IL TIROCINIO COME PRATICA SITUATA Convegno internazionale Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale Corso di Laurea in Servizio Sociale Università degli Studi di Milano – Bicocca Milano, 6 Giugno 2014 L’impatto della crisi economica sul tirocinio- Una prospettiva rovesciata. I. Arizio, M.C. Bergamini, M. Pastura Tutor del Corso di Laurea in Servizio sociale Università degli Studi di Torino Introduzione Partendo dagli effetti che la crisi globale produce rispetto al complessivo sistema di welfare, ma più in particolare sulla realtà operativa nella quale si esercita la professione dell’assistente sociale, si vuole centrare l’attenzione sulle ricadute che si generano su quella parte del sistema formativo che l’università condivide con il mondo dei servizi. Se ci si sofferma sull’incremento e sulla complessificazione della domanda a fronte di una consistente riduzione di risorse, è immediatamente deducibile che l’aumento dei carichi di lavoro e dei vissuti di impotenza degli operatori possono incidere negativamente, innanzi tutto, sulla disponibilità ad accogliere studenti in tirocinio. Da non trascurare, poi, il rischio che la relazione formativa fra studente e supervisore – considerata come requisito ineludibile del processo di apprendimento dalla pratica – possa essere inficiata dal percepire il tirocinio come un ulteriore carico di lavoro, peraltro privo di riconoscimento, non di rado solo formalmente legittimato dagli enti ospitanti. D’altro canto, i tirocinanti, quotidianamente a contatto con supervisori che devono far fronte a impegni sempre più gravosi sostenendo ritmi più che intensi, possono sentirsi essi stessi un “un peso”e questo può inficiare la costruzione di una relazione formativa, compromettendo l’esito del percorso di apprendimento. L’impatto di questi problemi sugli esiti del processo di apprendimento sono facilmente individuabili, in termini sia di riduzione di sedi e quindi di opportunità di collocazione degli studenti, sia di dequalificazione del ruolo dell’assistente sociale supervisore, ma anche di disorientamento e confusione, quando non demotivazione dello studente con una conseguente assimilazione impropria dell’identità e del ruolo professionale, oppure con un suo disinvestimento nel percorso formativo. La sede formativa ha la responsabilità di assumere tali criticità, evitando di accettare il cedimento delle potenzialità formative insite nel tirocinio e individuando strategie che, opportunamente negoziate con 1 gli enti e la comunità professionale, non solo scongiurino i rischi ma prefigurino nuove condizioni, adeguate a garantire i presupposti di questo dispositivo didattico. Il tutor universitario – proprio per la sua duplice appartenenza alla comunità professionale e in forza della sua peculiare collocazione tra la sede formativa e il mondo dei servizi - può svolgere un ruolo propulsivo, nei confronti dei servizi e dei colleghi supervisori, verso una diversa concezione del tirocinio. La proposta si riferisce all’attivazione di buone prassi che consentano di considerare lo studente1 di terzo anno, al secondo tirocinio nello stesso servizio, non tanto come un onere, quanto una risorsa: lo studente – guidato dalla sede formativa – può essere sia portatore di un sapere che gli permette di affrontare ambiti e di svolgere compiti cui i professionisti non hanno la possibilità di dedicarsi, sia meta-osservatoree quindi lettore privilegiato di meccanismi organizzativi e relazionali interni al servizio. Questa breve trattazione vuole offrire uno spunto di riflessione - per chi effettua il tirocinio e per chi se ne occupa ai vari livelli - sulle aperture del percorso di sperimentazione che possono rappresentare un elemento di arricchimento per lo studente, che può sperimentarsi in attività che stimolano il raccordo con il bagaglio di conoscenze acquisite nel triennio di studi, e per il supervisore ed il servizio che possono avvalersi dell’applicazione di queste acquisizioni. Dopo aver tratteggiato brevemente le coordinate del contesto derivante dalla crisi economica, si