Documento fornito unicamente a scopo di studio e di ricerca e per uso personale. Il richiedente si assume ogni responsabilità per l'uso che ne verrà fatto in seguito, essendo severamente vietata qualsiasi successiva riproduzione o pubblicazione per uso commerciale o per altro scopo (Legge n. 633 del 22/4/1941; Legge n. 159 del 22/5/1993 e successive modificazioni). Si impegna inoltre, sempre ai sensi della normativa sul copyright, a non conservare il file contenente il documento in formato elettronico e a cancellarlo dopo averne effettuato la stampa. TRATTO E MODIFICATO DA: Voegeli D. Care or harm: exploring essential components in skin care regimens. Br J Nurs. 2010 Jul 8-21;19(13):810-9. I componenti essenziali nei regimi di cura della cute Traduzione a cura di Claudia Caula La preservazione dell’integrità cutanea costituisce uno dei capisaldi dell’assistenza infermieristica, e continua ad essere una sfida sperimentata in ogni campo della pratica clinica. Questo aspetto fondamentale dell’assistenza è tuttavia reso più complesso dalla casistica estremamente varia di pazienti a rischio di perdere l’integrità cutanea e che, per questo motivo, avrebbero bisogno di un efficace regime di cura della pelle: per fare qualche esempio, sono parte in causa coloro affetti da patologie infiammatorie croniche della pelle (eczema, psoriasi ecc), i soggetti affetti da incontinenza, coloro che sono a rischio di ulcere da pressione ecc. Pertanto la cura della cute spesso significa cose diverse per diversi pazienti e per diversi professionisti della salute, anche se, qualunque sia il contesto assistenziale, i principali obiettivi degli interventi previsti possono essere sintetizzati nella prevenzione delle lesioni cutanee, e nel ripristino dell’integrità della cute nel caso in cui si sia verificata una lesione. Non sorprende che l’incidenza di lesioni cutanee abbia presto assunto il ruolo di indicatore della qualità dell'assistenza fornita, come è successo per le ulcere da pressione (Department of Health, 2003), tenendo conto del fatto che questo aspetto assorbe una gran parte del tempo infermieristico. Nonostante il crescente riconoscimento dell’importanza della cura della cute, questa attività continua ad essere basata per lo più sull’abitudine (“si è sempre fatto così”) piuttosto che fondarsi su solide evidenze, ed è resa ulteriormente complicata dal numero di prodotti per la cura della cute incessantemente immessi sul mercato, ciascuno dei quali pubblicizzato come ‘efficace’. La funzione-barriera della cute Per stabilire i principi che sono alla base degli interventi di cura della cute, è necessario comprendere i processi con i quali la pelle mantiene la sua funzione di barriera. La cute fornisce la prima linea di difesa contro l’ambiente esterno grazie al mantenimento di una barriera fisica. Tale barriera impedisce l’ingresso di organismi patogeni, riduce al minimo l’assorbimento di sostanze nocive, e previene la perdita di una quota eccessiva di acqua (Ersser et al, 2005). La barriera è la funzione principale dello strato superiore della cute, l’epidermide, e, in particolare, dello strato più esterno, conosciuto come strato corneo. Le cellule che compongono l’epidermide sono denominate cheratinociti, e si formano nello strato inferiore dell’epidermide (strato basale). Una volta formati, i cheratinociti migrano gradualmente verso gli strati superiori dell’epidermide, e durante questa migrazione cambiano aspetto: al momento in cui raggiungono lo strato corneo, si sono infatti trasformati in cellule appiattite, cheratinizzate, prive di nucleo, e a quel punto assumono il nome di corneociti (Stewart e Downing, 2000). Il processo di migrazione dei cheratinociti, e di conseguente trasformazione in corneociti, è noto come ‘differenziazione epidermica’, e assicura la costante disponibilità di nuovi corneociti che vanno a sostituire quelli