UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI UDINE ________________________________________ FACOLTÀ DI ECONOMIA Corso di laurea triennale in Economia Aziendale Tesi di Laurea LA FINANZA ISLAMICA E UNO STRUMENTO FINANZIARIO: I SUKUK Relatore: Prof. Andrea Paltrinieri Laureando: Federico Nobile ANNO ACCADEMICO 2013/14 INDICE Introduzione………………………………………………………………………………………. 3 Capitolo Primo – Finanza Islamica: uno sguardo d’insieme…………………………............... 4 1.1. Origini e sviluppo………………………………………………………………….. 4 1.2. Il ruolo della religione nella finanza islamica……………………………………… 6 1.2.1 Le fonti giuridico-religiose e le scuole di pensiero……………………………….. 6 1.2.2 Homo islamicus vs Homo oeconomicus………………………………………….. 8 1.2.3 I pilastri della finanza islamica………………………………………………….... 8 Capitolo Secondo – Il sistema bancario islamico ed i principali contratti per la raccolta e l’impiego del capitale……………………………………………………… 12 2.1. Gli strumenti tecnici di raccolta del capitale…………………………………….. 13 2.2. Gli strumenti tecnici di impiego del capitale……………………………………. 14 2.3. Cenni sul funzionamento di una banca islamica………………………………… 27 2.4. Prospettive future e problematiche da risolvere…………………………………. 30 Capitolo Terzo – L’Islamic banking e la finanza islamica in Europa……………..…………. 31 3.1. La finanza islamica in Inghilterra………………………………………………... 31 3.2. La situazione italiana…………………………………………………………….. 33 Capitolo Quarto – Le obbligazioni islamiche: i sukuk…………….………………………….. 37 4.1. Caratteristiche tecniche e principi di funzionamento…………………………….. 37 4.2. Le principali tipologie di sukuk presenti sul mercato…………………………….. 39 4.2.1. Ijarah Sukuk………………………………………………………………………. 39 4.2.2. Musharakah Sukuk……………………………………………………………….. 42 4.2.3. I sukuk al-mudarabah…………………………………………………………….. 45 4.3. Le altre forme di sukuk riconosciute dall’AAOIFI………………………………. 47 4.3.1. I sukuk al-murabahah……………………………………………………………... 47 4.3.2. I sukuk al-istisna’…………………………………………………………………. 49 4.3.3. I sukuk al-salam………………………………………………………………...… 49 4.3.4. I certificati sull’agricoltura……………………………………………………….. 51 4.3.5. Le forme innovative di Sukuk……………………………………………………. 51 1 4.4. Profili di rischio, rendimento e valutazione dei sukuk e confronto con le obbligazioni tradizionali……………………………………………………………………...… 52 4.4.1. Le principali forme di rischio…………………………………………………….. 52 4.4.2. Le problematiche relative al calcolo del rendimento……………………………... 56 4.4.3. L’assegnazione dei rating ai sukuk……………………………………………….. 58 4.5. I sukuk e la gestione della liquidità……………………………………………..... 59 4.5.1. Il rischio liquidità…………………………………………………………………. 60 4.5.2. La gestione della liquidità attraverso i sukuk…………………………………….. 61 4.6. Nascita ed evoluzione del mercato dei sukuk…………………………………….. 64 4.6.1. Origini e sviluppo…………………………………………………………...……. 64 4.6.2. Il mercato internazionale………………………………………………………..... 67 4.6.3. Il mercato domestico……………………………………………………………… 70 Coclusioni………………………………………………………………………………………... 72 Bibliografia……………………………………………………………………………………… 73 Sitografia………………………………………………………………………………………… 74 2 Introduzione Negli ultimi anni l’attenzione dell’Occidente verso il mondo musulmano è notevolmente incrementata. Gli scontri politici, culturali ed ideologici, il terrorismo, la globalizzazione e soprattutto l’immigrazione sono solo alcuni dei fattori che hanno contribuito ad avvicinare queste due culture. Il mondo islamico al giorno d’oggi rappresenta a tutti gli effetti un’opportunità più che un rischio per la finanza e l’economia occidentale, contando una popolazione di oltre 1,5 miliardi di cui 17 milioni residenti in Europa. L'interesse degli operatori, degli studiosi e delle Autorità di Vigilanza nei confronti di questa “nuova” forma di finanza ha visto il suo maggior incremento dopo l'attacco terroristico del 2001 e ancor di più dopo lo scoppio della nota crisi dei subprimes nel 2007, in cui un ruolo di primaria importanza è da attribuire certamente alle grandi banche commerciali colpevoli di aver emesso titoli altamente speculativi. In un clima di forte sfiducia nei confronti della finanza tradizionale ecco come l'interesse degli investitori si rivolge sempre più verso un sistema finanziario caratterizzato da trasparenza, responsabilità sociale, ridotta speculazione e forte legame con l'economia reale. Non a caso infatti la finanza islamica presenta tassi di crescita tra il 10 e il 15% annui, in particolare secondo le previsioni di Ernst & Young il tasso medio di crescita previsto per i prossimi cinque anni si aggirerà attorno al 20% annuo, rispetto ad una crescita degli investimenti nel sistema bancario tradizionale stimata attorno al 9%. Nello specifico l’espressione “finanza islamica” è usata per individuare gli istituti giuridici, gli strumenti finanziari e le imprese conformi ai dettami della Sharia’ah. Nel primo capitolo si desidera fornire un quadro generale sulla finanza islamica: le origini, il successivo sviluppo ed in particolare il forte legame con la religione. Nel secondo capitolo si procederà ad una analisi del sistema bancario islamico, descrivendo gli strumenti e i contratti tipicamente utilizzati e accennando al suo funzionamento attraverso lo studio di un bilancio, per trattare poi nel terzo capitolo la diffusione di tale “fenomeno” in Europa. Infine, nel quarto ed ultimo capitolo, saranno oggetto di studio i sukuk, comunemente (ed erroneamente) definiti “bond islamici”, che rappresentano lo strumento finanziario “chiave” della finanza islamica e che a partire dagli anni duemila hanno intrapreso un percorso di sviluppo che non sembra destinato ad arrestarsi. 3 I CAPITOLO FINANZA ISLAMICA: UNO SGUARDO D’INSIEME 1.1. Origini e sviluppo Il 1963 rappresenta una data fondamentale per la finanza islamica con la nascita della Cassa Rurale di Risparmio di Mit Ghamr, piccolo villaggio egiziano sul Nilo, per opera dell'economista egiziano Ahmad Al-Najjar specializzatosi in economia sociale in Germania. La Mit Ghamr viene infatti considerata il primo esempio di istituto finanziario islamico. Nata come tentativo di riprodurre il modello delle casse agricole di risparmio tedesche, che avevano svolto un ruolo determinante nella ricostruzione della Germania nel dopoguerra, ebbe subito un grande successo anche e soprattutto grazie alla sua importante funzione sociale: attraverso la concessione di microcrediti permise lo sviluppo di una classe di piccoli imprenditori privati, andando a ridurre la disoccupazione di quelle aree. Successivamente, a partire dalla metà degli anni Settanta, si assiste ad una diffusione degli istituti di credito islamici in paesi quali Egitto, Kuwait, Sudan, Bahrein e Giordania. Nel 1979 l'Iran è stato il primo paese ad effettuare una completa conversione del proprio sistema bancario nazionale da tradizionale ad islamico, seguito pochi anni dopo dal Sudan e dal Pakistan, anche se in quest'ultimo caso la “conversione” non è mai stata ultimata e quindi il sistema bancario è definito “misto” e si caratterizza dunque per la compresenza di banche islamiche e non. Dopo una breve battuta d'arresto negli anni novanta, dovuta essenzialmente alla diminuzione degli introiti petroliferi, alla crisi del commercio mondiale e alla crisi finanziaria del sud-est asiatico, lo sviluppo della finanza islamica registra un nuovo incremento a ridosso degli anni duemila, incremento che sembra non arrestarsi considerati i tassi di crescita annuali compresi tra il 10 e il 15%. “[...] se il suo ritmo di crescita continuerà sui livelli osservati nel recente passato gli esperti stimano che nel 2015 gli attivi conformi alle regole della Sharia saranno compresi tra 1800 e 2800 miliardi di dollari” (Hamaui - Mauri, 2009). I due principali fattori alla base dello sviluppo della finanza islamica sono l'aumento dei prezzi del petrolio e gli avvenimenti dell'11 settembre. Per quanto riguarda il primo, in origine c'è stato il bisogno di investire in attività conformi alla Sharia la grande liquidità derivante dagli introiti petroliferi (per effetto del doppio shock degli anni settanta). 4 Anche l'attentato terroristico del 2001 e la conseguente emanazione del Patriot Act 1 hanno giocato un ruolo importante dal momento che un numero sempre più crescente di famiglie mediorientali hanno dato avvio ad un processo di disinvestimento nelle borse occidentali preferendovi prodotti finanziari islamici, questo per paura di vedersi “congelare” i propri investimenti. Un ultimo aspetto che può aver favorito la diffusione della finanza islamica è legato alla maggior importanza attribuita anche da parte dell'economia e della finanza occidentali agli aspetti etici e in generale al concetto di social responsibility 2, 1 Legge del 26 ottobre 2001, emanata a seguito degli attentati dell'11 settembre: rinforza il potere dei corpi di polizia e spionaggio statunitensi con lo scopo di ridurre la minaccia terroristica, riducendo dunque la privacy dei cittadini. 2 Paradigma innovativo che punta al soddisfacimento degli interessi di tutti gli attori coinvolti nella vita d'impresa. Tale “visione” risulta in linea con i valori alla base della finanza islamica. Si distingue dal modello shareholders che è finalizzato alla creazione di valore per i soli azionisti dell'impresa. 5 1.2. Il ruolo della religione nella finanza islamica L’Islam è una religione monoteista nata nel VII secolo d.C. attraverso la predicazione di Maometto (in arabo Muhammad “Il lodato”), considerato il “messaggero” inviato da Dio agli uomini per diffondere tra loro la sua parola. I seguaci dell’Islam al giorno d’oggi raggiungono il miliardo e mezzo di credenti e sono sparsi in tutto il mondo con maggior concentrazione nella penisola araba, nei paesi asiatici facenti parte dell’ex Unione Sovietica e nel nord Africa. La religione islamica si distingue dall’Ebraismo e dal Cristianesimo (le altre due grandi religioni monoteistiche) per la coincidenza pressoché assoluta tra Stato e Chiesa. I contenuti della Sharia, considerata la “via maestra per giungere alla salvezza”, non si limitano infatti a regolare l’intimo rapporto che si crea tra Dio e l’uomo, ma rappresentano dei veri e propri dettami applicati in ogni settore della vita quotidiana: politico, giuridico, economico e sociale. “L’Islam è quindi uno stile di vita, una visione del mondo completa e complessa che trova la sua guida ed il suo perimetro nel libro sacro.” (Miglietta, 2009). Fatta questa premessa si può capire come una attenta e accurata analisi della finanza islamica non possa prescindere dalla conoscenza delle fonti religiose che ne stanno alla base. 1.2.1. Le fonti giuridico-religiose e le scuole di pensiero Il principale testo canonico dell'Islam è senz'altro il Corano, suddiviso in 114 sure (capitoli), che racchiude la parola di Allah (Iddio) rivelata direttamente al profeta Maometto tramite l'arcangelo Gabriele. Pur esprimendosi su moltissimi aspetti della vita quotidiana, i versi del Corano tendono spesso a risultare generici, per questo motivo ad esso viene associato come fonte paritaria di diritto la Sunna, contenente l'insieme dei detti del profeta, delle sue azioni e delle risposte date ai discepoli. Il Corano e la Sunna rappresentano le principali fonti del diritto islamico e costituiscono la Sharia. Nei casi di difficile applicazione dei testi sacri nella risoluzione delle controversie di vita quotidiana, i giuristi ricorrono all'inferenza giuridica, l'ijtihad, che presuppone un'interpretazione indipendente dei testi sacri. L'esistenza di tale dimensione interpretativa, ha favorito il sorgere di diverse scuole di pensiero facenti uso di criteri interpretativi differenti, le due principali sono quella Sunnita e quella Sciita. La prima reputa l'analogia come unica forma di inferenza giuridica lecita e non prevede una gerarchia codificata tra i giuristi. 6 In quella Sciita invece è prevista l'esistenza di una gerarchia formale tra i giuristi e sono contemplate anche forme di inferenza giuridica diverse dall'analogia. Possiamo ulteriormente distinguere la scuola Sunnita in quattro scuole che utilizzano criteri interpretativi diversi tra loro: 1. la scuola Hanafita: si caratterizza per l'uso stringente dell'analogia e di criteri interpretativi che applichino ragioni equitative nella scelta tra le diverse fonti. Diffusa soprattutto in Pakistan, India e Afghanistan 2. la scuola Malikita: si concentra sull'analogia e sulla tecnica di anlisi dei benefici, la decisione dunque viene presa in base al pubblico interesse. Rappresenta la tendenza giurisprudenziale più conservatrice. Diffusa nell'alto Egitto e in gran parte dell'Africa 3. la scuola Shafi'ita: rifiuta i metodi diversi da quelli analogici. Diffusa nel basso Egitto e in Malesia 4. la scuola Hanbalita: è la più tradizionalista ed è diffusa in Arabia Saudita. Si caratterizza per un totale rispetto della Sunna e ancor più del Corano, prevede un'assoluta fedeltà alle fonti scritte dell'Islam Figura 1 Le fonti del diritto islamico Fonte: Miglietta (2012) 7 1.2.2. Homo islamicus vs Homo oeconomicus Le differenze concettuali osservabili tra finanza islamica e finanza occidentale riflettono anche una diversa concezione dell’uomo tra le due culture, questo ci porta a distinguere il concetto di homo islamicus da homo oeconomicus. Nel mondo arabo, come abbiamo già avuto modo di accennare, è presente una forte commistione tra potere temporale e potere spirituale e la religione esercita una forte influenza sulla vita reale delle persone e sulla gestione della società, in tutti i suoi aspetti. La dottrina islamica dunque attribuisce molta importanza agli aspetti di cooperazione, allo spirito comunitario, allo stare insieme e in generale alla Umma, che in arabo indica appunto la comunità. Secondo il Corano, Allah ha creato ogni cosa in quantità tale da poter rispondere ai bisogni di tutti gli uomini, e l’homo islamicus attraverso il suo altruismo riesce a non percepire il “problema della scarsità delle risorse”. Problema che è invece tipico dell’homo oeconomicus che si caratterizza per comportamenti egoistici finalizzati sempre e solo alla massimizzazione della propria utilità. Altro aspetto della vita economico regolato dai testi sacri è la proprietà privata. Quest’ultima pur essendo garantita e da molti considerata un diritto inviolabile, è soggetta a diverse limitazioni: la prima legata alla considerazioni di tutti i beni come dono di Allah, il quale è l’unico che può vantarne la proprietà assoluta; la seconda legata fondamentalmente al rispetto per il prossimo. I diritti di proprietà e la loro attribuzione creano inevitabilmente diseguaglianze tra gli uomini; ciò che subisce la condanna da parte dell’Islam è però la disparità eccessiva, non quella moderata. La religione mussulmana infatti rifiuta ogni tipo di eccesso, sfarzo e concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi, essendo tutto questo in contrasto con il principio dell’equa distribuzione della ricchezza tra le persone. 