate dolci, pistacchi e mele secche; e nei giorni di festa, anche un pollo arrosto. La vecchia scrofa era finalmente stata catturata; lei e la sua schiatta grufolavano beatamente nel cortile posteriore dove erano stati domiciliati. A volte grugnivano così forte che nessuno in casa riusciva a far sentire la propria voce; ma era un suono piacevole. Voleva dire che vi sarebbe carne fresca per i bianchi e interiora per i negri, quando fosse venuto il tempo di uccidere i maiali; e provviste per tutto l'inverno. La visita ai Fontaine aveva dato forza a Rossella; il sapere di avere dei vicini, e che qualcuno degli amici era sopravvissuto, aveva scacciato il tremendo senso di solitudine che l'aveva oppressa dopo il suo arrivo a Tara. E i vicini - Fontaine e Tarleton - erano molto generosi nel dividere con Tara il poco che avevano. Era tradizione nella Contea che i vicini si aiutassero a vicenda, e nessuno volle mai accettar denari da Rossella; le dicevano che certamente lei avrebbe fatto altrettanto; e d'altronde li pagherebbe in natura, l'anno venturo, quando Tara fosse nuovamente in grado di produrre. Rossella era dunque fornita di viveri; aveva un cavallo, denaro e gioielli tolti allo sbandato yankee; la cosa più necessaria erano adesso degli abiti nuovi per tutti. Sapeva che mandare Pork a fare degli acquisti sarebbe un rischio poiché il cavallo potrebbe essere catturato da yankees o da confederati. Ma almeno aveva il denaro occorrente per comprare, oltre ai vestiti, anche un altro cavallo e un carretto. E poi, forse Pork potrebbe compiere il viaggio senza esser catturato. Sì, il peggio era ormai passato. Ogni mattina Rossella ringraziava Dio per il cielo azzurro e il sole caldo, perché ogni giornata di bel tempo ritardava il momento in cui sarebbero stati necessari gli abiti pesanti. E ogni giorno di bel tempo vedeva aumentare il cotone immagazzinato nel quartiere degli schiavi: l'unico luogo che potesse essere utilizzato come magazzino. Ed era più di quello che Pork aveva stimato: forse quattro balle. Rossella non aveva avuto l'intenzione di raccogliere il cotone, anche dopo l'aspra osservazione della vecchia Fontaine. Ciò avrebbe posto lei, la padrona di Tara, allo stesso livello della scarmigliata signora Slattery e di Emma. Avrebbero dovuto farlo i negri quel lavoro da contadini, mentre lei e le ragazze si sarebbero occupate della casa. Ma si trovò di fronte un sentimento di casta più forte del suo. Pork, Mammy e Prissy gettarono alte grida all'idea di lavorare nei campi. Ripetettero che erano negri domestici, non contadini. Specialmente Mammy, che era nata nella casa dei Robillard (neanche nel quartiere degli schiavi!) ed era cresciuta nella camera della padrona, dormendo su un materassino collocato ai piedi del letto di questa. Solo Dilcey non disse nulla, ma fissò Prissy con uno sguardo inequivocabile. Rossella rifiutò di ascoltare le proteste e li trascinò tutti nel campo. Ma Mammy e Pork lavoravano così lentamente e con tante lamentele che la padroncina rimandò Mammy in cucina a occuparsi del pranzo e Pork nei boschi e presso il fiume con trappole per i conigli e le sarighe, e ami per pescare. Raccogliere il cotone era al disotto della dignità di Pork; ma cacciare e pescare erano cose che poteva fare. Rossella aveva allora tentato con le sue sorelle e con Melania, ma non avevano davvero lavorato meglio. Melania aveva raccolto il cotone velocemente e silenziosamente per un'ora; poi era svenuta ed era dovuta rimanere a letto per una settimana. Susele, lamentevole e piagnucolosa, aveva finto di svenire anche lei, ma era tornata in sé strepitando come un gatto arrabbiato quando Rossella le aveva gettato sul viso un bicchiere d'acqua. - Non voglio lavorare nei campi come una negra! - gridò finalmente. -Non puoi pretenderlo. Che direbbero i nostri amici se lo sapessero? Se... il signor Kennedy venisse a saperlo? Oh, se ci fosse la mamma...- Se nomini la mamma ancora una volta, ti batto! - esclamò Rossella. - La mamma ha lavorato più di qualsiasi schiavo e tu lo sai benissimo, madamigella Lasciatemi-Stare! - Non è vero! Perlomeno, non nei campi. E tu non puoi costringermi. Lo dirò al babbo e lui non lo permetterà! - Guardati ben dal tormentare il babbo con le nostre beghe! - Ti aiuterò io, sorellina - si interpose docilmente Carolene. - Lavorerò per lei e per me. Susele non sta ancora bene e non dovrebbe esporsi al sole. - Grazie, pupa d'oro - disse Rossella con gratitudine; ma la guardò preoccupata. Carolene che era stata sempre bianca e rosa come un fiore, non aveva più colore. Da quando aveva ripreso conoscenza e aveva saputo che Elena era morta, era rimasta taciturna, turbata di vedere il mondo mutato, e la necessità di un lavoro continuo. Non riusciva a capire la ragione di tutto questo, e girava per l'ara come una sonnambula, facendo esattamente ciò che le dicevano di fare. Quando non lavorava secondo gli ordini di Rossella, era sempre col rosario fra le mani e le sue labbra si muovevano in preghiere interminabili per sua madre e per Brent Tarleton. Rossella non aveva compreso che la morte di quest'ultimo era stato un fiero colpo per la giovinetta che ella continuava a considerare come la "pupa", e che era troppo giovine per avere nella sua vita un serio amore. E avrebbe voluto, Rossella, avere una sorella che riunisse l'energia di Susele con la dolcezza e la remissività di Carolene. Questa raccoglieva il cotone con diligenza e serietà; ma quando aveva lavorato un'ora, era evidente che lei, e non Susele, non stava ancora abbastanza bene per compiere quel lavoro. E così Rossella la rimandò in casa. Nei lunghi solchi rimanevano dunque con lei soltanto Dilcey e Prissy. Questa raccoglieva con pigrizia, lamentandosi del dolore ai piedi, della stanchezza, di un sacco di mali interni, finché sua madre prendeva un arbusto e la percuoteva in modo da farla gridare. Dopo di che lavorava un po' meglio, cercando però di non essere troppo vicina a sua madre. Dilcey lavorava instancabilmente, silenziosamente, come una macchina, e Rossella col dorso e le spalle indolenzite dal peso del cotone che portava nel magazzino, pensava che veramente quella donna valeva il suo peso d'oro. - Dilcey - le diceva - quando torneranno i bei tempi, non dimenticherò quello che hai fatto. Sei stata molto buona. La donna non sorrideva come gli altri negri alla lode. Volgeva a lei un viso immobile e diceva: Grazie, badrona. Ma mist' Geraldo e miss Elena sono