QUADRIMESTRALE EDITO DALL’ORDINE AVVOCATI DI LECCO Anno XXIV - N.3/2014 La collaborazione con Toga Lecchese è aperta a tutti gli operatori del diritto che intendano inviare saggi, interventi, provvedimenti giudiziari, note a sentenza e cronache di vita forense. Gli articoli, le note, le osservazioni – firmati o siglati – esprimono unicamente l’opinione del loro autore. SOMMARIO Intervista al Dott. Enrico Manzi………………………… pag. 3 Gli animali sono persone? ……………………………… “ 4 I danni da perdita dell’animale domestico………………… “ 5 Giurisprudenza lecchese ………………………………… “ 9 Unione Europea ………………………………………… “ 13 Mancata citazione del testimone nel processo penale:…… “ 14 La Giustizia Riparativa ………………………………… “ 16 e sistema Penale”……………………………………… “ 18 Commiato ……………………………………………… “ 18 Senatus Populusque ... italicus………………………… “ 20 Stalking: Aggiornamenti Giurisprudenziali………………… “ 21 Lettera idealmente inviata all’Avv. Antonino Scurria……… “ 22 Proposte di “riforma” in ambito penale…………………… “ 22 Cerco/offro…………………………………………… “ 23 L’uomo e la Terra - Van Gogh…………………………… “ 24 In giro per mostre……………………………………… “ 26 Relazione accompagnatoria al Convegno “Giustizia ripartiva Fondatore e Direttore Responsabile Renato Cogliati Stampa: Maper - Renate (MB) Autorizzazione n. 2/91 del tribunale di Lecco 2 Intervista al Dott. Enrico Manzi Dal Luglio scorso ha preso servizio quale Presidente della Sezione penale (facente altresì funzioni di Presidente del Tribunale) il Dr. Enrico Manzi. Il Dr Manzi che è in Magistratura dal Settembre 1986, ha prestato servizio presso la Pretura di Monza con funzioni penali (nonché giudice della esecuzione civile), vivendo nel 1989 il passaggio dal vecchio al nuovo rito. Il Dr. Manzi ha successivamente svolto dal Dicembre 1997, presso il Tribunale di Milano, le funzioni di Giudice penale (VIII Sezione - criminalità organizzata) e quale GIP dal 03.10.2005 sino all’assunzione delle funzioni a Lecco. Al nuovo Presidente di Sezione abbiamo sottoposto alcune domande; ne è nata l’intervista di seguita riportata. Presidente, benvenuto a Lecco anche da Toga Lecchese. Quali sono state le sue prime impressioni? Che situazione ha trovato penale ed in generale al Tribunale di Lecco? Per chi viene da una sede come Milano, dove non ci si conosce nemmeno fra Colleghi, è stato sorprendente trovare una cordialità rasserenante fra i Magistrati, con gli Avvocati e anche con il personale di Cancelleria. Mi sono trovato subito bene! Non parliamo poi del Palazzo (anche se so che è provvisorio): pulizia e spazi giusti rendono più facile lavorare. Anche qui il confronto con Milano è negativo per la grande città (di cui pure sono cittadino di nascita e che resta la mia “patria”). Sento, con timore e tremore, la responsabilità di ereditare una situazione logistica e organizzativa che per certi versi è veramente esemplare ed è frutto del grande lavoro dei miei predecessori e soprattutto del Presidente BRICCHETTI. Certo, al secondo giorno sono cominciati i problemi… anzi, il problema! La carenza di personale. E così ho dovuto affrontare la vicenda di una cancelleria importante senza dirigente, la fatica di tirare una coperta troppo corta per non interrompere i servizi e le inevitabili ripercussioni negative per tutti gli uffici. E’ un problema comune a tutti i tribunali ed è estremamente drammatico! La vera, prima riforma è assicurare le risorse e le persone per il servizio Giustizia, altrimenti, di questo passo, sarà difficile tenere aperti gli spazi per il pubblico e nello stesso tempo garantire la assistenza nelle udienze. Per quanto riguarda il Penale ho notato la difficile situazione dei ruoli del rito monocratico, con udienze fissate a mesi da oggi, pur essendo assicurate una se non due udienze al giorno! Non è nemmeno possibile aumentare le udienze per la mancanza dei Cancellieri e delle aule. È arrivato il momento che il legislatore affronti seriamente la questione della depenalizzazione di figure di reato minori e dello “sfoltimento” di processi penali senza rilevanza pubblica. Insomma, mi pare urgente la riforma del sistema penale che concentri questo strumento sulle questioni che meritano davvero un intervento rapido e rigoroso della Legge Lecco è per Lei il primo incarico dirigenziale. Perché la scelta è caduta su Lecco? Perché abito in Brianza e per la comodità di raggiungere la città. Inoltre mi ispirava l’idea di iniziare una carriera semi-dirigenziale in un posto dalle dimensioni umane. Ricordo che ho iniziato la carriera alla Pretura di Monza e ho sempre notato la maggiore serenità che si respira in uffici di dimensioni contenute. Infine non nego che Lecco è sempre stata una delle mie mete preferite delle gite e delle vacanze, fin da quando ero studente. Conosco il territorio e come tanti milanesi ne apprezzo la bellezza. La figura del Giudice è per lei mutata rispetto a qualche decennio fa? Direi di si perché ora abbiamo molti più strumenti: le banche dati, le riviste e gli aggiornamenti sempre in linea. Da qualche anno utilizziamo anche le mailing-list che sono una sorta di “aggiornamento vivente” in cui Colleghi lontani chiedono aiuto e ottengono risposte, alimentando il circuito delle conoscenze. Abbiamo strumenti meravigliosi che non ci saremmo nemmeno sognati di avere negli anni 80, quando ho cominciato. Il problema, come sempre, non sono gli strumenti, ma la coscienza e la responsabilità di chi li usa e sotto questo profilo c’è un rischio di perdere di vista il “cuore” di questa funzione, che è affrontare ogni giudizio libero da “pregiudizi” e con l’unico scopo di applicare la legge. Sotto questo profilo penso che la questione sia connaturata alla natura stessa della funzione del giudice. Non servono migliaia di leggi e procedure se chi li applica non è veramente “libero” nel profondo nel proprio animo. La Magistratura in Italia ha goduto fino ad ora di una indipendenza non formale, dobbiamo esserne degni. Come intende debba essere il rapporto tra la classe forense e la magistratura? Deve essere un rapporto di dialettica e armonia, ciascuno nel suo ambito, con le proprie originalità. Da questo punto di vista noto un clima molto sereno, in questo Tribunale, nei rapporti fra giudici e avvocati. Un positivo esempio è stato il protocollo sul processo civile telematico, preparato insieme con l’Ordine. Per il Penale sono in corso di elaborazione le linee guida sulla “messa alla prova”, per le quali è stato avviato un lavoro comune con Procura, Ordine, UEPE e Cancelleria. Il Giudice parla con le sentenze e queste devono essere e fare cultura; concorda? Io direi che del giudice non si dovrebbe nemmeno sapere il nome!! 3 Un mio maestro, con cui ho fatto l’uditore, mi diceva che se in aula di udienza entra la TV tutto diventa falso perché tutti sono portati a recitare una parte. Quanto alla cultura, non ho pretese di questo tipo. A mio parere le sentenze debbono essere molte, tempestive, rapide e comprensibili ai cittadini, al popolo italiano, di cui siamo al servizio… Il cittadino lamenta spesso i lunghi tempi della giustizia; come a suo giudizio si potrebbe ovviare? Come ho già detto prima con la attuale struttura e la attuale legislazione penale il problema non è risolvibile. Occorre aumentare il personale per arrivare ad un livello ottimale (a Lecco basterebbe avere i 40 in organico invece degli attuali 29!) e disboscare il penale dagli affari “minori”. Spero molto nei decreti di attuazione della legge 67/14 che dovrebbero prevedere passi avanti sul piano della depenalizzazione. Nel civile occorre aumentare l’uso della informatica e soprattutto incentivare forme di definizione anticipata come la mediazione. Fare il Magistrato, ritiene sia una professione come tante altre o questa ha una connotazione diversa? Con il rischio di apparire retorico o “antico”, ritengo che fare il Magistrato sia una “vocazione” che deve coinvolgere tutta la persona: non possiamo considerarlo un mestiere che inizia e finisce con il timbro del cartellino. Come è noto, noi non abbiamo orari, ma io ho considerato sempre questa circostanza come un incentivo ad essere sempre in attività, avendo come obbiettivo quello di rendere un buon servizio per tutti: da questa idea, solo da questo, nascono i comportamenti virtuosi come il rispetto dei tempi. Il nostro è un servizio, altissimo, ma pur sempre servizio e il compenso maggiore è sapere che abbiamo fatto qualcosa di positivo alla fine di ogni giorno. Sospensione feriale: un suo pensiero in merito alla discussione attualmente in atto. A mio parere occorre ben distinguere le questioni: 1.La sospensione feriale dei termini, e quindi, la conseguente sospensione delle udienze “ordinarie” è un istituto arcaico e in contrasto con le esigenze dei tempi (infatti nel processo del lavoro non è mai stato introdotto): va sicuramente ridotta per consentire alle parti e ai difensori di avere un periodo di “respiro” in cui potersi allontanare dal lavoro senza rischi. Ma è inconcepibile che dal 1° settembre, mentre tutti ricominciano a lavorare, non si tengano udienze secondo il normale ruolo. 2.Le ferie dei Magistrati, che includono anche sabati e domeniche nel computo, possono rimanere come sono ora perché riguardano la personale gestione del tempo. Fra l’altro già ora i termini per depositare sentenze e provvedimenti riservati scorrono senza soste anche in periodo feriale! Insomma, purché siano assicurati i servizi e il deposito degli atti non vedo problemi a mantenere le ferie come sono ora. a cura di R. Cogliati Gli animali sono persone? Recenti fatti di cronaca hanno riproposto all’attenzione dell’opinione pubblica il mai sopito tema dell’esistenza o meno di un criterio distintivo, anche sotto il profilo giuridico, fra uomini e animali. In particolare si è fortemente contestata l’equazione, derivante dai princìpi fondamentali del diritto romano, in base alla quale solo l’homo sia (e debba) essere persona, in quanto solo l’homo ha corpus humanum. Tale struttura normativa, infatti, si pone in contrasto con l’idea per cui anche agli animali non umani dovrebbe riconoscersi una soggettività giuridica, cioè la qualità di persona: si tratterebbe, dunque, di riconoscere il principio che gli animali siano persone priva di corpo 4 umano. La tradizionale distinzione fra l’uomopersona e l’animale-cosa si fonda sul criterio della razionalità, di cui sono forniti gli uomini, ma non gli animali: un criterio distintivo fortemente contestato da chi, al contrario, sostiene che anche agli animali debbano essere riconosciuti dei veri e propri diritti soggettivi, quali il diritto alla vita dignitosa, a non essere maltrattati o uccisi, a non costituire l’oggetto di esperimenti scientifici. Inoltre, gli animali sarebbero titolari di un diritto alla libertà, incompatibile con la cattività cui alcuni di essi, come nei circhi e negli zoo, sono costretti. Gli argomenti a sostegno di tale teoria variano da quelli fondati su una matrice giusnaturalistica, in forza della quale ogni animale sarebbe –per scelta naturale, appunto- corredato da diritti che prescinderebbero dalla volontà dell’uomo a quelli che sostengono un’equiparazione fra uomo e animale, in forza della similitudine fra il nostro DNA e quello delle grandi scimmie più evolute o, infine, all’argomento che propugna l’identità morale di tutti gli esseri viventi. Si tratta, cioè, delle teorie che, come è noto, si orientano, nella prospettiva degli estensori della Carta della Terra, che dovrebbe sostituire la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo verso una dissolvimento della contrapposizione fra la categoria tradizionale di persona e quella di res. Sotto il profilo giuridico, il problema, che coinvolge profili morali e religiosi tali da travalicare l’angusto settore normativo, merita di essere affrontato (e risolto) in forza dell’insegnamento dei giuristi romani, che bene avevano individuato persone che non erano soggetti di diritto: come è noto, ferma la supremazia del pater familias unico soggetto sui iuris nell’ambito dell’originario nucleo familiare, i soggetti alieni iuris, sottoposti alla sua autorità, ricomprendevano, oltre ai figli (patria potestas) e alle donne (manus), anche gli schiavi (dominica potestas), che, pur essendo uomini, non erano considerati come persone, bensì cose (res), al pari degli animali (e, a più forte ragione, delle piante): in quanto tali, ad essi era sottratta ogni soggettività giuridica. Questa distinzione si fonda sul principio che il iure agere, cioè il diritto di agire giuridicamente per la tutela dei propri interessi spetta esclusivamente a coloro che, nello ius civile, erano soggetti di diritto: categoria da cui erano esclusi non solo gli animali, ma anche coloro che, come gli schiavi, seppure uomini, non erano titolari di posizioni giuridiche tutelate. In tale prospettiva, pare davvero arduo teorizzare la soggettività giuridica degli animali, perché a ciò conseguirebbe l’obliterarsi del significato di diritto soggettivo, principio cardine del sistema del diritto romano, recepito in ogni ordinamento moderno: tale posizione giuridica, infatti, non potrebbe più esercitarsi esclusivamente dal suo titolare e nel suo esclusivo interesse, bensì a vantaggio –con possibili profili di incompatibilità- dei diritti degli animali. Un’intrinseca contraddizione incompatibile con i princìpi che, mutuati dagli insegnamenti della giurisprudenza romana, informano il nostro ordinamento giuridico. Federico Pergami I danni da perdita dell’animale domestico Si riporta il testo integrale della sentenza n. 8698/14 pubblicata dal Tribunale Ordinario di Milano, Giudice Istruttore, Dott. Damiano Spera, in data 01.07.14 in tema di danni da perdita dell’animale domestico. Nella pronuncia si evidenzia come il danno morale da perdita dell’animale di affezione, risarcito in termini di sofferenza psichica, trovi la sua fonte nel fatto illecito che ha reciso e turbato un rapporto interattivo tra proprietario ed animale, così privando le proprietarie della relazione emotiva-affettiva instaurata col medesimo nel corso degli anni. Il valore nullo dell’animale domestico impedisce al giudice di addivenire ad una liquidazione equitativa del danno. Le spese sostenute, volte ad eliminare e/o attenuare il danno subito, risarcite a titolo di danno patrimoniale in forma specifica, incontrano il limite dell’ordinaria diligenza ex art. 1227 cpv c.p.c., secondo cui non sono risarcibili le spese per quei danni che, pur essendo causalmente cagionati dalla condotta del danneggiante, potevano tuttavia essere evitate dal creditore mediante una condotta ispirata ai principi di correttezza e buona fede. * Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione Con atto ritualmente notificato, le signore X e la figlia Y esponevano: - di aver sporto, in data 6.06.2008, una querela contro ignoti che, presumibilmente con una pistola o una carabina ad aria compressa, avevano sparato, in più occasioni tra il 1.03.2008 e il 2.06.2008, alle loro due gatte, provocando ad entrambe gravi lesioni che ne avevano reso necessario l’immediato trasporto presso l’ambulatorio veterinario del dott. XXX in Lainate; -che, in particolare, il suddetto veterinario, in data 27.05.2008, asportava dall’addome della gattina Tilli tre piombini, che le avevano causato una grave lesione all’intestino tenue, mentre, in data 2.06.2008, il medesimo medico prestava le proprie cure alla gattina Zaira, colpita da quattro piombini nella regione addominale; -che, nonostante le suddette cure, in data 22.11.2008 Zaira decedeva a causa delle gravi lesioni causate dai proiettili; -che in data 7.06.2008 un vicino di casa delle