passerà a delineare gli effetti che impattano maggiormente sul versante formativo, prendendo in considerazione i diversi attori (organizzazioni, supervisori,sede formativa, studenti), a illustrare a grandi linee la proposta che vede lo studente in tirocinio come risorsa per il servizio, concludendo con qualche qualche paradigmatica esperienza. La crisi economica Il momento di grave crisi che il nostro Paese sta attraversando, coinvolge tutte le istituzioni e necessita di un impegno di rifondazione del welfare, impegno che vede in prima linea le professioni che operano in ambito sociale. Sul piano storico, la crisi economica, iniziata negli Stati Uniti con la crisi finanziaria e il fallimento di una delle banche più importanti del Paese, da oltre sei anni coinvolge la maggior parte dei Paesi industrializzati, in particolare quelli europei gravati da un esorbitante debito pubblico e da politiche economiche che hanno privilegiato gli aspetti finanziari dell’economia piuttosto che quelli produttivi. La crisi finanziaria si è presto trasformata in crisi economica che ha portato ad un generale impoverimento della società, come confermano molti studi (Eurispes, 2013) che evidenziano le 1 Considerate le differenze della strutturazione del tirocinio nelle varie sedi universitarie (Campanini, 2009, Milano, Unicopli, pp. 208-22), si specifica che il riferimento è qui agli studenti in tirocinio dell’ultimo anno di corso. 2 ricadute su soggetti che, per la perdita del lavoro o la diminuzione della capacità produttiva, si trovano a dover fronteggiare situazioni fino a poco tempo prima, impensabili. E’ da rilevare che la crisi in cui si trovano individui e famiglie è non solo economica, ma anche valoriale, si può parlare “di una crisi culturale che aggrava quella materiale, perché si assiste ad una sopravvalutazione del lavoro come momento produttivo, con conseguente disistima anche personale per il soggetto che non è più produttivo” (Gallo, 2013). Tutto ciò può avere ricadute, anche gravi, sulla “tenuta” delle istituzioni e dei fenomeni che hanno storicamente rappresentato i valori della società occidentale come, ad esempio, la coesione familiare, la mobilità sociale, la garanzia della stabilità del lavoro. La crisi del debito pubblico italiano ha portato a politiche di riduzione della spesa pubblica che hanno inciso profondamente su un sistema di welfare già da alcuni anni soggetto a trasformazioni in senso restrittivo “con la trasformazione del mercato del lavoro, avvenuta in particolare, dagli anni ottanta […] l’apparato pubblico non è riuscito più a sostenere il complesso sistema di protezione sociale e a svolgere, di conseguenza il ruolo di tutela” (Gregori, Gui, 2012: 117). Paradossalmente, ad un aumento dei bisogni e della domanda assistenziale corrisponde il varo di politiche di austerità che portano a continui tagli della spesa sociale. In Italia, l’entrata in vigore della legge 8 novembre 2000 n.328 e la riforma del Titolo V della Costituzione, se da un lato hanno portato a un sostanziale e positivo cambiamento del sistema di welfare, d’altro canto si sono rivelati strumenti impotenti «nell’affrontare la problematica sociale, le “vecchie” e le “nuove domande” e i complessi bisogni che emergono» (Gregori, Gui, 2013: 119). Attualmente alle “vecchie domande” è difficile dare risposte congrue in quanto le risorse economiche ad esse destinate sono progressivamente diminuite ed in alcuni casi cancellate (si pensi al Fondo per la non autosufficienza o a al Fondo per il sostegno all’affitto), pertanto gli interventi assistenziali coprono una parte sempre più marginale delle richieste di aiuto. Le “nuove domande” non sembrano trovare, invece, risposte istituzionali in quanto non vi sono risorse nè economiche nè umane da poter investire nella ricerca di soluzioni garantistiche. In questo quadro, un ruolo fondamentale è giocato dal terzo settore, dalla capacità di produrre concrete iniziative di fronteggiamento e di costruire ed implementare reti . Le conseguenze di tutto ciò impattano, come si è già anticipato, sia sugli ambiti istituzionali, sia sui servizi, sia sulle professioni che operano all’interno di questi ultimi; anche se solo sinteticamente, si vogliono richiamare qui alcuni degli effetti maggiormente connessi alle questioni formative che costituiscono il focus di questo contributo. 