stati buoni con me. Mist' Geraldo comprò la mia Prissy ed io non lo dimentico. Io avere sangue indiano, e indiani non dimenticare benefici. Mi dispiace che mia Prissy non valere nulla. Sembra che essere tutta sangue negro come suo padre. Malgrado l'impossibilità di trovare aiuto per la raccolta e la fatica di dover lavorare duramente, Rossella si sentiva rianimare man mano che vedeva aumentare il quantitativo del cotone. Tara era giunta alla ricchezza mediante il cotone, come tutti gli Stati del Sud; e Rossella era troppo meridionale per non essere convinta che Tara e il Sud risorgerebbero. Certo quel cotone non era molto, ma era qualche cosa. Le darebbe un po' di denaro, permettendole di risparmiare per più tardi quello che aveva trovato nella saccoccia dello yankee. In primavera cercherebbe di ottenere dal Governo che le rimandassero il grosso Sam e gli altri negricontadini; e se il Governo non volesse rilasciarli, allora si servirebbe del denaro dello yankee per noleggiare dei contadini dai vicini. E in primavera pianterebbe tanto cotone... Si raddrizzò e vide dinanzi a sé i campi che in primavera sarebbero verdi e ricchi. In primavera... Forse allora la guerra sarebbe finita e gli antichi tempi tornerebbero. E anche se la Confederazione perdesse, tutto sarebbe preferibile al continuo pericolo di incursioni dell'uno o dell'altro esercito. Il giorno in cui la guerra fosse finita, una piantagione ricomincerebbe a produrre di che vivere per i suoi abitanti. Se finisse, la guerra, e si potesse avere la possibilità di seminare con la certezza di raccogliere! Questa era la speranza. La guerra non poteva durare per sempre. E lei aveva un po' di cotone, aveva dei viveri, un cavallo, e il suo piccolo risparmio. Sì, il peggio era passato! 27 Un giorno della metà di novembre, la famiglia O'Hara era seduta attorno alla tavola del pranzo meridiano, terminando di mangiare un dolce fatto da Mammy con farina di meliga, sorbe selvatiche secche e sorgo come dolcificante. L'aria s'era rinfrescata e Pork, che era dietro la sedia di Rossella, le chiese stropicciandosi le mani: - Quando bensare di uccidere porco, badroncina? - Non vedi l'ora di mangiare le interiora, eh? - fece Rossella con un piccolo riso. - Beh, anch'io non vedo l'ora di mangiare un po' di carne fresca; e se il tempo dura così per qualche giorno, penso che...Melania la interruppe, rimanendo col cucchiaio sospeso a mezz'aria. - Ascolta! Sta venendo qualcuno! Attraverso la nitida aria autunnale giunse uno scalpitio come di un cavallo che galoppasse spaventato, e un voce femminile alta e acuta che gridava: - Rossella! Rossella! Per un attimo tutti si guardarono sgomenti, prima di balzare in piedi respingendo le sedie. Malgrado lo spavento, Rossella riconobbe la voce di Sally Fontaine con la quale, soltanto un'ora prima nel recarsi a Jonesboro si era fermata a scambiare due chiacchiere. Ora, mentre tutte si affollavano alla porta, la videro giungere a gran carriera su un cavallo coperto di schiuma, col cappello sul dorso e i capelli scompigliati. Non tirò le redini ma galoppò come una pazza verso di loro, agitando il braccio verso la direzione da cui era venuta. - Stanno arrivando gli yankees! Li ho visti! Sono sulla strada...Gli yankees! Tirò violentemente le briglie, in tempo per impedire al cavallo di salire i gradini. Lo videro volgere velocemente, girare attorno alla casa e udirono i suoi zoccoli nel cortile posteriore e nello stretto sentiero fra le capanne degli schiavi; compresero così che tagliava attraverso i campi per tornare a Mimosa. Per un momento rimasero paralizzate; poi Susele e Carolene cominciarono a singhiozzare convulsamente. Il piccolo Wade sembrava radicato al suolo, tremante, incapace di piangere. Ciò che aveva temuto da quando aveva lasciato Atlanta ora accadeva. Gli yankees venivano a prenderlo. - Gli yankees? - fece Geraldo vagamente. - Ma sono già stati qui, gli yankees! - Madre di misericordia! - esclamò Rossella incontrando, con lo sguardo gli occhi atterriti di Melania. Per un attimo rivide gli orrori di Atlanta, e ricordò i racconti uditi, di stupri, torture, assassinii. Rivide il soldato yankee nel vestibolo con la scatola da lavoro di Elena fra le mani. E pensò: "Morirò. Credevo che tutto fosse finito. Morirò. Non posso più resistere". Poi i suoi occhi caddero sul cavallo sellato che aspettava per condurre Pork a casa dei Tarleton per una commissione. Il suo unico cavallo! Gli yankees lo prenderebbero; e anche la mucca e il vitello...E la scrofa coi maialini... Quante ore ci erano volute per riprenderla! E prenderebbero il gallo e le galline e le anatre che le avevano dato le Fontaine. E le mele, le patate dolci, la farina, il riso, i piselli secchi... E anche il denaro che era nel portamonete del soldato morto. Porterebbero via tutto e li lascerebbero morir di fame. - Non l'avranno! - gridò forte e tutti si volsero spaventati, temendo che perdesse il senno. - Non voglio morir di fame! Non li avranno! - Che cosa, Rossella? Che cosa? - Il cavallo! La mucca! I porci! Non li avranno! Non voglio! Si volse ai quattro negri che erano rimasti sulla soglia: il loro volto avere un particolare color di cenere. - La palude - disse rapidamente. - Che palude? - Quella del fiume, imbecilli! Tutti quanti. Presto. Tu, Pork, e Prissy andate a tirar fuori i porci. Susele e Carolene, riempite i cestini con più viveri che potete e andate nel bosco. Mammy, rimetti l'argenteria nel pozzo. Ascoltami, Pork! Non stare lì come un idiota! Porta con te il babbo. Non chiedermi dove! Dovunque. Vai con Pork, babbo. Da bravo.Anche in quel momento di frenesia, capiva che effetto poteva produrre la vista degli abiti azzurri sulla mente sconvolta di Geraldo. Si torse le mani; il singhiozzo di Wade aggrappato alle gonne di Melania aumentò il suo spavento. - Che debbo fare, Rossella? - La voce di Melania era calma in mezzo allo scompiglio generale. Benché fosse pallidissima, la fermezza della sua voce diede animo a Rossella, rivelandole che tutti aspettavano da lei ordini e direzione. - La mucca e il vitello - disse in fretta. - Sono nel vecchio pascolo. Prendi il cavallo e conducilo nella palude e...Prima che avesse finito la frase, Melania si era svincolata dalla stretta di Wade, aveva sceso i gradini e correva verso il cavallo. Rossella ebbe una rapidissima visione di gambe sottili e di sottovesti; Melania era già in sella, a cavalcioni, cercando le staffe. Raccolse le redini e