36 NOVARA LE GENTI IL MONDO “DA TUTTO IL MONDO” venerdì 4 aprile 2014 La testimonianza di don Massimo Minazzi, ultimo collaboratore di don Carlo Celestina Fortina scrive dal Senegal Dal Burundi il ricordo affettuoso di don Masseroni La Quaresima di una volontaria laica in terra africana Il giorno in cui don Carlo è morto per una provvidenziale coincidenza mi trovavo non a Bujumbura dove risiedo abitualmente ma ero in viaggio all’interno del Paese e la mattina del 28 gennaio ero proprio di passaggio a Kiremba dove viveva don Carlo, ancora non avevo ricevuto la notizia e nessuno sapeva niente. Quello che mi ha colpito è stata una strana circostanza, perché il coadiutore parrocchiale il giorno prima aveva domandato alla gente di partecipare alla messa di quel martedì mattina, alle 6, per pregare a favore di don Carlo. Quando sono arrivato mi sono incrociato con una moltitudine di gente che usciva da messa e che mi domandava della situazione di don Carlo, non ho fatto altro che dire che era ricoverato in Ospedale e che la situazione non era buona, ho ringraziato la gente di Kiremba per le loro preghiere e per la loro testimonianza di affetto. Sono ripartito per una parrocchia del nord, Bubwana, non coperta da segnale telefonico e li sono rimasto per due giorni. Probabilmente sono stato uno degli ultimi a sapere della morte di don Carlo, in effetti quando ho preso la strada del ritorno è stato un continuo Don Minazzi, mons. Corti e don Masseroni squillare del telefono per informarmi dell’accaduto, sacerdoti, suore e tanti cristiani amici di don Carlo che volevano informarsi e in qualche modo testimoniare il loro affetto per lui, devo ammettere che la maggioranza delle persone che mi hanno chiamato mi sono sconosciute. Il vescovo di Ngozi, la diocesi dove risiedeva don Carlo, assieme ai sacerdoti ha celebrato una messa in suo suffragio, purtroppo io non ho potuto partecipare, ma mi hanno detto che tutti erano presenti e che sia il vescovo sia molti sacerdoti hanno preso la parola per condividere un ricordo, un aneddoto su don Carlo. Ovviamente anche nella parrocchia di Kiremba è stato fatto un ricordo la Domenica successiva e come è possibile immaginare la chiesa era straripante, ma la commemorazione più toccante è stata fatta nella cappella dell’Ospedale con la corale dei giovani del liceo, tanto amati da don Carlo, che tutti i sabati animavano la messa, con i suoi collaboratori che quotidianamente lo accompagnavano nel Rosario e nella messa della sera proprio nella sua cappellina, dove quotidianamente dopo aver fatto il giro dei malati e ascoltato le loro paure, le loro sofferenze e le attese portava tutto davanti al Signore. A Bujumbura, dove vivo, don Carlo aveva molti amici a partire da Liberata, Libi un infermiera che ha studiato in Italia, suore e sacerdoti missionari, e molti altri suoi ex parrocchiani trasferitesi in città per le vicissitudini della vita, come il capo ufficio delle poste centrali, un uomo di circa 45 anni, che un giorno mentre stavo discutendo ad uno sportello per un pacco postale perso, vedendomi con un pacco di un centinaio di lettere, incuriosito mi si avvicina mi chiede cosa succede, mi prende una lettera e esclama: è del mio parroco! Era originario di Rwarangabo e sebbene stabilito in capitale da più di venti anni si ricordava di don Carlo, e mentre mi raccontava molte cose ho… ritrovato il pacco postale. Il lunedì 2 febbraio alla riunione di preghiera della comunità Saveriana con cui lavoro, il Superiore Regionale ci ha invitato a pregare per don Carlo e abbiamo intercalato la preghiera con una serie di testimonianze, si può