Tariffa R.O.C.: Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1, DCB - Bologna. Quota di abbonamento della pubblicazione euro 1,00 corrisposta dai destinatari con il rinnovo all’Associazione per l’anno in corso. SulMonte CAI - SEZIONE “MARIO FANTIN” BOLOGNA - NOTIZIARIO AI SOCI SULLE OFIOLITI DI CASA NOSTRA Arrampicate e cammini tra Futa e Raticosa LA MONTAGNA VA AL CINEMA BANFF e Vie dei Monti, rassegne di film, documentari, incontri in città n° 1/2014 BOLOGNA E I SOGNI DI ROCCIA SUL MONTE Notiziario ai soci n. 1/2014 Club Alpino Italiano Sez. Mario Fantin, Bologna Direttore Responsabile Luca Calzolari In redazione via Stalingrado 105 tel. 051 234856 Ezio Albertazzi Marino Capelli Clara Cassanelli Elisabetta Dell’Olio Marta Fin Stefano Chiorri Gabriele Rosa Barbara Stacciari Giorgio Trotter Elena Vincenzi Progetto grafico e impaginazione Clara Cassanelli Barbara Stacciari Elena Vincenzi Foto di copertina: Fabrizio Franceschini Per articoli, foto, segnalazioni: [email protected] Stampa Grafiche A&B Via del Paleotto 9/a - Bologna [email protected] Tel. 051 471666 Registrazione c/o Tribunale di Bologna n° 4227 del 1972 CLUB ALPINO ITALIANO Sezione Mario Fantin - Bologna Via Stalingrado, 105 tel/fax: 051 234856 e-mail: [email protected] www.caibo.it Segreteria tel/fax: 051 234856 Martedì ore 9-13 Mercoledì, Giovedì, Venerdì ore 16-19 COMUNICAZIONI AI SOCI RISULTATI DELLE ELEZIONI DEL CONSIGLIO DIRETTIVO Le preferenze espresse dai soci risultano le seguenti: Preferenze candidati consiglieri 1. Benvenuti Maria Barbara 195 2. Romiti Mario, detto Gneo 161 3. Vincenzi Elena 146 4. Dal Pozzo Sandro 136 5. Monti Antonella 112 6. Albertazzi Ezio 111 7. Pini Mauro 106 8. Rosa Gabriele 100 9. Cannataro Eugenio 68 10. Paticchia Vito 61 11. Calzolari Francesco 61 12. Rani Alessandro 57 13. Osti Stefano 50 14. Fossati Lorenzo 27 15. Fermi Sante 2 16. Baranzoni Gianluigi 2 17. Ruggeri Vinicio 1 18. Ferri Paolo 1 19. Santini Mattia 1 20. Poli Gianluca 1 Preferenze Candidati revisori 1. Alessandro Geri 146 2. Donati Katia 144 3. Caravita Giancarlo 111 4. Guardigli Cristina 4 5. Fabbri Alessandro 1 6. Calzolari Francesco 1 7. Ghini Giovanni 1 8. Monti Antonella 1 PRESENTIAMO LA NUOVA REDAZIONE Da questo numero la redazione può contare su nuovi collaboratori! Diamo il benvenuto a Marino Capelli, Elisabetta Dell’Olio, Marta Fin, Gabriele Rosa e Giorgio Trotter. Chiunque abbia voglia di collaborare, può contattare la segreteria [email protected] IMPORTANTISSIMO: DESTINATE IL VOSTRO 5X1000 AL CAI! 5 per mille Chiuso in redazione il 31/3/2014 Nella tua Dichiarazione dei Redditi scegli di destinare il tuo 5x1000 alla nostra Associazione. Sotto la firma, nello spazio “codice fiscale del beneficiario” inserisci: Codice fiscale: 80071110375 La quota della tua imposta sul reddito contribuirà alle azioni del CAI di Bologna per la tutela della montagna, la sicurezza dei suoi frequentatori attraverso una formazione di alta qualità e la manutenzione dei percorsi escursionistici e dei rifugi. PUNTI RINNOVO TESSERA ANNUALE 2 L’acqua che berremo L’Acqua che berremo è il nome di un progetto che guarda al futuro dell’acqua. Il titolo riprende in parte quello dell’iniziativa avviata nel 2002 dal mondo speleologico in occasione dell’Anno Internazionale delle Montagne. Società Speleologica Italiana, Federparchi, Federazione Bacini Imbriferi Montani e Cai (attraverso CCS E CCTAM) hanno deciso di fare rete per mantenere alta l’attenzione sull’acqua della montagna e più in generale sul futuro dell’acqua nel nostro pianeta. Nell’ambito del progetto, durante il 2014 in diverse regioni italiane (tra cui Abruzzo, Friuli Venezia Giulia, Puglia, Sicilia, Toscana, Valle D’Aosta e Veneto e altre se ne aggiungeranno) si terranno convegni, escursioni, workshop e iniziative nelle scuole con l’obiettivo di rilanciare il tema dell’attenzione all’acqua. Il progetto mette in primo piano la tutela degli ambienti carsici - naturalmente non ci si limiterà all’ambiente ipogeo - dei loro acquiferi e dei grandi serbatoi custoditi nel ventre calcareo. Acque che ritornano alla luce come fondamentale risorsa idropotabile. Sull’importanza del rapporto acqua-montagna è sufficiente ricordare che oltre il 50% della popolazione mondiale dipende dall’acqua dolce fornita dalle Terre alte. Per il Cai è necessario promuovere il valore della ‘cultura dell’acqua’, basata sul legame uomoambiente e sulle implicazioni sociali ed economiche della civiltà e dello sviluppo dell’umanità. L’Acqua che berremo si lega inoltre al progetto ONU ‘Acqua fonte di vita’, avviato nel 2005 con l’obiettivo di dimezzare, in 10 anni, a livello planetario, il numero delle persone che non hanno accesso all’acqua. Il diritto all’acqua è un’emergenza vitale per ogni essere vivente e la lotta alla riduzione delle risorse del pianeta deve vedere impegnati tutti noi. Le riserve idriche di domani dipendono dunque dalla nostra capacità di preservarle nella loro integrità. Diamoci da fare. Luca Calzolari IN QUESTO NUMERO 4 CORSI & FLASH 6 Dietro la foto PARCO NAZIONALE APPENNINO TOSCOEMILIANO a cura di Barbara Stacciari Marco Albertini 7 In primo piano ROCCA DI CAVRENNO Elisabetta Dell’Olio LE OFIOLITI TRA I PASSI DELLA RATICOSA E FUTA 10 Cinema e montagna LE VIE DEI MONTI 16 Nicola Arrigoni Roberto Tonelli BANFF FILM FESTIVAL UN GIORNO TRA I CASTAGNI DI CASTEL DEL RIO Elisabetta Dell’Olio 12 La nostra storia K2, SOGNO VISSUTO Vinicio Ruggeri 14 Vita di sezione I RAGAZZI DEL CORO In viaggio PEDALATE OCEANICHE Claudia Antonini Vinicio Ruggeri Ezio Albertazzi 3 una “vecchia” corsista 20 Ciclocai IN CONCORSO! a cura di Patrizia Montanari 21 Un passo dopo l’altro COOPERATIVA PAESE Marco Tamarri NOTIZIE DAI CORSI Fanano sono state le mete più vicine mentre Lagorai e Val Maira i weekend interi. Il tema principale che ha accompagnato tutto il corso e principio fondamentale del CAI è stato quello di insegnare a vivere la montagna in sicurezza, rispettarne l’ambiente e riconoscere l’importanza dello stare in gruppo. Il coronamento di questo percorso durato due mesi è stata la pianificazione da parte degli allievi in completa autogestione dell’uscita / escursione in VAL MAIRA, della durata di 3 giorni, e relativa discussione collettiva. Non poteva mancare come di consuetudine una cena di fine corso per guardare tutti assieme ai propri progetti futuri all’interno del CAI. Un ringraziamento speciale da parte di tutti gli allievi va a Mauro PINI per la sua simpatia, passione e professionalità nel dirigere questo corso e a tutti i collaboratori CAI che lo hanno accompagnato in questa ultima fatica. Grazie a tutti! Giorgio T. CORSO DI ESCURSIONISMO INVERNALE 2014 Si è appena conclusa l’edizione 2014 dell’oramai consolidato appuntamento sull’escursionismo invernale tenuto dalla “scuola sezionale di escursionismo” del CAI di Bologna. Al corso hanno partecipato 34 allievi