eliminati dalla superficie della pelle. Nella cute sana, il tempo che occorre alle cellule epidermiche per migrare dallo strato basale allo strato corneo è di circa 14 giorni, e sono necessari altri 14 giorni prima che vengano eliminati dalla superficie della cute nel processo noto come desquamazione (Clark, 2004). In condizioni di normalità, esiste un equilibrio finemente controllato tra la produzione e l’eliminazione delle cellule nell’epidermide (Harding, 2004). Quando però questo equilibrio viene compromesso, allora la barriera cutanea ne risente, come si osserva nel caso di malattie quali eczema e psoriasi. 1 Materiale riservato ai partecipanti del corso AISLeC PARMA 29-09-2012 © Tutti i diritti riservati Documento fornito unicamente a scopo di studio e di ricerca e per uso personale. Il richiedente si assume ogni responsabilità per l'uso che ne verrà fatto in seguito, essendo severamente vietata qualsiasi successiva riproduzione o pubblicazione per uso commerciale o per altro scopo (Legge n. 633 del 22/4/1941; Legge n. 159 del 22/5/1993 e successive modificazioni). Si impegna inoltre, sempre ai sensi della normativa sul copyright, a non conservare il file contenente il documento in formato elettronico e a cancellarlo dopo averne effettuato la stampa. Dato che è lo strato corneo che garantisce la funzione di barriera della pelle, è fondamentale comprenderne la struttura. Poiché le cellule (corneociti) che compongono lo strato corneo sono cellule devitalizzate, ciò fa sì che lo strato corneo goda generalmente di una scarsa considerazione in termini di funzionalità della cute, anche se la maggior parte degli interventi infermieristici adottati nella cura della pelle hanno un qualche effetto sullo strato corneo. Uno dei modelli utilizzati per rappresentare la funzione di barriera dello strato corneo riprende il paradigma dei “mattoni e calcina”, nel quale i corneociti fungono da ‘mattoni’, tenuti insieme dalla ‘calce’, una sostanza ricca di lipidi. La matrice dello strato corneo è una sostanza ricca di ceramidi, acidi grassi liberi e colesterolo (Harding, 2004), i quali, essendo idrorepellenti, forniscono una barriera efficace. L’integrità dello strato corneo è promossa anche da una sostanza presente nei corneociti, nota come ‘fattore idratante naturale’ (NMF), una miscela complessa di aminoacidi liberi, derivati degli aminoacidi e sali, che richiama e trattiene l’acqua. Questo aumento di acqua intracellulare aiuta i corneociti a mantenere il loro turgore e la loro forma, preservando in tal modo la continuità della barriera (Rawlings e Harding, 2004). Cura della cute La cura della cute è sempre stato un tema importante nel campo della cosmesi, e gode di notevoli investimenti nella ricerca di nuovi prodotti per continuare ad essere commercialmente competitivi. Purtroppo lo stesso non può dirsi per la cura della cute fornita in ambito sanitario, in cui l’assistenza prestata spesso è dettata dalle abitudini e dalla ritualità, piuttosto che fondarsi sulle migliori evidenze disponibili (Jeter e Lutz, 1996). Tutto ciò risulta aggravato dal fatto che spesso questo importante aspetto dell’assistenza viene delegato a personale con una insufficiente formazione sul tema (Voegeli, 2007). La situazione può essere particolarmente problematica nei contesti assistenziali residenziali, dove la cura della cute spesso è affidata a personale con una formazione minima, e in cui si verifica un elevato turnover del personale. Tutto ciò determina una situazione particolarmente critica e aumenta la necessità di chiare indicazioni sulle migliori pratiche per promuovere l’integrità della pelle. Purtroppo, laddove le evidenze sono disponibili, tendono ad essere abbastanza deboli, rendendo difficile formulare raccomandazioni definitive per la pratica (Hodgkinson et al, 2007). Ciò nonostante, è possibile individuare i componenti da tenere in considerazione al momento di costruire un protocollo per la cura della pelle. La cura della cute dovrebbe comprendere quattro aree principali, ossia pulizia, idratazione, protezione e reintegrazione. 