1.2.3. I pilastri della finanza islamica I cinque principi alla base dell'economia e della finanza islamica sono i seguenti: Riba: divieto di pagamento di interessi legati al fattore temporale Maisir: divieto di speculazione Gharar: divieto di stipulare contratti che prevedano elementi di incertezza e/o ambiguità Haram: attività economiche proibite dal Corano 8 Zakat: obbligo prescritto dal Corano di “purificare” il proprio patrimonio Riba: elemento principale su cui si basa la distinzione tra finanza islamica e finanza tradizionale. In arabo il termine indica un “eccesso” in riferimento alla pratica araba pre-islamica consistente nel raddoppiare il debito in caso di mancato pagamento del debitore a scadenza. Tale concetto è stato ampiamente dibattuto nelle diverse scuole islamiche, venendo poi distinto in riba al-nasi'a (o riba nel debito) e riba al-fadl (o riba nello scambio). Il primo deriva dal termine nasa’a che significa posporre e si riferisce al tempo concesso al debitore per la restituzione del prestito in contropartita del pagamento di un premio (interesse). Andrebbe contro la Sharia dunque fissare ex ante un “incremento” sul capitale prestato come mera remunerazione del tempo intercorso tra la concessione e la restituzione del prestito stesso. La riba al-fadl invece fa riferimento allo scambio non monetario tra beni, il baratto. Questo tipo di ingiusto arricchimento rimanda a un detto del profeta il quale invitava allo scambio di beni tramite denaro piuttosto che tramite baratto, per evitare possibili disaccordi quanto a specie, qualità e quantità dei beni oggetto di scambio. Il Corano contiene espliciti riferimenti al riba: “O voi che credete! Non praticate l’usura doppiando o raddoppiando” (v.130); “O voi che credete! Temete Dio! Rinunciate, se siete dei credenti, a ciò che vi resta dei profitti dell’usura. Se vi pentirete, avrete salvo il vostro capitale”(v.279). Alla base di tale divieto vi è un diverso ruolo attribuito alla moneta dalla religione islamica. Essa infatti nella concezione economica islamica assume un mero ruolo di mezzo di scambio e unità di conto ma non di merce ed è dunque priva di un valore intrinseco. Ancora, la riba non viene contemplata in virtù di un principio islamico secondo il quale non esiste alcun guadagno senza l’assunzione di un rischio. La considerazione, tipicamente occidentale, dell’interesse come remunerazione per il differimento dell’attività di consumo viene a tutti gli effetti rigettata dalla tradizione islamica. L’unica forma di profitto o accumulo di ricchezza accettata è quella derivante dall’attività operosa dell’uomo: lo sforzo fisico e intellettuale delle persone possono essere remunerati, ma non la semplice attesa. - Maysir: termine che si riferisce alla speculazione, alle scommesse e al gioco d’azzardo. Concetto che per molti studiosi si lega al gharar, in quanto ci sono diversi elementi di gharar in cui è al contempo presente anche il maysir. 9 Le attività conformi ai principi islamici non prevedono alcun possibile guadagno legato esclusivamente alla fortuna piuttosto che a qualche forma di congettura. - Gharar: termine generalmente usato per esprimere incertezza, rischio. Si incorre nel gharar quando c’è incertezza riguardo a un elemento cardine di una transazione, che può essere il prezzo di vendita o lo stato in cui si trova il bene. La presenza di gharar all’interno di un contratto, a seconda della gravità, può renderlo di fatto nullo. In linea di massima possiamo dire che mentre il divieto di riba è assoluto, il gharar è vietato solo se rilevante. L’ eventuale nullità del contratto viene discussa sulla base di un’analisi costi-benefici legati al contratto stesso: se i benefici di un contratto superano i costi legati all’incertezza allora esso potrà essere validamente stipulato, in caso contrario invece il contratto non sarà da ritenersi valido. - Haram: con il termine haram vengono indicate le diverse attività che sono bandite dal Corano, tra le quali ricordiamo la produzione/distribuzione di tabacco, alcol, armi, carne suina, pornografia e gioco d’azzardo - Zakat: il pagamento della zakat rappresenta uno dei cinque pilastri dell’Islam3. Letteralmente significa “purificazione” e corrisponde ad una sorta di imposta pagata dai credenti, siano essi persona fisica o società, sul surplus di ricchezza o di utili realizzati nell’anno islamico. In realtà si configura come qualcosa di più di una semplice imposta, poiché rappresenta a tutti gli effetti un vero e proprio dovere morale. Attraverso il pagamento della zakat il credente può purificare il suo cuore e il suo patrimonio dall’egoismo e dall’amore per la ricchezza. I beni sui quali viene applicata l’aliquota, variabile tra il 2,5 e il 10% a seconda del tipo di bene, sono l’oro, l’argento, i beni commerciali e secondo alcune interpretazioni anche i beni agricoli. Le quattro scuole giuridiche islamiche sono concordi nell’escludere dall’applicazione della zakat i macchinari e i beni durevoli, ma non il reddito da essi generato. 3 I cinque pilastri dell’Islam rappresentano gli obblighi che ciascun credente, uomo o donna, è tenuto ad osservare per compiacere Allah che li ha ordinati. Essi sono la Shahada (professione di fede), Salat (la preghiera quotidiana), Zakat (l’elemosina), Sawn (digiuno nel periodo del Ramadan) ed infine Hajj (pellegrinaggio alla Mecca almeno una volta nella vita per quelli che sono in grado di affrontarlo) 10 Beneficiari di tale imposta sono i poveri, i bisognosi, i debitori, e i pellegrini mentre le finalità principali riconosciute a questo “versamento” sono lo sviluppo e la diffusione dell’Islam nel mondo, la liberazione della schiavitù ed il sostentamento dei funzionari addetti alla raccolta della zakat. 11 II CAPITOLO: IL SISTEMA BANCARIO ISLAMICO ED I PRINCIPALI CONTRATTI PER LA RACCOLTA E L’IMPIEGO DEL CAPITALE La banca islamica presenta fondamentalmente le stesse attività e finalità di una banca tradizionale, ovvero scopo di lucro, raccolta del risparmio e concessione del credito. Essa non si distingue dunque dalla sua controparte tradizionale a livello operativo, bensì dal punto di vista dei prodotti offerti e sotto l'aspetto remunerativo, questo in virtù dell'influenza dei precetti religiosi. Per quanto riguarda la governance, ogni istituto presenta uno Sharia'ah Supervisory Board (SSB), ovvero un organo di controllo composto da esperti di diritto e finanza islamica a cui spetta il compito di garantire il rispetto dei principi islamici sia ex-post ma soprattutto prima che le operazioni finanziarie vengano compiute: caso tipico è l'approvazione riguardo al lancio di un nuovo prodotto. Le criticità principali emerse riguardo alla presenza e al ruolo degli SSB sono riconducibili a: conflitto di interessi dovuto alla scarsità di soggetti aventi competenze giuridiche e al contempo economico-finanziarie e che spesso dunque fanno parte di diversi SSB rischio che la competenza degli Sharia'ah board oltrepassi il confine della semplice consulenza e finisca per influenzare pesantemente l'attività operativa dell'istituto Ancora, le banche islamiche possono essere distinte in due tipologie: commerciali e di sviluppo. Le prime offrono gli stessi servizi tipicamente offerti dalle banche tradizionali, mentre le seconde hanno una dimensione più locale e cercano di promuovere lo sviluppo economico sensibilizzando l’investimento dei capitali locali in progetti ritenuti di sviluppo. Infine per quanto riguarda l’aspetto organizzativo, le banche islamiche possono assumere le seguenti forme: banca islamica pura: istituto che opera esclusivamente secondo i dettami della Sharia divisione specializzata: divisione di un gruppo bancario convenzionale specializzata nell’offerta di prodotti finanziari conformi alla Sharia finestra o sportello islamico: unità interne alle banche convenzionali che offrono prodotti finanziari islamici 12 2.1. Gli strumenti tecnici di raccolta del capitale Mentre nei paesi occidentali il deposito si configura come uno strumento misto di risparmio ed investimento a breve, nella finanza islamica esso è distinto in due “componenti”: i Deposit account (depositi in conto corrente) senza finalità di investimento e non remunerati, e i Deposit-investment accounts ovvero depositi partecipativi o di investimento. 1) Deposit account: Questa forma di conto corrente si limita a garantire la custodia sicura del denaro non prevedendo alcuna forma di remunerazione per il capitale depositato ma solo il suo rimborso. I depositi rimangono altamente liquidi e rispondono all’esigenza principale di far fronte ai pagamenti. Possono essere previsti servizi aggiuntivi quali per esempio l’utilizzo di carte di debito, di assegno o bonifico bancario, di bancomat. Per questi depositi la banca è obbligata a detenere riserve al 100%. Questione dubbia riguarda il trasferimento alla banca della disponibilità delle somme depositate, aspetto di non poco conto soprattutto nei casi di insolvenza dell’istituto. Per questo motivo è possibile individuare una variante a tale forma ovvero gli Saving account che sono simili ai Deposit accounts ma con la possibilità da parte della banca di utilizzarli per coprire i propri impieghi. Tuttavia anche in questo caso l’istituto bancario è obbligato a detenere delle riserve al 100%. 2) Deposit-investment accounts: Questa forma di raccolta permette di evidenziare una peculiarità della banca islamica rispetto alla controparte convenzionale; i depositanti rispetto alla banca non sono considerati dei creditori ma degli investitori a tutti gli effetti dal momento che affidano alla banca stessa la gestione dei propri risparmi attendendosi una remunerazione in virtù del rischio assunto. La banca dunque acquisisce la disponibilità delle somme depositate e si assume l’obbligo di restituirli a scadenza, obbligo che riguarda solo la parte non intaccata dalle perdite. Sotto il profilo remunerativo invece, i fondi vengono remunerati attraverso una percentuale predeterminata di partecipazione ai guadagni realizzati dalla banca: la remunerazione dunque; almeno a livello formale, non si configura come tasso di interesse. 13 Sulla base del mandato conferito alla banca in merito alla gestione di tali fondi individuiamo due ulteriori sottogruppi: gli Unrestricted deposit-investment account (conti non vincolati, o “speciali”) e i Restricted deposit-investment account (conti vincolati). Nel primo caso la banca è libera di utilizzare i depositi per finanziare qualsiasi tra i suoi impieghi, la remunerazione spettante al depositante sarà dunque calcolata come percentuale sul risultato netto di gestione della banca. Nel secondo caso invece la raccolta viene destinata al finanziamento di una o più specifiche iniziative, e quindi non può essere utilizzata indistintamente per finanziare tutti gli impieghi come nel caso precedente: la remunerazione sarà una partecipazione agli utili/perdite dello specifico progetto o investimento finanziato. 2.2. Gli strumenti tecnici di impiego del capitale La differenziazione tra banca islamica e convenzionale può essere riscontrata non solo a livello di raccolta del risparmio ma anche per quanto riguarda il finanziamento. La banca islamica a differenza della controparte convenzionale non valuta infatti il merito creditizio o le garanzie fornite dal soggetto finanziato bensì la redditività del progetto. Fatta questa doverosa premessa possiamo innanzitutto distinguere le forme tecniche di impiego del risparmio in due famiglie a seconda del grado di partecipazione al rischio: forme di finanziamento partecipative basate sul principio del Profit and Loss Sharing e forme di finanziamento non partecipative, dette anche trade based. Alla base dello schema del Profit and Loss Sharing (PLS) c'è la condivisione del rischio d'impresa quindi tutte le partite coinvolte nell'investimento sono chiamate a condividere i profitti e/o le perdite derivanti dal progetto. Ancora, il PLS è legato strettamente alla proibizione del tasso d'interesse; come si ha già avuto modo di vedere infatti, una banca o un qualsiasi finanziatore non può imporre un tasso d'interesse perché ciò oltre ad essere vietato non tiene nemmeno conto del risultato dell'investimento. Se infatti, nonostante l'impegno, il progetto dovesse andare male non sarebbe giusto che l'imprenditore che ha ottenuto il finanziamento pagasse un ammontare prefissato (l'interesse), e pariteticamente se l'investimento dovesse andare a buon fine non sarebbe giusto che il finanziatore ricevesse solo una minima quota dei guadagni realizzati. 14 1) I contratti partecipativi: L'idea alla base dei contratti partecipativi è che tutte le parti coinvolte nel progetto, apportando lavoro o capitale, partecipino ai guadagni e/o alle perdite del progetto stesso. Le due forme principali sono il mudarabah, dove il cliente partecipa ai soli profitti e il musharakah, dove invece il cliente partecipa sia ai profitti che alle perdite. - Mudarabah: le parti coinvolte sono due: il rabb al-mal e il mudarib. Il primo conferisce il capitale mentre il secondo apporta al progetto il lavoro e le competenze ed è deputato alla gestione degli affari. Il mudarib ha diritto a partecipare ai profitti generati ed una commissione come retribuzione per il lavoro giornalmente prestato, ma non sopporta nessun danno patrimoniale nel caso in cui il progetto imprenditoriale vada male: le perdite gravano solo sul rabb al-mal. Affinchè il contratto risulti valido secondo la Sharia’ah devono essere chiari al momento della stipula del contratto i criteri relativi alla distribuzione degli utili. In ambito bancario tale contratto viene comunemente utilizzato in due forme alternative: per finanziare le imprese commerciali oppure per la regolamentazione dei conti d'investimento. Nel primo caso, un soggetto (mudarib) che vuole investire in un nuovo progetto ma non possiede le risorse finanziarie sufficienti, si rivolge ad una banca islamica (rabb al-mal) per ottenere il finanziamento. La banca, dopo aver valutato l'investimento dal punto di vista della redditività e della sua conformità alla Shariah, stipula un mudaraba con il cliente finanziato (fase 1 nello schema), quest'ultimo apporta il lavoro e le proprie competenze la banca invece apporta il capitale (2). La gestione del progetto è di norma in capo al mudarib. Se il progetto genererà utili questi verranno ripartiti tra le parti sulla base delle quote definite al momento della stipula del contratto, in caso contrario, come già detto, le perdite graveranno solo sulla banca islamica salvo il caso in cui sia provata la grave negligenza da parte del mudarib (4). Nel secondo caso invece la banca agisce nel ruolo di mudarib, mentre il depositante, affidandole i propri risparmi, agisce come rab al-mal. La raccolta dei depositi avviene quindi mediante contratti mudaraba dove la remunerazione del partecipante non consiste in un tasso d’interesse bensì nella partecipazione agli utili della banca. Il depositante, agendo in questo caso come rab al-mal, parteciperà alle eventuali perdite generate: il valore nominale del deposito non è garantito ed in caso appunto di perdite potrà essere intaccato. 15 Alla base di tutto ricordiamo sempre l’esistenza di contratti mudaraba vincolati, dove il capitale è apportato in relazione ad uno specifico investimento, e mudaraba non vincolati dove il mudarib sceglie liberamente il progetto da sostenere. Figura 2. Schema semplificato di mudarabah Fonte: Hamaui & Mauri (2009) 16 Esempio di mudarabah Fonte: Hamaui & Mauri (2009) - Musharakah: il termine musharakah significa letteralmente “condivisione”. Questa forma contrattuale si distingue dalla precedente per tre elementi in particolare: partecipazione ai profitti e alle perdite, gestione del progetto e la modalità di finanziamento dell’investimento. Per quanto riguarda il primo aspetto, in linea con il concetto di condivisione, le parti coinvolte partecipano entrambe sia ai profitti (in base alla percentuale fissata nel contratto) sia alle perdite (in misura proporzionale al capitale conferito). A tal riguardo, non è ammessa la possibilità di stabilire a priori che uno dei partner riceva una percentuale fissa sul proprio investimento poiché questo costituirebbe riba: verrebbe definito un ammontare che prescinde dall’effettivo risultato economico della società finanziata. La gestione del progetto nel mudarabah era competenza del mudarib, mentre nel contratto musharakah in linea teorica ogni partner può partecipare alla gestione, anche se di norma si tende a ad affidare la conduzione dell’operatività giornaliera ad un membro della partnership o ad un terzo soggetto. 