Trincea

kreco presenta
Trincea
Trincea
Breve canzoniere di guerra
Edizioni
in Creative Commons
www.kreco.it
Giugno 2014
Krecò edizioni
licenza CC by 3.0 it
[email protected]
a cura di Alessandra Tedesco
e Tommaso Maria Lovato
Progetto grafico e impaginazione
Michelangelo Marra
Prefazione
Più che uomini giganti, più che soldati eroi,
eterni nella gloria, lapidi disseminate in ogni
villaggio, città, frazione. Elenchi di persone
morte prematuramente per quella strana
malattia che prende il nome di guerra.
Un cimitero perpetuo che concima il suolo della Patria Italia. Un sostrato di cultura dove le ossa si impastano con le radici e
le radici con noi che ci interroghiamo sul
significato di quelle parole scolpite nella
roccia per “onorare i caduti” e diluire nella
retorica l’inaudibile, l’indicibile orrore.
Ma quanti ne sono morti in questo Paese?
Tanti? Troppi? Un numero da statistica?
Un “tot” forse, custodito dai libri di storia
sotto la lontana etichetta “Prima guerra
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mondiale”? Ma dov’è l’uomo in questo?
È una voce di ritorno, alta, poetica, capace
di raccontare atrocità smarrite tra macerie
e dimenticanze. È la voce dell’uomo che
parla dell’uomo ed è in mezzo al fasto delle
celebrazioni che ancor più attentamente la
vogliamo cogliere, frammento di un grande racconto che diventa racconto nostro,
libero, condiviso. È una necessità e un impegno. Uno sforzo di memoria che rimanda all’umano con un canzoniere capace di
scostarsi dalla mera raccolta descrivendo,
nel suo piccolo, la parabola di un devastante esercizio retorico che, per la sua forza e
il suo valore, si pone come innegabile bene
comune. Un tesoro collettivo che Krecò ha
scelto di rendere liberamente fruibile pubblicando in creative commons questo breve
percorso tra gli infiniti anfratti della sua
storia.
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Trincea
Per la Gloria
Gabriele D’Annunzio
Dio d’Italia, cui Dante il duro viso
incotto dalla vampa dell’Inferno
tende e, non vinto dal fulgore eterno,
guata con occhi di rapina fiso;
Dio d’Italia, che gli uomini di parte
cementarono vivo in pietre conce,
il sangue cittadin con le bigonce
mischiando nella calce a far lor arte;
Dio d’Italia, bellezza che il titano
Michelangelo in cupola ed in volta
girò, tagliò nel sasso, amò raccolta
nell’ossatura del dolore umano;
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Breve canzoniere di guerra
Dio di gloria, tu fa questo giudicio
della gloria, tu giudica di noi
per la palma, considera gli eroi,
guarda alla fede e pesa il sacrificio.
Dicean eglino: «Dove sono i vostri
morti? Quante migliaia di migliaia
falciò ne’ vostri solchi l’operaia
assidua? Dove l’ugne e dove i rostri?
Dove i combattimenti disperati
a corpo a corpo, lama contro lama?
Chi vi devasta i campi? chi v’affama?
chi vi rempie le vie di mutilati?
Avete appreso a vivere sotterra,
fitti nel fango sino alla cintura?
Dentro il fetore della sepoltura
avete appreso a prolungar la guerra?
Avete appreso a mordere la mota?
avete appreso a mordere la neve?
e quando non si mangia né si beve?
quando il calcio s’incrosta nella gota?
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Trincea
e quando non si veglia né si dorme?
quando mastichi il sangue del compagno
e non sai, o t’impigli nell’entragno
caldo, o ti volti su qualcosa informe?
Avete appreso a riconoscer l’ombre
della follia, che genera il fragore,
quando si cala, giù per le gran more
dei morti occhiuti, alle trincere sgombre?
Avete appreso, posti in una croce
di fuoco, a mascherarvi come i mimi?
a brancolar, nelle agonie sublimi,
ciechi d’un pianto stupido ed atroce?
Avete appreso che la guerra è bassa
bisogna, frode lùgubre, immondizia
dolosa? e ch’è sigillo di giustizia
lo stival lordo quando schiaccia e passa?