percosse coi calcagni i fianchi del cavallo; ma improvvisamente lo trattenne, col riso convulso dall'orrore. - Il bimbo! Lo uccideranno! Dammelo! La sua mano era sul pomo della sella. Stava per scendere quando Rossella gridò: - Vai! Vai! Prendi la mucca! Penso io al bambino! Vai, ti dico! Credi che lascerò toccare il bambino di Ashley? Vai! Melly guardò disperatamente indietro; martellò i fianchi del cavallo e con un forte scricchiolio di ghiaia scomparve verso il pascolo. Rossella pensò: "Non avrei mai immaginato di vedere Melly Hamilton a cavalcioni!" E corse in casa, con Wade alla calcagna, singhiozzante e che cercava di aggrapparsi alle sue gonne. Salì i gradini a tre per volta e vide Susele e Carolene, munite di canestri, correre verso la dispensa; e Pork che, senza troppe cerimonie, trascinava Geraldo per un braccio verso il portico posteriore. Geraldo cercava di ribellarsi borbottando. Udì la voce stridula di Mammy: - Prissy! Correre qui dietro alla casa ad aiutarmi per maialini! Io essere troppo grossa per infilarmi nel porcile! - E dire che mi era sembrata una grande idea quella di tenere i porcellini dietro alla casa perché nessuno li rubasse! Quanto avrei fatto meglio a fabbricare un recinto per loro nella palude! Corse nella sua camera, aperse il primo cassetto del canterano e frugò fra gli abiti finché trovò la saccoccia dello yankee. In fretta tolse l'anello col solitario e gli orecchini di brillanti dal cestino da lavoro dove li aveva celati e li ficcò nella saccoccia. Ma ora dove nasconderla? Sotto ai materassi? Sul camino? Gettarla nel pozzo? Cacciarla in seno? No, questo mai! La protuberanza del portamonete sarebbe visibile attraverso il suo corpetto; e se gli yankees se ne accorgessero, la spoglierebbero per frugarla. "Morirei se facessero questo!" pensò rabbrividendo. In basso sentiva un pandemonio di piedi in corsa e di voci singhiozzanti. Anche in quel momento di frenesia, Rossella si augurò di aver Melania con sé, Melania con la sua voce tranquilla, e che era stata così intrepida il giorno in cui ella aveva ucciso lo yankee. Ma a proposito, che le aveva detto Melania? Ah sì, il bambino. Stringendosi al petto la saccoccia di cuoio, Rossella corse alla camera dove il piccolo Beau dormiva nella sua culla. Lo prese fra le braccia ed egli si svegliò agitando le braccine. Udì Susele gridare: - Vieni, Carolene! Non possiamo portare di più! Presto, corri! - Vi furono ancora grida e grugniti; precipitandosi alla finestra, Rossella vide Mammy che attraversava in fretta il campo di cotone con un maialino sotto ad ogni braccio. Dietro a lei era Pork che portava anche lui due porcelli e incalzava Geraldo. Sporgendosi dalla finestra Rossella gridò: - Prendi la scrofa, Dilcey! Falla tirar fuori da Prissy. Puoi cacciarla davanti a te attraverso i campi. - Dilcey alzò gli occhi; il suo viso di bronzo era tormentato. Nel suo grembiule era un mucchio di argenteria da tavola. - La scrofa ha morsicato Prissy che adesso ha paura."Ha fatto bene" pensò Rossella. Tornò nella stanza e trasse dal loro nascondiglio i gioielli che aveva trovato sul soldato morto. Ma dove metterli? Posò il bimbo un attimo sul letto; e il piccino emise un vagito. In quel momento le venne un'idea. Quale nascondiglio migliore delle fasce di un bimbo? Rapidamente lo voltò sottosopra, gli tirò su il vestitino e ficcò il portafogli tra le fasce vicino al dorso. Il piccino gridò più forte ed ella si affrettò a stringere il triangolo di tela fra le gambe. "Ora," pensò respirando profondamente "alla palude!" Tenendo il bimbo che piangeva sotto a un braccio e stringendo contro di - sé i gioielli con l'altro, scese le scale di corsa. Si fermò sentendosi piegare le ginocchia dallo spavento. Com'era silenziosa la casa! Se n'erano andati tutti senza aspettarla? Sobbalzò sentendo un lieve rumore, e voltandosi rapidamente vide aggrappato alla ringhiera suo figlio che aveva dimenticato e che la fissava con gli occhi ingranditi dal terrore, senza poter parlare. - Alzati, Wade - gli ordinò rapidamente. - Vieni e cammina. La mamma non ti può portare. Il bimbo corse a lei come una bestiola spaventata e afferrando le larghe sottane cercò di attaccarsi alle sue gambe. Ella cominciò a camminare, ma il passo le era impedito da quelle manine che la trattenevano. Cercando di svincolarsi gli gridò: - Lasciami, Wade! Lasciami e cammina. - Ma il bimbo si stringeva sempre di più. Nell'ampio vestibolo i mobili sembrarono sussurrarle: "Addio! Addio!" Un singhiozzo le strinse la gola. La porta dello studio dove Elena aveva lavorato così assiduamente era aperta ed ella scorgeva un angolo della vecchia scrivania. Nella stanza da pranzo le sedie erano in disordine attorno alla tavola e nei piatti erano avanzi di cibo. Sul pavimento erano i tappeti che Elena aveva tinto e intessuto. E poi vi era il vecchio ritratto della nonna Robillard col seno seminudo e i capelli raccolti in alto e l'aspetto aristocratico. Tutto ciò che faceva parte dei suoi più vecchi ricordi sembrava dirle: "Addio! Addio, Rossella O'Hara!” Gli yankees brucerebbero tutto... tutto! Questa era l'ultima visione della sua casa; eccetto quella che avrebbe visto dal suo nascondiglio nei boschi o nella palude: i comignoli avvolti di fumo e il tetto crollante tra le fiamme. - Non posso lasciarti - disse fra sé battendo i denti. - Non posso. Il babbo non ti lascerebbe. Ha detto che piuttosto dovrebbero bruciarti sul suo capo. Ebbene, ti bruceranno sul mio, perché io non posso lasciarti. Con questa decisione le parve che il suo terrore diminuisse; rimase soltanto nel suo seno un senso di freddo, come se ivi si fossero congelati speranza e timore. Udì giungere dal viale uno scalpitar di cavalli, un tintinnare di barbazzali e di sciabole; e una voce rauca ordinò: - A terra! - Si chinò velocemente sul bimbo accanto a lei e con voce pressante ma stranamente dolce, gli disse: - Lasciami, Wade, gioia! Corri giù per le scale, attraversa il cortile e vai alla palude. Vi troverai Mammy e zia Melly. Corri presto, tesoro, e non aver paura. Udendola mutar tono, il bimbo la guardò e Rossella fu sbigottita dall'espressione di quegli occhi, simili a quelli di un coniglio preso in trappola. - Madre di Misericordia! - supplicò. - Non fategli avere una convulsione. No... non davanti agli yankees. Non debbono sapere che abbiamo paura. - E poiché il bimbo continuava a stringerle la sottana, gli disse: - Sii un bravo omino, Wade. Non è altro che un