17 Per quanto riguarda le modalità di finanziamento dell’investimento, nel contratto musharakah è previsto che ogni parte coinvolta conferisca una parte del capitale, che generalmente consiste in denaro ma, previo il consenso degli altri soci, può consistere anche in terreni, immobili o beni immateriali quali il marchio e il brand o la reputazione acquisita nel tempo. In caso di conferimento di beni immobili, per esempio, essi rimangono di proprietà del socio conferente e i proventi generati dalla vendita sono interamente attribuibili al proprietario e non alla società. Nonostante la perfetta conformità ai dettami della Sharia’ah, una ricerca condotta nel 1999 dimostra come il musharakah non rappresenti uno strumento molto utilizzato dagli intermediari finanziari; nella “classifica” delle formule di finanziamento più utilizzate essa occupa l’ultimo posto (6%), preceduta dal murabahah (37%), dal mudarabah (19%) e dall’ijiarah (9%). La spiegazione sarebbe da attribuire ad alcune caratteristiche del contratto che ne limitano l’utilizzo in ambito bancario. Innanzitutto il musharakah rappresenta uno strumento di finanziamento a lungo termine ed essendo la raccolta della banca orientata su orizzonti temporali di breve-medio termine si pone un problema di mismatching tra le scadenze. La seconda ragione alla base del limitato utilizzo del musharakah è da attribuirsi al timore da parte degli imprenditori di perdere il controllo della società nel caso di ingresso da parte di finanziatori esterni, questo in virtù della possibilità riconosciuta a ciascun socio di partecipare alla gestione e conduzione della società e della conseguente condivisione dei profitti generati. Figura 3. Schema semplificato di musharakah Fonte: Hamaui & Mauri (2009) 18 Nella prassi questo contratto viene spesso utilizzato per finanziare l’acquisto di una proprietà immobiliare, e nel caso specifico prende il nome di musharakah mutanaqisah. Le parti coinvolte sono il cliente e la banca, che acquistano congiuntamente la proprietà dell’immobile, proprietà che verrà poi divisa tra le due parti in relazione al grado di investimento. Per esempio, se il cliente partecipa con il 20% del valore iniziale mentre la banca con il restante 80%, la proprietà sarà per il 20% in mano al cliente e per la parte restante in mano alla banca. Con la frequenza sancita dal contratto, il cliente che utilizza a fini residenziali l’immobile pagherà una rata che può essere così identificata: una parte da corrispondere alla banca come affitto (pari in questo caso all’80%), e una parte per acquistare progressivamente l’intera proprietà dell’immobile. Nel tempo avremo una diminuzione della quota di affitto ed un aumento della quota del cliente, fino a quando, al termine del contratto, il cliente risulterà proprietario al 100% dell’abitazione. Esempio di musharakah Fonte: Hamaui & Mauri (2009) 19 2) I contratti non partecipativi: Tali forme contrattuali non rispondono al principio del PLS e quindi a differenza dei precedenti non si basano sulla condivisione degli utili o delle perdite. Si caratterizzano spesso per meccanismi di scambio di beni/servizi con l'applicazione di un mark-up sul prezzo di rivendita. Di norma il loro utilizzo è ammesso nei soli casi in cui non risulti possibile applicare le forme di finanziamento PLS. Pur rappresentando nella sostanza delle vere e proprie forme di indebitamento con rendimento predeterminato, sono ritenute comunque conformi alla Sharia’ah dal momento che tale rendimento (il mark-up) non figura come un tasso di interesse. La banca infatti risulta proprietaria del bene nel periodo compreso tra l'acquisto per conto del cliente e il riscatto da parte del cliente stesso, assumendosi quindi il rischio legato alla conduzione di un’attività materiale, uno su tutti il rischio di mercato derivante dall’andamento del prezzo dell’attività stessa. Di conseguenza il mark-up è relativo al servizio offerto su una prestazione finanziata e non alla dimensione temporale, rispettando in questo modo il divieto di riba. I principali contratti che figurano in questa categoria sono: Murabahah Salam Istisna’ Ijarah - Murabahah: tale contratto consiste nell’acquisto di beni o merci in nome e per conto del cliente con pagamento differito, in una soluzione unica o rateizzato. Il prezzo praticato dalla banca al cliente è pari al costo sostenuto, incluse le spese d’acquisto, incrementato di un mark-up il cui valore deve essere noto al cliente prima della stipula del contratto. In un tipico esempio di contratto murabahah vediamo coinvolti tre soggetti: la banca, l’acquirente (cliente della banca) ed il venditore. Il soggetto acquirente desidera acquistare un determinato bene di cui ha già individuato le caratteristiche ed il prezzo con il venditore (fase 1 nella figura). Non avendo l’acquirente risorse finanziarie a sufficienza richiede un finanziamento alla banca e viene stipulato un contratto murabahah (2). 20 Il cliente della banca comunica alla banca stessa le condizioni precedentemente individuate con il venditore e le parti stabiliscono il guadagno della banca, cioè appunto il mark-up che come già detto deve essere noto a priori pena la nullità del contratto. La banca acquista la proprietà del bene dal venditore pagando un prezzo P comprensivo delle spese sostenute per l’acquisto (3). In seguito, la banca trasferisce la proprietà del bene al cliente finanziato il quale verserà alla banca un prezzo (P + k) con K che costituisce il mark-up (4). Figura 4. Schema semplificato di murabahah Fonte: Hamaui & Mauri (2009) Esempio contratto di murabahah Fonte: Hamaui & Mauri (2009) 21 - Salam: a differenza del murabahah dove la banca assume il ruolo di fornitore, nel salam essa assume il ruolo di cliente che ha acquistato un bene che però le verrà consegnato ad una data scadenza: ad un pagamento immediato corrisponde una consegna differita. Pur ricordando un contratto a termine, il salam si distingue da esso in virtù del fatto che il prezzo non viene pagato a scadenza ma alla stipula del contratto. In linea di principio il salam andrebbe contro i dettami della Sharia’ah dal momento che viene venduto qualcosa che ancora non esiste o non è ancora di proprietà del venditore (solitamente merci a carattere stagionale come i prodotti agricoli). Tuttavia è lo stesso Profeta ad autorizzare tale operazione al fine di finanziare il commercio e i piccoli agricoltori. Data la sua natura, il salam è soggetto a norme molto severe da parte della giurisprudenza, la quale per garantirne la validità richiede il rispetto di alcune condizioni: i beni oggetto del contratto devono essere standardizzati, facilmente individuabili nella qualità e nella quantità; devono essere specificati data e luogo di consegna della merce ed infine il prezzo deve essere obbligatoriamente pagato alla stipula del contratto e non in un momento successivo. Fino a quando il bene non è nella disponibilità della banca, quest’ultima è esposta al rischio di ribasso del prezzo della commodity. Figura 5: schema contratto salam singolo Fonte: elaborazione su dati Porzio (2009) Per proteggersi da tale rischio la banca stipula salam paralleli, vale a dire contratti in cui essa figura come parte corta e dove l’oggetto del contratto è il sottostante del primo negozio(dove la banca figura come parte lunga): così facendo la banca realizza un profitto pari al prezzo di vendita del secondo negozio al netto del prezzo d’acquisto del primo negozio di salam. Tale profitto realizzato nel secondo contratto parallelo al primo è a tutti gli effetti giustificato visto i diritti di proprietà e i relativi rischi sul sottostante oggetto dell’operazione. 22 Importante ricordare che l’eventuale mancata consegna del sottostante obbligherebbe comunque la banca a dover acquistare il bene necessario per il secondo contratto, rimanendo comunque quest’ultimo valido in ogni caso visto che la vendita e la consegna non possono mai essere soggetti a condizioni. Figura 6: schema contratti salam paralleli Fonte: elaborazione su dati Porzio (2009) Esempio di salam paralleli Fonte: Cioli (2014) 23 - Istisna’: questa tipologia di contratto presenta caratteristiche tali da renderla adatta in tutti quei casi in cui si provvede alla costruzione di un bene entro una data predefinita secondo le caratteristiche specifiche richieste dall’acquirente, specialmente in progetti quali la costruzione di infrastrutture, l’aeronautica o l’industria navale. Anche qui, come nel caso del salam, si tratta un bene che alla data della stipula del contratto ancora non esiste ma a differenza del caso precedente, in sede di costituzione del contratto non è previsto alcun esborso monetario: i pagamenti di norma vengono effettuati in relazione allo stato d’avanzamento del lavoro. A riprova dell’importanza che il bene commissionato debba rispondere alle specifiche esigenze espresse dal cliente, a quest’ultimo è riconosciuta l’opzione di rifiutare il bene se non ritenuto conforme e quindi di annullare il contratto. Se tra l’acquirente e il fornitore si frappone la banca, in qualità di venditore, allora abbiamo istisna’ paralleli. Accanto al primo contratto se ne sviluppa uno identico avente lo stesso bene come sottostante, nel quale però appunto la banca si rivolge a terze economie in qualità di acquirente. Essa assume dunque un duplice ruolo: è acquirente nei confronti dei fornitori esterni, è venditrice nei confronti del cliente finanziato. Il profitto della banca è rappresentato dalla differenza tra il prezzo al quale acquista il bene da terze economie e il prezzo, comprensivo di mark-up, che applica al proprio cliente nel momento in cui gli vende il bene: anche in questa circostanza il profitto della banca è reso lecito dal possesso del bene, seppur per un periodo temporalmente limitato. Pertanto, tra le forme di finanziamento offerte dalla banca all’impresa, l’istisna compare solo nella forma di contratti paralleli; questo rappresenta un elemento di differenza con il salam dove invece è possibile che la banca stipuli contratti singoli, non procedendo dunque alla rivendita del bene, nel caso in cui metta a disposizione un magazzino per soddisfare le esigenze dei clienti. Esempio di istisna’ Fonte: Cioli (2014) 24 Figura 7: schema contratti Istisna singolo e paralleli Fonte: elaborazione su dati Porzio (2009) - Ijarah: questa forma contrattuale consiste nella locazione di un bene strumentale all’attività del soggetto finanziato in cambio del quale la banca ottiene il pagamento di una serie di canoni periodici. Così come avviene nelle diffuse forme di leasing della finanza occidentale la proprietà del bene rimane alla banca e non al cliente, al quale viene concesso il solo usufrutto. La banca essendo proprietaria del bene dovrà sostenere i costi legati alla proprietà mentre in capo al cliente c’è solamente l’obbligo di mantenere il bene in buono stato. La somma delle rate corrisposte alla banca va a ricostituire il costo d’acquisto del bene, incrementato del mark-up, che ancora una volta trova la sua giustificazione in virtù del rischio connesso alla proprietà. Affinché il contratto non nasconda un profitto da interesse si rende necessario che la banca si assuma parte del rischio legato all’operazione: per questa ragione il trasferimento della proprietà del bene oggetto di leasing può avvenire solo a termine del contratto e non prima. A tal proposito si è soliti distinguere tra ijarah e ijarah wa iqtina: il primo corrisponde al leasing operativo, il secondo invece è assimilabile al leasing finanziario (viene dunque riconosciuta la possibilità in capo al cliente-locatario di acquistare il bene a scadenza). 25 L’ ijarah vanta un ampio utilizzo sia in campo bancario che finanziario: come vedremo nel quarto capitolo questa forma contrattuale risulta la più utilizzata nella strutturazione di emissioni obbligazionarie (sukuk). Nella pratica, un soggetto (locatario) che intende acquistare un determinato bene ma non possiede le risorse economiche sufficienti, dopo aver stabilito con il venditore le caratteristiche del bene e il suo prezzo di vendita (fase 1 nella figura), si rivolge ad una banca islamica e con essa stipula un contratto di ijarah al fine di ottenere un finanziamento (2). Le parti stabiliscono l’ammontare del canone, la sua durata e successivamente la banca acquista la proprietà del bene dal venditore (3). Il bene verrà poi consegnato al cliente (4) il quale dovrà versare il canone di locazione precedentemente fissato (5). Se il contratto è strutturato nella forma di ijarah wa iqtina, al termine del contratto il locatario potrà riscattare la proprietà del bene pagando il valore residuo (6). Figura 8. Schema di un contratto ijarah Fonte: Hamaui & Mauri, 2009 26 2.3. Cenni sul funzionamento di una banca islamica Al fine di comprendere in modo adeguato quello che è il “modus operandi” tipico di una banca islamica, le analogie e in particolare le differenze con le controparti convenzionali, si riporta di seguito il bilancio (comprensivo di stato patrimoniale e conto economico) della Bahrain Islamic Bank. Sul fronte del passivo, una prima importante peculiarità da evidenziare è la separata indicazione dei conti d’investimento vincolati rispetto alle altre passività. Essi rappresentano la principale risorsa per una banca islamica, la cui raccolta avviene generalmente attraverso contratti mudaraba e musharakah, e rappresentano capitale non garantito dalla banca: la loro remunerazione è funzionale ai risultati dei progetti in cui vengono investiti. Come si già visto nella pagine precedenti i conti d’investimento si distinguono in vincolati e non a seconda che sussista un vincolo nell’utilizzo delle somme versate o meno. Il depositante si trova in una posizione intermedia tra l’azionista e il depositante tradizionale: rischia il capitale versato ma non ha alcun diritto di voto in assemblea. Nella pratica tuttavia, la banca al fine di garantire una remunerazione dei depositi quantomeno competitiva, costituisce due particolari tipologie di riserve: le riserve di perequazione dei risultati (Profit Equalization Reserves o PER) e le riserve per rischi d’investimento (Investment Risk Riserve o IRR). Tali riserve giocano un ruolo determinante al fine di ottenere il gradimento dei depositanti e permettono alla banca di garantire delle remunerazioni competitive con quelle delle banche convenzionali: questione di particolare rilevanza soprattutto per paesi dove coesistono entrambe le tipologie di intermediari. Per quanto riguarda invece l’attivo, le banche islamiche differentemente da quello tradizionali non concedono prestiti a interesse ma investono direttamente in progetti che hanno come sottostante un bene reale; generalmente per i finanziamenti a breve si applicano i contratti di murabahah, salam e istisna mentre per i finanziamenti a medio termine sono utilizzati o i contratti di leasing o ancora l’istisna, infine per i finanziamenti a lungo termine vengono privilegiati i contratti di natura partecipativa basati sullo schema del Profit and Loss Sharing. Osservando il prospetto di stato patrimoniale si nota come il 50% circa delle attività è allocato in operazioni murabahah, mentre le operazioni che prevedono la condivisione dei profitti e delle perdite (musharakah e mudarabah) rappresentano il solo 8%. 