INDICE PREMESSA -3- PREFAZIONE -7- CAPITOLO I: IPOTESI EZIOPATOGENETICHE SULLA DEPRESSIONE - 14 1.1. INTRODUZIONE - 14 - 1.2. MODELLO PSICOANALITICO - 15 - 1.2.1. Sigmud Freud 1.2.2. Karl Abraham 1.2.3. Melanie Klein 1.2.4. Silvano Arieti e Jules Bemporad - 15 - 22 - 30 - 37 - 1.3. MODELLO COGNITIVISTA: A. Beck - 55 - 1.4. TEORIA DELL’ATTACCAMENTO: J. Bowlby - 63 - 1.5. MODELLO BIOLOGICO - 73 - 1.5.1. Teoria Monoamminergica 1.5.2. Altre Ipotesi 1.5.3. Conclusioni - 73 - 76 - 79 - 1.6. MODELLO PSICHIATRICO 1.6.1. Quadro generale del DSM-IV 1.6.2. I Disturbi dell‟Umore - 82 - 82 - 86 - CAPITOLO II: TRATTAMENTO - 92 - 2.1. INTRODUZIONE - 92 - 2.2. TRATTAMENTO FARMACOLOGICO - 94 - 2.3. PSICOTERAPIA - 102 - 2.4. ALTRE TERAPIE BIOLOGICHE E FISICHE - 107 - -1- 2.5. INTERDIPENDENZA DEI TRATTAMENTI: TRATTAMENTO FARMACOLOGICO E PSICOTERAPIA - 111 - CAPITOLO III: LA DEPRESSIONE NELL’ADOLESCENZA 3.1. INTRODUZIONE - 117 - 117 - 3.2. PUNTI COMUNI E DIFFERENZE TRA DEPRESSIONE E PROCESSO ADOLESCENZIALE - 119 3.3. LA DEPRESSIONE NEGLI ADOLESCENTI 3.3.1. Precisazioni sulla depressione adolescenziale 3.3.2. La depressione: epidemiologia e fattori di rischio - 128 - 128 - 131 - 3.4. DIAGNOSI E TRATTAMENTO TERAPEUTICO NELLA DEPRESSIONE DEGLI ADOLESCENTI - 140 - CAPITOLO IV: PRINCIPALI STRUMENTI PSICODIAGNOSTICI NELLA DEPRESSIONE ADOLESCENZIALE - 148 - 4.1. INTRODUZIONE - 148 - 4.2. TEST DELL’ANSIA E DELLA DEPRESSIONE NELL’INFANZIA E ADOLESCENZA (TAD) - 152 - 4.2.1. Fondamenti psicologici e aspetti generali del TAD 4.2.2. Somministrazione del test e attribuzione dei punteggi 4.2.3. Compilazione del protocollo 4.2.4. Interpretazione e comunicazione dei risultati 4.3. CHILDREN’S DEPRESSION INVENTORY (C. D. I.) 4.3.1. Descrizione e costruzione del C. D. I. 4.3.2. Somministrazione e istruzioni per l‟esaminatore 4.3.3. Determinazione del punteggio 4.3.4. Validità e attendibilità del C.D.I. 4.4. CHILDRENS DEPRESSION SCALE (C. D. S.) 4.4.1. Definizione e principi teorici per l‟elaborazione del C.D.S. 4.4.2. Descrizione: scale e sotto-scale 4.4.3. Uso del C.D.S. 4.4.4. Somministrazione ed interpretazione del C.D.S. - 152 - 157 - 159 - 161 - - 163 - 163 - 165 - 167 - 167 - - 169 - 169 - 171 - 174 - 176 - CONCLUSIONI - 181 - BIBLIOGRAFIA - 183 - -2- PREMESSA La patologia depressiva è considerata oggigiorno il male del secolo. L‟interesse per questo tipo di disturbo, non è solo scientifico ma è soprattutto umano. In effetti il disturbo depressivo appare come un dolore non descrivibile, un vuoto oscuro e maligno, che procura un enorme sofferenza alla persona che ne è affetta. Quando si parla di depressione è opportuno dare un giusto significato a questa parola. Invero, “depressione” significa sostanzialmente uno stato di malinconia che è patologico, non normale. Deve tuttavia precisarsi, che l‟apparente genericità della definizione del disturbo depressivo, non giustifica affatto la riconduzione generalizzata e sistematica nell‟ambito della depressione stessa, di alcune sintomatologie aventi viceversa natura, effetti, e di conseguenza indicazioni terapeutiche del tutto differenti. Non può sottacersi infatti che la patologia depressiva molto spesso si manifesta con dei risentimenti di carattere somatico e che è imprescindibile, ai fini del corretto accertamento della patologia depressiva stessa, avere la sicurezza che tali effetti incidenti sul fisico del soggetto, non siano riconducibili a delle malattie organiche. Uno degli sforzi più impegnativi che l‟operatore, preposto alla diagnosi della malattie mentali, è chiamato a compiere, riguarda per l‟appunto l‟effettuazione di una corretta indagine differenziale finalizzata ad escludere la presenza di patologie fisiche. Un ulteriore ed -3- indispensabile analisi che l‟operatore medesimo deve effettuare, riguarda altresì, la corretta individuazione del “discrimen” interno, nell‟ambito delle varie tipologie di disturbi depressivi; è di tutta evidenza, infatti, che sono enormi le differenze diagnostiche e terapeutiche che sussistono tra depressioni così diverse come ad esempio quelle reattive e quelle endogene. Proprio per dare ad ogni paziente la giusta diagnosi e la corretta terapia, l‟operatore deve tempestivamente riconoscere le suddette differenze e non deve aprioristicamente cristallizzarsi nel perseguire una sorta di “terapia standardizzata”, valida per tutti i diversi fenomeni della patologia depressiva e per tutti i diversi soggetti, affetti dalla patologia medesima. Proprio in virtù di queste considerazioni è opportuno sottolineare le diverse necessità terapeutiche (sia farmacologiche che psicoterapeutiche) di un depresso endogeno e di un depresso reattivo, ma soprattutto di un depresso adulto e di un depresso adolescente. Infatti dall‟analisi dei più recenti ed avveduti contributi letterari relativi alla depressione adolescenziale, si evince in maniera inequivocabile che è indispensabile apprestare degli strumenti terapeutici specifici al fine di favorire un recupero totale del paziente depresso. Rinviando al capitolo terzo la trattazione analitica dei suddetti strumenti terapeutici è opportuno in questa sede soffermarsi sulle ragioni di carattere sociologico e, perché no, anche etico, che sollecitano la completa guarigione dell‟adolescente affetto da depressione. Un giovane o una giovane di 16 o 17 anni non possono accontentarsi soltanto di un -4- intervento terapeutico volto alla ibernazione dei sintomi depressivi, ma necessitano di un intervento che sia in grado di far riconoscere e superare loro le cause sottostanti i disturbi depressivi stessi. Infatti, un adolescente ha vissuto soltanto una minima parte della sua esistenza e non può pertanto essere afflitto dal supplizio della depressione per buona parte della sua vita; questi è infatti chiamato ad affrontare i problemi legati alla vita di relazione, i problemi che si presenteranno all‟indomani del suo eventuale matrimonio, i problemi che causeranno i suoi figli, nonché i problemi tipici della società moderna (vita frenetica, difficoltà a trovare una occupazione, ecc.). Proprio per rendere l‟adolescente in grado di superare efficacemente questi duri ostacoli è fondamentale che la depressione “patologica” non accompagni in perpetuo la sua vita. Da ciò si evince, il ruolo non soltanto curativo ma anche sociale ed etico che l‟operatore chiamato a risolvere i problemi adolescenziali, assume nella società moderna; ruolo che senza dubbio attribuisce a questo operatore una dignità ed un importanza fulcrale nell‟ambito dell‟universo medico-scientifico, ma che al pari di ogni altro compito fondamentale per la società, rende l‟attività del medesimo estremamente onerosa e delicata, facendola assurgere al rango di una vera e propria “missione sociale”. Da ultimo, in virtù del fatto che nella nostra moderna società occidentale si sente parlare molto spesso di depressione e ansia tra i giovani ed i meno giovani, il valore che assume questo lavoro risulta essere davvero pregnante e cruciale per una -5- comprensione esaustiva del disturbo. In effetti questo testo, che raccoglie numerosi e validi contributi sul piano teorico e metodologico nell‟analisi e nel trattamento della patologia depressiva, rappresenta nell‟ambito della letteratura scientifica internazionale, una valida guida per addentrarsi e districarsi nei meandri di un disturbo apparentemente noto ma ricco di sfumature che risulta spesso, come già accennato, per gli stessi professionisti di auto aiuto, difficile da decifrare a pieno. Una conferma del valore di siffatto studio proviene dai più recenti studi epidemiologici che evidenziano un marcato aumento di incidenza della depressione nell‟adolescenza. In particolare, può osservarsi che in Italia i ragazzi depressi sono più di 800.000. Per quanto riguarda l‟Europa, secondo le statistiche dell‟Unione Europea, il 4% degli adolescenti tra i 12 e i 17 anni soffre di depressione grave e la percentuale sale al 9% intorno ai 18 anni. E' chiaro che, nella complessa cornice dell'odierna era post – industriale, la complessità storica e socioculturale sempre crescente che accompagna adolescenziali, si riflette e acuisce le problematiche nell'ampliarsi della letteratura sull'argomento. A tal proposito, storici e antropologi hanno infatti evidenziato come la complessità dell'organizzazione sociale e culturale di un determinato popolo, in un determinato contesto geografico e in un altrettanto determinato periodo storico, influenzi direttamente non solo la poliedricità e la problematicità del fenomeno suddetto, bensì la sua stessa esistenza. -6- PREFAZIONE L‟Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) dichiara che il disturbo depressivo è tra malattie mentali quello più diffuso; a tal proposito le previsioni di tale Organismo per gli anni a venire sono davvero preoccupanti, in particolare la depressione potrebbe diventare la seconda causa di disabilità fra tutte le condizioni morbose. Secondo l‟OMS, oltre il 20% dei soggetti in età evolutiva soffrirebbe di una qualche forma di disturbo mentale ed il suicidio rappresenta la terza causa di morte in età adolescenziale. Nella fattispecie, tra le patologie psichiatriche più frequentemente associate al suicidio ci sono per l‟appunto i disturbi dell‟umore: depressioni maggiori e disturbi bipolari; fanno seguito, l‟abuso di alcool e la schizofrenia. Tuttavia, ai disturbi dell‟umore spetta una posizione largamente prioritaria, interessando tra il 65 e il 90% dei suicidi. Tra i depressi, il rischio sembra maggiore qualora il paziente non segua la terapia in modo corretto o che presenti una resistenza ai farmaci assunti. Ciononostante, anche quando il disturbo depressivo non provoca la morte della persona, comunque provoca una compromissione di aree importanti della vita, quali: l‟aspetto sociale, lavorativo ed di altre aree abituali della vita del soggetto. Muovendo da queste considerazioni, l‟obiettivo principale di questo lavoro, a partire dalla letteratura nazionale ed internazionale sull‟argomento, è quello di far conoscere, ad un -7- gruppo sempre più grande di studiosi e clinici: cos‟è la depressione, quali sono gli strumenti psicodiagnostici di cui ci possiamo avvalere per poter formulare corrette ipotesi diagnostiche, in particolare nella fase adolescenziale e; non ultimo, quali interventi terapeutici risultano essere più efficaci per il trattamento del suddetto disturbo. Tutto ciò risulta essere importante anche alla luce di recenti studi che hanno dimostrato che gli adolescenti che hanno lievi forme di depressione rischiano problemi di salute mentale più gravi da adulti. Ad oggi saranno necessari ulteriori studi per capire se i problemi di depressione degli adolescenti sono una fase iniziale di successive depressioni più gravi o se contribuiscono allo sviluppo di malattie mentali più severe negli anni a venire. Ma quel che già si può dedurre è che anche i lievi segni di depressione negli adolescenti non vanno trascurati: i ragazzi vanno subito aiutati e avviati a una terapia adeguata. Il lettore di questo libro potrà sorprendersi di un fatto: vale a dire che ad oggi, a prescindere dal diverso modello teorico di riferimento nello spiegare l‟eziopatogenesi del disturbo depressivo, non esistono delle divergenze sostanziali nel trattamento del disturbo; infatti dati che emergono da diverse ricerche evidenziano l‟importanza di un approccio integrato, ossia strategie di intervento che prevedono la combinazione di un trattamento farmacologico e di una psicoterapia. Nei capitoli che seguono saranno approfonditi tutti i temi correlati ed esplicativi del medesimo disturbo. -8- Nel capitolo 1, verranno passati in rassegna i diversi contributi teorici che hanno cercato di dare una spiegazione alla genesi del disturbo depressivo. In particolare, nell‟ambito psicodinamico, ricordiamo le teorie di Sigmud Freud, Karl Abraham, Melanie Klein e di Silvano Arieti e Jules Bemporad, nonché la teoria dell‟attaccamento formulata da John Bowlby. Gli altri modelli teorici ed interpretativi della depressione proposti sono quello cognitivo-comportamentale di Aaron Beck ed il modello biologico e psichiatrico. Questi ultimi modelli danno parallelamente importanza a diversi fattori, in particolare il modello cognitivo – comportamentale di Beck, assumendo che i pensieri, i comportamenti, ed processi fisiologici sono tutte componenti importanti dei disturbi depressivi, è quello che ha ricevuto il più gran numero di verifiche empiriche, validazioni, e applicazioni cliniche; viceversa il modello biologico e psichiatrico analizzano altri aspetti integranti e bilaterali del disturbo depressivo, ovverosia gli eventi neurofisiologici e quelli sintomatologici della suddetta patologia. In particolare, nell‟ambito psichiatrico, è il DSM- IV (Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali, giunto alla sua quarta edizione) ad assumere un ruolo davvero importante tra i diversi operatori che si occupano dei disturbi mentali. In effetti, questo manuale, che è scritto con un linguaggio condivisibile dai diversi orientamenti teorici, si fonda su una vasta base empirica. Ciò risulta utile per l‟individuazione dei sintomi cognitivi, comportamentali, somatici ed affettivi che, nel loro insieme, sono in grado di diminuire in -9- maniera da lieve a grave il tono dell'umore, compromettendo il "funzionamento" della persona, nonché le sue abilità ad adattarsi alla vita sociale. A partire da questa vasta poliedricità di modelli che hanno contribuito a dare una diversa spiegazione delle cause sottostanti e concorrenti la patologia depressiva; nel capitolo 2 sono stati valutati i diversi strumenti terapeutici utili per permettere una pianificazione della cura più attenta e mirata a seconda dello scompenso depressivo presentato dal soggetto. A tal proposito, sono stati farmacologico approfonditi e nei particolari il trattamento quello psicoterapeutico. Il primo, che è particolarmente consigliato nelle forme gravi oppure endogene di depressione, ha come scopo principale quello di stabilizzare nel cervello gli squilibri neurochimici (prodotti da un deficit di serotonina, noradrenalina e dopamina) che accompagnano lo scompenso depressivo. Ciò avviene grazie all‟utilizzo di una classe particolare di psicofarmaci, ossia gli antidepressivi che, come vedremo, possono inizialmente, a seconda dei dosaggi, provocare (nei primi 15 giorni) dei disturbi disfunzionali, a carattere neurovegetativo. Tuttavia, è giusto sottolineare che le risposte fisiologiche ai farmaci sono strettamente individuali e non sempre prevedibili. Il secondo trattamento, ossia la psicoterapia (a prescindere come vedremo dai diversi modelli di riferimento) è usato nelle forme non psicotiche di depressione ed ha come ruolo principale quello - 10 - di rendere la persona più consapevole del suo problema, fornendole gli strumenti per fronteggiarlo. Comunque, sebbene non tutte le scuole di psicoterapia lo prevedano, la maggior parte dei clinici è d‟accordo nel sostenere che il trattamento psicoterapico/psicofarmacologico integrato fornisce un piano di cura certamente più incisivo per quelle forme di depressione non solo gravi, ma anche soggette a maggiori recidive e dunque tale trattamento è in grado di potenziare l‟efficacia e migliorare i risultati a lungo termine. In effetti, in varie occasioni sembra che una psicofarmacologia consenta una psicoterapia: è il caso di pazienti depressi che senza un aiuto psicofarmacologico antidepressivo non hanno nemmeno le energie per investire su un lavoro psicoterapeutico. Tuttavia, è anche vero l‟inverso, vale a dire che una psicoterapia può favorire, in diversi casi, una maggiore compliance alla terapia farmacologica, ossia può favorire il corretto mantenimento della farmacoterapia. Verranno anche menzionati altri trattamenti che, a seconda della gravità o meno del tipo di depressione, possono rilevarsi utili per il trattamento medesimo. Essi sono: il trattamento con elettroshock, l‟ospedalizzazione, la fototerapia, la privazione o riduzione di sonno e l‟esercizio fisico. Nel terzo capitolo, si procederà ad analizzare come la depressione si manifesta nel periodo adolescenziale; cercando in primis di riuscire a cogliere il sottile ed incerto confine esistente tra una „depressione fisiologica‟, che risulta essere, per così dire, congenita alla fase adolescenziale - 11 - ed una „depressione patologica‟; in tal modo, verranno esaminate le analogie e le differenze esistenti tra i due tipi di depressione. Allo stesso modo, verranno riportate le diverse manifestazioni depressive tipiche dell‟adolescenza: stato di noia o morositè, crisi ansiosodepressive, sindrome depressiva grave e altre due forme depressive specifiche dell‟età adolescenziale, o meglio la depressione di inferiorità e la depressione mascherata. Alla luce dei diversi studi epidemiologici nazionali ed internazionali sull‟argomento che mostrano una incidenza massiccia della patologia depressiva nell‟età adolescenziale, si è passati ad analizzare il ruolo che i diversi „fattori di rischio‟ svolgono sul grado di vulnerabilità, insorgenza, mantenimento e cronicizzazione del disturbo medesimo. Tenendo conto del complesso e poliedrico quadro che caratterizza la patologia depressiva in età adolescenziale, sono state tracciate delle linee di intervento terapeutico più efficaci per il trattamento del medesimo disturbo, che non possono essere applicate sic et simpliciter al paziente adolescente, ma vanno progettate „ad hoc‟ sul soggetto in esame. L‟ultimo capitolo è dedicato alla descrizione dei diversi strumenti psicodiagnostici di cui si avvale il clinico per svolgere una corretta diagnosi di disturbo depressivo in età adolescenziale. In particolare, i principali reattivi psicologici usati per valutare la diagnosi depressiva adolescenziale sono: il Test dell‟Ansia e della Depressione nell‟infanzia e nell‟adolescenza (TAD), il Children‟s Depression Inventory (CDI) e il Childrens Depression - 12 - Scale (CDS). La valenza, sul piano pragmatico, assunta da questi strumenti è davvero elevata. In effetti, nonostante la diagnosi di depressione non può prescindere dal colloquio clinico, gli strumenti presentati rappresentano comunque un valido supporto nel processo di valutazione diagnostica. Nelle conclusioni verranno proposti spunti di riflessione di diverso tipo, allo scopo di stimolare nel lettore neofita o anche esperto una visione concreta dell‟immagine del paziente depresso all‟interno del suo contesto vitale. Di conseguenza, verrà delineata la cornice all‟interno della quale il disturbo depressivo si esplica, rimandando la doppia funzione dell‟intero lavoro che è per l‟appunto quella di aver non solo trattato in termini esaustivi gli aspetti relativi all’eziopatogenesi, al trattamento del disturbo depressivo, con particolare riferimento alla depressione negli adolescenti, ma anche quello di promuovere, in senso lato, una valutazione critica, utile per sollecitare una cultura alla prevenzione della patologia depressiva. - 13 - CAPITOLO I IPOTESI EZIOPATOGENETICHE SULLA DEPRESSIONE 1.1. INTRODUZIONE La depressione, diversamente forse da ogni altro disturbo in psichiatria o in medicina in generale, fa risalire la sua storia ai primi documenti scritti del genere umano. Molti personaggi degli antichi miti o protagonisti della Bibbia sono raffigurati con dei sintomi che sarebbero oggi classificati come tipici della malattia depressiva. Tuttavia, la prima descrizione clinica oggettiva della depressione risale ad Ippocrate, che coniò il termine “melanconia”, intendendo richiamare l‟attenzione sull‟eccesso di bile nera nel soggetto depresso. Qui di seguito, verranno messi in rassegna i principali indirizzi teorici che si sono occupati della patologia depressiva. Essi sono: il Modello psicoanalitico, con particolare riferimento a: Sigmud Freud, Karl Abraham, Melanie Klein, Jules Bemporad e Silvano Arieti; il Modello cognitivista: Aaron Beck; la Teoria dell‟attaccamento: John Bowlby; il Modello biologico, ed infine il Modello psichiatrico. - 14 - 1.2. MODELLO PSICOANALITICO 1.2.1. Sigmud Freud Nell‟ambito della teoria psicoanalitica molti sono stati gli scritti relativi alla tematica della depressione, ma tra tutti il più significativo resta senza alcun dubbio il breve saggio scritto da Freud nel 1915, intitolato Lutto e Melanconia. Non si tratta del primo lavoro psicoanalitico sull‟argomento, infatti, già Karl Abraham, discepolo di Freud, ne aveva pubblicati parecchi. Nonostante ciò, Lutto e Melanconia ha rappresentato un punto di riferimento per tutti gli psicoanalisti. Questo lavoro assume una certa importanza perché per la prima volta Freud postula dei meccanismi patologici nei quali non è la frustrazione della sessualità a svolgere una funzione patogena. Inoltre in questo scritto Freud parla di “rapporti oggettuali” piuttosto che di rimozione; delinea una istanza che più tardi diventerà il Super-Io; ed amplia la funzione dell‟Io nello sviluppo patologia. È importante altresì sottolineare che l‟autore non parla esplicitamente di depressione, ma fa riferimento a quei particolari stati emotivi consistenti nella melanconia (o malinconia) e nella mania, che rappresentano le due anime della patologia. Freud, inizia il suo saggio, precisando che la diagnosi di melanconia risulta essere particolarmente complessa, in quanto tale diagnosi potrebbe caratterizzare un gruppo di altri disturbi. - 15 - Egli inoltre sottolinea che, avendo acquisito i dati della sua indagine da un numero non cospicuo di pazienti; gli esiti delle indagini medesime non si presterebbero a generalizzazioni. Freud analizza in modo più approfondito la melanconia. E nel fare questo, la confronta con il lutto, notando numerose somiglianze così come alcune differenze critiche con tale fenomeno. Osserva infatti che entrambi questi stati hanno in comune un senso di doloroso abbattimento per una perdita, una mancanza di interesse nei confronti del mondo esterno, la perdita della capacità di amare, e un‟inibizione dell‟attività. Tuttavia, soltanto il soggetto melanconico mostra una diminuzione della stima di sé, al punto che vi sono delle espressioni di autorimprovero ed un‟aspettativa irrazionale di punizione: difatti il melanconico è molto autocritico verso il suo passato e commisera i suoi cari perché sono legati a lui. Questo quadro di delirio di inferiorità è generalmente completato da insonnia, rifiuto del nutrimento, e da quella che Freud definisce “superamento della pulsione di vita”. Inoltre, il melanconico, a differenza di chi subisce un lutto, non sa bene di che natura sia la sua perdita, e non è consapevole di ciò che ha dato luogo al suo malessere. Anche quando è consapevole di ciò che ha perduto, non gli è chiaro che cosa ha perduto. Questo dato conduce Freud a credere che la perdita sia interiore ed inconscia. Anche la perdita della stima di sé indica un impoverimento interiore. Infatti “nel lutto”, afferma Freud “è il mondo che è diventato povero e vuoto; nella melanconia è l‟Io stesso”. - 16 - Ma come spiega Freud questo senso interiore di perdita nella melanconia? Egli prende spunto dagli autorimproveri inappropriati che: 1) sono abitualmente di contenuto morale, 2) sono chiaramente ingiustificati e 3) vengono espressi pubblicamente e senza vergogna. Secondo l‟autore questo è dovuto ad una scissione dell‟Io del melanconico, in cui una parte si differenzia e si contrappone all‟altra, la giudica criticamente e la osserva come se fosse un oggetto esterno1 (Bemporad, 1991). Dai dati clinici raccolti, Freud ipotizza che gli autorimproveri non sono in realtà diretti al sé, bensì a qualche persona che il paziente ama, ha amato o avrebbe dovuto amare; quindi gli autorimproveri sono in realtà rimproveri rivolti verso un‟altra persona. Freud a titolo esemplificativo, osserva che: “la donna che commisera fortemente il proprio marito per il fatto che costui è legato ad una moglie così incapace, intende in realtà accusare il marito di incapacità” (Freud, 1915, trad. it. p. 197). Il melanconico pertanto non ha bisogno di vergognarsi di questi rimproveri, poiché essi sono diretti a qualcun altro. Inoltre Freud aggiunge acutamente che, nonostante le sue dichiarazioni, in realtà il melanconico non agisce come persona indegna, ma si offende continuamente come se fosse stato trattato con grande ingiustizia. 1 Questa parte giudicante dell‟Io viene chiamata “coscienza morale” o meglio coscienza critica, ma diventerà più tardi, con la revisione determinata dalla teoria strutturale, il Super-Io. - 17 - Ma come avviene questo processo intrapsichico di spostamento di un oggetto nell‟Io? Attraverso l‟identificazione di una parte dell‟Io con l‟oggetto perduto. O meglio, Freud postula che nella infanzia il futuro melanconico abbia avuto un intenso rapporto oggettuale che è stato compromesso a causa di una delusione vissuta con la persona amata. La rottura di tale rapporto ha provocato un ritiro della libido2 dalla persona amata, ma la libido liberata non si è trasferita su un altro oggetto, bensì sull‟Io. Ciò è avvenuto perché, secondo Freud, la scelta dell‟oggetto è stata fondamentale di tipo narcisistico, per cui è proprio l‟oggetto incorporato che, nei panni di se stesso, l‟Io attacca, cioè l‟Io attacca l‟oggetto con cui si è identificato, non se stesso. Freud descrive questo processo con le sue famose e drammatiche parole: “l‟ombra dell‟oggetto cadde così sull‟Io che d‟ora in avanti potè esser giudicato da un‟istanza particolare come oggetto, e precisamente come l‟oggetto abbandonato” (ivi, p. 198). Con queste parole l‟autore austriaco ci vuol far capire che è l‟immagine interiorizzata dell‟oggetto perduto ad essere sottoposta a sentimenti ambivalenti, non l‟Io. Inoltre Freud osserva che in casi estremi, il sadismo è così violento che l‟individuo desidera distruggere completamente 2 La libido è per Freud un‟ energia psichica di carattere sessuale, suscettibile di evolversi nel tempo e di fissarsi su oggetti diversi. Tale concetto ha rappresentato, fin dalle prime teorizzazioni, un punto di contrasto tra Freud e Carl Gustav Jung, secondo il quale il libido è viceversa un‟energia vitale, unica, che non ha un carattere esclusivamente sessuale. - 18 - l‟immagine interna dell‟oggetto, e si suicida. Questa, dunque è per Freud la predisposizione intrapsichica alla melanconia. Perdite successive, riattivano la perdita primaria e fanno sì che la rabbia del paziente si diriga verso l‟oggetto deludente originario, che si è fuso con una parte dell‟Io del paziente. Quando la rabbia si è spenta, oppure l‟immagine dell‟oggetto è stata abbandonata in quanto non aveva più valore, la malattia passa, finché un‟altra perdita riattiva l‟intero processo. In alcuni pazienti vi è un‟improvvisa liberazione della libido dall‟immagine interna, e questa sovrabbondanza di energia si scarica in un comportamento maniacale. In particolare, nella mania, l‟Io ha padroneggiato questa rabbia interiorizzata ed ha accantonato il problema; viceversa, nella melanconia, l‟Io è sconfitto dall‟istanza critica e continua ad essere soggetto alla sua rabbia. Inoltre, mentre nella melanconia si può notare che c‟è da parte del paziente un disinteresse verso il mondo esterno; al contrario, nella mania sembra accadere il contrario. La verità è che il fare maniacale è fine a se stesso, cioè fare una cosa, per il maniacale, equivale a farne un‟altra; non c‟è un interesse preciso per una particolare esperienza. A tal proposito Kraepelin 3 parlò di “fuga delle idee”, ossia di sovrapproduzione disordinata di idee, 3 Kraepelin è stato il primo a formulare l‟ampio concetto nosologico della psicosi maniaco-depressiva, parlando di “stati misti”, caratterizzati da una combinazione di sintomi maniacali e depressivi. Egli distingue sei tipi principali: 1) Lo stupor maniacale 2) La depressione agitata 3) La mania non produttiva 4) La mania depressiva 5) La depressione con fuga delle idee 6) La mania acinetica (cit. in Arieti, 1991, trad. it. p. 98). - 19 - tale da provocare l‟incapacità di fissazione verso un particolare oggetto. Si può ancora osservare che, il maniacale, a differenza del melanconico, vive in una condizione di “trionfo dell‟Io 4”, ossia l‟energia del maniacale è in realtà investita sull‟Io e ciò porta spesso ad un “delirio di grandezza”. Ma da dove viene questa energia? L‟energia proviene da un investimento oggettuale che si è riuscito ad abbandonare, ossia dalla disidentificazione del soggetto con l‟oggetto perduto. Ma perché nel caso del lutto alla tristezza non segue la mania? Cioè, alla identificazione di una parte dell‟Io con l‟oggetto perduto, non segue tale disidentificazione? A tale interrogativo Karl Abraham risponde che al termine del lutto, lo stato maniacale si manifesta spesso in un iperinvestimento su un figlio. Quindi il figlio risulta una soluzione al lutto. In conclusione Freud ipotizza nella melanconia tre fattori condizionanti: la perdita dell‟oggetto, un elevato grado di ambivalenza, e una regressione della libido nell‟Io. Mentre i primi due li ritroviamo nei rimproveri ossessivi susseguenti a casi di morte, soltanto l‟ultimo è specifico della melanconia 5. 