2 Materiale riservato ai partecipanti del corso AISLeC PARMA 29-09-2012 © Tutti i diritti riservati Documento fornito unicamente a scopo di studio e di ricerca e per uso personale. Il richiedente si assume ogni responsabilità per l'uso che ne verrà fatto in seguito, essendo severamente vietata qualsiasi successiva riproduzione o pubblicazione per uso commerciale o per altro scopo (Legge n. 633 del 22/4/1941; Legge n. 159 del 22/5/1993 e successive modificazioni). Si impegna inoltre, sempre ai sensi della normativa sul copyright, a non conservare il file contenente il documento in formato elettronico e a cancellarlo dopo averne effettuato la stampa. La detersione (pulizia) della cute In generale, la raccomandazione più comune per la pulizia della pelle nella letteratura infermieristica continua ad essere il lavaggio con acqua e sapone con una spugna o una salvietta morbida usa e getta, e l’asciugatura con un asciugamano mediante sfregamento o picchettamento (Ersser et al, 2005). Se questo approccio può essere ritenuto adatto a soddisfare il bisogno di igiene nella maggior parte delle persone in condizioni di normalità, è però vero che espone la cute a un certo numero di fattori potenzialmente dannosi che meritano di essere tenuti in considerazione quando gli interessati sono individui con lesioni cutanee, o che richiedono una frequente pulizia della pelle. Pertanto bisognerebbe fare una netta distinzione tra la pulizia della pelle, eseguita di routine per motivi igienici, e la pulizia eseguita come parte di un protocollo di cura della cute in situazioni come l’assistenza a pazienti affetti da incontinenza urinaria o fecale (Bliss et al, 2007; Gray et al, 2007). Il lavaggio rimuove residui, particelle di sporco ecc dalla superficie della pelle, e a questo scopo spesso si utilizzano acqua e sapone per il fatto che vengono ritenuti convenienti e con un buon rapporto costo-efficacia. I saponi sono sali di sodio o potassio, solubili in acqua, di acidi grassi che sono stati trattati con un alcale forte, e agiscono come tensioattivi (agenti che abbassano la tensione superficiale di un liquido) (Abbas et al, 2004). Al sapone è possibile aggiungere ulteriori tensioattivi, come il laurilsolfato di sodio (o sodio laurilsolfato, sodio lauril solfato, SLS), allo scopo di farne un miglior agente detergente. Tuttavia i tensioattivi sintetici, come il SLS, sono noti per essere potenti irritanti per la pelle (Held et al, 2001). Anche la combinazione tra sapone e acqua ‘dura’, che produce un precipitato che rimane sulla pelle può indurre irritazione, se non viene risciacquato in modo adeguato (Timby, 1996). I saponi possono influire negativamente sulla pelle provocando un’eccessiva rimozione degli oli naturali, e accelerando l’essiccazione della cute; questi effetti sono ulteriormente inaspriti se l’acqua utilizzata è ad una temperatura troppo calda (Baillie e Arrowsmith, 2001). Data la natura altamente alcalina del sapone, l’uso ripetuto può far innalzare il livello del pH della superficie della pelle rendendolo più alcalino, vanificando così l'effetto protettivo del manto acido, e sconvolgendo l’equilibrio della flora residente sulla pelle (Korting e Braun-Falco, 1996). Nel complesso ciò può aumentare il rischio di colonizzazione da parte di microrganismi potenzialmente patogeni, come i dermatofiti. E’ importante che la pelle sia accuratamente asciugata dopo il lavaggio per evitare la macerazione, il raffreddamento eccessivo, e per mantenere il comfort del paziente. Tuttavia la manovra di asciugatura, eseguita di solito con un asciugamano, potrebbe aggravare gli eventuali danni verificatisi durante il lavaggio, a causa del danno meccanico