27 Lo scarso impiego di contratti PLS è dovuto essenzialmente a tre ragioni principali: alcune operazioni per la loro natura non si prestano allo schema del PLS le asimmetrie informative e il moral hazard possono scoraggiare investimenti partecipativi le transazioni NO PLS (o di mark-up) presentano profili di rischio più vicini a quelli delle banche tradizionali Tali scelte gestionali hanno un diretto impatto anche dal punto di vista della scadenza delle attività detenute dalla banca: le attività a breve scadenza rappresentano circa la metà del totale mentre quelle con durata superiore ai tre anni rappresentano circa un terzo del totale. Infine, a livello di immobilizzazioni emergono quelle costituite dai sukuk (obbligazioni islamiche): non essendo ancora sviluppato un mercato secondario delle obbligazioni islamiche la maggior parte di queste viene mantenuta in bilancio fino a scadenza. Tabella 1. Stato patrimoniale di una banca islamica, dati in migliaia di dinari del Bahrain 1 €=0,51 dinari Fonte: Hamaui & Mauri (2009) 28 Passando ad analizzare la struttura del conto economico possiamo anche qui riscontrare alcune diversità rispetto al conto economico di una banca tradizionale. Innanzitutto non sono presenti le voci legate agli interessi attivi e passivi, che sono sostituiti rispettivamente dai ricavi lordi (derivanti dalle commissioni e dalle operazioni islamiche) e dalla partecipazione ai profitti da parte dei depositanti (che partecipano ai ricavi lordi e non agli utili netti). Il reddito finale pagato ai titolari di conti di investimento vincolati è ottenuto come percentuale sui ricavi lordi al quale viene sottratta una somma che viene trattenuta dalla banca sotto forma di mudarib fee: una commissione versata alla banca per l’attività di gestore (mudarib) dei progetti per conto dei depositanti. Ultimo elemento di differenziazione con gli istituti tradizionali è l’assenza di tasse, che però sono sostituite dalla zakat, il versamento dovuto a fini caritatevoli/sociali. I clienti e i partner di una banca islamica hanno la possibilità di delegare ad essa il prelievo e la ridistribuzione di tale imposta, secondo modalità definite in modo esplicito. Tabella 2. Conto economico di una tipica banca islamica dati in migliaia di dinari del Bahrain 1 €=0,51 dinari Fonte: Hamaui & Mauri (2009) 29 2.4. Prospettive future e problematiche da risolvere Pur avendo fatto registrare negli ultimi anni dei trend di sviluppo a doppia cifra, sono ancora diverse le criticità che il sistema bancario islamico deve affrontare e risolvere per poter competere fino in fondo con il sistema finanziario occidentale; tra queste l’aspetto più rilevante è senz’altro quello legato alla corporate governance. Esso è riconducibile essenzialmente al problema dei titolari dei conti d’investimento i quali partecipano ai rischi dell’attività bancaria rischiando il proprio capitale senza le adeguate garanzie circa i rischi assunti dalla banca. La mancanza di precise indicazioni ha fatto propendere le diverse autorità nazionali verso differenti posizioni, è il caso dell’Arabia Saudita dove sono consentiti solamente i conti d’investimento vincolati. Altra questione delicata è quella relativa agli sharia’ah board, elemento che a volte si trova ad influire anche pesantemente sull’operatività della banca e sulla sua competitività: esempio classico è il conflitto tra due o più board riguardo alla conformità di un nuovo strumento. Problema questo che in Malesia è stato risolto attraverso la creazione di uno Sharia’ah Board centrale che ha permesso di chiarire il contesto normativo e regolamentare entro il quale operare. Un altro elemento critico è rappresentato dalla necessità di omogeneità a livello contabile; lo sviluppo e la crescita devono infatti essere accompagnati dalla trasparenza contabile che a sua volta deve radicarsi su principi validi a livello internazionale: in quest’ottica si inserisce l’impegno dell’Aaoifi4che agisce al fine di recepire e soprattutto adattare gli standard contabili internazionali al contesto islamico. In ultima battuta va segnalato il problema legato all’integrazione tra il sistema bancario islamico e quello tradizionale, soprattutto per quanto riguarda i profili di adeguatezza patrimoniale e gli standard di risk managent: fondamentale in questa direzione è il ruolo dell’Islamic Financial Services Board (IFSB) che rappresenta il corrispondente islamico del Comitato di Basilea. 4 AAOIFI (Accounting and Auditing Organization for Islamic Financial Institutions, nato nel 1991 in Bahrain): pubblica e tiene aggiornati oltre 56 standard Tali standard in molti paesi sono obbligatori o altamente raccomandati. compatibili con la Shariah in materia di contabilità, auditing e governance. 30 CAPITOLO III: L’ISLAMIC BANKING E LA FINANZA ISLAMICA IN EUROPA Considerata la continua crescita del numero dei mussulmani in Europa, si può intuire come il fenomeno della finanza islamica sia destinato inevitabilmente a diffondersi anche al di fuori dei paesi di religione islamica. Il numero di mussulmani attualmente presenti in Europa raggiunge i 17 milioni ed è destinato ad aumentare. I paesi che contano il maggior numero di mussulmani residenti sono la Francia e la Germania, rispettivamente con 3 milioni e mezzo e 4; non a caso sono proprio questi due paesi, assieme al Regno Unito, ad aver contribuito maggiormente allo sviluppo e alla diffusione della finanza islamica in Europa. Nonostante il potenziale interesse futuro, attualmente la finanza islamica nel nostro continente si trova ancora in una fase embrionale, anche perché le Autorità e le Banche Centrali non hanno dimostrato un forte segnale di interesse allo sviluppo di tale forma di finanza nel nostro territorio; eccezion fatta per l’Inghilterra dove il governo e le istituzioni si sono mosse direttamente per favorire l’insediamento di istituti islamici, intervenendo anche attraverso modifiche legislative. 3.1. La finanza islamica in Inghilterra Come accennato nel precedente paragrafo, un ruolo chiave nello sviluppo della finanza islamica nel contesto europeo è stato svolto senza ombra di dubbio dall’Inghilterra, e in particolare dalla piazza finanziaria di Londra. Quest’ultima infatti può contare su una buona base di contatti con il mondo islamico, su un mercato finanziario molto sviluppato con società finanziarie insediate in diversi paesi islamici oltre che su un discreto bacino di potenziali clienti (circa 1,8 milioni di mussulmani residenti). La prima esperienza di finanza islamica in Inghilterra viene fatta risalire al 1982 con l’istituzione dell’Al Baraka International Bank, ma è a cavallo tra gli anni novanta e duemila che si è assistito allo sviluppo maggiore di tale forma di finanza, sostenuta anche dalle principali istituzioni inglesi tra cui l’autorità di vigilanza sui mercati Financial Services Authority (FSA). L’approccio adottato dall’Inghilterra nei confronti della finanza islamica può essere espresso nel concetto “no obstacles, no special favours” (nessun ostacolo, nessun privilegio speciale), in linea con la visione della finanza islamica come una normale forma innovativa, al pari di tante altre che, 31 periodicamente, emergono nell’ambito dell’industria dei servizi finanziari; per questo motivo si è limitata a modificare la normativa esistente senza introdurre una licenza bancaria creata ad hoc per le banche islamiche. Le principali criticità relative l’adeguamento della normativa sono state fondamentalmente due: la neutralità fiscale degli strumenti conformi alla Sharia’ah e il principio di tutela dei depositi. Con riferimento al primo aspetto, il Finance Act del 2003 e le modifiche del 2005 hanno introdotto l’abolizione della doppia imposta di registro nelle transazioni immobiliari riconducibili al contratto murabahah, modifiche al regime fiscale per i prodotti di risparmio nella forma mudarabah o di finanziamento nella forma murabahah ed infine trattamento dei sukuk al pari dei corporate bonds. Il secondo aspetta riguarda, come detto, la tutela dei depositi ed è inerente al rischio dei titolari dei conti d’investimento di vedere intaccato il valore nominale delle somme depositate. In questo caso tuttavia, al cliente è concessa la possibilità di richiedere al Financial Services Compensation Scheme la restituzione di quanto perso: la banca è dunque tenuta ad offrire un pagamento al depositante per la somma perduta, in aggiunta, gli azionisti non hanno nemmeno diritto alla distribuzione degli utili se a priori non sono rispettati i diritti dei depositanti. Questi ultimi possono accettare o rifiutare l’offerta, nel caso in cui l’accettino la banca ripagherà il depositante ma quest’ultimo non verrà più considerato coerente con i principi islamici. Attraverso questo meccanismo viene rispettato sia il principio di partecipazione ai profitti e alle perdite sia quello di tutela dei depositi. La prima forma di banca islamica pura sorta in Europa è la Islamic Bank of Britain (IBB) che ha ottenuto nel 2004 l’autorizzazione all’esercizio dell’attività dopo che il processo di costituzione era già cominciato nel 2002 su iniziativa di un gruppo di investitori del Golfo Persico. Dopo l’esperienza della IBB, tra il 2006 e il 2008, sono sorte altre quattro banche islamiche: The European Islamic Investment Bank, The Bank of London and The Middle East, European Finance House e Gatehouse Bank. Oltre a queste cinque banche Sharia’ah Compliant, diverse banche internazionali hanno aperto nel Regno Unito delle islamic windows, tra queste HSBC Amanah, la Barclays, la BNP Paribas, La Citi Group, la Deutsche Bank e la UBS. Dando uno sguardo ai dati emerge però come le maggiori banche islamiche del Regno Unito, nonostante una crescita costante degli attivi, abbiano realizzato sempre risultati negativi negli ultimi anni. Tale evidenza può essere riscontrata osservando i grafici sottostanti tratti dal rapporto della MPS sulla finanza islamica, dove sono messi a confronto i valori degli attivi e i risultati prima delle rettifiche. 32 3.2.La situazione italiana Secondo uno studio effettuato nel 2010 dalla società di consulenza Deloitte, il numero di mussulmani in Italia è di circa 1,3 milioni, valore destinato a raddoppiare entro il 2050. Sempre secondo questo studio, la raccolta potenziale da clienti mussulmani potrebbe raggiungere 4500 milioni di euro nel 2015, con ricavi potenziali superiori a 170 milioni. Nonostante questo, allo stato attuale delle cose, il fenomeno della finanza islamica è completamente assente in Italia tranne qualche eccezione in campo assicurativo e in quello dell’investment banking. Nel 2007 era stato addirittura siglato un memorandum d’intenti tra l’ABI e l’Unione delle Banche Arabe che avrebbe dovuto portare entro il 2008 alla nascita della prima banca islamica in Italia, tuttavia, gli sviluppi successivi dell’accordo hanno subito una frenata, complice probabilmente la crisi finanziaria. Il mancato decollo della finanza islamica in Italia può essere attribuito a problematiche e limiti riscontrabili sia dal lato della domanda sia dal lato dell’offerta. Per quanto riguarda il primo aspetto, la scarsa richiesta di prodotti conformi al Corano è dovuta al fatto che i migranti musulmani in Italia sono ancora alla prima, massimo seconda generazione, e quindi manifestano un interesse orientato maggiormente verso le rimesse o i sistemi di pagamento piuttosto che sull’investimento dei loro risparmi. 33 Dal lato dell’offerta invece, le principali criticità da risolvere sono di natura legislativa e regolamentare: due degli ostacoli maggiori sono infatti dettati dal TUB e si riferiscono il primo alla garanzia dei depositanti che mal si concilia con il principio della condivisione dei profitti e delle perdite e il secondo alla separazione tra banca e impresa e i relativi vincoli partecipativi. In riferimento al primo aspetto una possibile soluzione potrebbe essere quella già adottata nel Regno Unito dove la banca in caso di perdita è obbligata ad offrire al depositante un rendimento che questi è libero o meno di accettare: in questo modo viene rispettata la disciplina sull’attività bancaria e il cliente della banca islamica è tutelato. Considerando invece il secondo aspetto, ovvero la separazione tra banca e impresa, lo schema partecipativo di alcune operazioni islamiche è assimilabile al contratto di associazione in partecipazione disciplinato dall’art. 2549 del codice civile, la cui applicazione potrebbe però generare dei problemi in merito al delicato tema dei rapporti tra banca e soggetti non finanziari: ovvero la possibile ingerenza nella gestione della banca da parte di soggetti non finanziari e il rischio che, attraverso la partecipazione agli utili, si determini un’influenza dominante sempre da parte di soggetti non finanziari. Sul primo punto la Banca d’Italia si è espressa dicendo che l’associazione in partecipazione non comporta una gestione in comune di un’attività ma solamente una ripartizione dei risultati economici ottenuti, pertanto agli associati non è riconosciuto alcun potere decisionale o gestionale. Per quanto attiene invece il rischio di violazione del principio di separazione tra banca e impresa, la Banca d’Italia obbliga le associazioni a sottoporre preventivamente all’autorità di vigilanza gli accordi di associazione in partecipazione. Ancora, ulteriore criticità è quella inerente al ruolo dello Sharia’ah Board, al quale non possono essere riconosciuti ruoli di controllo o di gestione: infatti il comitato non riveste alcun potere o ruolo esecutivo vista l’impossibile ingerenza nella gestione quotidiana o nelle decisioni prese dal management. Infine, altro elemento di contrasto potrebbe essere di natura fiscale: la doppia imposta di registro sulle transazioni immobiliari e la non deducibilità fiscale degli oneri finanziari nei contratti ijarah. Molti negozi islamici prevedono un duplice passaggio di proprietà tra la banca e il cliente che ai fini impositivi sono momenti passibili di tassazione (Porzio, 2010); discorso questo di non poco conto se si considera la sua applicazione diretta in una operazione che potrebbe avere grande importanza per la popolazione mussulmana residente in Italia: il mutuo immobiliare. L’operazione potrebbe nello specifico essere strutturata nella forma murabahah, prevedendo dunque il pagamento dell’imposta di registro, imposta che poi verrebbe nuovamente richiesta al momento del passaggio di proprietà dalla banca al cliente. 34 Dopo aver elencato i vincoli che andrebbero superati al fine di favorire lo sviluppo della finanza islamica sul nostro territorio, possiamo vedere, con l’aiuto dello schema sottostante, quali potrebbero essere i meccanismi di inserimento di questa tipologia di finanza nel mercato bancario italiano Figura 9. Prospettive di sviluppo della finanza islamica in Italia Fonte: Porzio (2009) La variabile indipendente nella tabella è rappresentata dalla nazionalità della banca; distinguiamo dunque tra iniziative italiane ed iniziative di origine europea, considerando le possibilità connesse al mercato unico dei servizi finanziari sia in termini di libertà di stabilimento di filiali sia di libera prestazione dei servizi. 35 La variabile dipendente è invece è il grado di coerenza con la religione islamica: minore per le cosiddette islamic windows, in quanto nate da un soggetto economico occidentale, maggiore invece nei progetti di banca concepiti in ottica islamica. Nel primo quadrante si possono collocare le banche islamiche italiane che, pur non esistendo al momento, comunque era stato trovato un accordo nel 2007 tra ABI e l’Unione delle Banche Arabe per favorirne la creazione. Nel secondo quadrante possono essere inserite tutte le islamic windows di banche italiane che in base all’esperienza maturata in altri contesti (UBAE ed Unicredit) o al segmento di mercato di riferimento (Banca Etica e Banca Sella) si avvicinano maggiormente ad una offerta di prodotti islamici. Nel terzo riquadro, vengono collocate le islamic windows di alcune importanti banche europee (HBSC Amanah, BNP Paribas) che, avendo compreso la potenzialità rappresentata dal segmento islamico, hanno deciso di ampliare la loro offerta fino a comprendere servizi full islamic. Infine, nel quarto ed ultimo quadrante, sono inserite le banche islamiche europee che, in base alla normativa comunitaria, possono offrire servizi finanziari in tutti i paesi della comunità europea grazie all’autorizzazione ricevuta nel loro paese d’origine dalle rispettive autorità di controllo. 