3 Le organizzazioni dei servizi Le organizzazioni, nei confronti dei cittadini che possono assumere lo status di utente/cliente, sono state costrette a rivedere il quadro degli interventi e l’assegnazione delle risorse cercando di limitarne l’utilizzo ed elevando il limite per l’accessibilità alle prestazioni, In alcune situazioni si è venuta a creare così una complessiva dequalificazione della mission, in taluni casi lasciando inevasa una domanda assistenziale che trova solo parziale accoglimento e risposta nelle istituzioni del terzo settore. Nei confronti dei propri dipendenti, le organizzazioni hanno dovuto utilizzare risorse economiche sempre più esigue, e ciò ha determinato la necessità di esternalizzare alcuni servizi a scapito, a volte, della qualità, dell’efficacia e dell’efficienza delle prestazioni offerte, ma non solo, “disperdendo” il patrimonio di esperienza accumulato nel tempo in ambito “pubblico”. Un elemento rilevante riguarda l’assunzione, anche da parte di questi servizi di quell’impostazione managerialista precedentemente già entrata nelle organizzazioni del sistema sanitario. Rinviando all’ampia letteratura sul tema e più sinteticamente alla voce corrispondente nel nuovo Dizionario di Servizio sociale (Lonrenz, 2013), ci rifacciamo qui alla proposta di definizione di Scaglia (2005: 144) che con managerialismo, intende «un modello di gestione mosso da logiche neutrali di razionalità che antepongono alle considerazioni valoriali circa i fini, quelle relative al miglior rapporto tra risorse e risultati». Come sottolinea Cellini, citando Fargion“Il managerialismo viene visto come strumento più adeguato per affrontare diversi tipi di problemi,in ogni campo, secondo l’idea che generiche competenze manageriali sono[…]superiori a competenze specifiche e professionali” (Cellini,2013:80). Una tale tendenza ha condizionato le organizzazioni che si occupano di fornire servizi sociali che, nell’introdurre standard di intervento nonché maggiori parametri di controllo sulle prestazioni, hanno limitato o comunque influenzato le pratiche di maggior apertura e di “vicinanza”, e in qualche modo gli investimenti in termini di riflessività. I professionisti I professionisti che operano nei Servizi, e in particolare gli assistenti sociali, sono stati pesantemente investiti dai cambiamenti del welfare, dagli effetti della crisi economica e delle scelte politiche assunte per affrontarla che hanno penalizzato fortemente gli interventi a sostegno delle fasce deboli.. Un altro elemento che in letteratura è evidenziato come interferente riguarda la penetrazione della cultura managerialista di cui si è accennato in precedenza: quest’ultima ha portato con sé alcuni termini di contrasto con i valori “centrali” del servizio sociale: ad esempio il miglior rapporto possibile tra risorse e risultati e la visione dell’utente come soggetto e responsabile in grado di operare scelte consapevoli, tipici della cultura managerialista, possono entrare in contrasto con gli obiettivi della 4 personalizzazione delle forme di sostegno e dell’accompagnamento all’autonomia, precipui della dimensione individuale del processo di aiuto del servizio sociale (Fargion, 2009). Altri nodi critici possono essere identificati utilizzando ancora il contributo di Scaglia (2005:144) che segnala: l’indebolimento di saperi e autonomia professionali soppiantati della standardizzazione di comportamenti e risultati e della definizione formale delle prestazioni, l’esaltazione della razionalità programmatoria a fronte della estrema soggettività e complessità delle dinamiche di cui si occupa il servizio sociale stesso e la misurazione dei risultati con logiche estranee a quelle orientate a verificare quale influenza abbiano gli interventi sul benessere delle