attrici, YYY, sentito a sommarie informazioni dai Carabinieri della Stazione di Corbetta, confessava di aver sparato alle gatte con la sua carabina ad aria compressa, adducendo a giustificazione i danni provocati dalle gatte in questione alla sua proprietà; -che per il pagamento di tutte le cure veterinarie, ammontanti ad un totale di Euro 8.500,00, le attrici si vedevano costrette a chiedere un finanziamento a Bipitalia s.p.a., con un ulteriore esborso pari ad Euro 2.420,00 per interessi, Euro 120,00 per commissioni ed Euro 14.62 per l’imposta di bollo; -che la condotta del YYY aveva provocato alle attrici anche un significativo danno morale, tanto che lo stress emotivo patito in seguito al ferimento delle gattine aveva causato ad entrambe le attrici crisi d’ansia ed insonnia. Convenivano pertanto in giudizio YYY e concludevano affinché il Tribunale lo condannasse al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti. Si costituiva il convenuto, concludendo per il rigetto delle domande e formulavano altresì domanda riconvenzionale avente ad oggetto l’accertamento della responsabilità delle attrici per omessa custodia dei loro animali e la conseguente condanna al risarcimento del danno provocato dalle gatte delle attrici al proprio giardino. Il G.I. ammetteva parzialmente le prove dedotte dalle parti. Successivamente, il Giudice ammetteva ulteriori prove per testi dedotte da parte convenuta. All’esito dell’istruttoria, le parti precisavano le conclusioni come da fogli allegati 5 al verbale di udienza del 21.01.2014; disposto lo scambio delle sole comparse conclusionali, all’udienza di discussione del 1.04.2014, la causa veniva assegnata in decisione, ai sensi dell’art. 281 quinquies cpv. c.p.c.. Ritiene il Tribunale che la domanda proposta in giudizio dalle attrici meriti accoglimento, nei limiti che seguono. Infatti, dai documenti prodotti e dall’espletata istruttoria orale, risultano provati i fatti costitutivi del diritto fatto valere. Nell’atto introduttivo del presente giudizio, le attrici affermavano che in due occasioni, rispettivamente il 27.05.2008 ed il 2.06.2008, due gattine di loro proprietà venivano ferite da colpi di pallini ad aria compressa sparati da ignoti. A seguito di tale episodio criminoso entrambe le gattine riportavano gravi lesioni che rendevano indispensabile l’immediato ricorso a numerose cure veterinarie. Nonostante tali cure, il 22.11.2008 la gattina Zaira decedeva a causa delle ferite riportate. Per tali fatti, in data 6.06.2008, l’attrice X sporgeva formale querela contro ignoti. Il giorno successivo, il convenuto si presentava spontaneamente presso i Carabinieri confessando la propria responsabilità per i fatti denunciati dalle attrici ed ammettendo di aver sparato alle gatte con la propria carabina ad aria compressa. Per tale condotta, al convenuto sono stati contestati i reati di cui agli artt. 81 cpv. e 544 ter c.p., perché “ripetutamente per crudeltà e senza necessità ha causato lesioni a due gatti di proprietà della signora X, sparandogli con la carabina ad aria compressa”, cagionando le lesioni ad un gatto e la morte dell’altro. Poiché il procedimento penale è ancora in corso, questo giudice, con valutazione incidenter tantum, ritiene che la condotta criminosa in esame integri tutti presupposti, oggettivi e soggettivi, per dichiarare il convenuto colpevole dei reati ascrittigli. Va in primo luogo riconosciuto alle attrici il risarcimento del danno non patrimoniale patito a seguito della condotta delittuosa del convenuto, per la sofferenza subita a causa dell’evento. Il danno morale da “perdita dell’anima6 le da affezione” è ormai riconosciuto da una significativa giurisprudenza di merito, che ne ha talvolta ammesso la risarcibilità anche al di fuori dei casi di “danno conseguente a reato” (si vedano a tal proposito, di recente: Tribunale Torino, 29 ottobre 2012, Tribunale Firenze, 14 giugno 2013). Viceversa, appare condivisibile il prevalente indirizzo della giurisprudenza di legittimità che nega il risarcimento del danno da perdita dell’animale di affezione quando non concorrano anche gli estremi del reato. Infatti, la Cassazione, con le note sentenze di San Martino (Cass. Sez. U. sentenza n. 26972/2008 e ss.), ha statuito che il danno non patrimoniale è risarcibile nei soli casi “previsti dalla legge”, e cioè, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 cod. civ.: (a) quando il fatto illecito sia astrattamente configurabile come reato; in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di qualsiasi interesse della persona tutelato dall’ordinamento, ancorché privo di rilevanza costituzionale; (b) quando ricorra una delle fattispecie in cui la legge espressamente consente il ristoro del danno non patrimoniale anche al di fuori di una ipotesi di reato (ad es., nel caso di illecito trattamento dei dati personali o di violazione delle norme che vietano la discriminazione razziale); in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione dei soli interessi della persona che il legislatore ha inteso tutelare attraverso la norma attributiva del diritto al risarcimento (quali, rispettivamente, quello alla riservatezza od a non subire discriminazioni); (c) quando il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale; in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di tali interessi, che, al contrario delle prime due ipotesi, non sono individuati “ex ante” dalla legge, ma dovranno essere selezionati caso per caso dal giudice. Pertanto, nella fattispecie concreta, il danno non patrimoniale in questione è certamente risarcibile, in considerazione della sicura rilevanza penale della condotta del convenuto, come innanzi descritta; non è, invece, consequenziale alla lesione di un interesse della persona umana alla conservazione di una sfera di integrità affettiva costituzionalmente tutelata (Cassazione, sent. n. 14846-2007, e pertanto non rientra nell’ipotesi sub c). Nel caso di specie, alla luce dell’espletata istruttoria ed anche in via presuntiva, è emerso con chiarezza che la perdita della gattina Zaira ha senza dubbio provocato un danno morale in termini di sofferenza psichica, poiché le sue proprietarie sono state private di un animale con il quale avevano instaurato un lungo rapporto di affetto. Il danno risulta sicuramente acuito dalla lunga agonia patita dalla gattina, deceduta a mesi di distanza dal fatto a causa della gravi lesioni provocate dal convenuto. Del pari, risulta certamente risarcibile anche il danno morale patito a causa dell’ansia per la sorte della gattina Tilli, sopravvissuta a seguito di lunghe e complesse cure per le lesioni provocate dalla condotta del convenuto. Il danno non patrimoniale in esame non potrà neppure definirsi trascurabile o futile (nei termini descritti nelle citate sentenze di S. Martino) poiché è stato cagionato da fatto illecito che ha reciso e turbato un rapporto interattivo tra proprietario ed animale idoneo ad appagare esigenze relazionali - affettive certamente meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento giuridico. Circa il quantum, in considerazione di tutte le descritte peculiarità della fattispecie concreta, appare equo liquidare, a titolo di danno non patrimoniale complessivamente subito, la somma già rivalutata di Euro 2.000,00 in favore di ciascuna attrice (come del resto richiesto nell’udienza di precisazione delle conclusioni). Per quanto riguarda il danno patrimoniale, le attrici, per fare eseguire tutte le prestazioni veterinarie necessarie per la cura dei gattini, sono state costrette a chiedere un finanziamento, subendo costi per interessi, commissioni ed imposte per complessivi Euro 2.554,62, ed hanno altresì documentato esborsi per spese veterinarie per Euro 8.500,00. E’ indubbio che tali esborsi, ex art. 1223 c.c., siano conseguenza immediata e diretta del fatto illecito di cui è causa. E’ altrettanto indubbio che, nella fattispecie concreta, il risarcimento del danno non è limitato a quello che “poteva prevedersi nel tempo in cui è sorta l’obbligazione” ex art. 1225 c.c., atteso che quest’ultima norma non è richiamata dall’art. 2056 c.c., e risulta comunque provata la condotta dolosa del convenuto. Tuttavia il convenuto, nel caso di specie, ha eccepito l’eccessività di dette spese. In primo luogo ritiene il Tribunale che gli esborsi documentati siano conformi alle tariffe professionali medie previste per le prestazioni veterinarie effettivamente eseguite nella fattispecie concreta; per questo motivo il tribunale non ha ritenuto neppure la necessità di una CTU, per verificare la congruità degli esborsi. Ma il danneggiante dovrà sempre risarcire il danneggiato per tutti gli esborsi necessari e congrui effettuati? La questione è stata già pacificamente risolta per il danneggiamento di beni che abbiano un “valore antesinistro”. Infatti, la Cassazione ha affermato che, ove la domanda di risarcimento abbia ad oggetto le somme necessarie per effettuare le riparazioni dei danni, la stessa debba intendersi come richiesta di risarcimento in forma specifica, con consequenziale potere del giudice, ai sensi dell’art. 2058 c.c., di una condanna del danneggiante per equivalente, vale a dire di una corresponsione di una somma pari alla differenza di valore del bene prima e dopo il fatto illecito (Cass. sentenza n. 21012/2010). Tuttavia, il parametro di liquidazione del “valore antesinistro” non si attaglia alla fattispecie concreta. Ed infatti basti rilevare che l’animale di affezione è pressoché privo di valore economico, essendo massima di comune esperienza che, di regola (fatte salve le eccezione relative ad animali di particolare valore per rarità, pedigree, partecipazione a competizioni agonistiche, ecc.) il costo di mercato degli stessi è pari a pochi Euro o a poche decine di Euro. Anche i gattini in esame avevano un valore economico pressoché nullo, come si evince dall’espletata istruttoria. Il “valore antesinistro”, pertan- to, non può costituire il limite massimo del danno patrimoniale risarcibile, sussistendo un forte interesse del proprietario a sostenere esborsi economici al fine di curare e tenere in vita un essere vivente (non una res) con il quale si instaura un legame affettivo e relazionale; del resto, non essendo l’animale d’affezione un bene fungibile, non è neppure possibile ripristinare detto legame affettivo - relazionale con qualsivoglia animale dello stesso genere. Ed invero, la coscienza sociale ma anche l’ordinamento vigente (come si evince altresì dalla legge 11 luglio 2004, n. 189 e dalla legge n. 201/2010) non considerano mai l’animale di affezione come una qualsiasi altra res o bene della vita. In definitiva, il limite del “valore antesinistro” si tradurrebbe (di regola) in un diniego di risarcibilità del danno patrimoniale in esame. Consegue, quindi, la necessità di valutare altri parametri sempre al fine di accertare il diritto al risarcimento di rilevanti spese di cura. Ma vi è un limite di risarcimento per spese di cure mediche prestate al fine di eliminare o emendare il danno alla persona? Anche nella disciplina di questa diversa fattispecie si deve premettere che, ai sensi dell’art. 1227 cpv c.c., non sono risarcibili le spese di cura che il danneggiato avrebbe potuto evitare “usando l’ordinaria diligenza” danno alla persona? (come ad esempio le cure prestate da una costosissima clinica privata). Ciononostante, nessuno dubita della risarcibilità delle spese quando queste sono, invece, ritenute necessarie e congrue. Esigenze umanitarie ed affettive ed i valori costituzionali della persona escludono, in radice, che l’ordinamento possa consentire uno spazio di irrisarcibilità delle cure mediche prestate a seguito di lesione del bene salute. Peraltro, esigenze solidaristiche e di ripartizione dei costi e benefici conseguenti all’illecito comportano che anche costi di cura notevoli non ridondino solo negativamente a carico del danneggiante, per la ragione che la guarigione (totale o parziale) della vittima si traduce altresì in un minore danno biologico permanente della vittima primaria e, conseguentemente, in un minor danno risarcibile in favore di quest’ultima e dei suoi prossimi congiunti (a titolo di danno da lesione del rapporto parentale). I principi enucleati non posso però trovare applicazione per quanto attiene alle cure veterinarie, atteso che il nostro ordinamento, tutelando la salute dell’animale non come “bene in sé” ma come “funzionale” a garantirne la relazione con l’uomo, certamente non consente la valutazione della lesione di questi interessi (ed infatti, non è ipotizzabile la autonoma considerazione della “lesione del bene salute del gatto”). Ciò comporta, per il danneggiante, il rischio di esporsi all’obbligo di risarcire cure veterinarie “potenzialmente infinite” (molteplici interventi chirurgici, terapie farmacologiche e riabilitative, ecc.) senza alcun vantaggio nei termini innanzi esposti in relazione alla vittima primaria e secondaria dell’illecito. E dunque in base a quale parametro normativo potrebbe definirsi eccessiva la spesa sostenuta per la cura dell’animale d’affezione? In via preliminare, va sottolineato che, nei residuali casi in cui sia pacificamente rilevante il valore economico dell’animale di affezione, il limite di risarcibilità di dette spese veterinarie potrà essere ravvisato proprio in tale valore, atteso che il danneggiante non potrà essere tenuto al risarcimento di spese veterinarie che eccedano il valore dell’animale curato: non sembra opportuno gravare il danneggiante di un onere economico superiore alla perdita patrimoniale effettivamente subita dal danneggiato (ad es. nell’ipotesi di cure prestate ad un cavallino da corsa del valore di decine di migliaia di euro). D’altra parte, in tale ipotesi, appare conforme ai principi generali del danno patrimoniale la condotta del proprietario di sostenere spese di cura al fine di ripristinarne sia il valore economico che la relazione affettiva. Qualora, invece – come nella fattispecie concreta e come generalmente accade l’animale di affezione sia pressoché privo di valore economico, come si è già detto, non può costituire utile paramento il valore economico dell’animale. Secondo un consolidato indirizzo giu7 risprudenziale (vedi Cass. sentenza n.12439/1991 e, da ultimo, sentenza n. 26639/2013) il limite al risarcimento del danno patrimoniale non si ravvisa solo nei danni che non costituiscono “conseguenza immediata e diretta” del fatto (art. 1223 c.c.) ma anche in quelli che, pur essendo causalmente cagionati dalla condotta del danneggiante, potevano tuttavia essere evitati dal creditore “usando l’ordinaria diligenza” (art. 1227 cpv. c.c.). Il canone dell’ “ordinaria diligenza” permette, infatti, di circoscrivere l’entità del danno risarcibile ai soli danni non evitabili, escludendo quindi la risarcibilità di quei danni che siano stati cagionati da una condotta non diligente del danneggiato, che accresca le conseguenze dannose dell’illecito. Del resto, in applicazione del principio dell’autoresponsabilità, sarebbe irragionevole attribuire al danneggiante un sacrificio ed un rischio economico dipendente esclusivamente dal comportamento del danneggiato. Ed infatti, l’onere di “condotta diligente” ex art. 1227 cpc c.c. non impone solamente inerzia o mera astensione dall’arrecare pregiudizio con fatto proprio, ma può richiedere (secondo le circostanze del caso) anche una condotta positiva. La citata sentenza (Cass. sentenza n.12439/1991) “riconosce il collegamento dell’evitabilità del danno con i doveri di buona fede oggettiva e di correttezza (Cass. 13.12.1980 n. 6430 in