pugno di maledetti yankees. E discese i gradini per andare a incontrarli. Sherman stava marciando attraverso la Georgia, da Atlanta al mare. Dietro a lui erano rimaste le rovine fumanti della città, a cui era stato appiccato il fuoco appena l'esercito azzurro ne era uscito. E dinanzi a lui erano trecento miglia di territorio virtualmente indifeso, poiché non vi era che pochissima milizia di Stato e i vecchi e i ragazzi della Guardia Nazionale. Ecco la regione fertile, cosparsa di piantagioni in cui erano ancora ricoverati donne e bambini, vecchi e negri. Per una larghezza di ottanta miglia gli yankees saccheggiavano e bruciavano. Centinaia di case erano in fiamme. Ma per Rossella, che osservava le uniformi azzurre penetrare nel vestibolo, non si trattava di una cosa che riguardasse tutto il paese; era una faccenda assolutamente personale, un'azione perversa compiuta contro lei e contro i suoi. Rimase in piedi in fondo alle scale, col lattante fra le braccia e Wade stretto a lei, col capo nascosto fra le sue gonne, mentre gli yankees sciamavano per la casa, spingendola da parte per salire al piano superiore, trascinando i mobili sotto al porticato, ficcando baionette e pugnali nelle imbottiture in cerca di valori nascosti. Al piano di sopra laceravano guanciali e materassi, sicché in breve il vestibolo fu pieno di piume che ondeggiavano lievemente sul suo capo. Un'ira impotente riempiva il suo cuore, mentre ella vedeva coloro che rubavano, saccheggiavano e rovinavano. Il sergente che li comandava era un omino grigio, con le gambe arcuate, e un grosso pezzo di tabacco in bocca. Raggiunse Rossella prima di qualunque dei suoi uomini, e sputando tranquillamente sul pavimento, le disse: - Fatemi vedere quello che avete in mano, signora. Rossella aveva dimenticato i gingilli che aveva avuto l'intenzione di nascondere, e con un disprezzo che sperò fosse tanto eloquente quanto quello espresso dal ritratto della nonna Robillard, gettò gli oggetti sul pavimento e quasi si divertì della lotta rapace che seguì. - Vi disturberò a chiedervi quell'anello e quei pendenti. Rossella strinse il bambino più forte sotto al braccio in modo che rimase con la faccia all'ingiù, rosso e urlante, e si tolse gli orecchini di granate che erano stati il dono di nozze di Geraldo a Elena. Quindi si sfilò il grande zaffiro che Carlo le aveva dato come anello di fidanzamento. - Non li gettate. Dateli a me - disse il sergente avanzando la mano. - Quei bastardi hanno già avuto abbastanza. Che altro avete? - I suoi occhi fissarono acutamente il suo corpetto. Per un attimo Rossella credette di venir meno, sentendo già quelle mani rozze che frugavano nel suo seno. - Non ho altro; ma immagino che abbiate l'abitudine di spogliare le vostre vittime. - Oh, vi crederò sulla parola - rispose il sergente tranquillo, e sputando mentre se ne andava. Rossella raddrizzò il bambino e cercò di calmarlo tenendo la mano nel punto dov'era nascosto il portafogli e ringraziando Dio che Melania avesse un bimbo in fasce. Sentiva al piano superiore pesanti scarponi scalpicciare sul pavimento. Sentiva i cassetti gettati sul pavimento, lo strepito delle porcellane e degli specchi infranti, le maledizioni perché non si trovava nulla di valore. Dal cortile giunsero grida: - Prendili, non farli scappare! E lo schiamazzo disperato delle galline, delle anatre e delle oche. - Sussultò sentendo un grugnito doloroso che fu subito acquetato da un colpo di pistola; e comprese che la scrofa era morta. Maledetta Prissy, era scappata via lasciandola. Se almeno i maialini fossero salvi! E se la famiglia avesse raggiunto la palude! Ma non vi era modo di saperlo. Rimase tranquilla nel vestibolo mentre i soldati si agitavano intorno a lei gridando e bestemmiando. Le dita di Wade stringevano terrorizzate la sua gonna. Ella sentiva quel corpicino scosso da un tremito, ma non aveva la forza di parlargli per rassicurarlo. Né riusciva a rivolgere una parola agli yankees, sia pure di lamento, di protesta o di collera. Poteva soltanto ringraziare Dio perché le sue ginocchia continuavano a sorreggerla, perché il suo collo era abbastanza forte da permetterle di tenere la testa eretta. Ma quando un gruppo di uomini barbuti discese la scala portando un vero assortimento di oggetti rubati e fra le mani di uno di costoro ella vide la sciabola di Carlo, allora gridò. Quella sciabola era di Wade. Era stata di suo padre e di suo nonno e Rossella l'aveva regalata al piccino per il suo compleanno. Ne avevano fatto una vera cerimonia, e Melania aveva pianto lacrime di orgoglio dicendogli che doveva crescere per essere un soldato coraggioso come suo padre e suo nonno. Wade era molto fiero di questa sua proprietà e spesso si arrampicava sulla tavola al disopra della quale era sospesa per accarezzarla. Rossella poteva sopportare di veder la propria roba uscir dalla casa fra le mani odiose di quegli stranieri, ma non questo. Questo era il vanto del suo bambino. Wade, sogguardando dalle pieghe della gonna al suo grido, trovò la forza di emettere una parola in un singhiozzo. Stendendo una mano, gridò: -Mia! - Non potete prendere questo! - gridò Rossella tendendo anche lei la mano. - Non posso? - sogghignò il piccolo soldato che la teneva. - Sicuro che posso! È la spada di un ribelle!- No... non lo è. È una spada della Guerra Messicana. Non potete prenderla: è del mio bambino. Era di suo nonno. Oh, capitano - esclamò volgendosi al sergente - vi prego, fatemela restituire! Il sergente, soddisfatto della promozione, si avanzò di un passo. - Fammi vedere quella spada, ragazzo - disse. Riluttante, il piccolo cavalleggero gliela porse. - Ha l'impugnatura d'oro massiccio - disse. Il sergente la osservò, la mise contro il sole per leggere l'iscrizione che vi era incisa. "Al colonnello Guglielmo R. Hamilton" decifrò. "Dal suo Stato Maggiore, per il suo valore. Buena Vista 1847." - Oh, signora! Anch'io ero a Buena Vista.