4 È in Psicologia delle Masse ed analisi dell’Io (1921) che Freud descrive il trionfo dell‟Io, caratteristico della mania, come fusione dell‟Io e dell‟Io ideale, in modo che il primo sia libero dalle critiche del secondo. 5 Tuttavia, è possibile anche notare che la teorizzazione di Freud sulla melanconia non è estranea all‟idea che ci sia anche una componente biologica che interferisca sulle dinamiche psichiche; ciò osserva Freud si può evincere “dalla regolare attenuazione dello stato melanconico nelle ore serali”(Freud, 1915, trad. it. pp. 202-203). - 20 - Retrospettivamente Lutto e Melanconia può essere considerato un capolavoro di ricerca clinica e di deduzione logica, grazie al quale Freud ha proposto un modello interamente nuovo di malattia: quale l‟espressione di un affetto verso l‟oggetto incorporato. Freud riconobbe pertanto la natura interpersonale del disturbo e lo stretto rapporto fra il mantenimento della stima di sé ed il mantenimento di un rapporto riuscito, infatti egli riuscì a vedere che nella depressione una persona ha profondamente influito sullo stato mentale di un‟altra e che la perdita di questa persona dà luogo ad una perdita interna per il depresso. Tuttavia, è diventato sempre più difficile corroborare tale formulazione mediante i dati clinici, infatti: “Alcuni depressi non hanno mostrato i cruciali autorimproveri, oppure non presentano con uniformità una storia di perdite passate o attuali” (cit. in Bemporad, 1991, trad. it. p. 39). Pertanto la formulazione ricca di immaginazione di Freud non sembra aver superato le prove del tempo. - 21 - 1.2.2. Karl Abraham Karl Abraham può essere ricordato come l‟autore che ha iniziato lo studio psicoanalitico della depressione. Rispetto a Freud, il modello di Abraham è, da un lato, più direttamente collegato alla clinica, dall‟altro, valorizza di più un punto di vista genetico” (cit. in Semi, 1997). Infatti è proprio grazie a lui che alcune parole della psichiatria tedesca sono entrate nell‟uso psicoanalitico: ricordiamo a tal proposito il concetto di psicosi maniaco-depressiva o di follia maniaco-depressiva elaborato da Kraepelin. Risale al 1912 l‟opera più importante in cui Abraham tratta la patologia depressiva, intitolata Note per l’indagine e il trattamento psicoanalitici della follia maniaco-depressiva e di stati affini. L‟autore in questo saggio si occupa degli stati depressivi, sottolineando fin dall‟inizio uno stretto rapporto tra questi ed il concetto di nevrosi, così come è stato formulato da Freud6. Osserva Abraham che: “Mentre il nevrotico viene preso da angoscia quando la sua pulsione aspira a un soddisfacimento che la sua rimozione gli impedisce di raggiungere. La depressione subentra quando egli senza successo, insoddisfatto, rinuncia alla meta sessuale” (cit. in Abraham, 1912, trad. it. p. 104). Ossia, mentre l‟angoscia che sperimenta il nevrotico sorge quando la 6 Nel 1911 la psiconevrosi veniva interpretata da Freud come il risultato della rimozione della libido. - 22 - rimozione impedisce il conseguimento della gratificazione desiderata che potrebbe ancora essere possibile; la depressione sorge quando il soggetto ha perso la speranza di soddisfare le sue aspirazioni libidiche. Inoltre, nella depressione l‟aspirazione verso un soddisfacimento libidico è così profondamente rimossa che il soggetto si sente incapace di amare o di essere amato, disperando così “della vita e del futuro”. Abraham applica pertanto la dottrina fondamentale della eccessiva rimozione della libido alla depressione, e poi a conferma di questa formulazione descrive sei pazienti depressi da lui trattati7. Nel presentare questi casi egli, fin dall‟inizio, focalizza la sua attenzione sulla somiglianza esistente fra i pazienti depressi e quelli ossessivi. Infatti, in entrambi gli stati riscontra una profonda ambivalenza verso gli altri, dovuta alla presenza di due tendenze diverse – odio e amore – che si danneggiano a vicenda; in cui l‟aspirazione all‟amore viene inibita da forti sentimenti di 7 Queste presentazioni di casi rimangono dei classici della descrizione nella letteratura psicoanalitica. Di questi sei casi: “Due di essi erano pazienti maniaco-depressivi lievi (caso di cosiddetta ciclotimia); un‟altra malata soffriva di stati depressivi brevi che si succedevano a breve distanza tra loro, con fenomeni tipicamente melanconici. In due pazienti si trattava di psicosi depressiva per la prima volta; anche se già in passato avevano avuto la tendenza a lievi oscillazioni d‟umore maniacali e depressive. Infine un paziente si era ammalato a quarantacinque anni di psicosi grave ed ostinata”. Abraham, sulla scia di Kraepelin, classificò quest‟ultimo caso come follia maniaco-depressiva. - 23 - odio, che a loro volta sono rimossi perché il soggetto non riesce ad accettarli. Pertanto, come l‟ossessivo anche il depresso non riesce ad avere una vita relazionale normale, perché i suoi sentimenti di odio e di amore interferiscono costantemente l‟uno con l‟altro. Di conseguenza, i rapporti interpersonali del depresso mostrano questo odio rimosso che ha le sue radici nella libido bloccata (cfr. Bemporad, 1991). Karl Abraham tratta nel suo saggio anche le differenze esistenti tra lo stato ossessivo e quello depressivo, infatti, sebbene la capacità di amare gli altri risulta inibita in entrambe le forme, a causa della rimozione della libido; i depressi e gli ossessivi si differenziano radicalmente nel modo in cui gli impulsi inibiti trovano un‟espressione sostitutiva. Nell‟ossessivo, sono i rituali ripetitivi a prendere il posto degli inaccettabili desideri sessuali originari. Per il depresso, egli postula un processo particolare di proiezione, che sembra aver modellato sulla spiegazione della paranoia, formulata precedentemente da Freud 8. Secondo l‟autore, i processi dinamici interni del depresso consistono in questo sentimento fondamentale: “Non riesco ad amare gli altri, devo odiarli”. Questo riconoscimento dell‟odio è inaccettabile e deve essere rimosso. L‟ostilità viene allora proiettata sugli altri ed il pensiero cosciente si trasforma in quest‟altro: “Gli altri non 8 É in Osservazioni psicoanalitiche su un caso di paranoia (dementia paranoides) descritto autobiograficamente (1919) che Freud da una formulazione precisa della psicogenesi della paranoia. In brevi formule egli precisa gli stadi che sono percorsi fino alla formazione del delirio paranoico; il cui nucleo conflittuale risiede, nella fantasia di desiderio omosessuale di amare una persona dello stesso sesso. - 24 - mi amano, mi odiano”. Questa formulazione è accettabile e ulteriormente sostenuta dalla razionalizzazione che l‟essere odiati è giustificato da qualche difetto congenito immaginario (Bemporad, 1991). Nonostante ciò “gli impulsi sadici rimossi non hanno riposo”. Essi mostrano la tendenza a ritornare alla coscienza in varie forme: “sogni, azioni sintomatiche, inclinazioni moleste verso l‟ambiente, impulsi criminali”. Egli continua a spiegare sulla base della rimozione anche altri aspetti della depressione. Osserva, infatti che il senso di colpa che sperimenta il depresso, deriva dalla rimozione dei suoi desideri distruttivi di odio, di vendetta, etc. Invero afferma che: “quanto più violenti sono gli impulsi inconsci di vendetta, tanto più pronunciata è l‟inclinazione a costruire idee deliranti di colpevolezza”. Da ciò si può evincere che abbiamo a che fare con una persona che ha un “insaziabile sadismo rimosso nell‟inconscio” che vorrebbe volgere contro tutto e tutti. Tuttavia, egli osserva che alcuni pazienti vanno orgogliosi del loro senso di colpa, soddisfando il loro desiderio inconscio “di essere un criminale della peggior specie, di avere più colpa di tutti gli altri esseri umani messi insieme”. Pertanto, è “dalla rimozione del sadismo che deriva la depressione, l‟angoscia e gli autorimproveri” (cit. in Abraham, 1912, trad. it. p. 112). Abraham nota anche, che alcuni depressi sembrano godere del loro rimproverarsi e provare piacere nelle sofferenze perché questo permette loro di concentrare tutti i loro pensieri su se - 25 - stessi. Questa polarizzazione su se stessi spiega i deliri di impoverimento che sono simboli della privazione emotiva risultante dal ritiro della libido dall‟ambiente circostante (cfr. Bemporad, 1991). Altre due caratteristiche importanti della psicosi depressiva sono: un‟inibizione psichica generale 9, che ha l‟effetto di rendere ancora più difficile il rapporto tra il malato ed il mondo esterno; e la tendenza inconscia alla negazione della vita. Successivamente, Abraham si occupa della fase maniacale dei disturbi circolari e della terapia psicoanalitica per i soggetti depressi. La mania viene considerata come la manifestazione evidente di ciò che era stato rimosso durante la fase depressiva, ossia come il fallimento della rimozione e la liberazione della “pulsione sadica”. Il paziente in questa fase, a differenza della fase depressiva, appare molto allegro. Ciò può portare anche alla errata conclusione che le due fasi siano in contrasto tra loro; in realtà, la psicoanalisi ci insegna che entrambi le fasi sono dominate “dagli stessi complessi”. Tuttavia, mentre nello stato depressivo il soggetto si lascia abbattere dal complesso; nella fase maniacale, il soggetto si pone sopra tale complesso, per cui sia la libido negativa che quella positiva si spingono ugualmente alla coscienza. Inoltre, mentre nella fase depressiva tutto induce 9 I gradi più alti di inibizione si definiscono “stupore depressivo”. Il malato resta privo di reazioni anche applicandogli forti stimoli esterni, come se non appartenesse più al mondo vivente. - 26 - ad uno stato di inibizione generale, alla negazione della vita e alla morte; nella fase maniacale, si assiste alla cosiddetta “fuga di idee”, ad uno stato di perenne esaltazione della vita, e di consueto alla manifestazione di comportamenti aggressivi, con la presenza di idee deliranti di grandezza. Deve altresì considerarsi che caratteristica dello stato maniacale è anche una sorta di “allegria spensierata”, che è possibile interpretare come un ritorno al periodo dell‟infanzia. In effetti, Abraham osserva che avere un colloquio con un adulto maniacale assomiglia molto al parlare ad un bambino di cinque anni. Nella parte finale del saggio, l‟autore analizza l‟effetto terapeutico della psicoanalisi, ed afferma che, nonostante ci siano ovvi problemi nello “stabilire la traslazione con questi pazienti che nella loro depressione si distaccano da tutto il mondo”, possiamo considerarla come l‟unica “terapia razionale” per trattare le psicosi maniaco-depressive. In ultimo, dal punto di vista prettamente pratico, Abraham consiglia agli addetti ai lavori, ossia agli altri psicoanalisti di iniziare una terapia in periodi in cui il soggetto sia libero da attacchi maniacali o depressivi. “Il vantaggio è evidente. Non si può eseguire l‟analisi con malati melanconici gravemente inibiti o maniacali disattenti”. L‟importanza di questo saggio consiste nel fatto che, l‟autore coglie per la prima volta alcuni aspetti importanti della malattia depressiva quali: l‟ambivalenza del depresso; la sua incapacità di amare veramente gli altri; un‟eccessiva preoccupazione per sé; - 27 - l‟utilizzazione del senso di colpa per attirare l‟attenzione su di sé e non ultimo l‟ostilità di base che impedisce una maturazione emotiva adeguata. Ciò che invece sembra mancare è l‟importanza del ruolo attribuito all‟aspetto relazionale nell‟eziologia e nel mantenimento della depressione. Dopo aver analizzato i capisaldi della teoria di Abraham sulla depressione, è d‟uopo ricordare un‟altra sua opera, pubblicata nel 1917, intitolata Il primo stadio pregenitale della libido, che rappresenta un approfondimento delle tematiche precedentemente trattate, in cui l‟autore, tenendo anche conto delle teorizzazioni di Freud sull‟argomento, si pone il compito di dimostrare come la depressione possa essere integrata nella formulazione della regressione ad uno stadio libidico particolare dello sviluppo. In effetti, Abraham ritiene che la depressione possa essere interpretata come una regressione inconscia alla prima fase psicosessuale, ovvero alla fase orale. La somiglianza tra la fase orale e la depressione va ricercata nella modalità di scarica libidica, così come in una forma caratteristica dei rapporti oggettuali. Freud aveva indicato che la modalità dominante dei rapporti inconsci degli individui con fissazione orale era caratterizzata dall‟introiezione. Partendo da questo assunto, Abraham pensa che il depresso vada oltre l‟incorporazione dell‟oggetto psichico. Infatti, afferma che: “nella profondità dell‟inconscio del depresso vi è una tendenza a divorare e a demolire l‟oggetto”. Per cui, è questo desiderio inconscio di - 28 - distruggere “oralmente” l‟oggetto ad essere responsabile dei due principali sintomi della depressione: il rifiuto del cibo (vale a dire l‟equivalenza del cibo con l‟oggetto d‟amore che il soggetto teme di distruggere) e la paura di morire di fame (di nuovo derivante dal timore di realizzare dei desideri orali distruttivi). Abraham sostiene anche un fatto apparentemente antitetico, vale a dire che in alcuni depressi l‟assunzione di cibo allevia il sentimento di depressione. Ciò nonostante, anche in questo caso egli nota il rapporto tra depressione e oralità (Bemporad, 1991). In conclusione possiamo notare, anche in questo scritto, la complessità del pensiero di Abraham ed il suo continuo lavoro, tendente all‟ampliamento dei tratti caratterizzanti la patologia depressiva. - 29 - 1.2.3. Melanie Klein Melanie Klein è stata una pensatrice originale che ha dato luogo, nel corso del secolo scorso, ad un sistema autonomo di interpretazione psicodinamica. I suoi interessi principali, che derivano sia dalla esperienza clinica con i bambini gravemente disturbati e sia dal contatto personale con Karl Abraham, furono gli stadi più precoci della vita psichica e la funzione prevalente dell‟ambivalenza nella psicopatologia. Il suo contributo allo studio della depressione si può comprendere soltanto nel contesto del suo sistema generale, per cui è importante riassumere, in grandi linee, il suo pensiero. La Klein postula due stadi fondamentali di sviluppo nel primo anno di vita, che chiama “posizioni”. La prima è la posizione schizoparanoide, ed è caratterizzata da una percezione particolare degli oggetti: conosciuti come parziali, piuttosto che interi. Per esempio il bambino durante questo stadio dello sviluppo, concepirebbe il seno come separato dalla madre. Inoltre, il seno è “buono” quando è fonte di soddisfazione ossia quando lo nutre; viceversa, viene concepito come “cattivo” 10 quando risulta 10 Il bambino non avverte gli oggetti come cattivi “solo perché non soddisfano i suoi desideri, ma anche perché proietta su di essi la propria aggressività; per questo fatto egli li immagina come realmente pericolosi, come persecutori che teme lo divorino, svuotino il suo corpo”. […] “Queste imago fantastiche, configurazioni distorte degli oggetti reali che ne sono il fondamento, vengono collocate non solo nel mondo esterno ma con il - 30 - inadeguato a soddisfare i suoi bisogni. In questo modo, il bambino risolve il problema dell‟ambivalenza “scindendo” l‟oggetto intero in oggetti parziali separati buoni e cattivi, che non appartengono alla stessa persona. Oltre ad avere la sensazione che questi oggetti buoni e cattivi esistano nel mondo esterno, il bambino interiorizza gli oggetti (a causa di una scarsa differenziazione fra sé e l‟ambiente), in modo che essi diventino “oggetti interni” nella psiche. Pertanto l‟oggetto parziale “seno”, intorno a cui si origina la dinamica della fase schizoparanoide, è esterno ed interno, buono o cattivo, incorporato e proiettato, unitario e frammentario (cfr. Silvia Veggetti Finzi, 1990). Secondo la Klein, il bambino teme che gli oggetti cattivi interiorizzati distruggano gli oggetti buoni interiorizzati. Egli risolve questo conflitto riproiettando gli oggetti cattivi nell‟ambiente per poter salvare il suo senso interiore di bontà. In tal modo il bambino vive l‟angoscia di essere distrutto dagli oggetti cattivi, angoscia di tipo paranoide quando l‟oggetto è per l‟appunto esterno; viceversa esperisce un‟angoscia di tipo ipocondriaco, quando l‟oggetto persecutorio è sentito come interno. Nel corso dello sviluppo normale, il bambino sperimenta solo sporadicamente tali angosce, tuttavia esse compaiono sempre e processo dell‟incorporazione, anche nell‟Io” (Melanie Klein, 1935, trad. it. p. 297). - 31 - svolgono una funzione strutturante, purché i fattori libidici11 prevalgono su quelli aggressivi. In questo caso (ma non necessariamente) la posizione schizoparanoide sarà integrata nella personalità matura. Inoltre il processo di scissione, benché pieno di pericoli12, permette all‟Io di emergere progressivamente dalla indistinzione originaria e di ordinare la realtà esterna secondo due categorie elementari “buono” e “cattivo”, che stanno alla base della successiva capacità discriminativa. Dunque, ad un certo livello di organizzazione interna, quando le capacità cognitive del bambino sono sufficientemente mature, le parti buone e le parti cattive di sé possono coesistere e l‟Io si differenzia progressivamente dall‟oggetto, ossia la scissione cede il passo alla integrazione dell‟Io e dell‟oggetto. Il passaggio dall‟oggetto parziale all‟oggetto intero, che accade verso i sei mesi, segna il superamento della posizione schizoparanoide e l‟inizio della seconda posizione, che è quella depressiva. A questo stadio il bambino si rende conto che sia il seno buono che quello cattivo appartengono entrambi alla stessa madre, e che 11 Gli impulsi libidici del bambino aumentano man mano che egli si identifica più completamente con un oggetto buono. Ed è proprio l‟introiezione dell‟oggetto buono che gli permette di opporsi ai persecutori interni. 12 Nel caso in cui l‟organizzazione primitiva della scissione divenga rigida e permanente (fissazione), il soggetto funziona in modo psicotico, secondo i quadri psichiatrici della schizofrenia e della paranoia, oppure si troverà in quella situazione mediana tra psicosi e nevrosi, detta borderline (cfr. Silvia Veggetti Finzi, 1990). - 32 - egli deve affrontare il conflitto derivante dal fatto che delle figure esterne sono sia fonte di dolore che di piacere. Dunque, la madre unificata ingloba in sé le caratteristiche precedentemente scisse della bontà e della cattiveria e diviene un oggetto ambivalente. Poiché l‟integrazione dell‟oggetto va di pari passo con l‟integrazione dell‟Io, l‟ambivalenza all‟ambivalenza dell‟altro. La crisi, dell‟uno corrisponde a questo punto, è rappresentata dalla paura del bambino che la sua aggressività, che egli ora riconosce come propria, distrugga gli oggetti buoni sia esterni che interni. La paura principale viene quindi chiamata “ansia depressiva”; essa è in rapporto con la paura del bambino di avere lui stesso causato la perdita o la distruzione della sua sensazione di benessere (oggetti buoni). Pertanto, mentre nella fase schizoparanoide la maggior angoscia consisteva nella distruzione dell‟Io da parte degli oggetti cattivi; nella posizione depressiva, invece, l‟angoscia sorge dal timore che i propri impulsi aggressivi distruggano l‟oggetto amato. Inoltre, siccome l‟oggetto ideale viene, nella fase depressiva, incorporato nell‟Io; qualsiasi attacco nei suoi confronti è sentito come autodistruttivo. Da questo momento l‟aggressività infantile non provoca solo angoscia ma anche lutto e senso di colpa (Silvia Veggetti Finzi, 1990). Vi sono vari modi in cui il bambino può affrontare la posizione depressiva. Uno è quello di diventare inibito, depresso e timoroso di agire, per paura di distruggere gli oggetti buoni. Un altro è quello di negare il valore degli oggetti buoni e di affermare che - 33 - egli non ha bisogno di alcun altro oggetto se non di se stesso (la cosiddetta difesa maniacale). Infine la soluzione sana è che il bambino si renda conto che, benché le sue azioni o i suoi desideri possano aver temporaneamente causato la perdita degli oggetti buoni, questi possono essere recuperati mediante manovre riparative appropriate (Bemporad, 1991). In questo modo il soggetto riconosce le proprie responsabilità nei confronti dei suoi sentimenti ostili (egli non li proietta sugli altri), e nello stesso tempo si rassicura sul fatto che la sua ostilità non è così distruttiva; che attraverso un comportamento appropriato gli è possibile riacquistare un sentimento positivo riguardo a se stesso (vale a dire gli oggetti buoni interiori). In effetti la Klein esprime questo concetto con le seguenti parole: “il bambino riuscirà a superare la posizione depressiva quanto più sarà in grado di pervenire, in questo stadio, ad un rapporto felice con la madre reale, ma tutto dipenderà dal come potrà trovare una via d‟uscita dal conflitto tra l‟amore da una parte e l‟odio incontrollabile e il sadismo dall‟altra (Klein, 1935, trad. it. p. 323). Inoltre ella afferma che: “con l‟aumento dell‟amore per i propri oggetti buoni e reali aumenta la fiducia nella propria capacità di amare e si riducono le angosce paranoidi per gli oggetti cattivi; questi cambiamenti comportano una diminuzione del sadismo e modi più adeguati di controllare l‟aggressività e di darle sfogo” (ivi, p. 324). Così la posizione depressiva che la Klein ha ipotizzato: “Come una melanconia in statu nascendi” (Klein, 1940, trad. it. p. 327) - 34 - diventa la posizione centrale dello sviluppo del bambino che, nonostante abbia origine all‟epoca del costituirsi dell‟oggetto totale (attorno ai sei mesi di età), si presenta poi in ogni situazione di cambiamento indotto dallo sviluppo libidico e/o dalle variazioni della realtà; dunque, si può parlare di modello interiore di vicissitudini del soggetto nei confronti dell‟oggetto al quale tornare sistematicamente nelle vicende della vita (cfr. Semi, 1997). La capacità dell‟individuo di superare felicemente la posizione depressiva infantile, non significa altro che l‟acquisizione di un modello interiore di “posizione depressiva” garante della possibilità (nelle evenienze successive della vita) di restaurare e reintegrare il proprio mondo interno; una sorta di meccanismo fondamentale di salvaguardia della vita psichica, fallendo il quale si “può avere come risultato la malattia depressiva, la mania o la paranoia” (Klein, 1940, trad. it. p. 352). Sempre nell‟opera del 1940, intitolata Il lutto e la sua connessione con gli stati maniaco depressivi, l‟autrice ci riporta le differenze fondamentali esistenti tra il lutto e gli stati maniacodepressivi. Ella asserisce che: “La differenza fondamentale tra il lutto normale da un lato e lutto anormale e stati maniacodepressivi dall‟altro si può esporre nei termini seguenti. Il maniaco-depressivo e colui che non riesce a elaborare il lutto, anche se si avvalgono di difese che possono essere notevolmente diverse, hanno in comune che nella primissima infanzia non sono riusciti a consolidare i loro oggetti interni buoni e a sentirsi sicuri nel loro mondo interiore. Essi non hanno mai superato - 35 - veramente la posizione depressiva infantile. Nel lutto normale, invece, questa posizione, che viene rivissuta a seguito della perdita dell‟oggetto amato, torna a essere modificata e superata con sistemi analoghi a quelli usati dall‟Io nell‟infanzia. Il soggetto reinsedia dentro di sé l‟oggetto d‟amore − e cioè i genitori buoni − che al momento della perdita reale ha sentito in pericolo di perdere. Reinsediando dentro di sé sia i genitori buoni che la persona appena venuta a mancare e ricostruendo il proprio mondo interiore disgregato e in pericolo, il soggetto supera il cordoglio, riacquista il senso della sicurezza e perviene a un‟autentica armonia e una vera pace”. Questa lunga citazione serve a farci notare come il bambino e poi l‟adulto si appoggiano (nel corso della vita) sulla propria esperienza del superamento della posizione depressiva infantile per ricostruire il proprio mondo interiore (cfr. Semi, 1997). La depressione è dunque, nel pensiero della Klein, una situazione altamente drammatica, perché implica la mancanza nel soggetto della possibilità di rifarsi a qualcosa (la posizione depressiva infantile) a cui appoggiarsi per ricostruire il proprio mondo interno. In conclusione, possiamo considerare la Klein come colei che ha contribuito a far progredire ulteriormente lo studio della depressione. Tuttavia, il suo operato non è esente da critiche. Le più accreditate riguardano: i cosiddetti “oggetti interni”, di cui ne parla come se fossero entità reali; l‟attribuzione al bambino piccolo di una quantità di meccanismi psicologici troppo - 36 - complessi (adultomorfismo); un‟eccessiva importanza data alla patologia nel comportamento quotidiano; ed infine l‟ultima critica riguarda il suo ignorare l‟importanza reale degli scambi con le altre persone significative nella predisposizione alla depressione. 