motivazione) escludendo il compimento di attività gravose e straordinarie, ma perciò stesso ammettendo di poter pretendere dal creditore un comportamento attivo, non gravoso né straordinario, positivamente rivolto a ridurre il danno verificatosi e non solo dall’astenersi dell’aggravarlo”(come, ad esempio, il lavoratore licenziato senza giusta causa, che ha l’obbligo di collocare sul mercato la propria attività lavorativa per ridurre il pregiudizio subito, Cass. 18.2.1980 n. 1208). Può concludersi, quindi, che la risarcibilità del danno patrimoniale deve essere circoscritta nei limiti in cui è ipotizzabile che il creditore/danneggiato avrebbe potuto porre in essere una condotta diversa da quella concretamente assunta, al fine di contenere le conseguenze pregiudizievoli del fatto 8 dannoso e di non gravare il danneggiante di un sacrificio economico eccessivo. Per converso, appare equo che il creditore/danneggiato non possa rivalersi sul danneggiante circa quegli ulteriori esborsi che, pur derivando dal fatto illecito, potevano essere evitati mediante una condotta ispirata ai principi di correttezza e buona fede innanzi esposti. Ritiene il Tribunale che, nella fattispecie concreta, la risarcibilità del danno patrimoniale debba essere limitata solamente ad esborsi per cure veterinarie complessivamente pari all’equivalente monetario del danno non patrimoniale da perdita dell’animale d’affezione. In conclusione, qualora il proprietario si prodighi in spese veterinarie per curare il proprio animale (seppure quest’ultimo privo di valore economico), tale condotta è finalizzata indubbiamente al mantenimento e al “ripristino” del rapporto affettivo con l’animale; dunque, non si pone in essere una condotta conforme ai delineati principi di diligenza e correttezza chi affronti spese veterinarie addirittura superiori al possibile risarcimento del danno compensativo della perdita di tale rapporto. Consegue a quanto esposto che il danno patrimoniale in esame è risarcibile fino a concorrenza della somma di euro 2.000,00 per ciascuna attrice (essendo stata tale somma liquidata a titolo di danno non patrimoniale). *** Non risultano provati ulteriori titoli di danno. E’ pertanto dovuta alle attrici, in solido, la somma complessiva di euro 8.000,00(rivalutata ad oggi): Euro 4.000,00 a titolo di danno non patrimoniale ed Euro 4.000,00 a titolo di danno patrimoniale. Da tale somma deve essere detratto l’acconto di Euro 7.500,00, già corrisposto dal convenuto in data 4.4.2013. Quest’ultimo importo deve essere imputato prima al capitale e poi agli interessi, dopo aver reso omogenei, alla stessa data, i valori del danno e del versamento con l’utilizzo dei menzionati indici I.S.T.A.T. costo vita. In tema di risarcimento del danno, in- fatti, i versamenti effettuati in favore del danneggiato non possono essere imputati secondo i criteri di cui all’art. 1194 c.c., ovvero prima agli interessi e poi al capitale, essere imputati secondo i criteri di cui all’art. 1194 c.c., ovvero prima agli interessi e poi al capitale, poiché tale norma presuppone la liquidità e l’esigibilità del credito al momento del pagamento, ovvero l’esistenza di un debito di valuta, che, nella fattispecie concreta, è insussistente fino alla liquidazione del danno (Cass.1.7.1994, n. 6228). Rivalutato l’acconto dalla data del versamento ad oggi, secondo i predetti indici I.S.T.A.T. costo vita, lo stesso è pari ad Euro7.550,00; va quindi effettuata la detrazione dell’acconto così rivalutato dal danno liquidato secondo valori attuali e risulta quindi che sono ancora dovuti Euro 450,00. Sugli importi predetti devono essere riconosciuti gli interessi compensativi del danno derivante dal mancato tempestivo godimento dell’equivalente pecuniario del bene perduto. Gli interessi compensativi -secondo il consolidato indirizzo delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (v. sentenza n. 1712/1995) - decorrono dal momento della produzione dell’evento dannoso sino a quello del versamento dell’acconto e, poi, da tale data fino alla presente decisione; per ciascuno di questi periodi, gli interessi compensativi si possono calcolare applicando un tasso annuo medio ponderato, equitativamente determinato, sul danno rivalutato. Da oggi, giorno della liquidazione, all’effettivo saldo decorrono gli interessi legali sulla somma di Euro 450,00. Pertanto, alla luce degli esposti criteri, il convenuto deve essere condannato al pagamento, in favore delle attrici in solido, della complessiva somma di Euro 450,00, oltre: -interessi compensativi, al tasso annuo medio ponderato del 1%, sulla somma di Euro 8.000,00, (somma rivalutata ad oggi) dalla data del 2.06.2008 al 4.4.2013; -interessi compensativi, al tasso annuo medio ponderato del 1%, sulla somma di Euro 450,00dal 5.04.2013 ad oggi; -interessi, al tasso legale, su quest’ulti- mo importo, da oggi al saldo effettivo. Deve, infine, rigettarsi la domanda riconvenzionale proposta dal YYY ed avente ad oggetto il risarcimento del danno subito a causa dell’omessa custodia degli animali. Infatti, pur essendo emerso dall’istruttoria che i gatti dell’attrice circolassero liberamente nelle varie proprietà limitrofe, e quindi anche nel giardino del convenuto, non risulta comprovata l’asserita riconducibilità dei danni lamentati alle gatte delle attrici. Quanto esposto è assorbente rispetto alle altre domande, eccezioni ed istanze proposte dalle parti. Concorrono giusti motivi, in considerazione della parziale soccombenza e del contegno processuale del convenuto, per compensare per metà tra le parti le spese processuali (ivi comprese quelle stragiudiziali) e condannare quindi il convenuto a rifondere alle attrici in solido l’altra metà, spese da liquidarsi in favore dell’avv. ________, antistataria ex art. 93 c.p.c. La presente sentenza è dichiarata provvisoriamente esecutiva ex lege. P.Q.M. Il Tribunale di Milano, definitivamente pronunciando, così provvede: - condanna il convenuto al pagamento, in favore delle attrici in solido, della somma di EURO 450,00, oltre interessi come specificato in motivazione; - rigetta le altre domande proposte dalle parti; - condanna il convenuto a rifondere alle attrici, in solido, la metà delle spese processuali, che, in tale proporzione, liquida in Euro 125,00 per esborsi, Euro 3.000,00 per compenso professionale di avvocato, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, oltre I.V.A. e C.P.A., dichiarandole compensate tra le parti per l’altra metà e da distrarsi in favore dell’avvocato _____antistataria. - dichiara la presente sentenza provvisoriamente esecutiva. Milano, 30.06.2014 Il Giudice Istruttore in funzione di giudice unico dr. Damiano Spera Giurisprudenza lecchese Di seguito viene integralmente riportata la sentenza n. 159/2014 del Giudice di Pace di Lecco ritenuta di particolare interesse attesa la fattispecie giuridica (ed umana) ivi trattata. GIUDICE DI PACE DI LECCO Il giudice di pace di Lecco Dott. Nicoletta COSSIO alla pubblica udienza del giorno 30.05.2014 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA Nei confronti di:_______, CON GLI AVVOCATI MICAELA PLEBANI E RENATO COGLIATI DEL FORO DI LECCO, DI FIDUCIA LIBERA IMPUTATA: art. 594 c.p. “perché, accusando _______ di intrattenere una relazione con suo marito, ne offendeva l’onore e il decoro rivolgendole le parole “troia” e “puttana”. Fatto commesso in ______ in data 27.10.2008. Denuncia-querela presentata l’01.11.2008. PARTE OFFESA COSTITUITA PARTE CIVILE: _______, elettivamente domiciliata presso il difensore di fiducia ________ . Conclusioni delle parti: Il P.M. in udienza V.P.O. Dott. Giuseppe PELLEGRINO: Assoluzione perché il fatto non costituisce reato ai sensi dell’art. 599 c.p. Il difensore della parte civile: Affermata la penale responsabilità dell’imputata in ordine ai reati ascritti ed inflitta allo stesso la pena ritenuta di legge, condannare il medesimo al risarcimento dei danni cagionati dalla parte lesa, da liquidarsi in separata sede, concedendo provvisionale pari a 1.500,00 nonché alla rifusione delle spese di costituzione di parte civile. Il difensore dell’imputata: In via preliminare assoluzione perché è contraddittoria la prova che il fatto sussista ex art. 530 2° comma c.p.p. Nella denegata ipotesi applicarsi l’esimente ex art. 599 c.p. 2° c. o ex art. 530 3° c. c.p.p. In estremo subordine minimo della pena, con rigetto di tutte le istanze risarcitorie avanzate dalla parte civile. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE Con decreto di citazione in data 17.1.2012 il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Lecco, concluse le indagini preliminari, disponeva a carico di _____per il reato di cui all’art. 594 c.p. commesso in ____ in data 27.10.2008 (parte offesa _____), fissando l’udienza davanti al Giudice di Pace di Lecco per il giorno 29.06.2012. Esperito il tentativo di conciliazione che dava esito negativo, costituita parte civile la persona offesa, si apriva il dibattimento con la richiesta di prova delle parti. Venivano esaminati i testi _____, _____, ______, nonché si procedeva all’esame dell’imputata. Chiusa l’istruttoria dibattimentale, le parti concludevano come in epigrafe. L’accusa a carico della sig.ra ____ è infondata. All’imputata è stato contestato il reato di cui all’art. 594 c.p. perché la mattina del 27.10.2008, nel negozio di abbigliamento della sig.ra ______in _____, avrebbe proferito nei confronti di quest’ultima le parole: “troia, puttana”. Dagli atti di causa è con certezza emerso che la persona offesa intratteneva un particolare rapporto di amicizia con il marito dell’imputata, con il quale vie erano frequentemente scambi di telefonate, di messaggi, incontri, anche a tarda sera (cfr. testimonianza resa dal sig. ____). La predetta situazione aveva causato nella sig. ra ____ un forte stato di disagio, di insicurezza, di turbamento (cfr. testimonianza resa dal sig. ____), tanto più che il marito 9 della _____, a fronte di precise richieste di spiegazioni da parte della moglie in ordine alla natura dei rapporti con la sig.ra ____, non forniva alcuna risposta. Risulta inoltre processualmente provato che una sera la persona offesa, presso l’enoteca della sig.ra _____ e del di lei marito, davanti all’imputata, aveva affermato di “avere un debole per gli uomini sposati”. È quindi credibile che l’imputata abbia pronunciato le parole di cui al capo di imputazione in seguito all’atteggiamento della persona offesa, la quale, nonostante il legame con il marito della sig.ra ____, negava ogni rapporto, così scatenando l’ira e il turbamento dell’imputata, tali da giustificare la reazione offensiva ai sensi dell’art. 599 2° co c.p. Lo stato emotivo della sig.ra ____, dovuto alla relazione tra il proprio marito e la persona offesa, ha determinato la perdita di poteri di autocontrollo, generando un forte turbamento e una alterazione dell’emozione. La sig.ra _____ ha sicuramente avvertito come ingiustificato il comportamento della persona offesa. Se pertanto la sig.ra _____ nel corso della mattinata del 27.10.2008 ha usato un’espressione ingiuriosa nei confronti della sig.ra ____ , è altrettanto provato che l’offesa è scaturita dallo stato d’ira determinato dal fatto ingiusto e provocatorio della persona offesa. Le parole utilizzate dalla sig.ra ____ all’indirizzo della sig.ra ____ trovano giustificazione in quanto reazione ad un fatto ingiusto altrui e sono frutto di uno stato d’animo e di una situazione psicologica derivante dalla condotta che ha assunto in concreto la persona offesa, che ha provocato, con il suo atteggiamento, un legittimo turbamento. Di tutta evidenza il nesso eziologico tra il fatto ingiusto e lo stato d’ira. Giurisprudenza e dottrina evidenziano come la subitaneità della reazione vada intesa in senso relativo, dovendosi tenere conto della situazione concreta e delle modalità di reazione, con riguardo alle circostanze – soggettive ed oggettive – del caso concreto. Ne consegue la non punibilità dell’imputata ai sensi dell’art. 599, 2° comma c.p. 10 per aver commesso il fatto nello stato d’ira determinato da fatto ingiusto altrui. PQM Il Giudice di pace Nel procedimento penale a carico di ____, imputata del reato di cui all’art. 594 c.p. Visti gli artt. 530, 3° comma c.p.p. e 599, 2° comma c.p. ASSOLVE l’imputata ____ dal reato a lei ascritto perché il fatto è stato commesso nello stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui. Così deciso in Lecco il 30/05/2014. Il Giudice di Pace Dott.ssa Cossio Nicoletta * Di seguito riportiamo la sentenza emessa in data 13.06.14 dal Tribunale di Lecco in materia di impugnazione di delibera assembleare. TRIBUNALE DI LECCO Prima Sezione Il Giudice, Federica Trovò, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al numero di ruolo generale _____, avente per oggetto “impugnazione di delibera dell’assemblea condominiale”, promossa da ______, ______, ______, ______, ______, ______, tutti rappresentati e difesi, per procura a margine del ricorso introduttivo, dagli Avv.ti Marialuisa Tanco e Maria Adele Ravasi, elettivamente domiciliati presso lo studio delle stesse in Lecco, Viale Filippo Turati, n. 9 parte attrice; contro CONDOMINIO ______, in persona dell’amministratore pro tempore, rappresentato e difeso, per procura a margine della comparsa di costituzione di nuovo difensore, dall’Avv. Alberto Gerosa, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Nives Bonetti, in Lecco, via Roma n.5 -CONCLUSIONI DELLE PARTI Parte attrice – In via pregiudiziale: per le ragioni esposte in atto disporre la sospensione delle delibere assembleari in data 22.2.2011; in via principale e di merito: per le ragioni esposte in narrativa, annullare e/o dichiarare nulla e/o invalida le delibere assembleari del 22.2.2011. In ogni caso: spese, diritti e onorari di lite integralmente rifusi. In via istruttoria: come da atto di citazione. Parte convenuta: - Respingere tutte le domande degli attori perché infondate in fatto ed in diritto. Anticipazioni, spese e compensi professionali rifusi, oltre il contributo ex art. 11 L. 576/1980 ed oltre iva come per legge. MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso depositato il 24.03.2011, i sigg.ri ______, ______, _____, _____, _____, _____, tutti condomini del Condominio di _____, hanno impugnato la delibera condominiale assunta in data 22.02.2011, per le ragioni analiticamente esposte nell’atto introduttivo. Si è costituito in giudizio il Condominio, chiedendo il rigetto delle domande attoree. Dopo un rinvio della prima udienza ex art. 181, primo comma, c.p.c., le parti sono comparse all’udienza del 12.10.2011, nella quale sono stati assegnati i termini ex art. 183, sesto comma, c.p.c. La causa ha quindi subito diversi rinvii, essendovi stata inizialmente l’adesione delle parti all’invito alla mediazione facoltativa e successivamente la richiesta di sospensione ex art. 296 c.p.c. per una fase di trattativa stragiudiziale, che tuttavia non ha dato esito positivo. Ritenuta la causa decidibile allo stato degli atti, senza necessità di procedere ad istruttoria, all’udienza del 15.1.2014 (dopo un differimento per adesione di una delle parti allo sciopero indetto dall’OUA), le parti hanno precisato le rispettive conclusioni, sulle quali la causa è stata trattenuta in decisione. *** * *** Preliminarmente si prende atto che la difesa attorea non ha coltivato, negli atti difensivi successivi alla prima memoria ex art. 183, sesto comma, c.p.c., l’eccezione ivi formulata di invalidità dell’avversa costituzione, mancando la delibera assembleare di autorizzazione alla nomina del difensore del condominio. In realtà