la domenica DI REPUBBLICA DOMENICA 25 MAGGIO 2014 NUMERO 481 Cult La copertina. Benvenuti nella fabbrica dei guru Straparlando. Eugenio Borgna: “Il dolore ci aiuta” La poesia del mondo. “Il nido” di Yeats Il futuro immaginato cinquant’anni fa dal padre della fantascienza IL MANIFESTO DELL’ESPOSIZIONE UNIVERSALE DI NEW YORK, 1964/CORBIS Asimov come sarà il mondo nel 2014 ISAAC ASIMOV ESPOSIZIONE UNIVERSALE di New York del 1964 è dedicata alla “Pace tramite la comprensione”. Il suo sguardo sul mondo di domani esclude l’eventualità di una guerra termonucleare. Mi sembra giusto, dato che se dovesse esserci una guerra termonucleare non varrebbe la pena di parlare di futuro. Perciò lasciamo riposare i missili sulle loro rampe di lancio e diamo un’occhiata al nostro avvenire. Sarà radioso, almeno secondo le previsioni dell’Esposizione. La direzione in cui sta viaggiando l’umanità è vista con vivace ottimismo, soprattut- L’ to nel padiglione della General Electric. Lì il pubblico volteggia fra quattro scenari, ognuno popolato da allegri manichini a grandezza naturale. Gli scenari mostrano il progresso dei dispositivi elettrici e i cambiamenti che hanno portato nella vita di tutti i giorni. Ho apprezzato moltissimo. Mi è dispiaciuto solo che non abbiano proposto altri scenari ambientati nel futuro. Ad esempio, come sarà la vita nel 2014, cioè fra cinquant’anni? Come sarà l’Esposizione universale del 2014? Io non lo so, però posso tirare a indovinare. SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE L’attualità. I nipotini di Fidel, adiós Cuba L’inedito. Pamuk, ecco il mio album Spettacoli. Mike Mills, quando si chiude la fase Rem VITTORIO ZUCCONI RA UN UOMO che odiava i grandi spazi e sognava di vivere chiuso dentro un cubicolo nella subway di Manhattan, Izaac Ozìmov poi divenuto Isaac Asimov, e da quella piccola fobìa esplose un mondo che volò oltre l’immaginazione del suo tempo. Nella storia della cultura di massa, e non soltanto di massa, la prodigiosa creatività di questo professore di biochimica arrivato in America a tre anni da un villaggio russo chiamato Petrovici, inviato negli atolli a seguire per la Us Army gli esperimenti con la bomba all’idrogeno, ha segnato la fantasia, le paure, E ma anche l’ottimismo dei “figli di Hiroshima”. Della generazione cresciuta all’ombra della possibile, e praticabile, fine del mondo. Tutto ciò che oggi è quotidiano, assorbito nelle nostre esistenze banali, dalla voce insistente del navigatore che ci chiede di «svoltare a sinistra» al computer che guida l’aereo dal momento del decollo fino a destinazione, al frigorifero che dovrebbe saper distinguere fra la temperatura per i formaggi e quella per le verdure, tutto ciò comparve nell’intuizione letteraria e scientifica del cantore delle promesse del robot. SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE la Repubblica LA DOMENICA DOMENICA 25 MAGGIO 2014 30 La copertina. Come sarà il mondo nel 2014 LE INVENZIONI DAGLI ORTI ILLUMINATI AI MARCIAPIEDI MOBILI: IN VERDE LE INVENZIONI IPOTIZZATE DA ASIMOV CINQUANT’ANNI FA E OGGI EFFETTIVAMENTE REALIZZATE. IN ROSSO QUELLE CHE INVECE SONO ANCORA FANTASCIENZA >SEGUE DALLA COPERTINA ISAAC ASIMOV Finti tacchini e schermi piatti Passeggiando tra i padiglioni dell’Expo ’64 Isaac Asimov annota le sue previsioni del tempo che verrà EL 2014 I PANNELLI ELETTROLUMINESCENTI saranno d’uso comu- N ne. I soffitti e le pareti luccicheranno delicatamente e in una varietà di colori, da alternare semplicemente premendo un bottone. Le finestre non saranno nulla di più che un tocco retrò, e quando ci saranno, saranno polarizzate per non far entrare la fastidiosa luce del sole. Forse addirittura il grado di opacità del vetro si modificherà automaticamente a seconda dell’intensità della luce che ci batte sopra. All’Esposizione universale di New York del 2014, il padiglione della General Motors probabilmente mostrerà immagini di città sotterranee complete di orti coltivati con la luce artificiale e i terreni in superficie adibiti a coltivazioni agricole su larga scala, pascoli e parchi, con meno spazio sprecato per gli insediamenti umani. Le cucine saranno progettate per preparare pasti automatici, scaldando l’acqua e trasformandola in caffè, tostando il pane, preparando uova al tegamino, in camicia o strapazzate. Pranzi e cene completi, a base di cibo semipreparato, verranno conservati nel congelatore finché non saranno pronti per essere lavorati. Sospetto, però, che anche nel 2014 sarà ancora consigliabile conservare un angoletto della cucina dove preparare a mano piatti più personalizzati, specialmente quando si hanno ospiti. Nel 2014 i robot saranno pochi e di scarsa qualità, ma comunque esisteranno. Ci saranno calcolatori, in gran parte miniaturizzati, che fungeranno da “cervelli” dei robot. Lo stand della Ibm all’Esposizione universale del 2014 avrà come fiore all’occhiello un robot costosi, perché saranno il prodotto di scarto delle dimensioni di una domestica, grosso, delle centrali a fissione nucleare che nel goffo, dai movimenti lenti ma capace di rac- 2014 forniranno all’umanità oltre la metà cogliere oggetti, mettere in ordine, pulire. del suo fabbisogno energetico. Ma una volta Senza dubbio quelli che andranno all’Espo- esaurite, queste batterie potranno essere sizione si divertiranno a spargere in terra i ri- eliminate soltanto da personale autorizzato fiuti per vedere il robot che li rimuove e li di- dal produttore. In varie aree desertiche e sevide tra le cose “da buttar via” e le cose “da midesertiche dell’Arizona, del Negev, del Kazakistan, saranno anche in funzione mettere da parte”. Naturalmente nel 2014 gli elettrodome- grandi centrali a energia solare. Nelle aree stici non avranno cavi e saranno alimentati con molto smog ma nuvolose sarà un po’ più da batterie a lunga durata che funzioneran- difficile. Verranno dedicati grandi sforzi alla prono con i radioisotopi. Gli isotopi non saranno gettazione di veicoli con “cervelli robotici” che potranno essere programmati per raggiungere destinazioni specifiche e si muoveranno senza l’interferenza della lentezza di riflessi di un guidatore umano. Nelle aree centrali della città compariranno i primi marciapiedi mobili per i piccoli spostamenti (con sedili su entrambi i lati e i posti in piedi al centro). Saranno soprelevati rispetto al piano stradale, dove continueranno a circolare le automobili (in alcuni posti anche su diversi livelli) solo perché non ci saranno più parcheggi in strada e perché almeno l’80 per cento delle consegne effettuate dai camion avverrà in centri prestabiliti ai margini della città. Tubi ad aria compressa trasporteranno merci e materiali sulle piccole distanze, e i dispositivi di smistamento che spediranno le merci nelle varie destinazioni saranno una delle meraviglie della città. Le comunicazioni telefoniche saranno visive e sonore al tempo stesso e si potrà sia vedere che sentire la persona con cui si parla al telefono. Lo schermo potrà essere usato non solo per vedere le persone durante le telefonate, ma anche per studiare documenti e fotografie e leggere brani di un libro. Grazie a satelliti spaziali con orbite sincronizzate a quella della Terra sarà possibile comunicare direttamente con ogni luogo del pianeta, comprese le stazioni meteorologiche in Antartide. I nostri televisori saranno soppiantati da schermi da appendere alla parete; ma fa- Che noia vivere con i robot la Repubblica 31 DISEGNI DI MARCO GORAN DOMENICA 25 MAGGIO 2014 ranno la loro comparsa anche cubi trasparenti che offrono una visione tridimensionale. All’Esposizione universale del 2014 una delle grandi attrattive sarà un televisore tridimensionale a grandezza naturale che proietterà dei balletti. Il cubo ruoterà lentamente per rendere possibile la visione da ogni angolazione. L’agricoltura tradizionale terrà il passo con grande difficoltà e ci saranno fattorie che si convertiranno ai più efficienti microrganismi. Prodotti a base di lievito e alghe trattate saranno disponibili in una vasta gamma di sapori. All’Esposizione del 2014 ci sarà un’Alga Bar che servirà “finti tacchini” e “pseudobistecche”. Non saranno affatto male, ma ci sarà una forte resistenza psicologica a questa innovazione. Non tutta l’umanità potrà godere appieno di queste innovazioni. Rispetto a oggi ci sarà una fetta maggiore di popolazione che ne sarà privata, e anche se queste persone vivranno meglio di oggi, dal punto di vista materiale, rimarranno comunque indietro rispetto alle parti del mondo più avanzate. In senso relativo la loro condizione peggio- rerà. La situazione sarà ulteriormente aggravata dai progressi dell’automazione. Nel 2014 saranno pochi i lavori di routine che le macchine non sapranno svolgere meglio di qualsiasi umano. Il genere umano diventerà quindi in gran parte una razza di guardiani delle macchine. Le scuole dovranno essere ripensate in questa direzione. Non saranno solo le tecniche di insegnamento a progredire, cambieranno anche le materie: gli studenti delle superiori studieranno nozioni fondamentali