persone seguite dai servizi. Fargion (2009) e Dellavalle (2013) segnalano la presenza di un rischio di de-professionalizzazione: “i rischi sono rappresentati dalla “burocratizzazione” degli interventi, dalla standardizzazione delle prestazioni con la conseguente riduzione di responsabilità professionali a vantaggio del rigido adempimento di procedure, dalla contrazione degli interventi rivolti alla prevenzione del disagio e/o alla promozione di risorse, e, ancora più in generale dal sostenere una cultura organizzativa che impoverisce il concetto di prendersi cura degli altri deprivandoli delle componenti emotive e relazionale. Un’interessante ricerca (Casartelli, Dessi, 2013) –promossa dall’Ordine degli Assistenti Sociali della Lombardia e realizzata dall’I.R.S. su un campione di 2.400 professionisti – ha evidenziato un pesante cambiamento sia nella condizione lavorativa, sia nel modo di lavorare, sia nelle richieste di aiuto da parte delle persone che accedono ai servizi.. Emerge infatti, da un lato, un aumento esponenziale dei carichi di lavoro a fronte di retribuzioni tutt’altro che remunerative di quelle responsabilità assunte e mansioni svolte, e d’altro lato un aumento del lavoro in urgenza ed una dilatazione degli aspetti burocratici dell’azione. Gli intervistati hanno fatto emergere “una profonda frattura fra le politiche e il “mandato sociale” per cui le scelte politiche verso una crescente contrazione delle risorse appaiono per gli assistenti sociali sempre più in contraddizione con i criteri di equità, uguaglianza, solidarietà […] con la conseguenza che a prevalere è un vissuto di impotenza”. Anche il rapporto con l’organizzazione risente della precarietà della situazione contingente: quello che un tempo era un rapporto caratterizzato da un forte senso di appartenenza, è vissuto attualmente in modo “ambiguo” in quanto l’organizzazione viene percepita come distante dal mandato professionale del servizio sociale, e meno garante dei diritti esigibili sia dall’utenza che dagli stessi professionisti in termini di precarietà e frammentazione del lavoro. Un dato significativo è che la contrazione delle risorse ha condotto gli assistenti sociali verso un approccio che rimette al centro la capacità di costruire e utilizzare le reti. Lo stesso approccio managerialista ha, sotto certi aspetti, innescato un circuito di “verifica” del lavoro – proprio attraverso la necessità di rendicontarlo e di procedere alla valutazione degli interventi – che 5 può senz’altro favorire la connessione della teoria con la pratica. A tal proposito, Dellavalle (2013: 181) sottolinea che «tra gli effetti di questa contaminazione vanno contemplate le pratiche manageriali nelle quali gli assistenti sociali sono coinvolti all’interno di équipe multidisciplinari, in relazione alla predisposizione di protocolli e linee guida, percorsi di monitoraggio e progettazione di percorsi formativi, protesi ad incrementare la qualità degli interventi». Gli effetti sul tirocinio In questa cornice si situa il percorso formativo degli studenti del Corso di Laurea in Servizio sociale che indubbiamente, come si è già anticipato, risente del disagio che i servizi e gli operatori vivono quotidianamente. Va ricordato che, pur attraversando scenari politico-istituzionali e contesti organizzativi differenti, il tirocinio professionale ha rappresentato e rappresenta, nella formazione degli assistenti sociali, una “modalità di learning by doing che ha prodotto buoni risultati fin dall’inizio” (Sarchielli,1990: 116), consentendo agli studenti di “calarsi e sperimentarsi” in una realtà dei servizi non sempre corrispondente al modello teorico appreso in sede accademica, ma proprio per questo, sempre stimolante ai fini dell’apprendimento riflessivo. L’attuale situazione di crisi economica e contrazione delle risorse anche umane, rischia di impedire al sistema dei servizi e alla comunità professionale di cogliere, ora, come all’inizio della storia delle scuole di servizio sociale “ la scuola[…]come costante punto di riferimento, fonte d’orientamento e