1.2.4. Silvano Arieti e Jules Bemporad Altri due teorici che si sono occupati della patologia depressiva, il cui pensiero è possibile inquadrare nell‟ambito del modello psicoanalitico sono Silvano Arieti e Jules Bemporad. L‟opera in cui entrambi gli autori hanno trattato, in modo veramente esaustivo, la patologia in esame (tenendo conto della vastità del campo di studio) è intitolata La depressione grave e lieve (1991). In questo lavoro essi si sono preposti lo scopo di illustrare l‟importanza che i fattori psicologici giocano sia nell‟eziologia che nella terapia della depressione, osservando che i fattori psicologici, nonostante non siano gli unici responsabili di ogni caso di depressione, sono sempre presenti; sta poi allo specialista saperli individuare, a meno che non ci si accontenti di una guarigione per così dire “superficiale e sintomatica”, che può dare luogo ad una ricaduta della malattia, in ogni momento. - 37 - La loro elaborazione relativa alla depressione è suddivisa in cinque parti: la prima parte, contiene una rassegna delle principali teorie sulla depressione ed in essa viene descritta la sintomatologia clinica della varie forme depressive; la seconda parte tratta la psicodinamica della depressione grave (Arieti) e lieve (Bemporad) ed in particolar modo la depressione nei bambini e negli adolescenti; la terza parte è dedicata alla esemplificazione di una serie di casi clinici; la quarta parte è relativa agli aspetti sociologici e letterari della patologia in esame; ed infine l‟ultima parte, riguarda ulteriori osservazioni sul rapporto fra cognizione e depressione. Tuttavia, la parte che analizzeremo maggiormente è la seconda, poiché è proprio qui che i due autori (prima, Arieti e successivamente, Bemporad) espongono il loro pensiero sulla depressione. Arieti, partendo dal presupposto che esiste uno stretto rapporto tra la tristezza che è una emozione normale e, la depressione che è uno stato o sintomo psichiatrico, e osservando che così come nella depressione, anche nella tristezza si verifica un cambiamento chimico nel cervello; crede che il fattore determinante nella eziologia del disturbo depressivo sia un fattore di tipo psicologico, infatti per l‟autore, è proprio quest‟ultimo ad influenzare lo stato chimico del nostro cervello e a farci comprendere la differenza esistente tra la tristezza normale e la depressione. Pertanto, per Arieti che, come già riferito precedentemente, privilegia un indirizzo psicodinamico nello studio della depressione, sono le circostanze della vita, così - 38 - come gli schemi psicologici seguiti dal paziente a determinare la depressione; di fatti l‟autore osserva, che anche quando il paziente sembra non palesare i motivi che lo hanno reso depresso, in realtà le ragioni che hanno determinato il suo malessere esistono, ma semplicemente egli non le conosce. Perciò, l‟obiettivo che si pone Arieti è quello di “descrivere il modo in cui l‟ambiente influisce sul futuro paziente gravemente depresso ed il modo in cui egli integra queste influenze”. L‟autore descrive quattro modelli di vita che il futuro paziente depresso può aver sviluppato, a seguito di una particolare situazione familiare che ha vissuto. Invero, Arieti pensa che il soggetto depresso: “nasce generalmente in una casa che è pronta ad accettarlo e a prendersi cura di lui”, vale a dire ha una madre che è disposta a soddisfare tutti i suoi bisogni e desideri. Questa disponibilità della madre è a sua volta accettata dal bambino, il quale è pronto ad accettare ogni cosa che gli venga offerta; cioè, “fin dall‟inizio il bambino è molto recettivo all‟influenza dell‟adulto significativo (genitore)” (ivi, trad. it. p. 156). Tale recettività predispone il soggetto a sviluppare una dipendenza eccessiva nei confronti dei genitori, e di conseguenza a favorire lo sviluppo di tratti specifici di personalità nel futuro paziente, quali: estroversione, conformismo ecc. Successivamente, nel secondo anno di vita, si assiste ad un atteggiamento nuovo da parte della madre (o genitori), che cambia drasticamente l‟ambiente in cui il bambino sta crescendo. Talvolta, il mutamento improvviso viene vissuto dal soggetto come un grave - 39 - trauma. In questa nuova situazione, la madre continua a prendersi cura del bambino, ma a patto che quest‟ultimo soddisfi le sue (loro) aspettative13, che sono per lo più esagerate. Così il bambino “passa da un ambiente che lo predisponeva ad una grande recettività ad un altro che ha grandi aspettative nei suoi confronti”. In molti casi il mutamento brusco è avvenuto a causa di una serie di accadimenti inaspettati, come per esempio: l‟improvviso abbandono del bambino da parte della madre che lo affida ad una nonna, zia o estranea; svezzamento (privazione di latte materno) precoce ecc.. Il bambino sperimenta questi avvenimenti come una minaccia14, e cerca di affrontare la nuova situazione disturbante adottando una serie di meccanismi speciali. Un primo meccanismo comune, è “il cercare la sicurezza accettando le aspettative onerose dei genitori” (modello accomodante). Vale a dire, il bambino accetta coscientemente di 13 L‟aumento delle aspettative da parte dei genitori nei confronti del bambino è dovuto al fatto che essi “sono generalmente insoddisfatti della propria vita, e talvolta nutrono risentimento verso i bambini, che rappresentano un aumentano di lavoro e di responsabilità”. Tuttavia, non potendo manifestare questa ostilità apertamente la esprimono in questo modo (ivi, trad. it. p.157). 14 Si usa il termine “minaccia” e non “perdita” perché, nonostante il bambino abbia subito in molti casi una perdita reale (della madre, di una domestica materna, dell‟amore ecc.), egli sperimenta tale situazione come “minaccia”. Se così non fosse, il bambino tenderebbe a diventare subito depresso. - 40 - soddisfare le loro richieste, poiché “soltanto accettando, obbedendo e lavorando duramente può riconquistare l‟amore o lo stato di beatitudine che aveva quando era piccolo” (ivi, p. 159). Dunque, in tale circostanza il bambino ha paura di essere punito e di perdere completamente l‟amore dei genitori se non fa ciò che gli è stato chiesto. Inoltre, la paura di non riuscire nel proprio intento si trasforma ben presto in un sentimento di colpa; di conseguenza se l‟affetto o il perdono non arrivano, il bambino ha l‟impressione che la colpa sia sua, perché non si è adeguato a ciò che la madre (o altro significativo15) si aspetta da lui. Questo rapporto interpersonale, basato sull‟essere acquiescente e accomodante, predispone il bambino a selezionare e adottare delle modalità specifiche di affrontare il mondo, gli altri e se stesso; ad acquisire, dunque, una “personalità predepressiva”, caratterizzata da estroversione, conformismo, eccessivo bisogno di ordine e pulizia e forte senso del dovere. Un secondo modello con cui il bambino cerca di affrontare l‟improvviso mutamento delle circostanze ambientali è di orientare tutti o quasi tutti i suoi sforzi verso uno scopo , quale per esempio, quello di diventare un uomo importante , un capo, un attore o un grande amatore. Nonostante, all‟inizio questo modello si sia sviluppato per poter compiacere l‟altro 15 Arieti definisce la madre o in genere la figura di accudimento come “l‟altro significativo”, ossia la persona da cui il bambino comunemente si aspetta di ricevere nutrimento, accettazione, riconoscimento, amore e rispetto (ivi, trad. it. p. 161). - 41 - significativo, più tardi quest‟ultimo perde di importanza e viene gradualmente sostituito, durante l‟adolescenza, da uno scopo significativo. A questo punto il soggetto si trova a vivere esclusivamente per questo scopo. Normalmente “avere delle aspirazioni nella vita è un fatto comune negli adolescenti”, tuttavia, nella persona che diventerà gravemente depressa, lo scopo significativo occupa la maggior parte della psiche e non lascia posto per altri scopi. Ciò pone le basi per lo sviluppo di una personalità predepressiva, in cui l‟unica cosa che conta è la “sete di gloria”. In realtà, dietro questo atteggiamento c‟è qualcosa di più, cioè, “a livello inconscio il paziente pensa che sarà degno di amore da parte degli altri o di se stesso soltanto se riuscirà a raggiungere lo scopo dominante”. Un terzo modello che il bambino può adottare è quello di rendersi più infantile e più bisognoso dell‟altro significativo. In tale circostanza, il soggetto svilupperà un modello di dipendenza, in cui la madre o altri adulti importanti sono obbligati a ristabilire un‟atmosfera da prima infanzia, cioè di “beatitudine primitiva”. Talvolta il bambino potrebbe sviluppare un forte risentimento verso la madre che non gli dà abbastanza amore. Tale risentimento si manifesta, spesso, con attacchi di rabbia 16, collera, ribellione o anche violenza. In molti casi questi 16 Spesso anche nei bambini e negli adolescenti che hanno adottato il secondo modello, sono presenti episodi di collera e ribellione; in questo caso il soggetto può non voler più sacrificare tutta la vita per lo scopo significativo, pertanto alterna dei periodi di apatia a comportamenti stravaganti. - 42 - sentimenti vengono subito rimossi; in altri casi provocano dei sentimenti di colpa e di indegnità, tali da trasformarsi in tendenze masochistiche. Nell‟adottare questo modello, il bambino e più tardi l‟adulto svilupperà un tipo di personalità molto esigente e allo stesso tempo vischiosa e dipendente. C‟è infine un quarto modello di vita, il cui meccanismo dinamico si trova alla base di alcuni casi di psicosi maniaco-depressiva. In questa situazione: “Il bambino intuisce che l‟accettazione o l‟introiezione dei genitori diventa un peso eccessivo, e senza rendersene conto, sposta la direzione delle sue incorporazioni verso altri adulti dell‟ambiente (fratelli molto grandi, zii, nonni, amici ecc.), che egli interiorizza al posto dei genitori” (ivi, p. 163). Il bambino ricorre inconsciamente a tale meccanismo per diminuire il peso dell‟introiezione parentale , ma in molti casi questa difesa non risulta utile, anzi ha l‟effetto di confonderlo ulteriormente, e di aumentare il suo sentimento di colpa. Il bambino che utilizza questo modello, manifesterà più tardi un tipo di personalità superficiale, apparentemente caratterizzata da un atteggiamento vivace, attivo, cordiale, amichevole; infatti a livello profondo il soggetto è insoddisfatto della propria esistenza. I tipi di personalità sopra descritti, non conducono ad un equilibrio stabile ma ad uno stato quasi costante di insoddisfazioni e di lieve depressione. Su questo sfondo stabile, generalmente troviamo dei fattori precipitanti che inducono un episodio di depressione grave. Queste situazioni precipitanti - 43 - possono essere classificate in tre categorie: 1) la consapevolezza da parte del paziente del fallimento di un importante relazione interpersonale (generalmente la relazione con il coniuge); 2) la morte di una persona cara per il paziente; 3) il fallimento dello scopo dominante, a cui il paziente ha dedicato l‟intera vita. Arieti sostiene che la causa comune a tutte le situazioni sopra elencate è “la perdita di un oggetto cui il soggetto attribuisce valore”. Tali situazioni sono interpretate dal paziente come “abbandono”; e hanno l‟effetto di riattivare la paura infantile di “perdita dell‟amore materno”, che in questo caso non è più sentita come “minaccia” ma come “perdita”. Esaminiamo più dettagliatamente le diverse situazioni, già elencate. La prima situazione si ha quando il paziente si rende pienamente conto del fallimento di un‟importante relazione interpersonale. Il genitore simbolico, generalmente il coniuge, è considerato come un tiranno che ha tratto dei vantaggi dall‟atteggiamento sottomesso e compiacente del paziente. Quest‟ultimo, da un lato pensa di aver rovinato la propria vita dedicandosi intensamente al coniuge, amandolo o forzandosi ad amarlo ad ogni costo; dall‟altro non accetta l‟idea di provare odio nei suoi confronti. Pertanto il soggetto cerca di rimuovere questo odio, ma allo stesso tempo si sentirà indegno per il fatto di non amarlo. Ed è proprio per quest‟ultimo motivo che il soggetto esperirà un elevato senso di colpa e temerà dunque di essere abbandonato. - 44 - La seconda situazione, quando muore una persona cara al paziente, è una riproduzione simbolica dell‟abbandono parentale. Il paziente si sente depresso non solo perché pensa di essere stato davvero abbandonato, ossia privato della fonte di amore, ma anche perché si sente responsabile e colpevole. I sentimenti di colpa sorgono a due livelli differenti: ad un livello, il paziente sente di aver “ucciso” la persona morta, poiché crede che sia stato il suo cattivo comportamento a rendere la persona ammalata, infelice e di conseguenza portata alla morte; ad un altro livello, il malato si sente colpevole perché riconosce che, nei momenti in cui riaffiorava il risentimento, aveva desiderato la morte della persona perduta. Il desiderio è ora divenuto realtà; pertanto, il soggetto si sente colpevole di aver coltivato tale desiderio omicida. Nella terza situazione, la perdita è meno personale. Un avvenimento improvviso come un licenziamento o una mancata promozione fa sì che il paziente si renda conto che la sua intera vita è stata un fallimento. L‟istituzione a cui il paziente ha dedicato tanta parte di sé (per esempio l‟esercito, la Chiesa, la sua professione, il lavoro) lo ha terribilmente deluso, e di nuovo il paziente ne incolpa se stesso. Un fattore precipitante relativamente comune è la perdita dell‟impiego. In alcuni malati, però, un episodio depressivo grave può essere addirittura scatenato da un avvenimento apparentemente piacevole. Per esempio, le donne tra i quaranta e i cinquant‟anni, che hanno subito precedenti episodi molto lievi di depressione, possono - 45 - incorrere in un grave episodio poco dopo il matrimonio di un figlio o di una figlia unica. Qui l‟avvenimento è vissuto dalla paziente non come un fatto piacevole ma come una perdita; di fatto: “il figlio di cui la madre aveva tanto bisogno, e che era il solo scopo e la sola soddisfazione della sua vita, ora l‟abbandona”. In altri casi, l‟episodio si verifica dopo la promozione, che viene interpretata dal paziente come una nuova imposizione. In particolare, il soggetto sembra essere stanco dei nuovi doveri; teme che la nuova posizione (che gli impone altre responsabilità) metta a repentaglio la sicurezza che ha conquistato con sforzi penosi; ed in ultimo, teme e si aspetta l‟invidia e la collera degli ex-colleghi, cui è strettamente legato. La previsione di tali reazioni da parte degli altri lo porta ad allontanarsi da loro e lo conduce così alla reazione depressiva. Talvolta il paziente, in questo quadro di estrema sofferenza, può intravedere delle alternative, che però gli sembrano “irrangiungibili o immeritevoli”. Ciò accade perché la sua vita è “il risultato di una storia caratterizzata da un attaccamento rigido a quei modelli di vita” sopra descritti. Tuttavia, l‟autore crede che “questa incapacità di cambiamento può essere superata attraverso una corretta psicoterapia”. Questo è dunque il pensiero di Silvano Arieti sulla psicodinamica della depressione grave. Viceversa, Jules Bemporad, come già riferito in premessa, si occupa della teorizzazione delle forme lievi di depressione. L‟autore, prima di analizzare la psicodinamica delle depressioni lievi, dà una propria definizione - 46 - della sindrome depressiva e delinea le caratteristiche generali dei soggetti affetti da siffatta patologia. La depressione viene concepita da Bemporad come: “un‟emozione17 complessa che insorge quando un soggetto viene privato (o si priva) di un elemento di vita che è necessario per un soddisfacente stato del Sé” (Bemporad, 1991, trad. it. pp. 186187). Tuttavia, la maggior parte degli individui adulti, sperimentano, nel corso della vita, episodi analoghi di sofferenza mentale senza deprimersi clinicamente. Altri invece, passano dalla reazione psicobiologica depressiva iniziale ad una vera e propria depressione clinica. Secondo l‟autore “questi soggetti sono predisposti ad episodi depressivi”, vale a dire hanno una particolare personalità premorbosa chi li rende vulnerabili a periodi ripetuti di depressione. I soggetti affetti da forme depressive lievi hanno una serie di peculiarità: 17 La teoria a cui Bemporad aderisce è quella proposta da Sandler e Joffe (1965), i quali consideravano la depressione (in quanto stato affettivo) come una risposta psicobiologica di base. Tale teoria è suffragata dal fatto che la depressione stessa può essere determinata con mezzi fisiologici, infatti, si possono osservare delle depressioni lievi in seguito a malattie virali o in condizioni di affaticamento. “Tutto ciò sembra indicare che la depressione, mentre viene causata per lo più da avvenimenti psicologici, è strettamente legata ad alterazioni neurochimiche di base, e sembra pertanto essere una modalità fondamentale di reazione, che è simile alle altre emozioni” (Bemporad, 1991, trad. it. p. 185, nota 1). - 47 - “riescono a funzionare bene nella loro vita quotidiana, anche se spesso in misura ridotta”; sono capaci di ragionare e di utilizzare le normali attività cognitive e di iniziare subito una psicoterapia; sono consapevoli, a differenza dei pazienti con forme gravi di depressione, della natura distonica dei propri sintomi, ossia riconoscono che i sintomi sono ingiustificati o esagerati, pertanto desiderano attivamente liberarsene. Tuttavia, l‟aspetto più importante che caratterizza tali pazienti (nonostante la loro depressione possa oscillare da uno stato di consapevolezza angosciosa di perdita, ad una conclusione disperata della vita) è soprattutto la loro capacità di conservare i rapporti con le altre persone; dalle quali, il più delle volte, cercano conforto e appoggio. L‟autore classifica queste forme lievi di depressione in tre tipi: reattiva, caratteriale e mascherata. La depressione reattiva è caratterizzata principalmente dal fatto che inizia dopo il verificarsi di un evento spiacevole nella vita del paziente, come per esempio il lutto, ossia la perdita per la morte di una persona cara al paziente. Dunque, tale forma depressiva “si verifica dopo un trauma identificabile e soggettivamente grave nella vita dell‟individuo” (ivi, p. 187). Questo disturbo, così come gli altri tipi di depressione lieve, si differenzia dalle forme gravi per tutta una serie di motivi. 1. Mentre nella depressione grave, il soggetto sembra aver utilizzato l‟altro dominante o lo scopo dominante per - 48 - liberarsi da un senso di male o di cattiveria interiori; al contrario, il soggetto affetto da depressione reattiva, anche se si vede “costantemente cattivo”, utilizza l‟altro dominante o lo scopo dominante per ottenere piacere ed importanza. Quindi, in quest‟ultimo caso, nonostante il paziente si sente pigro, impotente o anche corresponsabile per la perdita avvenuta, “il sottofondo maligno della vera autosvalutazione” è assente. 2. Il depresso lieve, pur mostrando un bisogno eccessivo dell‟altro o dello scopo dominante, è capace, a differenza del depresso grave, di sviluppare altri modi per ottenere la stima di sé. 3. I soggetti lievemente depressi sono meno rigidamente legati ad una serie di idee, ovvero sembrano essere più capaci di scoprire delle alternative nelle loro modalità di pensiero; invece i depressi gravi sono rigidamente legati ad un numero limitato di idee e di persone. 4. L‟infanzia del depresso lieve è stata meno traumatica di quelle del depresso grave, infatti il primo è cresciuto in una famiglia in cui il genitore dominante (generalmente il padre) lo incentivava positivamente, attraverso lodi e favoritismi, a favorendo così raggiungere nel paziente risultati lo soddisfacenti; sviluppo di un atteggiamento acquiescente. Viceversa, il depresso grave ha avuto una madre che lo rimproverava e minacciava di - 49 - abbandonarlo; per cui il paziente ha dovuto lavorare duramente per ottenere l‟approvazione parentale. La depressione caratteriale è una varietà di depressione lieve che è contraddistinta da un costante umore depresso, che diventa un tratto importante del carattere del soggetto. Tale forma depressiva comprende due tipi generali di pazienti. Un gruppo ha una struttura psichica analoga al gruppo reattivo, ma se ne differenzia in quanto il rapporto con l‟altro dominante non ha l‟effetto di espellere i sentimenti depressivi. Questo gruppo “sembra proibirsi delle normali attività piacevoli per paura di perdere l‟altro dominante o perché queste attività possono interferire con il conseguimento dello scopo dominante”. Invero, in quest‟ultimo caso, il paziente crede che qualsiasi distrazione possa mettere a repentaglio il raggiungimento dello scopo dominante, pertanto ogni situazione che il soggetto vive come un ostacolo, darà luogo a periodi prolungati di depressione. L‟altro gruppo, o gruppo inibito, è cronicamente depresso, poiché ha delle convinzioni irrazionali, relative al Sé e agli altri che gli impediscono di provare piacere; in effetti , in questo caso, la depressione non sembra essere il risultato di avvenimenti ambientali, ma il soggetto è affetto da un senso cronico di inutilità e mancanza di speranza che gli impediscono di dedicarsi ad attività gratificanti. A livello superficiale, il soggetto che appartiene a questo gruppo, sembra essere orgoglioso, sicuro di sé; al contrario, a livello più profondo è possibile scorgere una personalità infantile, caratterizzata da: convinzioni paranoidi che - 50 - gli altri lo controllino e desiderio di essere accudito passivamente dalle altre persone. Proprio per questo, il paziente, avendo paura che i propri bisogni di dipendenza possano emergere, si allontana gradualmente dalla vita relazionale, fino a provare “un vuoto interiore o un senso di essere esclusi dal mondo”. Alcuni depressi cercano di colmare questo vuoto interiore attraverso l‟alcool o la droga ; tuttavia , come ben sappiamo, queste sostanze riescono a lenire il dolore solo per un periodo breve. Infine c‟è la depressione mascherata, così chiamata perché è caratterizzata dall‟assenza di un sentimento cosciente di depressione. Secondo Bemporad, questo disturbo è quello più difficile da diagnosticare, poiché non sono stati delineati dei criteri diagnostici sicuri per poterlo identificare. I pazienti affetti da questo disturbo sono veramente depressi, ma utilizzano certe difese contro tale “stato affettivo spiacevole”; infatti questi soggetti presentano (abitualmente) dei disturbi ipocondriaci, ossia appaiono preoccupati in modo veramente esagerato del loro stato di salute fisica. In realtà sotto tale atteggiamento è possibile scorgere la presenza dei comuni sintomi depressivi: paura della novità e del piacere, paura di non guarire, manipolazione degli altri per ricevere attenzioni, ecc.. Un tipo comune di depressione mascherata è quella che assume le caratteristiche della sindrome di depersonalizzazione. In questo caso, il sentimento depressivo è così penoso che il soggetto elimina tutti i sentimenti per evitare di sperimentarlo; difatti, il soggetto non si sente più se stesso, - 51 - sente che la voce o parti del corpo non gli appartengono, e pertanto percepisce la realtà come trasformata. Tuttavia, tutti i pazienti con depressione lieve, nelle sue molteplici sfaccettature, condividono due tratti psicodinamici: 1. hanno continuamente bisogno della presenza di un agente esterno per ottenere soddisfazioni, poiché si sentono incapaci di procurarsi il piacere in modo autonomo. Bemporad per definire questo tipo di comportamento patologico parla di “paura della gratificazione autonoma”. Questa caratteristica è per l‟autore un tratto che è possibile osservare costantemente nel depresso; invero il successo professionale o sociale acquistano importanza soltanto nella misura in cui permettono al paziente di ottenere l‟amore o l‟accettazione da parte degli altri significativi. Da ciò ne consegue che tutti i suoi rapporti interpersonali si basano sulla dipendenza e sull‟inibizione, allo scopo principale di ottenere amore da parte degli altri dominanti. 2. non manifestano apertamente la propria collera, poiché “esprimere direttamente la collera significa perdere l‟altro che rappresenta tutto e fornisce gli oggetti buoni incorporati, cioè la gratificazione e la stima di sé.” Pertanto, i pazienti depressi credono che qualunque espressione di collera potrà catastroficamente risolversi nella perdita della gratificazione e di conseguenza nella perdita dell‟altro significativo. - 52 - Nella maggior parte degli studi sulla depressione è emerso che c‟è una stretta correlazione tra la frequenza di morte di un genitore durante l‟infanzia e la depressione in età adulta. Tuttavia, nonostante c‟è tutta una serie di fattori (Bowlby, li ha ben identificati) che dimostrano che la perdita di un genitore attraverso la morte o qualche altra disgrazia rappresenta certamente un trauma per il fanciullo; tutto ciò non sembra predisporre in modo specifico alla depressione da adulto. In verità, l‟autore crede che il futuro paziente depresso (come già riferito precedentemente), sia stato incentivato o forse quasi costretto dal padre, durante l‟infanzia, ad avere successo. Il successo stesso è stato presentato al soggetto come una sorta di ricompensa, una superiorità della famiglia o come un modo per ricevere amore dal genitore. Infatti, il padre sembra essersi interessato al figlio soltanto quando quest‟ultimo, attraverso un comportamento modello o degli ottimi voti, è stato in grado di portare vantaggi sociali alla famiglia. Prima di questo momento il soggetto veniva trattato come “un compito senza importanza”, affidato alla madre (in questo caso) debole e sottomessa. Questo è dunque il pensiero espresso da Jules Bemporad sulla psicodinamica della depressione lieve. Anche se c‟è da dire che, entrambi gli autori, sia Arieti che Bemporad, hanno trattato in modo molto approfondito e con un linguaggio molto chiaro e semplice (grazie all‟aiuto anche di casi clinici) la patologia depressiva grave e lieve. - 53 - Il merito che è giusto attribuire a questi due studiosi (nonostante avessero dovuto prediligere, a causa della loro formazione prevalentemente psichiatrica, un approccio biologico) è quello di aver voluto sottolineare l‟importanza delle componenti psicologiche e di conseguenza anche della psicoterapia nella patologia depressiva. - 54 - 1.3. MODELLO COGNITIVISTA Aaron T. Beck Le teorie cognitive rappresentano un altro modello interpretativo della depressione. Prima di trattare la teoria di A. Beck sulla depressione, è importante ricordare che, fin dalle prime descrizioni sull‟argomento, già la maggior parte degli autori aveva notato che i disturbi depressivi facevano parte del quadro sintomatologico delle distorsioni della cognizione. Tuttavia, l‟originalità della teoria di Beck sta nel fatto che egli considera queste distorsioni cognitive come la causa primaria della malattia, piuttosto che come elaborazioni secondarie. Più precisamente Beck considera secondarie le modificazioni del tono dell‟umore che si presentano nel corso della depressione e primarie le distorsioni che il sistema cognitivo del soggetto opera nell‟analisi degli eventi e nell‟interpretazione della realtà (cfr. Cornoldi, Sanavio, 2001). Secondo Beck, tutte le forme di psicopatologia (e non soltanto la schizofrenia) manifestano in certa misura dei disturbi del pensiero. Evidentemente, nessuno può conoscere la realtà in modo completamente obiettivo, e la valutazione che ciascuno fa del suo mondo viene influenzata dalle proprie esperienze passate. Pertanto, il cosiddetto esame di realtà resta un fatto prevalentemente soggettivo. Tuttavia, nonostante come ribadito in premessa, la percezione della realtà sia connotata in via prioritaria da aspetti soggettivistici, si sono sviluppate delle - 55 - forme di consenso nell‟ambito della collettività che considerano determinate tipologie di esperienze come “normali”. In psicopatologia, secondo l‟autore, appaiono delle distorsioni caratteristiche che si discostano da ciò che la maggior parte degli individui considererebbe un modo realistico di pensare o di interpretare la realtà. In effetti, egli ritiene che il disturbo depressivo dipenda da un modo di pensare dominato dalla regola inflessibile secondo la quale ogni azione sarebbe o assolutamente buona o assolutamente cattiva. Questo tipo di ragionamento verrebbe acquisito nella primissima infanzia, e nel caso di persistenza sin nell‟età adulta predisporrebbe alla depressione. L‟autore osserva il ruolo decisivo che nella depressione giocano le autocritiche, le esagerazioni per le difficoltà esterne, e la mancanza di fiducia in se stessi. Infatti, i depressi: si mostrano estremamente sensibili alle critiche degli altri; danno un‟importanza esagerata alle piccole difficoltà; e si autosvalutano continuamente. In particolare Beck definì questo flusso ideativo, improntato soprattutto sull‟autocritica (di cui il soggetto depresso inizialmente non è consapevole) con il termine Pensieri Automatici Negativi (PAN) e li considerò uno dei sintomi del disturbo depressivo. Attraverso la registrazione sistematica dei PAN dei pazienti, Beck capì alcune loro caratteristiche. Innanzitutto, osservò che tali idee si presentano in modo involontario e spontaneo in forma abbreviata, “stile telegrafico”. Inoltre sono molto fugaci e transitori. Secondo il modello cognitivo tutte le persone hanno pensieri automatici, ma quelli - 56 - che caratterizzano il paziente depresso è il loro contenuto: negativo, di fallimento, autocritica, insuccesso, incapacità, indegnità e non amabilità. Il tema dominante in tale disturbo è la perdita. Studiando il contenuto dei PAN dei pazienti depressi ci si accorge che si tratta di una perdita di uno scopo fondamentale per il proprio progetto di vita, non sostituibile con nient‟altro e sentita come irreversibile e non riparabile. Il depresso non riesce ad accettare tale perdita e si blocca nel percorso che normalmente dopo la perdita porta all‟accettazione e riorganizzazione del proprio progetto di vita (Mancini e Rainone, 2004). L‟individuazione dei pensieri automatici negativi permise di dimostrare la presenza, nel paziente depresso, di un generalizzato negativismo in se stesso, nel mondo che lo circonda e nella propria prospettiva futura. Tale visione negativa, che costituisce il contenuto tematico cognitivo specifico e distintivo del disturbo depressivo, viene definita da Beck: “triade cognitiva”18 (1967). L‟autore afferma che la prima componente della triade, che si riferisce al modello d‟interpretazione negativa dell‟esperienza, “il paziente interpreta costantemente le proprie interazioni con l‟ambiente come manifestazioni di sconfitta, privazione o denigrazione. Vede la sua vita costellata da un susseguirsi di fardelli, ostacoli o situazioni traumatiche che lo sminuiscono in maniera notevole”. 