36 CAPITOLO IV: LE OBBLIGAZIONI ISLAMICHE: I SUKUK 4.1. Caratteristiche tecniche e principi di funzionamento I sukuk rappresentano sicuramente il prodotto principale dell’industria finanziaria islamica, quello che più di tutti ha contribuito allo sviluppo del mercato dei capitali islamici. Il termine è il plurale della parola araba “sakk” che significa “certificato” e rimanda al concetto di cheque (assegno). I sukuk nascono negli anni ’90 del secolo scorso come risposta alle esigenze manifestate dalle banche islamiche e degli investitori, nella ricerca di uno strumento compliant che permettesse, da un lato, di gestire la liquidità e, dall’altro, di investire i risparmi in modo conforme con le leggi religiose (Miglietta, 2012). Anche se comunemente definiti “bond islamici”, tale accostamento risulta essere nella realtà poco corretto per alcuni elementi fondamentali che distinguono i sukuk dai bond tradizionali: essi infatti rispondono alla stessa esigenza economica (finanziamento) ma presentano alcuni importanti differenze. Per prima cosa, mentre i bond sono concepiti fondamentalmente come mezzo per recuperare liquidità, ma poi l’impiego di tale liquidità non è conosciuto e non è nemmeno oggetto della sottoscrizione, i sukuk vengono emessi con lo scopo di realizzare attività reali di cui i sottoscrittori sono proprietari per una quota-parte, il fine è dunque determinato, tangibile e connesso con l’economia reale. Nei sukuk infatti accanto al contratto di emissione vi è anche un contratto di gestione/amministrazione attraverso il quale si procede alla nomina del project manager che provvede alla gestione dei beni sottostanti l'emissione sulla base delle indicazioni fornite dagli investitori. Secondariamente, altra distinzione che rileva è il tipo di diritto che i differenti strumenti danno ai loro possessori; il possessore di un bond è titolare di un diritto finanziario a ricevere un pagamento, il possessore di sukuk vanta un diritto di proprietà su una porzione del bene sottostante l’emissione. Conseguentemente il pagamento della cedola del bond sarà indipendente dai risultati degli asset sottostanti, invece la remunerazione dei sukuk sarà fortemente influenzata da tali risultati. 37 Infine, le due “obbligazioni” differiscono anche quanto a modalità di formazione del prezzo: per i bond esso è funzione del tasso d’interesse del mercato, del tasso d’interesse pagato dall’emittente sotto forma di cedola, del rischio e della scadenza, per i sukuk è funzione del ritorno atteso del progetto finanziato. Pur esistendo diverse tipologie di sukuk, è comunque possibile individuare una struttura predefinita che si applica a tutte le varianti e che prevede l'interazione tra il cedente, il cessionario (Special Purpose Vehicle-SPV)5 e i sottoscrittori dei sukuk. I passaggi fondamentali sono i seguenti: 1. il cedente trasferisce i beni alla società veicolo appositamente creata, la quale procede a sua volta con l'emissione dei certificati e con i proventi ricavati procede acquista i beni ad un prezzo predeterminato. 2. I beni escono dal bilancio del cedente e compaiono tra le attività del veicolo il quale contemporaneamente iscrive i certificati tra le passività ad un valore nominale pari al prezzo sostenuto per l'acquisto dei beni. Tali certificati sono di pari valore e rappresentano un diritto di proprietà pro-quota sui beni oggetto della transazione. 3. Il veicolo vende oppure affitta i beni o al cedente od una società ad esso collegata. Il cedente, o la società a lui collegata appunto, prende in carico i beni, li gestisce e provvede al pagamento di un canone di affitto allo SPV (questo nell'ijaarah sukuk). Il veicolo utilizza i canoni incassati per pagare un rendimento periodico ai sottoscrittori di sukuk. Il pagamento di tali canoni può essere garantito da una società esterna che agisce nel ruolo di credit enhancer. Va tuttavia ricordato che tali pagamenti non sono garantiti dal momento che i sukuk holders partecipano anche in termini di rischio alla gestione dell'operazione e quindi sono soggetti all'eventuale rischio di mancato pagamento. 4. A scadenza avviene il rimborso dei certificati: il veicolo vende nuovamente i beni al cedente il quale li riacquista ad un prezzo predefinito tale da permettere il rimborso dei certificati al loro valore nominale (non sono quindi previste perdite in conto capitale). 5 Società che nasce con lo scopo specifico di acquistare gli asset dell'emittente a fronte dei quali poi provvederà all'emissione dei certificati. Solitamente è dotato di propria soggettività giuridica ed è domiciliato in paesi aventi regime fiscale favorevole. 38 4.2. Le principali tipologie di sukuk presenti sul mercato Ad oggi, le tipologie riconosciute dall'AAOIFI sono quattordici, anche se per le emissioni vengono utilizzate quasi sempre le stesse tipologie. Infatti secondo una ricerca di Standard&Poor's (2010) tre tipologie di sukuk, ijarah sukuk, murabahah sukuk e musharakah sukuk, hanno rappresentato quasi il 90% di tutte le emissioni del 2009 (Cioli, 2014). Nei paragrafi successivi verranno esaminate le caratteristiche strutturali delle principali tipologie di sukuk che risultano anche le più usate. 4.2.1 Ijarah Sukuk Si tratta dei sukuk più popolari e diffusi al mondo, popolarità che probabilmente deriva sia dalla struttura semplice sia dal consenso che trovano presso gli Sharia'ah Board. Questa forma prevede che il cedente, dopo aver ceduto il bene o i beni ai cessionari li riprende in leasing. I canoni di leasing corrisposti successivamente costituiscono la remunerazione che la società veicolo destina ai possessori dei certificati. Al termine del contratto il cessionario riacquista il bene ad un prezzo tale da permettere al veicolo di ripagare il valore nominale dei certificati. Accanto al sukuk ijarah si sono formate diverse strutture ibride che garantiscono ancora maggior flessibilità: è il caso dei contratti in cui il bene destinato alla locazione risulti ancora in fase di costruzione e quindi parallelamente al contratto ijarah si sviluppa un istisna. Lo schema di un ijarah sukuk può essere meglio compreso attraverso la figura 10. La prima operazione della strutturazione del sukuk (fasi 1-2 nella figura) individua la vendita dei certificati in cambio di denaro, operazione questa che permette al veicolo emittente di impiegare i proventi derivanti dall'emissione per acquistare dal cedente i beni (fasi 3-4). A questo punto viene stipulato tra l'emittente e il cedente il contratto di locazione (ijarah) attraverso il quale l'emittente cede in leasing il bene all'originator (fase 5)6, il quale a fronte dell'uso versa i canoni di locazione (fase 6). 6 Il tutto avviene sulla base dei sale and purchase agreement che si riferiscono, da un lato, all’accordo di acquisto dei beni da parte del fiduciario con il conseguente diritto a ricevere i flussi di pagamento, dall’altro, all’accordo di vendita che attribuisce al cedente il titolo per ottenere i fondi a fronte della vendita 39 Tali canoni costituiscono la remunerazione versata dalla società veicolo ai sottoscrittori dei sukuk per tutta la durata del contratto di locazione, coincidente con la durata dei certificati (fase 7). Il valore di tali canoni periodici può essere sia definito in maniera fissa che ancorato ad un benchmark monetario di riferimento, per esempio il Libor. Giunti a scadenza del contratto il cedente, in veste di obbligato, riacquista il bene (fase 8)7 pagando un prezzo di esercizio precedentemente stabilito (fase 9). Il veicolo una volta ricevuto il pagamento al prezzo d'esercizio provvede a rimborsare gli investitori (fase 10). Parallelamente al contratto, il cedente assume il ruolo di agente in quanto svolge tutta una serie di attività a servizio dell'emissione come ad esempio la stipula di contratti di manutenzione, di assicurazione sui beni o di pagamento delle imposte (fase 11). Tali servizi, per natura costosi, vengono addebitati all'utilizzatore il quale dovrà effettuare dei pagamenti addizionali (canoni supplementari). Ma essendo coincidenti le figure di agente e di utilizzatore i costi per tali servizi vengono compensati con i canoni supplementari (fase 12); in altri termini, l'agente dovrebbe da un lato pagare i costi per i servizi svolti (in qualità di locatario quindi utilizzatore del bene), e dall'altro ricevere i pagamenti (in qualità di agente) per l'attività svolta: i costi e i ricavi vengono dunque compensati. 7 Il riacquisto avviene sulla base del purchase undertaking: con questo contratto il cedente garantisce che riacquisterà a scadenza i beni permettendo così al veicolo di liquidare il valore nominale dei certificati. 40 Figura 10. Struttura e parti coinvolte di un ijarah sukuk Fonte: Miglietta (2012) 41 4.2.2. Musharakah Sukuk La musharakah può essere definitiva come una società nella quale due o più persone possono accordarsi per mettere in comune capitale e lavoro al fine di dividersi i profitti o le perdite generate dal contratto stesso. Viene dunque creata una struttura ad hoc per gestire la comproprietà e amministrarne i profitti ed è essa stessa che provvede anche all’emissione dei sukuk sul mercato. Gli utili vengono condivisi tra l’originator e lo SPV in base ad una percentuale prefissata, mentre la partecipazione alle perdite avviene in funzione della quota di capitale versato. Nei secoli la dottrina si è concentrata sulla struttura della società islamica (shirkah) ed ha definito una divisione tra la società derivante dal possesso congiunto di un bene e la società commerciale in senso stretto. Nello specifico si ha: o Shirkat-ul-milk: indica la proprietà congiunta di un bene: essa può derivare da un accordo tra le parti che decidono di acquistare congiuntamente un bene oppure può indicare una situazione in cui la proprietà congiunta non dipende dalle scelte delle parti, ad esempio nel caso di una eredità indivisa o Shirkat-ul-‘aqd: indica una impresa commerciale posseduta da più soci: il cedente ed il fiduciario si accordano e mettono in comune i loro sforzi e le risorse, sotto forma di denaro o in altra forma, per il raggiungimento di un obiettivo in comune. Nella figura 11 viene esemplificata la struttura di un sukuk al-musharakah con la formula della shirkat-ul-‘aqd ovvero la comproprietà di un’impresa commerciale. La prima operazione consiste nell’emissione dei sukuk a fronte dei quali l’emittente SPV riceve il denaro dai sottoscrittore dei certificati (fasi 1-2). I proventi dell’emissione vengono impiegati per finanziare la società ottenendo in cambio quote della società stessa in proporzione alla partecipazione al capitale (fase 3). Allo stesso modo anche l’originator, in veste di socio, attraverso un conferimento in denaro o in natura contribuisce alla società ricevendo anch’esso quote della società (fase 4). Giunti a questo punto la società musharakah è formata ed è proprietà congiunta dei sottoscrittori dei sukuk (tramite l’SPV) e dell’originator. Alle date definite per il pagamento, i profitti vengono ripartiti secondo la percentuale definita alla stipula del contratto mentre le eventuali perdite vengono distribuite in base alla quota di capitale 42 versato (fasi 5-6) 8 , ed i profitti ottenuti vengono impiegati dall’emittente per remunerare i sottoscrittori dei sukuk (fase 7). Questi pagamenti avvengono sotto forma di acconto di quanto poi verrà effettivamente corrisposto allo scioglimento della società e sono dunque soggetti ad aggiustamenti qualora non corrispondessero con l’effettivo guadagno. Giunti a scadenza, l’emittente venderà all’originator, in veste di obbligato, le sue quote nella società e l’originator le acquisterà al valore di mercato dei beni al momento della vendita (fase8-9)9. A differenza dello ijarah sukuk, non è detto che tale prezzo (prezzo di esercizio) sia pari al valore nominale dei certificati emessi.. Il prezzo di esercizio permette al fiduciario di pagare il dissolution amount (importo finale) ai possessori di sukuk (fase 10). Parallelamente al contratto, l’originator opera come managing agent occupandosi della gestione della società: esso riceve a fronte dell’impegno esercitato delle commissioni di incentivo, anche queste sotto forma di acconto (fasi 11-12). Inizialmente il prezzo di esercizio era fissato pari al valore nominale dei certificati, in questo modo il capitale dei sottoscrittori risultava garantito, ma nel 2008 l’AAOIFI ha dichiarato questo tipo di impostazione non conforme alla Sharia’ah: non era ritenuto lecito infatti assicurare a priori il valore dei beni e il principio della condivisione dei profitti e delle perdite doveva essere rispettato anche a scadenza e non solo durante la vita dei certificati. Per ovviare al rischio che si verifichi, sulla base di quanto detto, una minusvalenza al momento della vendita è possibile ricorrere a soluzioni esterne per gestire il rischio liquidità oppure costituire un apposito fondo di riserva che permetta di colmare l’eventuale minusvalenza creatasi. 8 La società è validamente creata solo se le percentuali di ripartizione dei profitti tra i soci sono conosciute alla data della stipulazione del contratto. 9 Sulla base del purchase undertaking l’originator si impegna a riacquistare le quote al prezzo di mercato equo. 43 Figura 11. Stuttura e parti coinvolte di un sukuk musharakah Fonte: Miglietta (2012) 44 4.2.3. I sukuk al-mudarabah Il mudarabah può essere inteso come una società in accomandita mista di capitale e lavoro nella quale le parti coinvolte sono il finanziatore (rabb-ul-mal) che finanzia l’impresa ma non interviene nella sua gestione ed un imprenditore/agente (il mudarib) al quale invece spetta la gestione dell’affare. I due soggetti condividono secondo percentuali predefinite i profitti mentre il solo capitalista (rabbul-mal) risponde delle eventuali perdite. Così come i certificati musharakah, anche quelli mudarabah sono stati oggetto dell’importante intervento dell’AAOIFI nel 2008: il prezzo finale, quindi, anche in questo caso non può coincidere con il valore nominale dell’emissione. Precedentemente, oltre alla garanzia del capitale versato, ai sottoscrittori venivano promessi rendimenti predeterminati; veniva fissato un tasso di riferimento massimo e qualsiasi risultato che risultasse superiore a tale tasso veniva destinato ad una specifica riserva cui attingere in caso di perdite per garantire comunque un risultato, ed in caso di mancati guadagni i rendimenti venivano comunque garantiti attraverso il ricorso all’indebitamento. Pertanto le decisioni prese dall’AAOIFI nel 2008 oltre a riguardare il prezzo di esercizio, si sono concentrate anche e soprattutto su questa pratica, che risultava chiaramente non in linea con i dettami della Sharia’ah. Nella figura 12 sono schematizzati i vari passaggi che concorrono a formare un certificato mudarabah. Nelle fasi 1-2 il veicolo incassa i proventi derivanti dall’emissione e dalla vendita dei sukuk agli investitori per poi stipulare il contratto di mudarabah con l’originator: il veicolo, in veste di rabb-ulmal, contribuisce con il denaro (fase 3) mentre l’originator, in veste di mudarib, contribuirà alla mudarabah attraverso l’attività d’impresa e la sua gestione (fase 4): si crea così la società mista di capitale e lavoro (fase 5). Nel momento in cui la società appena formatasi comincia ad operare, i profitti eventualmente realizzati vengono divisi tra il veicolo e il gestore (fase 6), quest’ultimo ha diritto anche ad una commissione di performance qualora i profitti dovessero superare un predefinito livello (fase 7): anche in questa forma contrattuale tali profitti sono distribuiti in acconto e quindi soggetti a conguaglio allo scioglimento della società. 45 Il veicolo, dopo aver a sua volta ricevuto i profitti della società (fase 8), provvede a distribuirli ai sottoscrittori dei sukuk (fase 9). Allo scioglimento della società, l’originator sulla base della promessa d’acquisto (purchase undertaking) acquista dal veicolo i beni oggetto del contratto al loro valore attuale di mercato, il veicolo a sua volta restituirà il valore dei certificati ai possessori: è importante ricordare che il purchase undertaking non può prevedere un rimborso pari al valore nominale dei certificati perché, come si è detto precedentemente, l’AAOIFI non ammette forme di garanzia sul capitale. Figura 12. Struttura e parti coinvolte di un sukuk mudarabah Fonte: Miglietta (2012) 46 4.3. Le altre forme di sukuk riconosciute dall’AAOIFI Dopo aver trattato le principali tipologie di sukuk per utilizzo e per numero di emissioni, verranno descritte di seguito anche le altre strutture di sukuk riconosciute dall’AAOIFI per poi concludere con un breve commento anche sulle forme più “innovative” di tali strumenti presenti sul mercato. 