divisi tra 20 Uomini e 14 donne, di cui ben 15 sono diventati nuovi soci e questo conferma l’attenzione, che come CAI, dobbiamo portare alla formazione sia come veicolo di aumento della sicurezza nell’andare in montagna che per l’avvicinamento alla nostra organizzazione di nuove leve. Un altro dato interessante è stata la notevole quantità di giovani che vi hanno partecipato: ben 18 sotto i 36 anni di cui 4 sotto i 26. Altri dati importanti legati al corso sono stati: 10 lezioni teoriche e 5 uscite in ambiente di cui 2 della durata di un weekend intero. In totale 84 ore di formazione piena di contenuti e con la partecipazione di importanti esperti nel settore. A detta dei partecipanti stessi il corso di escursionismo invernale 2014 proposto dal CAI di Bologna è stato un ottimo banco di prova per chi si è voluto avvicinare a un modo di andare in montagna più lento, ma che permette ancor di più di cogliere la bellezza dei magici scenari invernali, quello delle ciaspole. Le serate di teoria, che hanno spaziato dalla meteorologia alla cartografia, dal riconoscere le tracce della fauna invernale alla scelta del giusto equipaggiamento, hanno trovato un riscontro pratico nelle uscite sul nostro Appennino e sulle Alpi. Da sottolineare la lezione in cui è stato insegnato l’uso dell’ARTVA, sonda e pala, e la pratica simulata di ricerca del travolto da valanga fatta direttamente sul campo. Sestaione, Abetone, Ospitale di La Barbiana Monte Sole verrà ripetuta anche quest’anno dal 28 aprile al 4 maggio 2014 Si può partecipare in tre modi: o tutto il viaggio, o solo da Vicchio fino a San Piero o da San Piero fino a Marzabotto. Sono previsti incontri con testimoni che hanno vissuto personalmente quelle realtà. Per maggiori informazioni consultate il nostro sito www.caibo.it oppure contattate direttamente gli organizzatori Sergio: 338 7491322, Marinella: 338 4788611 Riportiamo una piccola raccolta di pensieri dei partecipanti alla Barbiana Monte Sole 2013 Insieme, lungo i sentieri della Resistenza: le emozioni di Rita, Martina, Maurizio, Antonello I contatti, la curiosità di Cinzia, la storia in mezzo alle ginestre, il sorriso dolce di Martina, il cappello pieno di viaggi di Luigi, la delicatezza birichina di Eleonora, l’antiruggine di Sergio, il passo perfetto e salvatore di Franco sulla salita di Monte Gazzaro, i racconti sul Cile di Andrea, Giorgio Tosi che dice “Lo spirito della Costituzione è quello della Resistenza” e conclude dicendo che “bisogna mantenere vivo lo spirito della Resistenza”, le gambe lunghissime di Cristina, le battute di Rezia, esperta in patatine, la leggenda di Paolo, Franco Zanni che ci conta “al modo indiano”, Alessandro Baldi, figlio di un partigiano, che ha sposato una donna tedesca, la discesa da Monte Sole lungo lo stretto crinale di un calanco e la scoperta di una nuova fioritura, solo con Antonello ... (Rita) Per me la bellezza di uno spettacolo sta tutta nella misura in cui esso ha la capacità di scuoterti nel profondo, di far vibrare corde che non sapevi di possedere, di spiazzare le prospettive da cui si è soliti guardare il mondo ... Per tre giorni lungo i sentieri della Resistenza mi sono portata sulle spalle il peso ingombrante dello zaino e mi sono tirata dietro le gambe pesanti e il respiro corto di chi non ha l’abitudine al cammino. Oggi sono a casa con le spalle più larghe e più forti per farsi carico delle storie raccolte, le gambe più svelte per portare quelle storie sempre più lontano, il respiro profondo per trovare il fiato per raccontarle e la testa e il cuore pieni fino a scoppiare dei sorrisi di tutti, di quell’abbraccio lungo come l’Appennino...(Martina) Darci un voto credo che sia difficile, più del massimo non si può e poi non è giusto, pero, rimane sicuro che noi questa esperienza la rifaremmo volentieri. E tanto basta ...(Maurizio) Pensavo di fare una bella escursione e invece ... è stata un’esperienza a dir poco fantastica, di inaspettata emozione e che ha raggiunto un momento veramente toccante stamattina ...(Antonello) Un percorso storico fra architettura, cultura e ambiente 7.04.2014 • 22.04.2014 Quadriportico di Vicolo Bolognetti Quartiere San VItale Bologna C’è tempo fino al 22 aprile per visitare la bellissima mostra “Rifugi alpini ieri e oggi”, nel quadriportico di Vicolo Bolognetti, Quartiere San Vitale. Bivacco Gervasutti, Grandes Jorasses 2011 © Foto Francesco Mattuzzi Rifugi alpini ieri e oggi La mostra ripercorre la storia della costruzione di rifugi e bivacchi sull’intero arco alpino. in collaborazion con COMUNE DI BOLOGNA Quartiere San Vitale 4 Libri&Co a cura di Elisabetta Dell’Olio e Giorgio Trotter Per le vostre segnalazioni inviate una mail all’indirizzo: [email protected]. Antonio Iannibelli Un cuore tra i lupi. Ed. let. riservata, 2013, euro 15,00 tratti da realismo magico, accesi e talvolta poetici. Una terra rude ma al contempo fascinosa proprio come il protagonista silenzioso del libro, quel lupo sognato e inseguito per una vita. Le foto di Iannibelli riportate nel libro sono straordinarie, fanno capire come nel fotografo naturalista ci sia il vero amore per la natura, a volte viene definito: “uno stregone dei boschi”, certamente un uomo capace di entrare in sintonia con l’ambiente naturale. mie paure, le ritirate e le batoste, nei racconti non mancano i sentimenti, i sensi di colpa, le ipocrisie e, più di tutto, l’egoismo. Questa ultima è la caratteristica principale che accomuna tutti gli scalatori compulsivi come me”. Cheryl Strayed Wild Ed. Piemme 2012 - 18,50 euro Roberto Iannilli Forse accade così Alpine Studio, 2011 - 19,90 euro «Cinque, sei, forse otto lupi ulularono insieme a me, nel silenzio completo della notte più bella della mia vita. Vibrazioni primordiali che mi trasformarono nel bambino che ero stato, riaccendendo nella memoria i meravigliosi racconti di mio nonno … Era appena iniziato novembre, il mese dei lupi che ululano.» Un cuore tra i lupi è un libro di ben 217 pagine divise tra la storia della prima infanzia dell’autore e la sua esperienza a Bologna, con un capitolo pieno di affascinanti descrizioni sui lupi, il loro mondo e di tutti i trucchi e le difficoltà incontrate per avvicinarli e poterli fotografare nel loro regno naturale. Completa il libro una raccolta fotografica particolarmente curata La storia di Antonio Iannibelli, fotografo naturalista e studioso di lupi, parte dall’infanzia vissuta all’ombra del bosco Magnano, nel cuore del Pollino in Lucania, sotto la guida di un nonno custode dell’antica sapienza contadina. L’arrivo nel tumultuoso mondo cittadino, con la terra d’origine che si ritrae in un angolo di ricordi e nostalgie. Alla fine la riscoperta della natura e l’inaspettato incontro con l’archetipo stesso del mondo selvaggio, simbolo immotivato di crudeltà e oggetto di persecuzioni, porta alla scrittura di questo semplice e meraviglioso