risulta dal verbale di assemblea del 22.3.2011 che l’assemblea avesse conferito all’amministratore ampi poteri di costituirsi con l’Avv. _____, ma anche con altri avvocati, proprio nelle cause di impugnazioni delle delibere assembleari. Quanto al merito della presente controversia –che si inserisce in un’annosa disputa tra i condomini di maggioranza e di minoranza (odierni attori) – vanno di seguito esaminati i singoli motivi posti a base dell’impugnazione della delibera assunta il 22.2.2011. Sull’asserita nullità della delibera per omessa verbalizzazione simultanea. La doglianza appare palesemente infondata proprio alla luce della giurisprudenza richiamata dalla difesa attorea: la circostanza che il verbale sia stato predisposto in anticipo (con eventuali aggiunte e correzioni apportate nel corso dell’assemblea) non esclude che sia assolto il requisito della verbalizzazione. Del resto, la stessa difesa attorea non assume affatto che tale verbalizzazione si sia discostata da quanto effettivamente avvenuto nel corso dell’assemblea. Sull’asserita nullità della delibera per la mancata formazione della tabella millesimale. Gli attori eccepiscono che la delibera impugnata sia invalida, essendo stata assunta sulla base di un conteggio di millesimi che fanno riferimento ad una tabella millesimale revocata. Nell’assemblea del 22.2.2010, è stato approvato il punto due dell’ordine del giorno, con conseguente revoca della delibera del 10.9.2010. Tale revoca è stata tuttavia espressamente disposta con riferimento alla nomina dell’amministratore nella persona di _____ con conseguente annullamento di ogni atto successivamente assunto dal medesimo. Poiché la revoca ha riguardato la nomina dell’amministratore e si è accompagnata all’annullamento degli atti dal medesimo compiuti, essa non può avere travolto l’approvazione delle tabelle millesimali, che è atto promanante dall’assemblea, distinto dalla nomina dell’amministratore e dagli atti dal medesimo compiuti. Sull’asserita nullità della delibera di nomina del nuovo amministratore di condominio nella persona di ____ per mancato raggiungimento del quorum necessario. La difesa attorea eccepisce che due delle condomine che hanno determinato la formazione della maggioranza avrebbero dovuto essere delegate dai comproprietari e che mancando tale delega il loro voto non possa essere computato. La mancanza di delega è tuttavia senz’altro superata dalla circostanza – riferita dalla difesa attorea- della presenza contestuale in assemblea di detti comproprietari, il che sta a significare che essi erano senz’altro consenzienti o deleganti, rispetto al voto espresso, in quanto diversamente ne sarebbe stato verbalizzato il dissenso. Sull’asserita nullità della delibera di nomina ad amministratore di condominio della sig.ra _____ per abuso della maggioranza (eccesso di potere). Il motivo di impugnazione è fondato. E’ incontestato che con ricorso ex art. 1129 c.c., promosso dagli odierni attori in data 2.7.2008, sia stata chiesta la revoca dell’amministratore in carica, _____ e la contestuale nomina di un amministratore giudiziario. Nel corso di tale procedimento _____ si dimetteva dalla carica, ma le successive assemblee non riuscivano a nominare un nuovo amministratore, sicché il Tribunale nominava l’amministratore giudiziale e tuttavia poneva le spese del procedimento a carico del _____ con la motivazione riportata a pag. 7 del ricorso introduttivo del presente giudizio, nella quale si dava atto del comportamento ostruzionistico dello stesso. È altresì incontestato che in seguito alla donazione di una quota immobiliare da parte dei fratelli _________ in favore della loro madre, si sia formata una diversa maggioranza, in virtù della quale _____ è stato proclamato amministratore del condomi- nio. Tale nomina veniva impugnata davanti al Tribunale, ma proprio il giorno prima dell’udienza di discussione della causa, essa veniva revocata dall’assemblea con la delibera impugnata in questa sede, con la quale si nominava contestualmente nuovo amministratore _______. Poiché ______ è moglie di _____, non v’è dubbio che la sua nomina sia stata adottata non tanto nell’interesse del Condominio, quanto nell’esclusivo interesse di quella maggioranza, alla quale si oppone la minoranza rappresentata dagli odierni attori. Le ripetute iniziative giudiziarie e le condotte di _____, che ha sempre evitato le decisioni giudiziarie, dando spontaneamente le dimissioni od ottenendo la revoca della sua nomina da parte dell’assemblea, dimostrano come la nomina di un condomino che promana dalla maggioranza non è gradito alla minoranza e rappresenta per ciò solo un pregiudizio per l’interesse alla corretta gestione della cosa comune, che deve essere anzitutto garantito da una serena condizione dell’amministrazione condominiale. La delibera dell’assemblea di condominio può essere annullata per eccesso di potere allorquando la maggioranza dei condomini, esprimendo il voto in assemblea, non faccia uso legittimo del potere discrezionale conferito dalla legge, perseguendo –ad esempio- un interesse diverso da quello sociale ed esclusivo di un gruppo di soci, piuttosto che di tutti. Anche di recente la Corte di Cassazione, nell’ordinanza n. 4216/2014 ha osservato che la figura dell’eccesso di potere nel diritto privato ha la funzione di superare i limiti di un controllo di mera legittimità sulle espressioni di volontà riferibili ad enti collettivi (società o condominii), che potrebbero lasciare prive di tutela situazioni di non consentito predominio della maggioranza nei confronti del singolo; essa presuppone, tuttavia, la sussistenza di un interesse dell’ente collettivo, che sarebbe leso insieme all’interesse del singolo. In effetti, la giurisprudenza di legittimità ammette l’annullabilità in sede giudiziaria di una delibera dell’assemblea dei con11 domini per ragioni di merito attinenti alla opportunità ed alla convenienza della gestione del condominio, soltanto nel caso di decisione viziata da eccesso di potere che arrechi grave pregiudizio alla cosa comune (art. 1109 cod. civ.) (sentt. Cass. nn 10611/1190, 25128/2008). Tale grave pregiudizio appare sussistere nel caso di specie in cui la nomina ripetuta ad amministratore condominiale di _____ o di persone a lui riconducibili ha ingenerato diversi contenziosi giudiziari, che compromettono una gestione condivisa della cosa condominiale e che comportano il rischio per il Condominio di esborsi economici legati alle spese legali e di lite (oltre agli esborsi per i compensi dell’amministratore, esposti dal _____ e dalla moglie, in misura superiore a quella degli amministratori proposti dalla minoranza). La stessa condotta processuale della parte convenuta rivela una totale chiusura della maggioranza a trovare un accordo con la minoranza, come dimostra l’avvicendamento di ben tre difensori in corso di causa (il quarto assisteva il Condominio nella fase stragiudiziale). Sull’asserita nullità della delibera di cui ai punti n. 5, 6, 7, 8, 10, 11, 12 dell’odg per abuso della maggioranza (eccesso di potere). Anzitutto le delibere su tali punti dell’ordine del giorno non possono ritenersi viziate per il fatto che sono state assunte dopo le dimissioni del precedente amministratore, trattandosi di decisioni emanate dall’assemblea e non assunte dall’amministratore dimissionario. Nell’annullamento per eccesso di potere non possono inoltre rientrare le decisioni di cui ai punti 5 (denominazione da attribuire all’edificio), 6 (apertura del conto corrente bancario), 7 (assicurazione dell’edificio), 8 (contatore condominiale enel), rispetto alle quali non appare derivare al Condominio alcun grave pregiudizio dalla loro adozione. Sono invece invalide le decisioni ai punti 10 (approvazione rendiconto 2010), 11 (interventi di manutenzione straordinaria) e 12 (approvazione bilancio preventivo) dell’impugnata delibera. La difesa attorea, sin dal ricorso intro12 duttivo, ha compiutamente argomentato sul fatto che nel rendiconto per l’anno 2010 risultino spese asseritamente sostenute dal _____ e da sempre contestate dalla minoranza. Sul punto la difesa del condominio, in comparsa di costituzione non ha argomentato alcunché sicché la circostanza deve ritenersi non contestata e l’approvazione del consuntivo, comprensivo di queste spese, appare viziata da eccesso di potere per abuso della maggioranza. Si osserva come la più recente giurisprudenza della Corte di legittimità abbia indicato nell’onere di contestazione tempestiva uno dei principi che sottendono tutto il sistema processuale, derivando esso non solo dall’art. 167 e dall’art. 416 c.p.c., ma anche dal carattere dispositivo del processo (che comporta una struttura dialettica a catena), dal sistema delle preclusioni (che comporta per entrambe le parti l’onere di collaborare, fin dalle prime battute processuali, a circoscrivere la materia controversa), dai principi di lealtà e probità posti a carico delle parti e, soprattutto, dal generale principio di economia (che deve informare il processo, avuto riguardo al novellato art. 111 Cost.). Ne consegue che ogni volta che sia posto a carico di una delle parti un onere di allegazione (e prova), l’altra ha l’onere di contestare il fatto allegato nella prima difesa utile, dovendo, in mancanza, ritenersi tale fatto pacifico e non più gravata la controparte del relativo onere probatorio (cfr. sentt. Cass. nn- 12636/2005, 1540/2007, 5356/2009, 10860/2011: sono alcune delle pronunce in cui la Corte di Cassazione ha affermato in via interpretativa quel principio di non contestazione dei fatti allegati, che oggi trova espressa formulazione nel novellato art. 115 c.p.c.). Del pari priva di contestazione tempestiva è rimasta l’allegazione attorea (pag. 23 e 24 del ricorso) secondo cui l’esigenza di tinteggiatura della facciata (punto 11 dell’odg) sia sorta soltanto dopo l’esecuzione di opere di ristrutturazione poste in essere dai condomini _____ e ______. Tale affermazione non trova alcuna smentita nella comparsa di costituzione e rispo- sta, che non scende neppure nel merito di tale questione. Ne consegue che anche la delibera di porre integralmente a carico di tutto il condominio le spese di ritinteggiatura appare il risultato di un abuso della maggioranza. L’approvazione dei lavori di ritinteggiatura è quindi invalida e tale invalidità si estende anche all’approvazione del bilancio preventivo (punto 12), che comprende queste spese. Risulta del resto documentalmente e non è contestato che sia il rendiconto che il bilancio preventivo siano stati redatti nel corso dell’assemblea, senza dare modo ai condomini di esaminarli preventivamente. In definitiva la delibera impugnata va annullata in relazione all’approvazione dei punti dell’ordine del giorno nn. 4, 10, 11, 12. Le spese di lite seguono la soccombenza del Condominio e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando nel merito del giudizio promossa da ______, ______, ______, ______, ______, ______, con ricorso depositato il 24.03.2011, nei confronti di Condominio di ______, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa od assorbita, annulla la delibera approvata il 22.2.2011 dal Condominio ______ limitatamente ai punti 4, 10, 11, 12 dell’ordine del giorno; condanna Condominio di _____ a rifondere alla parte attrice le spese di lite, liquidate in € 6.500,00 per compensi professionali, € 382,00 per anticipazioni, oltre al rimborso delle spese forfettarie pari al 15% dei compensi professionali, iva e cpa, se dovuti, come per legge. Lecco, 13 giugno 2014. Il Giudice Federica Trovò Invitiamo ulteriormente i colleghi ed i magistrati a segnalare pronunce sia in ambito civile che penale di interesse generale. Unione Europea: un altro importante tassello della armonizzazione penale La Direttiva 2014/41 UE del 3 aprile 2014 (in GUUE 1 maggio2014, L 130/14) introduce un ulteriore, importante tassello nella costruzione di un modello processuale penale sempre più armonizzato e, soprattutto, sempre più idoneo a svolgere la funzione di un meccanismo investigativo penale adeguato, in ambito UE. La direttiva è stata emanata quale espressione dell’ordine europeo di indagine penale (OEI) e dovrebbe costituire uno strumento davvero efficace quale sistema globale di acquisizione delle prove nelle fattispecie aventi dimensioni transnazionali . Il testo approvato, dopo la consueta sovrabbondanza di premesse (vi sono ben 46 “considerando”!) si compone di 39 articoli ed è completato dagli allegati costituiti dai modelli testuali predefiniti graficamente, da utilizzare per inoltrare le richieste relative alla esecuzione della attività probatoria che si intende provocare. Va subito sottolineato che la Direttiva de qua sostituisce tutti gli strumenti fino ad ora ideati affinché le autorità giudiziarie dei vari Stati dell’UE potessero interagire, con l’obiettivo di acquisire prove nell’ambito delle indagini penali avviate dalle rispettive autorità giudiziarie competenti territorialmente; prove da ricercare nel territorio di un diverso Stato. Inoltre riguarda tutti i tipi di prova lecitamente utilizzabili in un processo penale. Si tratta, quindi, di uno strumento che comprende in sé tutte le varie potenzialità investigative-probatorie immaginabili, uno strumento dalla grande forza operativa e che consiste, sostanzialmente, in una decisione giudiziaria emessa o convalidata da una autorità competente di uno Stato membro (“Stato di emissione”) affinché siano compiuti atti di indagine specificamente indicati, in un altro Stato membro (“ Stato di esecuzione”) col fine di acquisirne il risultato e farlo proprio, oppure affinché vengano “consegnate” prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione ( Art.1 ). Proprio al fine di attribuire all’innesco di tale procedura probatoria il più alto livello di garanzie e di legittimazione, la Direttiva pretende che la richiesta (OEI) debba essere formulata da un organo avente natura giurisdizionale o da un magistrato. Potrebbe anche essere trasmessa da una autorità diversa, ma in tale caso dovrà comunque sempre essere convalidata da tali soggetti ( art. 2 ). All’art. 1 par.3 viene introdotta una assoluta novità che presenta un aspetto di grande positività: si tratta della possibilità, offerta all’imputato o alla persona sottoposta alle indagini – o al rispettivo difensore – di rendersi parte attiva nella formulazione dell’OEI. Questa potenzialità operativa costituisce un nuovo, ulteriore motivo di utilizzo della L.397/2000 sulle indagini difensive. E’ infatti evidente che in tanto un difensore sarà in grado di sollecitare la emissione di un OEI condivisibile, in quanto sia in grado, attraverso la presentazione di spunti probatori acquisiti attraverso lo strumento delle indagini difensive, di consentire una positiva “delibazione” preliminare circa la congruità della richiesta, da parte della autorità giudiziaria interpellata. Tale facoltà si inscrive, meritoriamente, in quel sempre più condiviso modello processuale teso a rendere davvero attiva e partecipativa, con caratteri di equipollenza rispetto alla parte accusatrice, la parte accusata. Tuttavia, a questo punto, si sarebbe dovuto prevedere anche una analoga facoltà in capo alla “vittima” dell’illecito. A noi sembra di leggere, in questa omissione, le solite risalenti e sedimentate tracce culturali, tuttora difficili da superare, di una prospettiva processualpenalistica esclusivamente incentrata sulla tutela dell’accusato (indagato o imputato che sia e pur sempre sostenuto dalla presunzione di innocenza), fino a riconoscergli e attribu- irgli potenzialità operative dalle quali viene