di informatica, diventeranno esperti di matematica binaria e saranno addestrati all’uso dei linguaggi informatici. Nonostante questo l’umanità sarà afflitta da un profondo senso di noia, un male che si espanderà sempre di più, crescendo d’intensità. Ci saranno conseguenze serie sulla sfera mentale, emotiva e sociologica, e prevedo che nel 2014 la psichiatria sarà di gran lunga la branca più importante della medicina. I pochi fortunati che potranno svolgere un lavoro creativo di qualsiasi tipo saranno la vera élite del genere umano, perché solo loro faranno qualcosa di più che stare al servizio di una macchina. La previsione più fosca che posso fare sul 2014 è dunque che in una società che costringe al riposo, la parola più bella del vocabolario diventerà “Lavoro”! (Traduzione di Fabio Galimberti) © by Isaac Asimov Reprinted by permission of Asimov Holdings LLC © RIPRODUZIONE RISERVATA Il fantascrittore terrorizzato dallo spazio >SEGUE DALLA COPERTINA V IT T O RI O Z U CCO N I EL CAMMINO verso la robotizzazione delle nostre vite, dove il sospetto di essere sempre più accessori e sempre meno motore delle macchine si insinua, la garanzia delle “Tre Leggi della Robotica”, compilate da Asimov per dirci che nessun automa avrebbe potuto farci del male, ci ha tenuto per mano. Rassicurandoci. Se nelle più di cinquecento opere letterarie che ha prodotto nei settantadue anni di vita si può cercare un filo che leghi il Notturno, la saga della Fondazione e le storie brevi di Io, Robot, è la necessità di trovare un’organizzazione sociale che includa l’interazione fra macchine intelligenti ed esseri umani stupidi. Nessun altro autore di fantascienza era così angosciato dal mito del Golem ebraico, del Frankenstein positivista, della creatura prodotta dall’umanità per salvarsi da se stessa e poi incontrollabile. Nel paradosso della sua visione, che ha influenzato legioni di produttori, sceneggiatori, registi, il suo N SCRITTORE NATO IN RUSSIA NEL 1920 ISAAC ASIMOV CREBBE DALL’ETÀ DI TRE ANNI A NEW YORK DOVE MORÌ IL 6 APRILE 1992. IN QUESTE PAGINE UN’ILLUSTRAZIONE DALL’ESPOSIZIONE UNIVERSALE DI NEW YORK,1964 segreto sta nelle sue invincibili fobìe. Cresciuto in un’edicola di New York accanto al padre divorando comics, Asimov era un «claustròfilo», il contrario di claustrofobico, e uno «pteromerhanophobico», parola che segnala un’invincibie paura di volare. Salì a bordo di un aereo solo due volte. Fu dunque uno scrittore di fantasociologia più che di pura fantascienza, come i critici gli rimproveravano accusandolo di avere escluso dalle proprie storie creature aliene e, rigorosamente, il sesso, la più umana delle espressioni. Lo capì bene un suo inaspettato ammiratore, il Nobel per l’economia Paul Krugman, che rivelò di avere trovato da ragazzo nella saga della Fondazione l’opera più formativa della sua adolescenza. Come Asimov, anche Krugman credeva e crede nella possibilità di governare, e non solo di subire, i tempi. Quando ebbi la fortuna di intervistarlo, nel suo opprimente, ma per lui confortevolissimo studiolo, non molto prima che il cuore lo tradisse nel 1992, non fu di robot che volle parlare ma di esseri umani. In particolare di uno. Del figlio che, già adulto, pensava di essersi sistemato per sempre con l’eredità futura del padre. «Parliamo di robot...» cercai di interromperlo. Scosse la testa con quei suoi epici basettoni: «E di cosa crede che stiamo parlando? I robot, caro amico, siamo noi». © RIPRODUZIONE RISERVATA la Repubblica LA DOMENICA DOMENICA 25 MAGGIO 2014 32 L’attualità. Figli di papà NOME MAIRELYS CUEVAS GOMEZ NOME CAMILA ALEJANDRA PIÑEIRO HARNECKER PROFESSIONE EX CAPOREDATTRICE DI “GRANMA” FIGLIA DI MANUEL "BARBAROSSA" PIÑEIRO, CAPO DEL DIPARTIMENTO AMERICA DOVE VIVE ORA NEGLI USA DOVE VIVE NEGLI USA, SPOSATA CON UN GIORNALISTA DEL “WASHINGTON POST” Lasciano l’isola, se la spassano all’estero e su Facebook postano tanti saluti alla famiglia Ecco la gallery dei nuovi esuli: i rampolli della nomenclatura castrista OMERO CIAI MIAMI ULTIMO a passeggiare qui, sullo scintillante L’ lungomare di South Beach, è stato Josué, il figlio più piccolo del generale Ibarra. Guerrigliero sulla Sierra, oggi ministro degli interni e uomo di Raúl. Abelardo Colomé Ibarra, detto Furry, settantacinque anni, è uno dei tanti dinosauri del socialismo tropicale con prole all’estero. Qualche tempo fa suo figlio Josué ha preso un aereo dall’Avana per Cancun, Messico, ha attraversato la frontiera con gli Stati Uniti, chiesto asilo e raggiunto sua madre, Suri Vázquez Ruz, ex moglie di Furry, che vive in esilio a Miami. Una volta lì, la prima cosa che ha fatto è stata postare sulla sua pagina Facebook due foto: in una si trova sull’Ocean Drive accanto a una Ferrari, nell’altra sorride felice in un bar con in mano un frullato. «Ma Josué è sempre stato molto legato a sua madre», confidano nell’ormai molto variegata comunità cubana di Miami: oltre un milione di anime, «e alla fine ha semplicemente deciso di raggiungerla». Sarà, ma la stessa decisione l’hanno presa e la stanno prendendo Cuba Libre E un bel giorno torneranno a casa Per governare ZOÉ VALDÉS NOME JOSUÉ BARREDO LAGARDE NOME MIRTA CASTRO SMIRNOVA FIGLIO DI LÁZARO BARREDO, EX DIRETTORE DI “GRANMA” FIGLIA DI FIDELITO, PRIMOGENITO DI FIDEL CASTRO DOVE VIVE NEGLI STATI UNITI, È UN POETA DOVE VIVE IN SPAGNA, È UNA FISICA NUCLEARE la Repubblica DOMENICA 25 MAGGIO 2014 in tanti. Glenda Murillo, figlia di Marino Murillo, a Cuba zar delle riforme economiche, è fuggita a Tampa, dopo uno stage di studi in Messico. E così Pablo Ernesto Remirez de Estenoz, ventiquattro anni, figlio di un ex ministro degli esteri ed ex capo della delegazione cubana a Washington. E ancora Ernesto Andollo, figlio del generale Leonardo Andollo Valdés. O Antonio Luzon, figlio di un vicepresidente del Consiglio dei ministri. E se qualcuno lascia l’isola per amore, come Glenda, altri lo fanno per avversione. Ernesto Andollo ha messo sul web una foto mentre in un museo delle cere strangola la statua di Fidel Castro. Pablo Remirez ha postato un suo scatto davanti al “Versailles”, noto ristorante tempio dell’anticastrismo Usa. La diaspora cubana non è certamente una novità, ma la lista di familiari della nomenclatura che, nonostante i privilegi di cui godono sull’isola, scelgono di andarsene, è ormai troppo nutrita per non pensare a un fenomeno emergente. Di certo ai nipotini della revolucao del futuro socialista importa davvero poco. O no? «Bisogna distinguere — spiega lo scrittore cubano in esilio Norberto Fuentes — perché alcuni vanno all’estero a studiare, o a fare affari, e nei progetti del regime saranno loro la nuova classe dirigente, quelli che dovranno perpetuare il castrismo dopo Fidel e Raúl. Altri invece effettivamente tagliano i ponti». Tra questi ultimi c’è Juan Juan Almeida, figlio del comandante Juan Almeida Bosque morto: oggi lavora negli States per un network anticastrista, Martinoticias. Mentre sul- NOME RAMÓN CASTRO RODRIGUEZ DETTO “MONCHY” NOME PABLO ERNESTO REMIREZ DE ESTENOZ SEMIDEY FIGLIO DI RAMÓN CASTRO RUZ, FRATELLO MAGGIORE DI FIDEL CASTRO FIGLIO DI FERNANDO REMIREZ, EX VICEMINISTRO DEGLI ESTERI DOVE VIVE ORA A MIAMI DOVE VIVE DALL’ANNO SCORSO NEGLI STATI UNITI l’altro fronte si può citare la nipote di Castro, figlia del primogenito Fidelito, Mirta Castro Smirnova, laureata in fisica nucleare in Spagna, dove vive, quando ancora per la maggior parte dei cubani era vietato uscire dall’isola. Altri se ne vanno con discrezione. È il caso di Lourdes Argivaes, nipote di Celia Sanchez — la potentissima segretaria di Castro nei primi anni della rivoluzione — e ex moglie di uno dei figli di Che Guevara: vive a Marbella, Spagna. E di Deborah Andollo, figlia del generale Andollo Valdés, sorella del già citato Ernesto: lavora con i delfini in un acquario sull’isola di Cozumel, Messico. «La rivoluzione — ha scritto la giornalista americana Ann Louise Bardach — ha frantumato le famiglie cubane provocando scontri fra cugini, zii e zie, fratelli, sorelle e padri». Una tragedia alla quale neppure quella del líder maxímo è rimasta estranea. Suo cognato, Rafael Diaz-Balart, fratello della prima moglie Mirta, madre di Fidelito, e suo amico all’università, si esiliò in Florida diventando un acerrimo nemico dei barbudos. Sua sorella, Juanita, lasciò Cuba per lavorare alla Cia, e così pure ha fatto la famosa figlia illegittima di Fidel, Alina Fernández Revuelta. Lontano da Cuba vivono anche i figli e i nipoti di Ramon Castro Ruz, fratello maggiore di Fidel e Raúl. Ma era un’altra epoca, oggi ad andarsene sono gli eredi più giovani di chi conserva da oltre mezzo secolo il potere sull’isola. Come la caporedattrice di Granma, il quotidiano del partito, Mairelys Cuevas Gomez, o il figlio dell’ex direttore Lazaro Barredo. A spingerli lon- DOVE VIVE HA STUDIATO IN MESSICO ORA VIVE IN FLORIDA DOVE VIVONO LEI IN MESSICO (LAVORA IN UN ACQUARIO) LUI IN FLORIDA secondo quanto mi confermò a Parigi un politico americano ai tempi di George Bush jr., conviene al governo di Washington