teleriscaldamento_disp_89 - Università IUAV di Venezia

Corso di Studi: Innovazione Tecnologica e Design per i Sistemi Urbani e il Territorio
Insegnamento: Audit e progettazione energetica. AA 2013/2014.
Docente: Arch. Antonio Carbonari
Materiale didattico realizzato con la collaborazione della Dott.ssa Lara Moras
IL TELERISCALDAMENTO
Tra le tecnologie finalizzate alla razionalizzazione energetica la cogenerazione di elettricità e calore,
abbinata al riscaldamento urbano, è attualmente una delle più promettenti. La sua filosofia, produrre
elettricità e calore a ridosso dell’utenza e con le fonti più appropriate, suggerisce una organizzazione
decentrata del sistema energetico, con impianti di conversione di taglia medio-piccola, e con l’utilizzo di
fonti energetiche quali i rifiuti agricoli e urbani.
DEFINIZIONI E TIPOLOGIE IMPIANTISTICHE
Alcuni autori distinguono rigorosamente il “riscaldamento urbano” dal “riscaldamento di quartiere”. Nel
primo caso si tratterebbe di un sistema di impianti di riscaldamento centralizzati, progettati per un’utenza
non definita a priori ma estensibile, alla quale il sistema impiantistico si adatterà dinamicamente,
ampliandosi modularmente; nel secondo caso invece si tratterebbe di un singolo impianto di riscaldamento
centralizzato, la cui utenza è limitata, definita fin dall’inizio, indipendentemente dalla sua estensione fisica e
non è suscettibile di espansione.
Nel caso del riscaldamento urbano il sistema sarà costituito da:
- una o più centrali di produzione del calore indipendenti o interconnesse;
- una rete di distribuzione del calore mediante un fluido termovettore;
- una serie di stazioni termiche collocate presso le utenze, come terminali della rete (in genere scambiatori
di calore condominiali).
Per “impianto secondario” si intenderà quello interno all’utenza, a valle della stazione termica suddetta,
contrapposto al primario, esterno all’utenza.
L’utenza può essere sia civile che industriale. Conseguentemente saranno differenziati i carichi termici
(vapore ad uso industriale, acqua calda per impianti di riscaldamento o di climatizzazione, acqua calda ad
uso igienico-sanitario).
Data questa eterogeneità della domanda termica, acqua a 80°C per termosifoni ma a 40°C per pannelli
radianti, le stazioni termiche possono essere di trasformazione (scambiatori di calore) oppure di
miscelazione (il fluido primario diventa secondario dopo laminazione o miscelazione). È in queste stazioni
termiche che viene effettuata la contabilizzazione del calore erogato mediante flussimetro.
Quella sopra riportata è una classificazione che riguarda soprattutto l’aspetto pianificatorio-gestionale
dell’impianto, indipendentemente dalle modalità di generazione del calore, una classificazione che invece
riguarda essenzialmente le caratteristiche della centrale termica è quella americana. Questa, oltre a
distinguere, com’è ovvio, le centrali di semplice produzione del calore da quelle a cogenerazione, suddivide
le seconde in due principali categorie:
- total Energy systems (T.E.S.),
- modular integrated Energy systems (M.I.U.S.).
I T.E.S. (total Energy system) sono delle centrali combinate, di qualsiasi tipo o dimensione, il cui scopo è
fornire energia elettrica e calore ad un certo sistema di utenze; è intuitivo dunque che questa categoria
tenda a comprendere soprattutto gli impianti precedentemente definiti “di quartiere”, cioè relativi ad
un’utenza pre-definita, anche di ridottissime dimensioni. Erano considerabili T.E.S. anche i sistemi TOTEMFIAT dei primi anni ottanta del secolo scorso.
I M.I.U.S. (modular integrated Energy systems) affrontano anche essi gli stessi problemi energetici dei
precedenti, ma in modo più articolato e a mezzo di unità modulari; infatti questi sistemi impiantistici
comprendono:
- la produzione combinata di elettricità e calore con allacciamento in parallelo alla rete elettrica esterna,
- il recupero di calore e di materiali pregiati dai rifiuti solidi,
- la depurazione dei rifiuti liquidi,
- la produzione di fluidi vettori per gli impianti di climatizzazione.
L’utenza dei M.I.U.S. può essere non solo residenziale ma anche commerciale ed industriale.
La caratteristica più interessante dei M.I.U.S. è dunque l’uso integrato di tutte le risorse disponibili
comprese quelle rinnovabili, se intendiamo come tali le biomasse contenute nei rifiuti solidi e liquidi sia
urbani che agricoli. Per fare degli esempi: il calore necessario alla eventuale sezione per la depurazione dei
rifiuti liquidi può essere cogenerato nella sezione produzione energia elettrica, e l’effluente del sistema di
trattamento dei rifiuti liquidi può diventare l’acqua di raffreddamento della sezione climatizzazione.
È superfluo sottolineare come la figura giuridica più adatta alla gestione di questi sistemi sia l’azienda
municipalizzata pluriservizio. Va rilevato che le poche esperienze italiane in fatto di cogenerazione per usi
civili sviluppatesi alla fine del secolo scorso, essenzialmente gli impianti di Brescia e di Reggio Emilia, sono
classificabili in questa categoria di impianti.
BREVI ANNOTAZIONI STORICHE SULLO SVILUPPO DEL RISCALDAMENTO URBANO IN EUROPA
Per quanto in Italia la cogenerazione, ed in particolare il suo utilizzo nell’ambito degli usi civili
(teleriscalamento), sia diventata di attualità solo negli ultimi decenni, la sua comparsa e la sua diffusione
sono tutt’altro che recenti.