indotto allo strato corneo (Huh et al, 2002). L’insieme di questi fattori potrebbe alterare la funzione di barriera della pelle, aumentando la propensione alle lesioni cutanee (Nickoloff e Naidu, 1994). Il personale infermieristico tradizionalmente tende ad asciugare la cute fragile tamponandola anziché sfregandola (Le Lievre, 2001; Marks, 2001). E’ difficile determinare se un metodo è preferibile a un altro a causa delle scarse informazioni in materia. Tuttavia, uno studio recente suggerisce che l’asciugatura tramite picchettamento con un asciugamano può lasciare la pelle significativamente più umida, aumentando quindi potenzialmente il rischio di iperidratazione dello strato corneo e di macerazione (Voegeli, 2008). Detergenti cutanei I detergenti cutanei rappresentano una soluzione alternativa per l’igiene della pelle (Ersser et al, 2005; Hodgkinson et al, 2007). Questi prodotti possono ridurre alcuni degli effetti negativi del sapone in virtù della loro composizione chimica, e alcuni sono utili per mantenere un livello di pH della cute che non ne intralci la funzione-barriera. Non sorprende che, grazie alla loro nomea di far risparmiare tempo al personale infermieristico e di ridurre l’incidenza delle lesioni cutanee, il loro uso sia diventato sempre più popolare, con un costo stimato per il SSN di oltre £ 300 000 nel 1999 (Continence Foundation, 2006). Una serie di studi ha cercato di confrontare l’uso dei detergenti cutanei con quello di acqua e sapone (Reid e Morison, 1994; Dealey, 1995; Whittingham, 1998; Cooper e Gray, 2001). Purtroppo però in questi studi si riscontrano diverse limitazioni, come la mancanza di randomizzazione, i campioni di piccole dimensioni, controlli inadeguati, e misure dell’outcome definite in modo non idoneo o inappropriato. Pertanto, anche se ad una prima analisi potrebbe sembrare che le evidenze a supporto dell’utilizzo dei detergenti cutanei siano solide, la realtà è che ci sono 3 Materiale riservato ai partecipanti del corso AISLeC PARMA 29-09-2012 © Tutti i diritti riservati Documento fornito unicamente a scopo di studio e di ricerca e per uso personale. Il richiedente si assume ogni responsabilità per l'uso che ne verrà fatto in seguito, essendo severamente vietata qualsiasi successiva riproduzione o pubblicazione per uso commerciale o per altro scopo (Legge n. 633 del 22/4/1941; Legge n. 159 del 22/5/1993 e successive modificazioni). Si impegna inoltre, sempre ai sensi della normativa sul copyright, a non conservare il file contenente il documento in formato elettronico e a cancellarlo dopo averne effettuato la stampa. poche informazioni scientificamente valide per guidare gli operatori nella scelta del prodotto giusto o del corretto regime di cura della cute, o per determinare se un prodotto è più adatto di un altro in determinate condizioni (ad esempio, incontinenza fecale) (Hodgkinson et al, 2007). Il risultato finale è che i protocolli per la cura della pelle tendono ad essere basati sull’esperienza clinica aneddotica e non su prove ricavate empiricamente. Emollienti Il termine emolliente deriva dal Latino emolliens ossia ‘che rende molle’, e indica una sostanza che agisce ammorbidendo la superficie della pelle. I termini emolliente e idratante sono usati in modo interscambiabile, in quanto essi svolgono funzioni analoghe, aumentando l’idratazione dello strato corneo. Il meccanismo d’azione di base degli emollienti, come ad esempio la vaselina, è quello di formare un film, inerte, sopra la superficie della pelle, che intrappola in modo passivo l’umidità (Holden et al, 2002). Questa immagine, molto semplice, utilizzata per spiegare come funzionano gli emollienti, ha creato una serie di problemi: molti professionisti e anche gli stessi pazienti non percepiscono gli emollienti come ‘trattamenti attivi’, con la conseguenza che questi prodotti sono sotto-utilizzati e c’è una scarsa