4.3.1. I sukuk al-murabahah: Il murabahah è un contratto molto utilizzato nella finanza islamica e si configura come una vendita basata sul principio del cost-plus. Di base tale contratto consiste nell’acquisto da parte della banca di un bene per il proprio cliente, bene che verrà poi rivenduto aggiungendo una maggiorazione. Questo schema trova forte applicazione anche nella strutturazione dei sukuk poiché può essere applicato in quelle emissioni in cui non esiste un bene che possieda le caratteristiche tali da poter essere impiegato come sottostante. Nella figura 13 vengono riportate le fasi di una emissione basata sul murabahah. Le prime fasi (1 e 2) sono analoghe a quelle già viste nei casi precedenti, con il veicolo che emette i certificati e gli investitori che trasferiscono i fondi al veicolo. Successivamente il veicolo provvede ad acquistare per il cliente il bene dal fornitore pagando il prezzo di costo e ricevendo subito in cambio il bene (fasi 3-4). Giunti a questo punto si sviluppa il contratto di murabahah sulla base del quale il bene e la sua proprietà vengono trasferiti all’originator (fase 5), e quest’ultimo si impegna a pagare il bene a rate ad un prezzo che è pari al costo maggiorato della quota di profitto spettante all’emittente (fase6). Il murabahah si conclude con la distribuzione ai possessori dei certificati delle quote rateizzate e comprensive del profitto (fase 7). Il limite principale di questo contratto, causa della sua scarsa applicazione nell’ambito delle emissioni sukuk, è legato alla sua non immediata trasferibilità e negoziabilità. L’impossibilità di trasferire e negoziare il certificato rappresenta un problema rilevante, per questo motivo alcuni giurisperiti si sono adoperati nel tempo per cercare una possibile soluzione. 47 Tale soluzione si fonda su un concetto legato al tempo: poiché il divieto di trasferibilità e negoziabilità è legato al fatto che il certificato incorpora un debito, per rendere la procedura lecita diviene sufficiente emettere tali certificati prima che la proprietà sia trasferita dal finanziatore al cliente. Figura 23. Struttura e parti coinvolte di un sukuk murabahah Fonte: Miglietta (2012) 48 4.3.2. I sukuk al-istisna’: In questo modello, i capitali raccolti presso gli investitori permettono di finanziare un bene in costruzione o in produzione, tuttavia nonostante possa sembrare ideale per lo sviluppo di grandi opere, impianti ed infrastrutture non ha accolto un grande successo non solo per la sua complessità ma anche e soprattutto per il fatto che non è negoziabile fintantoché il bene non risulti terminato. Nella pratica accade spesso che al contratto di istisna venga associato un contratto ijarah, questo per permettere che il bene generi profitti anche prima della sua realizzazione. Il locatario paga gli affitti che vengono versati per remunerare i possessori dei sukuk fino alla consegna del bene, giunti a questa data, la locazione può continuare oppure si procede alla vendita del bene e il ricavato ancora una volta viene versato per remunerare i sottoscrittori. Figura 13. Struttura e parti coinvolte di un sukuk istisna’ Fonte: elaborazione su dati Porzio (2009) 4.3.3. I sukuk al-salam: L’operazione salam comporta una consegna differita a fronte di un pagamento immediato: il venditore accetta di fornire all’acquirente alcuni beni che verranno consegnati ad una data futura, questo previo pagamento di una somma che avviene contestualmente alla stipulazione del contratto. L’emissione è conforme alla Sharia'ah solamente se i beni sono standardizzati, di facile individuazione sia nella qualità che nella quantità, se la data e il luogo di consegna sono chiaramente specificati e, come già detto, se il prezzo viene pagato alla stipula del contratto. 49 L’emittente, attraverso le somme riscosse con l’emissione dei sukuk, finanzia l’originator acquistando da questo un bene o un pool di beni che verranno consegnati gradualmente nel tempo, a scadenze predefinite. Mano a mano che i beni vengono consegnati, essi vengono rivenduti allo stesso originator che li paga subito permettendo così al veicolo di ripagare attraverso flussi periodici i possessori dei certificati. Giunti a termine del contratto, l'originator consegna i beni rimanenti all'emittente, ad un valore pari al valore nominale dell'emissione; il veicolo li rivende all'originator e con la restituzione del valore nominale ai sottoscrittori il contratto sarà concluso. Alla luce di quanto detto si può intuire il duplice ruolo svolto dall'originator: esso assume l'obbligo di consegnare a scadenza i beni al veicolo e contemporaneamente si impegna a riacquistarli. Per citare un esempio, questa forma contrattuale è stata utilizzata con successo dalla Banca Centrale del Bahrain per finanziare l'acquisto dell'alluminio: il governo vende a termine l'alluminio ai sottoscrittori di sukuk previo pagamento dell'intero prezzo d'acquisto, e dopo lo consegna lo aiuta a collocarlo sul mercato (ad un prezzo solitamente maggiore rispetto al costo d'acquisto) attraverso le sue reti distributive. Figura 14. Struttura e parti coinvolte di un sukuk salam Fonte: elaborazione su dati Porzio (2009) 50 4.3.4. I certificati sull'agricoltura: I certificati legati al settore agricolo sono emessi nella forma di Muzara'a (sulla mezzadria), Musaqua (sulla irrigazione) e Mugarasa (sulla semina/agricoltura). Nel primo l'originator possiede un terreno o il suo diritto di usufrutto mentre i sottoscrittori sono contadini interessati a sfruttare il terreno attraverso la mezzadria; nello specifico i proventi dell'emissione rappresenterebbero i costi della mezzadria mentre i flussi periodici corrisposti ai mezzadri stessi sarebbero nella forma di divisione del raccolto ottenuto. Il secondo contratto ha per oggetto l'irrigazione degli alberi da frutto e la loro cura: anche qui la remunerazione dei sottoscrittori sarà rappresentata dalla raccolta dei frutti. Infine, il terzo ed ultimo contratto, si riferisce alla semina e al successivo mantenimento degli alberi da frutta: ancora una volta i frutti ottenuti rappresentano i flussi spettanti ai sottoscrittori dei certificati. 4.3.5. Le forme innovative di sukuk: Il mercato dei sukuk è per natura un mercato ad intensa attività innovativa. Questa continua innovazione è certamente favorita dall'esistenza di diverse forme contrattuali che possono essere alternativamente combinate tra di loro creando così certificati più o meno complessi con lo scopo di rispondere ad una pluralità di esigenze espresse dai soggetti che operano sul mercato dei capitali islamico. Tra le forme innovative di maggiore importanza rientrano sicuramente i sukuk al-istithmar e i sukuk convertibili. La prima tipologia, pensata soprattutto per le istituzioni finanziarie, permette di cartolarizzare i crediti in bilancio; va ricordato che tale operazione può essere compiuta una sola volta, al fine di garantire la tracciabilità. Con i sukuk al-istithmar la banca islamica può riunire tutti i suoi crediti derivanti da varie operazioni quali ijarah, istisna e murabahah e rivenderli al veicolo in modo tale che costituiscano il sottostante dei certificati venduti agli investitori. Nella pratica, oggetto di cartolarizzazione possono essere anche beni, oltre che crediti, è per questo che tale forma di sukuk rientra nella categoria dei certificati ibridi. 51 Il pool di beni e di contratti viene investito e i proventi ottenuti permettono al veicolo, tramite i pagamenti periodici versati dall'originator, di corrispondere un rendimento ai sottoscrittori. Se la struttura dell'emissione prevede che i contratti non negoziabili costituiscano solo una parte dell'emissione, il relativo certificato può essere trasferito e negoziato. L'altra tipologia di struttura innovativa è quella dei sukuk convertibili che, come le tradizionali obbligazioni convertibili, prevedono la possibilità di convertire il certificato in titoli azionari dell'emittente e di una terza parte. Il prezzo di conversione è variabile in funzione del prezzo dei titoli dell'emittente, ciò che invece è fissa è il metodo matematico di convertibilità. 4.4. Profili di rischio, rendimento e valutazione dei sukuk e confronto con le obbligazioni tradizionali 4.4.1. Le principali forme di rischio: I possessori di sukuk, non solo sono soggetti agli stessi principali rischi ai quali sono esposti i possessori di obbligazioni convenzionali – rischio di controparte, di reinvestimento e di liquidità -, ma in più, devono tenere conto di rischi specifici. (Jouaber-Snoussi, 2013). Questi strumenti infatti non si caratterizzano soltanto per l’assenza di un tasso di interesse e per la presenza di un attivo sottostante cui legare la perfomance, ma presentano una struttura complessa fonte di criticità peculiari. Visto il legame esistente tra il pagamento dei flussi di cassa, l’affidabilità creditizia del veicolo emittente il sukuk e la vita economica dei beni costituenti l’asset, sarebbe riduttivo associare il rischio dell’emissione solo ed unicamente al rischio di credito, senza considerare le variabili aggiuntive. • Il rischio di mispricing: Questa tipologia di rischio è fortemente legata alla strutturazione dei sukuk, nel caso per esempio di ijarah sukuk il rischio di mispricing deriva dalla difficoltà di prezzare le clausole di callability spesso presenti in questa tipologia contrattuale, che danno diritto al veicolo emittente di concludere il contratto prima della scadenza qualora si verifichino determinate condizioni. 52 Essendo il pagamento delle cedole strettamente connesso all’usufrutto del bene, i sottoscrittori dei sukuk non sono esposti solo al comune rischio di credito, ma ad un ulteriore elemento di rischio legato alla natura reale del bene che produce i canoni di leasing. Nel caso per esempio di dissolution event causata dalla distruzione del bene, il veicolo ha la possibilità, esercitando una clausola di callability, di interrompere il pagamento dei canoni leasing.10 La difficoltà nel prezzare tale opzione deriva dal fatto che essa non attiene ad un rischio standard di mercato o di credito bensì a rischi operativi molto più difficili da prevedere oltre che stimare; a parità di rischio di credito dunque il valore di un certificato varia in funzione della sua diversa modalità di strutturazione. Il rischio di mispricing non è però legato solamente alla presenza o meno di queste opzioni ma anche al rispetto della Sharia’ah: caso tipico si verifica quando la conformità di un sukuk già emesso viene criticata da uno o più Sharia’ah board per questioni operative successive all’emissione. • Il rishio legale: Tale forma di rischio è connesso alla presenza delle strutture societarie indispensabili per la strutturazione dei prodotti islamici: nel caso dei sukuk coincidenti con le Special Purpose Vehicle. Il rischio legale associato a queste figure deriva dal fatto che tali società soprattutto nel passato erano viste come un mezzo finalizzato a sviare le stringenti regole in materia di riciclaggio di denaro sporco e sul finanziamento del terrorismo oltre che una modalità di arbitraggio regolamentare finalizzata all’elusione fiscale: “pregiudizio” questo dettato probabilmente dal fatto che tali veicoli spesso risultavano domiciliati in paesi con regimi fiscali favorevoli. Negli ultimi anni tuttavia il ricorso a questi paradisi fiscali è notevolmente diminuito grazie allo sviluppo del mercato dei sukuk nel suo complesso e ancor di più grazie alla creazione di specifici mercati regolamentati che hanno permesso la quotazione e lo scambio di questi strumenti. È il caso per esempio del Dubai International Financial Centre (DIFC), centro finanziario regolamentato secondo le leggi inglesi del Common Law all’interno del quale è possibile registrare i veicoli necessari all’emissione dei certificati senza ricorrere come in passato ai sopracitati paradisi fiscali. 10 È il caso del default della East Cameron Company, per esempio, dove il default non è stato causato da una cattiva gestione aziendale bensì da un uragano che ha distrutto una parte consistente delle installazioni adibite all’estrazione di gas. 53 Un altro aspetto legale fonte di problematiche è quello legato all’enforcement dei diritti dei possessori di sukuk nel caso per esempio di default, ma per capire meglio questa criticità è bene prima introdurre la distinzione tra certificati asset backed e asset based. Come già accennato, le diverse modalità di emissione sono fondamentali al fine di comprendere eventuali diritti/facoltà spettanti alle parti del contratto: questo vale anche nel caso di default o ristrutturazione delle società emittenti per individuare i diritti spettanti ai possessori dei certificati. Nei sukuk asset backed il cedente trasferisce la proprietà dei beni al veicolo: questo identifica quella che in termini tecnici viene definita una true sale (vendita effettiva), testimoniata dall’uscita del bene dallo stato patrimoniale del cedente. Situazione che invece non si verifica nei sukuk asset based dove infatti non si trasferisce l’effettiva proprietà ma solamente il beneficial interest, ovvero un interesse sui beni che è a tutti gli effetti diverso dalla effettiva proprietà. Queste diverse configurazioni comportano conseguenze differenti in termini di diritti dei possessori dei certificati in caso di default. Nei primi infatti, il veicolo possiede a tutti gli effetti i beni oggetto della transazione e questo implica la possibilità in capo ai sottoscrittori di rivalersi dapprima sui flussi di cassa proveniente dai beni ed eventualmente sui beni stessi, qualora i flussi di cassa risultassero insufficienti; nei sukuk asset based invece, non essendo il veicolo proprietario dei beni per conto dei titolari dei certificati, questi ultimi possono rivalersi solo sul cedente, al pari degli altri creditori. È importante dunque distinguere il beneficial interest da un trasferimento di proprietà vero e proprio: nel primo caso l’investitore sarà trattato come creditore, al pari di un obbligazionista, mentre nel secondo caso l’investitore assumerà la veste di socio/proprietario, con i conseguenti diritti legati associati. Nella pratica, le maggiori emissioni di sukuk sono di tipo asset-based, nonostante la Sharia’ah veda con maggior favore i sukuk asset backed perché più fedeli al principio islamico della condivisione di profitti e perdite. La prevalenza di emissioni di tipo asset-based non sembrerebbe riconducibile ad una specifica preferenza da parte di emittenti e investitori, bensì alla effettiva impossibilità di alcuni paesi islamici di trasferire la proprietà dal cedente agli emittenti, specialmente se questi ultimi sono appartenenti a giurisdizioni estere. È il caso per esempio di paesi come l’Arabia Saudita o il Kuwait dove non esiste ancora la possibilità di creare gli SPV, che sono dunque costretti a registrarsi in paesi esteri con conseguente difficoltà di vendita degli asset poiché in molti paesi arabi la vendita a società straniere è fortemente regolamentata. 