18 Beck A. (1967), tr. it. La depressione, Torino, Boringhieri, 1978 p. 306- 307-320. - 57 - La seconda componente, che riguarda il modello di visione negativa di sé, “il soggetto si considera deficiente, inadeguato o indegno e tende ad attribuire le esperienze spiacevoli a un proprio difetto fisico, mentale o morale. Inoltre, egli si considera indesiderabile e indegno a causa di questo presunto difetto e tende per questo a respingere sé stesso”. La terza componente, che consiste nel vedere negativamente il futuro, “il soggetto prevede che le sue difficoltà o sofferenze attuali continueranno all‟infinito. Nel guardare il futuro, egli vede una vita d‟incessanti avversità, frustrazioni e privazioni”. L‟autore oltre ad aver individuato la triade depressiva, delinea anche la “triade maniacale”; ed osserva che i “modelli cognitivi tipici della fase maniacale della reazione maniaco-depressiva hanno un contenuto esattamente opposto a quello che si osserva nella depressione”. La triade maniacale è dunque costituita da: una visione “illusoriamente positiva” del mondo, di sé e del futuro; infatti le caratteristiche affettive e motivazionali tipiche di questa fase sono una conseguenza dell‟attività di questi modelli cognitivi. Beck, è stato in grado di individuare questi elementi nucleari della depressione attraverso i sogni, le libere associazioni, e le reazioni agli stimoli esterni dei suoi pazienti. Egli presenta anche numerosi dati sperimentali, ottenuti di solito mediante valutazioni di questionari sulla depressione, per sostenere le sue conclusioni. A tal proposito, c‟è da dire che la maggior parte degli studiosi della depressione concorda sul fatto che i pazienti - 58 - depressi hanno spesso opinioni pessimistiche riguardo agli altri, a se stessi e al loro futuro. La difficoltà sorge quando la cognizione viene considerata come primaria e all‟origine del sentimento depressivo. Per Beck, da questo atteggiamento cognitivo sorgerebbero spontaneamente i sentimenti propri della depressione. Nel suo lavoro, Beck collega la depressione ad una perdita significativa che, a sua volta, dà luogo alle caratteristiche distorsioni o errori cognitivi (biases). Pertanto, egli osserva che sono le esperienze di vita del paziente ad attivare degli schemi cognitivi che vertono sul tema della perdita. E conclude sottolineando che, dopo aver sperimentato la perdita (vista come risultato sia di un evento reale e ovvio, che di privazioni evidenti) la persona predisposta alla depressione comincia a valutare le sue esperienze in modo negativo (cfr. Bemporad, 1991). A tal proposito, è d‟uopo menzionare le specifiche distorsioni cognitive (individuate da Beck) che i pazienti depressi commettono abitualmente nell‟attribuire significato alle proprie esperienze interne ed esterne. Esse sono le seguenti. Deduzione arbitraria: la persona giunge ad una conclusione da prove inadatte o insufficienti o addirittura contrarie. Astrazione selettiva: il paziente si concentra su un dettaglio estrapolato dal contesto, ignorando altri aspetti salienti della situazione e concettualizzando l‟intera esperienza sulla base di questo particolare . - 59 - Ipergeneralizzazione: il paziente trae una conclusione sulla base di uno o più eventi isolati e la generalizza, in modo arbitrario, ad altre situazioni. Minimizzazione e ingigantimento: la persona riduce o esagera l‟importanza di un evento. Personalizzazione: l‟individuo tende a porre gli eventi esterni in relazione a se stesso, anche in assenza di elementi che giustificano tale attribuzione. Pensiero dicotomico: il paziente tende a classificare le esperienze in due categorie opposte (pensiero bianco-nero) Tendenza a darsi la colpa: (strettamente correlata alla personalizzazione, la persona tende a porre gli eventi esterni in relazione a se stesso, anche in assenza di elementi che giustificano tale attribuzione, manifestando così un‟accentuata tendenza a darsi la colpa. Beck sottolinea che gli errori cognitivi, messi in atto dal soggetto depresso nell‟elaborare le informazioni, sono sistematici, specifici e riguardano prevalentemente il dominio personale (Mancini e Rainone, 2004). Inoltre, ricordiamo che Beck ha prodotto un‟enorme quantità di lavoro clinico e sperimentale a sostegno della sua teoria; e benché essa abbia molti meriti, presenta anche alcuni difetti. Tra i pregi ricordiamo sicuramente: 1. il superamento della contrapposizione tra una depressione “nevrotica” ed una “psicotica”, ponendo le basi della - 60 - moderna classificazione diagnostica dei disturbi dell‟umore così come oggi li conosciamo; 2. l‟equilibrio proposto, nel trattare l‟argomento, tra gli aspetti psicologici e biologici; 3. l‟incremento del ricorso alla psicoterapia nella cura della depressione − e questo in anni in cui l‟impiego della psicoterapia incontrava più controindicazioni che indicazioni nella cura della depressione (Cornoldi, Sanavio, 2001). Per quanto riguarda invece i difetti del suo operato, possiamo notare che: 1. nonostante abbia evidenziato gli aspetti cognitivi della depressione, ha rivolto l‟attenzione verso formulazioni cognitive prevalentemente coscienti e semplici; trascurando così le strutture cognitive inconsce. Per esempio, alcuni depressi nutrono aspettative che li condannano alla delusione e alla disperazione, eppure tali aspettative sono inconsce e l‟individuo non è consapevole dell‟influenza che esse esercitano sul comportamento; 2. la sua teoria si mostra carente nel determinare perché certe persone diventano depresse dopo una perdita ed altre no. Egli non prende realmente in considerazione gli aspetti interpersonali di una persona incline alla depressione, e il motivo per cui una perdita o una delusione scatenino un episodio depressivo. Egli si limita piuttosto a riferire che - 61 - una perdita provoca una reazione a catena che si autorinforza e che culmina nella depressione. 3. Beck descrive i risultati ma non la causa della patologia depressiva, offrendo una versione della malattia soltanto in sezione trasversale, non nel suo svolgersi longitudinale e psicodinamico; ossia, nonostante egli descrive molto accuratamente alcune distorsioni cognitive che si osservano durante un episodio depressivo, non sembra andare oltre queste opinioni coscienti fino agli schemi sottostanti, spesso inconsci, conflittuali o interpersonali, che rendono in partenza l‟individuo vulnerabile alla depressione (Bemporad, 1991). Nonostante queste limitazioni, il lavoro di Beck è esemplare e mostra la strada verso un settore trascurato in psicopatologia, che è per l‟appunto quello della cognizione. - 62 - 1.4. TEORIA DELL’ATTACCAMENTO John Bowlby John Bowlby, fondatore della teoria dell’attaccamento, ha sviluppato anch‟egli un‟ipotesi sull‟eziopatogenesi del disturbo depressivo. Prima di approfondire il suo pensiero sull‟argomento in esame, è opportuno esporre i punti nevralgici della suddetta teoria; senza la quale risulterebbe difficile collocare i suoi successivi contributi, finalizzati alla comprensione di una serie di disturbi psichiatrici (tra cui, quello depressivo). Bowlby, psichiatra infantile e psicoanalista, giunse alla formulazione teorica delle idee sull‟attaccamento tra il 1954 ed il 1963. Ma è tra il 1963 ed il 1980, il periodo in cui l‟autore pubblica la trilogia19; opera attraverso cui giunse ad una definitiva sistematizzazione della teoria dell‟attaccamento, che nel frattempo si era arricchita di una serie di conferme empiriche. Tale teoria è stata influenzata da diverse discipline, quali: la psicoanalisi, la psicologia dello sviluppo, la cibernetica e l‟etologia. Ma è stata soprattutto quest‟ultima, che basandosi sull‟osservazione diretta e lo studio del comportamento di una specie nel suo ambiente naturale, a dare un fondamento scientifico alla teoria dell‟attaccamento. Invero, Bowlby, fu a tale 19 La trilogia (inizialmente pensata come libro unico, intitolato Attachment and Loss) è composta da tre volumi: 1) Attachment, pubblicato nel 1969; 2) Separation Anxiety and Anger, pubblicato nel 1973; 3) Loss, Sadness and Depression, pubblicato nel 1980 (cfr. Caviglia, 2003, p. 28). - 63 - riguardo influenzato dagli studi effettuati sia da Konrad Lorenz, e sia da Harlow e Zimmermann. Il primo, studiò nel 1952 l’imprinting, definendolo come una forma particolare di apprendimento sovraindividuale, stabile, che è capace di influenzare i successivi modelli di comportamento. In particolar modo, può osservarsi che Lorenz parla di “ periodi sensibilità” o “periodi critici”, come periodi specifici in cui gli animali sono biologicamente pronti ad imparare un nuovo comportamento. In questi periodi l‟animale è particolarmente sensibile a certi stimoli ed ha dei comportamenti particolarmente suscettibili alla modificazione. L‟esempio più noto offertoci dallo studioso austriaco, riguarda certi uccelli (le oche, per esempio), che subito dopo la nascita sembrano capaci di imparare le caratteristiche distintive della loro madre e perciò anche della loro specie. Durante il periodo di sensibilità, il piccolo impara a seguire uno stimolo e arriva a preferire quello stimolo (imprinting). Pertanto, lo scopo dell‟imprinting è quello di aumentare la possibilità di sopravvivenza dei piccoli attraverso la vicinanza al genitore, che gli procura il cibo e lo tiene al riparo dalle situazioni pericolose (cfr. Miller Patricia H., 1994). Harlow e Zimmermann, invece, studiarono nel 1959 i piccoli delle scimmie rhesus e mostrano che, quando ai piccoli veniva offerta la possibilità di scegliere tra due surrogati materni, uno fatto di fili metallici ed uno di stoffa; preferivano passare la maggior parte del tempo a contatto con quest‟ultimo, nonostante al primo venisse associato il cibo. Inoltre, quando venivano - 64 - impauriti da qualcosa di strano, i piccoli correvano ad arrampicarsi sul modello di stoffa, piuttosto che su quello di filo; e accadeva che essi risultavano notevolmente disturbati soltanto se venivano separati dal modello di stoffa. Da ciò Harlow dedusse che il benessere da contatto rappresenta una fonte molto più importante del cibo nel sollecitare l‟affetto del piccolo nei confronti della madre (cfr. Schaffer Rudolph H., 1998). Bowlby, basandosi su queste osservazioni del legame madrefiglio negli animali, giunse così alla conclusione che, anche negli umani, il legame di attaccamento si sviluppa a prescindere dal nutrimento20; ed ha la funzione di garantire la sopravvivenza, in quanto il piccolo umano non può sopravvivere senza un adulto che si prenda cura di lui, in termini di “nutrimento e di “accadimento”(cfr. Caviglia, 2003). In effetti, il neonato il cui sistema motorio è ancora immaturo, utilizza i cosiddetti “meccanismi innati di segnalazione” 21quali: pianto, balbettio, sorriso; per comunicare i propri bisogni, ed incoraggiare l‟adulto 20 Bowlby va in questo modo a ribaltare uno dei principi base della teoria freudiana: quello secondo cui il legame di attaccamento è secondario rispetto al soddisfacimento orale. Infatti, l‟autore concepisce lo sviluppo della dinamica dell‟attaccamento come un processo a sé stante, indipendente dalla nutrizione (cfr. Caviglia, 2003). 21 Esistono dei dati in favore del concetto di Bowlby che i comportamenti di segnalazione sono innati, infatti anche i neonati ciechi o ciechi e sordi acquisiscono il sorriso sociale (diverso dal sorriso spontaneo, che è presente sin dalla nascita) verso le sei settimane circa (cfr. Miller Patricia H., 1994). - 65 - ad andare da lui. Pertanto il sistema motorio immaturo del neonato viene compensato da queste capacità di segnalazione. A questo punto l‟analogia con le osservazioni di Lorenz risulta evidente; infatti così come seguire l‟oggetto di imprinting serve per le oche a mantenere la vicinanza e di conseguenza a ricevere protezione e nutrimento, così i comportamenti di segnalazione servono allo stesso scopo negli esseri umani (Miller Patricia H., 1994). Secondo Bowlby, l‟attaccamento agli adulti in generale si evolve normalmente, intorno ai 6-9 mesi di età, verso l‟attaccamento per uno o più adulti particolari. Questo attaccamento si può vedere nelle proteste del bambino quando viene separato da un adulto particolare, rispetto a tutti gli altri adulti, giacché questa separazione è per il bambino “un‟indicazione di pericolo innata” che provoca il comportamento di segnalazione volto a ripristinare la vicinanza. Per Bowlby, il sistema comportamentale di attaccamento è influenzato, tuttavia, non solo da fattori innati, ma anche da fattori ambientali. Infatti, nonostante il bambino abbia una propensione innata a formare attaccamenti, il legame che andrà ad instaurare (che può essere sia di tipo funzionale che patologico) dipenderà sia dalle cure genitoriali cui è esposto, sia dal tipo di comportamento (carattere) presentato dal bambino. Per dirla con le parole di Bowlby (1969, cit. in Caviglia, 2003, p. 32): “Il fatto che la qualità delle cure ricevute dal bambino influenza il modello di attaccamento che egli va formandosi, non - 66 - esclude che il bambino stesso ne sia in qualche modo attivamente corresponsabile. Come una madre si occupa del suo bambino, dipende in parte dalla sua personalità e dalle sue idee iniziali sui bambini piccoli, dall‟esperienza che ha avuto dalla sua famiglia d‟origine e in parte dalla sua esperienza attuale, che comprende tra l‟altro il tipo di comportamento presentato dal suo bambino. Un neonato facile può aiutare una madre indecisa a sviluppare modalità di accudimento positive, mentre un neonato difficile e imprevedibile può influenzarla in senso contrario”. Secondo l‟autore alla fine il comportamento del neonato e dell‟adulto diventano sincronizzati in una “struttura di attaccamento”; in cui il comportamento di ciascun membro serve come stimolo segnale per l‟azione a schema fisso dell‟altro. Ciascun membro del sistema impara ad aspettarsi che l‟altro risponderà al suo comportamento in un certo modo. Le aspettative del bambino sono parte dei suoi “modelli operativi interni”(MOI o IWM, Internal Working Model), definiti da Bowlby come l‟insieme di norme coscienti e/o inconsce che consentono di organizzare l‟informazione relativa all‟esperienza di attaccamento. I MOI sono strutture mnestiche relativamente stabili22 che includono aspetti percettivi, cognitivi ed affettivi; e 22 I modelli operativi interni, nonostante tendono a rimanere invariati e a perpetuare gli stili di attaccamento dell‟infanzia nella vita adulta, possono, in alcuni periodi particolari della vita di una persona, cambiare naturalmente. Tali periodi sono: l‟adolescenza, la gravidanza e la nascita di un figlio. Talvolta il lavoro psicoterapeutico assolve lo stesso ruolo (cfr. Caviglia, 2003). - 67 - aiutano il bambino ad interpretare, valutare situazioni nuove, e quindi, a scegliere un comportamento, come per esempio giocare o cercare una figura di attaccamento per farsi consolare. Quindi, un bambino che ha delle figure di accudimento sensibili e responsive, che gli garantiscono sicurezza, fiducia e affetto, svilupperà un senso di sé come degno di amore e di attenzione, un senso degli altri come persone di cui avere fiducia, e avrà aspettative positive nei confronti delle relazioni di intimità. In questo modo si costituisce un “attaccamento sicuro” che consente al bambino di organizzare in modo equilibrato le informazioni e le emozioni, provenienti sia dal mondo interno che da quello esterno. Viceversa, “un attaccamento insicuro” si instaura quando il bambino sperimenta l‟inadeguatezza e l‟inaccessibilità del proprio caregiver. Il bambino in questione svilupperà un senso deficitario di sé e degli altri, poiché ha avuto delle figure di accudimento scostanti ed insensibili che non sono state in grado di fornirgli protezione, sicurezza, e fiducia in se stesso (Caviglia, 2003). Secondo Bowlby, alla base della patologia depressiva, c‟è proprio un attaccamento di tipo insicuro. In particolare è nell‟ultimo volume della trilogia, intitolato La perdita della madre, in cui l‟autore osserva che nella maggior parte delle forme di disturbo depressivo, ivi inclusi il lutto cronico, il soggetto esperisce un senso di “impotenza appresa” 23 che 23 È stato Seligman, a coniare nel 1973 il concetto di “impotenza appresa”; richiamando l‟attenzione su quelle persone che, non essendo riuscite varie - 68 - comporta l‟inettitudine a conservare dei rapporti affettivi intensi e soddisfacenti; siffatta sensazione di inettitudine è attribuibile alle esperienze, che il soggetto depresso, ha vissuto nella famiglia di origine. Bowlby, infatti, postula l‟esistenza di tre tipi di esperienze familiari (che possono mostrarsi singolarmente o interconnesse) responsabili del sentimento di impotenza che caratterizza le persone depresse. La prima esperienza che può aver vissuto il soggetto in questione è di non essere riuscito a soddisfare, nonostante i suoi ripetuti sforzi, le aspettative ambiziose dei genitori, con i quali non ha mai instaurato un rapporto stabile e sicuro. Queste esperienze, vissute durante l‟infanzia, predispongono il soggetto ad interpretare ogni fallimento successivo come dovuto alla propria inettitudine. La seconda esperienza possibile è quella in cui un genitore, solitamente la madre, trasmette al soggetto la sensazione di essere indegno, incapace e non meritevole del suo amore. Di conseguenza, il soggetto svilupperà un modello di sé come di un essere indesiderato, e un modello delle figure di attaccamento come di esseri punitivi o rifiutanti24. L‟ultima esperienza volte a risolvere determinati problemi, si sentono in seguito impotenti, e anche quando si trovano di fronte ad un problema che rientra nelle loro capacità risolutive, non cercano neppure di affrontarlo. O se ci riescono, svalutano il loro successo, giudicandolo un puro caso (cfr. Bowlby, 1980). 24 Può osservarsi una certa affinità tra la teoria di Bowlby e quella di Beck, infatti, entrambe le teorie postulano che “gli individui possiedono schemi cognitivi che presentano alcuni aspetti insoliti ma caratteristici, i quali fanno sì che il soggetto veda gli eventi della propria vita in quel particolar modo”. - 69 - enunciata da Bowlby, è quella in cui il soggetto sperimenta durante l‟infanzia la perdita reale di un genitore. Tuttavia, ciò può essere una condizione necessaria ma non sufficiente per l‟insorgenza della malattia; infatti, il sopraggiungere della patologia depressiva è determinato non dalla perdita in quanto tale, ma da una serie di variabili intervenienti: “1) dalle cause e dalle circostanze della perdita, con speciale riferimento a quanto viene detto al fanciullo e a come glielo si dice, alle opportunità che gli vengono in seguito date di far domande su cosa è successo; 2) dai rapporti all‟interno della famiglia dopo la perdita, con speciale riferimento al fatto che il bambino resti o no con il genitore superstite; e in caso affermativo al modo in cui si trasformano i modelli del rapporto in conseguenza alla perdita; 3) dai modelli dei rapporti all‟interno della famiglia prima della perdita, con speciale riferimento ai modelli esistenti tra gli stessi genitori, e tra ciascuno di loro e il bambino che ha subìto la perdita”(cit. in Bowlby, 1980, trad. it. p. 375). Dunque, l‟autore riconosce che un ruolo importante, nell‟eziologia dei disturbi depressivi, va attribuito agli eventi psicosociali, in particolare alle esperienze di separazione e perdita. Bensì, le due formulazioni divergono in quanto: mentre la teoria bowlbiana “cerca di spiegare come si sviluppino tali schemi, postulando che chi li sviluppa è stato esposto a certi tipi di esperienze durante l‟infanzia”, la teoria di Beck “non dà nessuna spiegazione” (Bowlby, 1980, trad. it. p. 302). - 70 - Fondamentali sono a tale riguardo, per Bowlby, i risultati dello studio condotto dai sociologi Brown e Harris (pubblicati nel 1978 in The Social Origins of Depression) i quali hanno studiato la parte svolta dagli eventi sociali emotivamente importanti nella genesi dei disturbi depressivi, tenendo conto non soltanto degli eventi esistenziali più recenti, ma anche delle perdite subite durante l‟infanzia. Brown e Harris intervistarono 458 donne, estratte casualmente dalle liste elettorali di Camberwell, nei pressi di Londra. Il campione di donne fu poi suddiviso in 2 sottocampioni, uno composto da pazienti diagnosticati come affetti da patologia depressiva e un altro costituito da un gruppo di controllo. Gli autori rilevarono una forte correlazione tra il tipo di perdita subita nel corso dell‟infanzia o della fanciullezza e la forma e la gravità del disturbo; mentre non fu trovata una correlazione significativa con le perdite subite l‟anno precedente all‟insorgenza del disturbo. La conclusione cui giunsero Brown e Harris fu che l‟esperienza della perdita può contribuire occasionalmente a causare i disturbi depressivi in uno dei tre seguenti modi: 1) come agente provocante che aumenta il rischio dello sviluppo del disturbo; 2) come fattore di vulnerabilità che aumenta la sensibilità di un individuo a quel tipo di eventi; 3) come fattore che influisce sulla gravità e sulle forme del disturbo depressivo, che può essersi sviluppato per una qualunque ragione. Va anche detto che i risultati cui sono pervenuti i due autori non sono stati esenti da critiche. Quelle più pregnanti riguardano: la procedura utilizzata per diagnosticare i casi di - 71 - disturbi depressivi, e i metodi statistici usati per l‟analisi dei dati. Tuttavia, Brown e Harris hanno saputo resistere caparbiamente ed efficacemente alle obiezioni di cui sopra. In realtà uno dei meriti da attribuire loro è quello di aver saputo dimostrare che le persone cadono in depressione non per motivi irrazionali, ma lo diventano per ragioni comprensibili. Va infine ricordato che Bowlby, nell‟individuare le cause che stanno alla base dei disturbi depressivi, attribuisce un ruolo significativo, non solo agli eventi psicosociali (in particolare alla separazione e alla perdita), ma anche ai processi neurofisiologici, sottolineando la relazione (ormai accertata) esistente tra determinati neurotrasmettitori da una parte e i disturbi affettivi dall‟altra. A questo punto, non può non tenersi conto dei contributi apportati da Bowlby nel trattare l‟eziopatogenesi del disturbo depressivo; infatti egli è stato l‟autore che riuscito più di tutti ad inquadrare la patologia in esame a “trecentosessanta gradi”, cioè a tener conto delle interazioni complesse esistenti tra le influenze genetiche e quelle ambientali, e a sottolineare il peso diverso che a seconda della situazione possono giocare le une e le altre. - 72 - 1.5. MODELLO BIOLOGICO Nel trattare questo modello, va subito chiarito che un indirizzo biologico nello studio della depressione non è necessariamente in contraddizione con un indirizzo psicodinamico. Indubbiamente i fenomeni psicologici si accompagnano ad eventi neurofisiologici e l‟esperienza della depressione non fa eccezione. Pertanto, i due punti di vista sono conciliabili se la depressione viene concepita come un sentimento fondamentale che emerge automaticamente in certe situazioni. 1.5.1. Teoria Monoamminergica Prima di esporre la teoria Monoamminergica, è importante dare alcune delucidazioni sul funzionamento del sistema nervoso centrale. Il sistema nervoso centrale (SNC) è costituito da oltre 100 milioni di cellule -neuroni- che hanno una forma molto speciale. Ogni neurone assomiglia, infatti, ad una ragnatela. Esso contiene: il nucleo o corpo cellulare, il cui compito è quello di provvedere alla sopravvivenza dell‟ intero neurone; i dentriti, prolungamenti nervosi brevi che si ramificano attorno al corpo cellulare e che costituiscono le principali strutture recettrici del neurone; assone o fibra nervosa, prolungamento generalmente unico che trasmette i segnali nervosi al neurone successivo; ed infine i terminali assonici, ramificazioni dell‟assone provviste di - 73 - un terminale assonico, chiamato terminale presinaptico o bottone sinaptico (cfr. Guyton A. C., 1996). Il bottone sinaptico, poggia sulla superficie della membrana di un dentrite o del corpo cellulare di un altro neurone, stabilendo così un punto di contatto chiamato sinapsi. In questo modo i segnali nervosi vengono trasmessi da un neurone all‟altro. Nel mondo animale esistono fondamentalmente due differenti tipi di sinapsi: la sinapsi chimica e la sinapsi elettrica. Tutte le sinapsi impegnate nella trasmissione di segnali del SNC dell‟uomo sono sinapsi chimiche. In questo tipo di sinapsi, il primo neurone secerne a livello della fessura sinaptica (spazio inter-neurale o sinaptico in cui si svolgono i fenomeni chimici che assicurano la trasmissione dell‟informazione dal settore presinaptico al settore postsinaptico) una sostanza chimica, il neurotrasmettitore o neuromediatore, che a sua volta agisce su proteine recettrici della membrana del neurone successivo per eccitarlo, inibirlo oppure per modificarne la sensibilità. I mediatori chimici, che veicolano la trasmissione di informazioni fra le cellule nervose, sono numerosi, ma quelli implicati nello scompenso depressivo sono due: la serotonina e la noradrenalina. In particolar modo, si ha una diminuzione patologica del numero di molecole di una o più di queste sostanze che sono disponibili nelle interfacce fra le cellule nervose. Tutto ciò sta alla base della teoria Monoamminergica della depressione, che associa la depressione ad un deficit di attività delle sinapsi serotinergiche e noradrenergiche. Questa - 74 - teoria fu proposta simultaneamente da Schildkraut e Davis, nel 1964, per la noradrenalina, e poco dopo da Coppen per la serotonina. In particolar modo, bisogna ricordare che sono stati i vari progressi compiuti nel trattamento della depressione (frutto di tentativi puramente empirici) a condurci alla ipotesi monoamminergica. Infatti è stata la scoperta di alcuni farmaci, come gli IMAO, gli antidepressivi triciclici o gli inibitori selettivi del riassorbimento della serotonina che, impedendo la ricaptazione della noradrenalina e della serotonina nelle terminazioni nervose, mantengono un più elevato tasso di queste ammine nelle sinapsi. Invero nel soggetto depresso, si osserva: la deattivazione del neurotrasmettitore che viene riassorbito nel bottone sinaptico, provocandone un abbassamento nella fessura sinaptica; e la diminuzione dei recettori sul settore post-sinaptico, problema anche questo attenuato dall‟utilizzo di antidepressivi. Tuttavia, la teoria Monoamminergica non è esente da problemi. Il primo riguarda l‟incongruenza che c‟è con il decorso temporale dell‟effetto del farmaco antidepressivo. In particolare, i farmaci aumentano il livello di monoammine nel giro di poche ore, ma occorrono diverse settimane di trattamento per ottenere dei risultati benefici. Il secondo problema catecolammine è che (noradrenalina l‟eliminazione e dopamina) delle non è abbassata in tutti i pazienti depressi, lo è soprattutto nei soggetti agitati o ansiosi. - 75 - Il terzo problema è che alcune sostanze che bloccano il riassorbimento delle monoammine (per esempio, la cocaina) non hanno effetti antidepressivi. Il quarto è che il litio (utilizzato nella fase maniacale della depressione) non blocca il riassorbimento delle monoammine, tuttavia ha un effetto antidepressivo efficace. Infine, il quinto problema è che la misurazione dei livelli di monoammine e dei loro metaboliti nei pazienti depressi non ha fornito supporto a favore della teoria (cfr. Pinel, 2000). 