adesione al protocollo di cura (Lodén, 2005). Attualmente gli emollienti sono disponibili sottoforma di lozioni, creme e unguenti. Anche se lo sviluppo e la formulazione degli emollienti è progredito, il principio di base rimane lo stesso: sono tutte varianti di un’emulsione di olio (lipidi) e di acqua. Tecnicamente queste emulsioni possono assumere la forma di olio in acqua, più comuni, oppure acqua in olio (Lodén, 2005). Non solo quindi gli emollienti possono contribuire a mantenere l’idratazione della pelle, ma sono anche in grado di contribuire a reintegrare i lipidi della barriera cutanea. Via via che le formulazioni sono diventate sempre più sofisticate, sono stati aggiunti agenti emulsionanti per aumentare la stabilità e migliorare il prodotto, consentendo l’uso di meno olio, riducendo la complessiva ‘untuosità’ dell’emolliente e rendendolo più accettabile per il paziente. Per aumentare gli effetti idratanti degli emollienti, sono stati aggiunti agenti umettanti (es. glicole propilenico, urea e glicerolo). Questi prodotti chimici richiamano e assorbono acqua dall’ambiente circostante, aiutando di conseguenza a richiamare acqua nello strato corneo. In alternativa o in associazione agli umettanti, per rallentare l’evaporazione dell’acqua dalla pelle, è possibile aggiungere agenti occlusivi (ad esempio, cera d’api, vaselina e lanolina). Questi ingredienti però conferiscono una consistenza untuosa al prodotto, e sono più efficaci se applicati sulla pelle umida. La miscela ricca di lipidi e di acqua rappresenta un terreno ideale per i batteri, quindi in molti casi è necessario incorporare anche agenti in grado di inibire la crescita batterica (ad esempio cloruro di benzalconio e idrossibenzoati). Saltuariamente, si può verificare una reazione di sensibilizzazione agli agenti emulsionanti, ai conservanti e altri additivi, peggiorando l’irritazione cutanea fino a provocare una dermatite da contatto (Fan et al, 1991). E’ anche possibile che, soprattutto quando vengono applicate su pelli molto secche o screpolate, creme e lozioni causino una sensazione di puntura o bruciore a causa dei conservanti, e in particolare se è presente un umettante, come l’urea (Peters, 2005). Poiché la comprensione della fisiologia cutanea nel tempo è aumentata, è aumentato anche il numero di preparati emollienti disponibili. Molti ora contengono un elenco di ingredienti così sofisticati da rendere lo spazio tra farmaco e prodotto cosmetico sempre più esiguo, con la conseguenza che esiste una certa confusione quando si cerca di selezionare il prodotto più adatto (Brown e Butcher, 2005). Sebbene i prodotti più grassi (unguenti) risultano essere quelli clinicamente più efficaci, molti pazienti non amano questi prodotti e trovano inaccettabile la sensazione che essi lasciano sulla pelle, così come l’imbrattamento degli abiti o della biancheria del letto che essi provocano. In generale, si preferiscono lozioni e creme perché sono prodotti assorbiti rapidamente, soprattutto se è necessario applicare il prodotto su parti visibili del corpo (Holden et al, 2002). Sorprendentemente, nonostante il fatto che la terapia emolliente sia riconosciuta come uno dei pilastri della terapia in dermatologia, ci si trova di fronte ad una mancanza di evidenze di buona qualità sulla loro efficacia o sulla comparazione delle varie composizioni disponibili (Rees, 2002). In ultima analisi, è quasi impossibile difendere l’uso clinico di un particolare emolliente rispetto ad un altro. Nella maggior parte dei casi, la decisione di quale prodotto utilizzare è fortemente influenzata dalle preferenze del paziente o dal costo (Ellis et al, 2003), che conduce all’accettazione del fatto che l’emolliente più efficace è quello che il paziente trova di suo gradimento e che quindi usa regolarmente (Burr, 1999). 