consulenza per l’esercizio della professione” (Dellavalle, 2004:119). La costante preoccupazione di mantenere in ”equilibrio” la realtà dei servizi, può far ritenere la presenza di tirocinanti un “elemento di disturbo” una “distrazione” di tempo lavoro dalla gestione delle prassi operative quotidiane. Non sono, tuttavia, rare le situazioni in cui i servizi, richiamando la finalità della sperimentazione in autonomia del tirocinio, manifestano la disponibilità ad accogliere studenti tirocinanti, per far fronte alla carenza di organico. La stessa comunità professionale – inserita in un circuito non virtuoso in cui il “tempo lavoro” sembra interamente occupato dal “fare”, “fornire prestazioni” senza lasciare spazi al pensiero critico – rischia di colludere con le tendenze alla burocratizzazione delle organizzazioni di appartenenza, ripiegandosi su se stessa in un atteggiamento dove possono prevalere la stanchezza e la demotivazione, ma anche la chiusura relazionale e la prevalente attenzione alla correttezza delle procedure rispetto alla centralità della persona.. In questo scenario inevitabili possono essere le ricadute sui percorsi di tirocinio: si contrae la disponibilità ad accogliere tirocinanti, sia da parte degli enti, sia da parte delle organizzazioni; si riduce “lo spazio mentale” dedicato agli studenti; 6 si perdono di vista gli obiettivi formativi, accogliendo non tirocinanti ma “mini-assistenti sociali” ossia studenti che, almeno in parte, sono in grado di sopperire alle carenze di personale. La tutoring Data la già citata disomogeneità, anche terminologica, che contraddistingue il tirocinio nelle diverse sedi universitarie, riteniamo di dover premettere il significato da noi attribuito al termine tutor, per illustrare il quale ci rivolgiamo alla voce del Nuovo Dizionario di Servizio sociale (Dellavalle, 2013: 740- 743) segnalando in particolare che il contributo di questa figura di assistente sociale che collabora con la sede universitaria è rilevante «sui piani dell’organizzazione, del reperimento delle risorse e dell’abbinamento studente/servizio/supervisore, del monitoraggio, della rielaborazione e della valutazione. Rispetto al monitoraggio, egli ha il compito di favorire la strutturazione di un percorso personalizzato, attraverso un’azione di vigile accompagnamento e sostegno individuale allo studente e di consulenza al supervisore, ponendo attenzione alla coerenza fra condizioni del tirocinio, progetto didattico e bisogni formativi individuali e intervenendo per ovviare agli eventuali scarti in proposito» (Dellavalle, 2013, 741). L’esperienza di tutoraggio, che ci pone nello spazio di intersezione tra il sistema università ed il sistema servizi, ci impone riflessioni sulla necessità di individuare strategie per non perdere di vista il senso del tirocinio in termini di generatività, concetto utilizzato nella formazione al servizio sociale da Dellavalle ( 2007:28) per rappresentare l’interesse a fondare e guidare la generazione successiva, sulla base della spinta a trasmettere il proprio patrimonio, ma ancor prima di investire per il consolidamento e l’arricchimento di quest’ultimo, anche grazie all’apertura nei confronti dell’innovazione. Pur con ruoli diversi, si è accomunati, infatti, come assistenti sociali, docenti, tutor e supervisori, nel contribuire alla formazione di nuove generazioni, L’alleanza formativa tra tutor e supervisori, appare l’elemento fondamentale sul quale costruire ogni percorso di tirocinio in cui sviluppare/rafforzare/recuperare capacità riflessive all’interno di una relazione dialogica Servizi-Università – secondo il ciclo dell’apprendimento esperienziale di Kolb (Kolb,1984 , cit. in Sicora, 2010: 25)2 ; essa appare anche come uno strumento necessario per costruire “alleanza” fra le diverse componenti della comunità professionale, diversamente collocate nella realtà operativa, in quella universitaria o, come avviene per i tutor, a cavallo di entrambe. In questa ottica dell’alleanza, la funzione di supervisione, se accompagnata dalla partecipazione a momenti di confronto e riflessione sulle esperienze di tirocinio, in sede accademica, intesi come occasione di studio, incontri e dibattiti su tematiche specifiche, organizzate e condotte dal gruppo dei Il ciclo di Kolb fa riferimento alle seguenti fasi interconnesse: Osservazione – riflessione – teorizzazione/sviluppo di concetti – azione. 