Le leucemie sono neoplasie ematologiche che derivano da un

LE LEUCEMIE ACUTE E CRONICHE DELL’ADULTO
Le leucemie sono neoplasie ematologiche che derivano da
un’alterazione della cellula staminale emopoietica,
presente nel midollo osseo. Oggi, l’incidenza delle
leucemie è stimata intorno a 3,5 casi su 100.000 abitanti;
entrambi i sessi sono colpiti, con una lieve predominanza
per quello maschile, ed è più frequente nell’adultoanziano, con un’età media maggiore di 60 anni.
La leucemia si cura principalmente con la chemioterapia
ed è possibile, in rari casi, intervenire con un trapianto di
midollo. Attualmente, con i moderni trattamenti
chemioterapici, nei pazienti giovani, si ottengono tra il 60
e l’80% di remissioni complete ed una sopravvivenza
libera da malattia in circa il 30-40% dei casi.
Intervista a Paola Ferrando, oncologa della Struttura di Oncologia dell’Ospedale “A. Manzoni” di Lecco.
Cosa sono le leucemie?
Le leucemie sono neoplasie ematologiche che derivano da un’alterazione, acquisita e clonale, della cellula
staminale emopoietica che è quella progenitrice che vive nel midollo osseo e da cui derivano i globuli
bianchi, i globuli rossi e le piastrine.
Le leucemie si dividono in mieloidi e linfoidi, a seconda del tipo di cellula interessata, ed in acute e croniche,
in base alla rapidità di evoluzione e al quadro clinico.
Le leucemie acute sono caratterizzate da un blocco maturativo della cellula staminale emopoietica; da ciò
deriva la proliferazione e l’accumulo nel midollo osseo, ma anche in altri organi e nel sangue periferico, di
cellule immature che si definiscono blasti. L’incidenza delle leucemie acute è grossolanamente stimata
intorno a 3,5 casi su 100.000 abitanti; le leucemie linfoblastiche acute sono più frequenti nel bambino
mentre le leucemie mieloidi acute sono tipiche dell’adulto, aumentano con l’età e oltre i 65 anni
raggiungono i 15 casi ogni 100.000 abitanti l’anno.
La leucemia acuta mieloide (LAM) è la forma di leucemia acuta più frequente nell’adulto-anziano con un’età
media maggiore di 60 anni; entrambi i sessi sono colpiti, con una lieve predominanza per quello maschile.
Diversi fattori, genetici e ambientali, aumentano la probabilità di ammalarsi di LAM, anche se solo alcuni
sono fattori accertati (es. benzene e derivati, radiazioni ionizzanti, pesticidi).
Si possono identificare tre tipi diversi di LAM:
 primarie o “de novo” ad insorgenza primitiva;
 secondarie ad una precedente sindrome mielodisplastica o sindrome mieloproliferativa cronica;
 secondarie all’esposizione a sostanza tossiche e/o precedenti chemioterapie (ad esempio con
farmaci alchilanti) o radioterapia.
Quando può esordire la malattia? Quali sono i sintomi?
L’esordio delle forme acute spesso è improvviso e può essere caratterizzato da astenia causata dall’anemia,
manifestazioni emorragiche come la comparsa di petecchie ed emorragie per via della piastrinopenia
oppure infezioni a causa della sostituzione da parte delle cellule leucemiche delle cellule nomali che
costituiscono il midollo emopoietico.
Si possono osservare organomegalie, calo ponderale e febbre, dolori ossei, sudorazione profusa per la
liberazione di sostanze pirogene e citochine da parte delle cellule leucemiche. Si possono inoltre avere
segni neurologici con interessamento dei nervi cranici sia per la presenza di emorragie cerebrali che per
l’invasione del sistema nervoso centrale da parte delle cellule leucemiche.
Come si diagnostica una leucemia?
Gli esami di laboratorio rivelano anomalie dell’emocromo (generalmente anemia, riduzione del numero
delle piastrine, globuli bianchi aumentati o ridotti di numero) ed un esame morfologico del sangue
periferico può essere dirimente per la diagnosi. A questo segue generalmente un esame del midollo osseo
emopoietico con la caratterizzazione del tipo di leucemia.
La diagnosi perciò si sospetta in base al quadro clinico e si conferma con l’esame citomorfologico dello
striscio di sangue periferico e soprattutto dell’aspirato midollare. Fondamentale per la diagnosi di leucemia
oltre, a quella citomorfologica, è quella immunofenotipica al citofluorimetro e quella citogenetica e
molecolare perché la maggior parte delle LAM hanno alterazioni citogenetiche o molecolari che sono
fondamentali per la prognosi e la strategia terapeutica.
La prognosi della LAM dipende da caratteristiche cliniche e biologiche presenti all’esordio della malattia.
Fattori prognostici sfavorevoli sono l’età > di 60 anni; la presenza all’esordio di un valore di globuli bianchi >
100.000/mmc; la presenza di condizioni cliniche scadute o di un’infezione non controllata all’esordio; le
forme secondarie a precedenti sindromi mielodiplastiche/mieloproliferative o a chemio/radioterapia;
alcune specifiche aberrazioni cromosomiche, monosomie dei cromosomi e anomalie cariotipiche
complesse; mutazioni, delezioni o aumentata espressione di alcuni geni.
Come si cura la leucemia?
Le leucemie mieloidi acute si curano con la chemioterapia fino al trapianto di midollo; con i moderni
trattamenti chemioterapici, nei pazienti giovani si ottengono tra il 60 e l’80% di remissioni complete ed una
sopravvivenza libera da malattia in circa il 30-40% dei casi.