Dove sono le donne con nel seno
due rosse piaghe, Amàzoni dell’onta?
dove i validi figli con l’impronta
di poltronìa, col pollice di meno?
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Breve canzoniere di guerra
Quante delle città vostre ridenti
son arse e diroccate? quanti altari
disfatti? quanti senza focolari
popoli in lacrime e in stridor di denti?
Contiamo. Avete appreso ben quest’arte?
Quegli che più patisce e che più dura
diritto avrà di primogenitura
sul gran retaggio, avrà la miglior parte».
E si divincolavano ruggendo
sotto le suola del nemico. I loro
campi erano pantani roggi. L’oro
colava come il sangue, ed era orrendo.
Le donne non avevano più mani
da giugnere, ma moncherini oranti.
Le cattedrali non avean più santi
che pregassero in sommo agli archi vani.
Il fanciullo copriva il limitare,
supino. La canizie pia del vecchio
era dispersa là come pennecchio
arido non finito di filare.
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Trincea
Tutte le dolci cose erano spente
senza pietà. Tutte le cose sacre
non erano più sacre. Il fumo acre
del sangue soffocava il Dio vivente.
Rase città lungo putride gore,
borghi in cenere sopra nere pozze
guardava solo, irto di membra mozze
e d’occhi fissi, il dementato Orrore.
L’Italia era in disparte. Taciturna
volgeva la sua faccia verso il mare
sùpero. Udiva il rombo aquilonare
percuotere la grande Alpe notturna.
L’ombra mordeva il suo bel capo stretto
fra i rostri della sua naval corona.
Come chi forte nel pensier tenzona,
ella anelava dal quadrato petto.
Di sé nutriva il suo divino male.
Come l’eroe delle speranze inulto,
parea patire un avvoltoio occulto
che le rodesse il fegato immortale.
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Breve canzoniere di guerra
Basso intorno al suo cruccio solitario
era il susurro d’un mercato immondo.
Non vedea, non udia, nel suo profondo
travaglio, ella. Guatava l’avversario.
E diceano i suoi blandi parasiti,
diceano i delicati proci: “O fiore
della terra, o benigna Italia, amore
degli uomini, ubertà degli iddii miti,
o nostra grazia, o nostro eterno aroma,
o nomata qual miele nella bocca,
o più dolce dell’aria che ti tocca,
o più bella del nome che ti noma,
qual è mai questo cupo fuoco ond’ardi
negli occhi tuoi d’aquila giovinetta?
Ti proteggan gli iddii, o prediletta
degli iddii tutti! L’Iddio tuo ti guardi!
Cesare è cenere, e smarrito è il dado.
Or sei tu osa ritentar le sorti?
Né dietro a te fremono le coorti
come al grifagno sul fatale guado.
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Trincea
Duro nemico: in vento di Croazia
è polvere di guasto, afa d’incendio.
Ogni bellezza ei tiene in vilipendio.
Mal ti difenderebbe la tua grazia.
O nostra grazia, o balsamo giocondo
per ogni cura, unguento dell’esiglio,
tra tutte le contrade quale il giglio
è tra le spine, voluttà del mondo,
o di noi vecchi bruna Sunamita,
tu sei pur sempre tutta quanta bella,
Italia! Ogni tua pietra t’ingioiella,
ogni tua gleba è un ùbero di vita.
Ti spiamo di sopra alle rovine,
o di noi vecchi bianca Bersabea.
Chi s’ardirà con l’ispida trincea
turbar l’azzurro delle tue colline?
Sèrbati a noi, sèrbati a noi perfetta
pe’ lunghi ozii che a noi farà la pace
candida. Non ti giova il dado audace
trarre. Ma dormi su’ tuoi lauri e aspetta”.
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Breve canzoniere di guerra
Ella balzò con fremito selvaggio
squassando la corona e la criniera,
ebra di forza, ebra di primavera,
ebra di morte, ebra di te, o Maggio.
O maschio Maggio, turbine solare,
inno vasto di giubilo, o torrenti
di giovinezza, o sùbiti torrenti
di sangue, verso l’Alpe e verso il mare!