1.5.2. Altre Ipotesi Studi più recenti hanno portato alla scoperta di nuovi antidepressivi che, contrariamente ai precedenti, agiscono o sul sistema noradrenergico o su quello serotinergico e anche questi ultimi si sono rivelati efficaci nel trattamento del disturbo depressivo. Due sono state le ipotesi avanzate per render conto di questa complessità: la prima postula l‟esistenza di due malattie, la seconda postula due meccanismi complementari. La prima ipotesi suppone che esistano due forme di depressione, l‟una legata a un‟insufficienza - 76 - della neurotrasmissione noradrenergica, l‟altra legata a un‟insufficienza della neurotrasmissione serotinergica. Gli argomenti a favore di questa ipotesi sono numerosissimi. Si hanno depressioni prodotte da una insufficienza della trasmissione serotinergica, ma non tutti i depressi presentano livelli deboli di 5HIAA (acido5- idrossindolacetico-metabolita della serotonina). Quelli che li presentano sono gli stessi che rispondono al prodotto precursore, il triptofano (cfr. Widlöcher, 1985). È d‟altra parte provata l‟esistenza di depressioni, prodotte da un‟insufficienza noradrenergica. Coloro che presentano un basso tasso di MHPG (3-metossi-4-idrofeneletilenglicole-metabolita della noradrenalina) nelle urine tendono a rispondere meglio a certi antidepressivi che non ad altri. Fino ad oggi, gli antidepressivi utilizzati influenzavano entrambe le funzioni, la noradrenergica e la serotinergica e soltanto delle percentuali di riuscita permettevano di inferire una migliore risposta all‟uno o all‟altro antidepressivo. Sotto questo profilo, la recente scoperta di prodotti molto specifici rispetto all‟una o all‟altra funzione permetterà forse di verificare l‟ipotesi in esame. La seconda ipotesi, invece, suppone che in ogni depressione esiste una perturbazione associata dei due sistemi. Secondo alcuni, la malattia depressiva sarebbe il prodotto di uno squilibrio tra le due funzioni. Secondo altri, esisterebbe in tutti i maniacodepressivi (tanto nel corso di accessi maniacali quanto durante gli accessi depressivi) una deficienza della funzione serotinergica, mentre la funzione noradrenergica diminuirebbe negli stati - 77 - depressivi e aumenterebbe negli stati maniacali (Widlöcher, 1985). Il deficit serotinergico permetterebbe il manifestarsi della perturbazione noradrenergica. Inoltre non è certo che nella depressione siano implicati solo i deficit noradrenergici e serotinergici, infatti i farmaci antidepressivi hanno effetto anche su altri recettori; tra i più noti ricordiamo i recettori dell‟acetilcolina. Infine, analizziamo altre due teorie sulla depressione, alternative a quella Monoamminergica. La prima teoria, concentra l‟attenzione sul sistema adenoipofisicorticale adrenergico. Essa si basa sul fatto che l‟iniezione di dexametasone, (un glucocorticoide sintetico), non riduce il rilascio di glucocorticoidi nei pazienti depressi, come fa invece nei soggetti sani. Questa evidenza suggerisce che la mancanza di un meccanismo appropriato di feedback negativo sul sistema ipofisario potrebbe costituire un fattore della depressione (cfr. Barden, Reul e Holsboer, 1995, cit. in Pinel, 2000). Evidenze a favore di questa teoria provengono dalla scoperta che la terapia antidepressiva spesso ristabilisce la normalità nella risposta al test della soppressione del dexametasone. Tuttavia, l‟assenza della soppressione del dexametasone non è specifica dei disturbi affettivi; infatti, è riscontrabile anche nei casi di demenza. La seconda teoria postula che alla base della depressione ci sia una trasmissione genetica: in particolare, si osserva che il responsabile di una siffatta trasmissione sia il cromosoma X (cfr. - 78 - J. Ruffiè, 1982, cit. in Widlöcher, 1985). Tale teoria servirebbe a provare l‟esistenza di un fattore genetico soprattutto nelle forme bipolari di depressione. Si sa che dei quarantotto cromosomi, due hanno l‟effetto di determinare il sesso del soggetto. Nei soggetti di sesso maschile, i due cromosomi differiscono. L‟uno, il cromosoma X, proviene dalla madre; il secondo, il cromosoma Y, proviene dal padre. Le figlie presentano due cromosomi X, provenienti l‟uno dalla madre e l‟altro dal padre. Il fatto che la depressione colpisca più frequentemente le donne rispetto agli uomini potrebbe spiegarsi con la localizzazione sul cromosoma X del gene portatore dell‟anomalia. Invero, le argomentazioni a favore di questa ipotesi non sono specifiche delle forme bipolari; ma sono caratteristiche di tutti i tipi di depressione. 1.5.3. Conclusioni Tenendo conto degli sviluppi apportati dal modello biologico, è possibile dividere gli studiosi della materia in due schieramenti: da un lato ci sono gli scettici e dall‟altro gli entusiasti. Gli scettici ammettono senz‟altro l‟idea che l‟encefalo sia la base dei comportamenti, ma non accettano l‟idea che da un cervello fragile possa dipendere un fenomeno così grossolano come quello che influenza alcune monoammine. Il rischio, nel - 79 - momento in cui si assume tale atteggiamento, oltre ad essere di tipo pratico (riluttanza nei confronti di una terapia farmacologia efficace) è quello di rinunciare ad una riflessione autentica sul rapporto tra lo «psicologico» e il «biologico». Ossia, si corre il pericolo di non tener conto di questa costante interconnessione esistente tra i fenomeni psicologici e quelli biologici nella genesi della patologia depressiva. Gli entusiasti, invece, preferiscono opporre il cervello normale, che assicura libertà di pensiero, al cervello malato, responsabile della depressione. In realtà queste presupposizioni costituiscono un intralcio alla necessaria riflessione critica al pari dei pregiudizi degli scettici. In ogni caso è importante non assumere posizioni estreme, poiché dire che la depressione sia una semplice espressione comportamentale dell‟azione neurochimica è vero in parte (questo è possibile osservarlo soprattutto nelle depressioni endogene) ma è anche indiscutibile che tale comportamento sia una risposta, normale o patologica agli avvenimenti della vita e allo stato di personalità dell‟individuo. Piuttosto che opporre una forma primaria e biologica della depressione ad una forma secondaria, i dati empirici suggeriscono un modello di interazioni reciproche nel quale le costrizioni di ordine psico-sociale entrano in equilibrio o in competizione con costrizioni d‟ordine neurofisiologico. Un modello del genere sottolinea che le interazioni tra gli avvenimenti psico-sociali e lo stato del cervello sono bilaterali, - 80 - ossia che lo stato depressivo è da considerarsi sia come una risposta a stimoli di ordine sociale e psicologico, sia come il prodotto di cambiamenti neurofisiologici che si verificano nel cervello. Dunque, non possiamo lasciare all‟indagine biologica il compito di spiegare tutto, ma è opportuno interrogarsi sulla natura psicologica di tale disturbo e tentare altresì di precisarne le caratteristiche fondamentali. - 81 - 1.6. MODELLO PSICHIATRICO 1.6.1. Quadro generale del DSM-IV Nell‟ambito psichiatrico, lo strumento che viene utilizzato per diagnosticare i disturbi mentali è il Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali (DSM), giunto alla IV edizione. Il DSM-IV, è dunque la quarta revisione di un lavoro di ricerca iniziato più di mezzo secolo fa da parte dell‟American Psychiatric Association. Alla sua redazione hanno collaborato 13 gruppi di lavoro, ognuno dei quali era responsabile di una specifica sezione; questi gruppi di lavoro si sono avvalsi della consultazione e della collaborazione di oltre mille specialisti ed hanno interpellato oltre 60 società scientifiche, compresa l‟American Psychological Association. Parte della sua popolarità è pertanto dovuta al fatto che esso è caratterizzato da uno sforzo ateorico, ossia è scritto con un linguaggio condivisibile dai diversi orientamenti, e si fonda su una vasta base empirica. Il sistema utilizzato per la stesura di questo manuale, parte dal presupposto che le cause dei disturbi mentali siano tuttora materia dubbia e controversa, e che le conoscenze a riguardo si modifichino rapidamente; quindi è di buona regola che un sistema di classificazione sia quanto più semplice possibile, assicurando così la massima concordanza tra i diversi utilizzatori. Di fatti, lo scopo del DSM-IV è quello di fornire descrizioni - 82 - chiare delle categorie diagnostiche, allo scopo di consentire ai clinici ed ai ricercatori di diagnosticare, di comunicare, di studiare e di curare le persone affette dai diversi disturbi mentali. Per capire come utilizzare il suddetto manuale, è importante approfondire alcuni concetti: quello di codice diagnostico; diagnosi; specificazioni della gravità e del decorso; ricorrenza del disturbo; tipo di informazioni nel testo; piano di organizzazione; e valutazione multiassiale. La maggior parte dei disturbi presenti nel DSM-IV hanno un codice diagnostico. L‟uso di questi codici risulta fondamentale per tutta una serie di motivi: consente di tenere le cartelle cliniche, facilita la raccolta dei dati ed il recupero e la compilazione di informazioni statistiche. I codici sono anche spesso necessari per riferire i dati diagnostici a terze persone, quali le agenzie organizzative, gli assicuratori privati e l‟Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). La diagnosi del DSM-IV si applica allo stato attuale dell‟individuo, e non viene utilizzata per indicare precedenti diagnosi dalle quali l‟individuo è guarito. La diagnosi può essere: Principale/Motivo della visita e Provvisoria. La prima, viene considerata come la condizione che, dopo la valutazione del soggetto, viene ritenuta responsabile del ricovero. Il motivo della visita, è la condizione principalmente responsabile delle prestazioni mediche ambulatoriali fornite durante la visita. Nella maggior parte dei casi la diagnosi principale, o il motivo della visita, rappresentano il centro dell‟attenzione e del trattamento. - 83 - La diagnosi provvisoria è utilizzata quando non sono disponibili informazioni sufficienti per porre una diagnosi sicura. Le specificazioni della gravità e del decorso vengono elencate dopo la diagnosi e possono essere: Lieve. Sono presenti pochi sintomi che provocano solo una minima menomazione nel funzionamento. Moderato. Sono presenti sintomi o menomazione funzionale tra “lieve” e “grave”. Grave. Sono presenti molti sintomi che possono provocare una menomazione marcata nel funzionamento sociale o lavorativo. In remissione parziale. I sintomi per diagnosticare il disturbo risultavano precedentemente tutti presenti, ma attualmente sono presenti solo alcuni dei sintomi o segni del disturbo. In remissione completa. Non vi sono più sintomi o segni del disturbo, ma è ancora clinicamente giustificato rilevare il disturbo. In anamnesi. Viene annotata una storia dei criteri che sono risultati soddisfatti per un disturbo, anche quando l‟individuo ne è considerato guarito. Nella pratica clinica, quando si parla di ricorrenza, si fa riferimento alla presenza di sintomi che possono indicare una ricaduta del disturbo originale, ma che ancora non soddisfano i criteri completi per quel disturbo. Sta poi al clinico decidere come indicare la ricorrenza di tali sintomi che può essere: Attuale, Non Altrimenti Specificata (NAS) e in Anamnesi. Il testo del DSM-IV descrive sistematicamente ogni disturbo sotto i seguenti titoli: caratteristiche diagnostiche, sottotipi e /o specificazioni, procedure di registrazione, manifestazioni e disturbi associati, caratteristiche collegate a cultura, età e genere, - 84 - prevalenza, decorso, familiarità e diagnosi differenziale. Quest‟ultima è fondamentale per proporre una giusta diagnosi, poiché ci dà indicazioni utili su come differenziare un disturbo da altri che presentano caratteristiche simili, tali da provocare confusione nel clinico. Per quanto riguarda il piano di organizzazione, i disturbi del DSM-IV sono raggruppati in 16 classi diagnostiche principali (per esempio, disturbi da uso di sostanze, disturbi dell‟umore, disturbi d‟ansia) ed una sezione supplementare; “Altre condizioni che possono essere oggetto di attenzione clinica”. Si può infine osservare che il DSM-IV è caratterizzato da un sistema multiassiale, che comporta la valutazione delle patologie su diversi assi, ognuno dei quali si riferisce ad un campo diverso di informazioni, che può aiutare il clinico nel pianificare il trattamento e prevedere l‟esito. La classificazione multiassiale del DSM-IV comprende cinque assi: ASSE I . Disturbi clinici ─Altre condizioni che possono essere oggetto di attenzione clinica. ASSE II . Disturbi di Personalità ─ Ritardo Mentale. ASSE III . Condizioni mediche generali. ASSE IV . Problemi Psicosociali ed Ambientali. ASSE V . Valutazione Globale del Funzionamento. L‟uso del sistema multiassiale facilita la valutazione dei vari disturbi mentali e condizioni mediche generali, dei problemi ambientali e psicosociali e del livello di funzionamento, che - 85 - potrebbero essere trascurati se il centro dell‟attenzione fosse rivolto alla valutazione di un singolo problema in atto. 1.6.2. I Disturbi dell’Umore La depressione è un quadro clinico complesso, il cui elemento caratterizzante è rappresentato da un disturbo del tono dell‟umore25: l‟umore depresso. I disturbi dell‟umore sono riportati sull‟asse primo del DSM-IV. La sezione relativa a tali disturbi è organizzata in tre parti. La prima parte comprende gli Episodi di Alterazione dell‟Umore26: L‟Episodio Depressivo Maggiore è detto proprio “episodio” perché costituisce un fatto transitorio: un periodo, che dovrebbe durare almeno due settimane, che presenta un cambiamento rispetto al precedente livello di funzionamento dell‟individuo, con sintomi che causano disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento sociale e lavorativo o di altre aree importanti. I 25 L‟umore può essere definito come una tonalità emotiva di fondo, che ha una certa durata nel tempo, nasce in genere in maniera spontanea, permea in maniera diffusa tutto l‟essere, connotando l‟attitudine posturale e motoria del soggetto e le sue modalità di rapportarsi alla realtà (cfr. Militerni, 2004). 26 Gli Episodi di Alterazione dell‟Umore non hanno codici diagnostici propri, e non possono essere diagnosticati come entità separate; essi rappresentano comunque la base per la diagnosi dei disturbi. - 86 - sintomi possono essere vari: 1) Umore depresso per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno. 2) Marcata diminuzione di interessi o piacere per tutte o quasi tutte le attività per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno. 3) Significativa perdita (o aumento) di peso o dell‟appetito. 4) Insonnia (o ipersonnia) quasi ogni giorno. 5) Agitazione o rallentamento psicomotorio quasi ogni giorno. 6) Affaticabilità o mancanza di energia quasi ogni giorno. 7) Sentimenti di autosvalutazione o di colpa eccessiva o inappropriati (che possono essere deliranti), quasi ogni giorno. 8) Ridotta capacità di pensare o di concentrarsi, o indecisione quasi ogni giorno. 9) Pensieri ricorrenti di morte, ricorrente ideazione suicidaria senza un piano specifico, o un tentativo di suicidio, o ideazione di un piano specifico per commettere suicidio. Per parlare in senso proprio di Episodio Depressivo Maggiore è richiesta la presenza di almeno cinque dei sintomi sopra elencati. Inoltre i sintomi non sono giustificati da lutto o dovuti ad effetti fisiologici di una sostanza o di una condizione medica generale. L‟Episodio Maniacale è anch‟esso un periodo di alterazione grave dell‟umore; in questo caso l‟umore è anormalmente e persistentemente elevato, espansivo o irritabile. Per definire un episodio maniacale, la durata dell‟episodio deve essere di almeno una settimana e la gravità tale da compromettere il funzionamento lavorativo o delle attività sociali abituali. Inoltre è richiesta la presenza di almeno tre sintomi sotto elencati: 1) Autostima ipertrofica o grandiosità. 2) Diminuito bisogno di sonno. 3) Maggiore loquacità del solito (logorrea). 4) Fuga delle - 87 - idee o esperienza soggettiva che i pensieri si succedano rapidamente. 5) Distraibilità. 6) Aumento dell‟attività finalizzata (sociale, lavorativa, scolastica, sessuale) oppure agitazione psicomotoria. 7) Eccessivo coinvolgimento in attività ludiche che hanno un alto potenziale di conseguenze dannose (per esempio, eccessi nel comprare, comportamento sessuale sconveniente, investimenti in affari avventati). L‟Episodio misto è caratterizzato da un periodo di tempo di almeno una settimana, durante il quale sono presenti quasi ogni giorno le caratteristiche dell‟Episodio Depressivo Maggiore alternate a quelle dell‟Episodio Maniacale. L‟Episodio Ipomaniacale è una manifestazione meno grave di un Episodio Maniacale; esso dura almeno quattro giorni, non provoca la marcata compromissione in ambito lavorativo e sociale e non richiede (a differenza dell‟Episodio Depressivo Maggiore e quello Maniacale) l‟ospedalizzazione. La seconda parte della suddetta sezione, descrive i Disturbi dell‟Umore, il Disturbo Bipolare, ed Altri Disturbi dell‟Umore. I primi sono: Il Disturbo Depressivo Maggiore , contrassegnato da uno o più Episodi Depressivi Maggiori senza storia di Episodi Maniacali, Misti o Ipomaniacali. Il rischio, nel corso della vita, è stimato tra il 10% ed il 25% per le donne, tra il 5% ed il 12%per gli uomini. È più comune tra i familiari di primo grado, ed è associato ad un elevata mortalità; infatti fino al 15% degli individui con un Disturbo Depressivo Maggiore muore per suicidio. - 88 - Il Disturbo Distimico si caratterizza per un umore cronicamente depresso, presente per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno per almeno due anni. È caratterizzato da sintomi meno gravi, che creano sofferenza e compromissione del funzionamento sociale, lavorativo o in altre aree importanti dell‟individuo, ma che non pervengono mai ad un Episodio Depressivo Maggiore. Quando il Disturbo Distimico ha una durata di molti anni, l‟alterazione dell‟umore può non essere facilmente distinta dal funzionamento “abituale dell‟individuo”. Il Disturbo Depressivo Non Altrimenti Specificato include tutti i disturbi con manifestazioni depressive che non soddisfano i criteri per un Disturbo Depressivo Maggiore, ed un Disturbo Distimico. Il Disturbo Bipolare include: Il Disturbo Bipolare I, contrassegnato da un decorso clinico con uno o più Episodi Maniacali o Episodi Misti. Spesso gli individui hanno presentato anche uno o più Episodi Depressivi Maggiori accompagnati da sintomi psicotici. È stato osservato che il 10-15% degli individui con Disturbo Bipolare I compiono suicidi. Inoltre studi gemellari e sulle adozioni forniscono dati che depongono decisamente per un‟influenza genetica. Il Disturbo Bipolare II , è contraddistinto da uno o più Episodi Depressivi Maggiori accompagnati da almeno un Episodio Ipomaniacale. Al contrario la presenza di un Episodio Maniacale o Misto preclude la diagnosi di Disturbo Bipolare II. I sintomi psicotici non sono presenti durante gli Episodi Ipomaniacali, e - 89 - sembrano meno frequenti negli Episodi Depressivi Maggiori del Disturbo Bipolare II rispetto al Disturbo Bipolare I. Il Disturbo Ciclotimico è una varietà di Disturbo Bipolare, caratterizzato da un‟alterazione dell‟umore cronica, fluttuante, con numerosi periodi con sintomi ipomaniacali e numerosi periodi con sintomi depressivi. Tali sintomi devono presentarsi per almeno due anni, durante i quali gli intervalli liberi dai sintomi non durano più di due mesi. Il Disturbo Bipolare Non Altrimenti Specificato, include disturbi con caratteristiche bipolari che non soddisfano i criteri per nessun specifico Disturbo Bipolare. La voce Altri Disturbi dell‟umore, include: Il Disturbo dell‟Umore Dovuto ad una Condizione Medico Generale, ossia un‟alterazione dell‟umore rilevante e persistente che si ritiene dovuta agli effetti fisiologici diretti di una Condizione Medica Generale. Contrariamente al Disturbo Depressivo Maggiore, tale patologia sembra essere ugualmente distribuita tra i sessi. Il Disturbo dell‟Umore Indotto da Sostanze è un‟alterazione dell‟umore rilevante e persistente che si ritiene dovuta agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (droga, farmaco, esposizione ad una tossina). Tali disturbi insorgono soltanto in relazione con stati di intossicazione o astinenza, mentre i Disturbi dell‟Umore primari possono precedere l‟esordio dell‟uso di sostanze o si possono manifestare durante periodi di astinenza prolungata. Il Disturbo dell‟Umore Non Altrimenti Specificato comprende i disturbi con sintomi di alterazione dell‟umore che non soddisfano - 90 - i criteri per alcun specifico Disturbo dell‟Umore, e per i quali sia difficile scegliere tra Disturbo dell‟Umore Non Altrimenti Specificato e Disturbo Bipolare Non Altrimenti Specificato (per es.,agitazione acuta). La terza, ed ultima, parte include le Specificazioni per la descrizione dell‟Episodio Più Recente e le Specificazioni riguardanti il decorso degli Episodi Ricorrenti. In entrambi i casi vengono fornite alcune precisazioni per i Disturbi dell‟Umore al fine di incrementare la specificità diagnostica, creare sottogruppi più omogenei, assistere nella scelta del trattamento, e migliorare la formulazione della prognosi. Le Specificazioni per la descrizione dell‟Episodio di alterazione dell‟umore Attuale (o più recente) sono di tipo: Cronico, Con Manifestazioni Catatoniche, Con Manifestazioni Melanconiche, Con Manifestazioni Atipiche, Con Esordio nel Postpartum . Le specificazioni che indicano la gravità, la remissione, e le manifestazioni psicotiche possono essere codificate nella quinta cifra del codice diagnostico per la maggior parte di Disturbi dell‟Umore. Le altre specificazioni non possono essere codificate. Le Specificazioni che descrivono il decorso degli episodi ricorrenti comprendono le Specificazioni del Decorso Longitudinale (Con e Senza Recupero Interepisodico Completo), Con Andamento Stagionale e A Cicli Rapidi. - 91 - CAPITOLO II TRATTAMENTO 2.1. INTRODUZIONE In questo capitolo, si procederà ad una rassegna accurata dei diversi tipi di trattamento: farmacologico, psicoterapeutico, elettroconvulsivante ed altri; utilizzati per la cura della depressione. Prima di addentrarci in questo argomento così delicato; è d‟uopo ricordare che oggigiorno, nonostante la nostra società è andata sempre più evolvendosi, la percentuale di soggetti affetti da depressione che non viene affatto curata, raggiunge il 50%. Inoltre, fra coloro che ricevono cure approssimative, è probabile che più del 50% non riceva cure né ottimali e né propriamente adeguate. Il motivo per cui ciò accade, dipende dal fatto che, spesso, la depressione non viene percepita come malattia né dalla persona interessata, né − qualche volta− dai familiari. Chi soffre di nevrosi, cioè di disturbi ansiosi, avverte sempre l‟ansia (o il panico o le fobie) come un ostacolo rispetto ad una vita altrimenti normale e quindi cerca attivamente di curarsi. Invece, chi è affetto da alterazioni molto disturbanti dell‟umore, di tipo psicotico (confusione mentale, deliri, allucinazioni) può non essere in grado di percepirsi come malato, ma in compenso accade che i familiari si accorgono che vi è un disturbo psichico serio, e presto o tardi intervengono (Jervis, 2002). Inoltre c‟è una serie di fattori, sia di tipo psicologico che culturale, che - 92 - ostacolano l‟accesso al trattamento (soprattutto quello di tipo farmacologico); infatti il soggetto depresso esperisce una certa ripugnanza ad accettare l‟idea che il suo malessere possa essere dovuto ad uno scompenso di quelle funzioni del cervello che presiedono alla regolazione del tono dell‟umore. Pertanto, la sostanza chimica (farmaco) viene avvertita come qualcosa di artificioso e brutale che pretende di ridurre la persona ad una macchina guasta, negandogli, in tal modo, la dignità della sofferenza; con l‟effetto ulteriore di provocargli assuefazione e problemi di comprensione della realtà. Tutto ciò è falso, poiché i farmaci risultano essenziali, soprattutto quando si ha a che fare con forme gravi di depressione (endogene27) in cui il rischio di suicidio è veramente alto. Passiamo ora ad analizzare i principali trattamenti per la cura della depressione: quello farmacologico e quello psicoterapeutico. 27 La depressione endogena si differenzia da quella nevrotica, per il fatto che: 1) la prima appare legata a fattori interni al soggetto (quali quelli biologici), dunque non è correlata con gli eventi esterni, ossia si manifesta senza la presenza di alcun evento scatenante; viceversa, la depressione nevrotica appare, in un certo senso, più legata ad eventi negativi, a volte anche di poco conto, ed in particolar modo alla storia di vita del paziente. 