Il riscaldamento urbano ha mosso in Europa i primi passi e si è sviluppato soprattutto nelle zone ricche di
carbone dunque nei paesi dell’Est e del centro-nord. Questo combustibile infatti è costoso da trasportare e
difficile da bruciare con alto rendimento in impianti di taglia ridotta; è stato quindi abbastanza facile
pensare alla costruzione di grosse centrali termiche, ubicate opportunamente rispetto alle miniere e
trasportare, invece del carbone, l’acqua calda. In Russia le prime reti di riscaldamento urbano, alimentate
da caldaie semplici, risalgono addirittura agli anni venti del secolo scorso, ma lo sviluppo maggiore di questi
impianti nelle suddette aree si è avuto nel secondo dopoguerra, soprattutto laddove, per le distruzioni
belliche, era stato necessario ricostruire intere città. In particolare gli anni sessanta sono stati gli anni
dell’esplosione, mentre gli anni settanta sono stati quelli dell’affermazione definitiva, anche a seguito della
crisi petrolifera.
Attualmente tutte le maggiori città del Centro-Nord Europa fruiscono di una rete di riscaldamento urbano
alimentata almeno in parte da una centrale combinata.
Gli enti distributori del calore che gestiscono queste reti sono associati in due organizzazioni: l’UNICAL
(Union Internationale des Distributeurs de Chaleurs), e l’ IDHC (International District Heating Convention);
mentre la prima è una federazione di città, che contava nel 1977 (aggiornare o togliere) 76 membri (fra i
quali la città di Brescia come unica città italiana), la seconda è una federazione di enti di ricerca, stati e
organizzazioni centralizzate interessate alla distribuzione del calore e più in generale a problemi energetici.
Nell’Europa orientale non esiste praticamente alcuna città, anche di dimensioni medie, che non disponga di
un impianto di riscaldamento urbano, in particolare in Russia circa un terzo della domanda complessiva di
calore è soddisfatta attraverso l’impiego di centrali combinate.
Reti regionali di trasporto del calore esistono già in Austria, Francia, Olanda, Finlandia.
MODALITA’ DI PRODUZIONE COMBINATA DI ENERGIA ELETTRICA E CALORE
È il caso di operare una prima grossa distinzione fra la cogenerazione per usi civili e quella per usi
industriali, nei due casi infatti, essendo diverse le temperature del calore richiesto, possono essere diverse
anche le modalità di produzione.
Nel campo degli usi civili i principali modi per ottenere la combinazione fra la produzione di elettricità e la
produzione di calore sono essenzialmente tre e prevedono rispettivamente l’utilizzo di:
- turbine a vapore
- motori endotermici (soprattutto diesel)
- turbine a gas.
A – TURBINE A VAPORE
Queste possono a loro volta essere suddivise in due ulteriori tipi, a seconda di quale sia lo scopo principale:
produzione di elettricità o di calore, nel primo caso si tratta di turbine di vapore con spillamenti, nel
secondo caso di turbine a contropressione.
A.1 – TURBINE A VAPORE A CONTROPRESSIONE CON CONDENSATORE CALDO ED EVENTUALE
SPILLAMENTO. Il calore per la rete di riscaldamento urbano viene prelevato dal condensatore caldo, e dagli
eventuali spillamenti; il condensatore è denominato “caldo” perché, mancando la sezione a bassa pressione
della turbina, il vapore che condensando riscalda il fluido di rete è ancora sui 100° C contro i 30-40 °C di un
normale condensatore.
IMG 1 – Centrale con turbina a vapore a contropressione. P=pompa, Ch=caldaia, T=turbina a
contropressione, G=generatore elettrico, 1=rete elettrica, 2=rete di teleriscaldamento
L’istogramma riportato nella seguente figura visualizza abbastanza chiaramente la maggior razionalità con
la quale viene utilizzato il combustibile in impianti del genere, rispetto ad impianti di sola produzione
elettrica.
IMG 2 – bilancio energetico. A) Centrale termoelettrica tradizionale B) Centrale termoelettrica combinata
(fonte: B.1)
Posta uguale a 100 l’energia contenuta in una unità di combustibile, l’impianto termoelettrico tradizionale
riesce a trasformarne il 36% circa di elettricità, il restante 64% va perduto sottoforma di calore di scarto nei
fumi (10% di perdite al camino) e soprattutto nelle acque di raffreddamento (56%). Quest’ultima quantità
di calore è ad una temperatura troppo bassa per essere utilizzata in reti di riscaldamento urbano.
L’impianto a contropressione, invece, trasforma in elettricità una quota minore dell’energia contenuta nel
combustibile (24%), ma ne trasforma una quota maggiore (66%) in calore a più elevata temperatura, sui
100-120 °C, utilizzabile ai fini del teleriscaldamento. Il rendimento del primo ordine, con cui viene utilizzato
il combustibile è, in questo secondo caso, del 90%, rendimento che si riduce all’ 84% circa se consideriamo
le perdite in fase di distribuzione del calore.
Ad una riduzione della potenza elettrica di un KWe, rispetto all’impianto convenzionale, corrisponde
dunque in recupero di potenza termica di 5,5 KWt a 100°C; se invece la temperatura richiesta per il fluido
termovettore della rete fosse di 70°C, cosa che presupporrebbe ad esempio l’utilizzo di pannelli radianti al
posto dei radiatori convenzionali come terminali impiantistici, allora la potenza termica recuperabile si
avvicinerebbe ai 10 KWt. Si tratta complessivamente di un sistema di riscaldamento circa sei volte più
efficace del riscaldamento elettrico, e circa due volte più efficace del riscaldamento con pompa di calore,
dal punto di vista dei rendimenti del secondo ordine.