4 Materiale riservato ai partecipanti del corso AISLeC PARMA 29-09-2012 © Tutti i diritti riservati Documento fornito unicamente a scopo di studio e di ricerca e per uso personale. Il richiedente si assume ogni responsabilità per l'uso che ne verrà fatto in seguito, essendo severamente vietata qualsiasi successiva riproduzione o pubblicazione per uso commerciale o per altro scopo (Legge n. 633 del 22/4/1941; Legge n. 159 del 22/5/1993 e successive modificazioni). Si impegna inoltre, sempre ai sensi della normativa sul copyright, a non conservare il file contenente il documento in formato elettronico e a cancellarlo dopo averne effettuato la stampa. I prodotti barriera Da tempo, le creme-barriera, gli unguenti e i film-barriera vengono utilizzati per proteggere la pelle dai danni provocati da un’esposizione eccessiva o prolungata ad umidità/acqua e sostanze irritanti (ad esempio da incontinenza urinaria e fecale). Essi hanno un ruolo importante anche nella preservazione dell’integrità cutanea nell’area circostante una stomia o un’ulcera iperessudante (Hampton, 2004). A volte i prodotti-barriera sono confusi con gli emollienti, e anche se alcune creme e unguenti hanno un lieve effetto idratante, questa non è la loro azione principale e non dovrebbero essere usati al posto di un emolliente nel caso in cui il suo uso sia indicato. Allo stesso modo, un emolliente non deve essere usato al posto di un prodotto-barriera dato che hanno meccanismi d’azione completamente diversi. La base delle preparazioni-barriera è costituita da un’emulsione lipidi / acqua, cui si aggiungono ossidi metallici (ad esempio zinco), che formano uno strato sottile sulla superficie della pelle allo scopo di tener lontano sostanze potenzialmente irritanti. I preparati più sofisticati spesso contengono ingredienti a base di silicone, come il dimeticone, così come agenti antisettici come cetrimide o benzalconio (Joint Formulary Committee, 2010). Come per gli emollienti, esiste la possibilità che alcuni di questi ingredienti causino irritazione nei soggetti sensibili, anche con preparazioni innocue come lo zinco, olio di ricino, olio di arachidi. Questo dovrebbe essere sempre tenuto presente, in particolare se l’irritazione della pelle sembra peggiorare quando si usa una preparazione. I progressi nella scienza dei polimeri hanno portato allo sviluppo di una nuova generazione di prodotti, che consentono di applicare sulla pelle un sottile strato semi-permeabile di protezione. In alcune circostanze, questi polimeri pare siano più vantaggiosi rispetto ai prodotti più tradizionali, facendo risparmiare tempo al personale infermieristico e offrendo una maggiore protezione, in particolare nel caso di proteggere la cute perilesionale (Schuren et al, 2005). Sicuramente questi prodotti hanno acquisito una crescente popolarità, pur rimanendo abbastanza costosi. E’ stata espressa la preoccupazione che l’uso dei prodotti barriera, e in particolare quelli a base grassa, potrebbe ostruire i pori dei pannoloni, compromettendo la funzionalità del presidio – un problema che si può verificare anche in seguito ad un uso eccessivo di talco in polvere. Anche in questo caso, questo è un settore che non è stato adeguatamente studiato; tuttavia, Bolton et al (2004) suggeriscono che, se applicati con oculatezza – secondo le istruzioni del produttore – i prodotti-barriera sono sicuri da utilizzare in combinazione con i pannoloni e non influenzano in modo significativo le prestazioni del presidio assorbente. Tuttavia, questo studio ha preso in considerazione una sola marca di pannoloni, pertanto questi risultati devono essere interpretati con cautela, e resta da dimostrare se questo risultato sia generalizzabile a tutte le marche di pannoloni. Come per gli emollienti, la gamma di prodotti commercializzati come prodotti-barriera è aumentata, andando incontro ad una continua evoluzione, fino alla nascita di prodotti concepiti per detergere, idratare