2) Il soggetto affetto da depressione endogena ha una visione completamente distorta e delirante della vita, e vede il suicidio come l‟unica soluzione alla propria sofferenza; invece, il depresso nevrotico non ha una visione assolutistica e dogmatica del proprio malessere, pertanto egli desidera e cerca di farsi curare. - 93 - 2.2. TRATTAMENTO FARMACOLOGICO Il trattamento farmacologico della depressione comprende l‟utilizzo di una particolare classe di psicofarmaci 28, gli antidepressivi. Il loro uso richiede la conoscenza dei corrispondenti effetti collaterali, nonché delle controindicazioni mediche e psichiatriche al loro impiego, ma soprattutto una corretta valutazione diagnostica (cfr. Giberti, 1996). Gli antidepressivi sono sostanze che agiscono riequilibrando la presenza nel nostro cervello di alcuni tipi di molecole, i mediatori chimici o neurotrasmettitori, che sono prodotti dal cervello stesso. I mediatori chimici, che veicolano la trasmissione di informazioni fra le cellule nervose, sono numerosi, ma quelli implicati nello scompenso depressivo sono tre: la serotonina, la noradrenalina e la dopamina. Gli esatti squilibri neurochimici che determinano lo scompenso depressivo non sono ancora perfettamente noti; molto probabilmente si ha una diminuzione patologica del numero di molecole di una o più di queste sostanze, che sono disponibili nelle interfacce tra le cellule nervose. Tuttavia, entrano in gioco altri fattori: in particolare la possibilità che le cellule stesse hanno di utilizzare i mediatori 28 Gli psicofarmaci sono farmaci che modificano le condizioni psichiche in modo da favorire la risoluzione di sofferenze soggettive e di disturbi comportamentali. Essi possono essere classificati in: 1) Neurolettici o Tranquillanti Maggiori o anche Antipsicotici 2) Ansiolitici o Tranquillanti Minori 3) Antidepressivi 4) Sedativi e Ipnotici. - 94 - chimici, mediante i loro recettori; e anche l‟equilibrio proporzionale fra i vari mediatori. Gli antidepressivi agiscono soprattutto aumentando la disponibilità, nel cervello, di uno o più dei tre mediatori chimici coinvolti nella depressione. Poiché (come già si è detto), questo loro effetto sul nostro organismo è quasi immediato, mentre i sintomi della depressione cominciano normalmente a scomparire solo dopo due o tre settimane di trattamento; è molto probabile che l‟effetto decisivo abbia luogo allorquando le cellule hanno modificato il loro numero di recettori in seguito alla maggiore disponibilità dei mediatori chimici, dovuti all‟assunzione regolare del farmaco. Gli antidepressivi oggi più comunemente usati appartengono a due categorie: i triciclici e i serotoninergici; anche se i primi farmaci antidepressivi furono gli inibitori delle Monoamminossidasi. Gli inibitori delle monoamminossidasi. L‟iproniazide, il primo farmaco antidepressivo, fu inizialmente prodotto per la cura della tubercolosi, per la quale si rivelò un fallimento. Però, questo farmaco suscitò un certo interesse come potenziale antidepressivo a seguito dell‟osservazione che esso rendeva i pazienti affetti da tubercolosi meno preoccupati della loro malattia. Di conseguenza, l‟iproniazide fu testata su di un gruppo misto di pazienti psichiatrici e si scoprì che era efficace contro la depressione. Il farmaco in esame, fu commercializzato - 95 - per la prima volta nel 1957. L‟iproniazide, è un agonista delle monoammine; cioè aumenta il livello di monoammine inibendo l‟attività della monoamminossidasi (MAO), l‟enzima che scinde i neurotrasmettitori monoamminergici nel citoplasma del neurone. Gli inibitori delle MAO hanno molti effetti collaterali, il più pericoloso dei quali, è noto col nome di effetto formaggio. Alimenti quali il vino, i sottaceti e appunto il formaggio contengono un‟ammina chiamata tiramina, che agisce in modo potente sull‟innalzamento della pressione del sangue. In condizioni normali, questi alimenti hanno un piccolo effetto sulla pressione sanguigna perché la tiramina viene metabolizzata rapidamente nel fegato dalle MAO. Tuttavia, gli individui che assumono gli inibitori delle MAO e consumano degli alimenti ricchi di tiramina corrono il rischio di essere colpiti da un infarto cerebrale provocato dalla brusca elevazione della pressione sanguigna. Per questo motivo, tale categoria di antidepressivi viene ormai poco usata; ciononostante, bisogna ricordare che una minoranza di pazienti reagisce in modo ottimale solo a questo tipo di sostanze (Pinel, 2000). I principali antidepressivi antiMAO sono la fenelzina (nome commerciale: Nardil) e l‟isocabossazide (Marplan). Gli antidepressivi triciclici. Gli antidepressivi triciclici sono così chiamati grazie alla azione antidepressiva e al fatto che la loro struttura chimica presenta una catena a tre anelli. - 96 - L‟imipramina, il primo farmaco antidepressivo triciclico, fu inizialmente ritenuto un farmaco antischizofrenico, tuttavia quando fu provata su di un gruppo misto di pazienti psichiatrici, i suoi effetti antidepressivi risultarono evidenti. Gli antidepressivi triciclici bloccano il riassorbimento della serotonina e della noradrenalina, aumentandone in questo modo il livello cerebrale. Essi costituiscono un‟alternativa più sicura agli inibitori delle MAO. I più noti antidepressivi classici di tipo triciclico, oltre all‟imipramina il cui nome commerciale è Tofranil sono: la clomipramina (Anafranil); l‟amitriptilina (Triptizol, Adrepil, Laroxil), e il suo derivato nortriptilina (Vividy) e la trimipramina (Surmontil). L‟Amitriptilina è il più tipico e meglio collaudato fra quegli antidepressivi che hanno anche un lieve effetto sedativo e antiansia (Jervis, 2002). I serotoninergici o inibitori selettivi del riassorbimento della serotonina (SSRI). La fluoxetina, che è commercializzata con il nome di Prozac, è un discendente degli antidepressivi triciclici. Si tratta di una leggera variazione strutturale degli antidepressivi triciclici, che blocca selettivamente il riassorbimento solo della serotonina. Per questo motivo il Prozac e gli altri farmaci della sua famiglia vengono detti inibitori selettivi del riassorbimento della serotonina. Il Prozac è stato introdotto nell‟uso clinico negli anni‟80. Sebbene non sia più efficace dell‟imipramina contro la depressione; la sua popolarità è sorprendente per due motivi. - 97 - Primo, ha pochi effetti collaterali; secondo, oltre alla depressione, si è dimostrato efficace nei confronti di una grande varietà di disturbi psicologici. Dal momento che il Prozac è così utile contro disturbi che una volta erano considerati dominio esclusivo della psicoterapia (per esempio, mancanza di autostima, paura dell‟insuccesso, eccessiva suscettibilità alle critiche ed incapacità a provare piacere) ha avuto un impatto enorme sia in campo psichiatrico e sia nella psicologia clinica (Pinel, 2000). Altri farmaci serotoninergici, oltre alla fluoxetina, sono: la paroxetina, suo derivato (Serotax, Sereupin), la sertralina (Tatig, Zoloft), la fluvoxamina (Dumirox, Maveral, Feravin) e il citalopram (Elopram, Seropram). C‟è infine un‟ultima categoria di farmaci, che vengono usati per trattare specificamente i disturbi bipolari della depressione. Questi sono detti stabilizzatori dell’umore. Il più usato è il litio, la cui scoperta, rappresenta un ulteriore esempio di successo farmacologico ottenuto per caso. È stato uno psichiatra australiano, John Cade, che nel tentativo di provare una sua teoria, secondo la quale nell‟urina di pazienti maniacali vi fosse una sostanza chimica causante la mania, mescolò acido urico con litio per formare un sale solubile iniettabile. Egli lo iniettò in un gruppo di porcellini d‟India e, per controllo, iniettò un sale di litio in un altro gruppo. Poiché l‟effetto calmante del sale di litio da solo era tanto grande quanto quello di litio combinato con l‟acido urico, Cade mutò la sua ipotesi ed attribuì l‟effetto - 98 - calmante al litio anziché all‟acido urico, dopodichè pensò di confermare la sua conclusione su pazienti umani. Retrospettivamente, la conclusione di Cade sembra superficiale, oggi, infatti si sa che le dosi di sale di litio da lui usate producono grave nausea. Agli occhi inesperti di Cade l‟inattività delle sue cavie poteva apparire come calma, mentre in realtà esse stavano male. Indipendentemente da ciò, trasportato dal successo ottenuto con le cavie nel 1954, lo studioso valutò gli effetti del litio su di un gruppo di 10 pazienti affetti da mania e dimostrò quanto questo trattamento fosse efficace. Il lavoro di Cade non sortì una reazione immediata, invero si è dovuto aspettare fino alla fine degli anni‟60 per rendersi conto del potenziale terapeutico di questo semplice ione metallico, per la cura della patologia depressiva. D‟altro lato il litio presenta anche alcuni aspetti negativi: 1) la sua efficacia non è erga omnes, ossia non è detto che riesca a curare efficacemente tutti i casi di disturbo bipolare; 2) a differenza degli antidepressivi di ultima generazione, presenta un alto tasso di tossicità; 3) richiede un uso continuo nel tempo, ovvero, la terapia una volta iniziata, non va sospesa a meno che non intervengano dei motivi molto seri; infatti sospenderla comporta il rischio che alla ripresa la cura si riveli molto meno efficace (Jervis, 2002). Per tutta questa serie di motivi, vengono spesso utilizzati altri medicinali per trattare le crisi maniacali acute. Questi farmaci venivano usati originariamente come antiepilettici; i più noti sono: il valproato di sodio (Depakin) e la - 99 - carbamazepina (Tegretol), ambedue hanno il vantaggio, nonostante non siano ugualmente efficaci in tutti i pazienti, di avere un‟azione piuttosto rapida sul disturbo bipolare. Talora si usano anche, nelle fasi maniacali, i sedativi neurolettici tradizionali o di ultima generazione; ma è soprattutto l‟elettroshock a rivelarsi, nei casi più difficili, un trattamento altamente risolutivo, benché l‟effetto non sia realmente duraturo. È importante a questo punto, dopo aver esaminato i vari antidepressivi, analizzare, in linea generale, gli effetti che questi hanno sul soggetto affetto da patologia depressiva. Può osservarsi, infatti, che il paziente, dopo circa due settimane di trattamento farmacologico, non sta affatto meglio, anzi ha una serie di disturbi funzionali dovuti per l‟appunto ai farmaci; si tratta quasi sempre di disturbi lievi, come: sonnolenza (in certi casi), nervosismo ed ansia (in altri casi), senso di stordimento, stitichezza, aumento del peso corporeo, disturbi del sonno, calo del desiderio e della disponibilità sessuale, palpitazioni, bocca secca, nausea, ed altri fastidi meno frequenti. I disturbi sopra elencati, sono generalmente presenti, malgrado ciò, bisogna tener conto che le risposte fisiologiche ai farmaci sono strettamente individuali; come lo è d‟altronde anche il dosaggio richiesto per esortare l‟effetto terapeutico auspicabile. In genere, una buona valutazione dell‟effetto di un dato antidepressivo è possibile solo dopo più di un mese di trattamento. In questo periodo di tempo può essere necessario aumentare i dosaggi, talvolta - 100 - diminuirli; somministrare contemporaneamente due antidepressivi diversi o sostituirli con altri. Dunque, bisogna ammettere che la scelta di un dato antidepressivo, invece di un altro, viene fatta un po‟ “ alla buona” (Jervis, 2002). Infatti, ogni psichiatra tende ad avere le sue preferenze per un taluni antidepressivi, di conseguenza li conosce meglio, si fida di più, e li usa più volentieri rispetto ad altri. Successivamente, quando il soggetto ha in modo efficace seguito lo schema terapeutico e si sente quasi perfettamente bene; è importante che non smetta di prendere il farmaco, poiché, in ogni caso, la diminuzione del farmaco deve essere fatta con prudenza e gradualità, per evitare il rischio di una ricaduta della malattia. A tal proposito, è stato osservato che in alcuni casi l‟antidepressivo non va mai sospeso del tutto, ma, nei periodi di maggiore benessere vanno prescritti dosaggi minimi; viceversa, nei periodi più critici, in cui i sintomi depressivi aumentano, vanno somministrati dosaggi più forti. Pare infatti accertato che, in molti casi, un simile modo di procedere renda meno frequenti e meno gravi gli episodi successivi di depressione. - 101 - 2.3. PSICOTERAPIA Un altro trattamento valido per la cura della patologia depressiva è la psicoterapia. Spesso si parla o si sente parlare di “psicoterapia”, senza sapere esattamente di che cosa si tratti. Da un punto di vista generale, una “psicoterapia” è ogni intervento effettuato sul paziente, senza mezzi fisici o biologici, per aiutarlo a migliorare o guarire. Anche il semplice colloquio con il medico di famiglia o con lo specialista, sia esso psicologico o psichiatra, può essere considerato come un intervento limitato di “psicoterapia” se ha lo scopo di sostenere, confortare, consigliare il paziente o di spiegare a lui e alla sua famiglia i problemi che vanno affrontati nel corso della sua malattia. Da un punto di vista specifico, una psicoterapia può essere definita come una tecnica di cura che non fa uso di farmaci o di altri interventi “biologici”, ma che si basa esclusivamente sulla comunicazione, ossia sullo scambio di messaggi verbali e non verbali (il colloquio) con il paziente. Nella cura della depressione, lo scopo principale di siffatto trattamento è quello di rendere la persona più consapevole del suo problema ma anche, al tempo stesso, più capace di farvi fronte. In molti casi, soprattutto quando il paziente è al primo episodio depressivo, sono entrati in gioco reali drammi di vita: per esempio, un grave lutto, la fine di un legame coniugale, ecc. Qui è necessario che il soggetto sia aiutato ad elaborare in modo consapevole ciò che gli è realmente accaduto, ma al tempo - 102 - stesso, ad accettare che la sua reazione agli eventi è forse stata, senza che egli abbia alcuna colpa, sproporzionatamente depressiva. Nei casi in cui lo stato depressivo è grave o molto grave, così da provocare una sospensione delle normali attività quotidiane, da un lato può essere importante il più semplice contatto umano, dall‟altro lato il paziente non è realmente in grado di dialogare su un piano sufficientemente sensato. Quindi, in situazioni del genere non è affatto realistico provare a fare sedute di psicoterapia: quest‟ultima non è possibile, o per essere più precisi, non è ancora possibile, perché la condizione di depressione è troppo grave e schiacciante. Solo successivamente, a seguito del trattamento farmacologico (necessario in questo caso) e dell‟attenuazione dei sintomi depressivi, è possibile iniziare un lavoro psicoterapeutico, tale da favorire l‟emergenza graduale di un punto di osservazione diverso e di un modo nuovo e più realistico di concettualizzare l‟insieme di problemi. Casi di depressione reattiva29 o nevrotica, in cui la patologia si manifesta in forme non gravi, sono le condizioni cliniche in cui 29 La depressione reattiva è uno stato depressivo, strettamente legato ad un avvenimento doloroso (ad es.: lutto, perdita, sconfitta…) ma con un‟intensità e durata sproporzionata rispetto alla “reazione” di fronte a simili eventi. Elemento principale che caratterizza questo disturbo è un sentimento di tristezza vissuta a livello cosciente e con forte partecipazione emotiva. Non sempre è facile distinguere questo tipo di depressione da quella nevrotica, poiché chi soffre di quest‟ultima forma tende a reagire in senso depressivo di fronte a situazioni ed eventi stressanti. La differenza si - 103 - un trattamento psicoterapeutico è più opportuno e più efficace. In questi casi la psicoterapia può aiutare le persone ad imparare strategie per conoscere ed affrontare la depressione, ad identificare situazioni conflittuali e problematiche della propria vita che possono essere connesse con l‟insorgenza della depressione. La psicoterapia è utile anche nei casi di disturbo distimico o in quello ciclotimico, in cui nonostante il soggetto abbia una vita pressoché normale, deve imparare a convivere con un‟attuale lieve depressione di lunga durata; che richiede, probabilmente, l‟assunzione quotidiana di farmaci e un‟attenta gestione delle proprie risorse psicologiche sul lavoro, nella famiglia, nello svago e nelle relazioni affettive. In particolare, anche per quanto riguarda le difficoltà coniugali, il soggetto depresso deve imparare a capire che la depressione è uno stato d‟animo che tende a distruggere la vita di coppia. Invero, la depressione, tipica della persona distimica, rende poco disponibili all‟altro, rende meno affettuosi, meno simpatici, e molto spesso rende anche più scostanti dalla situazione coniugale, più irritabili di fronte alle piccole mancanze e frustazioni connesse alla convivenza. Molti matrimoni naufragano a causa di una lieve depressione cronica, non diagnosticata in uno dei due membri della coppia. Anche qui, un lavoro psicoterapeutico individuale, ed eventualmente una psicoterapia di coppia, aiuta a capire, a capirsi, a gestire, a basa principalmente sulla diretta ed inequivocabile connessione tra l‟inizio della sintomatologia e l‟evento scatenante. - 104 - ridurre le conseguenze dei malumori e delle insoddisfazioni derivanti da una soggettività depressiva. Le psicoterapie sono, dunque, un trattamento molto utilizzato (al pari dei farmaci) nella cura della depressione; esse vengono utilizzate soprattutto per le forme non psicotiche di depressione, in cui non è compromesso il cosiddetto “esame di realtà”. Di solito, si ricorre nel trattare il disturbo in esame, a psicoterapie brevi o comunque a durata limitata (da una decina di settimane a un anno); esse si differenziano a seconda dei vari approcci in: psicoterapia cognitivo - comportamentale, interpersonale, psicodinamica ed infine quelle familiari e coniugali. La psicoterapia cognitivo - comportamentale, come suggerisce il nome, combina due forme di terapia: la psicoterapia cognitiva e quella comportamentale. La prima, si pone l‟obiettivo di aiutare il soggetto depresso a modificare concetti e cognizioni erronee su se stesso, sui sintomi e sulle opinioni pessimistiche; la seconda, è finalizzata ad attenuare o far scomparire alcuni sintomi mediante “estinzione” di atteggiamenti disadattivi specifici e apprendimento di comportamenti atti a fornire rinforzi positivi, conferme soddisfacenti e capacità di rilassarsi. La psicoterapia interpersonale (I.P.T.) di Klerman è un trattamento relativamente specifico per depressioni maggiori non psicotiche; è di durata breve (12-16 settimane) e mira: 1) al miglioramento sintomatico mediante riformulazione e risoluzione di problemi comuni e specifici delle relazioni interpersonali e 2) all‟acquisizioni di nuovi legami e comunicazioni sociali. - 105 - La psicoterapia psicodinamica impiega tecniche psicoanalitiche (associazioni libere, interpretazioni, ecc.) ed è utilizzabile meglio in depressioni conflittuali, caratterogene e psicogene, in presenza di buone capacità di introspezione (insight), di tolleranza alla sofferenza depressiva e di un ambiente stabile: è a durata indefinita, oppure (in casi particolari) si può procedere ad una psicoterapia dinamica breve (BDT). Quest‟ultima, consta di tre fasi. Nella fase iniziale, il terapeuta valuta il quadro clinico e delinea il problema primario definendo il focus: sintomo, problema o conflitto. Nella fase intermedia, l‟intervento psicoterapeutico viene indirizzato sul focus. Nella fase finale, si esplicita e si discute il termine della psicoterapia, revisionando e consolidando i progressi ottenuti. Infine c‟è la psicoterapia familiare e coniugale che, come già riferito, appare opportuna in quei casi in cui i problemi intrafamiliari o nel rapporto matrimoniale sono preminenti e concorrono alla genesi della depressione; o viceversa, in casi in cui è la depressione di uno dei coniugi o provocare incomprensioni all‟interno della coppia. In ogni caso, la scelta dei diversi metodi psicoterapeutici dipende non solo da una valutazione accurata dei casi, ma dalla specifica preparazione professionale del terapeuta; per questo, prima di affidare un depresso ad un tale trattamento è sempre opportuno acquisire tutte le informazioni possibili sulle qualifiche e sull‟esperienza di chi effettua la psicoterapia. Infine, va tenuto presente che una psicoterapia è in genere di costo relativamente - 106 - elevato e richiede al paziente un elevato quoziente intellettivo (QI). 2.4. ALTRE TERAPIE BIOLOGICHE E FISICHE Trattamento con elettroshock Il trattamento elettroconvulsivante, o di applicazione di elettroshockterapia (ES o ECT ovvero EST), oggi è di assai ridotto impiego; infatti è riservato a casi gravi di depressione (o anche talvolta di mania o stati depressivi atipici) con resistenza o controindicazioni a corrette e adeguate terapie farmacologiche. Fra gli anni ‟40 e la prima metà degli anni ‟60, nei manicomi e nelle cliniche private se ne faceva un uso eccessivo: sia perché veniva utilizzato anche in casi clinici che non davano sufficiente garanzia di trarne giovamento, sia perché accadeva che i singoli pazienti venissero sottoposti ad un numero troppo grande di applicazioni. Negli anni successivi, fra la metà degli anni‟60 e la metà degli anni‟70, a causa dell‟ignoranza presente nella maggior parte della gente, tale terapia fu molto criticata; pertanto, ne fu proposto l‟abbandono. In seguito, e soprattutto a partire dalla fine degli anni‟70, studi più accurati ne dimostrarono l‟ineliminabile efficacia terapeutica; proponendo, tra l‟altro, importanti modifiche tecniche per rendere l‟ES più sicuro e meno traumatizzante. Oggi, sappiamo che viene considerato il trattamento di “emergenza”, ossia viene usato soprattutto quando la cura farmacologia non si rivela efficace nel trattare casi di - 107 - depressione molto gravi, in cui sono presenti il rischio immediato di suicidio e la presenza di sintomi psicotici, come accade per esempio nella depressione maggiore, in molti casi di depressione senile e nella depressione in gravidanza, in cui è opportuno evitare l‟uso di farmaci che possono provocare danni al bambino. La terapia con l‟ES consiste nell‟indurre nel paziente, posto in anestesia generale, una crisi epilettica. La crisi è più che altro virtuale, perché per effetto della somministrazione endovenosa dei farmaci muscolorilassanti connessi all‟anestesia, la convulsione non ha realmente luogo: ma essa è ben registrata all‟elettroencefalogramma. La crisi epilettica è indotta dal breve passaggio di corrente elettrica attraverso il cervello, a partire da due elettrodi posti, di solito, uno su una tempia ed uno sulla fronte. Al risveglio (il tutto dura pochi minuti) il paziente può essere un po‟ confuso e avere qualche disturbo transitorio della memoria. In genere si fanno 6-10 applicazioni, al ritmo di due e talora tre ogni settimana. Il ricovero non è necessario. Se usato bene, i pericoli dell‟ES sono minimi e non vi sono esiti negativi permanenti. In ogni caso, il trattamento elettroconvulsivante rimane un rimedio di secondo piano rispetto agli psicofarmaci, soprattutto quelli di “nuova generazione”, che si dimostrano il più delle volte efficaci nella cura della depressione. Ospedalizzazione In condizioni di elevata gravità della sintomatologia depressiva, in cui c‟è un serio rischio di suicidio o in condizioni di mancato - 108 - supporto familiare, sociale o ambientale, il ricovero, anche con trattamento sanitario obbligatorio (TSO), rappresenta l‟unica soluzione necessaria. Terapia della luce o fototerapia La terapia della luce o fototerapia si basa sull‟esposizione mattutina (di solito), ad una luce artificiale bianca “brillante”, di intensità maggiore della illuminazione tradizionale per 1-3 ore; essa è indicata nelle depressioni maggiori ad andamento stagionale (autunno- inverno), infatti la statistiche mostrano che nel 60% di pazienti affetti da depressione di tipo stagionale si verifica il miglioramento dei sintomi, già nel giro di qualche giorno. Privazione o riduzione del sonno La deprivazione totale o parziale di un sonno notturno, provoca un miglioramento immediato dei sintomi depressivi, ma transitorio in circa la metà dei casi; difatti dopo una dormita si torna allo stato iniziale. Esercizio fisico L‟esercizio fisico cura la depressione in cinque modi: 1. induce l‟organismo a rilasciare endorfine; 2. riduce il livello di cortisolo nel sangue, l‟ormone coinvolto nello stress e nella depressione; 3. aiuta a vedere la vita con più ottimismo; - 109 - 4. dà una sensazione di soddisfazione che aiuta ad aumentare l‟autostima; 5. aumenta il livello di serotonina. L‟attività fisica può essere qualsiasi, l‟importante è essere costanti: 2 o 3 volte alla settimana o, meglio, ogni giorno. Camminare, andare in bicicletta, nuotare, giocare a pallavolo, ecc. Quello che conta è che l‟attività prescelta dia piacere e soddisfazione. Ad avvallare siffatta ipotesi terapeutica ci sono due studi. Il primo, il Rancho Bernardo study, si è occupato di una comunità di persone, nel sud della California, comprese tra i 50 e gli 89 anni ed ha messo in relazione esercizio fisico intenso con andamento dell‟umore. I risultati hanno evidenziato che le persone che praticano esercizio fisico hanno un umore meno depresso; anche se il ruolo dell‟attività fisica non è anche preventivo. Nell‟altro studio condotto presso l‟Università di Durham in North Carolina è stata dimostrata un‟efficacia dell‟esercizio fisico simile, addirittura, a quella dei farmaci. La ricerca è stata condotta su 156 volontari, dai cinquant‟anni in su, sofferenti di depressione. Il 75% dei soggetti divisi in tre gruppi: solo farmaci, solo esercizio e farmaci/esercizio, dopo quattro mesi dall‟avvio dei test ha evidenziato risultati simili, con depressione diminuita fortemente se non scomparsa. A quel punto i medicinali sono stati sospesi. Dieci mesi dopo, i ricercatori hanno esaminato nuovamente i pazienti: i volontari che facevano parte del gruppo sottoposto esclusivamente al regime di esercizio hanno mostrato il più basso tasso di ricadute - 110 - nella depressione, circa la metà dei casi manifestatisi nuovamente negli altri due gruppi (cfr. Malagutti, 2004). 2.5. INTERDIPENDENZA DEI TRATTAMENTI: TRATTAMENTO FARMACOLOGICO E PSICOTERAPIA Partendo dal presupposto, che nell‟eziologia dei disturbi dell‟umore sono coinvolti sia fattori biologici che fattori psicosociali, l‟idea che oggi va sempre più consolidandosi, tra gli specialisti della salute mentale, è quella di una “terapia” che sappia integrare in modo intelligente, non ideologico, strategie di intervento diverse. Si parla pertanto di trattamento combinato, che include, per lo più, due tipi di interventi terapeutici: quello farmacologico e quello psicoterapeutico. Tuttavia, non è ancora chiaro se il trattamento combinato sia necessario o addirittura auspicabile in tutti i casi. A tal proposito, l‟American Psychological Association (APA, 1993), propone di essere cauti nella prescrizione degli psicofarmaci per le forme depressive lievi e di carattere transitorio, al fine di evitare un‟inutile esposizione agli effetti collaterali e ad altri rischi, legati all‟assunzione dei farmaci stessi; altrettanto cauti bisogna essere nella prescrizione della psicoterapia nelle forme gravi che rispondono ai farmaci, al fine di evitare inutili dispendi di tempo ed energie. Le linee guida per la pratica clinica della depressione, pubblicate negli USA nel‟93, propongono l‟uso di terapie combinate esclusivamente per quelle forme in cui l‟efficacia dei singoli - 111 - approcci si sia dimostrata solo parziale; vi sia evidenza di compresenza di più obiettivi e necessità di ordine diverso, che rispondano in modo differente ai singoli approcci; oppure in ultimo, quando il decorso clinico si riveli cronico fin dal primo episodio depressivo. Si presume che quest‟ultimo fattore, che in generale corrisponde ad una minore responsività del soggetto ai trattamenti, possa rispondere meglio proprio alla terapia integrata. Infatti, il trattamento combinato si è dimostrato particolarmente utile per quei pazienti che hanno una storia clinica di depressione cronica e/o resistenze, e che prospettano tutta una serie di problemi specifici a monte del loro disturbo depressivo (Thase, 1994). Invero, esistono almeno quattro motivi per cui il trattamento combinato si dimostra superiore ad ogni trattamento singolo (Giavedoni, 1998). 1. In primis, il trattamento combinato si è dimostrato in grado di aumentare la grandezza della risposta evidenziabile in ogni singolo paziente. In parole povere, ciò significa che questi pazienti possono trarre maggior benefici da un trattamento combinato, rispetto ad un trattamento o solo farmacologico oppure soltanto psicoterapeutico. 2. Il trattamento combinato può aumentare la probabilità di risposta. Se infatti in una data popolazione si pensa che alcuni pazienti rispondano ad un singolo trattamento ed altri ad un altro, la somministrazione di un trattamento combinato aumenterà la probabilità di una risposta positiva. - 112 - 3. Il trattamento combinato può aumentare l‟ampiezza della risposta. Questo significa che, se si tiene conto che ogni singola modalità di trattamento è in grado di incidere su diversi risultati, fino ad un certo livello, il trattamento combinato può raggiungere vantaggi unici e irriproducibili, determinati dalla somma dei risultati dei singoli trattamenti che danno un risultato finale superiore al singolo trattamento. 