libro. Avventure, briganti, transumanze, drammi singolari e collettivi, e in ultimo il ritorno in uno scenario che segna profondamente i suoi figli: quella Lucania descritta con Le pagine del bel libro intitolato “… forse ACCADE COSI’. L’alpinismo: un gioco, ma non uno scherzo” ci raccontano quello che Roberto Iannilli, attivissimo alpinista di Ladispoli (Roma) ha cercato di comunicare sulla sua esperienza. Tra le pagine non troverete la solita autobiografia dell’alpinista indomito, che tra ghiacci eterni o rocce pericolanti mette a repentaglio la propria vita per la vetta. Quello che racconta Iannilli è una storia di un alpinista come tanti, forse solo con un po’ più di testa dura della media, con il suo bagaglio di debolezze e di paure. Quelle descritte nel libro sono sensazioni comuni a tutti gli alpinisti, bravi e meno bravi. Sensazioni spesso trascurate, considerate meno interessanti o addirittura sconvenienti. Un racconto, senza prendersi troppo sul serio, con la consapevolezza che l’alpinismo resta un gioco, anche se non uno scherzo. Dice Iannilli: “nel libro si trovano le 5 “Wild. Una storia selvaggia di avventura e rinascita” è un diario di viaggio: racconta il percorso fatto da una giovane ragazza, dopo esperienze dolorose, sulle montagne americane, sulla “alta via” nel PCT (Pacific Crest Trail). Emozionante, ben scritto, da leggere in un fiato, dice la nostra socia Simona Pasini. Da leggere con gusto ma da non imitare, però, se si vuole affrontare un trekking: la protagonista era priva di allenamento e di cognizioni su un equipaggiamento adatto per un trekking così lungo e senza denaro.“Dopo la morte prematura della madre, il traumatico naufragio del suo matrimonio, una giovinezza disordinata e difficile, Cheryl a soli ventisei anni si ritrova con la vita sconvolta. Alla ricerca di sé oltre che di un senso, decide di attraversare a piedi l’America selvaggia tra montagne, foreste, animali selvatici, rocce impervie, torrenti impetuosi, caldo torrido e freddo estremo. Una storia di avventura e formazione, di fuga e rinascita, di paura e coraggio. Una scrittura intensa come la vicenda che racconta, da cui emergono con forza il fascino degli spazi incontaminati e la fragilità della condizione umana di fronte a una natura grandiosa e potente”. DIETRO LA FOTO PARCO NAZIONALE DELL’APPENNINO TOSCO-EMILIANO Il Parco Nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano si estende a cavallo di Emilia e Toscana e comprende alcune vette appenniniche che superano la fatidica “quota 2000”. Tra queste, il Monte Cusna (2120 m), noto anche come “il gigante che dorme” per il particolare profilo che assume il suo crinale, ed il Monte Prado (2054 m), caratterizzato da ampie e verdeggianti praterie nel versante toscano, mentre in quello settentrionale ospita il modesto ma suggestivo specchio d’acqua del Lago Bargetana di antica origine glaciale. Dopo una generosa e quantomeno inaspettata nevicata notturna, la mattina di Dati di scatto Pasqua di 2 anni fa, in prossimità del Rifugio Cesare Battisti, ho trovato questo Corpo macchina: Canon IXUS 310 HS scenario da disgelo al Lago Bargetana. Mi sono abbassato vicino al pelo dell’acqua Obiettivo: Canon 4.3-18.8 mm (equivalente a 24-105 mm su formato pieno) 1:2.0-5.8 per inquadrarne, con l’ottica grandangolare, parte della superficie liquida e parte di IS quella ghiacciata. Sia il primo piano che lo sfondo, con lo sperone roccioso di Monte Diaframma: f/5 Cipolla che si innalza per “toccare” le nuvole, sono a fuoco grazie, più che alla chiusura Tempo di scatto: 1/250 s Sensibilità ISO: 100 del diaframma, alla piccola dimensione del sensore della mia compatta Canon. Ho Compensazione esposizione: -1/3 scattato a mano libera. Importante: se e quando volete uscire a fotografare in queste Lunghezza focale: 4.3 mm del bianco: nuvoloso condizioni meteo, caricate completamente le vostre batterie perché il freddo intenso Bilanciamento Scatto a mano libera ne accorcia velocemente la durata della carica! Buone foto a tutti! No flash 6 In primo piano: Bologna e i sogni di roccia ROCCA DI CAVRENNO arrampicatori in Appennino Benito Modoni (Benni), scopritore della falesia insieme a Luigi Zuffa di Elisabetta Dell’Olio Di recente sono stati effettuati alcuni interventi di manutenzione logistica e di riattrezzatura di molti itinerari, grazie all’incessante lavoro di persone come Fabrizio, Paolo e Marco e dei ragazzi di Progresso Verticale (Castelmaggiore) che hanno anche realizzato un sentiero curatissimo che porta all’attacco dei monotiri. Il tutto sia grazie all’autofinanziamneto, sia grazie alla Polmasi con la quale è stata organizzata una gara di arrampicata che ha visto la parecipazione della palestra di Padulle. Il costo dell’iscrizione alla gara (2,5 euro) ha finanziato qualche chiodatura, tra cui “Fixami per sempre” che era anche il nome della gara. Alcuni lavori di pulizia sono stati fatti anche dal Cai di Imola. Valorizzati anche due nuovi settori fino a poco tempo fa ancora vergini. Su uno di questi, il Pilastro Nascosto, è stata tracciata una via non ancora liberata, che pare sia un bellissimo 8a. In progetto ,altre realizzazioni. Nelle vicinanze del passo della Raticosa, al confine tra l’Emilia Romagna e la Toscana, si trova la falesia del Rocchino che è un caratteristico sperone di roccia alloctono di calcare a calpionelle (fossili) con numereso vene argillitiche, che spunta dai dolci colli dell’Appennino tosco-emiliano. Scoperta dai mitici arrampicatori bolognesi Benito Modoni (Benni) e Luigi Zuffa intorno al 1956, grazie alla famiglia di Benni, che per motivi di salute affittò una casa in quella zona, la Rocca di Cavrenno, ora conosciuta come il Rocchino, diventò un sito per arrampicatori su cui, dopo un’accurata pulizia, vennero tracciate alcune vie in libera. Poi il CAI di Loiano tracciò una via in artificiale ed una ventina di anni dopo un arrampicatore locale chiodò un 7a. Negli anni successivi il Rocchino fu quasi abbandonato, fino a che, circa 20 anni fa, alcuni appassionati arrampicatori della zona decisero, per passione e divertimento, di rivalutare questo scoglio di roccia, chiodando nuove vie di difficoltà variabile, dal 4 al 7c. 7 Il Rocchino è quindi indicato per arrampicatori principianti e non. Nonostante ci sia una prevalenza di vie di placca, non manca qualche posto strapiombante per mettersi alla prova contro la forza di gravità. Il Rocchino si può scalare da ogni parte e la via più alta è di circa 35 metri. A causa dell’altitudine, 1000 metri circa, e del tempo spesso ostile, questa falesia è particolarmente indicata per le torride giornate estive,in altrenativa alla Rocca di Badolo. Spesso il venticello fresco, che spira frequentemente in quella zona, ritempra lo scalatore, che dalla torrida Bologna estiva si ritrova a scalare al Rocchino, magari con un felpa addosso!!! La roccia purtroppo non è sempre compatta e