del tutto esclusa la vittima. Il che appare davvero paradossale nell’ambito di una attenta e corretta visione del meccanismo giudiziario, nonché nella applicazione di principi di doverosa considerazione verso il triste ruolo di chi sia vittima di attività illecite; tanto più che un espresso richiamo alla “attenzione” che anche (dovremmo dire “soprattutto”) la vittima di un reato deve meritare nell’ambito dei vari sistemi penali, è stato più volte ribadito in ambito UE. E se è sacrosanto assicurare a colui il quale è accusato, tutti gli strumenti per difendersi, deve risultare altrettanto corretto pretendere che le medesime potenzialità vengano attribuite anche a chi sia stato leso nei propri diritti. La direttiva in esame, poi, prevede forme operative di semplice attuazione, snelle e celeri, in omaggio a un principio di concretezza e di efficienza. Una volta attivato l’OEI, tutti i problemi pratici che dovessero insorgere o le questioni interpretative, saranno affrontati e risolti direttamente fra l’autorità di emissione e l’autorità di esecuzione, attraverso contatti diretti: il che rappresenta un ulteriore elemento di efficacia di questa misura processuale. La direttiva prevede, all’articolo 34, che entro il 22 maggio 2017 tutti gli Stati membri (esclusi Irlanda e Danimarca) la adottino e che, da questa stessa data, essa sostituirà tutte le pregresse modalità di acquisizione probatoria (la convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del Consiglio d’Europa del 20 aprile 1959, la convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen, la convenzione relativa all’assistenza giudiziaria in materia penale fra gli Stati membri dell’Unione europea e relativo protocollo ecc. ecc. ). Naturalmente vi sono alcuni aspetti – oltre a quello relativo al ruolo della persona offesa – che suscitano la necessità 13 di alcuni rilievi critici che suggeriscono la necessità di una verifica. La più importante concerne il solito, irrisolto problema di costruire un istituto avente efficacia transnazionale, in un quadro processualepenale ancora troppo variegato tra Stato e Stato. Sì che questo pur validissimo – in sé – meccanismo dell’indagine penale, rischia di presentare non trascurabili difficoltà a causa del fatto che, a valle del dato probatorio ottenuto attraverso l’OEI, si potrebbe presentare un sistema giudiziario incompatibile con le modalità di acquisizione del materiale da valutare, tale da non consentirne l’utilizzo nel giudizio. Pertanto anche la Direttiva in questione, che pure costituisce un ulteriore, importante tassello nel mosaico volto a costruire un sistema giudiziario europeo davvero efficace e capillarmente spendibile sul territorio dell’UE, mostra l’urgenza e la assoluta necessità, già affiorate prepotentemente con la Decisione Quadro sul mandato d’arresto europeo e, più recentemente, nel processo in atto per l’istituzione del pm europeo, di porre mano ad una decisiva armonizzazione di quegli istituti processuali e sostanziali i quali costituiscono la indispensabile cornice di riferimento, all’interno della quale sia possibile elaborare una normativa di dettaglio immediatamente applicabile . Confidiamo che entro il 2017 questo ambizioso quanto imprescindibile risultato venga conseguito o, almeno, che i prossimi anni vedano sempre più intenso il processo di armonizzazione dei vari sistemi processuali europei, premessa per un sistema penale che sia, veramente, garanzia di maggior sicurezza, libertà e giustizia per tutti i cittadini dell’UE. Renato Papa (Presidente del Centro Studi di Diritto Penale Europeo) Per una visione d’insieme delle problematiche ricollegabili al trattato di Lisbona e alla istituzione del procuratore europeo si veda : Lucio Camaldo (a cura di) – L’istituzione del procuratore europeo e la tutela penale degli interessi finanziari dell’Unione Europea – G. Giappichelli Editore -2014. 14 Mancata citazione dei testimoni nel processo penale Il tema oggetto di approfondimento è ancora oggi questione tutt’altro che pacifica sia in dottrina sia in giurisprudenza È la stessa Corte Suprema che, chiamata a pronunciarsi sull’omessa citazione dei testimoni da parte del difensore, arriva ad affermare come la giurisprudenza in materia non sia univoca. * Le risposte fornite dalle Corti di merito e di legittimità e poste da quest’ultime a giustificazione della mancata decadenza in caso di omessa citazione dei testi ad opera delle parti, si fondavano in precedenza, essenzialmente, sul tenore letterale dell’art. 468 c.p.p. In particolar modo le sentenze motivavano la non perentorietà del termine fissato dal giudice per la citazione testimoniale e l’assenza di una previsione che statuisse sulla decadenza in caso di omessa citazione, facendo rinvio al solo argomento letterale desumibile dall’art. 468 c.p.p., il quale, accanto all’espressa previsione di inammissibilità quale sanzione per la mancata presentazione della lista testi in cancelleria (primo comma), nulla stabilisce in relazione all’omessa citazione dei testimoni (secondo comma). Riteneva la Suprema Corte che, non essendo configurabile una decadenza esplicitamente prevista dalla legge, né l’omessa citazione, né l’omessa presentazione al dibattimento dei testimoni avesse comportato decadenza dalla prova (si veda, in tal senso, Cass. 526/1993; Cass. 9335/1999; Cass. 30889/2005; Cass. 45450/2008). Altre volte rilevava la stessa Corte come, nell’eventualità in cui, a seguito del decreto di autorizzazione emesso ai sensi del secondo comma dell’art. 468 c.p.p., la parte non avesse provveduto alla citazione del testimone, il giudice non avrebbe potuto, per ciò solo, revocare la prova ammessa. A tal proposito affermava come l’omessa citazione del teste, non avendo alcuna incidenza sui criteri di ammissione della prova indicati nell’art. 190 c.p.p., impedisse la revoca della prova ammessa da parte del giudice, salvo che quest’ultima fosse risultata superflua secondo quanto previsto dall’art. 495, quarto comma, c.p.p. (tra le altre, Cass. 5603/2000; Cass. 30889/2005, cit.). Ciò poiché parte della giurisprudenza di merito riteneva di poter superare il problema derivante dall’impasse sopra descritta, facendo ricorso all’istituto della revoca della prova ex art. 495 c.p.p. Risultava, pertanto, impossibile per il giudice penale, dichiarare la decadenza dell’imputato dalla prova per non aver citato i testimoni indicati nella lista pur tempestivamente depositata. Infatti, mentre nel codice di procedura civile una tale decadenza era, ed è prevista dall’art. 104 delle disposizioni attuative, nessuna norma del codice di procedura penale prevede la decadenza dalla prova per la parte che abbia omesso di citare i testi. In argomento, sia pure per un diverso aspetto, la dottrina sosteneva come l’omessa citazione del testimone per causa imputabile alla stessa parte, avesse potuto assumere il significato di rinunzia alla prova che, ove seguita dal consenso anche solo implicito delle altre parti, avrebbe legittimato il giudice alla revoca dell’ordinanza ammissiva. Considerazione successivamente smentita dalla Suprema Corte (si veda, nello specifico, sent. 27.03.2013 n. 14439), la quale ha affermato che la rinuncia implicita, a fronte dell’omessa citazione del teste, imporrebbe al giudice l’attivazione di una sorta di sub procedimento in contraddittorio tra le parti, all’esito del quale, ove ritenga l’omessa citazione non pretestuosa, dovrebbe rinviare l’udienza, ordinando nuovamente la citazione. Il tutto senza prescindere da valutazioni sull’atteggiamento psicologico della parte processuale rimasta inadempiente al compimento di una determinata attività entro un termine preciso. *** La Corte di legittimità, invero, chiamata altresì a pronunciarsi sulla natura, perentoria o no, del termine fissato dal giudice entro il quale le parti devono citare i testi che intendono far assumere, al fine di capire se le parti che non ottemperino alla predetta citazione decadano o meno dal diritto di assumere la prova (si veda, in tal senso e per il prosieguo, Cass., 27.03.2013 n. 14439) , richiamandosi alle norme del previgente codice Rocco, fa propria la distinzione formatasi in dottrina. Essa , in modo unanime , sosteneva che la decadenza potesse essere dichiarata, non solo nelle ipotesi in cui la norma espressamente lo prevedesse (sancendo – come nel previgente codice - una sanzione processuale a carico della parte che non avesse eseguito una determinata attività processuale nel termine fissato) ma anche in tutti quei casi in cui la norma, pur non prevedendo espressamente alcuna sanzione processuale, era strutturata in maniera tale da doversi ritenere che, anche in quelle ipotesi, l’inattività processuale della parte fosse sanzionabile con la decadenza. La Corte fa presente come ,nonostante la modifica dell’art. 182 c.p.p. codice Rocco ( il quale stabiliva: <<…I termini stabiliti a pena di decadenza non possono essere prorogati, salvo i casi eccettuati dalla legge.>>, in quello che è l’attuale testo dell’art. 173, comma primo, c.p.p. ( <<…I termini si considerano stabiliti a pena di decadenza soltanto nei casi previsti dalla legge.>>), il contenuto, nella pratica, sia rimasto identico. Così, se il principio espresso dalla nuova disposizione sottende anch’esso (come la previgente norma) la tassatività delle decadenze, anche l’orientamento dottrinale in materia , unanimemente , ritiene che nel nuovo codice esistano e siano individuabili ipotesi di decadenze implicite. A questo punto la Corte, nel percorso motivazionale della sua pronuncia, procede ad una ricognizione normativa per evidenziare che accanto ad un gruppo di norme il quale sanziona l’inerzia processuale delle parti con la decadenza espressa, ne esiste un secondo il quale sanziona l’inattività delle parti non con la decadenza, ma con altre sanzioni: inammissibilità, cessazione degli effetti, inutilizzabilità, preclusione. Queste, afferma la Corte, al di là della differenziazione dogmatica, al pari della decadenza, impediscono alla parte di avvalersi degli effetti dell’atto tardivamente compiuto rispetto al termine stabilito (si veda, per l’elencazione delle norme, sent. 14439/2013, cit.). Vi è, infine, un terzo gruppo di norme che, pur non prevedendo sanzione alcuna, sono ritenute norme contenenti un termine perentorio implicito il quale, ove non venga rispettato, configura una decadenza per la parte. Ciò impone di tener conto di quelle ipotesi di decadenze implicite previste dal legislatore anche nel vigente codice, le quali prevedono che, qualora la parte non rispetti i termini perentori impliciti dettati dalla norma per il compimento di una determinata attività processuale, essa incorra in decadenza. Dopo un’attenta analisi della norma caratterizzante la fattispecie concreta, la Suprema Corte afferma che l’art. 468, secondo comma, c.p.p. impone al giudice di stabilire un termine entro il quale la parte deve compiere una determinata attività processuale (citazione teste) se vuole ottenere un determinato effetto (esame del teste), prevedendo che la parte non possa ad essa sottrarsi poiché trattasi di attività processuale attinente alla cadenza dei tempi processuali ossia di materia sottratta alla disponibilità delle parti. Evidente la ratio perseguita dal legislatore in materia : esso sceglie di assegnare al giudice la fissazione del termine entro il quale la parte deve effettuare la citazione dei testimoni (e ciò a differenza di quanto accade per il deposito delle liste, ove il termine è stabilito per legge) , considerando che il giudice possa essere in grado , in modo imparziale e appropriato , le più probabili esigenze processuali e il più probabile sviluppo dibattimentale. Ciò che a questo punto diventa fondamentale individuare è se, nel caso in esame, ci si trovi di fronte ad un termine perentorio o ordinatorio. Questo al fine di capire se la sua inosservanza sia sanzionata processualmente; nel senso che la parte inadempiente possa essere privata della facoltà di avvalersi degli effetti dell’atto non compiuto o compiuto tardivamente (termine perentorio) . Oppure se, al contrario, l’inosservanza dei termini in questione sia , di fatto , indifferente e non provochi alcuna “irrecuperabilità” dell’atto processuale in danno della parte inadempiente la quale, quindi, potrà svolgere quell’attività anche successivamente (termine ordinatorio). Nella fattispecie in esame, la Corte, ha ritenuto che il termine in questione sia di natura perentoria, cosicché la parte inadempiente sarà automaticamente dichiarata decaduta dal diritto di assumere i testi non citati. Impossibile , secondo la Corte di legittimità , configurare un’ipotesi differente, atteso che, qualora si qualificasse diversamente il termine, attribuendo al medesimo carattere ordinatorio, ciò imporrebbe al giudice, nel caso in cui la parte non abbia citato i testi, di rinviare l’udienza, sperando che prima o poi quest’ultima provveda alla citazione. Il che, in concreto ,comporterebbe che la scansione dei tempi processuali (a tal proposito, si noti, come il legislatore abbia previsto una sequenza processuale molto precisa nella quale i tempi sono scanditi in modo chiaro ed univoco) sia affidata al comportamento della parte la quale, ovviamente, - ribadisce la Corte -, ove non avesse interesse, potrebbe scegliere di strumentalizzare questa sua facoltà, teoricamente impedendo la definizione del processo. La Corte evidenzia la funzione peculiare e centrale della tempestiva citazione dei testi ad opera delle parti , nel termine indicato dal giudice e nel farlo ricorda come la natura pubblicistica del processo fa sì che quest’ultimo debba essere sottratto alla disponibilità delle parti, così come sottratti alle stesse siano i tempi processuali; ossia i tempi entro i quali il processo si deve svolgere. È il giudice, invero, che in qualità di organo super partes, è garante della regolarità e dei tempi processuali. Senz’altro da menzionare l’importanza, in questa prospettiva , dell’istituto della 15 restituzione in termini, il quale, si pone ad ulteriore conferma di come le parti non abbiano alcuna possibilità di influire sulla scansione dei tempi processuali. Esso opera nel caso di termini perentori, qualora, ai sensi del primo comma dell’art. 175 c.p.p., le parti provino che il termine stabilito a pena di decadenza non sia stato osservato per caso fortuito o forza maggiore. Sulla scorta della ratio legis facilmente individuabile nella sottrazione dei tempi processuali alla disponibilità delle parti e nel conseguente e pieno rispetto della regola costituzionale della ragionevole durata, la quale prevede che il processo debba concludersi in tempi processuali certi, la Suprema Corte giunge alla conclusione secondo cui l’art. 468, secondo comma, c.p.p. prevede un termine perentorio per la citazione dei testi, cosicché decade dal diritto di assumere quelli già ammessi la parte che, nel termine stabilito dal giudice, ometta di citarli. * Ancora, la Suprema Corte in un caso di mancata citazione dei testi da parte della difesa, è giunta ad affermare come l’omessa citazione determini la paralisi del processo, non essendo previsto da alcuna norma che, alle inadempienze delle parti, debba supplire l’ufficio di cancelleria. La parte è, quindi, tenuta ad attivarsi per la citazione dei propri testi ammessi ed a dimostrare, in caso di mancata comparizione, di aver provveduto alla loro citazione e ciò anche al fine di consentire al giudice di disporre tutti gli opportuni accertamenti in caso di omessa citazione ovvero l’accompagnamento coattivo (si veda, in tal senso, Cass., 13.09.2013 n. 37555). * Il concetto di “parte” fatto proprio dalla Suprema Corte, sembra essere indistintamente rivolto sia al difensore sia al pubblico ministero, essendo quest’ultimo coerente con la nozione di parte di cui al primo comma dell’art. 468 c.p.p., il quale, disciplinando il deposito delle liste testimoniali, si riferisce a tutte le parti del processo penale. 