- Davvero? - fece Rossella freddamente. - Sicuro. E vi assicuro che ci faceva caldo! Non ho mai visto in questa guerra una battaglia come quella... Dunque questa spada era del nonno di quel ragazzino? - Sì. - Allora bisogna lasciargliela - disse il sergente che era abbastanza soddisfatto per i gioielli che aveva annodati nel fazzoletto. - Ma è d'oro massiccio - obiettò il soldato. - Gliela lasceremo per nostro ricordo - e il sergente sogghignò. - Oh, penserò io a lasciarglielo, un ricordino! - replicò il cavalleggero. Rossella prese la spada senza neanche ringraziare. Perché avrebbe dovuto ringraziare quei ladri che le restituivano ciò che era sua proprietà? Tenne la spada stretta al petto mentre il piccolo cavalleggero discuteva col sergente. Rossella cominciava a respirare. Non aveva sentito parlare di incendiare la casa. Non le avevano detto di andarsene perché volevano appiccare il fuoco. Forse... forse... Gli uomini rientrarono nel vestibolo e discesero dal piano di sopra. - C'è qualche cosa? - chiese il sergente. - Un porco, qualche pollo e poche anatre. - Un po' di grano, di patate dolci e di fagioli. Quella strega che abbiamo visto a cavallo deve aver dato l'allarme. - Avete scavato sotto alla dispensa? Di solito è lì che nascondono i valori...- Non c'è dispensa.- E nelle capanne dei negri? - Solo del cotone. Lo abbiamo incendiato. Rossella rivide le lunghe giornate ardenti nel campo di cotone, sentì nuovamente il tremendo dolore alla schiena e alle spalle. Tutto invano. Il cotone era distrutto. - Non siete molto provvista, eh, signora? - Il vostro esercito è già stato qui, prima - rispose ella freddamente. - Infatti. Eravamo in questi paraggi nel settembre - disse uno degli uomini rigirando tra le mani qualche cosa. - Me n'ero dimenticato. Rossella vide che era il ditale d'oro di Elena. Quante volte lo aveva visto brillare mentre Elena lavorava! Ed eccolo nella mano callosa e sudicia di uno yankee e fra breve nel dito di una donna yankee che sarebbe fiera di usare una cosa rubata! Il ditale di Elena! Rossella chinò la testa perché il nemico non la vedesse piangere, e le sue lacrime caddero sul capo del piccino. Come attraverso una nebbia vide gli uomini muovere verso la porta, udì i comandi del sergente. Se ne andavano e Tara era salva... Ma tormentata dal ricordo di Elena, non riuscì ad esserne contenta. Il rumore delle sciabole e degli zoccoli le diede scarso sollievo ed ella si sentì improvvisamente stanca ed abbattuta, mentre la pattuglia percorreva il viale, tutti gli uomini carichi di oggetti di vestiario, coperte, quadri, galline ed anatre; e la scrofa. Alle sue narici giunse un odore di fumo ed ella si volse, troppo stanca per preoccuparsi del cotone. Attraverso le finestre aperte della sala da pranzo vide il fumo alzarsi pigramente dalle capanne dei negri. Era il cotone che ardeva. Il denaro delle tasse e parte del denaro che doveva aiutarli a trascorrere quel terribile inverno. Non vi era nulla da fare: solo guardare. Aveva visto altre volte ardere del cotone, e sapeva com'era difficile spegnerlo, anche con l'aiuto di parecchi uomini. Grazie a Dio, il quartiere degli schiavi era abbastanza lontano dalla casa! E non vi era vento che portasse le scintille sul tetto di Tara! A un tratto balzò in piedi irrigidita, fissando con orrore l'estremità del vestibolo, dove sboccava il passaggio coperto che conduceva alla cucina. Da quella parte veniva del fumo! Posò un attimo il bambino. Si liberò dalla stretta di Wade, balzò nella cucina piena di fumo, indietreggiò tossendo, con gli occhi pieni di lacrime. Entrò di nuovo, tenendosi la gonna contro il naso: la stanza, illuminata solo da una finestrella, era quasi buia; il fumo era talmente denso che non si vedeva nulla attraverso. Però udiva i crepitio delle fiamme, e cercando di ripararsi gli occhi con la mano, scorse sottili lingue di fiamme che dal pavimento correvano verso le pareti. Qualcuno aveva sparso per la stanza i pezzi di legno che ardevano nel focolare, e il pavimento di legno di pino si stava bruciando rapidamente. Tornò di corsa nella sala da pranzo e afferrò un grosso tappeto, facendo cadere con fracasso due sedie. - Non riuscirò a spegnerlo...Dio, Dio se ci fosse qualcuno per aiutarmi! Tara è finita... finita! Dio, Dio! - Ecco che cos'era il ricordo che le aveva lasciato quel farabutto...- Avrei fatto meglio a lasciargli la spada! Riattraversando il vestibolo vide suo figlio giacente nell'angolo con la sua spada: aveva gli occhi chiusi e il suo visino aveva un'espressione di pace indicibile. "Dio mio! E' morto! Morto di paura!" penso con angoscia. Ma balzò al secchio d'acqua che era sempre nel corridoio. Immerse nell'acqua l'estremità del tappeto e trattenendo il respiro penetrò nuovamente nella stanza piena di fumo, sbattendo la porta dietro di sé. Due volte le sue lunghe gonnelle presero fuoco, ed ella spense le fiamme stringendole tra le mani. Sentiva l'odore dei suoi capelli che ardevano, perché le forcine erano cadute e le trecce le ondeggiavano sulle spalle. Le fiamme correvano intorno a lei, verso i muri del passaggio coperto, serpenti rossi che si contorcevano e balzavano; vinta dall'esaurimento, comprese che non vi era più speranza. L'uscio si spalancò e il soffio d'aria fece balzare le fiamme più in alto. Mezza accecata, Rossella vide Melania che calpestava le fiamme, le batteva con qualche cosa di oscuro e di pesante. La vide vacillare, la sentì tossire, vide il suo corpicino agitarsi. Per un'altra eternità lottarono, fianco a fianco; e Rossella vide che le strisce di fiamma diventavano più brevi. A un tratto Melania si volse verso di lei e con un grido la percosse violentemente tra le spalle. Poi Rossella cadde in un vortice di fumo e di oscurità. Quando riaperse gli occhi, era coricata nel porticato posteriore, col capo posato sulle ginocchia di Melania; sul suo volto brillava il sole pomeridiano. Le capanne degli schiavi erano avvolte in dense nuvole di fumo e l'odore del cotone che bruciava era intollerabile. Rossella vide nuvolette di fumo levarsi anche dalla cucina e fece per alzarsi freneticamente. Ma fu respinta dalla voce tranquilla di Melania. - Resta coricata, cara. Il fuoco è spento. Rimase quieta per un momento, sospirando di sollievo, con gli occhi chiusi, e udì accanto a sé il gemito sottile del piccino e il rassicurante singulto di Wade. Non era morto, grazie a Dio! Aperse gli occhi e guardò Melania. Aveva i riccioli abbruciacchiati e il viso nero di fuliggine, ma i suoi occhi brillavano di eccitazione e la bocca sorrideva. - Sembri una negra - mormorò Rossella riappoggiando il capo sul morbido guanciale. - E tu, uno spazzacamino. - Perché mi hai battuta? - Perché avevi il dorso in fiamme. Non pensavo che saresti svenuta, benché oggi tu ne abbia sopportate abbastanza da far morire chiunque... Sono tornata indietro appena ho messo tutto in salvo nel bosco. Mi sentivo morire, sapendoti sola qui col piccolo...Ti... ti hanno fatto male? - Se intendi