richiederebbe una maggiore manutenzione per rendere le pareti più sicure evitando la caduta, a volte inevitabile, di pietre smosse dagli arrampicatori durante le scalate, ciò non toglie che la chiodatura sia davvero molto ravvicinata e quindi sicura, e un intelligente uso del caschetto, con un sapiente uso delle manovre permette un’arrampicata del tutto serena. Ricordiamo a tutti coloro che volessero andare a scalare al Rocchino, di essere sempre rispettosi dell’ambiente circostante, specie perché il terreno sul quale si erge la falesia , è di proprietà privata. Buon divertimento!!! Ringrazio Fabrizio e Paolo per le preziose informazioni e per le splendide fotografie , i ragazzi di Monghidoro (tra cui Marco, che ha chiodato alcune tra le più belle vie della parete sud). Fonti: falesie.it ed Evoluzione Verticale.org veduta del Rocchino Accesso Il valico appenninico del Passo della Raticosa è raggiungibile comodamente sia dal versante toscano sia da quello emiliano. Si tenga come riferimento la direttrice della SS. 65 della Futa. Raggiunta la Raticosa scendere in direzione di Monterenzio. Dopo circa 1 Km. si vedranno a sx le indicazioni per Cavrenno (stradina asfaltata). Parcheggiare “con cura” (NON sul campo adiacente!) sulla dx della carreggiata e prendere un’evidente sentiero fino alla sella tra il Rocchino e un altro scoglio roccioso. Sconsigliato il periodo invernale, a causa dell’altitudine (880 mt. circa) e del vento. In estate, invece, il luogo è veramente godibile! Itinerari su tutti i versanti aiutano a trovare la più idonea esposizione. parete sud 8 In primo piano: Bologna e i sogni di roccia Le Ofioliti tra i Passi della Raticosa e Futa di Ezio Albertazzi Rocca di Cavrenno, Sasso di San Zenobio, Sasso della Mantesca, Sasso di Castro, Monte Beni… nomi più o meno noti di rocce che in alcuni casi costituiscono delle curiosità per le loro diversità dal paesaggio circostante. Sassi conosciuti per lo più con il termine popolare di “pietre verdi” per il colore predominante del serpentino, da cui il nome scientifico dal greco ofio, serpente e lito, roccia. Rocce eruttive metamorfiche, sezioni di crosta oceanica e del sottostante mantello che presumibilmente nel Giurassico sono state sollevate e/o sovrapposte alla crosta continentale, fino ad affiorare. Le ofioliti sono uno dei tanti tesori ambientali dell’Appennino tosco-emiliano. Relativamente rari nel panorama regionale, gli affioramenti ofiolitici, ricchi di fascino per la loro aspra bellezza, variano da blocchi di piccole dimensioni a corpi rocciosi di estensione chilometrica, con spessori anche di centinaia di metri. In Emilia-Romagna sono particolarmente concentrate in prossimità del confine con la Liguria Orientale. In questo settore, ma non solo, costituiscono una serie di singolarità geologiche che rivestono notevole interesse scientifico, paesaggistico e naturalistico, tali da essere riconosciute come beni culturali o siti d’interesse comunitario. I già citati Monte Beni e Sasso di Castro si ergono sino a quasi 1300 metri d’altitudine, nei pressi del paese di Covigliaio (FI) e sono integrati nell’Area Protetta gestita dal Comune di Firenzuola. Nella storia di questo territorio, che ha visto incrementare il traffico di merci e genti a partire dal tardo XIII secolo, hanno avuto parte importante nella difesa La valle dell’Idice dal Passo della Raticosa delle vie di comunicazione tra Firenze ed il Nord Italia; nella seconda metà del secolo scorso, con lo sviluppo dell’attività estrattiva del minerale contenuto nelle rocce ofiolitiche, hanno dato lavoro a tanti e, purtroppo, la morte ad alcuni dovuta alle fibre di asbesto. Molto prima che lo scoppio delle mine di cava sconvolgesse la pace di questi luoghi, alcuni monaci solitari avevano eletto a sede della loro piccola comunità eremitica il Sasso di Castro, erigendovi alle pendici una chiesa ed un romitorio: l’eremo di San Donnino. Probabilmente anche a causa di ripetuti crolli di massi, in tempi non certi, l’eremo fu abbandonato e non ne è rimasto altro ricordo che poche pietre dove sorgeva e due campanelle, collocate nelle chiese locali, una delle quali riporta un’iscrizione che attribuisce l’eremo al monastero di Settimo. Un luogo tale che incuriosisce per tipicità, storia e fascino non poteva non attrarre due vecchi escursionisti con animo bambino quali siamo l’amico Paolo ed io, così lo scorso anno ci siamo messi in testa di realizzare un percorso ad anello che, passando dall’eremo, unisse le due cime. La realizzazione non appariva facile poiché alle due estremità Nord e Sud del sito, due cave ormai chiuse avevano per anni rosicchiato i fianchi delle due montagne, cancellando o interrompendo ogni traccia di precedenti sentieri, ma con cocciutaggine, ripetuti passaggi, errori, ripensamenti, sudore e panini, siamo riusciti nel nostro intento ed ora lo affidiamo a queste pagine perché altri ne possano godere. 9 L’escursione tra le ofioliti: un sentiero ritrovato Partenza da Covigliaio (lungo la statale della Futa). A lato della macelleria (possibilità di parcheggio di fronte) sale una stradella che si abbandona dopo poche decine di metri, per salire a sin. Seguendo l’indicazione per l’eremo. Si sale a mezza-costa tenendo la sinistra ai successivi bivi, fino a salire, tra rocce scure, allo spiazzo dov’era l’eremo. Volgendo ad esso le spalle, si scende a sin. con alcuni ripidi gradini, avendo come obiettivo la strada statale che dall’alto avevamo circa seguito e ancora troviamo sotto il sentiero; raggiuntala ci dirigiamo a Sud seguendola per meno di un kilometro. Si supera un vecchio accesso alla cava abbandonata a dx. e si giunge ad una casa in evidente abbandono, all’angolo di una stradella che sale aggirando il piano di cava, attraversa la strada d’accesso più recente, un boschetto ed ancora sale sino ad un pianoro dove si trova una fonte: la fontana dell’Amore. Da qui si diparte a dx. un sentiero, non sempre evidente, che porta alla cima del Sasso di Castro (piccolo pianoro erboso e croce). In direzione Nord si segue tra gli alberi la cresta sino a raggiungere una conca a sin. poco alberata e con un pendio che consente di scendere senza pericolo, per arrivare ad una sterrata che si seguirà a dx. ancora in direzione Nord. La sterrata costeggia il versante occidentale del Monterosso e prosegue quasi in linea retta. All’altezza di un traliccio, un cancello (apribile) in filo spinato, indicherà che siamo sul giusto percorso; poco dopo appariranno le cime del Monte Freddi e Monte Beni. La sterrata che nel frattempo è divenuta un sentiero, confluisce in una strada da seguire a sin. fino alla sella tra i due monti, da dove a sin. della recinzione di un edificio, inizia il sentiero di salita alla cima rocciosa e spoglia del Monte Beni; detto sentiero occorrerà ripercorrerlo in discesa per tornare alla strada che, sempre scendendo, ci riporterà a