IMG 3 – Progetto per il teleriscaldamento di Mestre-Marghera (1980): ipotesi di copertura del diagramma
di durata del carico termico di riscaldamento per l’utenza praticamente allacciabile [Fonte: documento
CISE].
IMG 4 – Centrale con turbina a vapore a contropressione e spillamenti. P=pompa, Ch=caldaia, T=turbina a
contropressione, G=generatore elettrico, 1=rete elettrica, 2=rete di teleriscaldamento.
Tuttavia le centrali termiche che alimentano reti di riscaldamento urbano sono quasi sempre centrali miste,
comprendenti cioè sia caldaie semplici che gruppi combinati. In particolare l’esperienza bresciana indica
l’opportunità di ripartire equamente la potenza termica installata fra i gruppi combinati e le caldaie
semplici, mentre l’energia termica annualmente prodotta è dovuta per il 15% alle caldaie semplici, e per
l’85% ai gruppi combinati. Per un sistema impiantistico così configurato l’Azienda Servizi Municipalizzati di
Brescia (A.S.M.) reputava ottenibile (nel 1980), relativamente alle condizioni climatiche della città, un
risparmio annuo per abitante di 0.65 tep, si tratta di un risparmio corrispondente a due volte e mezzo
quello conseguibile con la semplice centralizzazione del riscaldamento a scala urbana.
A.2 – TURBINE A VAPORE CON SPILLAMENTI
In questo secondo caso il calore ceduto all’acqua di raffreddamento (di mare o di fiume) attraverso il
condensatore “freddo”, cioè ai 30-40 °C, non viene recuperato; per alimentare la rete di raffreddamento
viene invece utilizzato il vapore spillato dalla turbina, generalmente della sezione a bassa pressione di
questa. Lo scopo principale di questi impianti è, come si è detto, la produzione di energia elettrica; si tratta
infatti della soluzione comunemente adottata per recuperare calore dalle centrali termoelettriche mediograndi, dai 320 MWe in su, qualora siano situate in prossimità delle aree di utilizzo del calore.
In queste centrali lo spillamento del vapore necessario alla rete di teleriscaldamento provoca una perdita di
potenza elettrica assai modesta (dell’ordine del 5% circa) la produzione di elettricità può pertanto
continuare razionalmente ad economicamente anche nei periodi di scarso o nullo carico termico.
Dal momento che i progetti di teleriscaldamento formulati dal CISE per Milano e per Mestre-Marghera si
basano principalmente su questo tipo di soluzione, può essere utile riportare le conclusioni di uno studio
condotto dall’ ENEL circa le possibilità di recupero del calore dai suoi turbogruppi unificati.
Secondo questo studio, basato su rilevazioni sperimentali operate sulla centrale ENEL di Chivasso Levante,
mediante spillamenti in serie nel corpo a bassa pressione della turbina, si possono ottenere da un gruppo di
320 MWe 100t/h di vapore cioè 60 Gcal/h (251220 MJ/h o 70 MWt) da immettere nella rete di
teleriscaldamento. Una potenza termica di questa entità coprirebbe la base del diagramma di carico
relativo ad un’utenza di 60-100.000 abitanti equivalenti, utenza che corrisponde approssimativamente a
quella stimata come “praticamente allacciabile” nel caso di Mestre-Marghera. Il prelievo di vapore
implicherebbe una perdita di potenza elettrica di 15 MWe su 320 MWe, dunque di circa il 5%.
Il teleriscaldamento viene spesso propagandato come misura concorrente alla soluzione del problema
dell’inquinamento termico delle acque, oltreché dell’inquinamento atmosferico, ma è facile immaginare
come in questo caso non vengano di molto penalizzati i normali scarichi termici al condensatore.
Sempre secondo il citato studio ENEL, qualora la domanda termica sia maggiore il prelievo di vapore
potrebbe essere più spinto, fino al caso limite in cui il vapore viene prelevato direttamente all’uscita del
corpo ad alta pressione della turbina, tagliando fuori le sezioni a media ed a bassa pressione; in tal caso si
otterrebbero 650 t/h di vapore, cioè 380 Gcal/h (442 MWt) da immettere in rete, con una perdita di
potenza elettrica di 150 MWe su 320 MWe; l’utenza servibile in questo caso sarebbe di 380-650.000
abitanti equivalenti.
Nel progetto per Mestre-Marghera l’ENEL prospettava una soluzione leggermente più spinta della prima:
prelievo di 75 t/h di vapore dallo scarico del corpo ad alta pressione della turbina e di 25-15 t/h dal primo
spillamento a bassa pressione (l’entità di questo spillamento varia nel campo dal 100% al 70% del carico
termico urbano); nella fig. XX si riporta il relativo schema tecnico. A questa modalità di prelievo corrisponde
una potenza termica disponibile di 60 Gcal/h, vettori abile in rete con acqua calda surriscaldata a 140 °C in
pressione, ed una perdita di potenza elettrica media di 15 MWe.
B – MOTORI ENDOTERMICI
Può trattarsi di normali motori a scoppio (a ciclo otto) oppure di motori diesel, con soluzioni impiantistiche
analoghe nei due casi.