che mi abbiano violentata, posso assicurarti di no. - Ed emise un gemito mentre tentava di sollevarsi a sedere. Il grembo di Melania era morbido, ma il pavimento del porticato era tutt'altro che comodo. - Ma hanno rubato tutto, tutto. Abbiamo perduto tutto... Ma perché hai quell'aria contenta? - Perché ci siamo ancora noi, una per l'altra, e abbiamo i nostri bimbi... e un tetto. E nessuno al giorno d'oggi può sperare di aver di più... Dio mio, Beau è bagnato! Immagino che avranno rubato anche i suoi pannolini di ricambio... Ma... che diamine c'è nelle sue fasce, Rossella? Spaventata, ficcò la mano tra le fasce del piccolo e trasse il portafogli. Per un attimo lo guardò come se non lo avesse mai visto; poi cominciò a ridere, a ridere di un riso isterico. - Nessun altro sarebbe stato capace di pensarlo! - esclamò e gettando le braccia al collo di Rossella la baciò. - Sei un vero tesoro! Rossella si lasciò abbracciare perché era troppo stanca per lottare; perché le parole di lode erano un balsamo per il suo cuore e perché, nella cucina piena di fumo, aveva provato un immenso rispetto per sua cognata, e uno stretto senso di solidarietà. "Bisogna ammettere" disse fra sé rimuginando "che è sempre presente quando c'è bisogno di lei." 28 Il freddo giunse improvviso. Soffi gelidi si insinuavano nelle fessure delle porte, scrollavano le finestre sconnesse con un cigolio monotono. Le ultime foglie cadevano dai rami nudi; solo i pini rimanevano vestiti, freddi e neri contro il cielo pallido. Le strade rosse erano indurite dal gelo e la fame cavalcava sul vento attraverso la Georgia. Rossella ricordò con amarezza la sua conversazione con la nonna Fontaine. Come le sembrava lontano quel pomeriggio di due mesi fa, in cui aveva detto che "tutto il peggio le era accaduto"... Invece... Prima della venuta degli uomini di Sherman, ella aveva la sua piccola riserva di viveri e di denaro; aveva dei vicini più fortunati di lei, e un po' di cotone che l'avrebbe aiutata ad arrivare alla primavera. Ora il cotone era bruciato, i viveri scomparsi, il denaro inutile perché non si poteva comprar nulla, e i vicini in condizioni peggiori delle sue. Almeno, lei aveva salvato la mucca e il vitello, e i vicini non avevano se non quel poco che erano riusciti a nascondere nei boschi e nel terreno! Fairhill, la casa dei Tarleton, era stata bruciata dalle fondamenta; la signora Tarleton e le quattro ragazze abitavano nella casa del sorvegliante. Anche la casa dei Munroe, presso Lovejoy, era stata distrutta. L'ala di Mimosa costruita in legno era stata bruciata; solo le grosse mura del corpo principale avevano resistito, aiutate dall'opera frenetica delle signore Fontaine e delle loro schiave che si erano affannate con coperte bagnate a spegnere le fiamme. La casa dei Calvert era stata nuovamente risparmiata, per intercessione di Hilton, il sorvegliante yankee; ma non vi era rimasto un capo di bestiame, un pollo, un pugno di granturco. Per Tara e per tutta la Contea, il problema era il vitto. La maggior parte delle famiglie non aveva che il residuo del raccolto di patate dolci e di pistacchi, e quel po' di selvaggina che si poteva catturare nei boschi. E ciascuno divideva quello che aveva con gli amici meno fortunati. Ma ben presto non vi fu più nulla da dividere. A Tara si mangiavano conigli, sarighe e pesce-gatto, quando Pork era fortunato. Gli altri giorni, l'alimentazione consisteva in poco latte, noci, ghiande abbrustolite e patate dolci. Erano sempre affamati. Rossella aveva l'impressione di vedere continuamente mani tese, occhi supplichevoli. Questa vista la faceva impazzire, perché anche lei era non meno affamata. Ordinò di uccidere il vitello, perché consumava troppo latte; e il giorno in cui mangiarono carne a volontà, ebbero tutti quanti l'indigestione. Si poteva uccidere un maialino; ma Rossella rimandava di giorno in giorno, aspettando che fossero più grossi. Uccidendoli adesso vi sarebbe stato troppo poco da mangiare; mentre più tardi avrebbero rappresentato una buona quantità di carne e di grasso. La sera Rossella discuteva con Melania sull'opportunità di mandare Pork fuori della regione con un po' di denaro a cercare se fosse possibile comprare dei viveri; ma il timore che potessero confiscargli il cavallo e rubargli i quattrini le tratteneva. Non si sapeva dove erano gli yankees. Potevano essere a mille miglia di distanza o subito al di là del fiume. Una volta Rossella, disperata, pensò di andare lei stessa in cerca di viveri; ma i clamori isterici di tutta la famiglia paurosa degli yankees la indussero ad abbandonare il progetto. Pork si assentava a volte fino alla sera, e Rossella non gli chiedeva mai dov'era stato. Certi giorni tornava con un po' di cacciagione, altre volte con qualche pannocchia di granturco, con un sacchetto di piselli secchi. Portò anche un gallo che disse di aver trovato nei boschi. La famiglia lo mangiò con piacere misto a un senso di rimorso, perché tutti sapevano che Pork lo aveva rubato, come aveva rubato i piselli e il granturco. Una sera, poco tempo dopo, bussò alla porta di Rossella quando tutti quanti già dormivano e le mostrò timidamente una gamba crivellata di pallini. Mentre la padroncina lo fasciava, spiegò goffamente che mentre cercava di entrare in un pollaio a Fayetteville, era stato scoperto. Rossella non gli chiese di chi era il pollaio, ma gli accarezzò dolcemente la spalla con le lacrime agli occhi. I negri erano irritanti, qualche volta; stupidi e indolenti; ma la loro fedeltà era impagabile e anche la loro dedizione ai padroni bianchi, che li spingeva ad arrischiare la vita per procurare dei viveri per la loro tavola. In altri tempi i ladrocini di Pork sarebbero stati una cosa molto seria, che probabilmente avrebbe richiesto una buona frustata. Elena le aveva sempre detto: - Ricordati che tu sei responsabile del morale come del benessere fisico degli schiavi che Dio ha affidato alla tua cura. Devi pensare che sono come dei bambini; e, come ai bambini, bisogna sempre dar loro il buon esempio. Ma ora, Rossella non ebbe cuore di rimproverare il negro fedele. Il fatto di incoraggiare il furto non le pesava sulla coscienza, che, d'altronde, non era mai stata troppo severa. Le dispiacque soltanto che fosse stato ferito. - Devi stare attento, Pork. Non ti vogliamo perdere. Che cosa faremmo senza di te? Sei stato buono e fedele; e quando avremo denaro ti comprerò un bell'orologio d'oro e ci farò incidere sopra