che non vede di buon occhio altre rivoluzioni a centocinquanta chilometri dalle sue coste. Gli eredi conoscono il capitalismo, hanno studiato e studiano nelle migliori scuole e università straniere. Saranno loro, secondo gli americani, a portare il Paese verso un capitalismo alla castrista e senza violenze. Una transizione in cui il popolo cubano non avrà voce in capitolo, come nessun cubano ebbe voce in capitolo nel 1898, quando gli spagnoli, dopo aver perso la guerra, con il Trattato di Parigi consegnarono l’isola agli americani . Vi domanderete: e la libertà, e la democrazia? Vi risponderanno: questo è quel che passa il convento. (Traduzione di Fabio Galimberti) Zoé Valdés è una scrittrice cubana. Vive esule a Parigi Il suo libro più famoso è La Nada Cotidiana(Il nulla quotidiano, Giunti 2006) sulla sua adolescenza all’Avana NOME ANA CRISTINA E JUAN CARLOS RODRÍGUEZ (CON LA MADRE ISABEL, A SINISTRA NELLA FOTO) FAMIGLIA IL NONNO E LO ZIO SONO DUE GENERALI DOVE VIVONO NEGLI STATI UNITI © RIPRODUZIONE RISERVATA FIGLIA DI MARINO MURILLO, EX MINISTRO DELL’ECONOMIA FIGLI DI RAMÓN ANDOLLO VALDÉS, GENERALE DI DIVISIONE LEONARDO P tano, loro che in un regime quasi monarchico potrebbero succedere ai padri, in alcuni casi è quel «nulla quotidiano» che la scrittrice Zoé Váldes descrisse così bene nel suo libro più famoso. Oppure una fisiologica irrequietezza: è il caso di “Silvito el libre”, figlio di un mostro sacro della retorica rivoluzionaria, il cantautore Silvio Rodriguez: il ragazzo se ne va in giro per il mondo a cantare rap “anti-socialista”. E ancora. Vivono all’estero, in Spagna, i figli di uno dei generali della linea dura, Ramiro Váldes, numero tre del regime. E quello di uno degli intellettuali più vicini a Fidel, l’urbanista Eusebio Leal: fa il pittore a Barcellona. Vivono negli Usa i figli di Isabel Rodriguez Lopez-Callejas, sorella di Luis Alberto, marito della figlia maggiore di Raúl, Deborah, generale dell’esercito e uno dei manager più influenti nelle industrie di Stato. Ma anche Margarita, figlia di Ricardo Alarcon, per vent’anni presidente del parlamento e a lungo indicato come successore di Fidel. E poi Camila, figlia di Manuel Piñero, al secolo “Barbaroja”, l’uomo che gestì le guerriglie filocastriste. È un’onda, questa dei “figli di papà”, che non si ferma e in Florida, tra gli esponenti del vecchio esilio degli anni Sessanta e Ottanta del Novecento, quando dall’isola fuggivano solo gli oppositori, sta creando qualche malumore. «Il governo americano offre asilo ai figli dei repressori», sussurra più d’uno. Poi, per tutti, passeggiata sul lungomare di South Beach. In attesa dell’epilogo, se mai ci sarà. NOME GLENDA MURILLO DIAZ NOME DEBORAH ANDOLLO (FOTO A SINISTRA) ERNESTO ANDOLLO (FOTO A DESTRA) ER DECENNI i cittadini cubani non hanno avuto il permesso di viaggiare all’estero. I figli dei dirigenti castristi, invece, hanno cominciato a viaggiare molto presto. Il primo di cui si sa (e naturalmente si è saputo molto dopo) fu il figlio maggiore di Fidel, Fidel Castro Díaz-Balart, che ebbe il privilegio di studiare fisica nucleare all’estero. Altri lo seguirono. Per esempio, alcuni figli di importanti esponenti delle Forze armate ebbero la possibilità di andare in Angola, durante l’intervento militare cubano. Naturalmente si piazzavano con tutti i comfort in aree lontane dal fronte e andavano in giro in uniforme sfoggiando gradi e decorazioni senza aver sparato un solo colpo né aver mai preso parte ad alcuna impresa eroica. Figli e nipoti dei principali dirigenti (con l’eccezione, per quanto ne so ma potrei sbagliarmi, di Alina Fernández, esiliata a Miami e figlia di Naty Revuelta e Fidel) senza dubbio si aspettano che prima o poi il potere passerà a loro. Cosa che, 33 SONO CRESCIUTI NELLE MIGLIORI UNIVERSITÀ STRANIERE QUANDO NESSUN CUBANO POTEVA ESPATRIARE SARANNO LORO A PRENDERE PRIMA O POI IL POTERE QUANTO AI CUBANI ANCORA UNA VOLTA NON AVRANNO VOCE IN CAPITOLO © RIPRODUZIONE RISERVATA NOME JOSUÉ COLOMÉ VÁZQUEZ FIGLIO DI ABELARDO COLOMÉ IBARRA DETTO “FURRY”, MINISTRO DEGLI INTERNI DOVE VIVE ORA A MIAMI CON LA MADRE SURI la Repubblica LA DOMENICA DOMENICA 25 MAGGIO 2014 34 L’inedito. Album di famiglia “ISTANBUL” IN QUESTA FOTO SCATTATA DA MIA MADRE, DIPINGO SUL TERRAZZO DI CASA COL BOSFORO SULLO SFONDO. RITRAEVO LA MIA CITTÀ IN MODO VAGAMENTE IMPRESSIONISTA, ALLA CÉZANNE E ALLA PISSARRO MA INIZIAVO ANCHE AD AFFRONTARE UNA QUESTIONE IMPORTANTE: PERCHÉ MI TROVAVO A ISTANBUL? COSA VOLEVA DIRE VIVERE IN QUELLA METROPOLI? “IL MIO NOME È ROSSO” NEL ROMANZO STORICO DEV’ESSERCI SEMPRE UN’UNITÀ TRA LA PROPRIA VOCE E QUELLA DELLA STORIA PASSATA CHE SI VUOLE DESCRIVERE: UN’ARMONIA DIFFICILE DA TROVARE QUESTO ANTICO PITTORE PERSIANO, CUI MANCA DEL TUTTO LA PROSPETTIVA, DESCRIVE COSÌ BENE L’UMORE DEI PERSONAGGI CHE QUELLA MANCANZA FINISCE PER ESSERE RELATIVA ORHAN PAMUK NA VOLTA LESSI UN TESTO in cui Carlos Fuentes diceva: «Ho scritto i miei libri con l’aiuto delle immagini». Ed è proprio così che avrei potuto titolare questo mio ciclo di lezioni bolognesi. Se poi vogliamo adoperare le parole di Henry James, allora diremo che l’arte del romanzo è radicata in molte cose: si può vedere il romanzo come una macchina capace di inglobare aspetti diversi. Vorrei dunque farvi vedere come ho scritto i miei libri. Coleridge aveva una teoria: quella della fantasia romantica, la fantasia dell’artista. Lui ne illustra due tipi: la maggiore, capace di inventare tutto; e poi l’altra, che si radica su qualcosa di semplice, non so, un leone o un essere umano, e la nostra fantasia unisce il corpo dell’uno e il volto dell’altro. Ecco, il mio lavoro è basato su questa fantasia, ma su vasta scala. U Il primo di cui voglio parlare è un romanzo molto personale, Istanbul. E subito dopo c’è quello in cui ho trovato la mia voce, la mia cifra di scrittore, Il libro nero. Prendono ispirazione da immagini del mio passato, storie della mia biografia, foto che fanno parte dell’argomento, ma hanno a che fare con l’umore del momento. Sono stato un bambino molto fortunato perché molto fotografato. La nostra era una casa grande, avevo uno zio che viveva in un’ala dell’edificio, un altro zio in un’altra. Era una casa ottomana dove però si viveva in modo parigino. Mio nonno era ingegnere civile, mio padre pure, e tutti si aspettavano da me che facessi lo stesso tipo di professione. Questo è stato un po’ il mio dramma. In una foto, scattata da mia madre, dipingo sul terrazzo di casa con il Bosforo sullo sfondo. Nella mia autobiografia, Istanbul appunto, ho poi spiegato perché a ventidue anni ho smesso di dipingere e cominciato a inseguire un altro mestiere: volevo fare lo scrittore. Su quella terrazza ritraevo la mia città in un modo vagamente impressionista, Pamuk Io scrivo per immagini LezionidaNobel comedaquattrofoto possononascerequattrolibri DISEGNO DI TULLIO PERICOLI LEZIONE 1. “ISTANBUL” E “IL LIBRO NERO” la Repubblica DOMENICA 25 MAGGIO 2014 “NEVE” TU COLLEZIONI COSE E POI VIENE IL MOMENTO IN CUI NE FAI USO COSÌ MI SUCCESSE CON TRE FOTO DI KARS, PICCOLA CITTÀ TURCA VICINA ALL’ARMENIA, SOTTO LA NEVE D’INVERNO VOLEVO SCRIVERE UN ROMANZO ALLA GRAHAM GREENE E TROVAI UN MOTIVO CENTRALE NELLA QUESTIONE DEL VELO. LESSI CHE IL RECORD DI SUICIDI TRA LE RAGAZZE ERA PROPRIO A KARS come Cézanne e Pissarro. Ma cominciavo anche ad affrontare una questione importante: perché mi trovavo a Istanbul? Che cosa significava vivere in quella città? Qual era la storia della metropoli? Scrittori malinconici come Baudelaire dicevano che le immagini finiscono per influire sull’umore di chi guarda. E io guardavo Istanbul. Tutte le città hanno un carattere, e la mia il suo. Fra gli anni Sessanta e Settanta la tendenza era di riferirsi a quel che in turco chiamiamo huzun, la malinconia. Un’immagine del tram sotto la pioggia, per esempio, evoca per l’appunto la tristezza che i fotografi sembravano cogliere della città. I giapponesi parlano di “nobiltà del fallimento”: ecco, è un concetto che si adattava molto ai turchi dopo la fine dell’Impero Ottomano. L’huzun faceva pensare alla rassegnazione, all’accettazione quasi serena del fatto che non si riuscirà a combinare quasi nulla nella propria vita. Viaggiatori che arrivavano a Istanbul come Edmondo De Amicis o Gérard de Nerval lo descrivevano perfettamente nei loro appunti. Passando a Il libro nero, avevo notato, viaggiando, come in Europa le persone vestissero in modo piuttosto sgargiante. Poi tornavo in Turchia e incontravo uomini e donne fasciati nei loro abiti neri, o grigi. Ecco, quel romanzo è il tentativo di descrivere Istanbul in maniera abbastanza drammatica. Sarò sincero: volevo fare la stessa cosa che James Joyce aveva fatto con Dublino. E un incidente mi aiutò. Nel 1982, dopo il colpo di Stato dell’anno prima, i militari volevano che la nuova Costituzione venisse approvata con un plebiscito. In una foto si vedono alcuni soldati che percorrono una Istanbul deserta. E in quei giorni, un giornalista internazionale venne in Turchia per cercare un intellettuale