dire che tutti coloro che hanno conosciuto don Carlo negli anni in cui ha lavorato in terra africana, ne hanno apprezzato la figura e l’opera. Ora aiuterà il suo amato Burundi dal Cielo. don massimo minazzi Carissimi, in questi giorni ho iniziato la mia ventesima Quaresima in Senegal, e mi sento in dovere di rivolgere un caro pensiero: a coloro che mi è stato dato di incontrare lungo il cammino fin qui percorso di volontaria laica. A coloro che, ricevuta la chiamata e, con la grazia ed il sostegno della Divina Provvidenza continuano il percorso scelto ed intrapreso. A coloro che, pur sentendo il richiamo, non sono ancora pronti, pieni di dubbi ed incertezze. E, soprattutto, a coloro che ho incontrato , ma non sono più con noi. Non cito nomi, sono tutti nei nostri cuori, amici, congiunti, collaboratori, e Missionari, uomini e donne. Loro ci seguono da lassù, ci inviano il loro aiuto, ci incitano a continuare … malgrado tutto. E chi mi conosce bene sa a chi mi riferisco. Tra questi ultimi, chiamati alla Casa del Padre, non dimentichiamo i martiri delle guerre fratricide che, nel nome di divergenze religiose sempre più atroci, hanno versato il loro sangue offrendo la propria vita, nel nome di Cristo. Oggi noi dobbiamo seguire il loro percorso, dal cui esempio possiamo trarre la forza non tanto per emularli, ma almeno per accrescere lo stimolo a proseguire le nostre scelte, per perpetuare una sola gran- Celestina Fortina de chiamata nel nome della fede che ci accomuna. Spero che queste mie parole non restino vane e tocchino il cuore di chi sia disposto a donare uno spicchio della propria esistenza a qualcun altro, uno spicchio che anche se per noi è molto poco, sarà un bene molto grande per tanta gente. Buon Cammino di Quaresima, verso la Risurrezione, ai cari amici della diocesi, alle loro famiglie, ed a tutti coloro che gravitano vicino ad essi nella Grazia di Gesù, che per noi ha dato la vita e giornalmente rinnova questo dono infinito. Vi abbraccio con tutto il mio affetto. celestina fortina Necessità Extracomunitario, immigrato e clandestino: di ricaricare le batterie diamo un significato diverso a queste parole Padre Piergiorgio Manni, una vita nel paese del Sol Levante Carissimi amici, eccomi con una sorpresa. Mi spiego. Dopo la fine del mio mandato come superiore provinciale dei missionari Saveriani in Giappone scaduto nel novembre 2013, confratelli e amici mi spingevano a prendere un periodo di vacanza, per ritemprare il fisico, la mente e la memoria. Ovvero, staccare per un po’ di tempo la spina. Dovendo portare avanti diversi lavori rimasti incompiuti, mi è parso opportuno rimandare la vacanza prevista a tempi migliori. A questo punto, dato che il nuovo posto di lavoro mi verrà indicato tra qualche tempo, mi è parso opportuno decidere di partire per l’Italia ai primi di aprile e rimanervi fino alla fine di maggio. Così avrò modo di celebrare la Pasqua nella chiesa che mi ha accolto e cresciuto fino alla partenza per il Giappone avvenuta nel 1964, ciò porterà in me molta gioia e felicità. Ho scarsi e vaghissimi ricordi della Pasqua 1972, l’unica celebrata come sacerdote a Massino Visconti. Speriamo che il tempo sia propizio e che la salute, il lavoro e le varie attività quotidiane concedano qualche buona occasione per incontrarci e ringraziare insieme il Signore per tutti i doni ricevuti. In questo periodo il Giappone ricorda il terzo anniversario del disastroso maremoto e la catastrofe dei generatori atomici di Fukushima. Chiedo anche a voi amici una preghiera per quella terra ancora piena di sofferenza e di paura. Arrivederci a presto con un