Diceva il Patto: “Dove sono i tuoi
morti?”. Dal Chiese gelido all’Isonzo
precipitoso, nel romano bronzo
ella eternava il gaudio degli eroi.
Eccoli, Dio d’Italia, i nostri morti.
Li raccogliamo su le grandi cime,
dove l’anima e l’aere sublime
sono la solitudine dei forti.
Dio di gloria, tu fa questo giudicio
della gloria, tu giudica di noi
per la palma, considera gli eroi,
guarda alla fede e pesa il sacrificio.
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Trincea
Di poi verranno i savii partitori
e distribuitori della terra;
sicché ciascuno, giusta la sua guerra,
godrà la parte e succerà gli onori.
Ma tu fa, Dio d’Italia, che al tuo cenno
gittiam nelle bilance lor cortesi
un ferro ancor temibile, che pesi
più della spada barbara di Brenno.
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Breve canzoniere di guerra
Domanda angosciosa che torna
Pietro Jaher
Domanda angosciosa che torna
quando vi guardo e voi non potete sapere:
Perché alcuni sono chiamati a lavorare e
guadagnar sulla guerra, e altri a morire?
Morire non ha equivalente di sacrificio;
morire è un fatto assoluto.
Se la guerra ha un valore morale: rieducare
alla salute, alla mansuetudine, alla giustizia, attraverso il
passaggio nella pena della privazione e distruzione, perché sopra tutto debbon portarne il peso
questi che erano nella privazione e mansuetudine, e non desideravano più che la
salute?
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Trincea
Perché facevi onestamente tanti figliuoli,
nostra forza, gloria d’Italia
più di tutti ne devi sacrificare.
Perché sei sano
buon sangue che cicatrizza presto
sempre abile a risoffrire.
Perché sei povero
ora che il denaro ridicolo
non compra più nulla
che vale più solo il lavoro del povero
che la vita è sospesa tra un raccolto e l’altro
e il tuo pane scuro è diventato a tutti pane
perché, santo popolo d’Italia,
perché più di tutti devi morire?
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Breve canzoniere di guerra
Trucioli
(XXVII - XXVIII)
Camillo Sbarbaro
Mi destai un giorno uomo matricolato.
Sulla paglia il vicino innaffiava la cara otite.
Quando mi inflissero un fucile, dentro mi
raggrinzii, vergine violentata dal mascalzone.
Pure non è questa vita meno logica dell’altra.
Bussa qualcuno alle porte d’Italia con un
maglio lampeggiante
ma il vivandiere-sanguisuga mesce un tristo vino dove si scorda.
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Trincea
E ci conducono arcangeli stellati, soavi
alcuni come fanciulle.
Cinguettano sulle vie polverose le automobili del Comando.
Margherite in un prato sbocciano nella
notte improvvisi fiori di luce.
Con occhi di condannati a morte guardiamo i tetri borghi passare.
Si marcia.
Si fanno sulle soglie a ridere le donne sanguinarie.
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Breve canzoniere di guerra
Viatico
Clemente Rebora
O ferito giù nel valloncello,
tanto invocasti
se tre compagni interi
cadder per te che quasi più non eri,
tra melma e sangue
tronco senza gambe
e il tuo lamento ancora,
pietà di noi rimasti
a rantolarci e non ha fine l’ora,
affretta l’agonia,
tu puoi finire
e conforto ti sia
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Trincea
nella demenza che non sa impazzire,
mentre sosta il momento,
il sonno sul cervello,
lasciaci in silenzio
Grazie, fratello.
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Breve canzoniere di guerra
Immagini di guerra
Giuseppe Ungaretti
Valloncello di Cima il 6 agosto 1916
Assisto la notte violentata
L’aria è crivellata
come una trina
dalle schioppettate
degli uomini
ritratti
nelle trincee
come le lumache nel loro guscio.
Mi pare
che un affannato
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Trincea
nugolo di scalpellini
batta il lastricato
di pietra di lava
delle mie strade
e io l’ascolti
non vedendo
in dormiveglia.
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Breve canzoniere di guerra
Sul Kobilek
Ardengo Soffici
Sul fianco biondo del Kobilek
Vicino a Bavterca,
Scoppian gli shrapnel a mazzi
Sulla nostra testa.