che, invece, criticasse quella Costituzione. I miei parenti mi chiesero di trovargli qualcuno. Per tre giorni andai al- Umberto Eco: “C’è del genio nella sua follia” MARCO ANSALDO l’università, nelle redazioni, nelle case degli scrittori, non trovai nessuno: tutti, davvero tutti, avevano paura di finire in galera. E comunque io, camminando per Istanbul, feci un po’ come il personaggio di Joyce, cercando il carattere della nazione. Questo è stato l’inizio. Poi, influenzato da Borges, ho realizzato un labirinto con una persona che si è persa. In un mio disegno si vede la scritta: Ben, Orhan (io, Orhan). Insomma, questa fu l’atmosfera sullo sfondo. Il resto è un giallo. La trama mi è venuta dall’uccisione del direttore del quotidiano Milliyet, Abdi Ipekci, probabilmente da parte del killer che poi sparò al Papa, Ali Agca. LEZIONE 2. “IL MIO NOME È ROSSO” Dieci anni dopo la decisione di dedicarmi alla scrittura, a trentadue-trentatré anni pubblicai il mio primo romanzo (Il signor Cevdet e i suoi figli, ndt). Ebbe molto successo. Poi volli dedicarmi a un libro che avesse come tema la pittura. Desideravo farlo ma volevo essere originale e avevo il terrore di imitare. Guardai così al passato. Il mio nome è rosso è costituito da due ingredienti: il piacere quasi fiabesco che provavo nello studio della letteratura ottomana classica, e il piacere che mi davano le immagini e le miniature. Nel romanzo storico ci deve essere sempre un’unità fra la propria voce e quella della storia passata che si vuole descrivere. È un’armonia difficile da trovare. Uno dei motivi per cui ho scritto quel libro era proprio perché volevo fare ricerca sui libri di storia: una preparazione necessaria per fare un salto nel passato. Cominciai così a riempire delle agende per inserire i dettagli dei personaggi, immaginando poi un’atmosfera. Cercai le giuste informazioni. Andai al British Museum e studiai il passato di Istanbul, vista dagli altri. E lessi uno storico italiano che amo molto, Carlo Ginzburg: il suo saggio, Il “IL MUSEO DELL’INNOCENZA” KEMAL, UOMO DELLA ISTANBUL BENE, FIDANZATO CON UNA RAGAZZA DEL PROPRIO AMBIENTE, S’INNAMORA DELLA GIOVANE CUGINA POVERA, FUSUN COLLEZIONARE IN UN MUSEO OGGETTI APPARTENUTI ALL’AMATA, DALLE SCARPE ALLE TAZZE DA TÈ, DAI NUMERI DELLA TOMBOLA FINO ALLE CICCHE DELLE SIGARETTE DA LEI FUMATE, GLI DÀ CONSOLAZIONE formaggio e i vermi, ha avuto un impatto forte sulla mia formazione. Poi, l’aiuto di Borges, Calvino ed Eco mi servì a superare la cosiddetta «incapacità di noi moderni di rappresentare una realtà ormai scomparsa», com’era teorizzata da Henry James. Dovetti infine metterci un po’ di magia inserendo i personaggi in un passato attendibile e realistico. E allora ecco qui un Canaletto a confronto con un antico pittore persiano sul concetto di prospettiva, che manca del tutto a quest’ultimo, il quale però descrive così bene l’umore dei personaggi che quella mancanza finisce per essere relativa. Decisivo, per il punto di vista adottato nel romanzo, fu infine un film, Rashomon di Akira Kurosawa, in cui si comprende che una storia raccontata da persone diverse mostri quanto una realtà unica sia contraddittoria. LEZIONE3. “NEVE” Tu collezioni cose, e poi viene il momento in cui ne fai uso: così mi è accaduto con tre foto di Kars, la piccola città turca vicina alla frontiera con l’Armenia, sotto la neve, d’inverno. In questo romanzo volevo descrivere la “stranezza” della realtà politica turca, con i militari, i nazionalisti turchi e curdi, una sinistra debole. Partii per fare la mia ricerca verso l’est del Paese. In una foto sono ritratto con il rappresentante locale del partito islamico. Alle sue spalle ci sono quattro simboli: la bandiera turca, Ataturk, il manifesto del loro partito, e una foto di un Erdogan giovane, sì, l’attuale premier, allora sindaco di Istanbul, a cui quelli di Kars evidentemente si ispiravano. Volevo scrivere un romanzo alla Graham Greene, e trovai poi un motivo centrale nella questione del velo. Lessi su un giornale che il record di suicidi fra le ragazze era proprio a Kars. Sui giornali turchi la notizia era stata data in breve, però la Frankfurter Allgemeine Zeitung e Le Monde se ne RHAN PAMUK E UMBERTO ECO. Per quattro giorni all’Università di Bologna. Prima in cattedra, e poi a cena. Ma colloquiando di Tolstoj e Polanski, di romanzi gialli e Turchia, di colori e cucina. Il grande semiologo autore de Il nome della rosa ha invitato lo scrittore turco e premio Nobel per la Letteratura per un ciclo di quattro lezioni ospitate dal Magnifico rettore dell’Alma Mater Studiorum, Ivano Dionigi, organizzate dalla Scuola Superiore di Studi umanistici. Titolo: Sei libri in centouno immagini. Dove i libri sono quelli più noti del narratore di Istanbul, e le immagini quelle usate da Pamuk per costruire le sue opere. Le foto, tutte tratte dal suo album personale, fanno capire quanto sia un autore visivo. E quanto l’immagine conti nella elaborazione del testo. Quanto sia stato influenzato dagli studi di architettura, dall’essere cresciuto in una famiglia di ingegneri, e perché fino a ventidue anni abbia pensato di fare il pittore. Chi ha assistito alle conferenze ha O 35 FOTOGRAFIE LE IMMAGINI PUBBLICATE IN QUESTE PAGINE SONO TRATTE DALL’ALBUM PERSONALE DI ORHAN PAMUK. LO SCRITTORE LE HA USATE PER ILLUSTRARE LE SUE QUATTRO LEZIONI BOLOGNESI. A QUESTE E AD ALTRE SI È ISPIRATO PER SCRIVERE I SUOI ROMANZI PIÙ CELEBRI. ALCUNE SONO ESPOSTE NEL SUO MUSEO A ISTANBUL accorsero, e mandarono laggiù i loro inviati. Fecero delle interviste, un mio amico scrisse un libro, e l’argomento finì per attrarmi. LEZIONE 4. “IL MUSEO DELL’INNOCENZA” E “L’INNOCENZA DEGLI OGGETTI” Ogni volta che ero invitato a presentare i miei libri nei festival letterari in Europa ero molto felice. Visitavo i musei di tutte le città in cui andavo. Un giorno decisi che avrei costruito io un museo. Nel 1998 acquistai a Istanbul un edificio distrutto e oggi completamente restaurato: ne sono molto orgoglioso. Tra il museo e il romanzo c’è un legame. Nei quattro piani del museo ho messo tutti gli oggetti di cui scrivo, addirittura a volte facendoli costruire apposta se non esistevano. Per cinque mesi, e per la prima volta in vita mia, non scrissi nulla ma mi dedicai a seguire il progetto del museo assieme agli architetti. La storia del romanzo è quella di Kemal, un uomo della Istanbul bene che si innamora della giovane cugina povera Fusun mentre è fidanzato con una ragazza del proprio ambiente. Il collezionare in un museo gli oggetti appartenuti all’amata, dalle scarpe, alle tazze di tè, ai numeri della tombola, fino alle cicche delle sigarette da lei fumate, gli dà consolazione. Io ho costruito queste vetrine per custodire, per esempio, una foto di militari a un picnic mentre bevono il raki, il liquore d’anice bevanda nazionale. O le figurine dei calciatori dell’epoca. O un manichino sul quale sono descritte le parti dove si manifestano le pene d’amore, nel cuore, in gola, eccetera. Un progetto che è stato anche una sorta di follia. Tutti gli amici mi sconsigliavano. Mi dicevano: «Non costruire un museo, concentrati sulla scrittura, scrivi il romanzo». Così non ne parlai quasi più a nessuno. Ma sono molto felice di averlo fatto. Migliaia di persone, oggi, vengono a vederlo. © RIPRODUZIONE RISERVATA compreso come il premio Nobel sia uno scrittore molto strutturato. Capace di assemblare le proprie storie non prima di aver riflettuto sulla base di immagini raccolte nel tempo, utili a definire i temi del romanzo che ha scelto di raccontare. «Vorrei a voi rivelare — ha detto Eco — che se Pamuk non avesse scritto romanzi bellissimi, potrebbe benissimo passare alla storia come il creatore di un museo straordinario. Una nostra dottoranda ne ha scritto cose meravigliose, pur senza averlo ancora visto di persona. Io invece l’ho visitato. Si sale sulle scale circondati da una serie di oggetti deposti in ottantatré vetrine, tante quanto sono i capitoli del libro Il museo dell’innocenza. Sembra di essere in una Wunderkammer. Ma se amo Pamuk è anche perché, per esempio, in un saggio come Romanzieri ingenui e sentimentali, parla dell’ecfrasi, cioè della descrizione degli oggetti visivi. Pamuk dipinge le cose con le parole. C’è del genio nella sua follia». © RIPRODUZIONE RISERVATA la Repubblica LA DOMENICA DOMENICA 25 MAGGIO 2014 Spettacoli. Lontano dai riflettori “Temevamo di diventare la più grande rock band del mondo”.Mike Mills racconta due o tre cose sul gruppo indie che per primo ha fatto storia. “Cominciamo dal nome?” LU C A V AL T O R T A LONDRA A LLA STAZIONE di Oxford Circus un ragazzo suona la chitarra. E canta: «Oh life, it’s bigger/ It’s bigger than you.../ That’s me in the corner/ That’s me in the spot-light». Un misto di languore introverso in un chiaroscuro malinconico, riflessi di vita, lampi che illuminano mondi interiori che sembrano scontrarsi («sono io quello nell’angolo/ sono io quello sotto i riflettori») che nel 1991 toccarono il cuore di milioni di adolescenti e non solo. Quella che il ragazzo sta