2 7 tutor, come accade all’interno del Corso di Laurea in Servizio Sociale torinese, può contribuire ad “accogliere i futuri professionisti, con le loro domande inedite, a volte scomode, spesso intriganti, su questioni accantonate, dimenticate o perse di vista e con le loro capacità di suggerire idee nuove o solo diversamente organizzate” (Dellavalle, 2007: 29). A tale proposito, il gruppo dei tutor del Corso di laurea torinese, sta sperimentando l’organizzazione e la gestione di “gruppi di lavoro” finalizzati al confronto tra le diverse esperienze di tirocinio. Seppur brevemente, appare necessario fornire qualche cenno, sull’impianto di tirocinio del Corso di Laurea in Servizio Sociale dell’Università di Torino il quale poggia sulla convinzione che le attività di tirocinio richiedano un percorso di monitoraggio e di accompagnamento alla rielaborazione interdisciplinare che deve essere condotto all’interno della sede formativa. Per questo scopo, sono messi a disposizione degli studenti alcuni dispositivi didattici che contribuiscono in modo essenziale al percorso di apprendimento dall’esperienza: la tutoring: i Laboratori con focus sull’analisi organizzativa previsti dal tirocinio di secondo anno; Il laboratorio di analisi dei casi; I laboratori di guida al tirocinio condotti da docenti di diverse discipline; I gruppi di accompagnamento al tirocinio; Tutte le risorse indicate hanno lo scopo di rafforzare e implementare il percorso necessario affinché lo studente possa imparare a operare collegamenti fra le conoscenze teoriche e la pratica osservata/sperimentata e viceversa, in una visione che attribuisce la valenza professionalizzante del percorso formativo non solo alle discipline di servizio sociale e al tirocinio, ma all’intero impianto didattico interdisciplinare nel quale sono coinvolti i docenti del Corso di Laurea. In questo contesto, i tutor, intervengono con un doppio fuoco di attenzione: gli studenti ed i supervisori. Uno degli obiettivi che si pone il tutor riguarda l’evitare che gli studenti, inseriti in servizi che risentono pesantemente dei tagli delle risorse, e affiancati a supervisori affaticati e talora demotivati, non assimilino i vissuti di impotenza e rinuncia spesso espressi dai professionisti. A questo proposito il tutor assume il compito di far emergere gli aspetti di creatività, di progettualità e di riappropriazione degli aspetti relazionali del lavoro sociale, da un lato, mentre dall’altro deve mettere in evidenza la “spendibilità” operativa delle acquisizioni teoriche che gli studenti hanno maturato nel corso del triennio di studi. Non mancano a questo proposito esperienze significative di tirocini che hanno esplorato ambiti forzosamente lasciati in disparte dagli assistenti sociali che pur sentivano il bisogno di approfondire tematiche o di indagare la possibilità di costruire reti, o ancora di affinare strumenti professionali. Ne riportiamo qui alcuni esempi. 8 Alcuni esempi Dopo le sollecitazioni ricevute, con il supporto di un docente di sociologia, una tirocinante ha compiuto uno studio sulla casistica relativa ad anziani che, avendo richiesto interventi di supporto per contrastare la propria condizione di deprivazione socio/ economica, pur avendone titolo, non avevano ottenuto quanto richiesto o avevano rifiutato le proposte d’intervento. Lo studio si è poi sviluppato esplorando sia le ragioni del rifiuto, sia i percorsi alternativi intrapresi dagli anziani per trovare risposte ai bisogni espressi. I risultati di questo studio hanno costituito materiale di riflessione sia per gli assistenti sociali del servizio, sia per la dirigenza. Un’altra studentessa ha ricevuto il mandato di esplorare la rete di solidarietà operante sul territorio di