Le lor nuvolette di fumo
Bianche, color di rosa, nere
Ondeggiano nel nuovo cielo d’Italia
Come deliziose bandiere.
Nei boschi intorno di freschi nocciuoli
La mitragliatrice canta,
Le pallottole che sfiorano la nostra guancia
Hanno il suono di un bacio lungo e fine che
voli.
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Trincea
Se non fosse il barbaro ondante fetore
Di queste carogne nemiche,
Si potrebbe in questa trincea che si spappola al sole
Accender sigarette e pipe;
E tranquillamente aspettare,
Soldati gli uni agli altri più che fratelli,
La morte; che forse non ci oserebbe toccare,
Tanto siamo giovani e belli.
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Breve canzoniere di guerra
Sveglia Sentinella
Luciano Folgore
Sentinella notturna
lassù
taciturna
sopra la roccia scabra.
Vent’anni,
viso bianco,
occhi di fanciullo febbrile,
e la mano che stringe
il fucile;
e il pensiero che si perde
nell’immensità della notte.
Stanchezza di piombo
per tutte le membra
dopo un giorno di lotte.
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Trincea
Il sonno è d’intorno
morbidamente muto
come un tentatore velluto
che accarezza le palpebre.
Passano lembi di visione
dinanzi alle pupille
pesanti,
figure oscillanti,
profili sonnolenti,
tormenti di visi
che non si definiscono
mai.
Ecco i velari del sogno!
Troppo dolce dormire
anche su letti di pietra!
Gambe che s’abbandonano
sotto fardelli di torpore...
ma uno stormire d’abeti,
ma un fresco di vento
che palpita fra due’
capelli biondi,
snebbia un istante
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Breve canzoniere di guerra
la pesantezza accasciante
e un brivido di volontà
ridà
la rigidità
alla sagoma snella
di questa sentinella
della Patria.
Il nemico è là dietro.
Bisogna guardare,
bisogna ascoltare,
lucidamente.
Ma ancora il fumo del sonno
che monta.
Stelle filanti nei cieli,
veli di verde lontano,
pensieri e frammenti:
sua madre che veglia...
il pozzo
un singhiozzo...
quel compagno caduto...
con una palla in fronte...
due bimbi in un cortile
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Trincea
del paese...
un vaso di maggiorana...
e lei... lontana...
vestita di bianco...
fresca come una fontana...
Oh, finalmente!
Scalpiccii
rotolii di sassi
parole sconnesse;
bisbigli:
un altro prende il tuo posto
e tu che discendi a dormire
con un saluto all’Italia
laggiù.
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Breve canzoniere di guerra
Riverberi
Gino Rocca
Trasciniamo entro l’umida trincea
la nostra vita lurida e sublime
pei fiori della prossima epopea
noi siamo una manata di concime.
Ma per incider meglio la memoria,
se la strage dev’esser leggendaria,
all’ipocrita penna della storia
anche questa menzogna è necessaria.
Tu non mentire. Taci. Se ti piace
straziare la bellezza del tuo duolo,
riponi quella maschera mendace
e canta le stelle per te solo.
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Trincea
A un compagno
Corrado Alvaro
Se dovrai scrivere alla mia casa,
Dio salvi mia madre e mio padre,
la tua lettera sarà creduta
mia e sarà benvenuta.
Così la morte entrerà
e il fratellino la festeggerà.
Non dire alla povera mamma
che io sia morto solo.
Dille che il suo figliolo
più grande, è morto con tanta
carne cristiana intorno.
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Breve canzoniere di guerra
Se dovrai scrivere alla mia casa,
Dio salvi mia madre e mio padre,
non vorranno sapere
se sono morto da forte.
Vorranno sapere se la morte
sia scesa improvvisamente.
Dì loro che la mia fronte
è stata bruciata là dove
mi baciavano, e che fu lieve
il colpo, che mi parve fosse
il bacio di tutte le sere.
Dì loro che avevo goduto
tanto prima di partire,
che non c’era segreto sconosciuto
che mi restasse a scoprire;
che avevo bevuto, bevuto
tanta acqua limpida, tanta,
e che avevo mangiato con letizia,
che andavo incontro al mio fato
quasi a cogliere una primizia
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Trincea
per addolcire il palato.