cantando in metropolitana, maggio 2014, è Losing My Religion dei R.E.M., il brano che portò per la prima volta una band “alternativa” nelle classifiche mondiali trascinando con quel singolo l’album, Out Of Time, che avrebbe venduto l’incredibile cifra di diciotto milioni di copie. Il gruppo si è ufficialmente sciolto tre anni fa. Ma, a sorpresa, pubblica martedì la versione integrale dei due concerti Unplugged realizzati per Mtv nel 1991 e nel 2001. L’appuntamento con Mike Mills, multistrumentista e principale compositore dei brani dei R.E.M., è alla Sala da tè del Savoy, l’hotel delle star. Alle pareti i quadri di McAlpine Miller ricordano che qui sono passati tutti, da Frank Sinatra ad Ava Gardner, dalla Monroe ai Beatles. In sala donne velate, europei e americani, arabi e russi. Ricchi. Grandi lampadari pendono dal soffitto, per terra moquette old style di colori scuri con eleganti stemmi nobiliari. Il cameriere serve il tè in un servizio d’argento, impeccabile come tradizione vuole. Mills ha i capelli grigi e una camicia con dise- ABBIAMO SEMPRE FATTO ESATTAMENTE QUELLO CHE VOLEVAMO SCIOGLIMENTO COMPRESO. ABBIAMO DECISO NOI IL COME E IL QUANDO COVER SOPRA, LA COPERTINA DEL DOPPIO CD CHE CONTIENE LA VERSIONE INTEGRALE DEI DUE CELEBRI “UNPLUGGED” REALIZZATI PER MTV SUPERSTAR 1995: BILL BERRY (ULTIMO A DESTRA) LASCIA LA BAND LAURA LEVINE/CORBIS IL PRIMO ALBUM AI TEMPI DI MURMUR (1983), COSTATO SOLO 15.000 DOLLARI SANTIAGO BUENO/CORBIS GLI INIZI DA SINISTRA, MICHAEL STIPE, BILL BERRY, MIKE MILLS, PETER BUCK VINCENT LOUIS /DALLE/LUZ Perché si è chiusa la fase gni di fiori stilizzati. Gentile, come sempre. Chiede un Oolong Tea: scelta raffinata. Un vero gentiluomo del Sud. I due Unplugged, che pescano tra i brani migliori della loro carriera, sono un’ottima scusa per curiosare tra i piccoli-grandi segreti della loro storia. Una storia importante perché i R.E.M. non sono stati una band normale: rappresentano l’identità indipendente e la cultura del “faida-te”, e sono stati l’ispirazione per generazioni di giovani gruppi che hanno cercato di seguirne l’esempio. In primis i Nirvana di Kurt Cobain e oggi i Radiohead di Thom Yorke: come dire, il meglio del rock. La prima leggenda. Come vi siete incontrati esattamente trentacinque anni fa? È vero che fu grazie a una ragazza? «Non è una leggenda, è vero. Il suo nome era Kathleen O’Brien ed era l’ex fidanzata di Peter Buck (il chitarrista, ndr). Lei poi ha iniziato a uscire con Bill (Berry, il futuro batterista, ndr). Io e Bill eravamo a caccia di un cantante e di un chitarrista e lei sapeva che Peter e Michael (Stipe, il cantante, terzo e ultimo ndr) stavano cercando una sezione ritmica e così ci ha messo in contatto. Il nostro primo concerto è stato a una sua festa». In quel primo periodo avete messo le basi non solo della vostra musica ma anche di un’etica che vi ha sempre contraddistinto rispetto alle altre band… «Peter aveva diverse idee su come far funzionare il gruppo. Una di queste era che tutte le canzoni dovevano essere accreditate in eguale misura ai membri della band. È da lì che arrivano i soldi e questo, secondo lui, avrebbe evitato quei litigi che portano allo scioglimento: se due persone prendono dei soldi e le altre due no ci sarà tra loro un attrito costante. Peter è stato molto intelligente nel fare questa proposta e credo che sia la decisione più giusta e importante che abbiamo preso». Altra presunta leggenda: in quel periodo il nome della band era Twisted Kites (“Gli aquiloni attorcigliati”). Vero? «No, lo hanno scritto in molte nostre biografie ma non è così. Quello era il nome che Peter avrebbe voluto! In realtà non avevamo ancora un nome, così una sera Michael prese il dizionario e dopo i primi tentativi andati a vuoto se ne venne fuori con R. E. M. Il suono ci piaceva ma nessuno di noi sapeva che cosa volesse dire, guardammo sul dizionario: “Rapid Eye Movement”, ovvero quando dormi e al tempo stesso stai sognando: “Ok è questo!”, eravamo tutti d’accordo». Ed è vero o falso che gli altri nomi in ballo erano cose come “Negro Eyes” (occhi da negro), “Slut Bank” (banca puttana) e “Cans of Piss” (barattoli di piscio)? «Ok, sfatiamo quest’altra leggenda. La verità è che tre di noi vivevano in una vecchia chiesa disabitata e fatiscente dove la gente che passava scriveva quello che voleva sui muri. Una di queste scritte era “Negro Wives (“mogli negre”), e non “Negro Eyes”, e comunque non era roba nostra. E francamente no, non abbiamo mai pensato di chiamarci “Cans of Piss”». Del resto forse non avreste fatto la stessa carriera se vi foste chiamati così… «Credo che sarebbe stata dura. Ho un amico che suona in un gruppo che sta avendo un notevole successo, il problema è che la sua band ha il peggior nome del mondo: si chiamano Diarrhea Planet. Con questo nome è evidente che molte strade ti sono precluse ma se cambiano hanno paura di perdere il pubblico che li conosce. Bisogna stare attenti ai nomi…». Visto che siamo in tema di rivelazioni. È vero che quando Michael ti vide per la prima volta disse una cosa tipo: “Non c’è nessuna possibilità che io possa stare in una band in cui c’è un tipo come questo”? «Ok, è vero: quella volta ero piuttosto 36 la Repubblica DOMENICA 25 MAGGIO 2014 TORNARE INSIEME? NON CREDO PROPRIO. VOGLIO DIRE, TUTTO PUÒ SUCCEDERE, ANCHE CHE DOMANI IO VENGA COLPITO DA UN METEORITE. MA DAVVERO NON C’È NESSUN PIANO AL RIGUARDO, STIAMO BENE COSÌ: IO SUONO, PETER HA FATTO UN DISCO E MICHAEL DIPINGE 37 1983 MURMUR 1988 GREEN 1991 OUT OF TIME 1992 AUTOMATIC FOR THE PEOPLE 1994 MONSTER 1998 UP ADAM WEISS/CORBIS 1999 MAN ON THE MOON 2004 AROUND THE SUN 2007 R.E.M. LIVE BAND DA SINISTRA MIKE MILLS, MICHAEL STIPE E PETER BUCK NEL 2000 2011 COLLAPSE IN TO NOW ubriaco e indossavo pantaloni a zampa d’elefante e un orribile maglione da vecchio hippie». E Michael è uno molto attento all’estetica? «Sì, era il nostro maestro di eleganza». Ma all’inizio non eravate molto poveri? «Eravamo molto poveri, ma ad Athens, Georgia, vivevi con niente: guadagnavamo abbastanza per comprarci birra e pizza». Da che tipo di famiglie venivate? «Molto normali. Michael era figlio di un militare. Bill era l’ultimo di cinque figli. Anche mio padre è stato nell’esercito, poi si mise a vendere macchine per costruzioni». Qual è l’album dei R.E.M. che preferisci? «Non li ascolto mai, ci sono troppo vicino, ma sono orgoglioso di tutti i nostri album. Se dovessi suonarli per qualcuno direi Murmur, Automatic for the People e forse Collapsing into Now oppure Reveal che, secondo me, è un disco molto sottostimato come anche Accelerator». Non Out of Time, che vi ha dato la gloria? «È un buon disco ma tra quelli che hanno avuto un grande successo preferisco Automatic for the People». Siete stati un punto di riferimento anche per la generazione grunge. Conoscevate bene Kurt Cobain? «Sì. Michael era quello che lo conosceva meglio ma lo conoscevo anch’io. Era un bravo ragazzo. Purtroppo alcune persone non sono tagliate per far parte di questo mondo: può essere molto duro là fuori. Troppe pressioni». Quando Kurt si è ucciso che cosa hai pensato? «Orribile. Tutti noi sapevamo che stava avendo delle difficoltà. Kurt non sapeva come comportarsi con il suo pubblico: viveva un grandissimo conflitto a riguardo». Pensava di averlo tradito: spesso succede quando una indie band diventa un fenomeno di massa. È stato un problema anche per voi? «No perché noi abbiamo sempre pensato che non c’è problema se mantieni la tua integrità». La band non esiste più e però pubblicate i vostri due concerti Unplugged del 1991 e del 2001. Perché ora? «Semplicemente aspettavamo il momento». Non ci sono speranze quindi che torniate insieme? «No, non credo proprio». Nemmeno per un tour? «No, no. Voglio dire, tutto può succedere, anche che domani io sia abbattuto da un meteorite. Ma non c’è nessun piano a riguardo, siamo felici di fare quello che facciamo». E cosa fate? «Io sto suonando con Joseph Arthur, un bravissimo artista; Peter ha fatto un disco con Corey Tucker delle Sleater Kinney e Michael si sta dedicando molto alla pittura e alla scultura». Avete da sempre un amore particolare per l’Italia, e degli amici come Francesco Virlinzi, scopritore di Carmen Consoli e creatore dell’etichetta Cyclope… «Sì (in italiano). Francesco amava la musica e la fotografia ma è scomparso troppo presto. Quando perdi gli amici sai che devi essere felice per il tempo che hai. Ho ancora i dischi di Carmen Consoli e dei Flor De Mal, ottimi artisti». Perché avete deciso di sciogliervi? «Per diverse ragioni. La prima era che il contratto con la Warner era finito, avremmo dovuto ragionare su cosa fare e, francamente, non ne avevamo alcuna voglia. La seconda è che il music business come noi lo avevamo conosciuto è morto. Tutto sta cambiando e a noi non è che il nuovo faccia impazzire. La terza è che volevamo essere la prima band della storia a sciogliersi perché voleva farlo e non perché era stata costretta. Volevamo avere il controllo della cosa: stringerci la mano e continuare a essere