4. Il trattamento combinato può aumentare il grado di accettazione di ogni singolo trattamento. Ne consegue, allora, che il contributo globale, dato dalla psicoterapia combinata alla terapia farmacologica, permette di: migliorare il livello di conoscenza del paziente nei confronti della propria malattia e sviluppare una maggior tolleranza nei confronti della sofferenza depressiva; favorire la “compliance”, cioè la capacità di restare fedeli alle indicazioni terapeutiche; migliorare la tolleranza agli effetti collaterali della terapia farmacologica; ridurre i “drop outs”, ossia i rischi di insuccesso terapeutico. Dunque, in ogni caso è opportuno rifiutare l‟atteggiamento fideistico sia di alcuni psichiatri, che propongono nel trattamento della depressione solo l‟utilizzo dei farmaci; sia di alcuni psicoterapeuti, che prospettano solo l‟utilizzo della psicoterapia - 113 - nella cura della patologia depressiva. In effetti, siffatto atteggiamento, può essere controproducente per il paziente, con il risultato di aggravare ancora di più la sua depressione. Spesso, infatti si assiste ad una sorta di “trionfalismo” degli psicofarmaci, ossia lo psichiatra prescrive solo una terapia farmacologica per la cura della depressione; di conseguenza innesca nell‟utente (paziente) un‟illusione circa il come potrà venire fuori dalla sofferenza depressiva e ansiosa. Questa illusione, che risulta spesso disattesa dai risultati reali degli psicofarmaci, produce, in seguito un peggioramento della depressione. Difatti, i pazienti che, il più delle volte, giungono in psicoterapia si mostrano delusi circa l‟effetto terapeutico dei farmaci, idealizzando, non di rado, le aspettative sulla psicoterapia. Questa situazione, non infrequente, complica non poco l‟intervento dello psicoterapeuta, che oltre ad aiutare il paziente a smitizzare le attese sulla cura psicoterapeutica, deve anche aiutarlo a riconquistare la giusta fiducia verso gli psicofarmaci, che ancora una volta dovrà effettivamente tornare ad assumere durante il percorso di psicoterapia; ma ovviamente stavolta seriamente informato dei limiti di ciò che può aspettarsi dai farmaci e seriamente informato che gli stessi circoscritti benefici prodotti dai farmaci stessi, devono essere consolidati da un contemporaneo riaggiustamento della sua organizzazione cognitiva, ottenibile con i procedimenti psicoterapeutici. In questo modo il paziente diventa consapevole del fatto di essere innanzitutto “persona”; si autoresponsabilizza nel corso della cura; impara a gestire lo - 114 - strumento farmacologico; smette di credere che la sua depressione sia una malattia paragonabile ad una qualsiasi malattia organica semplicemente curabile con le medicine; ed impara, invece, ad accettare le conseguenze emozionali e comportamentali che caratterizzano il suo stile depressivo. A questo punto, il paziente può accettare i farmaci nel loro reale ruolo, godendo pertanto dei loro benefici nell‟alleviare i sintomi e allo stesso tempo può, grazie alla psicoterapia, conquistare nuove ottiche di pensiero. Perciò, per trattare il soggetto depresso in modo competente, efficiente ed efficace, è opportuno che lo specialista sappia muoversi costantemente tra questi due modelli terapeutici. A tal proposito, lo specialista in questione, può essere sia uno psichiatra, preparato in entrambe le branche terapeutiche, oppure ci sono due diversi professionisti, farmacoterapeuta e psicoterapeuta; tuttavia, in quest‟ultimo caso occorre che ci sia un accordo ed un affiatamento, indispensabili per una integrazione ottimale delle rispettive finalità e professionalità, e di conseguenza fondamentale per la cura desiderata. Pertanto, è auspicabile che tutti gli operatori possano essere specialisticamente informati su questo argomento, in modo da comprendere e far comprendere al paziente, che qualunque sofferenza psicologica è composta come una medaglia a due facce: neurochimica e mentale. In tutti i casi la persona che soffre, è stata esposta a certi tipi di esperienza ed ha perciò organizzato un‟elaborazione complessa dei suoi pensieri su sé stesso, sugli altri e sul mondo attorno a lui e nessun farmaco al - 115 - mondo potrà mai rieducarlo in quella elaborazione complessa dei suoi pensieri. Per cui, pur riequilibrando il metabolismo neurochimico per mezzo dei farmaci, il paziente, se non interviene su se stesso continuerà a vedere sé, gli altri ed il mondo dal suo solito punto di vista, che è per l‟appunto, un punto di vista di tipo depressivo. In conclusione, il disturbo depressivo, che è stato definito da Jervis (2002), come “un vuoto oscuro e maligno”, che provoca nel paziente un elevato livello di sofferenza (più o meno grave, a seconda delle diverse forme di depressione), può essere colmato solo se i due trattamenti, quello farmacologico e quello psicoterapeutico, agiscono all‟unisono, interdipendente. - 116 - cioè in modo CAPITOLO III LA DEPRESSIONE NELL’ADOLESCENZA 3.1. INTRODUZIONE L‟adolescenza viene normalmente considerata come un periodo dello sviluppo (che va dagli 11-13 ai 16-17 anni), caratterizzato da una serie di trasformazioni fisiologiche (pubertà), psicologiche e di ruolo sociale. L‟adolescenza è tipicamente una fase di passaggio fra ruoli sociali dell‟infanzia e quelli della maturità: in questo senso è un periodo di crisi, di trasformazioni e di apprendimento; in cui l‟adolescente cerca di costruirsi una propria identità ed una propria autonomia. Ed è proprio in questo periodo “critico”, che si annida il rischio di ammalarsi di depressione; in effetti molti autori, a partire da Anna Freud, hanno sottolineato l‟esistenza di elementi depressivi o depressogeni impliciti in ogni processo adolescenziale. In particolare, si osserva che, l‟autrice, nel parlare del lavoro psichico con cui ogni adolescente è chiamato a confrontarsi, dichiarava che in questa fase fosse inevitabile il verificarsi di “un certo lutto degli oggetti del passato” (cfr. Pfanner, Marcheschi, Muratori, Masi, 1994). Tutto ciò ha fatto sì che la depressione sia stata una delle condizioni più riconosciute e meno curate, proprio per l‟incerto confine esistente tra un movimento depressivo “normale” ed una depressione patologica. Pertanto, è opportuno approfondire la - 117 - relazione tra depressione e adolescenza per poter riuscire a distinguere la depressione cosiddetta “fisiologica”, normale, connaturata al periodo adolescenziale, patologica. - 118 - dalla depressione 3.2. PUNTI COMUNI E DIFFERENZE TRA DEPRESSIONE E PROCESSO ADOLESCENZIALE Tre sono i fattori che accomunano il processo adolescenziale da una parte e la psicopatologia depressiva dall‟altra (cfr. Marcelli, 1993). Essi sono: 1. le perdite, di fronte alle quali tanto il paziente depresso quanto l‟adolescente si trovano a confrontarsi; 2. il problema della gestione dell‟aggressività e del senso di colpa; 3. la rottura dell‟equilibrio fra gli investimenti oggettuali e gli investimenti narcisistici. Il fattore “perdite e separazioni” è presente sia nella depressione che nella adolescenza, anche se, in quest‟ultimo caso le perdite si situano su poli diversi. In effetti nell‟adolescenza, si assiste alla perdita della quiete del corpo, vale a dire, l‟irruzione della pubertà determina una estrema tensione all‟interno stesso del corpo dell‟adolescente, il quale si dichiara frequentemente “nervoso”. Questa forte tensione è evidentemente legata all‟emergere della pulsione sessuale ed ai bisogni nuovi che essa determina. Tuttavia, con l‟arrivo della pubertà sono messe in crisi le conoscenze che il bambino aveva del suo corpo, nella “triplice dimensione”: statica (la forma dell‟immagine), dinamica (la cinetica del corpo), ed interattiva (la funzione sociale del corpo). Pertanto, si può parlare di perdita dell’immagine del corpo. In effetti, sul piano statico, si assiste al frequente interrogarsi “ansioso” dell‟adolescente sul suo corpo; sul piano dinamico, - 119 - l‟adolescente appare più maldestro, meno elegante e meno dotato; infine può osservarsi che il cambiamento corporeo ha delle ripercussioni anche sugli scambi interattivi sociali e culturali del soggetto, infatti agli ineluttabili cambiamenti fisici, l‟adolescente aggiunge una serie di modificazioni multiple: vuole modificare la sua pettinatura, il suo modo di vestire, il suo modo di agire, di comportarsi, ecc.. Si tratta per l‟adolescente di distanziarsi dalle abitudini della propria infanzia e dai genitori per potersi costruire una propria identità. In questa prospettiva, l‟adolescenza implica una ridefinizione interna (processi intrapsichici) ed esterna (processi interattivi) dei vecchi legami (cfr. Nicolò, Zavattini, 1993). Un‟altra perdita caratteristica di questa fase è la perdita della bisessualità potenziale. Prima della pubertà, il bambino e la bambina di 7/8 anni sanno di appartenere corrispettivamente al sesso maschile e a quello femminile; ma ambedue possono adottare dei comportamenti propri dell‟altro sesso, senza per questo mettere in discussione la loro identità sessuale. Questa “bisessualità potenziale”, spiega il sentimento di onnipotenza infantile. Tuttavia, la trasformazione pubertaria fa perdere al bambino questo sentimento di onnipotenza e questa bisessualità potenziale. L‟adolescente è ora un uomo o una donna: non può più essere le due cose assieme. L‟esempio clinico dei pazienti anoressici ci mostra molto chiaramente come questa trasformazione pubertaria minacci il sentimento soggiacente di onnipotenza e come gli affetti depressivi siano presenti quando - 120 - l‟adolescente inizia a rinunciare a questa onnipotenza. Normalmente i giovani adolescenti adottano comportamenti sessuali “esasperati” nelle loro caratteristiche legate al sesso; di fatto il ragazzo adolescente si sente in dovere di essere più maschio o anche, come si suol dire, più “macho”; al contrario, la giovane adolescente accentua la sua femminilità, indossando scarpe con tacchi a spillo, vestiti aderenti ecc.. Questo a dimostrazione che il bisogno di identificazione con il proprio sesso gioca un ruolo essenziale. Tuttavia, la paura della parte interna dell‟altro sesso, cioè il bisogno di scartare per il ragazzo, la parte femminile che è in lui, per la ragazza la parte maschile che è in lei, conducono per un certo periodo di tempo ad una sorta di perdita interna; perdita della parte tenera e passiva per il ragazzo, perdita per la parte aggressiva e attiva per la ragazza. Ciò nonostante, per quest‟ultima la situazione è diversa; infatti oggigiorno, a seguito della emancipazione sociale della donna e dei cambiamenti culturali avvenuti nel corso degli anni, la giovane adolescente può più facilmente, attraverso la moda dell‟abbigliamento, lasciare esprimere le proprie parti “mascoline”. Un‟ultima separazione che si verifica in questo periodo è la separazione dal legame edipico, ossia la separazione dagli oggetti originari di dipendenza. Invero, è nell‟adolescenza che si assiste alla rottura dei legami di dipendenza dalla famiglia, implicando tale rottura, l‟entrata dell‟adolescente nel mondo degli adulti. Questo processo molto complesso comporta la - 121 - perdita del rifugio materno o perdita dell‟oggetto edipico. In realtà l‟adolescente deve compiere un‟operazione nuova che consiste nello spostare l‟investimento erotico dalle figure genitoriali o dalle figure dei pari, narcisisticamente investite, alle persone di sesso opposto. Dunque, in tale circostanza, il sentimento depressivo non riguarda tanto la perdita dell‟oggetto, quanto la perdita dell‟investimento edipico della coppia genitoriale (Giaconia, 1997). Il secondo fattore che accomuna la patologia depressiva ed il processo adolescenziale è quello relativo alla “gestione dell‟aggressività e del senso di colpa”. Infatti, come per la Jacobson, la depressione appare un problema di aggressività non risolta che viene scaricata in maniera distruttiva e peggiorativa contro l‟Io (cfr. Giberti, Rasore, Moscato, Cardinale, 1996); così nell‟adolescenza “la spinta della pubertà si accompagna ad una intensificazione delle pulsioni nel corpo e nella psiche dell‟adolescente, sia che si tratti della pulsione sessuale che di quella aggressiva” (Marcelli, 1993). La traduzione comportamentale abituale di questo accrescimento pulsionale è che l‟adolescente si sente interiormente “eccitato”, nervoso e, come reazione a ciò, sente l‟esigenza di allontanare i propri genitori. Tutto questo accade perché l‟adolescente teme che le proprie pulsioni, in particolare la propria aggressività, possano nuocere l‟oggetto amato (genitore), ragion per cui ha bisogno di mantenere una distanza tra se stesso e questo oggetto. Di conseguenza, l‟adolescente si allontana dall‟oggetto edipico, o lo - 122 - mantiene a distanza in modo concreto o figurativo. Concretamente, alcuni adolescenti evitano la presenza fisica dei loro genitori: possono perciò decidere o di restare chiusi nella loro camera o di uscire di casa; l‟importante è restare il meno possibile con i genitori. Dal punto di vista simbolico, l‟adolescente si dichiara incompreso dai suoi genitori; pensa che questi non lo capiscano affatto e per questo dichiara di essere stato deluso. Tuttavia, occorre capire che l‟allontanamento dell‟adolescente dalla propria eccitazione pulsionale e aggressiva assolve ad una duplice funzione; da un lato serve a proteggere i genitori dalla sua eccitazione pulsionale o aggressiva, dall‟altro lato, l‟inibizione e la passività possono essere anche il mezzo che egli utilizza per negare o per lo meno controllare questa eccitazione; infatti dall‟atteggiamento tipico dell‟adolescente (restare chiuso nella propria camera, non interessarsi a niente, ecc.) si evince la sua paura di confrontarsi con il bisogno pulsionale. Talvolta, il rivolgimento immediato su se stesso di una aggressività, all‟inizio diretta contro gli oggetti edipici, di cui l‟adolescente si colpevolizza dà vita a comportamenti e pensieri suicidari. Pertanto “è evidente che questa inibizione, questo ripiego, questa passività possono aprire la strada ad uno stato depressivo più o meno manifesto” (Marcelli, 1993). L‟ultimo fattore presente tanto nel disturbo depressivo quanto nel processo adolescenziale è “la rottura dell‟equilibrio fra gli investimenti oggettuali e quelli narcisistici”, ossia si assiste, in entrambe le condizioni ad una accentuazione dell‟investimento - 123 - narcisistico e ad un disinteresse apparente per il mondo esterno. Ciò nonostante, nell‟adolescente il sovrainvestimento del Sé, cioè il suo bisogno di ripiegarsi su se stesso e sul proprio funzionamento mentale, risulta necessario per permettergli di rispondere a quei quesiti adolescenziali, riguardanti “il senso della vita, della morte, la propria identità, ecc.” Questo interrogarsi è tanto più doloroso ed insistente in quanto l‟adolescente percepisce i molteplici cambiamenti, le incertezze e le contraddizioni di cui è portatore. Tuttavia, egli aspira ad una definizione rigorosa di se stesso. Caratteristica di questa fase è anche l‟idealizzazione del Sé, operata dal soggetto stesso. Effettivamente, in adolescenza si osservano delle oscillazioni nell‟idealizzazione di se stessi: l‟adolescente passa, molto rapidamente, da periodi di autocompiacimento a fasi di profondo malessere, disistima, inquietudine, noia e soprattutto di vuoto. Questo suo modo di essere si osserva anche nella maniera in cui l‟adolescente valuta gli avvenimenti e le persone che lo circondano; infatti egli sembra vivere in “un mondo fatto di tutto o nulla”, in cui può decidere di dare ad avvenimenti o persone un‟importanza eccessiva o al contrario mostrare un disinteresse totale (Bemporad, 1991). Anche in questa situazione, l‟adolescente sembra mancare di una maturità sufficiente per mettere gli avvenimenti quotidiani nella giusta prospettiva; pertanto ogni cosa sarà vissuta con un‟aria di irrevocabilità e talvolta di disperazione. - 124 - Dopo aver analizzato i punti comuni tra il disturbo depressivo e il processo adolescenziale, è opportuno affrontare, anche se con difficoltà, il tema delle differenze esistenti tra queste due fenomenologie. In particolare, deve osservarsi che gli elementi caratterizzanti lo stato depressivo “fisiologico” insito nel normale processo adolescenziale, che valgono a differenziarlo dalla presenza di una acclarata depressione adolescenziale riguardano: 1. la capacità dell‟adolescente di descrivere ed analizzare in modo coerente la propria situazione interna, familiare e relazionale; 2. la capacità di apportare delle possibili correzioni e modifiche al proprio discorso, in base alle osservazioni a lui proposte dall‟interlocutore; 3. la capacità di fare piani realistici sul futuro, e di mantenere alcune aree di funzionamento intatte per l‟attuazione di questi obiettivi; 4. la capacità di mantenere aree di interesse come espressione diretta di una capacità interiore; 5. la capacità di stabilire delle identificazioni durature, talvolta associate ad altre più atipiche e fluttuanti, con possibilità di dare una valutazione realistica e profonda di questi legami; 6. la capacità di riferire idee e comportamenti ad un sistema di valori coerente e dinamico, anche se differenziato da quello dell‟ambiente familiare (Pfanner, Marcheschi, Muratori, Masi, 1994). - 125 - Un parametro clinico significativo è rappresentato dalla qualità dello sviluppo cognitivo dell‟adolescente. Esso costituisce una sorta di schermo protettivo, uno strumento attraverso il quale egli è in grado di padroneggiare parte delle urgenze interne ed esterne del processo adolescenziale. Ma l‟accesso a nuove categorie del pensiero, in particolare l‟acquisizione di un livello superiore di astrazione e generalizzazione, modifica in modo radicale il rapporto che l‟adolescente ha con il mondo esterno, che non è più il mondo concreto ed unico del bambino, ma uno degli infiniti mondi possibili. A tal proposito sono stati effettuati due studi che sembrano dimostrare l‟esistenza di un legame tra la sintomatologia depressiva e il deficit dei processi metacognitivi nell‟attività di studio dei soggetti adolescenti (cfr. Terreni, Campiotti, 1999). Nel primo studio, che ha coinvolto 315 adolescenti frequentanti i primi tre anni di una scuola media superiore (14-17 anni), sono state ottenute misure della sintomatologia depressiva e di molteplici aspetti dell‟attività di studio. Infatti, i soggetti classificati come depressi in base all‟alto punteggio al Children‟s Depression Inventory (CDI) si descrivevano come studenti meno strategici e metacognitivi rispetto ai non depressi (basso punteggio al CDI). Al fine di valutare gli effetti specifici della depressione sulle abilità metacognitive, nel secondo studio è stato misurato anche il livello d‟ansia. I soggetti erano 322 adolescenti frequentanti il primo anno di una scuola media superiore (13-16 anni), classificati come depressi ansiosi, depressi non ansiosi, non - 126 - depressi ansiosi e non depressi non ansiosi sulla base del punteggio al Children‟s Depression Inventory e allo State Trait Anxiety Inventory. Secondo quanto emerso dai risultati la maggior parte degli effetti trovati sarebbe specifica della depressione. In effetti, si è osservato che, di fronte ad un materiale da apprendere, gli studenti depressi non sono in grado di organizzarsi, non riconoscono la necessità di ricercare una strategia che sia la migliore in relazione a quanto verrà loro richiesto nella fase di verifica; incontrano difficoltà nel regolare la propria attenzione e concentrazione; e non hanno la capacità di valutare il proprio livello di preparazione. Di conseguenza, sembrano meno motivati e affrontano lo studio in modo passivo. Tali deficit metacognitivi possono spiegare le maggiori difficoltà che spesso questi studenti incontrano a scuola. D‟altra parte il rendimento scadente tende ad acuire i problemi di autostima e quindi a rafforzare la sintomatologia depressiva. In tale circostanza, training metacognitivi con studenti depressi potrebbero forse contribuire ad interrompere questo processo a catena e migliorarne l‟umore insieme al rendimento scolastico. - 127 - 3.3. LA DEPRESSIONE NEGLI ADOLESCENTI 3.3.1. Precisazioni sulla depressione adolescenziale Come già riferito in premessa, i disturbi dell‟umore sono stati a lungo sottostimati tra gli adolescenti. Diverse ragioni stanno alla base di questa sottovalutazione: 1. Molti autori hanno sottolineato che l‟umore depressivo a questa età non sia stabile, di conseguenza risulta difficile fare una diagnosi categoriale sicura. 2. Un‟altra ragione, è che per molti anni si è fatto riferimento al concetto troppo generale di “crisi”, derivato dai primi lavori psicoanalitici sull‟adolescenza; ciò ha reso senz‟altro difficile definire un processo psicopatologico preciso. 3. Una terza ragione è sicuramente legata alle diverse manifestazioni di richiesta di aiuto. Queste ultime vanno dai disturbi del comportamento, più spesso frequenti tra i ragazzi, fino ai disturbi detti funzionali, più spesso presenti nelle ragazze. È importante citare tutta una serie di atteggiamenti presenti nell‟adolescente depresso, quali: lamentele di dolori corporei, difficoltà scolastiche, mancata frequenza scolastica, condotte delinquenziali, condotte bulimiche o anoressiche, condotte di dipendenza, e chiaramente tentativi di suicidio. Dal punto di vista sintomatologico, la depressione adolescenziale assomiglia per alcuni aspetti a quella dell‟adulto; tuttavia, come suddetto, è possibile osservare nell‟adolescente quadri depressivi - 128 - diversi. A tal proposito, è possibile distinguere diversi tipi di manifestazioni depressive in adolescenza (cfr. Marcelli, Braconnier, 1999): 1. può osservarsi uno stato di noia o di “morositè”, legato ad un rifiuto da parte dell‟adolescente di investire il mondo degli oggetti, oppure un umore depresso dovuto ad una svalorizzazione rivolta verso se stessi, caratterizzata da crisi di pianto, o infine una instabilità affettiva accompagnata da momenti di relativa eccitazione; 2. crisi depressive o più spesso ansioso- depressive con frequenti momenti di pianto, a volte idee di morte, accompagnate da disturbi del sonno e dell‟alimentazione; ciò dura una o due settimane, ma può evolvere anche in uno stato depressivo vero e proprio; 3. l‟adolescente può presentare una sindrome depressiva grave, caratterizzata da rallentamento psicomotorio, senza però una espressione del viso particolarmente depressa; a volte ha un‟aria ostile, irritata o del tutto indifferente. Il suo pensiero è polarizzato su temi di insufficienza, inadeguatezza, incapacità, colpevolezza, idee di morte, difficoltà a concentrarsi e disturbi del sonno, ecc.. Due particolari forme di depressione che si presentano in adolescenza sono: la depressione di inferiorità e la depressione mascherata. La prima è un tipo di depressione, che si manifesta attraverso una diminuzione della stima di sé e attraverso sentimenti di inferiorità. Certamente questo calo della stima di sé - 129 - è normalmente presente in molte depressioni, ciò nonostante occupa in questo caso un posto privilegiato. Clinicamente essa si manifesta nell‟adolescente con un sentimenti di abbandono (l‟adolescente non si sente amato dagli altri, soprattutto dai suoi parenti) e di svalorizzazione. Il soggetto affetto da siffatta forma depressiva si sente stupido, sfavorito dal punto di vista estetico e pertanto può sviluppare atteggiamenti reattivi o difensivi per poter dimostrare il suo valore (cfr. Marcelli, Braconnier, 1999). Viceversa, il soggetto con depressione mascherata può presentare i seguenti sintomi: insonnia, stanchezza, anoressia, cefalea, disturbi gastro - intestinali; sicchè risulta difficile porre la diagnosi differenziale con l‟ipocondria o i disturbi psicosomatici (Braceland, 1966). Una manifestazione comune di depressione mascherata è l‟alcoolismo (Arieti, 1991). In effetti sono molti i giovani depressi che nascondono la loro depressione facendo un uso eccessivo di alcool, e pertanto vengono considerati alcolizzati. Tuttavia essi rivelano spesso la loro depressione negli intervalli liberi da alcool. La depressione mascherata si può presentare anche sotto forma di irrequietezza, iperattività, problemi di concentrazione, atteggiamenti antisociali quali: ostilità, aggressività e comportamenti spericolati. - 130 - 3.3.2. La depressione: epidemiologia e fattori di rischio Epidemiologia In questo lavoro è utile segnalare che da vari e recenti studi clinici ed epidemiologici passati in rassegna risulta che: 1. la depressione è più comune tra le donne che tra gli uomini; 2. l‟età d‟esordio è prevalentemente l‟adolescenza; 3. i tassi di prevalenza e di incidenza della depressione nell‟adolescenza sono più alti per le femmine che per i maschi. Uno di primi studi epidemiologici, esaurientemente descritto da Rutter (1994) è stato quello effettuato sui disturbi emozionali, comportamentali e fisici della popolazione dell‟Isola di Wight (con un campione di 3500 individui), realizzato a metà degli anni ′60. I dati emersi dalla suddetta ricerca rivelano che i sintomi depressivi sono maggiormente frequenti all‟età di 14-15 anni piuttosto che a 10-11 anni. Inoltre essi sono abitualmente presenti nelle giovani donne. Molti altri studi epidemiologici mostrano che la percentuale di donne che soffrono di depressione in periodi della loro vita varia dal 2% al 25% e la differenza nell‟incidenza della depressione tra uomini e donne si rende evidente già nell‟adolescenza. Recenti ricerche su popolazioni di teenagers di sesso femminile indicano una prevalenza (casi per un anno) di circa il 17% di disturbi ansiosi depressivi (Visconti, 1997). - 131 - In particolare i risultati di alcuni studi epidemiologici sulla depressione nella popolazione generale mostrano un crescente aumento della prevalenza della depressione e indicano le donne adulte e giovani come fasce di popolazione a rischio più elevato rispetto alle altre fasce. Un recente lavoro di ricerca epidemiologica condotto presso l‟Harvard Medical School e il Massachussetts General Hospital di Boston (USA) sull‟andamento della prevalenza della depressione mostra un aumento del 5% dal 1970 al 1992 che ha interessato in particolare le donne più giovani (Murphy et al, 2000). Conferme, sull‟alta prevalenza della depressione nelle donne adulte e adolescenti, provengono anche da numerosi ricercatori che si sono occupati delle differenze di genere nelle sindromi psichiatriche. Tra questi citiamo Susan Nolen Hoeksema (NolenHoeksema, 1990) che ha analizzato uno studio condotto nell‟80 dal National Institute of Mental Health su 9453 persone in tre città degli Stati Uniti alle quali era stata somministrata la "Diagnostic Interwiew Schedule". Dai dati risulta che la percentuale di donne, con una diagnosi di depressione emessa nei sei mesi precedenti la somministrazione dell‟intervista, è più alta (4%) di quella degli uomini (1,7%) al di là dell‟età dei soggetti intervistati. La Nolen aggiunge che la differenza rispetto al sesso, per quanto riguarda i sintomi depressivi, non emerge nell‟infanzia e nella preadolescenza. Nell‟adolescenza, invece, la variabile di genere diventa significativa: la percentuale di ragazze con depressione risulta più alta rispetto a quella dei coetanei - 132 - maschi. Da altre ricerche su campioni di preadolescenti la percentuale dei maschi rispetto a quelle delle femmine risulta più alta, in relazione ai disturbi depressivi. I risultati di una ricerca condotta da Anderson e colleghi nell‟87 (Anderson et al., 1987) su 792 ragazzi (maschi e femmine) di undici anni mostrano che al 2% dei maschi e solo allo 0,5% delle femmine corrispondeva una diagnosi di depressione. Questa proporzione cambiava in senso inverso per i soggetti adolescenti: su un campione di 150 ragazzi dai 14 ai 16 anni gli stessi ricercatori rilevarono solo il 2,7% dei maschi depressi contro il 13,3% delle femmine. Fattori di rischio della depressione In relazione all‟insorgenza adolescenziale le varie della depressione in età ricerche epidemiologiche e cliniche passate in rassegna hanno indicato una vasta gamma di fattori di rischio correlabili a ipotesi eziologiche. Tra i fattori di rischio maggiormente evidenziati si segnalano i seguenti: Il genere femminile Epidemiologi e clinici concordano sul dato che il numero di ragazze con disturbi depressivi è superiore a quello dei maschi della stessa fascia d‟età. I cambiamenti ormonali della pubertà La ricerca neurobiologica evidenzia che durante la pubertà avvengono dei cambiamenti ormonali che, oltre a produrre marcate trasformazioni fisiche - 133 - e caratteristiche sessuali specifiche per ciascun genere, incidono sul funzionamento cerebrale e possono pertanto influenzare l‟umore modulando il “rilascio” di alcuni neurotrasmettitori associati all‟umore, in particolare, la norefrinefrina e la serotonina (Kandel et al., 1998). In particolare l‟elevata complessità dei cambiamenti nei livelli di estrogeni, progesterone e di altri ormoni femminili provocherebbe l‟esordio della depressione nelle adolescenti e