La terapia ha la finalità di eradicare la malattia, per consentire alle cellule staminali (cellule con alta capacità
di replicazione e differenziazione) di ripopolare il midollo osseo.
Si parla di remissione completa, quando la quota di blasti leucemici, dopo il trattamento, si riduce al di
sotto del 5% della popolazione midollare totale valutabile.
Nella maggior parte dei pazienti anziani, che non sono candidabili a chemioterapie aggressive, la miglior
cura è la terapia palliativa con supporto trasfusionale.
La LAM dell’anziano viene considerata una forma a prognosi sfavorevole per la presenza di alcune
caratteristiche come: 1) la bassa incidenza di anomalie citogenetiche a prognosi favorevole e l’alta
incidenza di lesioni citogenetiche a cariotipo complesso; 2) la presenza di una precedente fase
mielodisplastica; 3) la presenza nelle cellule leucemiche della proteina multidrug resistance (MDR-1) che ne
determina la refrattarietà ai trattamenti chemioterapici. I pazienti con età superiore ai 60 anni, ma che
comunque possono essere trattati con chemioterapia intensiva, hanno dal 40 al 60% di probabilità di
ottenere una remissione completa con gli schemi di chemioterapia convenzionali, ma solo un 5-10% di
probabilità di ottenere una lunga sopravvivenza libera da malattia. Per i pazienti anziani i criteri di selezione
per la chemioterapia intensiva generalmente escludono pazienti con età superiore ai 75 anni e con comorbidità (patologie associate cardiologiche, epatiche o renali).
Quali sono le così dette “leucemie croniche”?
Le forme di leucemia cronica sono principalmente la leucemia linfatica cronica e la leucemia mieloide
cronica.
La prima rappresenta il 25% di tutte le forme leucemiche ed è la più comune forma leucemica nei paesi
occidentali; aumenta con l’età e la diagnosi è spesso casuale in occasione di controlli ematochimici di
routine. È la forma di leucemia più frequente nella popolazione adulta. Viene diagnosticata generalmente
in età media o avanzata (età mediana alla diagnosi: 65 anni). Solo il 15% dei pazienti ha un'età inferiore a 50
anni.
Negli ultimi anni tuttavia la percentuale di pazienti giovani è in aumento, probabilmente perché un numero
maggiore di casi viene diagnosticato a seguito di esami occasionali, in assenza di qualunque sintomo. Questi
soggetti hanno spesso come unica alterazione all'esame emocromocitometrico un aumento del numero di
globuli bianchi con aumento percentuale dei linfociti. Il sospetto diagnostico di Leucemia Linfatica Cronica
sorge quando all'esame emocromocitometrico si osserva un aumento del numero dei linfociti; è
fondamentale per la diagnosi analizzare al microscopio uno striscio periferico e fare una analisi al
citofluorimetro del sangue periferico per tipizzare i linfociti.
Nei 2/3 dei casi, all’esordio il paziente è asintomatico e la diagnosi viene posta in seguito al riscontro di
linfocitosi all’esame emocromocitometrico. In altri casi il paziente nota la comparsa di linfoadenomegalie
cui può associarsi alla visita splenomegalia. Con il progredire della malattia possono comparire sintomi
conseguenti alla progressiva insufficienza midollare: pallore cutaneo e stanchezza inusuale legati all’anemia
(riduzione del numero di globuli rossi o eritrociti), manifestazioni emorragiche legate alla piastrinopenia
(riduzione del numero delle piastrine), suscettibilità alle infezioni per la neutropenia (riduzione del numero
dei granulociti neutrofili).
La leucemia mieloide cronica è un disordine mieloproliferativo caratterizzato da un progressivo accumulo di
cellule mature granulocitarie a livello midollare ed è legato all’espansione di una cellula staminale già
orientata, che mantiene la capacità iniziale di differenziarsi nei globuli bianchi.
Ha una incidenza di 1-1,5 nuovi casi ogni 100.000 abitanti e ha la massima incidenza tra i 50 e i 60 anni,
colpisce prevalentemente il soggetto maschile.
Questa leucemia è caratterizzata da una alterazione citogenetica patognomonica che è la traslocazione tra
il cromosoma 9 e il 22 che porta alla formazione del cosiddetto cromosoma Philadelfia.
La leucemia mieloide cronica si può presentare in tre fasi diverse: una fase cronica quando sono presenti
poche cellule blastiche nel midollo, tanti globuli bianchi nel sangue periferico e possono non esserci
sintomi, una fase accelerata oppure una fase blastica che è come una leucemia acuta.
La diagnosi nella fase cronica è spesso occasionale, perché il paziente può essere asintomatico e scopre da
normali analisi di routine di avere una leucocitosi (aumento dei globuli bianchi). L’emocromo rileva, infatti,
una leucocitosi più o meno marcata; l’esame morfologico del sangue periferico e del midollo emopoietico
dimostra la presenza di un aumento dei granulociti e dei loro precursori nelle fasi più mature. Si completa la
diagnosi con l’esame citogenetico che permette di rilevare la presenza del cromosoma Philadelfia.
Da un punto di vista clinico si può avere inoltre senso di ingombro addominale e di tensione epigastrica per
la presenza di splenomegalia, che quando è spiccata, può determinare anche disturbi digestivi.
Molto più rari altri sintomi quali quelli correlati ad un aumento del numero delle piastrine (trombosi) o per
una leucocitosi importante che determina una situazione di iperviscosità a carico dei piccoli vasi (vertigini,
senso di confusione, disturbi visivi, quando a carico dei vasi cerebrali o dell’occhio).
In fase accelerata possono comparire disturbi quali febbre, dolori ossei, sudorazione eccessiva, un ulteriore
ingrandimento della milza o altre organomegalie.