amici». Sareste potuti diventare più grandi degli U2. «Chissà forse... Ma quello non è mai stato il nostro scopo. Io credo che noi abbiamo fatto esattamente quello che avremmo voluto fare e questa è la cosa fondamentale. Non abbiamo mai voluto essere la più grande band del mondo. Forse per un certo periodo lo siamo stati ed è stato fantastico, ma non è per quello che eravamo nati. E comunque: siamo ottimi amici degli U2». © RIPRODUZIONE RISERVATA la Repubblica LA DOMENICA DOMENICA 25 MAGGIO 2014 38 Next. Parità ARNALDO D’AMICO ERA UNA VOLTA il maschio e c’era una volta la femmina, distinti, anzi opposti, titolari di un elenco di caratteri contrari ed esclusivi che ne permetteva l’immediato riconoscimento. Come i buoni e i cattivi delle favole. Da qualche decennio non è più così. I caratteri dei due sessi sono sempre meno opposti e si avvicinano lentamente. O si scambiano. E se l’omosessualità è stata cancellata dall’elenco delle “malattie” dell’Organizzazione mondiale della sanità, un nuovo genere sessuale, intermedio tra il maschile e il femminile, ottiene una identità giuridica: prima la Germania, poi l’Australia e di recente l’India hanno riconosciuto, anche se in modi diversi, “l’intersessualità”, l’indicazione di un “terzo sesso” valido sia per l’anagrafe che sui documenti di identità. Dal punto di vista biologico c’è poco da stupirsi. Le numerose forme di transizione tra i due sessi ricordano che la normalità in medicina è solo una questione di numeri. L’uomo e la donna ai due estremi del disegno pubblicato in queste pagine sono la stragrande maggioranza degli esseri umani, con quelle combinazioni di cromosomi (XY per lui e XX per lei) e di “squilibrio endocrino” (prevalenza di androgeni per lui e di estrogeni per lei). Ma qualsiasi altra combinazione, pur se poco probabile, è possibile in ossequio all’antica legge universale natura non facit saltus. E le figure stilizzate che qui pubblichiamo sono solo alcune di quelle combinazioni. «Dal punto di vista biologico sono quelle figure intermedie gli unici veri transessuali — spiega Andrea Lenzi, ordinario di endocrinologia all’università la Sapienza —: persone in cui i meccanismi genetici ed endocrini hanno preso strade diverse sin dalla fase fetale. Ma sono casi rarissimi. Mentre omosessuali, bisex, travestiti, trans e transessuali hanno quasi sempre cromosomi e ormoni in sintonia tra loro, come maschi e femmine ordinari». Ovviamente la biologia da sola non spiega tutto. «I cambiamenti ci sono nei comportamenti — osserva Roberta Giommi, fondatrice dell’Istituto internazionale di sessuologia di Firenze — almeno a partire dal cosiddetto ‘68 che, se da una parte sostenne una parità tra i sessi rimasta irrealizzata, ruppe con la contraccezione l’identificazione tra donna e madre, spianando la strada all’affermazione sul lavoro della donna, sostenuta da un nuovo “maschio gentile” e collaborativo. Da allo- C’ FONTE: UNIVERSITÀ LA SAPIENZA. DOTT. ELISA GIANNETTA, DPT. MEDICINA SPERIMENTALE/ RIELABORAZIONE DATI LA REPUBBLICA ra, siamo arrivati a una Babele dei significati di maschile e femminile, anche nella sfera sessuale». E proprio dal punto di vista della sessualità biologica è vero che il maschio si sta femminilizzando, nel senso che il suo squilibrio ormonale a favore degli androgeni si sta perdendo. «Da alcuni decenni registriamo nei maschi neonati e adolescenti un lento ma progressivo aumento di alcune malformazioni dei genitali, infertilità, diminuzione della peluria e un rapporto tra lunghezza del tronco e quella degli arti di tipo femminile, con una crescita dell’altezza complessiva. So- Unisex Salutate Adamo ed Eva maschio e femmina saranno sempre meno diversi LE TAPPE (A CURA DI CHIARA PANZERI) ANTICO EGITTO GRECIA MEDIOEVO OTTOCENTO DONNE E UOMINI GODONO DEGLI STESSI DIRITTI: LE DONNE POSSONO DIVENTARE LEADER, AVERE PROPRIETÀ, ESERCITARE L’AZIONE LEGALE STESSA EDUCAZIONE GUERRIERA A SPARTA PER BAMBINI E BAMBINE. ANCHE LE RAGAZZE FANNO ATTIVITÀ GINNICHE E PORTANO ABITI CORTI COME I MASCHI CONSIDERATE INFERIORI, LE DONNE NON PARTECIPANO ALLA VITA PUBBLICA. SOLO NEI MONASTERI TALVOLTA HANNO RUOLI SIMILI A QUELLI MASCHILI NASCE LA CLASSE OPERAIA. TRA I BORGHESI, NEGLI STATI UNITI E IN INGHILTERRA, IL DIRITTO DI VOTO VIENE ESTESO A ENTRAMBI I SESSI 39 INFOGRAFICA PAULA SIMONETTI la Repubblica DOMENICA 25 MAGGIO 2014 no tutti eventi indicativi di un’esposizione anormale degli uomini agli estrogeni» spiega Lenzi. «Il maschio subisce l’azione anti-androgena degli ormoni femminili solo nella vita intrauterina, quando gli arrivano dal sangue della madre e a cui reagisce aumentando molto la produzione di ormoni maschili. Il che gli permette di svolgere correttamente il programma genetico contenuto nei suoi XY e di nascere con genitali maschili normali. Il programma genetico poi si rimette in moto alla pubertà. Invece, come confermano le numerose ricerche pubblicate, l’essere umano è ormai immerso per tutta la vita in un “bagno” continuo di sostanze chimiche che agiscono come gli estrogeni, i cosiddetti xeno-estrogeni». Si tratta di additivi, fitofarmaci, insetticidi, coloranti, conservanti che da alimenti, saponi o plastiche finiscono nel sangue attraverso l’intestino e la pelle, circa diecimila sostanze diverse sparse in prodotti di uso comune. «Per esempio — continua Lenzi — il 4exilresorcinolo, che permette di ottenere e conservare gamberetti color rosso vivo, è stato correlato a un’azione simil-estrogenica e alla comparsa di problemi di fertilità negli animali e si pensa che possa avere effetti simili anche nell’uomo. Anche l’insalata in busta comporta rischi: per i bisphenoli o ftalati rilasciati gradualmente dalla plastica sull’alimento e per l’insalata stessa, che, al pari di molte verdure confezionate, potrebbe essere contaminata da pesticidi organolettici. Infine, shampoo, bagnoschiuma creme idratanti e solari, deodoranti, articoli per l’igiene dei bambini e ammorbidenti, spesso anche i dentifrici, contengono parabeni, ovvero conservanti anch’essi xeno-estrogeni. Insomma, l’adozione di misure mirate per contenere il danno ambientale non sembra più rimandabile». Soprattutto se vogliamo che il futuro unisex nasca sano, non malato. © RIPRODUZIONE RISERVATA NOVECENTO DUEMILA PER LE DONNE ARRIVA LA PARITÀ GIURIDICA. LA MODA ELIMINA LE DISTINZIONI FRA I SESSI: LA DONNA PORTA IL TAILLEUR MASCHILE, L’UOMO SI DEPILA L’AUSTRIACA CONCHITA WURST, ALL’ANAGRAFE TOM NEUWIRTH, CAPELLI LUNGHI E BARBA CURATA, VINCE L’EUROVISION SONG CONTEST 2014 la Repubblica LA DOMENICA DOMENICA 25 MAGGIO 2014 Sapori. Al top A DIECI ANNI DAL “MANIFESTO DELLA CUCINA NORDICA” LA GUIDA DEI “50BEST” ANCORA UNA VOLTA PREMIA I RISTORANTI DELLA CAPITALE DANESE. ECCO I SEGRETI DI UN MIRACOLO STUDIATO A TAVOLINO Copenaghen stellata. C’è del buono in Danimarca LI C I A G R A N ELLO ER ESPRIMERE LA PUREZZA, la freschezza, la semplicità e l’etica, vogliamo essere associati con il nostro territorio, riflettere nei piatti l’alternanza delle stagioni, basare la nostra cucina su ingredienti e prodotti adatti ai paesaggi e al clima, armonizzare le esigenze del gusto con conoscenze aggiornate su salute e benessere, promuovere prodotti e produttori delle nostre regioni, diffondere le piccole culture locali”. Cinque obiettivi meravigliosi, al limite dell’utopia. E non basta. “Vogliamo favorire il benessere animale e un processo produttivo sano nei nostri mari, fattorie, boschi e allevamenti, incoraggiare nuovi usi dei prodotti alimentari di tradizione, combinare il meglio della cucina tradizionale con impulsi provenienti dall’estero, accordare l’autosufficienza locale con la condivisione di ottimi prodotti regionali, unire le forze di consumatori, artigiani, agricoltori, pescatori, commercianti, ricercatori, insegnanti, politici, istituzioni, a vantaggio di tutti gli abitanti del nostro paese”. È bastato togliere qua e là l’aggettivo “nordico” per trasformare il “Manifesto della nuova cucina nordica” nell’elenco dei desiderata di ogni amante di cibo buono, pulito e giusto, da una parte altra del pianeta. Compie dieci anni, il progetto che ha cambiato i rapporti di forza nel mondo della gastronomia, mettendo un ristorante danese sul gradino più alto della ristorazione mondiale — verdetto del- produzione avviene nell’attrezzatissima la 50Best, l’unica guida che mette in fila i mi- Nordhavn Vinegar Brewery). A finanziare per gliori locali dei cinque continenti — e Copena- metà il recupero delle varietà locali e acetificaghen tra le capitali con più stelle Michelin, me- zione, il governo danese. Lo stesso che in accorta scopertamente gourmand dopo una vita pas- do con gli altri paesi dell’area — Nordic Council sata a brillare per architettura e musei. of Ministers — l’anno seguente adottò le linee A mettere in fila gli ingredienti che firmano i guida del manifesto per il “New Nordic Food piatti incantatori dei ristoranti di Copenaghen, Programme”, con i risultati che sappiamo. Così, viene facile sorridere: licheni, mirtilli, yogurt, piccoli René Redzepi crescono. Il