54 In aggiunta si potrebbe presentare anche un problema di contrasto tra le leggi dei paesi dove i sukuk sono quotati e quelle dei paesi dove sono presenti i beni rappresentanti l’asset dell’operazione. • Il rischio di non conformità e rischio reputazionale: Tutti i prodotti finanziari islamici, sukuk compresi, sono soggetti al rischio di una possibile perdita di valore a seguito di mancata conformità ai principi della Shari’ah, con conseguenti effetti negativi in termini reputazionali per l’emittente. Nello specifico dunque il rischio di conformità si riferisce a tutte quelle situazioni in cui un prodotto finanziario, in questo caso i sukuk, inizialmente giudicato conforme ai dettami del diritto musulmano e quindi approvato dallo Shari’ah Board di riferimento, venga poi ritirato dal mercato a causa di mancata conformità su un differente mercato, oppure in tutti quei casi in cui il certificato è ritenuto conforme ma non negoziabile. Va infatti ricordato che anche se un sukuk è inizialmente giudicato conforme ed è quindi negoziabile, possono in seguito presentarsi delle situazioni tali da rendere il certificato: Conforme ma non negoziabile 11, oppure negoziabile sul mercato primario ma non su quello secondario; Conforme ma solo su alcuni mercati; Del tutto non conforme: ne deriva l’esclusione dai mercati con conseguenti problemi in termini di liquidità. Esemplificando, il sukuk da due miliardi di euro emesso nel 2011 da Goldman Sacks aveva inizialmente ottenuto il consenso da parte di alcuni importanti scholars salvo poi venir apertamente criticato da altri a causa della violazione della regola riferita alla negoziazione alla pari del debito. Ancora, i sukuk del tipo musharakah, inizialmente una delle forme più utilizzate se non addirittura la più utilizzata, hanno visto un netto calo nelle loro emissioni dopo le critiche mosse dall’AAOIFI riguardo ad alcuni aspetti legati alla promessa di acquisto. 11 Secondo alcuni Sharia’ah board, per esempio, la parte reale degli asset sottostanti ad una emissione deve essere al 33% del valore totale affinchè i certificati siano negoziabili, secondo altri invece, tale cifra deve essere almeno pari al 51%. 55 • Rischi di mercato: Queste forme di rischi sono inerenti ai diversi tipi di attivi sottostanti all’emissione ed entrano in gioco soprattutto quando a scadenza deve essere effettuata la liquidazione dei sottostanti oppure in caso di default di sukuk strutturati secondo la forma dell’asset backed. In questo caso, come già detto, ai possessori dei certificati viene riconosciuta la possibilità di rivalersi direttamente sui beni oggetto dell’operazione, essi dunque oltre alla difficoltà legata alla gestione della proprietà dei beni sarebbero soggetti anche al rischio di volatilità del prezzo. Nella categoria dei rischi di mercato rientrano tra gli altri il rischio rendimento e il rischio di cambio. Il primo attiene all’eventualità che il progetto finanziato o i beni sottostanti l’emissione non conseguano i risultati attesi; esso comprende inoltre il rischio di mancato pagamento della remunerazione nei tempi concordati e il rischio di mancato riscatto degli attivi sottostanti da parte del promotore, che per i possessori dei titoli implica rischio di mancato pagamento del valore dei sukuk alla scadenza. Il rischio di cambio è invece presente nel caso in cui gli attivi sottostanti ai sukuk e i sukuk stessi siano registrati con valute differenti. 4.4.2. Le problematiche relative alla misurazione del rendimento: La remunerazione dei possessori di sukuk abbiamo già visto essere funzione del rendimento dell'attivo sottostante e, in applicazione del principio della condivisione di profitti e perdite, raramente è fissa. Tuttavia, nel contesto islamico sono presenti tutta una serie di circostante che non permettono un pieno apprezzamento del rendimento di questi certificati; esse sono riconducibili fondamentalmente alla particolarità della struttura, ai diritti incorporati nei titoli, alla mancanza di investimenti comparabili e alla scarsa liquidità. Riassumendo: 1. I sukuk non sono confrontabili con le obbligazioni tradizionali vista la diversità delle strutture in termini di diritti/doveri degli investitori. I possessori di sukuk infatti acquistano pro quota la proprietà dei beni mentre i sottoscrittori delle obbligazioni sono titolari di un diritto di credito. 56 2. Quanto alla comparabilità, come visto, l'AAOIFI riconosce diverse tipologie di certificati, non tutti negoziabili. Le emissioni vengono dunque definite tailor-made, ovvero strutturate su specifiche richieste degli acquirenti, e risultano conseguentemente difficilmente comparabili tra loro. 3. Come visto nel paragrafo precedente, la particolare strutturazione dei sukuk comporta dei profili di rischio specifici diversi dal rischio di credito, rischi caratterizzati da una forte componente di incertezza e per questo difficilmente prezzabili e quindi non espressi nel giudizio di rating: il processo di rating, di cui si parlerà nel prossimo paragrafo, è infatti in grado di stimare solamente il rischio di credito. 4. Il problema della liquidità, che riguarda tutti gli strumenti di finanza islamica, è dovuto alla mancanza di domanda e offerta di tali strumenti sui mercati regolamentati: maggiore è infatti il differenziale bid-ask, maggiore sarà la difficoltà nel liquidare la propria posizione. 5. La finanza islamica è priva di benchmark monetari ai quali legare il rendimento dei certificati, per questo motivo ancora oggi molti certificati usano come parametro di riferimento il Libor: il tasso al quale le banche europee si prestano denaro tra loro. Nel novembre 2011 Thomson Reuters ha lanciato l' Islamic Interbank benchmark rate (IIBR) che viene definito sulla base del tasso di profitto che le sedici principali banche islamiche distribuirebbero su strumenti finanziari conformi per differenti scadenze contrattuali. Il processo costruttivo ricorda molto quello del Libor anche se, secondo il parere di alcuni, risulta meno affidabile poiché le banche interpellate al fine del calcolo dell'IIBR appartengono a paesi molto diversi tra loro, con differenti valute e con differenti livelli di sviluppo del settore bancario. Il grafico 2 evidenzia un confronto tra il Libor e l'IIBR su varie scadenze e dalla sua lettura emergerebbe come l'IIBR quoti a premio rispetto alla corrispondenti scadenze del Libor, aspetto questo che potrebbe segnalare una rischiosità maggiore delle strutture islamiche rispetto a quelle convenzionali, tuttavia i dati, poco significativi visto l'intervallo temporale ridotto, dovrebbero essere confermati. Grafico 2. Confronto tra il Libor e l’IIBR Fonte: Thomson Reuters, 2011 57 4.4.3. L’assegnazione dei rating ai sukuk: La necessità di confronto tra sukuk e bond convenzionali presuppone l’assegnazione ai certificati islamici di un rating confrontabile, ovvero espresso nei termini consueti da parte delle agenzie più note. D’altra parte però, come già chiarito, i sukuk presentano profili di rischio specifici che difficilmente possono essere prezzati; per questo motivo secondo alcuni esperti del settore il sistema del calcolo dei rating adottato dalle agenzie convenzionali non risulterebbe adatto nel caso dei titoli islamici. Le soluzioni profilate sono quindi di due tipi: o Assegnazione dei rating ai sukuk da parte di agenzie occidentali, con il conseguente rischio di modellizzazione dei rischi specifici compresi nei sukuk. o Sviluppo di alcune agenzie locali grazie all’intervento delle banche centrali, come la Malaysian Rating Corporation (MARC) Con riferimento al primo punto, le diverse società di rating occidentali considerano differenti aspetti al fine di determinare il rating dei sukuk. Secondo Standard&Poor’s per esempio, una parte molto importante del rating è basato sulla possibilità di rivendicare il proprio credito, ovvero sulla possibilità di effettivo enforcement. La stessa S&P ha dunque distinto in classi le possibili emissioni di sukuk: 1. Sukuk con meccanismo pieno di credit enhancement: si tratta di sukuk la cui struttura prevede l’esistenza di soggetti che offrono totale garanzia nel caso in cui l’emittente non fosse in grado di garantire totalmente o parzialmente i pagamenti. In questo caso il giudizio di rating dipende dall’affidabilità creditizia di chi garantisce il credito. 2. Sukuk non provvisti di meccanismo di credit enhancement: in questo caso il pool di beni sottostanti l’emissione rappresenta la base per i pagamenti. Il giudizio di rating sarà dunque espresso sulla base dei flussi reddituali attesi, ipotizzando diversi scenari futuri. 3. Sukuk con parziale meccanismo di credit enhancement: questo rappresenta un caso ibrido delle strutture viste nei due punti precedenti. Il giudizio di rating viene formulato considerando sia i flussi attesi dagli asset sia l’affidabilità della società garante in proporzione alla garanzia fornita. Il giudizio così espresso viene definito stability rating che considera, da un lato l’opinione corrente circa la stabilità dei flussi da distribuire ai 58 sottoscrittori e dall’altro, una prospettiva sul futuro. Il giudizio è compreso tra SR-1 (il migliore) e SR-7 (il peggiore). Un’altra importante società di rating occidentale come Moody’s, in sede di assegnazione del giudizio di rating, focalizza l’attenzione sulle condizioni economiche del paese nei quali i sukuk vengono emessi, calcolando una distribuzione di perdita sulla base degli scenari ipotizzati dagli analisti. Con riferimento, invece, alle società di rating islamiche, come la già citata Malaysian Rating Corporation, il processo attraverso il quale si giunge alla formulazione del giudizio di rating è similare a quello delle società occidentali con però una fondamentale differenza: il giudizio pre rating espresso dallo Sharia’ah Board interno alla società stessa. Diventa dunque possibile che un sukuk che abbia ottenuto un rating da una società occidentale, S&P’s per esempio, non riceva alcun rating da MARC: S&P’s infatti non comprende al suo interno nessun comitato di giurisperiti islamici, pertanto giudica conformi le emissioni che hanno ottenuto il consenso da parte di un qualsiasi Sharia’ah Board. 4.5. I sukuk e la gestione della liquidità La mancanza di liquidità di mercato è considerata come il freno principale allo sviluppo di un sistema finanziario integrato. Il principale problema per le banche nella gestione della liquidità è legato all’impossibilità sia di accedere al mercato interbancario, a causa del divieto di riba, sia di investire in titoli come per esempio i titoli di stato, a basso rischio di credito e facilmente liquidabili poiché, pagando questi interessi, non risultano leciti in ottica coranica. Un importante contributo alla risoluzione di tale problema a parere di molti esperti potrebbe arrivare proprio dai sukuk; la maggior parte dei partecipanti al mercato ritiene infatti che tale strumento possa finalmente aiutare le banche islamiche a gestire la liquidità in maniera efficiente, rispettando anche i dettami della Sharia’ah. Tuttavia, sono ancora parecchi gli ostacoli da superare affinchè i sukuk possano essere negoziati su un mercato secondario efficiente: l’introduzione di una regolamentazione specifica, standardizzazione degli strumenti per renderli tra loro fungibili, procedure comuni di settlement, presenza di market-makers per poter garantire liquidità. 59 4.5.1. Il rischio liquidità Il rischio di liquidità, nella sua accezione più generale, si riferisce alla possibilità che la banca non riesca ad adempiere ai propri pagamenti nel momento in cui questi giungono a scadenza. Nelle banche islamiche il rischio di liquidità assume un’accezione particolare espressa dal concetto di “displace commercial risk” ovvero il rischio di perdere i depositi nel caso in cui conseguano un rendimento inferiore rispetto a quello potenzialmente offerto dalle controparti convenzionali, problema questo che rileva soprattutto nei contesti dove banche islamiche e banche tradizionali convivono tra loro e quindi sono in concorrenza. Anche l’AAOIFI ha riconosciuto specificamente tale forma di rischio associandola alla situazione in cui una banca islamica «si trovi soggetta alla pressione competitiva che la obbliga a pagare un tasso di rendimento ai detentori dei conti di investimento a partecipazione dei profitti sufficiente a indurre questi investitori a mantenere i loro fondi presso la banca piuttosto che prelevarli ed investirli altrove». La banca deve dunque garantire ai titolari dei conti di investimento un rendimento almeno in linea con quelle delle banche tradizionali al fine di evitare qualcosa di molto simile alla “corsa agli sportelli”. Alla base del rischio di liquidità spesso ci può essere anche una non adeguata gestione del mismatching strutturale tra le scadenze dell’attivo e del passivo, che si manifesta alternativamente o attraverso una mancanza di fondi oppure attraverso la detenzione di un eccessivo ammontare di liquidità in bilancio con il sostenimento di un costo opportunità. Proprio al fine di ridurre al minimo il costo opportunità, le banche tendono a ridurre al minimo le riserve, facendo affidamento in caso di necessità al mercato interbancario o alle linee di credito messe a disposizione dalle Banche Centrali. Questo discorso non può però trovare applicazione nel contesto islamico poiché non esiste, di fatto, un mercato interbancario della liquidità né le Banche Centrali agiscono solitamente in veste di prestatrici di ultima istanza. Le ragioni che rendono il rischio di liquidità da parte delle banche molto più di difficile da affrontare nel contesto islamico piuttosto che in quello occidentale sono dunque riconducibili a questi principali fattori: 60 a) Mancanza di un mercato interbancario domestico efficiente a cui far riferimento per l’approvvigionamento della liquidità in caso di bisogno b) Anche volendo, le banche non potrebbero rivolgersi al mercato interbancario internazionale poiché i comuni strumenti in esso negoziati sono fondati sul tasso d’interesse. c) Le banche islamiche detengono a bilancio asset illiquidi difficilmente smobilizzabili nell’immediato; questo aspetto è riconducibile da un lato, agli strumenti partecipativi di difficile valutazione e dall’altro, al fatto che non tutti gli strumenti possono essere negoziati sul mercato: lo sono soltanto quelli che prevedono determinate caratteristiche. In assenza di tali requisiti essi devono essere mantenuti in bilancio. d) Una parte rilevante del passivo è costituita da depositi a vista o depositi a risparmio a breve termine e per questo solo una parte ridotta dell’attivo può essere investita in attività a lungo termine dal potenziale rendimento: questo costringe le banche a detenere un livello di scorte ben superiore al necessario creando inefficienza allocativa e mismatch. 4.5.2. La gestione della liquidità attraverso i sukuk La gestione della liquidità ha assunto, nel corso dei decenni, una sempre maggiore valenza strategica al fine di consentire una sana e prudente gestione degli intermediari finanziari (Miglietta, 2012). L’argomento assume ancor più rilevanza nel banking islamico dove, come visto nel precedente paragrafo, la scarsa presenza di prodotti liquidi e negoziabili richiede l’intervento della banche centrali al fine di creare titoli negoziabili oppure sistemi multilaterali ove investire la liquidità. Ed è proprio attraverso l’impiego dei sukuk nella gestione dell’attivo e del passivo della banca, che il problema della gestione della liquidità potrebbe essere, almeno in parte, risolto. Sul fronte del passivo infatti, attraverso l’emissione di sukuk a lungo termine, le banche potrebbero rendere più stabile la raccolta; sul fronte dell’attivo invece i sukuk a breve termine potrebbero essere impiegati per la gestione della liquidità mentre quelli a più lungo termine rappresenterebbero un’alternativa di investimento a lungo termine per tutti quegli intermediari che presentino la necessità di gestire attivi a lungo termine. 