Covigliaio. Lunghezza km. 15 Dislivello m. +880 -883 Difficoltà: media (E) Durata circa ore 5 soste escluse APPUNTAMENTO CON LE VIE DEI MONTI 8 maggio/4 giugno - Cinema Lumière 10 Maggio è alle porte e con esso tornano Le vie dei monti: 4 serate e 6 film in prima visione cittadina animeranno la rassegna nata grazie alla sinergia tra CAI di Bologna, Cineteca e Trento Film Festival. Alcuni tra i temi più attuali nel mondo della montagna verranno declinati tramite storie e testimonianze provenienti da tutto il mondo. Si apre l’8 maggio con la ricostruzione del disastro del K2 nel 2008 rappresentata in The Summit, giovedì 21 si parlerà delle conseguenze della Grande Guerra sulle popolazioni che vivevano nei pressi della linea del fronte con L’albero delle trincee della coppia Scillitani / Rumiz. Giovedì 28 invece è interamente focalizzato su uno dei temi più gravi e centrali degli ultimi anni, l’acqua, attraverso due straordinari documentari: Chasing Ice e Watermark. La rassegna si conclude il 4 giugno con due testimonianze provenienti dal mondo delle spedizioni himalayane, 40 days at base camp e Pura vida. La rassegna si terrà presso il Cinema Lumière di Via Azzo Gardino 65, Bologna. L’avventura al cinema BANFF Film Festival di Elisabetta Dell’Olio Il BMFF World Tour 2014 è approdato anche in Italia: con 12 tappe nelle principali città italiane per 12 serate spettacolari. Due ore ad alta intensità con otto film pieni di avventura, dall’arrampicata sportiva al freeride, dal base jumping all’alpinismo, con le immagini inedite dell’incredibile aggressione subita da Simone Moro e i suoi compagni di spedizione a 6.000 metri sulle pendici dell’Everest ad opera di un gruppo di sherpa inferociti. A Bologna il 10 marzo, presso il cinema-teatro dell’Antoniano, un folto a appassionato pubblico di sportivi e non ha potuto godere delle spettacolari immagini di imprese sportive compiute nella cornice di una natura incontaminata, tra montagne, lagni, fiumi e deserti, un concentrato di emozionanti e coinvolgenti video mozzafiato!!! Nella serata è intervenuta la guida alpina e alpinista Alessandro Gogna che ha introdotto e dato il via alla rassegna cinematografica. Il programma dei film è su www.banff.it. Uno speciale ringraziamento va alla organizzatrice del Festival italiano: Alessandra Raggio. Ci auguriamo di vedere tanti film di montagna anche nel 2015! Banff è una cittadina della regione dell’Alberta, in Canada. 6.700 abitanti a 1.463 metri si altezza, tra le montagne del Banff National Park. Un posto ameno, famoso per essere il comune più alto del Canada, per le sue vie e negozi specializzati ferquentati dai più strampalati amanti dell’outdoor e, soprattutto, per il BMFF, il Banff Mountain Film Festival, la più importante e prestigiosa rassegna di cinema di montagna (e outdoor in genere) del mondo. Il programma della “più grande festa dei film e dei libri di montagna” ha visto negli anni passare le testimonianze di autori, registi, alpinisti, climber ed esploratori dei più celebri (tra questi anche Sir Edmund Hillary, il conquistatore dell’Everest, lo scrittore Jon Krakauer, Riccardo Cassin e Reinhold Messner). La 38ma edizione del BMFF si è tenuta tra il 26 ottobre e il 3 novembre 2013: 9 intense giornate hanno animato l’intera cittadina di Banff, con il coinvolgimento attivo della popolazione locale e la partecipazione di numerosi ospiti, relatori e spettatori provenienti da ogni angolo del mondo. Ogni anno sono oltre 300 i film, in concorso e non, che vengono esaminati dai membri della commissione internazionale. Tra questi circa 100 sono presentati al pubblico. Di varia durata e soggetto, dai corti più “corti” di pochi minuti ai lungometraggi dei più importanti registi e case di produzione di settore, le proiezioni comprendono anche diversi film in anteprima mondiale o nazionale. Come si chiude il sipario a Banff, prende il via il World Tour tra Canada, Stati Uniti e altri 44 Paesi, 820 serate in circa 500 sedi, con la partecipazione di oltre 300.000 spettatori. Raggio, Gogna e uno dei giovani coinvolti nello staff 11 K2, SOGNO VISSUTO ricordo di Mario Fantin a 60 anni dalla storica impresa italiana di Vinicio Ruggeri A Mario Fantin sono intitolate, a Bologna, la Sezione del Club Alpino Italiano e una strada traversa di via Marco Polo, ma in pochi lo conoscono e ancor meno conoscono la sua opera. Viene ricordato per essere stato il fotografo e cineoperatore ufficiale della spedizione italiana, prima al mondo, che conquistò il K2 nel 1954. In quell’epoca il nostro Paese, uscito sconfitto dalla guerra, riservava una attenzione ed una aspettativa particolari verso l’alpinismo: in una clima culturale che ancora non si era liberato dalla retorica fascista, l’impresa italiana guidata da Ardito Desio fu il veicolo per riaffermare l’orgoglio nazionale e per restaurare una immagine internazionale dell’Italia piuttosto deteriorata. La vicenda della spedizione italiana al K2, si sa, fu molto controversa; il ruolo di Ardito Desio, autoritario capo spedizione anch’esso sopravvissuto al fascismo con una predilezione verso chi lo seguiva acriticamente, portò in vetta Lacedelli e Compagnoni, sacrificando l’immagine di Bonatti, riabilitato soltanto dopo decenni, dopo aver rischiato di sacrificarne la vita stessa. E questa è ormai storia nota. Fantin si tenne un po’ discosto da queste dinamiche, concentrandosi sul suo lavoro di reporter, portato avanti magistralmente con attrezzature ben diverse da quelle odierne e nelle condizioni proibitive dell’alta montagna. Seguì la spedizione fino ai 6.500 metri del campo 5, riprendendo la progressione dei compagni mentre lui stesso doveva avanzare, badando alla sua sicurezza, senza poter fermare in posa i protagonisti, lavorando con le mani gelate sugli strumenti gelati. Oltre al suo libro “K2, sogno vissuto”, da quel lavoro fu ricavato “Italia, K2”, un film che sembra un “amico di Gioele” (ricordate i pupazzetti divisi in due pezzi, che potevano essere rimontati mettendo, che so, il busto di un coccodrillo sulle zampe di una gallina?). Nel film, prodotto da Fantin, asciutto, professionale e di grande impatto, fu infatti giustapposta dal regista Marcello Baldi una prima parte girata in Italia piena di retorica 12 sulla “conquista dell’alpe” ed un analogo parlato composto da Igor Man, che poi divenne un ottimo giornalista ma che allora, diciamo, doveva ancora crescere. Per diventare membro della spedizione Fantin dovette reiterare più volte la domanda e solo dopo diverse esitazioni fu accettato da Desio. Fantin aveva 33 anni all’epoca della spedizione, e, alle spalle, una storia anche drammatica. Fin da ragazzo dimostrò una grande curiosità per il mondo ed una propensione all’esplorazione. Adolescente, figlio di friulani immigrati a Bologna a vender lame, esplorò le grotte dei Gessi ed i Bagni di Mario, fuori porta D’Azeglio, luoghi allora quasi