IMG 5 – Centrale con gruppo diesel. Md=motore diesel, Ch=caldaia di integrazione, Ex=preriscaldatore
acqua alimentazione caldaia, G= generatore elettrico
Il calore viene estratto attraverso il raffreddamento:
- dalle camicie
- dal gas di scarico
- dall’olio di lubrificazione
- dall’eventuale aria di sovralimentazione;
la cosa più interessante è che questo recupero di calore non penalizza minimamente la produzione di
energia elettrica, in quanto si tratta di calore che andrebbe smaltito comunque. Si tratta dunque di energia
termica gratuita dal punto di vista dell’impiego di energia primaria. Per questo motivo l’indice elettrico
caratteristico di questi gruppi combinati, vale a dire il rapporto fra l’energia elettrica e l’energia termica
prodotta, è molto elevato: 0,8 – 0,9 GWhe/GWht, contro i circa 0,3 dei turbogruppi a contropressione.
Data questa caratteristica, la suddivisione ottimale del carico termico fra i gruppi combinati e le caldaie
semplici in una ipotetica centrale per il teleriscaldamento è la seguente:
- potenza termica di punta 35% ai gruppi diesel e 65% alle caldaie,
- energia termica: 70% ai gruppi diesel e 30% alle caldaie.
In questo modo si cerca di evitare una sovrapproduzione di energia elettrica. Infatti una delle principali
obiezioni che vengono sollevate ad ipotesi di massiccia penetrazione di impianti di questo tipo, come lo
erano ad esempio i TOTEM-FIAT, è proprio la sovrapproduzione elettrica.
Altre peculiarità di questi impianti sono le seguenti:
- la disponibilità anche in piccole taglie, da poche decine di KW come il già citato Totem, che li rende
applicabili anche ad utenze condominiali;
- il rendimento elettrico elevato (fino al 40%);
- manutenzione più onerosa rispetto ai turbogruppi;
- limitata gamma di combustibili utilizzabili: solo liquidi o gassosi.
C – TURBINE A GAS
In questi gruppi la turbina collegata all’alternatore è mossa, anziché dal vapore, dalla pressione dei gas
sviluppati dalla combustione. Le loro limitazioni qualitative sono le stesse dei motori endotermici, con in più
dei minori rendimenti; in particolare sono richiesti combustibili di elevata qualità per evitare danni
all’impianto.
Data la conseguente rilevanza dei costi di esercizio, gli impianti turbogas vengono utilizzati essenzialmente
come generatori elettrici di punta, in quanto riescono a sviluppare rapidamente la massima potenza.
IMG 6 - Centrale con turbina a gas. Cp=compressore, Cdc=camera di combustione, T=turbina a gas,
G=generatore elettrico, Ch=caldaia a recupero, P=pompa alimento caldaia, 1=rete elettrica, 2=rete di
teleriscaldamento.
Qualora la cogenerazione di elettricità e di calore sia effettuata per usi industriali, essa può avvenire
secondo altre modalità, oltre a quelle sopradescritte. Infatti i processi produttivi spesso richiedono
temperature ben superiori ai 100-150 °C necessari a riscaldare il fluido vettore di una rete di riscaldamento
urbano; pertanto gli eventuali spillamenti di vapore delle turbine devono avvenire a livelli superiori di
pressione, o addirittura può essere l’energia elettrica a venir prodotta a valle della produzione di calore, ad
esempio con una caldaia che, recuperando calore ad elevata temperatura dai fumi di scarico di un forno,
produca il vapore necessario per alimentare il turbogruppo.
D – CELLE A COMBUSTIBILE
IMG 7 – Funzionamento di una cella. L’idrogeno, ottenuto dal metano o da altri idrocarburi, entra nella
cella (1) e incontra una barriera porosa, l’elettrodo a base di platino (anodo) separa (2) l’unico elettrone
dall’unico protone costituenti l’atomo di H. Gli elettroni vengono trattenuti dell’elettrodo, gli ioni di
idrogeno positivi (protoni) attraverso l’elettrolita acido (acido fosforico) raggiungono (3) l’altro elettrodo
poroso (catodo). L’accumulo di carica negativa sul primo elettrodo provoca una differenza di potenziale e
un flusso di elettroni (4) verso l’altro elettrodo. Questo flusso produce corrente elettrica. Nel catodo si
incontrano (5) ioni positivi di idrogeno, elettroni e ossigeno che si combinano formando acqua.
CRITERI METODOLOGICI CORRENTI PER LA PIANIFICAZIONE DI UNA RETE DI TELERISCALDAMENTO
Le informazioni e le considerazioni metodologiche che seguono sono state tratte in massima parte dalla
documentazione disponibile riguardo la prima esperienza italiana nel campo, quella di Brescia, nonché dalla
documentazione relativa ai progetti del CISE per Milano e per Mestre-Marghera. Data la complessità del
tema si è preferito raggruppare queste informazioni secondo i seguenti sottotemi:
-quantificazione della domanda termica
-tracciamento della rete
-composizione e dimensionamento della centrale
-criteri per la valutazione economica dell’operazione.
Prima di esaminare questi singoli aspetti forse non è superfluo precisare che la decisione di valutare
l’opportunità di realizzare una rete di teleriscaldamento o più in generale di un M.I.U.S. deve essere
conseguente ad una analisi energetica territoriale; una analisi che porti alla definizione di quello che è il
sistema energetico dell’ambito territoriale in esame, dunque alla individuazione di quelle che sono le
razionalizzazioni attuabili con il M.I.U.S. o, più semplicemente, di quelle che sono le fonti energetiche
utilizzabili ai fini del teleriscaldamento.
A - LA QUANTIFICAZIONE DEL FABBISOGNO TERMICO
Il fabbisogno complessivo di energia e di potenza termica, e soprattutto il fabbisogno specifico, per metro
quadro di superficie, di ogni area elementare dell’abitato, sono dati indispensabili alla formulazione di
qualsiasi ipotesi di riscaldamento urbano.