e applicare un prodotto-barriera tutto con un’unica azione. Tuttavia, esiste una generale mancanza di studi oggettivi sull’efficacia dei prodotti esistenti, o che forniscono risposte alla domanda di quale prodotto da utilizzare in diverse circostanze, in termini di risultati clinici e di costo-efficacia (Hughes, 2002). Implicazioni per la pratica Non è insolito osservare come gli interventi attuati nei regimi di cura della cute siano diversi anche tra le unità operative all’interno di uno stesso ospedale. Occorre distinguere con chiarezza, una volta per tutte, ciò che costituisce in intervento terapeutico infermieristico di cura della cute da ciò che invece è un intervento attuato per ragioni sociali e di igiene generale. Utilizzando questo approccio, è possibile individuare alcune indicazioni da utilizzare per riflettere sulle pratiche vigenti. I benefici potenziali per i pazienti sono stati evidenziati in una serie di studi condotti sia in Inghilterra sia nel Nord America. Bale et al. (2004) hanno riportato che l’introduzione di un protocollo in una RSA per i pazienti anziani affetti da incontinenza ha portato ad un complessivo miglioramento delle condizioni della cute e dello stato di integrità, mentre Cole e Nesbitt (2004) e Lyder et al. (2002) hanno dimostrato una significativa riduzione dei tassi di incidenza delle ulcere da pressione, sia in ambito ospedaliero sia in ambito residenziale, a seguito dell’implementazione dei protocolli di cura della pelle. Nello 5 Materiale riservato ai partecipanti del corso AISLeC PARMA 29-09-2012 © Tutti i diritti riservati Documento fornito unicamente a scopo di studio e di ricerca e per uso personale. Il richiedente si assume ogni responsabilità per l'uso che ne verrà fatto in seguito, essendo severamente vietata qualsiasi successiva riproduzione o pubblicazione per uso commerciale o per altro scopo (Legge n. 633 del 22/4/1941; Legge n. 159 del 22/5/1993 e successive modificazioni). Si impegna inoltre, sempre ai sensi della normativa sul copyright, a non conservare il file contenente il documento in formato elettronico e a cancellarlo dopo averne effettuato la stampa. studio di Cole e Nesbitt il tasso di incidenza delle ulcere da pressione è sceso dal 17,9% al 2% nell’arco di 3 anni, e Lyder et al. hanno riportato una riduzione ben del 87% nel tasso di incidenza in una RSA. Questi studi dimostrano come apportare minimi cambiamenti possa far ottenere risultati notevoli in termini di miglioramento del mantenimento dell’integrità della cute. Conclusioni Come questo articolo ha evidenziato, la cura della pelle rimane un aspetto fondamentale ma ancora largamente sottovalutato di un’assistenza di qualità. L’apparente ‘invisibilità’ di questo aspetto assistenziale fa sì che spesso goda di scarsa considerazione, ma l’importanza di interventi efficaci di cura della pelle nel ridurre la sofferenza causata da lesioni cutanee in tutte le età non può essere ignorato. In definitiva, gli investimenti in questo settore potrebbero migliorare l’esperienza del paziente, e stanno emergendo evidenze a dimostrazione del fatto che, nell’ambito della prevenzione delle ulcere da pressione, un efficace regime di cura della pelle non solo migliora gli esiti clinici, ma è anche in grado di ridurre i costi, una questione che oggi riscuote il crescente interesse dei sistemi sanitari. Riferimenti bibliografici Abbas S, Goldberg JW, Massaro M (2004) Personal cleanser technology and clinical performance. Dermatol Ther 17(Suppl 1): 35–42 Anonymous (2007) Bath emollients for atopic eczema: why use them? Drug Ther Bull 45(10): 73–5 Baillie L, Arrowsmith V (2001) Meeting Elimination Needs. Developing Practical Nursing Skills. Hodder Arnold, London Bale S, Tebble N, Jones V, Price P (2004) The benefits of implementing a new skin care protocol in nursing homes. 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