forte abbraccio a tutti. padre pier giorgio manni Su una vecchia carretta del mare, da qualche parte nel Mediterraneo. «Zio Amadou?». «Sì» «Zio? Mi senti?». «Sì che ti sento». «Ma non mi guardi...». L’uomo si volta ed accontenta il nipote. «Stai tranquillo», gli dice inarcando le sopracciglia e si volta a studiare le onde. Il ragazzino, poco più di sei anni, lo osserva dubbioso, tuttavia si fida e riattacca: «Zio Tu conosci bene l’italiano?». «Certo, laggiù ci sono già stato due volte». «Conosci proprio tutte le parole?». «Sicuro, Ousmane». Il nipote si guarda in giro, come se avesse timore di essere udito da altri, e arriva al sodo: «Cosa vuol dire extracomunitario?». Non appena coglie l’ultima parola del bambino, l’uomo si gira di scatto e fissa i propri occhi nei suoi. «Extracomunitario, dici?», ripete abbozzando un sorriso sincero, «extracomunitario è una bellissima parola. I comunitari sono quelli che vivono tutti in una stessa comunità, come gli italiani, e l’extracomunitario è colui che ne entra a farne parte arrivando da lontano. Non appena i comunitari lo vedono capiscono subito che ha qualcosa che loro non hanno, qualcosa che non hanno mai visto, un extra, cioè qualcosa in più. Ecco, un extracomunitario è qualcuno che viene da lontano a portare qualcosa in più». «E questo qualcosa in più è una cosa bella?». «Certamente!», esclama Amadou accalorato, «tu ed io, una volta giunti in Italia, diventeremo extracomunitari. Io lo sono così così, ma tu sei di sicuro una cosa bellissima». Ousmane lo incalza: «Zio, cosa vuol dire immigrato?». Lo zio stavolta sembra più preparato: «Immigrato è una parola ancora più bella di extracomunitario. Devi sapere che quando noi extra comunitari arriveremo in Italia e inizieremo a vivere lì, diventeremo degli immigrati». «Anche io?». «Sì, anche tu. Un bambino immigrato. E siccome sei anche un extracomunitario, cioè uno che porta alla comunità qualcosa in più di bello, tutti gli italiani con cui faremo amicizia ci diranno grazie, cioè ci saranno grati. Da cui, immi- Un bellissimo racconto di un dialogo fra zio e nipote su un barcone grati. Chiaro?». «Chiaro, zio. Prima extracomunitari e poi immigrati». «Bravo», approva Amadou. Ciò nonostante, non ha il tempo di lasciarsi rapire nuovamente dai flutti che il bambino richiama ancora la sua attenzione: «Zio». «Sì?», fa l’uomo voltandosi per l’ennesima volta. «E cosa vuol dire clandestino?». Questa volta Amadou compie un enorme sforzo per sorridere, tuttavia riesce nell’impresa: «Clandestino sai, questa è la parola più importante. Noi extracomunitari, prima di diventare immigrati, siamo dei clandestini. I comunitari, come quasi tutti gli italiani che incontrerai di passaggio, molto probabilmente ancora non lo sanno che tu hai qualcosa in più di bello e qualcuno di loro potrà al contrario insinuare che sia qualcosa di brutto. Tu non devi credere a queste persone, mai. Promettilo!». «Lo prometto!» si affretta a rispondere il bambino. «Per quante persone possano negarlo», prosegue lo zio, «tu sei qualcosa in più di bello e questo a prescindere se tu diventi un immigrato o meno e lo sai perché?». «Perché?». «Perché tu sei un clandestino. Tu sei il destino del tuo clan, cioè della tua famiglia. Tu sei il futuro dei tuoi cari». Ousmane finalmente smette di fissare lo zio e si volta verso le onde, il suo sguardo le sovrasta e punta oltre, all’orizzonte. «Sono il futuro dei miei», pensa il bambino. Le parole si mescolano ad orgoglio e commozione, gioia e fierezza. E chi può essere così ingenuo da pensare di poterlo fermare?!
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