Dì loro che c’era gran sole
pel campo, e tanto grano
che mi pareva il mio piano;
che c’era tante cicale
che cantavano; e a mezzo giorno
pareva che noi stessimo a falciare,
con gioia, gli uomini intorno.
Dì loro che dopo la morte
è passato un gran carro
tutto quanto per me;
che un uomo, alzando il mio forte
petto, avea detto: Non c’è
uomo più bello preso dalla morte.
Che mi seppellirono con tanta
tanta carne di madri in compagnia
sotto un bosco d’ulivi
che non intristiscono mai;
che c’è vicina una via
ove passano i vivi
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Breve canzoniere di guerra
cantando con allegria.
Se dovrai scrivere alla mia casa,
Dio salvi mia madre e mio padre,
la tua lettera sarà creduta
mia e sarà benvenuta.
Così la morte entrerà
e il fratellino la festeggerà.
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Trincea
Croci di legno
Diego Valeri
Croci di legno, nude su la nuda,
terra che copre i morti nella gloria;
croci che la battaglia e la vittoria
pianta con le bandiere ovunque va;
siepe di croci a guardia d’una gente,
trincee di tombe a guardia d’un amore;
croci di legno confitte nel cuore,
di tutta la straziata umanità.
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Breve canzoniere di guerra
Principio di novembre
Carlo Stuparich
Oggi l’aria è chiara e fine
e i monti son cupi e tersi,
poveri anni persi
in fantasie senza confine.
Qui ogni pietra ha un contorno
ogni fibra un colore,
i rami tendono intorno
una rigidità senza languore.
Foglie gialle cadute
per troppa secchezza,
segnano l’asprezza
di grandi arie mute.
Il cielo è azzurro di profondità
le cose son ferme e recise.
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Trincea
Passò un respiro d’eternità
in queste solitudini derise.
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Breve canzoniere di guerra
(Sotto l’alta guida)
(traiettorie, mosche)
Andrea Zanzotto
Mosche di particolare fattura nella selva
mosche in abbandono della facilità
della convivenza
affabilità
decenza
li chiamo tutti tutte col nome di mosche
in mirabolante abbandono levitazione pluralizzazione
di sé es da sé se sc e altre occasioni
divinatrici mangiatrici trapungitrici di tebaidi
nelle caverne dei cieli dell’ocularità
Specie comuni o rarissime
in traiettoria
mosche-non
terribilmente mosche finissimi proiettili
minimamente mosche in traiettorie di caduta
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Trincea
elitre perse di orrori di tuoni - di suoni
di azzurro stramorto del nerofumo del bosco
mosca di giro, in vacanza allora,
mosca che vira nel turgido e trionfa qual anima,
yalina coesistenza di entità e retoriche
per esercitazioni di mosche intorno al piatto letale
yalini viscerini di mosche sparapagliati in aria
E il tanto filato il tanto rammendato
da lontananti mosche ordine mondano
il turbato quello con la mordacchia
quello con lo scorsoio al massimo di stretta
quello inchiodato e tutto nerofumo di futuri
massimi
bellici
sotto l’alta guida
baionettati incraniati
futuri all’arma bianca
79 prolungati
mette a punto la sua traiettoria di caduta
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Breve canzoniere di guerra
Mosche: c’è tutto un enorme cadavere-convito
Oh, via, una mossa di mano
in relazione alle mosche
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Indice
I
II
III
IV
V
VI
VII
VIII
IX
X
XI
XII
Prefazione
Gabriele D’Annunzio Per la Gloria
Pietro Jaher Domanda angosciosa che torna
Camillo Sbarbaro Trucioli
Clemente Rebora Viatico
Giuseppe Ungaretti Immagini di guerra
Ardengo Soffici Sul Kobilek
Luciano Folgore Sveglia Sentinella
Gino Rocca Riverberi
Corrado Alvaro A un compagno
Diego Valeri Croci di legno
Carlo Stuparich Principio di novembre
Andrea Zanzotto Sotto l’alta guida
Breve canzoniere di guerra
Giugno 2014
Trincea