trentaseienne patate, pesci e molluschi. Sorridevano anche i ruvido e immaginifico cui Meyer affidò a fine giornalisti invitati dieci anni fa a casa di Claus 2003 la cucina del “Noma”, con un menù «non Meyer, mentre il guru della cucina nordica appiattito su foie gras francese, prosciutto spasnocciolava i numeri della biodivesità locale, gnolo e olio italiano», ha fatto scuola, se è vero dalle duecento varietà di radici alle oltre cento che molti suoi collaboratori dirigono i migliori tipologie di rabarbaro, fino alle mele di Lilleø, la ristoranti scandinavi, tutti new nordic orienminuscola isola a sud di Copenaghen baciata da ted. Se volete saperne di più, prenotate i bicorrenti straordinariamente miti. Raccontava, glietti per il quarto appuntamento con “Mad — Meyer, che con quelle mele voleva fare succhi comunità di cuochi, osti e agricoltori affamati di sani e un aceto sul modello del Balsamico Tra- sapere”, in programma a Copenaghen a fine dizionale. Era appena tornato da Modena, dove agosto. Tifo da stadio, degustazioni di formiche grazie ai consigli di Massimo Bottura aveva ac- e video impressionanti. Se preferite i friarielli alquistato una batteria di botticelle di legni di- le alghe nordiche, cambiate destinazione. versi e pregiati, alloggiata nel sottetto (oggi la © RIPRODUZIONE RISERVATA “P I ristoranti Nella guida 2014 Michelin a Copenaghen sono stati assegnati ben 17 “macarons”: 15 ristoranti, di cui due new entry, si fregiano di una stella, mentre “Geranium” e “Noma” sono bistellati La birra Da insegnante di matematica e fisica a mastro birraio, Mikkel Borg Bjergsø ha trasformato la passione sperimentata in casa in una produzione che oggi tocca quaranta paesi.Oltre alla casamadre in Vesterbrogade, Mikkel ha aperto due filiali a San Francisco e Bangkok La ricetta Alle carote unisci farina di nocciole così, anche da noi, l’orto è servito PER L’ORTO. 4 CAROTE, RAVANELLI, RAPE VERDI/NERE/ROSSE, PORRI PICCOLI, RADICI DI PREZZEMOLO TUBEROSO, 1 SEDANO RAPA PICCOLO, 1 TOPINAMBUR, 85 G. DI ACQUA, 55 G. DI BURRO SALATO, 80 G. DI PATATE PELATE, 15 G. DI PANNA PER IL TERRICCIO. 215 G. DI FARINA, 105 G. DI ESTRATTO DI MALTO IN POLVERE, 100 G. DI FARINA DI NOCCIOLE, 25 G. DI ZUCCHERO, 75 G. DI BIRRA, 4 G. DI SALE, 60 G. DI BURRO SALATO FUSO, 2 G. DI SUCCO DI RAFANO e verdure: tagliate carote pelate (salvando 12 foglie), rape, ravanelli , prezzemolo tuberoso (4 foglie da parte), e porria a metà, in quarti sedano rapa e topinambur. Sbollentare in acqua salata. Schiacciate le patate bollite, mescolate con panna e 5 g. di burro. Sbattete burro e acqua di cottura con una frusta. Il terriccio di malto: forno a 90°. Mescolate 175 g di farina, 85 g di malto, 50 g di farina di nocciole e 25 g di zucchero e versateli in un mixer. Accendere e spegnere brevemente tre volte, aggiungendo la birra. Spianate il composto su una teglia: in forno per 3-6 ore. Da asciutto, eliminate i grumi. Fate lo stesso con 40 g di farina, 20 di malto, 50 di farina di nocciole, sale e gocce di succo di rafano, mixando con burro fuso. Amalgamate i composti. Il piatto: scaldate in un tegame le verdure con l’emulsione di burro. In un altro, scaldate la purea, condendola con succo di rafano. Trasferitene un cucchiaio su una pietra piatta e infilateci le verdure come se spuntassero dal terreno. Spolverizzate con il terriccio, cospargendo le foglie di carote e prezzemolo. L Il bar Al “1105” di Copenaghen, degustazioni di Champagne e di cocktail, primi fra tutti il “Number Four”, rivisitazione di un classico degli anni Venti, e il “Bee’s Knees”, preparato con gin Tanqueray, succo di lime, miele, pepe nero e cardamomo LO CHEF RENÉ REDZEPI GUIDA LA CUCINA DEL “NOMA” DI COPENAGHEN ANCHE QUEST’ANNO SUL GRADINO PIÙ ALTO DELLA RISTORAZIONE MONDIALE. QUESTA RICETTA È TRATTA DAL SUO NOMA: TEMPI E LUOGHI DELLA CUCINA NORDICA (PHAIDON PRESS LIMITED ) 40 la Repubblica DOMENICA 25 MAGGIO 2014 5 5 indirizzi FOTO DI MARIA CANABAL ingredienti Pane, burro e serietà la rivincita di mia moglie Geist Ha trasformato un borgo di pescatori nella capitale di oggi, grazie a industria conserviera ed esportazioni Contende a sgombro, merluzzo e uova di pesce il primato nei piatti di pesce Il locale più innovativo, dall’aperitivo al dopo cena con cocktail e musica dal vivo Piatto-firma: avocado, olio di mandorle e caviale KONGENS NYTORV 8 TEL. (+45) 33133713 Barbabietola Mielcke & Hurtgkarl Da risorsa agricola a gusto-simbolo, in combinazione con l’agro e lo speziato, sia come contorno (con le patate), sia in sciroppo (ljus sirap) come nota zuccherina Jakob Mielcke mixa ingredienti danesi e cibi del mondo, dal miso alla quinoa. Piatto-firma: barbabietola e cioccolato Manzo Manfreds Esibiscono il marchio Ø (Økologisk, ecologico) le carni di bovini allevati in modo naturale, declinate in zuppe e secondi piatti Consumi alti anche per maiale e selvaggina Primo natural wine-bar, ingredienti da allevamenti e colture biodinamiche Piatto-firma: tartare di manzo con uova di pesce JÆGERSBORGGADE 40 TEL. (+ 45) 36966593 Licheni Marchal A metà tra funghi e alghe, vantano un’alta quota proteica e grande ricchezza di vitamine, virtù che li assimila ai cavoli, altra fonte di antiossidanti nella dieta danese Stella Michelin per Ronny Emborg, chef del ristorante dell’hotel D’Angleterre Piatto firma: cappesante con cavolo verde riccio KONGENS NYTORV 34 TEL. (+45) 33120095 Frutti di bosco Atelier septembre Dal camemoro, detto anche lampone artico, ai mirtilli, le bacche antiossidanti trionfano su colazione (con yogurt), pranzo (zuppe e insalate) e cena (con carne, pesce, formaggi) Migliore colazione in città, con pasticceria fresca Piatto-firma: Skyr (yogurt colato), zucchine confit, granola, bacche e tè Matcha FOTO DI MARIA CANABAL Aringa FOTO DI MARIA CANABAL FREDERIKSBERG RUNDDEL 1 TEL. (+45) 38348436 FOTO DI MARIA CANABAL In senso orario: con tartare di manzo, prosciutto, formaggio, aringa, paté d’oca e uova strapazzate FOTO DI MARIA CANABAL Smørebrød GODERSGADE 30 TEL. (+45) 33114236 41 P I E RO O T T O N E M IA MOGLIE, Hanne, è danese, ma io l’ho conosciuta a Mosca, e Mario Mondello, allora consigliere alla nostra ambasciata in Russia, e amico carissimo, si era messo a ridere quando seppe che intendevamo sposarci. «Mangerai malissimo — mi disse — Non vorrai raccontarmi che quelle fette di pane, servite con un po’ di prosciutto, meritano il nome di cucina? La cucina danese non esiste». La specialità gastronomica dei paesi scandinavi, Danimarca compresa, è infatti lo smørebrød, che significa pane imburrato. Sulla fetta di pane nessuno vieta di mettere anche un’aragosta. Ma aveva ragione Mondello: questa non è una cucina. Sempre di pane e burro si tratta. Celebrato il matrimonio ho scoperto perché le mogli danesi amano lo smørebrød: permette di allestire una colazione in quattro e quattr’otto, senza neanche accendere i fornelli. I mariti scandinavi sono contenti così. Ma ci siamo sposati lo stesso. Ed ecco che un bel giorno Hanne mi annuncia, con finta indifferenza: «Leggo sul giornale che il ristorante migliore del mondo è in Danimarca». E aggiunge, sullo stesso tono: «Se vuoi, quando andiamo a Copenaghen ti ci porto». Mario Mondello, purtroppo, non era più a portata di mano. Ma quando mai un danese non dice la verità? Era tutto vero. Da allora, i ristoranti con tante stelle, nelle graduatorie gastronomiche, si sono moltiplicati, e oggi le città danesi, se si crede a queste classifiche, sono in testa. Come si spiega? Beh: ciascuno può offrire la spiegazione che preferisce. Ma all’origine di ogni spiegazione ci sarà pur sempre una realtà: i danesi, e in genere tutti gli scandinavi, svedesi e norvegesi compresi, sono gente seria, e fanno con il puntiglio della perfezione tutto quel che fanno. Sono vissuti per tanti anni mangiando pane e formaggio? Di pane e formaggio si sono nutriti, senza neanche accendere i fornelli. Poi si sono messi in testa di adottare una cucina raffinata: ed ecco che hanno raffinato la loro cucina, con impegno. Magari ricorrendo a cuochi di altre parti del mondo, se quelli locali avevano bisogno di aiuto. Una certa sensibilità alla cucina raffinata, tuttavia, deve essere innata in quel popolo. La loro più grande scrittrice, Karen Blixen, ha scritto quel famoso racconto su una francese, Babette, che preparò un pranzo straordinario: il canto del cigno nella sua esistenza. Sul racconto della Blixen è stato fatto un film, intitolato Il pranzo di Babette, che è diventato ancora più famoso in tutto il mondo... Insomma: la sensibilità alla cucina raffinata deve avere radici antiche nel popolo di mia moglie. Che ne dite: ho scelto bene? © RIPRODUZIONE RISERVATA la Repubblica LA DOMENICA DOMENICA 25 MAGGIO 2014 42 L’incontro. Fisici bestiali IO E JOVANOTTI FACEVAMO PARTE DELLA GENERAZIONE CHE VOLEVA USCIRE DALLA GUERRA FREDDA E DAGLI ANNI DI PIOMBO. VOLEVAMO VOLTARE PAGINA. ABBIAMO INCONTRATO LO STESSO DESIDERIO IN CHI CI ASCOLTAVA Dal punk nella Bologna del ’77 a “Farfallina”, storia di un cantautore che voleva solo essere autore (e mai e poi