16 La Giustizia Riparativa Con la definizione di “giustizia riparativa” si fa riferimento a quell’approccio volto a considerare il reato quale fonte di danno, da cui scaturisce l’obbligo in capo all’autore di porre rimedio alle conseguenze lesive scaturite dalla sua condotta illecita. Per procedere alla determinazione del puntuale significato attribuibile al termine “giustizia riparativa” non si può prescindere dalla definizione sovranazionale ufficiale, ovvero dalla Risoluzione 2000/14 adottata dall’Economic and Social Council (Ecosoc) che, nel definire i Principi sull’utilizzazione dei programmi del modello riparativo in ambito penale, afferma al Punto 3 che “per giustizia riparativa va inteso quel procedimento nel quale la vittima e il reo, e se appropriato, ogni altro individuo o membro della comunità lesi da un reato partecipano insieme attivamente alla risoluzione delle questioni sorte dall’illecito penale, generalmente con l’aiuto di un facilitatore..”. Si evince, pertanto, che quello delineato dalla cosiddetta “Restorative Justice” è un modello che si prefigge di coinvolgere nella ricerca di soluzioni, finalizzate a porre rimedio al conflitto generato dal fatto delittuoso, non solo il reo, ma anche la vittima del reato e la comunità sociale, con il preciso scopo di facilitare oltre alla riparazione del danno, la riconciliazione fra le parti e il consolidamento del senso di sicurezza collettiva. Tale sistema riparativo, così delineato, si concretizza in un insieme di azioni e di scambi costruttivi e sfrutta una fondamentale risorsa sociale: quella comunicativa. Esso consente, infatti, di spingersi al di là della semplice applicazione di una tecnica di gestione dei conflitti, arrivando ad agevolare quella che si potrebbe definire una vera e propria produzione di socialità, capace di rigenerare i legami recisi dalla condotta lesiva dell’autore del reato e di riparare il tessuto connettivo che lega autore e vittima del reato al proprio ambiente. La più saliente tra le peculiarità del modello di giustizia riparativa consiste, in primis, nell’attribuire un ruolo primario alla vittima del reato, soggetto che viene tradizionalmente lasciato sullo sfondo del procedimento penale. Essa viene ora riconosciuta come individuo proprio di bisogni specifici, come ad esempio informazioni sul processo, rassicurazioni sulla condotta del reo, riconoscimento del torto subìto. Il presupposto principale e logico dell’attuazione della giustizia riparativa consiste, così, nell’acquisizione da parte del reo della consapevolezza della lesività della propria condotta e del danno cagionato alla vittima del reato, la quale non è più un qualunque soggetto astratto o impersonale facente parte dell’ordinamento giuridico, ma un soggetto concreto e riconosciuto a pieno titolo come persona che ha patito una sofferenza e vissuto un’umiliazione. Quando il reato lede i diritti del singolo è richiesto un intervento capace di eliminare, per quanto possibile, le conseguenze derivate dall’azione delittuosa: tale scopo, perseguito dalla giustizia riparativa, si realizza attraverso un’attività riparatrice intrapresa dal reo che si concretizza nella possibilità di apertura al dialogo tra vittima ed autore del reato. Ma vi è di più: il termine vittima può ricomprendere non solo il destinatario diretto dell’azione delittuosa, ma anche la famiglia prossima, le persone a carico della vittima o, ancora, quei soggetti che hanno subito un pregiudizio intervenendo in ausilio del soggetto in difficoltà. L’affermazione della giustizia riparativa, dunque, da una parte consente la riduzione della criminalità, dall’altra, promuovendo la ricomposizione della frattura generatasi tra autore e vittima, permette a quest’ultima di godere di un maggior senso di sicurezza. Dal momento che i processi di gestione riparativa dei conflitti si inseriscono e interagiscono capillarmente con la realtà sociale nella quale l’evento delittuoso si realizza, anche la comunità assume un ruolo fondamentale nell’applicazione della Restorative Justice. Tale metodologia è, infatti, finalizzata al miglioramento della vita dei confliggenti e della comunità in cui essi vivono. Il senso di questo processo interattivo rimane sempre all’interno della comunità, nutrendosi delle dinamiche di partecipazione, stimolando le mediazioni necessarie e dialogando coi soggetti coinvolti per praticare soluzioni. Anche la comunità viene quindi coinvolta quale soggetto chiamato a sviluppare la diffusione dei modelli riparativi per la tutela delle vittime ed il reinserimento sociale del reo. In concreta sintesi, i principali obiettivi che la giustizia riparativa intende perseguire possono essere suddivisi in base ai destinatari cui si riferiscono: destinatario individuale e destinatario collettivo. Nella prima categoria occupa una posizione di assoluto rilievo il riconoscimento della vittima: secondo tale assunto, la riparazione dell’offesa subita deve comprendere non solo una componente valutativa strettamente economica del danno, ma considerare anche la dimensione emozionale dell’offesa che potrebbe indurre la vittima a cambiare le proprie abitudine comportamentali. Nella seconda categoria, invece, troviamo il coinvolgimento della comunità nel processo di riparazione; quest’ultima è chiamata allo svolgimento di un duplice ruolo: da una parte quello di destinatario delle politiche di riparazione, dall’altro quello di attore sociale nell’azione riparativa del reo. La riparazione, pertanto, non si riduce a pura e semplice alternativa alla giustizia retributiva o rieducativa, rappresentando una realtà di regolazione sociale capace di affiancarsi e, addirittura, superare la formalità delle disposizioni giuridiche e delle categorie interpretative proprie del nostro ordinamento giuridico: mentre il diritto come precedentemente conformato, tende ad avvalersi di mezzi “esogeni” nella gestione dell’interazione sociale, la giustizia riparativa si avvale invece di mezzi “endogeni”, mirando alla restituzione dell’autonomia, della capacità decisionale e della responsabilità dei conflitti ai singoli. In questo modo si ottiene una gestione costruttiva del conflitto, che diviene un vero e proprio momento di crescita sociale proprio di una valenza pedagogica. L’obiettivo è, perciò, trasformare il conflitto stesso in una fonte di confronto e dialogo tra le parti coinvolte e la comunità. Le modalità applicative del paradigma riparativo sono svariate e ricomprendono diverse tipologie di programmi. Rifacendoci all’analisi condotta dall’ International Scientific and Professional Advisory Council (ISPAC) possiamo citare alcuni esempi, fra cui: l’invio di una lettera di scuse alla vittima da parte dell’autore del reato; lo svolgimento di attività lavorative a favore della vittima o della comunità; o, soprattutto, incontri di mediazione tra l’autore della condotta delittuosa e la sua vittima, ma anche mediazioni allargate ai gruppi parentali e a tutti i soggetti coinvolti dalla commissione del reato. Tra queste, la tecnica che riveste maggior importanza, presumendo un intervento più diretto, è certamente la mediazione. Essa rappresenta, infatti, quella che meglio consente lo svolgimento del percorso di riconoscimento reciproco e di ricostruzione della relazione fra tutte le parti. È importante sottolineare che la realiz- zazione presuppone necessariamente la partecipazione personale e, soprattutto, consensuale tanto dell’autore quanto della vittima, come sottolineato dalla legislazione sovranazionale che chiarisce come “ogni procedimento riparativo deve essere posto in atto soltanto con il libero e volontario consenso delle parti” (Risoluzione 2000/14), consenso che può essere comunque ritirato in ogni momento. Tutte le tecniche riparative devono sempre rispondere ai criteri di proporzionalità e ragionevolezza, che svolgono una funzione di garanzia sia nei confronti della vittima che del reo. La giustizia riparativa entra così a pieno titolo nel nostro ordinamento giuridico, in contrapposizione al modello di giustizia retributiva che si limita a puntare il dito contro l’autore dell’illecito. Il paradigma proprio di questo innovativo metodo ci permette di capire che “riparare” non significa soltanto sapere che chi ha compiuto un’azione illecita ha avuto ciò che si meritava, ma al contrario, che il reo e la sua vittima debbono collaborare congiuntamente ed attivamente al fine di uscire dall’empasse in cui si trovano. La semplice punizione, infatti, non è sufficiente a rimarginare la ferita inferta, né a recuperare la fiducia persa nei confronti dell’autorità statale e della comunità. Inoltre, occorre riconoscere l’identità del conflitto generatosi, attribuendogli un volto umano e, soprattutto, dando la possibilità all’autore di riconoscere le proprie responsabilità, di scusarsi per il male arrecato e di spiegare le ragioni che lo hanno condotto a compiere quel gesto. Fare giustizia, quindi, non è solo punire chi agisce in modo illecito, ma è anche ascoltare e cercare di comprendere colui che ha commesso un crimine ed ha violato le norme di convivenza, offrendogli la possibilità di redimersi. Alice Magrì Simone Gilardi 17 Relazione Accompagnatoria al Convegno “Giustizia riparativa e sistema penale. Evidenze di complementarietà” – Como, 31 ottobre 2014 – Aula Magna del Chiostro di S. Abbondio Il convegno in oggetto propone un percorso conoscitivo della giustizia riparativa e, in particolare, della mediazione penale. La giustizia riparativa è un paradigma di giustizia volto a coinvolgere la vittima e la collettività nella costruzione di risposte al reato non necessariamente afflittive o lesive di diritti, come la pena carceraria o pecuniaria, bensì ‘costruttive’ e volte primariamente alla riparazione del danno cagionato alle vittime. Tale percorso conoscitivo è proposto attraverso due momenti: nella sessione mattutina del convegno vi saranno la proiezione di un video scientifico-didattico e una serie di approfondimenti offerti da professionalità diverse, il cui operato alimenta sia la dimensione teorica, sia quella applicativa della giustizia riparativa e della mediazione penale: penalisti, processualpenalisti, criminologi, mediatori, magistrati ma anche filosofi e medici. Nella sessione pomeridiana è prevista una tavola rotonda con i protagonisti del video (professori di diritto penale e di giustizia riparativa, mediatori, direttori di carceri, magistrati di sorveglianza, responsabili di servizi di volontariato) che potranno discutere di contenuti, potenzialità e limiti della giustizia riparativa e dei suoi principali strumenti operativi. La mediazione, in particolare, si presenta come modello di intervento di particolare interesse per l’avvocato, chiamato a lavorare sui conflitti non più in modo tradizionale, e cioè solo in termini di strategia processuale, bensì in modo olistico, prendendosi cura di un orizzonte più ampio di giustizia che include anche le vittime o la comunità quali co-protagonisti di percorsi di mediazione o destinatari di interventi di riparazione. Le nuove dinamiche riparative e mediatorie consentite dalla legge n. 67 del 2014 pongono l’avvocato anche di fronte a delicati problemi deontologici che investono le modalità di dialogo con il cliente, nuovi obblighi di riservatezza, capacità relazionali e di problem solving da attivare con la magistratura, con gli operatori dei servizi sociali e dei centri di volontariato. Essenziale è perciò curare oltre che normativamente anche deontologicamente questo nuovo universo relazionale, attivato dalla recente novella legislativa che rende possibile chiedere la sospensione del processo con messa alla prova anche per gli adulti. Il convegno vuole pertanto porsi, in definitiva, come momento di riflessione multilivello. Commiato Avevo sempre temuto di non riuscire a “staccare la spina“ della professione. Temevo di ridurmi come quegli avvocati i quali, oramai fuori tempo e fuori condizione, si aggirano ostinatamente nei tribunali, fra il malcelato dileggio o la compassionevole tolleranza di colleghi, magistrati, cancellieri ecc. ecc. Ed io, giunto a 71 anni d’età e a circa 46 anni di professione, temevo che la pluridecennale contaminazione con la onnivora giurisprudenza, i processi, il profluvio normativo ecc., mi avesse così fortemente condizionato da costituire, oramai, una parte irrinunciabile della mia vita; una parte così profondamente radicata, da non poterne sopportare la mancanza. Temevo la sindrome della “astinenza da toga”. Ma da troppo tempo, oramai, la mia iniziale “vocazione” era andata allentandosi fra le gioie defunte e i disinganni 18 di una professione, le cui condizioni di esercizio, le regole pratiche e la idealità, si allontavano sempre più irrimediabilmente dal modello delle mie origini. Ogni giorno di più mi sentivo estraneo al firmamento giudiziario che si andava delineando: un firmamento di cui avvertivo tutta la grottesca autoreferenzialità, svuotata di qualsiasi elevato contenuto, non solo ideale, ma anche pratico. Ogni giorno di più sentivo insopportabile questo mio contribuire a tenere in vita, alla meno peggio, il circo di una giustizia solo apparente , operante attraverso il vilipendio delle sacrosante invocazioni di vittime e accusati i cui fondamentali diritti, l’agonico carrozzone giudiziario non riusciva ad esaudire. Entrare in un’aula di giustizia (!?) mi creava disagio; mi sembrava tutto così irreale; una messa in scena in cui ognuno recitava, con sussiego e apparente convinzione ,la parte affidatagli, mentre dietro le quinte e fuori dall’ingannevole artificio, si consumava la triste realtà di un canovaccio stantio: quello di un processo penale incapace di svolgere la propria funzione. Così, giorno dopo giorno, questo disagio , questo sentimento di estraneità sono divenuti vero e proprio rifiuto, evolvendo verso una forma quasi di ostilità . Per quanto riguarda l’avvocatura, mi appariva sempre più evidente la incompatibilità fra il modello da me costantemente inseguito - di un professionista che fosse, prima di tutto, un “signore”, dotato di grande classe, grande correttezza, con la forte consapevolezza di essere chiamato a svolgere una fondamentale “funzione sociale“ - e il modello dilagante, in cui non vedevo più né i segni della signorilità, né della consapevolezza di ruolo e neppure del rispetto di quel senso della comune appartenenza - quindi reciproca cortesia, reciproco riguardo, reciproca affidabilità nei rapporti fra “colleghi”-, che dovrebbe rappresentare la soglia minima per l’esercizio di una così complessa e delicata attività. Durante la ricchissima esperienza, quasi decennale, della mia presidenza della Camera Penale di Como e Lecco - al fianco, tra gli altri, dei valorosi amici lecchesi Edoardo Fumagalli e Luciano Rosa - avevo cercato di stimolare l’avvocatura lariana, attraverso una serie di convegni ( Quale avvocato per il terzo millennio? - L’avvocato e la verità – Il difensore tra favoreggiamento personale e infedele patrocinio – Difendersi mentendo -ecc ) e di articoli con i quali , procedendo controcorrente rispetto alla direzione assunta dalla più parte di noi, tendevo a mostrare come una avvocatura orientata prevalentemente da una visione “ bottegaia” dello strumento giudiziario , indifferente ai valori ideali espressi dai principi costituzionali e deontologici , avvilisse e svilisse la figura stessa dell’avvocato, sia dinanzi all’apparato giudiziario, sia dinanzi alla società civile (e davanti agli stessi “clienti”), riducendola entro gli spazi moralmente, socialmente e operativamente angusti di una qualsiasi attività mercantile. Avevo cercato di fare comprendere come la nostra “credibilità” rispetto alla collettività, così come rispetto ai nostri diretti interlocutori giudiziari, non potesse prescindere dal rivendicare e realizzare quel connotato di “indipendenza“ rispetto alla emotività della contesa, tale da fare emergere la figura del difensore, al di sopra della specifica controversia affidatagli; un difensore che fosse non tanto e non solo il difensore di quel preciso soggetto in quel particolare caso, ma il difensore del diritto rivendicabile da tutti i soggetti che si potessero trovare coinvolti in casi analoghi. Per fare un riferimento efficace, citavo l’esempio del lessico tedesco, in cui l’avvocato è chiamato “difensore del diritto“ e sottolineavo come anche l’incipit del nostro codice deontologico recitava che l’avvocato tutela i diritti <<...della persona...