61 ● La raccolta attraverso i sukuk: Come già accennato precedentemente, la raccolta delle banche islamiche avviene principalmente tramite strumenti a breve termine o addirittura a vista generando un conseguente squilibrio dell’attivo, penalizzato dall’eccessivo contante e da una inefficiente allocazione delle risorse: se infatti il passivo risulta poco stabile, le banche si trovano costrette a detenere denaro in forma liquida destinando solo una minima parte delle risorse in progetti a medio/lungo termine potenzialmente redditizi. Il tentativo di risoluzione del mismatching della scadenze e la necessità di “stabilizzare” la raccolta è testimoniato, in campo occidentale, dal crescente numero di emissioni di obbligazioni che ha appunto permesso alle banche una migliore allocazione delle risorse sotto il profilo temporale. Questo stesso discorso può essere riportato anche nel contesto islamico dove le emissioni di sukuk a lungo termine, al pari delle obbligazioni convenzionali, permetterebbe alla banche di incrementare la stabilità del proprio passivo. Nonostante questa possibilità, al giorno d’oggi sono ancora pochi gli istituti bancari che si finanziano attraverso i sukuk. ● Le politiche di impiego attraverso i sukuk: Le banche occidentali quando necessitano di fondi a brevissimo termine, si rivolgono alle controparti presenti sul mercato interbancario al fine di ottenere dei prestiti che verranno poi ripagati in base ad un tasso d’interesse commisurato al tempo: l’utilizzo del tasso d’interesse comporta l’impossibilità di utilizzo di tali strumenti da parte delle banche islamiche, sulla base del divieto di riba. In aggiunta, per le banche islamiche non è nemmeno semplice costruire strumenti simili impiegando asset reali da detenere per brevissimi periodi: questo ha comportato uno sforzo di ingegneria finanziaria da parte degli esperti del settore e da parte delle banche centrali dei paesi interessati al fine di offrire delle possibili soluzioni per il problema della liquidità. Di seguito verranno riportate alcune delle iniziative più significative attuate dai diversi paesi con l’obiettivo di rendere più efficiente la gestione della liquidità. 62 - La Banca Centrale Malese: La Bank Negara Malaysia (Banca Centrale Malese) già nell’anno 1994 ha creato un mercato interbancario della liquidità (Islamic Interbank Money Market – IIMM) offrendo agli operatori malesi prodotti conformi alla Sharia’ah adatti alla gestione della tesoreria. I prodotti tradizionali basati sul tasso d’interesse sono stati “islamizzati” non solo nella struttura ma anche nella nominazione (accettazioni bancarie islamiche e Buoni del Tesoro islamici) e il tasso d’interesse sostituito dal sistema del mark-up. Su questo mercato vengono negoziati prodotti finanziari strutturati sulla base del contratto bay’ aldayn, che prevede la vendita del debito sconto. Tale forma contrattuale, tuttavia, è ritenuta lecita solamente in Malesia in virtù di alcune specifiche decisioni prese dalla scuola Shafita, mentre secondo la maggior parte degli Sharia’ah scholars la vendita del debito è lecita solamente se effettuata al valore nominale, altrimenti vi sarebbe la presenza della riba. Di conseguenza, sulla base del disaccordo circa la liceità di tale forma contrattuale, solamente alle banche islamiche malesi è concessa la partecipazione all’IIMM. - Il Liquidity Management Centre: Il Liquidity Management Centre (LMC), attivo in Bahrain dal 2002, nasce come istituzione atta a favorire la gestione dei surplus di tesoreria attraverso strumenti finanziari a breve e lungo termine. Il LMC è una società con capitale sociale di 200 milioni di dollari, posseduta in maniera congiunta da istituzioni finanziarie appartenenti a paesi diversi, e rappresenta anch’esso una forma di mercato islamico interbancario all’interno del quale è possibile scambiarsi liquidità. - La Banca Centrale del Bahrain: La Central Bank of Bahrain (CBB) attraverso sukuk nella forma salam vende alluminio, con consegna differita e pagamento contestuale, ad alcune banche islamiche che a loro volta incaricano il Governo come loro agente di vendere il bene al momento della consegna: in questo modo le banche islamiche non ricevono mai la commodity sottostante l’emissione. La differenza tra il prezzo a pronti e il prezzo a termine pagato per l’acquisto dell’alluminio rappresenta il rendimento del sukuk. 63 Attraverso questa operazione le banche islamiche possono depositare il loro surplus di liquidità presso la banca centrale, ottenendo poi un rendimento dalla vendita del bene una volte consegnato. Tali forme di sukuk al-salam vengono emessi con frequenza mensile ed hanno una scadenza media di novantuno giorni. Una operazione molto simile viene utilizzata come strumento di gestione della liquidità anche dalla Banca Centrale del Kuwait che però non si limita all’impiego del solo alluminio ma anche, per esempio, di metalli preziosi. 4.6. Nascita ed evoluzione del mercato dei sukuk 4.6.1. Origini e sviluppo Pur essendo relativamente giovane, il mercato dei sukuk, nell’ultimo decennio, ha già dovuto affrontare una serie di cambiamenti sia in termini di strutturazione che di copertura geografica delle emissioni. Le prime forme di sukuk di cui si ha notizia sono datate 1978, in Giordania, attraverso l’emissione di muqaradah sukuk da parte della Jordan Islamic Bank; cinque anni dopo era il Governo Malese ad inaugurare il mercato dei sukuk con l’emissione dei Government Investment Certificates. Tuttavia, non essendoci stata la pronuncia di nessun giurisperito riguardo a tali emissioni, le prime forme di mercato venivano attuate in contesti segnati da grande incertezza a livello regolamentare. Nel 1990, sempre in Malesia, veniva emesso il primo sukuk da parte di Shell, società non islamica, per un valore di 125 milioni di Ringgit malesi (circa 30 milioni di dollari). Il primo sukuk sovrano di grandi dimensioni viene emesso dal Governo del Bahrain nel 2001 per un valore di 100 milioni di dollari. Da qui in avanti, il mercato dei sukuk è segnato da un’evoluzione costante con emissioni non soltanto nei paesi islamici, tanto che nel 2004 anche il Land tedesco della Sassonia-Anhalt emette un ijarah-sukuk per un ammontare di 100 milioni di euro che, nonostante il modesto rendimento (Euribor a 6 mesi + 100 punti base), ha dato prova del forte interesse a livello mondiale per le emissioni sukuk considerata la base di investitori stranieri estremamente diversificata (Stati Uniti, Gran Bretagna, Arabia Saudita, Bahrain, Malesia, Giappone, Hong Kong, e Germania). Inizialmente la forma contrattuale più utilizzata per le emissioni di sukuk era l’ ijarah, fino al 2005, quando una importante emissione nella forma di musharakak da parte di DMCC Gold Sukuk di 64 Dubai contribuì ad un notevole aumento di emissioni sukuk nella forma appunto di musharakah e mudarabah, a discapito proprio dell’ ijarah. Il 2008 rappresenta una data fondamentale nella storia del mercato dei sukuk: l’AAOIFI fissa gli standard riconosciuti ad accettati a livello internazionale per la strutturazione di tali strumenti, rendendo così il relativo mercato più disciplinato e meno soggetto a liti fra le varie dottrine in riferimento proprio alla struttura dei prodotti. Proprio questo pronunciamento contribuisce a mettere fine ad alcune pratiche abitualmente seguite, soprattutto in riferimento ai sukuk musharakah e mudarabah che perdono progressivamente il favore degli investitori, a favore, ancora una volta della forma ijarah. Dimostrazione questa del fatto che il maggiore o minore successo del contratto attraverso il quale strutturare i sukuk sono funzione non soltanto delle specifiche esigenze degli emittenti, ma anche e soprattutto dei giudizi espressi dai giurisperiti in riferimento proprio alla conformità delle strutture contrattuali stesse. Figura 15. Le strutture più utilizzate negli anni Fonte: International Islamic Financial Market, 2011 65 Come detto in precedenza, fin dai primi anni 2000, le emissioni di sukuk sono cresciute costantemente fino a un raggiungere un picco nel 2007, prima di subire un rallentamento nel biennio 2008-2009 in risposta alla crisi finanziaria. Le cause di questo rallentamento sono imputabili a due elementi soprattutto: il fly-to-quality e i default. Per quanto riguarda il primo aspetto, la crisi finanziaria ha avuto l’effetto di allontanare gli investitori dalle emissioni che non avessero il massimo rating, elemento questo testimoniato anche dalla prevalenza nel periodo crisi e post-crisi di emissioni sovrane (con miglior rating) piuttosto che corporate: evidenza confermata sia dai dati sul mercato domestico che da quelli sul mercato internazionale. In riferimento al secondo aspetto, invece, i default dei sukuk sperimentati nell’ultimo periodo hanno causato da un lato, un danno reputazionale all’intero mercato, dall’altro, hanno riportato alla luce i noti problemi affrontati nelle pagine precedenti riguardo all’enforcement dei diritti dei possessori dei certificati. Dal 2010 si è assistito ad un nuovo incremento delle emissioni, dopo il rallentamento appena descritto, questo anche grazie ad incentivi governativi sulla finanza islamica e sui sukuk. La ripresa iniziata nel 2010 ha portato al raggiungimento di un nuovo picco, nel 2011, sfiorando i 100 miliardi di dollari, soglia raggiunta e superata poi l’anno successivo, quando l’ammontare complessivo delle emissioni globali di sukuk ha toccato i 137 miliardi di dollari. Figura 15. Emissioni globali di sukuk (somma di tutte le valute) Fonte: International Islamic Financial Market, 2012 66 4.6.2. Il mercato internazionale Il mercato internazionale ha per oggetto le emissioni denominate in dollari o in euro. L’andamento negli ultimi dieci anni è similare a quello già descritto riguardo alle emissioni globali di sukuk, ovvero costante crescita fino al 2007 per poi subire una battuta d’arresto. Lo scenario può essere osservato nel grafico sottostante dove si mette appunto in evidenza come, dopo il picco del 2007, gli anni successivi caratterizzati dalla crisi economica, hanno fatto registrare un rallentamento nelle emissioni dei sukuk. Grafico 3. Emissioni internazionali di sukuk (periodo 2003 – 2009) Fonte: Miglietta (2012) su dati IIFM (2010) Come già detto in precedenza, la possibile causa del rallentamento appena descritto è attribuibile al fenomeno noto come fly-to-quality, in base al quale gli investitori, nei periodi di crisi, sono più inclini a ricercare emissioni di alta qualità. Questa attitudine è confermata dai grafici sottostanti, dove vengono analizzati e confrontati i dati relativi alle emissioni sovrane, corporate e quasi-sovereign (emissioni da parte di enti pubblici 67 garantite implicitamente o esplicitamente dallo Stato) nei periodi pre-crisi (2001-2007) e post-crisi (2008-2010). I risultati sembrano piuttosto significativi: le emissioni sovrane e quasi-sovereign (con miglior rating) rappresentano assieme il 54% del mercato nel periodo crisi e post-crisi, mentre negli anni precedenti alla crisi esse rappresentavano assieme solamente il 30%. Grafico 4. Emissioni internazioni per emittente (pre-crisi) Emissioni internazionali (2001-2007) Sovereign (9,534) 27% Quasi-Sovereign (1,000) 3% Corporate (24,591) 70% Fonte: elaborazione su dati International Islamic Financial Market, 2011 Grafico 5. Emissioni internazionali per emittente (post-crisi) Emissioni internazionali (2008-2010) Sovereign (4,869) 38% Corporate (5,871) 46% Quasi-Sovereign (2,000) Fonte: elaborazione su dati International Islamic Financial Market, 2011 68 Osservando il mercato internazionale suddividendolo per aree geografiche, si può notare come un ruolo guida nelle emissioni internazionali di sukuk è stato assunto dai paesi del GCC e in particolare gli Emirati Arabi Uniti. Quasi l’80% del valore totale delle emissioni internazionali di sukuk, dal 2001 al gennaio 2013, è riconducibile ad emissioni effettuate proprio dai paesi appartenenti al Consiglio di Cooperazione del Golfo Persico. Figura 16. Emissioni internazionali per area geografica (2001–gennaio 2013) Fonte: International Islamic Financial Market, 2012 69 4.6.3. Il mercato domestico Il mercato domestico comprende tutte le emissioni effettuate in valuta locale e destinate dunque esclusivamente al mercato interno. Protagonista di questo mercato è sicuramente la Malesia che copre da sola l’80% del mercato denominato in valuta locale ed oltre il 50% del mercato globale: esso rappresenta ad oggi il più importante mercato dei sukuk sia in termini di volumi sia in termini di numero di emissioni. Il volume raggiunto dal mercato malese domestico è pari a 315 miliardi, cifra che risalta immediatamente se messa a confronto con i soli 43 miliardi circa del mercato domestico dei paesi appartenenti al GCC. Figura 17. Emissioni domestiche per area geografica (2001-gennaio 2013) Fonte: International Islamic Financial Market, 2012 70 Tuttavia, il comportamento dei paesi componenti il GCC è diverso di caso in caso; il Bahrain, per esempio, si caratterizza per numerose emissioni ma di modesta entità, a differenza, invece, di paesi come gli Emirati Arabi Uniti (Dubai soprattutto) o l’Arabia Saudita che effettuano poche emissioni ma di ingenti importi unitari. Anche il mercato domestico, al pari di quello internazionale, ha subito una flessione negli anni della crisi registrando un aumento delle emissioni sovrane o quasi-sovereign a discapito di quelle societarie. Grafico 6. Emissioni domestiche per emittente (pre-crisi) Emissioni domestiche (2001-2007) Sovereign (12,150) 17% Quasi-Sovereign (565) 1% Corporate (60,355) 82% Grafico 7. Emissioni domestiche per emittente (post-crisi) Emissioni domestiche (2008-2010) Corporate 44% Sovereign (40,495) 53% Quasi-Sovereign 3% Fonte: elaborazioni su dati International Islamic Financial Market, 2011 71 Conclusioni: La recente crisi finanziaria ha mostrato i limiti della finanza tradizionale evidenziando invece lo sviluppo della finanza islamica ispirata da principi religiosi e morali, estranea al concetto di interesse, fondata maggiormente sull’economia reale e sulla logica di condivisione del rischio. A partire dai primi anni del duemila, la finanza islamica comincia a registrare tassi di crescita a doppia cifra dando anche dimostrazione di una maggior tenuta alla crisi finanziaria che tanto ha sconvolto i mercati internazionali soprattutto nel biennio 2007-2008. Il lavoro di tesi è stato suddiviso in quattro capitoli. Il primo capitolo si è concentrato sulle origini e sullo sviluppo della finanza islamica e sulle fonti e i principi religiosi che la disciplinano. Nel secondo capitolo sono state da prima descritte le principali forme contrattuali utilizzate nel sistema finanziario islamico per poi approfondire il funzionamento di una tipica banca islamica mettendone in evidenza gli strumenti tipici impiegati per la raccolta e per l’impiego del capitale e confrontando il bilancio di una banca islamica con quello di una banca tradizionale al fine di individuare possibili analogie e differenze. Nel capitolo terzo si è proceduto all’analisi della diffusione della finanza islamica in Europa, vedendo da vicino il caso del Regno Unito e soprattutto il caso italiano, al fine di comprendere quali possono essere i fattori che, al giorno d’oggi, non hanno permesso lo sviluppo di questa forma di finanza nel nostro paese, come è invece accaduto in altre importanti piazze finanziarie europee. Nel quarto ed ultimo capitolo si è trattato nello specifico lo strumento finanziario dei sukuk, evidenziandone le caratteristiche, le principali tipologie riconosciute, gli elementi di rischio e rendimento per poi studiare lo sviluppo del mercato globale, domestico ed internazionale di tali strumenti nel corso degli anni. A conclusione del lavoro, è opportuno spendere due parole circa quelli che potrebbero essere i possibili scenari futuri della finanza islamica. Una prima ipotesi è quella relativa al possibile avvicinamento della finanza islamica a quella convenzionale, attraverso un adeguamento alle logiche di mercato che regolano il sistema finanziario ed economico occidentale ed attraverso un progressivo allontanamento dell’economia e della finanza islamica dalla religione. Tuttavia, considerati i ritmi di crescita, lo scenario al momento più probabile, almeno nel breve periodo, è quello che prevede un ulteriore rafforzamento del fenomeno, che potrebbe configurarsi a tutti gli effetti come una vera e propria alternativa alla finanza convenzionale. 72 Bibliografia: AA.VV., “Finanza islamica e sistemi finanziari convenzionali. Tendenze di mercato, profili di supervisione e implicazioni per le attività di banca centrale”, Banca d’Italia, Questioni di Economia e Finanza, occasional papers numero 73 (ottobre 2010). Adamo R., Federico D., Notte A., “Il boom della finanza islamica. 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