un versetto della Bibbia. Pork scivolò fuori dalla camera ed ella rimase pensierosa. Era stupita che la vita fosse oggi così semplice, mentre una volta tempi passati e lontani! - era piena di complicazioni. Vi era stato il problema di conquistare l'amore di Ashley e di tenersi attorno una dozzina di spasimanti rendendoli infelici. E piccole mancanze di contegno da nascondere ai genitori, amiche gelose da placare, abiti da scegliere... Ora la sola cosa che importava era il poter mangiare a sufficienza per non morire d'inedia, vestirsi in modo da ripararsi dal freddo e avere un tetto che non vacillasse troppo. In quei giorni Rossella cominciò ad avere un incubo che poi la ossessionò per degli anni. Era sempre lo stesso sogno, i cui particolari non mutavano, ma che la spaventava ogni volta di più; e il terrore la tormentava anche quando era sveglia. Ricordava benissimo gli incidenti del giorno in cui il sogno le era apparso per la prima volta. Pioveva da una settimana, e la casa era piena di freddo e di umidità. I ceppi nel camino era bagnati e fumosi e davano poco calore. Non si era mangiato nulla, dopo la colazione consistente in poco latte, perché la provvista di patate dolci era esaurita e le trappole e le reti di Pork non avevano prodotto niente. Bisognava decidersi a uccidere un porcellino, se si voleva avere qualcosa da mangiare. Visi tirati e affamati, bianchi e neri, la fissavano, chiedendole con gli occhi di provvedere un po' di cibo. Bisognava decidersi a mandar via Pork a cercare di comprare qualche cosa. Per di più, c'era Wade col mal di gola e la febbre; e non vi era medico né medicine. Affamata e stanca di vegliare il bimbo, Rossella lo aveva affidato a Melania e si era gettata sul letto per fare un sonnellino. Coi piedi gelati, si voltava e rivoltava senza riuscire ad addormentarsi. Pensava e ripensava: "Che debbo fare? A chi rivolgermi? Non c'è nessuno al mondo che possa aiutarmi?" Perché non vi era una persona che la sollevasse da quel fardello troppo pesante per lei? E con questi pensieri, cadde in una sonnolenza irrequieta. Si vide in un luogo sconosciuto, denso di nebbia sicché non distingueva nulla a un palmo di distanza. Sotto ai piedi la terra era ineguale: una landa silenziosa in cui ella era smarrita, atterrita come un bimbo nella notte. Aveva freddo e fame; avrebbe voluto gridare ma non poteva. Nella nebbia erano cose o esseri che stendevano le dita ad afferrarle le gonne, per trascinarla entro la terra che tremava; mani silenziose, irrequiete, spettrali. Eppure, sapeva che al di là di quell'atmosfera opaca era un rifugio, un porto dove potrebbe riparare al caldo. Ma dov'era? Riuscirebbe a raggiungerlo prima che le mani la trascinassero entro le sabbie mobili? E improvvisamente si metteva a correre nella nebbia come una pazza, urlando, lanciando avanti le braccia, senza afferrare altro che aria e nebbia umida. Dov'era il rifugio? C'era, ma non riusciva a trovarlo... Lo sgomento le faceva piegare le ginocchia, la fame la faceva svenire. Lanciò un grido disperato e si svegliò per vedere chino sopra di sé il viso preoccupato di Melania che la scuoteva per destarla. Il sogno si ripeté ogni volta che andava a dormire con lo stomaco vuoto. E questo avveniva sovente. La spaventava talmente che aveva perfino timore di addormentarsi, benché continuasse a ripetere febbrilmente a se stessa che non vi era alcun motivo d'aver paura. Nulla; eppure l'idea di quella landa nebbiosa la sgomentava tanto che cominciò a dormire con Melania, la quale la destava non appena i suoi gemiti le rivelavano com'ella fosse nuovamente caduta fra le grinfie dell'incubo. Era diventata magra e pallida. La graziosa rotondità del suo viso era scomparsa; gli zigomi si erano accentuati, rendendo più obliqui i suoi occhi verdi, dandole un'espressione di gatto affamato in cerca di preda. A Natale giunse Franco Kennedy con una piccola pattuglia, mandata dal Commissariato, inutilmente, in cerca di grano e di animali per l'esercito. Era un'orda cenciosa, montata su cavalli zoppi e bolsi, evidentemente non più utilizzabili per altri servizi. Come i loro animali, gli uomini erano stati rimandati indietro dal fronte di battaglia; eccetto Franco, tutti avevano un braccio o un occhio di meno o le articolazioni irrigidite. In maggioranza indossavano soprabiti azzurri tolti ai prigionieri yankees e, per un breve istante di terrore, gli abitanti di Tara credettero a un ritorno degli uomini di Sherman. Rimasero alla piantagione una notte, dormendo sul pavimento del salotto, felici di stendersi sul tappeto di velluto, perché da molte settimane non dormivano sotto a un tetto e non avevano avuto giaciglio più soffice della nuda terra e degli aghi di pino. Malgrado le barbe lunghe e gli abiti laceri, erano persone di buona famiglia, piacevoli come conversazione e felici di passare la vigilia di Natale in una grande casa, circondati da belle donne come in altri tempi. Non vollero parlare della guerra, raccontarono enormi panzane per far ridere le ragazze e portarono nella casa nuda e malinconica il primo barlume di gaiezza che vi fosse apparso ormai da tempo. - Sembra quasi di essere tornate ai nostri ricevimenti di una volta, vero? - sussurrò Susele felice a Rossella. Susele era ai sette cieli all'idea di avere di nuovo in casa un corteggiatore tutto per sé, e non toglieva gli occhi di dosso a Franco Kennedy. Rossella fu stupita nel vedere che sua sorella riusciva ad essere quasi carina, malgrado la magrezza conseguente alla malattia. Aveva le guance rosse e gli occhi soavemente luminosi. "Deve essergli proprio affezionata" pensò con un lieve disprezzo. "E scommetto che diventerebbe quasi umana se avesse un marito; magari anche quel vecchio chiacchierone di Franco." Anche Carolene era più animata. Aveva trovato uno dei militari che aveva conosciuto Brent Tarleton e si trovava con lui il giorno in cui era stato ucciso; quindi si ripromise una lunga conversazione dopo cena. A tavola Melania li stupì tutti, cercando di uscire dalla sua timidezza e riuscendo ad essere quasi vivace. Rise e scherzò e fece quasi - ma non completamente! - la civetta con un soldato monocolo, il quale ricambiò allegramente i suoi sforzi con stravaganti galanterie. Rossella comprese lo sforzo di Melania, la quale - oltre ad essere naturalmente timida - era lungi dal sentirsi bene. Rossella fu la sola che la presenza degli ospiti non allietò. Questi avevano aggiunto la loro razione di