>> e non <<..delle persone...>> - ciò che, invece, prevedeva il testo del progetto originario - ; così sottolineando che se l’obiettivo fondamentale e diretto del compito professionale rimane quello di “aiutare” lo specifico cliente nel soddisfare il di lui interesse, tale “aiuto” e tale “ interesse” devono svilupparsi in una cornice rispettosa dei principi e delle regole del diritto e della deontica. Da quelle mie iniziative è scaturita, in alcuni giovani avvocati, una pregevole attenzione verso il modello professionale da me auspicato: tuttavia sono costretto a rendermi conto che si tratta di una esigua minoranza - pur se composta da professionisti molto capaci e stimati - destinata a fare storia a sé; purtroppo il “gruppone” appare orientato verso lo schema dilagante e tradizionale, di un avvocato “azzeccagarbugli”, proteso prevalentemente a tradurre in risultato mercantilmente spendibile, il frutto di una operatività professionale posta al “servizio” del cliente -padrone. Ma tutto questo, oramai, fa parte di una esperienza professionale -culturale esaltante che ha scandito il tempo della mia avvocatura , marcando un territorio fatto, magari troppo, di visionari orizzonti, di sfide forse irrealizzabili, soprattutto in tempi in cui l’intero contesto socio-culturale, sembra avere imboccato l’ inestricabile groviglio delle confusioni ideali, dei clamorosi equivoci concettuali e di una generale spirale regressiva ,davvero preoccupante. In questo insieme di fattori è maturata la mia decisione di “dismettere la toga”, cessando quella attività di avvocato, la cui rotta avevo intrapreso nella primavera del 1968. Credo che il tempo dedicato a questa mia intensa “avventura”, fatta di forti bagliori ma anche di dolenti oscurità , di grandi entusiasmi e di gelide delusioni, una avventura sempre condotta con la bussola dell’impegno nella ricerca della massima qualità, possa considerarsi sufficiente e credo che sia anche “giusto” lasciare il “posto” a chi, molto più giovane di me , ha diritto di mettersi in gioco e di vivere la propria dimensione professionale ,non da “estraneo” - come io ora mi sentivo – ma da professionista in sintonia con la propria realtà. Rimarrò pur sempre “avvocato” nello spirito e cercherò sempre, quale presidente onorario della Camera Penale di Como e Lecco, di propugnare quei valori nei quali tuttora credo, confidando che non si spenga mai, anche se custodita da poche “vestali”, la fiammella di una identità dell’avvocatura quale riferimento di credibilità, di sensibilità intellettuale, di tensione morale e di consapevolezza della importante funzione sociale del ruolo affidatole. Nella mia veste di presidente del Centro Studi di Diritto Penale Europeo, continuerò a diffondere e stimolare la conoscenza del meccanismo giudiziario europeo - quello già operativo nonchè quello in fase di complessa, costante elaborazione – e insisterò per far comprendere quanto sia indispensabile, non solo costruire un sistema giudiziario unico o, quanto meno, fortemente armonizzato in ambito UE, ma anche cominciare a “leggere” ed applicare il nostro processo penale, alla luce dei principi, direttamente o indirettamente espressi dalla produzione normativa dell’UE. Non posso concludere questa mia chiacchierata di commiato, senza rivolgere un pensiero di calorosa gratitudine ai tanti amici del foro di Lecco, giovani e meno giovani, con i quali ho condiviso moltissimi momenti professionali, culturali o conviviali, nello spirito di quella affinità ideale e di quella onestà intellettuale che rimarrà , nella mia memoria, fra i ricordi più cari. Né posso dimenticare quanto forte sia sempre stato il mio legame con Lecco (fui io a voler estendere la originaria Camera Penale di Como, “affratellando” il foro lecchese) nella cui aula del tribunale ho vissuto, fin dal 1970 ,moltissime esperienze giudiziarie,talune anche fra le più impegnative, drammatiche e di grande risonanza che possa sperimentare un penalista: penso ai tragici sequestri di persona che avevano ferito la collettività lecchese negli anni ‘80, penso alla tragedia dell’aereo ATR 42 precipitato con tutto il suo carico di morti 19 alla Conca di Crezzo, penso ai processi di corruzione ed estorsione che avevano investito anche personaggi del “palazzo”, ai processi per numerosi delitti commessi da una feroce criminalità organizzata radicatasi nel lecchese, al processo all’ “angelo della morte“, l’infermiera ritenuta autrice di alcuni omicidi di pazienti e a tanti altri che resero familiare la mia presenza nell’aula “grande “al primo piano del “tribunale”. Nè intendo misconoscere quanto, la costruzione della mia esperienza professionale, sia debitrice alla frequentazione del piccolo ma “agguerrito” e variegato foro lecchese, di cui ho conosciuto esponenti ora scomparsi, che ne hanno segnato la storia; colleghi con i quali ho vissuto molte ore di quell’intenso sodalizio, di quella profonda “fratellanza” che solo la compartecipazione alle fasi di una difesa condotta in simbiosi, fino allo spasimo finale del verdetto, genera e il cui ricordo (da Adolfo Rosa, al figlio Luciano e al nipote Alberto, da Franco Calvetti a Gianni Discacciati, a Edmondo Martini, a Giuseppe Bova) conservo indelebile, col nitore e la nostalgia dei tanti momenti condivisi. Accompagnato da tutto questo patrimonio di pregevoli esperienze professionali e di preziose conoscenze personali che mi hanno arricchito, mi congedo da tutti voi, amici lecchesi e (perdonatemi un peccato di enfasi “crepuscolare” suscitata da una certa emozione!) mi avvio ad imboccare gli ultimi tornanti di un sentiero a me ignoto, che stimola la mia curiosità; il lungo, intenso cammino che ho alle spalle, percorso anche con alcuni di voi, mi darà la forza necessaria per non vacillare e per scoprire, salendo, orizzonti sempre più vasti in cui si scolora la nostra immagine “ufficiale”, divengono irrilevanti le nostre “gesta” e veniamo liberati, finalmente, dal peso di dover continuare a ricordare e a rappresentare quel che siamo stati. 20 Renato Papa Senatus Populusque … italicus. La nostra “TOGA”, giustamente, non ranno l’altro mio dubbio e cioè quale ospita articoli di contenuto politico e non senso abbia il contemplare che i senatori voglio dunque costringere il Direttore a nominati dal Presidente della Repubblica compiere il proprio dovere, vale a dire a cessino dal mandato, allo scadere di quello cestinare questo scritto. del Capo dello Stato. Nel prosieguo di esso non elogerò o cri- Il conferimento del rango di Senatore ticherò dunque la proposta di legge costi- (attualmente “a vita”) dovrebbe infatti ri- tuzionale riguardante il “SENATO DELLA guardare chi ha onorato l’Italia,col proprio REPUBBLICA”, ma sottoporrò solo alcuni agire, nei più svariati campi di attività. interrogativi ai Colleghi, certamente più ferrati di me in materia. Mi vien da dire che l’assegnazione del laticlavio concretizza quella frase che si Non so nemmeno, data la complessità legge sul frontone del Panthéon di Parigi: del meccanismo di cui all’articolo 138 della “AUX GRANDS HOMMES LA PATRIE RE- Costituzione, con i molteplici passaggi par- CONNAISSANTE”. lamentari che esso prevede, se, al momen- Beninteso: l’ingresso onorifico a Palazzo to della sua pubblicazione, questo pezzo Madama deve riguardare anche le … DA- sarà ancora attuale. MES. Se così non fosse, prego tutti di … non considerarlo. Due sono i punti che suscitano in me perplessità: il primo la non elezione diretta dei componenti il consesso e l’altro i senatori “a tempo”, di nomina presidenziale. Mi chiedo innanzitutto se sia congruo, a Ebbene, se questo è il criterio ispiratore anche della nomina dei “nuovi” senatori presidenziali, perché i loro meriti dovrebbero essere … a tempo? Spero proprio, ripeto, che ciò mi venga spiegato. Mi spiacerebbe assai, infatti, sen- prescindere da eventuali analoghe espe- tire qualche commentatore rienze estere, l’assegnare ad un ramo del Paese,chiosare la nostra riforma, con un’e- Parlamento potestà legislativa, addirittu- spressione che, sia pur nella sua lingua, ra in tema di norme costituzionali e, nel echeggiasse tuttavia il famoso motto ro- contempo, prevedere che coloro i quali le mano, ma che questa volta suonasse : ”Se- dovranno votare non siano stati “mandati natus Populusque … Italicus”. lì” dagli elettori. Me lo domando, nel vero senso del verbo e ringrazierò chi mi darà una risposta. Sarò grato anche a coloro che fughe- di altro Tradotto in gergo: “La solita roba all’italiana”. Enrico Rigamonti Stalking: Aggiornamenti Giurisprudenziali In un precedente articolo avevano indivi- offesa, soprattutto nel caso quest’ultima per la configurazione del mutamento delle duato le ca-ratteristiche salienti del reato presenti una personalità fragile dal punto abitudini di vita della persona è sufficiente de quo anche attra-verso alcuni contributi di vista psicologico. L’affermazione di re- che la condotta abbia indotto nella vit-tima giurisprudenziali. sponsabilità del-l’imputato deve basarsi su uno stato di ansia e di timore per la propria Con il presente contributo si vuole effet- un percorso motivazionale razionale, che incolumità, che può essere dedotto, come tuare un breve aggiornamento giurispru- tenga presenti tutti gli elementi della fatti- nel caso di specie, dalla natura dei compor- denziale sia di legit-timità che di merito specie concreta e che sia idoneo ad esclu- tamenti tenuti dall’a-gente, qualora questi al fine di meglio comprendere l’evoluzione dere oltre ogni ragionevole dubbio ogni siano idonei a determinare in una persona dell’istituto. ipotesi esplicativa alternativa dei fatti. comune tale effetto destabilizzante. In tema di atti persecutori interessante è Per quanto riguarda la configurabilità del Importante risulta anche la sentenza n. la deci-sione del Tribunale di S. Maria Ca- reato di atti persecutori si segnalano le 37448 in da-ta 23/4/14 in cui si evidenzia pua Vetere n. 2291 del 011/8/14 la quale due recentissime sentenza della Suprema che per il reato de quo non rileva la sus- stabilisce che la prova del nesso causale Corte (Cass. pen. n. 33196 20/6/14; Cass. sistenza o meno di vincoli af-fettivi tra tra la condotta minatoria o molesta del pen. n. 24021 20/4/14) per le quali “e’ con- agente e persona offesa. Neppure, stante reo e l’insorgenza degli eventi di danno figurabile il delitto di “stalking” quando il la previsione normativa dell’alternatività alternati-vamente contemplati nell’articolo comportamento minaccioso o molesto di degli e-venti contemplati, è necessario 612 bis c.p.(come ad es. perdurante e grave taluno, posto in essere con condotte rei- che il cambio di abitudini nella p.o. sia stato di ansia o di paura; fondata paura e/o terate, abbia cagionato nella vittima o un una conseguenza ineludibile dell’illecita timore per l’incolumità propria o di un pros- grave e perdurante stato di tur-bamento condotta; ciò che è importante è che sia simo congiunto; alterazione delle abitudini emotivo ovvero abbia ingenerato un fonda- stato indotto nella vittima solo uno stato di di vita), non può limitarsi alla dimostrazio- to timore per l’incolumità propria o di un ansia e di timore per la propria incolumità, ne del-l’esistenza dell’evento, né collocarsi prossimo con-giunto o di persona al mede- documen-tabile sul piano probatorio, non sul piano dell’astratta idoneità della con- simo legata da relazione affettiva, ovvero solo con referti medici, ma anche dalla na- dotta a cagionare l’evento stesso, ma deve ancora abbia costretto lo stesso ad alte- tura dei comportamenti te-nuti dall’agente, essere concreta e specifica, dovendosi rare le proprie abitudini di vita, bastando, qualora questi siano idonei a de-terminare tener conto della condotta posta in essere inoltre, ad integrare la reiterazione quale in una persona comune tale effetto desta- dalla vittima e dei mutamenti che sono de- elemento costitutivo del suddetto reato bilizzante.(cfr. Cass. 28/2/14 n. 21881). rivati a quest’ultima nelle abitudini e negli come dianzi affermato, anche due sole Queste de-cisioni si inseriscono nell’ambi- stili di vita. Il Giudice dovrà nello caso allo condotte di minaccia o di molestia”. Quan- to del principio fat-to proprio dalle Sezioni stesso sottoposto effettuare un’attenta to al cambiamento delle abitudini di vita, Unite. n. 7042 del 21 marzo 2013 per cui valutazione ipotesi per ipote-si, dettaglian- ciò che rileva non è la valutazione quanti- il cambio delle abitudini quotidiane di vita do in concreto l’esistenza dell’ele-mento tativa, in termini orari, di tale variazione, della vittima non è elemento essenziale conseguenziale tra condotta ed evento. ma il significato e le conseguenze emotive alla configurazione del reato, quale è inve- Secondo poi la Cas. n. 46179 del 23/10/13 di una condotta alla quale la vittima sen- ce lo stato d’ansia e di estrema agitazione il giudice deve tener conto, ai fini della va- te di essere stata costretta”. Sempre in e/o di timore della p.o.. lutazione della sussi-stenza degli elementi ordine alle conseguenze patologiche nella dì fattispecie, e in partico-lare del nesso parte offesa e all’”intensità delle stesse” causale, delle caratteristiche della persona la Cass. n. 21001 18/4/14 stabilisce che Luigi Tancredi 21 Lettera idealmente inviata all’avv. Antonino Scurria Ciao Antonino, ricordo che una volta, in Tribunale, mi elogiasti di fronte ad altri Colleghi, proprio perché avevo pronunciato esattamente il Tuo nome. Ci siamo incontrati, per quasi trent’anni, negli ambulacri del Palazzo e abbiamo conversato in tante occasioni, nelle pause tra un’udienza e l’altra. Eri molto “caratteristico” e, sia chiaro, impiego questo aggettivo in senso del tutto positivo e benevolo. Come non ricordare, ad esempio, quella Tua sorta di allergia alla cravatta? Come si dice in gergo, “non le mandavi a dire” e le tue rampogne erano rese ancor più efficaci dalla mimica facciale e dalla gestualità impiegata, nonché dall’ accento siciliano che avevi ben conservato, nonostante fossi qui, al Nord, da molti anni. Eri “diretto”, ma non acre o gratuitamen- te offensivo, soprattutto perché nutrivi e mostravi senso di amicizia e di colleganza. A quest’ultimo proposito, mi sovviene un Tuo intervento in occasione di una nostra assemblea, col quale ci invitasti a conferire indicazioni alle rispettive segretarie, affinché un avvocato che chiamasse al telefono