dimenticati dai bolognesi, traendone fotografie con la Leica del padre e schizzi di suo pugno. Frequentò la scuola per ragionieri, riportandone un rigore mentale che, vedremo, mantenne anche nel suo modo di andare in montagna. Nel ‘41 andò in guerra in Montenegro con il grado di tenente. L’8 settembre ‘43, con i suoi soldati, rifiutò l’alternativa tra Repubblica di Salò e prigionia nazista ed entrò nella divisione Garibaldi, fedele al governo del re; fu ferito e si ammalò di tifo; vide da vicino i consueti orrori che ogni guerra reinventa e ne rimase profondamente segnato. Fu congedato nel maggio ’46, dopo oltre un anno di convalescenza, di cui lasciò un diario, mai pubblicato, dove traccia un’implacabile accusa contro i responsabili della tragedia italiana. Ristabilitosi, si iscrisse al CAI nel dicembre 1946, frequentò corsi di roccia e ghiaccio e cominciò a salire le montagne, anche per lenire le sue sofferenze interiori e ridare un senso alla vita, ritrovando nei compagni di cordata una umanità positiva e solidale. Continuava a coltivare la passione per la fotografia, portando sempre nelle sue uscite prima la macchina fotografica, poi la cinepresa, e costruì i primi documentari a carattere naturalistico. È a questo punto che si inserisce l’esperienza del K2. Tornato in Italia continuò a frequentare montagne con la cinepresa e a costruire film in piena e totale solitudine: riprendeva, montava, metteva titoli di Scrisse centinaia di lettere ad alpinisti di tutto il mondo, chiedendo materiali ed informazioni che raccoglieva e catalogava. Da solo. E a sue spese. Offri il materiale raccolto al CAI di Bologna e al CAI centrale, chiedendo sostegno anche finanziario, per portare avanti il suo centro di documentazione, che chiamò CISDAE (Centro Italiano Studio e Documentazione Alpinismo Extraeuropeo). Il suo lavoro era di sicuro interesse, ma non c’erano risorse per finanziarlo. Sempre più solo e sfiduciato, forse convinto di essere malato, si tolse la vita nel luglio 1980 a 59 anni. Il CAI recuperò poi il CISDAE, che oggi ha sede a Torino, presso il Museo della Montagna, e svolge un’opera importante per l’alpinismo, come Fantin aveva intuito. Le sue opere, decine di film e di libri, sono ormai sconosciute ed introvabili, a meno di qualche copia, ancora al Museo della Montagna. Qualche vecchio socio, che l’ha conosciuto, sta cercando finanziamenti per realizzare un film ed un documentario sulla sua vita. Progetto molto interessante, ma non ci sono ancora le risorse necessarie per realizzarlo. Noi, intanto, lo vogliamo ricordare con molto affetto e riconoscenza. testa e di coda, costruiva la colonna sonora ed il parlato. E vinceva premi al Trento film Festival e dovunque presentasse il suoi lavori. Fece molte spedizioni, al seguito di Guido Monzino, magnate appassionato di montagna ed esplorazioni: dalla Groenlandia al Sahara, dall’Asia all’America latina, sempre riportando filmati e materiali di ogni genere, oggi sparsi in diversi musei: sculture in legno dall’Africa, ceramiche dall’Asia, e sete, e altro ancora. Raccoglieva e catalogava tutti i materiali delle sue spedizioni, anche i più apparentemente insignificanti come il biglietto della nave o il menù del ristorante. E appunti, e schizzi, e cartografie, e dati e fotografie sulle ascensioni, sui viaggi e sulle popolazioni. Faceva film e scriveva libri, costruendo da solo i menabò. Raccoglieva e catalogava tutto meticolosamente, si definiva un “ragioniere dell’alpinismo italiano extraeuropeo”. Ma i suoi film ormai non vincevano più premi, superati da prodotti più professionali. Ebbe tuttavia una intuizione: si stava diffondendo la pratica delle spedizioni internazionali e Fantin pensò che raccogliere i materiali documentali man mano che queste si realizzavano sarebbe stato utile anche per offrire un servizio alle spedizioni successive. POMPILI SUL K2 PER IL 60° Campo base K2 Fantin è il secondo accosciato da sinistra L’alpinista bolognese Giuseppe Pompili sta organizzando per il prossimo giugno una spedizione che tenterà la scalata del K2 in occasione del 60-esimo anniversario della prima salita di Lacedelli e Compagnoni. Si tratta del suo terzo tentativo al K2. 13 Pedalate oceaniche In viaggio lungo la Vélodissée di Claudia Antonini e Vinicio Ruggeri A volte succede che, a causa di una storta, di un menisco che protesta o di un piccolo intervento al piede, non si possano calzare gli scarponi e andar per sentieri. Che fare allora? Un soggiorno geriatrico in una amena località montana, con buona scorta di libri, alla nostra età comincia ad esercitare un certo fascino ... ma non è ancora l’ora! Ci soccorre la bicicletta: si fa esercizio fisico senza forzare le stanche ossa e, scegliendo con cura l’itinerario, si possono avere grandi soddisfazioni. Già, l’itinerario! All’inizio abbiamo pensato alla ciclabile del Danubio: fatto il tratto tedesco, ci manca quello austriaco. Poi, Vienna non la vediamo da decenni.... Ma che barba! Abbiamo 12 giorni disponibili, vogliamo osare un po’ di più e ci mettiamo in cerca. La Rete (ormai ci vuole la R maiuscola!) ci aiuta ancora una volta e troviamo una roba che noi in Italia ce la scordiamo: la Vélodissée, un percorso ciclabile lungo 1.400 chilometri, quasi tutti in sede protetta, che parte da Roscoff, taglia le brughiere bretoni e poi costeggia l’Atlantico giù giù fino 14 a Hendaye, al confine con la Spagna sul golfo di Guascogna (e ci sarebbe anche un prologo in Cornovaglia!). C’è solo l’imbarazzo della scelta. I ciclisti che si divertono solo se ci sono salite la scarterebbero con una smorfia di disgusto, ma a noi, innamorati della Francia e dell’oceano, ci prende subito. Carichiamo le bici sul camper e si va! Il viaggio è lungo, al ritorno avremo totalizzato 3.500 chilometri, ma ne sarà valsa la pena. Scegliamo l’area da “battere”: scartata la Bretagna (che molto amiamo e a cui vorremmo dedicare presto un altro viaggio) andiamo da Nantes (dove troviamo carte e guide) a La Rochelle, comprese l’isola di Noirmoutier e l’Île de Ré. Abbiamo pedalato tra allevamenti di ostriche (te le tirano dietro: ne abbiamo comprate a 3,50 euro al chilo, e poi le degustazioni, con un bicchiere di muscadet e pane imburrato), piccole saline (veri e propri campi coltivati a sale, con la baracchina della vendita piazzata su un lato), zone umide protette dalla convenzione di Ramsar, fari, coste rocciose, spiagge sabbiose sterminate dove abbiamo fatto il bagno giocando con le onde, maree che coprono e scoprono chilometri di spiaggia, la strada per l’isola di Noirmoutier che si può percorrere solo con la bassa marea, perché con l’alta marea va sotto anche di 4 metri.... E, sulla via del ritorno, un passaggio a Bordeaux e a Montbazillac, per le solite scorte di bevande e scatolame (va be’ … rosso di St. Emilión, bianco passito e fois gras, bisognerà pur godersi un po’ la vita!). La Vélodyssée: un