Normalmente per la stima di queste grandezze, piuttosto che a sofisticati procedimenti analitici, si ricorre
alla generalizzazione di consumi specifici (ad esempio per metro cubo di volume edificato) rilevati
sperimentalmente. Nel caso di Brescia ad esempio la valutazione si è basata sui consumi specifici con una
misurazione diretta dell’energia fornita sotto forma di combustibile (metano), ad un campione di edifici
residenziali o misti.
Ma in questo caso il consumo specifico così stimato prima del ’72 (75 Mcal/(m3∙anno) = 87 kWh/(m3∙anno))
si è in seguito rivelato eccessivo, in primo luogo a causa dei bassi rendimento delle singole caldaie
condominiali, rivelatisi molto inferiori al previsto, secondariamente per le varie misure di risparmio attuate
dopo il ’73, fra cui la riduzione della temperatura interna degli edifici. Infatti il consumo specifico
successivamente valutato sulla base delle erogazioni di calore attraverso la rete di teleriscaldamento è
risultato:
- 41 Mcal/(m3∙anno) o 47,56 kWh/(m3∙anno), per la sola climatizzazione di edifici prevalentemente
residenziali con impianto centralizzato di riscaldamento;
- 9 Mcal/(m3∙anno) o 10,44 kWh/(m3∙anno),relativamente alla sola produzione di acqua calda per usi
igienico-sanitari, in edifici con le stesse caratteristiche;
- 30 Mcal/(m3∙anno) o 34,8 kWh/(m3∙anno), è risultato invece il consumo specifico complessivo
(climatizzazione + acqua calda) degli edifici destinati a servizi ed attività terziarie, dunque con impianti
spenti durante la notte ed i giorni festivi; a proposito di questo ultimo genere di utenze, va rilevato che la
produzione di acqua calda sanitaria costituiva il 3% della domanda termica, mentre presso le utenze
residenziali ne costituiva il 20%.
Una volta definiti questi consumi specifici è facile ottenere la domanda di energia relativa ad ogni area
urbana elementare, o ad ogni m2 di essa: conoscendone il volume edificato, o la densità edilizia, si ottiene
una mappa della distribuzione spaziale della domanda termica.
Quando non è possibile disporre di dati rilevati sperimentalmente, bisogna ricorrere a simulazioni,
formulando delle ipotesi sul comportamento termico medio degli edifici e poi generalizzando i consumi
specifici così ottenuti. È questo il caso della quantificazione del fabbisogno termico relativo all’abitato di
Mestre-Marghera, eseguita dal C.I.S.E. nell’ambito del progetto di razionalizzazione energetica per la
suddetta area. La base conoscitiva relativa allo stock edilizio era costituita da un’indagine a tappeto operata
dal comune di Venezia in fase preparatoria del P.R.G.; disponendo di informazioni dettagliate su ogni area
urbana elementare (insula) quali: la superficie fondiaria, la superficie fondiaria coperta ed il volume
edificato è stato relativamente facile per i progettisti ricavare dapprima l’altezza media dell’edificato quindi
la sua superficie disperdente totale. Basta infatti moltiplicare il perimetro di base misurato in pianta per
l’altezza media così stimata, magari dopo aver fatto qualche sopralluogo per accertarsi di non commettere
errori grossolani, ed aggiungere due volte il valore dell’area fondiaria coperta.
Conoscendo l’area disperdente totale, la sua composizione (murature, vetri, coperture…), e le trasmittanze
medie dei vari tipi di superficie disperdente, nonché i dati climatici, si può stimare con una certa
approssimazione il carico termico, quindi il consumo energetico dell’insula in questione.
Oltre alla quantificazione della domanda termica e della sua distribuzione spaziale, un’informazione
indispensabile alla progettazione di un impianto di riscaldamento urbano è la distribuzione temporale di
questa domanda di energia; questa informazione è infatti indispensabile per determinare la configurazione
della centrale, in altri termini: la ripartizione della potenza termica installata fra le caldaie semplici ed i
gruppi combinati. Si tratta di un’informazione ricavabile pressoché esclusivamente da rilevazioni
sperimentali, e il suo andamento è il seguente: la domanda di picco si presenta attorno alle ore 8-9 del
mattino, dopodiché la potenza termica richiesta diminuisce progressivamente fino alle ore 18-19, in
particolare fra le 13 e le 17, specialmente nelle giornate di sole, si registra una domanda ridotta quasi
quanto quella notturna; dopo le 19 si registra un nuovo picco minore però di quello del mattino, poi il
carico decresce fino a stabilizzarsi, attorno alle due del mattino, su un valore pari al 60-70% del carico
massimo di utilizzo. Attorno alle ore 5-6 del mattino il carico ricomincia a crescere, soprattutto per i prelievi
di acqua calda sanitaria fino alla punta delle 9. È proprio per abbattere questo picco della domanda che,
secondo alcuni tecnici, sarebbe utile una forma di accumulo centralizzato del calore prodotto di notte
mentre sarebbe invece antieconomico un accumulo decentrato.
B – IL TRACCIATO DELLA RETE
Ogni criterio di pianificazione di un M.I.U.S. di notevoli dimensioni, quale è una rete di riscaldamento
urbano, mira non solo a rendere economica l’impresa nel suo complesso, ma anche a renderla compatibile
con le finanze dell’ente che la intraprende; ente che, nel caso classico è l’azienda municipalizzata
pluriservizio. In altre parole, non basta che a qualche anno di distanza dalla realizzazione dell’impianto si
verifichi un ritorno del capitale investito, è anche necessario che in ogni fase della realizzazione la
municipalizzata sia in grado di reperire i fondi necessari.