un altro, non venisse subissato di domande del tipo: “Per che pratica ?” e affini. Ti assicuro che le mie “ragazze”, quando mi telefona un collega me lo passano, senza la minima interrogazione. In compenso, mi è capitato, recentemente, di recarmi da un legale più giovane (non qui a Lecco): la segretaria, mentre si accingeva ad annunciarmi al suo “capo”, mi ha letteralmente intimato di sedermi in un angolino, indicatomi ,con energico irrigidimento dell’indice della mano sinistra … “O tempora”, ma forse tu impiegheresti- suscitando sobria ilarità come avveniva in questi casi - un sostantivo avente come iniziale l’undicesima lettera dell’alfabeto italiano che, tuttavia, non è il caso di scrivere qui. Negli ultimi anni ti eri ritirato dalla professione, lasciando lo studio alla Prole, per dedicarti invece ad una delle Tue passioni: la coltivazione dell’orto. Quando eri ancora in attività, un giorno ci confidasti di aver chiesto a Tua Moglie di non piangere, se fossi deceduto appunto nell’orto, perché la Tua dipartita, di certo, era avvenuta in serenità. Non sei morto nel mezzo di essenze arboree, ma, ne sono sicuro comunque in serenità. Con affetto ed anche con un po’di malinconia. Enrico Rigamonti Proposte di “riforma” in ambito penale Si discute in queste settimane di proposte di “riforme” soltanto apparenti e per nulla ancorate alla realtà processuale, dalla quale partire per evitare interventi privi di organicità, inutili e soltanto nella direzione di una deflazione delle attività processuali per favorire chi non riesce a farvi fronte per propria inattività. Far credere che l’intervento sulla prescrizione c.d. “processuale” miri ad evitare strumentali attività dilatorie della difesa, costituisce un falso ideologico e propagandistico, al fine di celare le vere ragioni che causano il rallentamento dei processi, che in maggior parte giungono al giudizio quando già gran parte del termine prescrizionale è decorso, senza che sino a quel momento l’attività difensiva sia neppure iniziata. Le vere cause che comportano lo svolgimento, spesso faticoso e poco snello, dei 22 processi penali, sono addebitabili perlopiù ad azioni (od omissioni) estranee all’attività dell’avvocato. Le statistiche hanno accertato che le cause dei lunghi tempi processuali dal fatto alla sentenza siano da ricercarsi soprattutto dal ritardo delle richieste del PM (spesso lontane diversi anni dal fatto), dagli errori/ omissioni di notifiche, dall’assenza dei testimoni, dai tempi morti tra un’udienza e la successiva, dai tempi di deposito delle sentenze, ecc. ecc. Rilevato ed analizzato ciò che accade quotidianamente nelle aule giudiziarie penali, ossia quale sia l’esito quotidiano dei processi fissati sul ruolo delle udienze (sentenze o rinvii) è emerso che: - il 69,3% dei processi è rinviato ad altra udienza, il 1,2 comporta la restituzione degli atti al PM, il 29,5 si conclude con sentenza. Tra quelli rinviati, occorre analizzare le varie fasi processuali. FASE PRELIMINARE/AMMISSIONE PROVE: - il 2,6% per impedimento dell’imputato o per mancata traduzione dell’imputato detenuto; - il 5% per impedimento del difensore; - il 6,6% per esigenze difensive; - il 6,8% per problemi tecnico/logistici delle strutture; - il 3,1% per carico del ruolo; - il 2,2% per repliche; - il 12,4% per discussione finale dopo l’istruttoria; - il 12,4% per assenza del Giudice titolare; - il 1,5% per precarietà del collegio; - lo 0,2% per mancanza del PM titolare; - il 9,4% per omessa od errata notifica all’imputato; - il 1,3% per omessa od errata notifica alla persona offesa; - lo 0,9% per omessa od errata notifica al difensore; - il 4,2% per questioni processuali; - il 27% per smistamento. - il 5,1% per mancata comparizione di testimoni regolarmente citati dalla difesa; - il 32,7% per prosecuzione istruttoria; - il 13,3% per integrazione istruttoria da parte del Giudice. Ciò significa che, prima ancora dell’inizio della fase istruttoria il 76,1 % dei processi subisce un differimento. La Camera Penale da sempre collabora con le istituzioni per un miglioramento ed uno snellimento delle attività processuali, anche mediante protocolli condivisi che, ove possibile, nel rispetto delle norme vigenti, agevolano lo svolgimento delle udienze. FASE DIBATTIMENTALE: - il 9,2% per omessa citazione dei testimoni da parte del PM; - il 39,2% per mancata comparizione di testimoni regolarmente citati dal PM; - lo 0,5% per omessa citazione dei testimoni citati dalla difesa; La statistiche rivelano come sia assolutamente fuorviante addebitare all’avvocatura la responsabilità di un giustizia “lumaca”, che deve trovare altrove cause e rimedi. Anche la Magistratura ed il personale si adoperano ogni giorno con fatica ed impegno per ottimizzare le procedure, con ri- sultati che, almeno da queste parti, paiono soddisfacenti. Non si deve mai dimenticare tuttavia che, molto spesso, un processo attento e non sommario comporta per il cittadino, che sia imputato o persona offesa, maggiori garanzie, a tutela delle quali tutti gli operatori del diritto indirizzano le proprie istanze, iniziative e decisioni, qualche volta a scapito della celerità. L’eventuale intervento sulla prescrizione deve trovare compensazione in seri ed effettivi criteri di controllo dell’esercizio dell’azione penale, di decadenza dall’azione, di durata massima del processo. Giammai dovrà risultare un argine all’attività difensiva. Un caro saluto. Paolo Camporini Cerco/Offro Cerco per collaborazione interna allo studio una praticante avvocato oppure avvocato Avv. Renato Cogliati Tel. 039.508780 Cell. 348.5115544 [email protected] [email protected] ❖❖❖ Affittasi Studio in Lecco, Piazza XX settembre n. 7. Avv. 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Arianna Imbasciati tel. 0341.362215 segnala la disponibilità di un locale all’interno del suo ufficio. Il locale è completamente arredato e condizionato. Sussiste disponibilità a fruire dei servizi nonché di condividere altri locali dello studio. 23 In giro per mostre... A cura di Renato Cogliati L’UOMO E LA TERRA Van Gogh Palazzo Reale di Milano dal 18 ottobre 2014 fino all’8 marzo 2015 La Mostra “Van Gogh. L’uomo e la terra”, a Palazzo Reale di Milano dal 18 ottobre 2014 fino all’8 marzo 2015, si propone di indagare il profondo rapporto tra il celeberrimo artista olandese, la Natura e la Terra. In vista di Expo Milano 2015, la rassegna vuole mettere in relazione le opere esposte con il tema dell’Esposizione Universale “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita” dimostrando quanto l’interesse dell’artista per i cicli della terra e quelli della vita dell’uomo abbiano profondamente influenzato tutta la sua poetica. Curata da un comitato di esperti dell’opera di Van Gogh la mostra vede esposte 47 opere tra cui alcuni capolavori assoluti quali Autoritratto (1887), Ritratto di Joseph Roulin (1889) e Paesaggio con covoni e luna che sorge (1889). Il corpus principale delle opere, diviso in sei sezioni, proviene dal Kröller-Müller di Otterlo, cui si affiancano il Van Gogh Museum di Amsterdam, il Museo Soumaya-Fundación Carlos Slim di Città del Messico, il Centraal Museum di Utrecht, e importanti collezioni private. L’allestimento della mostra, a firma del noto architetto giapponese Kengo Kuma, si ispira anch’esso alla Natura, proponendo al visitatore un’esperienza immersiva nel mondo di Van Gogh. Il nucleo di opere provenienti dal celebre Museo Kröller-Müller di Otterlo sono al centro del percorso espositivo e intendono portare all’attenzione del pubblico il rapporto ancestrale ed eterno tra uomo e terra. La mostra rientra tra gli eventi del 125° anniversario della morte di Vincent van Gogh, celebrati con il grande programma internazionale Van Gogh 2015 e curato dal Van Gogh Europe Fondation - istituzione sostenuta dal governo olandese a tutela e promozione dell’opera di Van Gogh e costituita di base da quattro organizzazioni: il Museo Van Gogh, il Kröller-Müller Museum, Van Gogh Brabant e Mons 2015, Capitale Europea della Cultura. Sotto il nome collettivo di Van Gogh Europe, esse costituiscono il fulcro della collaborazione tra circa 30 organizzazioni con base in Olanda, Belgio, Francia e Inghilterra, attivamente impegnate nella promozione dell’eredità lasciata dal grande maestro olandese. Kathleen Adler, curatrice dell’esposizione e di mostre dedicate ad alcuni tra i più importanti esponenti del movimento impressionista e autrice di significative monografie, scrive a proposito di Van Gogh: “Nella vita di Vincent, eternamente in movimento, precario, tormentato, incapace di mettere radici, di adeguarsi alle convenzioni della società e in perenne conflitto anche con la famiglia, esiste un unico legame costante e indissolubile: quello con la terra e le sue fatiche”. Concetto che la mostra intende esplorare e illustrare al grande pubblico e che divenne per Van Gogh una filosofia di vita, come scrisse il grande storico dell’arte anche Giulio Carlo Argan riferendosi all’artista che “è accanto a Kierkegaard e Dostoevskij e che si pone dalla parte dei diseredati, dei contadini cui l’industria non to- 24 glie solo la terra e il pane, ma la dignità di esseri umani, il sentimento dell’eticità e della religiosità del lavoro”. A supportare l’indagine della curatrice nel mondo contadino di Van Gogh, un comitato di fama mondiale che annovera studiosi dell’arte di Van Gogh in tutti i suoi aspetti: Cornelia Homburg, tra i massimi esperti di Van Gogh nonché curatrice delle più importanti mostre dedicate all’artista; Sjraar van Heugten, già Head of Collections al Van Gogh Museum di Amsterdam, Jenny Reynaerts, senior Curator 18th and 19th Century Paintings al Rijksmuseum di Amsterdam e Stéphane Guégan, conservatore del Dipartimento di Pittura al Musée d’Orsay. Il progetto allestitivo, affidato al celebre architetto giapponese Kengo Kuma (tra i cui progetti si rammentano il Museo Hiroshige e il Tokyo SuntoryBuilding), immerge il visitatore nel tema dell’esposizione, nel rispetto del progetto scientifico e della poetica del grande olandese. Ispiratosi al paesaggio rurale e ai suoi colori neutri, Kengo Kuma ha ricercato un materiale che potesse rievocare la matericità, l’organicità e l’odore della terra – la iuta - trasformandola in uno spazio avvolgente che ricorda le linee libere e morbide della pittura di Van Gogh, in cui le opere sembrano quasi fluttuare nella luce disegnata dai light designer. * L’esposizione, articolata in sei sezioni, si focalizza sul rapporto tra l’uomo e la natura che è al centro di tutta l’opera vangoghiana: dai primi disegni, in cui Van Gogh sviluppa gradualmente la tecnica, all’esplosione accesa e vitale dei colori dei paesaggi più tardi; dai ritratti, spesso non d’individui, ma di tipologie – come “il contadino” - alle nature morte, che rispecchiano sempre la rustica semplicità che aveva osservato nella vita dei campi. L’Autoritratto, che apre la mostra, è uno dei tanti che Van Gogh dipinse osservando attentamente la propria immagine allo specchio: un’opera capace di farci credere di conoscerlo di persona. A raccontare la personalità di Van Gogh saranno le sue stesse parole, attraverso le sue celeberrime lettere citate nelle didascalie e in parte esposte in mostra, che accompagneranno il visitatore nel percorso espositivo. Il fine è di illustrare il contenuto delle sue opera, la sua poetica, la sua arte, attraverso ciò che Vincent raccontava a Theo e ai destinatari delle sue lettere. Lungo le sei sezioni (L’uomo e la terra, Vita nei campi; Il ritratto moderno; Nature morte; Le lettere; Colore e vita), il visitatore avrà modo di osservare e fare propria la vita e la fatica dei campi innanzitutto attraverso i suoi disegni - tra cui rammentiamo Contadina che lega fascine di grano ma anche che spigola o zappa. Una tecnica, quella del disegno, molto amata da Van Gogh e che gli consentì di affermare “studiare e disegnare tutto ciò che appartiene alla vita contadina... adesso non sono più così impotente davanti alla natura come un tempo”. Un percorso che lo portò fino all’immersione totale nel paesaggio colorato a olio, vissuto come una rivelazione, quella che ebbe arrivando in Provenza (“Il Mediterraneo ha un colore come gli sgombri, cioè cangiante, non si è mai sicuri se sia verde o viola, non si è mai sicuri se sia azzurro, perché un istante dopo il riflesso cangiante ha assunto una tinta rosa o grigia”) testimoniato in mostra da opere quali Veduta di Saintes Marie de la Mer, Uliveto con due raccoglitori di olive o La vigna verde. E ancora i ritratti perché, come scrive nel giungo del 1890, “ci sono facce moderne che verranno guardate ancora a lungo, che forse verranno rimpiante cent’anni dopo”. Facce come quella del Ritratto di Joseph-Michel Ginoux o del Ritratto di Joseph Roulin. Van Gogh cerca nel mondo contadino, nelle creature semplici e pure, come quel postino che lo andava a trovare tutti i giorni in manicomio e cantava la Marsigliese, il senso della vita e delle cose. Lo trova nella fatica, nel duro lavoro. Come i contadini e i pescatori che ritrae perché, come scrive sempre al fratello, suo destinatario preferito, “Noi altri dovremmo invecchiare lavorando duramente,ed ecco perché allora ci deprimiamo quando le cose non vanno”. Un lavoro mai ripagato, impossibile da capire all’epoca, perché con tratti e stile del tutto nuovo, nonostante le influenze e i rapporti con Impressionisti e gli amatissimi Millet e Daumier, intensificato dalle letture dei romanzieri contemporanei (come testimonia il saggio in catalogo a firma di Stéphane Guégan), anch’essi troppo avanti per i tempi. 25 BRAMANTINO VAN GOGH E LE ARTI NELLA LOMBARDIA FRANCESE 1499-1525 L’uomo, la terra, il lavoro LUGANO Palazzo Reale dal 27 Settembre 2014 all’ 11 Gennaio 2015 dal 18 Ottobre 2014 all’08 Marzo 2015 Informazioni Tel. 0543.1912030-031 info: www.museo-cantonale-arte.ch info: www.vangoghmilano.it Prenotazioni [email protected] HANS RICHTER HANS MEMLING GERHARD RICHTER MILANO Museo Cantonale d’Arte LUGANO Museo d’Arte ROMA Lo spettacolo della modernità FORLI Musei San Domenico ROMA Scuderie del Quirinale Palazzo delle Esposizioni dal 25 Settembre 2014 all’11 Gennaio 2015 dal 15 Ottobre 2014 al 10 Gennaio 2015 info: www.museo-cantonale-arte.ch info: www.scuderiequirinale.it info: www.palazzoesposizioni.it SEBASTIAO SALGADO GIOVANNI SEGANTINI “Segantini. Ritorno a Milano” Mostra LUCIO FONTANA E YVES KLEIN MILANO MILANO dal 31 Agosto 2014 al 23 Novembre 2014 Genesi MILANO Palazzo della Ragione Per info tel. 02 43353535 Consulta il sito www.mostrasalgado.it 26 BOLDINI Palazzo Reale Museo del Novecento Per informazioni Tel. 02.54913 Per informazioni Tel. 02.884.44061 MARC CHAGALL Una retrospettiva 1908-1985 MILANO Palazzo Reale Per informazioni Tel. 02.54911 BRAMANTINO L’arte nuova del rinascimento Lombardo LUGANO Museo Cantonale d’Arte Per info e prenotazioni Tel. +41 918157971 Consulta il sito www.museo-cantonale-arte.ch PICASSO DONI D’AMORE FIRENZE RANCATE (MENDRISIO) Per info Tel. 055/2645155 Per prenotazioni Tel. 055/2469600 o [email protected] Per informazioni 0041 (0)918164791 A. GIACOMETTI H. MEMLING Picasso e la modernità spagnola Palazzo Strozzi La Modernità e Giacometti MILANO Donne e rituali nel Rinascimento Pinacoteca Zvst Consulta il sito www.ti.ch/zuest Memling, Rinascimento Fiammingo ROMA Galleria D’arte Moderna Scuderie del Quirinale Per info e prenotazioni Tel. 02 54916 Per info e prenotazioni Tel. 06.39967500 La Divina Marchesa VENEZIA Palazzo Fortuny Per info e prenotazioni Tel. 041 0988107 Consulta il sito www.mostracasati.it 27
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