tour sull’Atlantico È il percorso ciclabile più lungo di Francia, un viaggio straordinario alla scoperta dei tesori delle regioni atlantiche. Copre più di 1200 km in Francia e 159 in Inghilterra, dalla costa atlantica della Bretagna fino al confine con la Spagna. Il mare non è mai molto lontano e si sviluppa all’80% su tracciati lontani o protetti dalle auto. È supportato da mappe e informazioni anche interattive, consultabili nel sito dedicato, per cui è possibile pianificare in modo autonomo la propria Vélodyssée lungo i suoi 15 segmenti. Costituisce un tratto dell’Eurovelo 1 (il primo dei 14 percorsi ciclistici che costituiscono la rete Eurovelo), che va da Capo Nord, in Norvegia, all’estremità sud-occidentale dell’Europa, il Capo di San Vincente in Portogallo. Si interseca anche con Eurovelo 4 e 6. http://www.lavelodyssee.com/ e http://www.eurovelo.org/ 15 Concerto del 26/10/2013 nella Chiesa di San Lorenzo a Torino durante il concerto in occasione dei festeggiamenti del 150° anniversario del CAI I RAGAZZI DEL CORO di Renato Tonelli Venite al prossimo concerto? L’invito è rivolto a tutti gli amici e a quelli del CAI Bologna in particolare. Perché sono dei nostri, o siamo noi ad essere dei loro, che è la stessa cosa. Il coro CAI Bologna fa parte della Sezione Fantin dal lontano 1955, questo significa che l’anno prossimo festeggerà i 60 anni di attività, e in grande stile, ma prima ancora significa un gruppo numeroso che porta in giro il nome della nostra sezione, con grande soddisfazione: concerti un po’ dappertutto, con prevalenza per le nostre zone emiliane, ma l’attività si è spinta ben più lontano. Tra le ultime uscite quella per i festeggiamenti nazionali dei 150 anni del CAI a Torino, nell’elegante atmosfera da vecchia nobildonna di quella che fu la Capitale Sabauda. Solo 12 i cori invitati da tutta Italia, il 26 e 27 ottobre. Il CAI Bologna ha cantato nell’atrio del Teatro Regio, nella chiesa dei Savoia, nella Galleria Sabauda e nella centralissima piazza San Carlo. E la settimana prima c’era stato il concerto a Bovisio Masciago, provincia di Monza Brianza, poco più avanti Modena per il CAI locale, e diverse uscite in zona tra cui quella a San Paolo di Ravone, la parrocchia più popolosa di Bologna. Non è un lavoro e i 28 coristi che compongono la formazione attuale non sono professionisti, non lo è nemmeno il “maestro del coro”, cioè il direttore, Umberto Bellagamba; è piuttosto una passione da vivere una sera alla settimana, per le prove, e ogni tanto anche per i concerti. «E ci divertiamo molto 16 più che a guardare la televisione» ricorda sempre Renato Tonelli, segretario incaricato di presentare i brani. Perché non sono solo “canzoni” ma atmosfere da vivere e qualche spiegazione aiuta ad entrarvi: un conto è sapere che “Belle Rose” ¬– il brano bandiera del coro – è la storia di una pastorella invitata dal signore di passaggio, e un altro conto è viverla sapendo che nel film “Italia K2“ è la colonna sonora delle riprese in cui è documentata la morte di Mario Puchoz nel corso della conquista da parte degli italiani, nel 1954, della seconda vetta del mondo, filmate proprio da quel Mario Fantin cui è dedicata la sezione bolognese del CAI. Oppure, sapevate che “Signore delle Cime” nacque in memoria dell’alpinista Bepi Bertagnoli, scomparso durante un’escursione nell’alta Valle di Chiampo? Il repertorio è molto vasto, si canta sempre musica popolare a quattro voci (tenori primi, tenori secondi, baritoni e bassi) ed a cappella, cioè senza strumenti in accompagnamento, e contrariamente a quanto avviene per la musica sacra e la musica classica le partiture vengono mandate a memoria e non si tengono sott’occhio; ma ora non sono più solo canzoni di montagna. Lo erano negli anni del dopoguerra, quando un gruppetto di amici si trovavano per cantare ospitati nei locali di un ristorante di via Riva Reno che oggi non c’è più. Allora solo i brani della SAT (Società Alpina Tridentina) diretta dal maestro Pedrotti, che questo modo di cantare lo aveva inventato assieme ai tre fratelli, negli anni Trenta. Dopo qualche tempo, nel 1955, i nostri bolognesi vennero invitati da un socio del CAI ad entrare nella sezione, cosa che fecero volentieri e che dette loro una sede stabile, e da allora l’avventura è andata avanti. Talvolta con belle soddisfazioni, come l’amicizia con importanti musicisti del calibro di Paolo Bon e Giovanni Veneri, i quali hanno armonizzato o dedicato al coro CAI Bologna alcuni lavori; o come la partecipazione a importanti rassegne corali e concorsi che ha portato grosse soddisfazioni, in particolare quella all’evento nazionale di Ivrea in cui sono arrivati quattro primi posti e un secondo su cinque partecipazioni. Ma non è per vincere che si canta: è per il piacere di farlo, e di farlo bene, con sincronismo, con le coloriture (i volumi più o meno alti) giuste e la delicatezza necessaria. Questione di scrupolo, precisione e allenamento, oltre che di passione; perché contrariamente a quanto si è soliti pensare non ci sono persone stonate ma solo persone che non conoscono la semplice tecnica del canto. Se qualcuno si vuol cimentare, o semplicemente vuole dare una sbirciatina alle prove, senza impegno, per rendersi conto, basta contattare il segretario (cell 333-7231132). Anche perché se si vuol proseguire e continuare a tramandare questo tipo di cultura occorre che nuovi coristi entrino a far parte del gruppo. È sufficiente essere intonati, avere passione e partecipare una volta alla settimana alle prove; il maestro fornisce tutti gli strumenti necessari per imparare, non è difficile. Futuri coristi, vi aspettiamo numerosi. Per chi invece si “accontenta” di ascoltare, sul sito del CAI Bologna (http://www.caibo.it/cms/ gruppi-e-commissioni/i-gruppi/il-coro.html) vengono sempre riportate le date dei concerti; tra gli appuntamenti più importanti quello della seconda settimana di giugno nel chiostro del convento dell’Osservanza, a Bologna, tradizionale chiusura prima della sosta estiva, in un’atmosfera particolarmente evocativa. Ma per chi proprio non ce la fa è in preparazione il secondo album del coro, in DVD, che sarà pronto per i festeggiamenti dei 60 anni. Surrogato di un concerto dal vivo, certo, ma un surrogato di buona qualità. Un giorno tra i castagni di Castel del Rio Oggi sono andata nel bosco; avevo una giornata “di aria” e sono andata, da sola. Scarponi, zaino in spalla, e ho imboccato un sentiero non segnato CAI che si inoltra tra i centenari castagni di Castel Del Rio, giochicchiando con carta e bussola. Un po’ conosco la zona, anche se non benissimo, ma ci prendo gusto e mi inoltro sempre di più. Tra poco dovrei trovare una fonte, eccola. Tra un chilometro c’è il bivio per la cima, eccolo. Poi dovrò sistemare l’allacciatura degli scarponi perché mi aspetta una lunga discesa fino al rio, dove dovrebbe esserci un ponticello. Se in quel