Pertanto, dal punto di vista della municipalizzata, la soluzione ottimale è quella di realizzare l’impianto in
modo modulare e in fasi successive. Così è stato a Brescia, dove l’A.S.M. è riuscita a far si che l’operazione si
autofinanziasse imponendo la seguente condizione: in ogni fase realizzativa l’utenza allacciata alla rete
deve poter consumare tutto il calore prodotto in centrale, senza richiedere, per il proprio allacciamento,
risorse maggiori di quelle rese disponibili dal risparmio di combustibile dovuto alla centralizzazione della
produzione di calore e/o alla cogenerazione. Esiste dunque, relativamente ad ogni fase di realizzazione
dell’impianto, una densità limite dell’utenza, misurata in energia termica erogata per ogni metro lineare di
lunghezza della rete, al di sotto della quale, gli “oneri di rete” (costruzione e gestione) sono maggiori del
risparmio conseguibile, al di sopra di questo valore della densità limite invece i tempi di ritorno del
campitale investito sono minori del previsto.
A questo criterio ne consegue un altro: le risorse finanziarie accumulate allacciando le aree a maggior
redditività (vale a dire le più vicine alla centrale e a maggior densità di consumi energetici) che sono le
prime ad essere teleriscaldate, possono essere impiegate per allacciare le aree a minor redditività o al
limite per rifornire di combustibile le utenze più isolate, in altre parole per rendere più flessibile il sistema
energetico complessivo.
La densità dei consumi energetici non è però l’unico fattore che determina l’allacciabilità di un’area urbana
alla rete; sono altrettanto determinanti altri fattori di natura topografica, orografica ed impiantistica. Una
volta realizzata una “dorsale” di doppie condutture per allacciare un’area ad elevata densità diventa
conveniente allacciare anche delle aree collocate lungo il percorso delle tubazioni, sebbene la loro densità
dei consumi sia inferiore alla densità limite teorica; così come la presenza di una barriera fisica, quale può
essere un’autostrada, un canale, una ferrovia, può evitare l’allacciamento di un’area ad elevata densità di
consumi energetici. A Brescia si sono presentate difficoltà tecniche superiori al previsto anche nel centro
storico, dove la posa delle condutture è sempre stata fatta in concomitanza con lavori di altro genere.
Inoltre, all’interno di una stessa area urbana elementare, altri fattori fanno si che taluni edifici siano
allacciabili ad altri no, almeno nella stessa fase di realizzazione dell’impianto. Una frazione non trascurabile
dei costi dell’operazione di teleriscaldamento è infatti costituita dall’impianto di distribuzione del calore
interno all’edificio; pertanto gli edifici già dotati di impianto di riscaldamento centralizzato sono allacciabili,
a parità di cubatura, più economicamente dunque prioritariamente. Nel loro caso infatti basta sostituire
alla caldaia lo scambiatore di calore; gli edifici uni-bifamiliari invece, data la loro ridotta cubatura ed i ridotti
consumi, non giustificano l’installazione dello scambiatore di calore, quindi non sono economicamente
allacciabili anche se situati a pochi metri delle condotte della rete.
È per queste ragioni che, nel dimensionare l’utenza “praticamente allacciabile” all’ipotizzata rete di
teleriscaldamento di Mestre-Marghera, i progettisti del C.I.S.E. hanno applicato tre filtri alle volumetrie
precedentemente stimate come “teoricamente allacciabili” in base alla loro densità dei carichi termici:
- sono stati esclusi gli edifici non dotati di impianto centralizzato;
- sono stati esclusi gli edifici uni-bifamiliari;
- sono stati esclusi anche gli edifici vecchi, in quanto generalmente caratterizzati da dispersioni non elevate
quindi da bassi consumi energetici, e gli edifici in cattive condizioni, infatti per questi ultimi sono ipotizzabili
in tempi medio-brevi interventi quali: la demolizione o il restauro, il quale migliorandone le caratteristiche
disperdenti ne abbasserebbe il carico termici fino a renderne antieconomico l’allacciamento.
Anche a Brescia l’utenza praticamente teleriscaldata è stata selezionata con criteri simili: sono stati esclusi
gli edifici non riscaldati o con impianto non compatibile con il teleriscaldamento, e gli edifici con volume
inferiore ai 3.000 m3 (dunque gli edifici uni-bifamiliari), i quali del resto sono generalmente dotati di
impianto autonomo. Le volumetrie “oggettivamente teleriscaldabili” sono risultate mediamente l’80% del
totale relativamente agli usi abitativi, e del 100% relativamente alle utilizzazioni “altre”.
Una volta delimitate le aree urbane dove è sicura la convenienza del teleriscaldamento, e definiti i relativi
carichi termici, viene tracciata la rete “di costo minimo” utilizzando anche metodi di simulazione numerica
quali la teoria dei grafi.
Seguendo questi criteri, nel caso di Brescia, in una prima fase di realizzazione della rete sono state allacciate
le aree più centrali e più dense della città, dove era più sicuro e più rapido il ritorno del capitale investito
(attraverso una maggior erogazione di calore a parità di estensione della rete); ma una volta affermato il
teleriscaldamento, nelle fasi successive di realizzazione dell’impianto sarebbe addirittura auspicabile una
riduzione della domanda termica nella zona iniziale, con interventi di retrofit conservativo, in modo da
liberare dalla potenza termica a favore dei nuovi allacciamenti. In una fase successiva a Brescia si è
verificato un fenomeno diverso: la rete di teleriscaldamento ha alleggerito il carico della rete metanifera
nelle aree centrali, facilitandone l’espansione.