pannocchie arrostite e di carne secca alla cena di piselli secchi, mele al forno e pistacchi che Mammy aveva ammannito, dichiarando che era il miglior pasto che avessero fatto da parecchi mesi. Rossella li guardava mangiare ed era inquieta. Non solo contava i bocconi che mettevano in bocca, ma era sulle spine per timore che venissero a scoprire che Pork aveva ucciso un porcellino il giorno prima. L'animale era sospeso nella dispensa e Rossella aveva cupamente assicurato che graffierebbe gli occhi a chiunque ne facesse parola agli ospiti, o accennasse alla presenza degli altri maialini nella palude. Quegli affamati divorerebbero tutto il porcellino in un pasto solo e se sapessero dell'esistenza degli altri, li requisirebbero per l'esercito. Temeva anche per il cavallo e la mucca, e avrebbe voluto che questi pure fossero nascosti nella palude anziché essere impastoiati in fondo al pascolo. Se il commissario si impadroniva delle loro riserve, Tara non potrebbe sopravvivere, non essendovi mezzo di sostituirle. La cena fu abbastanza gaia; Geraldo, seduto a capotavola, cercò di rievocare dal fondo della sua mente offuscata qualche cosa dei modi di un padrone di casa con un sorriso incerto. Gli uomini chiacchieravano, le donne sorridevano... ma Rossella volgendosi improvvisamente a Franco Kennedy per chiedergli se conosceva zia Pittypat, vide sul suo volto un'espressione che le fece dimenticare ciò che voleva dire. I suoi occhi avevano lasciato Susele e vagavano per la stanza: dal volto inespressivo di Geraldo al pavimento, spoglio di tappeti, al caminetto privo di ornamenti, ai mobili imbottiti in cui erano penetrate le baionette degli yankees, allo specchio spaccato sulla "consolle", ai punti della parete scoloriti dove erano stati sospesi i quadri prima della venuta dei predoni, al servizio da tavola scompagnato, agli abiti delle ragazze, decenti ma rammendati, all'abitino di Wade ritagliato in un sacco da farina. Franco ricordava la Tara che aveva conosciuto prima della guerra e nel suo viso era un'espressione di collera impotente. Egli amava Susele voleva bene alle sue sorelle, rispettava Geraldo e aveva un vero interesse per la piantagione. Da quando Sherman era penetrato nella Georgia, Franco aveva veduto molti spettacoli dolorosi, ma nessuno lo aveva colpito come la vista di Tara. Avrebbe voluto poter fare qualche cosa per gli O'Hara, specialmente per Susele, ma non poteva far nulla. Inconsciamente crollava la testa impietosito, quando incontrò lo sguardo di Rossella. Vide in esso una fiamma di orgoglio indignato e abbassò in fretta gli occhi, un po' confuso. Le ragazze avevano sete di notizie. Da quattro mesi - dalla caduta di Atlanta - non vi era più servizio postale ed esse ignoravano dov'erano gli yankees, che cosa faceva l'esercito confederato, che cosa era accaduto a tanti vecchi amici. Franco poteva informarle meglio di un giornale, essendo parente o amico di quasi tutti e potendo quindi fornire una quantità di notizie personali. Per nascondere il suo imbarazzo nell'essere stato sorpreso da Rossella, si lanciò in un lungo racconto. Atlanta era stata ripresa; ma non valeva più nulla, dopo che le truppe di Sherman l'avevano completamente incendiata. - Ma credevo che fossero stati i nostri a bruciare Atlanta, la notte in cui partii! - esclamò Rossella stupita. - Oh no, miss Rossella! - esclamò Franco scandalizzato. - Noi non avremmo mai bruciato una città nostra col nostro popolo ancora dentro! Ciò che voi avete visto ardere erano i magazzini di viveri e di munizioni che non volevamo che cadessero fra le loro mani. Ma quando Sherman entrò in città, le case erano ancora in piedi. E lui vi acquartierò i suoi uomini. - Ma gli abitanti? Che cosa ne fece... li uccise? - Ne uccise alcuni - sogghignò il soldato monocolo - ma non coi proiettili. Appena entrato in Atlanta disse al sindaco che tutti gli abitanti dovevano abbandonare la città. E vi erano vecchi e ammalati che non potevano muoversi; e donne che... insomma, neanche loro si potevano muovere. E lui li scacciò ugualmente durante uno spaventoso temporale e quando furono nei boschi mandò a dire al generale Wood di andarli a raccogliere. Una quantità di gente morì di polmonite. - Ma perché? Non potevano fargli alcun male! - esclamò Melania. - Disse che aveva bisogno della città per far riposare i suoi uomini e i suoi cavalli - replicò Franco. Infatti vi rimasero sino alla metà di novembre; e prima di partire diedero fuoco alla città e distrussero tutto. - Tutto! - esclamarono le ragazze sgomente. Sembrava impossibile che la città piena di vita che esse conoscevano, coi suoi bei palazzi e i grandi negozi, fosse distrutta! - Insomma, quasi tutto - si corresse frettolosamente Franco, turbato dall'espressione dei loro volti. Cercò di apparire allegro perché non voleva affliggere delle signore. Non raccontò ciò che aveva visto l'esercito quando aveva attraversato Atlanta nel ritirarsi; i comignoli rimasti dritti fra le ceneri, i mucchi di rottami mezzo bruciati e di mattoni frantumati che ingombravano le strade, i vecchi alberi disseccati dal calore. Ricordava la sua sofferenza a quello spettacolo e le maledizioni dei confederati. Sperava che le signore non sarebbero mai venute a sapere gli orrori compiuti al Cimitero, in cui erano sepolti anche Carlo e i genitori di Melania. Era una visione che gli dava ancora l'incubo. Sperando di trovare dei gioielli sepolti insieme ai morti, i soldati yankee avevano scoperchiato le tombe, avevano derubato i cadaveri, strappando dalle bare le targhe d'oro e d'argento coi nomi, le borchie e le maniglie pure d'argento. Gli scheletri erano rimasti alla rinfusa fra le loro bare vuote e sconquassate, esposti alle intemperie. E Franco non poté neppure raccontare dei cani e dei gatti: migliaia di animali affamati, abbandonati quando i loro padroni erano stati così bruscamente evacuati e che erano diventati quasi selvaggi per la paura, il freddo e la fame. Franco cercò nella sua mente qualche informazione meno spaventosa da fornire alle signore. - Vi sono alcune case ancora in piedi; case che erano lontane dalle altre e a cui il fuoco non si è comunicato. Sono rimaste anche le chiese e la Sala Massonica. E qualche negozio. Ma il quartiere degli affari nei pressi della ferrovia e dei Cinque Punti... tutto quello è raso al suolo. - Allora - esclamò Rossella amaramente - il magazzino che mi aveva lasci
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