punto il sentiero fosse troppo invaso dalla vegetazione ho individuato, sulla carta, una possibile alternativa. Gli alberi ancora senza foglie mi permettono di vedere il catino di nebbia che avvolge la valle: ma cosa state a fare tutti lì dentro che qui c’è un paradiso gratis? Non serve l’orologio per sapere che è ora di pranzo, me lo dice il sole, me lo dice lo stomaco. Mi son divertita come una bambina, davvero. Lo so, sono retorica e noiosa: la primavera, i fiorellini, gli uccellini … Ma lasciatemelo dire, è andata proprio così. Una giornata invernale decisamente indulgente, un po’ anomala d’accordo, io me la sono goduta. E le cince, i bucaneve, le primule, i fringuelli, le polmonarie, le scille, e le viole, che non guardano al calendario ma seguono il ritmo della natura, mi hanno regalato il privilegio di uno spettacolo speciale, in esclusiva: tutto per me. Dopo sei ore di cammino è normale sentire la fatica, ma è una fatica buona, non certo come la nobile fatica di chi questi boschi ha attraversato per lavoro, per bisogno o per la guerra, ma è comunque una fatica onesta ed il sentimento mio, ora, è di riconoscenza: verso la natura, certamente, che continua a regalarmi tante emozioni, ma anche verso il CAI che ha lanciato il sasso e mi ha dato gli stimoli giusti. Certo dopo io ci ho messo impegno e, col tempo, ho acquisito l’esperienza sufficiente a muovermi in autonomia. Tra pochi giorni partiranno due corsi di escursionismo base: uno a S. Lazzaro di Savena ed uno in sede. E’ vero che a camminare si impara da bambini, ma credetemi: camminare con tranquilla consapevolezza è un’altra cosa ed il tempo investito ai corsi CAI è tempo speso bene. Contributo di una “vecchia” corsista 17 CICLOCAI Pubblichiamo le foto vincitrici del concorso fotografico e annunciamo il prossimo appuntamento con il 1° Concorso Fotografico Interclub! ^ 1° cat. SPORTIVA – FABIO BORSARI (C.A.I. Bologna) < 1° cat. PAESAGGISTICA – FABIO BORSARI (C.A.I. Bologna) v 1° cat. RITRATTO – PRIMO VALMORI (C.A.I. Lugo) v PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA foto fuori concorso – IVAN FERRETTI 18 COOPERATIVA PAESE La mia rubrica “Un passo dopo l’altro” in questo numero vuole dedicare un attimo di riflessione al tema dell’abbandono delle nostre terre alte e in generale all’occupazione giovanile in montagna. In particolare la proposta che vi sottopongo è legata ai borghi del nostro Appennino. Si tratta di luoghi dal profondo valore ambientale e culturale che a causa della mancanza di servizi e delle difficoltà ambientali appaiono oggi abbandonati e disabitati, se si fa eccezione per i fine settimana ed il periodo estivo più intenso. L’idea è quella di dare occasioni di lavoro ai giovani che potranno essere formati ad una cultura dell’accoglienza e della gestione di servizi turistici. Il primo step di questo proposta consiste nel monitoraggio e la descrizione analitica di tutte queste aree un tempo abitate, che possono, a nostro giudizio, tornare ad essere scelte da giovani nuclei familiari come sede delle proprie attività lavorative e residenziali, a patto di attivare alcuni servizi fondamentali, servizi che se verranno gestiti con attenzione possono essere un’importante occasione di impiego per i giovani interessati a vivere in montagna, è l‘idea della COOPERATIVA PAESE. Descrivo una situazione simile a tutti i borghi e nuclei abitativi delle terre alte: in tutte queste località un tempo c’erano negozi e spacci alimentari, che sono stati chiusi perché i gestori non riuscivano più a stare aperti 10 ore al giorno per servire tre quattro clienti; figli e nipoti hanno così cominciato a portare le provviste per i genitori o i loro parenti comprando le derrate negli ipermercati cittadini molto più economici dei negozietti della montagna. Anche i bar venivano frequentati solo da pochi anziani che facevano venir sera con un caffè al mattino e un bicchier di vino al pomeriggio, di conseguenza di Marco Tamarri anche questi esercizi hanno cominciato a tirare giù le serrande. Per affrontare questi problemi che hanno naturalmente come conseguenza anche il degrado del territorio, l’idea è quella di costituire cooperative di servizi con personale qualificato, che può trovare risposte abitative più concrete e più economiche rispetto ai centri cittadini, per non parlare della qualità della vita e dell’ambiente rispetto alle nostre caotiche città. E’ necessario un nuovo approccio alle attività lavorative ad esempio possono nascere figure professionali con compiti molto variegati, forse alcuni esempi possono essere utili : al mattino portare i bambini a scuola, poi passare in farmacia a prendere le medicine ordinate dal medico ai residenti del borgo, al pomeriggio lavorare magari alle piccolo aziende agroalimentari che possono nascere con particolare attenzione ai prodotti che il territorio può offrire (formaggi, ortaggi coltivati in quota, prodotti del sottobosco ecc ecc). Questo è solo un esempio, un altro ambito in cui la cooperativa paese può gestire i propri servizi sono le aperture di B&B, agriturismi, fornire guide ambientali per le escursioni, gestire piazzole per i campeggiatori che scelgono il treking per le loro vacanze, e ancora guide per i percorsi invernali con le ciaspole o la montain bike in estate. Il nostro territorio è ideale per queste pratiche sportive e il mercato turistico vede in questo segmento un settore in grande espansione con una forte internazionalizzazione dell’offerta. Per poter procedere è fondamentale anche monitorare tutte le strutture pubbliche un tempo funzionanti per verificare se è possibile di adibirle come sedi o centri servizi delle cooperative paese, penso alle ex scuole o agli uffici postali. Infine sarà fondamentale stabilire protocolli e modalità operative con tutti quei soggetti che hanno il compito di promuovere il nostro territorio, in particolare penso ai volontari, veramente numerosi e spesso qualificati, che prestano la loro attività presso le Pro Loco. Gli animatori delle future cooperative paese potrebbero coordinare le attività di queste pro loco e organizzare in modo sistematico, con una forte attenzione alla definizione di pacchetti turistici, gli eventi le sagre le feste tradizionali, da sempre realizzate, anche, attraverso il loro volontario dei soci delle diverse pro loco, a tal proposito un dato può farci riflettere nei 13 Comuni della montagna bolognese sono operanti oltre 60 pro loco, un vero esercito che può essere gestito e coordinato con forti ricadute economiche dai responsabili delle cooperative paese. UN PASSO DOPO L’ALTRO 19 LA SPORTIVA ® is a trademark of the shoe manufacturing company “La Sportiva S.p.A” located in Italy (TN) Photo © La Sportiva FOR YOUR MOUNTAIN NEPAL EVO GTX MIURA VS www.villaalpineshop.it 20 RAPTOR GTX www.lasportiva.com - Become a La Sportiva fan
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