C – COMPOSIZIONE E DIMENSIONAMENTO DELLA CENTRALE
Rispettando la condizione di economicità, secondo cui la realizzazione della rete deve in ogni fase
autofinanziarsi, anche la centrale come la rete deve essere realizzata in modo modulare. A Brescia, in un
primo tempo la centrale è stata costituita soltanto da caldaie semplici, in quanto il loro costo è inferiore a
quello di un gruppo combinato. I risparmi conseguibili con la semplice centralizzazione della produzione del
calore sono inferiori a quelli ottenibili con la cogenerazione, ma sono anche essi ragguardevoli; basti
pensare che il rendimento del primo ordine di una caldaia di grosse dimensioni (da 14 Gcal/h = 16,28 MW)
completa di preriscaldatore d’aria può essere superiore al 90%, mentre il rendimento medio annuo di una
caldaietta condominale varia fra il 45 e il 62% per una serie di fattori quali: la marcia a carichi più o meno
parziali, il frequente sovradimensionamento, la scarsa manutenzione, l’errato accoppiamento caldaiabruciatore. Quindi la differenza di rendimento complessivo fra le utenze con impianto autonomo, a gas o a
combustibile liquido, e le stesse utenze allacciate alla rete può essere valutata attorno al 15% ipotizzando
prudentemente un rendimento della caldaia centrale del 91% e delle perdite di rete del 10%.
Relativamente ad un impianto con queste caratteristiche, realizzando in una città media del centro-nord, L.
Sivieri [1] stima in 0,26 tep per abitante il risparmio annualmente conseguibile (assegnando ad ogni
abitante un volume specifico di 200 m3, ed un consumo annuo di 46 kWh/m3). Tuttavia risparmi di questa
entità, secondo lo stesso autore, consentono investimenti in rete abbastanza contenuti, permettendo alla
rete di sostenersi solo là dove la densità dei consumi è più elevata. Ecco dunque che la caldaia semplice
trova applicazione dapprima in funzione transitoria, nei primi anni di funzionamento della prima parte della
rete, successivamente in funzione integrativa quando è stato realizzato l’impianto di cogenerazione, per
coprire cioè le punte della domanda termica e le code del servizio estivo (costituite dalla sola domanda di
acqua calda sanitaria) che non sono di entità tale da giustificare il funzionamento dei gruppi combinati.
Nelle successive fasi di realizzazione dell’impianto bresciano sono gradualmente entrate in sevizio le altre
unità per la produzione del calore, fra cui i gruppi combinati, fino ad ottenere l’attuale configurazione della
centrale che è quella riportata in figura di seguito riportata.
IMG 8 – Impianto di teleriscaldamento della città di Brescia. Diagramma tipico della durata delle potenze
termiche medie orarie. Nel diagramma sono riportate in ascisse le ore di durata della potenza termica
richiesta dall’utenza. La potenza è data in percentuale della potenza massima richiesta nelle ore di massimo
freddo. L’area compresa tra la curva e l’asse delle ascisse rappresenta l’energia termica erogata in un anno.
La parte tratteggiata corrisponde a quella erogata dal gruppo combinato, la rimanente proviene da caldaie
semplici di integrazione. Come si vede, a quest’ultima è affidata la copertura delle “punte” invernali e la
“coda” corrispondente ai fabbisogni igienico-sanitari estivi.
Come già accennato nel paragrafo precedente, la ripartizione della potenza installata fra i gruppi semplici e
quelli combinati avviene in funzione delle esigenze del soggetto che gestisce l’impianto; per esso può
essere prioritaria la produzione dell’energia elettrica, se si tratta ad esempio dell’ ENEL, o la produzione del
calore, se si tratta di un’industria siderurgica; nel caso di un’azienda municipalizzata pluriservizio si tratta di
far fronte contemporaneamente e nel modo più economico ai due tipi di domanda: elettricità e calore.
Relativamente a quest’ultimo caso l’ A.S.M. di Brescia indica come ottimale, sulla base della propria
esperienza, una ripartizione della potenza installata al 50% fra caldaie semplici e gruppi combinati, mentre
l’energia termica annualmente prodotta risulta ripartita nel seguente modo: 85% per via combinata, 15%
via semplice.
Va comunque rilevato che tutte queste considerazioni sulla realizzazione modulare dell’impianto non
valgono in situazioni analoghe a quella di Mestre-Marghera; in questi casi infatti si tratta di recuperare il
calore di C.T.E. o impianti industriali esistenti, che non possono crescere modularmente assieme alla rete.
IMG 9
IMG 10 – Schema di funzionamento stagionale della rete di teleriscaldamento di Reggio Emilia. La centrale
e l’intero impianto sono gestiti in modo da ottimizzare il rendimento e l’interscambio di energia elettrica
con la rete di distribuzione dell’ ENEL.
IMG 11 – Campo di convenienza dei vari tipi di riscaldamento.
CICLO RANKINE A VAPORE SURRISCALDATO ciclo di riferimento per turbogruppi a vapore (IMG 12)
POMPA: comprime il liquido saturo allo stato 2.
CALDAIA: in essa il vapore viene prima scaldato poi vaporizzato e infine surriscaldato allo stato 3 (Tmax del
ciclo) in tali condizioni entra nella turbina.
TURBINA: il vapore si espande e la pressione si riduce producendo energia meccanica L=Q1-Q2
GENERATORE di energia elettrica trasforma l’energia meccanica L in energia elettrica.
CONDENSATORE: il vapore saturo cede calore (Q2) e torna allo stato 1 di liquido saturo.