competenza di un Dipartimento di Salute Mentale, allo scopo di verificare la possibilità di sperimentare una funzione alternativa del volontariato, spesso “usato” esclusivamente per sopperire a urgenze economiche dei pazienti seguiti. La riflessione - condotta con l’aiuto di un docente di sociologia - ha portato a risultati utili, ma contrastanti che hanno messo in evidenza come anche l’ambito del volontariato risenta pesantemente della situazione di crisi in termini di risorse umane disponibili e della conseguente necessità di costruire percorsi condivisi. Un altro tirocinante, dopo aver verificato come la documentazione professionale fosse organizzata in termini poco funzionali al passaggio delle informazioni tra servizio sociale ospedaliero e personale sanitario operante nei reparti, ha suggerito una modalità organizzativa maggiormente snella che ha permesso la velocizzazione dell’informazione, pur mantenendone la completezza. Questa modifica è stata approvata e adottata dal Servizio. Nel corso di un tirocinio sperimentale presso un Centro Diurno per tossicodipendenti, gestito da una cooperativa sociale, una tirocinante ha rilevato come la mancanza di una cartella sociale rendesse particolarmente difficoltoso il reperimento di notizie relative all’anamnesi sociale degli ospiti (percorsi formativi, lavorativi, abitativi, ecc.), notizie che dovevano essere richieste ed ottenute dai Ser.T, con una dilatazione temporale eccessiva. In accordo con la responsabile del centro diurno e con il supporto del supervisore delegato, è stata creata una cartella sociale in seguito adottata ed utilizzata dagli operatori della struttura. Riflessioni conclusive A conclusione di questa breve trattazione, ci sembra opportuno richiamare i termini della sfida nella quale siamo coinvolti, come partecipanti alla formazione delle future generazioni di professionisti assistenti sociali, sfida magistralmente rappresentata dalle parole di Nocifora (2013: 14) «Il futuro che è davanti a noi è sostanzialmente diverso da quello che ci eravamo immaginati. Ma l’unico modo che abbiamo per farvi fronte è quello di fare appello alla nostra professionalità, con modestia e disciplina, certamente, ma anche con coraggio e immaginazione. I problemi che i nostri padri hanno dovuto affrontare, per esempio, nel secondo Dopoguerra, non erano meno complessi e rischiosi di quelli che noi oggi abbiamo di 9 fronte. Ai nostri studenti abbiamo l’obbligo di dare il messaggio che la sfida è alla portata della nostra forza e della nostra competenza» (Nocifora, 2013: 14). Le parole di Nocifora ci paiono particolarmente significative e incoraggianti. L’angolo visuale “particolare” che ci è dato dallo svolgere la funzione di tutor, osservatori privilegiati - che tuttavia sono in grado di condividere le difficoltà quotidiane, in quanto professionisti impegnati sul campo - ci fa sottolineare il rimando che proviene dai colleghi che svolgono la funzione supervisiva che è sentita come “una boccata d’aria” rispetto alle difficoltà della gestione quotidiana del lavoro. Le attività collegate al tirocinio rappresentano, in taluni ambiti uno spazio “privilegiato” per la valutazione e per l’auto-valutazione, spazio di riflessività in grado di fornire stimolo sia sugli aspetti più prettamente emotivi del lavoro professionale - così sollecitati dai giovani studenti - che sul proprio atteggiamento nei riguardi dell’organizzazione e delle politiche sociali. Riferimenti bibliografici Albano R..Dellavalle M (a cura di) (2013), Organizzare il Servizio Sociale, Milano, Franco Angeli. Casartelli A,, Dessi C. (2013), “Una professione alle corde? Gli assistenti sociali di fronte alla crisi del welfare” in Prospettive Sociali e sanitarie, n. 12 – pagina 1 – 5. Cellini G. (2013) Controllo sociale, servizio sociale e professioni di aiuto - Ledizioni LediPublishing, Milano. Dellavalle M. (2011, Il tirocinio nella formazione al Servizio sociale, Roma, Carocci. Dellavalle M. (2013, Tutorato nel Servizio sociale in Campanini A. 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