mai una star). “Tutto iniziò una sera in trattoria. C’era Lucio Dalla e c’erano gli Stadio, cercavano nuove canzoni. Io ne avevo scritte alcune su dei fogli. Ma gliele feci portare dall’oste: ero timido e odiavo la mia voce”. Da allora sono passati più di trent’anni e quel ragazzo ribelle e gentile è diventato un pezzetto di musica italiana portò al loro tavolo, vidi Lucio aprirla e tirarne fuori i fogli per passarli poi agli alNel giro di poco lo vidi alzarsi e andare al telefono. Capii che stava telefonando a me, non c’erano ancora i cellulari, andai da lui e lo informai, battendogli una in cima alle classifiche tra gli Ot- tri. mano sulla spalla, che era al telefono con mia sorella». Una favola, dunque, con l’ovvio lieto fine, visto che Dalla e gli Stadio decisero che quel ragazzo, assai tima sorridente, poteva essere una risorsa. tanta e i Novanta. “Meglio non mido Carboni iniziò a lavorare con gli Stadio. Una sola canzone nel primo disco, la maggior parte nel secondo album e poi tutto iniziò a cambiare. «Fu una grande perché mi trovai a vivere in studio con degli artisti fantastici e io non ero dare troppa confidenza al suc- scuola mai stato in uno studio. Era la Fonoprint di Bologna, ci andavo tutti i giorni, così come gli altri vanno al bar, e lì vidi nascere Bollicine di Vasco Rossi e 1983 di Era come fare l’università, un corso accelerato, una full immersion nella cesso. Così non soffri quando ne Dalla. grande musica». Di cantare, ovviamente, Carboni non aveva ancora alcuna intenzione. «Andava benissimo così. Ma Lucio un giorno mi fece uno scherzo che mi stravolse la vita. Ero in studio a far sentire alcuni pezzi nuovi per gli Stadio, hai meno” per un eventuale loro disco, e lui di nascosto registrò la mia voce. Alla fine il fo- Luca Carboni ER N ESTO A SSA N T E ROMA L UCA CARBONI HA UN GRAN SORRISO. È la prima cosa che risalta, sorride con tutto il volto. Si potrebbe dire, esagerando un po’, che la sua musica sorrida altrettanto, anche quando è malinconica, perché attraversata da un’amichevole tranquillità. Questo per dire che è strano immaginare un Luca Carboni elettrico, nervoso, addirittura punk, eppure è così che il cantautore bolognese iniziò la sua carriera trent’anni fa. Punk, ovvero ribelle, diverso, come il mondo che alla fine degli anni Settanta si muoveva attorno a lui, la Bologna del movimento studentesco, del ‘77, di Radio Alice. «Si, avevo iniziato a strimpellare la chitarra su quell’onda, ero un adolescente, avevo studiato un po’ il pianoforte, ma mi piaceva il messaggio del punk. Diceva “esprimiti anche se non sai suonare, tira fuori quello che hai dentro”. Mi spinse a credere che potevo farlo anche io. Nella band, i Teobaldi Rock, io scrivevo, non cantavo, non ce l’avevo nemmeno il sogno di cantare, quando mi toccava fare qualche coretto nei concerti mi paralizzavo, facevo due passi indietro, lontano dal microfono così non mi sentiva nessuno. Facevo il playback dal vivo». Altro che i ragazzi di oggi, quelli che calcano i palcoscenici dei talent show e sembra abbiano già la sicurezza dei professionisti: «Sono ragazzi che hanno già ben chiaro il loro sogno, vogliono essere cantanti e vogliono andare sul palco, hanno già una tecnica, una storia, un background a volte anche importante. Io sono diventato cantante senza avere niente di tutto questo. Anzi, io non volevo nemmeno diventare un cantante». Ma il destino, alle volte, prevede per noi delle cose diverse, e nella vicenda di Carboni il destino ha pensato bene di portarlo proprio dietro a un microfono. «Quando la band si sciolse io rimasi con la voglia di scrivere canzoni e mi venne l’idea di portare i testi, non una cassetta ma solo dei fogli con delle parole, all’Osteria di Vito a Bologna. Ci andai una QUELLI CHE OGGI CALCANO I PALCOSCENICI DEI TALENT SHOW HANNO GIÀ LA SICUREZZA DEI PROFESSIONISTI E SOPRATTUTTO HANNO GIÀ BEN CHIARO IL LORO SOGNO: VOGLIONO ESIBIRSI DAVANTI A UN PUBBLICO sera e, guarda un po’ il destino, Lucio Dalla con gli Stadio erano lì a cena proprio per decidere chi dovesse fare i testi del primo album della band. Era il gruppo di Lucio, ma Gaetano Curreri, Ricky Portera e Fabio Liberatori erano tutti autori e avevano un grande potenziale musicale, volevano diventare una band autonoma. Quello che mancava era una chiave, nei testi, che non fosse la replica del mondo di Lucio. E proprio di quello stavano parlando a tavola. Vito prese la busta con i miei testi e la nico mi richiamò in regia e mise su il pezzo che stavo cantando: io non avevo mai ascoltato la mia voce se non negli appunti che prendevo per me sul walkman. Era una voce che non mi piaceva assolutamente, non mi sarei mai sognato di cantare davvero. Mi emozionai e capii che le mie storie le potevo raccontare in prima persona». E così con l’album ...intanto Dustin Hoffman non sbaglia un film iniziò un’ascesa fino al quarto lp Carboni, con cui supera il milione di copie e vince il Festivalbar ’92. Silvia lo sai, Ci vuole un fisico bestiale o Mare mare diventano hit internazionali. Luca Carboni è uno dei cantautori italiani di maggior successo degli anni Ottanta e Novanta. Uno dei personaggi chiave, assieme a Jovanotti, del rinnovamento della musica italiana del periodo. «Io e Lorenzo eravamo parte di una generazione nuova, che cantava cose diverse, con un linguaggio diverso. Lui ancora più di me, ha quattro anni in meno, aveva dentro la voglia di uscire da un mondo di guerra fredda e anni di piombo: cambiare, voltare pagina. E abbiamo incrociato lo stesso desiderio da parte di chi ci ascoltava». Era un periodo particolarmente ricco di musica: «Quando ci sei dentro non te ne rendi conto. C’era il Lucio Dalla di Balla balla ballerino, i Kraftwerk che anticipavano la techno, i Sex Pistols che rivoluzionavano con il punk, e i Bee Gees che trionfavano con la discomusic: e da ognuno di loro è nato un mondo. Lontanissimi l’uno dall’altro eppure parte della stessa epoca. Versavano dentro di noi qualcosa che poi, non saprei dire come, io o altri abbiamo miscelato, tritato, macinato, impastato, permettendoci di creare qualcosa di nuovo. Ogni rivoluzione ha una dose di contaminazione». E ancora oggi il rap incontra la melodia nelle canzoni di Carboni: «Si, è stato naturale, lo facevo già venti anni fa con Jovanotti, non ho vissuto Fisico e Politico, l’esperienza ultima con Fabri Fibra, come una cosa innovativa ma come qualcosa che mi apparteneva. Per cambiare le regole del gioco bisogna osare di più, fare cose che non siano ovvie o prevedibili. Certo, non le decidi a tavolino, puoi pensare a un progetto ma poi quando una canzone arriva ti porta da una parte che non avevi previsto. Puoi anche avere l’idea di fare un album con una band cinese, ma poi mentre scrivi magari ti viene una bella ballata d’amore, per la quale basta solo una voce e una chitarra, e tutto cambia an- A CINQUANT’ANNI TI SENTI DEL TUTTO FUORI DA UN MONDO COME QUELLO DEL POP IN CUI LA GIOVINEZZA È UN VALORE. MA POI PENSI CHE HEMINGWAY HA SCRITTO GRANDI ROMANZI A OTTANT’ANNI... cora una volta». A cinquantadue anni Carboni non è più il ragazzo della canzone d’autore, anzi, merita a tutti gli effetti il ruolo di “senatore”. «Magari proprio senatore non lo diventerò mai» ride, «ma è vero che crescere ti porta a cambiare completamente. A cinquant’anni in un attimo ti senti di essere fuori dalla “nuova generazione”, ti rendi conto che tuo figlio quattordicenne è proiettato in un’altra dimensione. Ed è singolare sentirsi così in un mondo come quello del pop in cui la giovinezza è sempre stata un valore. Le grandi rivoluzioni le hanno sempre fatte artisti che entro i venticinque anni hanno detto tutto o lanciato germi nuovi. Ma poi ci ragioni, superi l’insicurezza e puoi tornare a essere nuovo un’altra volta. Dopotutto Hemingway ha scritto grandi romanzi a ottant’anni...». Gentile nei modi e nella scrittura, poco incline a gesti eclatanti e spettacolari, Carboni ha attraversato trent’anni di canzone riuscendo a mantenere salda la rotta del suo piccolo vascello, senza cedere alle sirene del mercato: «Ci sono riuscito probabilmente proprio per la maniera anomala in cui è iniziata la mia storia. Sono rimasto attaccato al concetto di scrittura anche quando il successo che ho avuto era enorme e mi spaventava. Ai tempi di Farfallina mi era difficile addirittura camminare per strada: non volevo essere un cantante, figurarsi una star. Ma proprio il non aver mai avuto confidenza con il successo mi ha aiutato, perché non l’ho mai dato per scontato né ho sofferto troppo quando le cose sono andate un po’ peggio. Soffro se un disco non viene bene, non se ha meno consenso». In questi trent’anni la musica è cambiata molto, sono cambiati i supporti, il mercato, i gusti, il pubblico. «La musica è un camaleonte, si adatta. Sta morendo certo un modo di farla. Ma non sta morendo la musica. Anche se è un momento davvero difficile so che un prossimo mondo musicale ci sarà: c’è tanto da immaginare e da sognare, può succedere. Succederà». © RIPRODUZIONE RISERVATA
© Copyright 2024 Paperzz