CICLO DI RIFERIMENTO: CICLO DI CARNOT ma questo ciclo teorico si svolgerebbe tutto nel campo del
vapore saturo, avrebbe un rendimento massimo ma solo a parità di T estreme
IMG 13
IMG 14 – Varie modalità di prelievo del calore per la rete di teleriscaldamento da turbine a vapore.
PRODUZIONE COMBINATA DI ENERGIA ELETTRICA E CALORE SECONDO TRE CICLI
DI BASE
AMBITO DI
APPLICAZIONE
TURBINA A VAPORE
TURBINA A GAS
PRO
utilizzi di base in medie e uso di qualsiasi tipo di
grandi potenze (il η elettrico combustibile anche poco
aumenta con la taglia)
costoso, come il carbone
utilizzi di punta dato che a) le due produzioni (energia
raggiunge
subito
la elettrica e calore) sono
massima potenza
indipendenti fra loro in campo
molto esteso. Quella elettrica
non è penalizzata dal recupero,
comunque è elevata la
temperatura dei gas di scarico,
sui 450 °C
b) basso costo di installazione
DIESEL
può essere utilizzato in
qualsiasi condizione di
carico. In gruppi di taglia
medio-piccola: dai 15 Mwe
del totem fiat (+33.000
Kcal/h con η
complessivo=0.91) ai 20
Mwe dei gruppi di
derivazione marina.
a) il recupero di calore non
penalizza la produzione di
energia meccanica
b) elevati η complessivi
(elettrico+termico) anche del
92%
c) vasta gamma di combustibili
utilizzabili, anche biogas
d) data la piccola taglia dei
gruppi, è utilizzabile presso
piccole utenze decentrate in
zone a bassa densità dei
carichi,
e) baso costo di investimento
CONTRO
a) limiti ad estensione
rete: se aumenta troppo
la temperatura di
mandata si penalizza
oltremodo la produzione
elettrica
b) elevato costo di
investimento
a) usabili solo
combustibili leggeri e
trattati
b) elevati costi di
esercizio
a) limiti dimensionali ma
assenza di economie di
scala
b) oneri di manutenzione
elevati e complessità
della macchina
FLUIDI TERMOVETTORI PER RETI DI TELERISCALDAMENTO
PRO
ACQUA CALDA
(Fluido quasi
abbandonato)
CONTRO
relativa semplicità di impianto (data la ridotta p d'esercizio ridotta t erogazione impone l'uso diretto del fluido
della rete)
senza scambiatore dunque: - sbalzi di p della rete
sono trasmessi all'utenza - le impurità degli impianti
degli utenti sono raccolte in rete.
t< 105-110°C alla
mandata, erogato
sui 90-100 °C
ACQUA
SURRISCALDATA
(È il fluido più
usato)
t<t saturazione
relativa alla
pressione cui è
sottoposta
elevata t erogazione all'utenza quindi possibile produzione elevata pressione di esercizio della rete, in ogni suo
vapore presso l'utenza (es. ospedali) attraverso scambio di punto la pressione deve essere maggiore di quella
calore
di saturazione relativa alla temperatura del fluido in
quel punto altrimenti si avrebbe evaporazione ed
arresto del flusso
rispetto al vapore consente un maggiore accumulo di
calore nella rete (data maggiore massa presente) di
conseguenza maggiore elasticità nel seguire l'andamento
del carico ma anche maggiori perdite in caso di
funzionamento discontinuo
t=150°C di mandata
e T=80°C ritorno
VAPORE
cede ad utenza anche il calore latente di condensazione
dunque si ha un elevato Q ceduto per unità di massa (non
di volume) ceduto fino all' 80% del contenuto termico
contro il 30% dell'acqua surriscaldata
necessaria asportazione della condensa dalla rete
(per riportarla in centrale) di conseguenza si ha una
posa tubi più complicata e una gestione di impianto
più onerosa
facilità di conteggio del calore erogato, che avviene sul elevate perdite in caso di avaria degli scaricatori di
condensato
condensa (dopo circa 10 anni di esercizio della rete
molti impianti hanno raggiunto perdite del 25%)
elevate sezioni delle tubazioni (dati i maggiori
volumi)
coppie di tratti di tubo con sezioni molto diverse fra
mandata e ritorno se al ritorno il fluido è
condensato
CONFIGURAZIONI DI BASE DELLA RETE
IMG 18.1 – Tracciamento della rete.
IMG 18.2 – Visualizzazione delle portate nei tratti di rete.
DIMENSIONAMENTO DELLA RETE
Dato un tipo di fluido vettore si determina la variazione entalpica fra mandata e ritorno, il diametro delle
tubazioni e lo spessore dell’isolante delle stesse.
UBICAZIONE DELLA CENTRALE E TRACCIATO RETE
La posizione ideale della centrale dovrebbe essere nel baricentro dei carichi termici ed il tracciato della rete
svolgersi secondo la logica della densità dei carichi termici decrescenti.
Ma la rete deve fare i conti con esigenze urbanistiche e con ostacoli fisici. Generalmente la centrale viene
posta ai margini della zona interessata dalla rete, ed il tracciato della rete è fortemente condizionato da
strade ed altre reti impiantistiche già presenti in particolare fognature e rete elettrica.
IMG19 – Diagramma della potenza termica richiesta e del calore erogato. Ipotesi curva di Gompertez.
IMG 20 – Diagramma della potenza termica disponibile. A saturazione 15 anni; B saturazione a 20 anni; C
saturazione a 25 anni; 0 inizio costruzione impianto; 1 inizio erogazione calore; ta, tb, tc entrata in funzione
primo gruppo combinato
Bibliografia
1. L. Silveri. Il teleriscaldamento. Franco Angeli. Milano. 1980.
2. progetti del CISE per Milano e per Mestre-Marghera