spiegherebbe il dato epidemiologico di una maggiore morbilità delle femmine rispetto ai coetanei maschi. Questa spiegazione “ormonale” della depressione femminile è ampiamente accettata in campo medico ma, come rilevano altri numerosi ricercatori, a tutt‟oggi non risulta ancora supportata da prove validabili scientificamente. Lo sviluppo delle caratteristiche sessuali secondarie Alcuni ricercatori ipotizzano che lo sviluppo delle caratteristiche sessuali secondarie influenzi, in maniera più significativa del cambiamento ormonale, lo sviluppo emozionale degli adolescenti e che quelle caratteristiche inciderebbero sull‟autostima in maniera diversificata rispetto al genere (Brooks-Gunn, 1988). Infatti le ragazze valuterebbero negativamente i cambiamenti fisici che accompagnano la pubertà. Esse soffrirebbero per l‟aumento di peso adiposo e per la perdita dell‟immagine snella e longilinea del periodo prepuberale, idealizzata dalla moda. I ragazzi, al contrario, sarebbero soddisfatti dell‟aumento della massa muscolare e degli altri cambiamenti puberali del loro corpo; a sua volta il gradimento della propria immagine corporea - 134 - risulterebbe più strettamente correlato all‟autostima nelle ragazze che nei ragazzi, per cui atteggiamenti negativi nei riguardi dei cambiamenti fisici apportati dalla pubertà produrrebbero nelle ragazze bassi livelli di autostima e quindi una maggiore vulnerabilità alla depressione. La predisposizione genetica Diversi studi sulla ereditarietà della depressione evidenziano che la frequenza delle forme depressive nei parenti di 1° grado (genitori, fratelli e figli) dei pazienti affetti da depressione è maggiore di quella che si osserva nel resto della popolazione. La frequenza globale di concordanza per i gemelli monozigoti è all‟incirca del 50%; la frequenza per i gemelli dizigoti è all‟incirca del 10%. I gemelli omozigoti allevati separatamente hanno una concordanza che va dal 40% al 60% simile a quella dei gemelli allevati insieme (Kandel et all, 1998). L'alcolismo o l'abuso di droghe dei genitori L‟alcolismo o l‟abuso di droghe di uno o di entrambi i genitori sono considerati fattori ostacolanti (nei figli) lo sviluppo di strategie di coping e di abilità sociali e quindi produrrebbero vulnerabilità alla depressione (Martin, 1995). La depressione della madre È più probabile avere una madre depressa che non un padre, essendo la depressione più comune nelle donne che negli uomini. La depressione materna, secondo numerosi ricercatori, può aumentare nei figli adolescenti il rischio di insorgenza di disturbi depressivi. Oltre che con spiegazioni genetiche di cui si è detto - 135 - prima, questo dato viene spiegato, dalle ricerche psicosociali, in termini di risposta soggettiva dell‟adolescente ad un contesto ambientale negativo (Martin, 1995). La disfunzionalità familiare e lo stile dei genitori È stata identificata una stretta relazione tra disfunzionalità familiare e disordini depressivi negli adolescenti. La qualità della relazione familiare è associata alla presenza negli adolescenti della depressione, dello stato di non salute e/o di comportamenti di acting-out. Adolescenti con relazioni familiari non compatte hanno riportato una prevalenza di depressione, tre volte superiore a quella degli altri coetanei. Eventi di vita La ricerca psicosociale ha correlato all‟insorgenza nello sviluppo dei disturbi depressivi negli adolescenti alcuni eventi di vita (life event stressors) che possono essere vissuti come trauma e che comunque richiedono notevoli sforzi adattativi in quanto producono incisive e repentine modificazioni nell‟esistenza dell‟adolescente. Tra gli eventi di vita più frequentemente segnalati troviamo: la perdita di un genitore. In molte ricerche viene sottolineato il peso esercitato dalla morte di un genitore nell‟insorgenza della Depressione Maggiore nell‟adolescente. Alcuni ricercatori come Brown e Harris (1978) considerano in particolare la morte della madre prima degli undici anni come un fattore di vulnerabilità alla Depressione in età adulta, nel caso in - 136 - cui la perdita sia seguita da situazioni di carenze di cure e di relazioni significative. Il divorzio dei genitori Da alcuni studi longitudinali risulta che la depressione è più comune anche se lievemente, negli adolescenti figli di divorziati. Le violenze sessuali e i maltrattamenti fisici La letteratura su queste tematiche evidenzia che le violenze sessuali e i maltrattamenti subiti nell‟infanzia e nell‟adolescenza possono scatenare, nell‟immediato, risposte patologiche e/o agiscono da incubatori di futuri disturbi psicofisici in età adulta, tra cui i disturbi depressivi (Mary Seeman, 1995). Alcune ricerche retrospettive sugli effetti in età adulta delle violenze e dei maltrattamenti subiti in adolescenza indicano che il numero di adolescenti femmine vittime delle violenze è maggiore di quello dei coetanei maschi e che questo dato sarebbe correlabile al fenomeno della maggiore diffusione della depressione nella popolazione femminile adolescente ed adulta rispetto a quella maschile. L‟American Psychological Association (APA, 2000) segnala che circa il 37% delle donne ha subito violenze prima dei 21 anni e che questo dato rappresenta solo una sottostima del fenomeno. Anche altri studiosi, in tempi recenti, segnalano che le violenze sessuali perpetrate sui minori oltre che a provocare immediate reazioni psicofisiche tra cui la depressione rendono le vittime, una volta diventate adulte, soggetti ad alto rischio di depressione e/o di altre patologie. - 137 - La perdita di un legame affettivo e il fallimento negli studi Le statistiche forniscono dati allarmanti sui suicidi e i tentativi di suicidio compiuti dagli adolescenti in seguito soprattutto a tali eventi. Il suicidio è la terza causa di morte nei giovani dai 15 ai 24 anni, con una punta tra i 15 e i 19 anni per le femmine e intorno ai 20 anni per i maschi (American Academy of Pediatrics, 2000). Alcune caratteristiche della personalità I ricercatori che ipotizzano un collegamento tra specifici stili di personalità e sviluppo della depressione individuano tale collegamento in personalità di adolescenti caratterizzate da mancanza di assertività, pessimismo, dipendenza e tendenza a rimuginare sulle cose. Queste caratteristiche di personalità possono ostacolare l‟attivazione delle risorse dell‟adolescente per affrontare adeguatamente eventi di vita stressanti producendo così risposte di tipo depressivo. Alcuni studi rilevano che la passività e il “ruminative style of coping” è prevalente nelle donne adulte e adolescenti (Hoeksema et al., 1991). Inoltre le adolescenti con stile di personalità di tipo ruminativo risulterebbero più depresse dei coetanei maschi (Girgus et al., 1991). Le caratteristiche di personalità implicate nella depressione sarebbero correlabili all‟influenza dei modelli educativi tradizionalmente improntati per le donne alla dipendenza, alla passività e alla repressione (Reale, 1998). - 138 - La bassa autostima In quasi tutte le ricerche psicologiche passate in rassegna l‟autostima e la depressione risultano inversamente proporzionali. La bassa autostima è riscontrabile in adolescenti con situazioni familiari difficili, genitori alcolisti o tossicodipendenti e in adolescenti che hanno subito abusi sessuali. In queste situazioni un fattore che contribuisce al mantenimento della bassa autostima e che quindi incide indirettamente sulla depressione è la solitudine. Solitudine e basso livello di autostima costituiscono fattori predittivi della depressione nell‟adolescenza (Martin, 1995). - 139 - 3.4. DIAGNOSI E TRATTAMENTO TERAPEUTICO NELLA DEPRESSIONE DEGLI ADOLESCENTI Partendo dal presupposto che negli adolescenti non si manifesta un quadro con tutti i sintomi tipici della depressione, quale di solito si palesa negli adulti; ciò rende difficile una corretta diagnosi, nonché stabilire se i tratti riscontrati sono solo manifestazioni transitorie del tumultuoso periodo di passaggio, che è per l‟appunto l‟adolescenza, oppure spie di una patologia depressiva in atto. Infatti, negli adolescenti, l‟aspetto tipico della depressione può essere poco evidente e lasciare il campo a “equivalenti depressivi”, quali disobbedienza, noia, faticabilità, dolori addominali, ipocondria, esibizionismo, inclinazione ad agire, che mascherano una sofferenza depressiva non apertamente manifestata (Cappelli, Cimino, 2002). Malgrado il considerevole numero di studi sull‟argomento, ancora oggi è difficile distinguere tra normalità e patologia dei fenomeni depressivi in adolescenza. A tal proposito, Vaneck (1978) afferma che: “l‟adolescente oscilla costantemente tra una condizione che tende alla depressione ma che non è patologica ed è dotata anzi di valenze strutturanti, e il pericolo rappresentato dalla caduta in un vero e proprio stato depressivo”. Tuttavia, secondo i criteri diagnostici del DSM-IV (APA, 1994), (che non considera in dettaglio i cambiamenti nella fenomenologia del disturbo depressivo che si presentano nel corso del ciclo vitale) solo due sono gli aspetti tipici della depressione nell‟infanzia e nell‟adolescenza. Essi sono: - 140 - 1. l‟irritabilità come il tratto più evidente di un‟alterazione dell‟umore di tipo disforico; 2. la durata di tale alterazione per almeno 1 anno (mentre per gli adulti si considerano 2 anni). Inoltre, il DSM-IV non ritiene che per l‟infanzia e l‟adolescenza si possano discriminare, come avviene per l‟adulto, le sindromi della “depressione maggiore” e della “distimia”. Per il resto la classificazione dei disturbi dell‟umore proposta per l‟adulto, viene pressoché utilizzata anche per gli adolescenti. In ogni caso, per fare una corretta diagnosi è essenziale che l‟alterazione dell‟umore sia primaria e non secondaria a qualche altro disturbo. Infatti, è noto che nella fanciullezza molti altri disturbi, come il Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività, il Disturbo della Condotta e i Disturbi dell‟Apprendimento, producono frequentemente e regolarmente almeno un certo scoraggiamento. Analogamente, quando l‟alterazione è lieve e sembra provenire da stress psicosociale acuto, si dovrebbe prendere in considerazione una diagnosi di Disturbo dell‟Adattamento. Se la qualità dell‟alterazione dell‟umore è lieve ma cronica, comunque, la distimia è adeguata. Tra i Disturbi dell‟Umore, i Disturbi Depressivi sono quelli più frequentemente identificati nel gruppo dell‟età pediatrica, ma vi sono prove rilevanti che gli Episodi Maniacali siano sottodiagnosticati nell‟adolescenza. D‟altra parte, il ritardo psicomotorio, l‟ipersonnia e i deliri sono più spesso indice di depressione negli adolescenti e negli adulti piuttosto che nei bambini (cfr. Rapoport, Ismond, 2004). Inoltre - 141 - per la diagnosi differenziale, specie rispetto al Disturbo della Condotta e al Disturbo Oppositivo Provocatorio, è possibile riscontrare che nei bambini e negli adolescenti i sintomi depressivi sono fortemente associati con comportamenti antisociali, cosicché può essere difficile distinguere l‟irritabilità nel Disturbo Oppositivo Provocatorio dall‟irritabilità come sintomo depressivo in un Episodio Depressivo Maggiore. Per esempio, se un bambino è disattento, ha scarsa autostima ed è irritabile, come verrà condotta la distinzione diagnostica? In tal caso bisogna tener conto che per la diagnosi del Disturbo Oppositivo Provocatorio è richiesta la presenza di comportamenti che non dovrebbero manifestarsi esclusivamente durante un Episodio Depressivo Maggiore o Distimico, ma presentarsi per un periodo particolarmente lungo, più lungo anche di un Episodio Depressivo Maggiore. Tuttavia, è opportuno mettere l‟accento su altre caratteristiche diagnostiche specifiche per la fanciullezza e l‟adolescenza. Nei bambini, i Disturbi Depressivi hanno una forte associazione sia col Disturbo della Condotta sia col Disturbo d‟Ansia di Separazione (Bird et al., 1998). In contrasto, il gruppo adolescente sembra seguire lo stesso pattern di alterazioni osservate nei casi adulti di Disturbo Depressivo Maggiore (Geller, Chestnut, Miller Price, Yates, 1985). Negli adolescenti, gli Episodi Depressivi Maggiori sono spesso associati con Disturbi da Deficit di Attenzione e da Comportamento Dirompente, come lo sono i Disturbi d‟Ansia, i Disturbi dell‟Alimentazione e i Disturbi Correlati a Sostanze. Nei - 142 - bambini prepuberi, vi è uguale incidenza di tutti i Disturbi dell‟Umore tra maschi e femmine, mentre nei gruppi di età maggiore le femmine prevalgono. Per quanto riguarda la mania, quest‟ultima è estremamente rara nei bambini prepuberi. Tuttavia, di recente, sono stati condotti ottimi studi volti a dimostrare che la diagnosi di mania nell‟adolescenza è, come già detto prima, trascurata dagli psichiatri infantili. In realtà la maggiore consapevolezza e l‟attenzione da parte dei clinici può evitare più gravi complicazioni, specie in prospettiva dei possibili benefici del trattamento con litio, che non può essere preso in considerazione se la diagnosi di Episodio Maniacale non viene fatta (cfr. Rapoport, Ismond, 2004). In ultimo deve osservarsi, che ai fini diagnostici, negli adolescenti depressi sono state riscontrate delle anomalie dei tracciati elettroencefalografici del sonno (EEG). In particolare si è evidenziato un tempo di latenza del sonno più lungo (specialmente negli adolescenti depressi che tentano il suicidio) e una diminuzione della durata delle ore di sonno (Dahl e al., 1990). Inoltre alcuni studi evidenziano, negli adolescenti con disturbo depressivo maggiore, un ridotto tempo di latenza nella fase REM (cfr. Kahn, Todd, 1990, cit. in Cappelli, Cimino, 2000). Per quanto riguarda la cura, il trattamento combinato (come detto in precedenza) che include due tipi di interventi: quello farmacologico e quello psicoterapeutico, è il più indicato. In realtà, il clinico di fronte ad un adolescente depresso non può - 143 - permettersi né di privarsi dell‟apporto relazionale e delle potenzialità evolutive sempre presenti, di cui il soggetto a questa età può beneficiare (approccio psicoterapeutico), né dell‟aiuto che i farmaci antidepressivi possono apportare in quello che c‟è di più fisicamente comportamentale nella struttura depressiva. A tutto ciò bisogna aggiungere il fatto che la presa in carico dell‟ambiente, e in particolare dei genitori, sia, per quanto possibile, parte integrante della strategia terapeutica. Ciò significa fornire aiuto anche a coloro che sono più vicini all‟adolescente depresso, soprattutto nelle interazioni che essi sono portati a vivere e negli atteggiamenti e nei controatteggiamenti che questi ultimi possono generare. Relativamente al trattamento farmacologico, i farmaci antidepressivi più utilizzati sono quelli di “nuova generazione”, ossia i farmaci serotoninergici: SSRI, fuoxetina (Prozac) e sertralina. Tali antidepressivi richiedono dalle due alle sei settimane di tempo per migliorare i sintomi della depressione e l'attesa può essere a volte deludente e stressante, ma è molto importante non interrompere la cura. Per questo è necessario che l‟adolescente abbia una famiglia o persone a lui care che lo controllino, affinché segua dettagliatamente la cura prescritta. Spesso, soprattutto in questi casi di depressione adolescenziale, vengono prescritti anche degli ansiolitici; ciò accade quando la componente ansiosa è predominante rispetto a quella depressiva. A tal riguardo le benzodiazepine o il buspirone sono gli ansiolitici più utilizzati e vengono prescritti in combinazione agli - 144 - antidepressivi. Deve osservarsi, che gli psichiatri consigliano il buspirone piuttosto che le benzodiazepine, sia per i minori effetti collaterali del primo rispetto alle seconde, sia per il minor rischio di assuefazione che il buspirone provoca. Infine per quanto concerne gli stabilizzatori dell‟umore, che come sappiamo vengono utilizzati per trattare specificamente i disturbi bipolari della depressione, il più utilizzato è il litio. Infine, per quanto riguarda la psicoterapia, essa assurge a strumento prioritario per la cura dei problemi relativi alla depressione adolescenziale. Tre sono le psicoterapie più utilizzate: La psicoterapia individuale Si tratta in generale di psicoterapia di ispirazione analitica, in cui gli interventi dello psicoterapeuta si focalizzano sul “qui ed ora” delle sedute. Di solito le sedute si succedono con una cadenza di tre alla settimana. La psicoterapia di gruppo e psicodramma individuale Questi approcci non hanno delle particolarità in rapporto al problema della depressione. Il gruppo può essere aperto, o preferibilmente chiuso (gli adolescenti si incontrano regolarmente in un quadro definito). Il gruppo è talvolta riservato ai soli adolescenti depressi, ma più spesso accoglie degli adolescenti che presentano una patologia più diversificata. Lo psicodramma è sia individuale, in cui un solo paziente mette in scena la rappresentazione che ha proposto con coterapeuti che giocano alcuni ruoli, sotto la direzione di un responsabile; e sia di - 145 - gruppo, in cui più adolescenti giocano ruoli che si ripartiscono dopo aver elaborato insieme uno scenario in presenza di almeno due terapeuti. La psicoterapia familiare L‟approccio familiare è una necessità frequente, in particolare quando la presenza dei genitori sembra giocare un ruolo induttore o anche patogeno nella depressione dell‟adolescente. Inoltre, l‟incontro con il gruppo familiare diviene ancor più necessario quando debbono essere discussi degli interventi concreti (come per es. l‟ospedalizzazione). È importante anche ricordare che i familiari, stando a stretto contatto con l‟adolescente, sono in grado di capire il rischio di un tentato suicidio da parte del ragazzo. Di solito, tra i comportamenti osservabili, che sono più frequentemente associati ad un rischio di suicidio, ricordiamo: 1. il parlare di morte, suicidio o il farsi del male; 2. presenza di panico e ansia cronica; 3. insonnia costante; 4. cambiamenti nelle abitudini di sonno e/o alimentari; 5. recenti e ripetuti fallimenti scolastici; 6. cessione di oggetti personali particolarmente cari. Infine per quello che riguarda il trattamento psicoterapeutico vero e proprio, è importante che l‟adolescente possegga determinate caratteristiche necessarie per poter ottenere risultati efficaci nel tempo; vale a dire che l‟adolescente deve essere motivato e deve dar prova di avere una tolleranza sufficiente al grado di frustrazione che la psicoterapia comporta. - 146 - Per motivazione al trattamento psicoterapeutico, deve intendersi un insieme di tre variabili che sono indispensabili affinché un adolescente si impegni in modo durevole in un trattamento. Queste tre variabili sono le seguenti. 1. Una curiosità sufficiente in rapporto al mondo psichico interno. In effetti, alcuni adolescenti danno prova di un interesse per i propri pensieri, le loro fantasie, i loro sogni, desiderando comprendere il perché dei loro pensieri e affetti; altri, al contrario, vanno alla ricerca di una causa esterna che impedisca loro di mostrare il minimo interesse per il proprio mondo rappresentazionale interno. 2. Un ansia ed un malessere diffuso che fanno soffrire l‟adolescente e un riconoscimento di questa ansia e malessere come proprio. Questo malessere e questa sofferenza debbono certamente essere moderate per non provocare un crollo del paziente, ma debbono essere altresì presenti per costituire una forte motivazione per il paziente. 3. Una stanchezza nei riguardi della propria sofferenza. Generalmente, è difficile che queste tre variabili si presentino assieme fin dall‟inizio delle prime consultazioni. Tuttavia, si potrebbe dire che l‟obiettivo terapeutico dei colloqui di valutazione è proprio quello di mettere l‟adolescente nella condizione di avvertire coscientemente la necessità di dette variabili. - 147 - CAPITOLO IV PRINCIPALI STRUMENTI PSICODIAGNOSTICI NELLA DEPRESSIONE ADOLESCENZIALE 4.1. INTRODUZIONE In via preliminare si ritiene opportuno descrivere un quadro generale sui test psicologici, che sono strumenti usati dallo psicologo per acquisire elementi di conferma o meno nel suo processo di chiarimento dei dubbi diagnostici e di comprensione dei problemi (Labella, 2001). Essi svolgono una funzione di mediazione fra ipotesi e realtà storica, ma non possono mai assurgere a dati oggettivi cui delegare la diagnosi; ossia sono strumenti che, nell‟ambito dell‟iter psicodiagnostico30, devono essere utilizzati: 1) per chiarire i dubbi diagnostici; 2) per conferme o per ulteriori spunti di riflessione da approfondire e verificare; 3) quando le informazioni ottenute dal colloquio clinico non sono sufficienti ad offrire degli elementi significativi per una caratterizzazione di diagnosi; 4) quando il contesto operativo lo richieda come compito professionale dello psicologo, come nell‟ipotesi dei servizi di psicodiagnostica; 5) per ottenere delle informazioni ulteriori che serviranno per programmare un futuro intervento. 30 L‟iter psicodiagnostico è un processo complesso, attraverso cui lo psicologo si impegna, nelle sue varie fasi, a fornire una risposta diagnostica al paziente. Le fasi dell‟iter psicodiagnostico sono: l‟analisi della domanda, la raccolta anamnestica, il colloquio, i test e la restituzione/referto. - 148 - I test danno sempre informazioni parziali e, pertanto sono strumenti “necessari ma non sufficienti” per fare una diagnosi. Normalmente, un test deve possedere determinate caratteristiche. Esso deve essere: 1) Valido. Un test deve misurare il costrutto che dichiara di misurare. 2) Attendibile. Il concetto di attendibilità assume due distinti significati: uno si riferisce alla stabilità dello strumento nel tempo (attendibilità test-retest), ossia alla replicabilità dei risultati per ciascun soggetto; l‟altro, alla coerenza interna, ovvero tutti gli item che compongono il test misurano la medesima variabile, oggetto di studio. 3) Un test deve possedere delle norme statistiche. Esso deve essere standardizzato, in modo tale che i risultati siano quantificabili in modo corretto. 4) Un test deve essere adeguato ai soggetti da esaminare. Prima di somministrare il test, il ricercatore deve tener conto di una serie di fattori, quali: età, livello di scolarizzazione, motivo per cui il soggetto decide di sottoporsi al test, ecc.. Per esempio, l‟MMPI (Minnesota Multiphasic Personality Inventory) è un inventario di personalità che non può essere applicato a soggetti con basso livello culturale, infatti questi ultimi, per paura di non comprendere gli item, potrebbero chiedere delle spiegazioni all‟esaminatore; ciò come sappiamo andrebbe ad inficiare la veridicità del test. 5) Facilità di uso ed economicità. Quest‟ultima caratteristica, che un buon reattivo deve possedere, è richiesta soprattutto nelle strutture pubbliche, ove il tempo a disposizione da dedicare ad ogni paziente è davvero poco. In linea generale, si è soliti distinguere i test in due - 149 - categorie: test di rendimento (es. WAIS-R) e test di personalità. Questi ultimi è possibile suddividerli in altre due categorie: test oggettivi o strutturati, in cui lo stimolo definito, ammette solo risposte limitate; e test proiettivi o non strutturati, in cui lo stimolo, volutamente ambiguo, permette un‟ampia gamma di interpretazioni. È importante sottolineare che le differenze tra le tecniche oggettive e quelle proiettive non risiede nello scopo, in quanto entrambe si prefiggono la descrizione della personalità dell‟uomo e l‟individuazione delle caratteristiche di comportamento, quanto piuttosto nel modo in cui vengono raccolte e valutate le informazioni (Labella, 2001). I test oggettivi sono costituiti da: 1) inventari, 2) questionari, e 3) rating scale. I test proiettivi si differenziano tra di loro in base al tipo di stimolo (cfr. Liss, 1998). Essi sono: 1) test grafici (basati sulla produzione di disegni), 2) test tematico-costruttivo (basati sul racconto e/o costruzione di storie), 3) test strutturali (basati su macchie), 4) test di completamento di parole (il compito consiste nel completare parole, frasi, racconti). Dopo aver introdotto le principali tecniche psicometriche, è opportuno ritornare all‟argomento oggetto di studio. I più famosi test utilizzati per valutare la patologia depressiva sono: il Beck Depression Inventory-BDI (Beck et al., 1961), la Self-rating Depression Scale-SDS (Zung,1965), l‟Inventory of Depressive Symptomatology-IDS (Rusch et al., 1985), e la Center for Epidemiologic Studies- Depression scale-CES-D (Radloff,1997). Tuttavia, questi reattivi vengono comunemente utilizzati su - 150 - soggetti adulti; invece, test adeguati a valutare, in modo specifico, la depressione negli adolescenti sono: il Test dell‟Ansia e della Depressione nell‟infanzia e nell‟adolescenza (TAD), il Children‟s Depression Inventory (CDI) e il Childrens Depression Scale (CDS). - 151 - 4.2. TEST DELL’ANSIA E DELLA DEPRESSIONE NELL’INFANZIA E ADOLESCENZA (TAD) 4.2.1. Fondamenti psicologici e aspetti generali del TAD Il test dell‟Ansia e della Depressione nell‟infanzia e nella adolescenza (TAD) è uno dei più famosi strumenti di valutazione, che è stato messo a punto per aiutare il personale specialistico che opera nella scuola (psicologi, pedagogisti e insegnanti di sostegno) e gli operatori della salute mentale al fine di identificare l‟ansia e la depressione nei bambini e negli adolescenti. Il TAD (Depression and Anxiety in Youth Scale) è stato ideato da Newcomer, Barenbaum e Bryant nel 1995, per essere somministrato a bambini e adolescenti di età compresa tra i 6 e i 19 anni. Esso fornisce tre fonti di dati sui pensieri, le emozioni e il comportamento del ragazzo: le valutazioni da parte degli insegnanti, le valutazioni da parte dei genitori (o di chi ne fa le veci) e le autovalutazioni da parte dei ragazzi stessi. Pertanto, tali informazioni, che provengono da prospettive diverse, servono a far luce sul mondo interiore del ragazzo e rivelano l‟entità dei problemi che lo affliggono nel suo ambiente, ovvero a scuola e a casa. La base teorica del TAD è rappresentata sia dal DSM-III-R (terza edizione, riveduta, del Manuale Diagnostico e Statistico dei - 152 - disturbi mentali), sia dagli studi più recenti che si occupano di depressione e di ansia; infatti, nel primo caso, le classificazioni dei disturbi d‟ansia e dell‟umore presenti nel DSM-III-R sono servite come fonte per creare item relativi ad ambedue i disturbi, nel secondo caso, le ricerche indicano che la relazione tra sintomatologia ansiosa e depressiva negli adolescenti è fenomenologicamente simile a quella degli adulti. Pertanto, il TAD è stato creato proprio per misurare questi sintomi, che figurano tanto nella patologia ansiosa e depressiva dei soggetti adulti, quanto in quella degli adolescenti. Il TAD, come si è detto, è stato costruito come strumento multidimensionale; è infatti composto da tre scale: la scala di autovalutazione per l‟alunno (Scala A), la scala di valutazione per l‟insegnante e/o sostituto (Scala I), e la scala di valutazione per i genitori o per chi ne fa le veci (Scala G). Ogni scala è stata costruita attraverso indagini sperimentali in cui gli item che attualmente la compongono sono stati selezionati tramite un processo a più fasi. La prima fase di questa procedura è stata quella di definire un vasto gruppo di item che rappresentasse molti aspetti dell‟ansia e della depressione. Gli item sono stati poi testati su vari soggetti. Le scale sono state usate da numerosi campioni di alunni dalla 1a classe elementare alla 4a superiore, e dai vari campioni di ragazzi diagnosticati come affetti da disturbi psicologici. Sono state inoltre garantite, quando possibile, le valutazioni di questi alunni da parte degli insegnanti e dei genitori. È stata successivamente condotta un‟attenta analisi degli - 153 - item per selezionare quelli che sembravano misurare in modo fedele e attendibile ogni costrutto concernente la depressione e l‟ansia. Di conseguenza, il TAD si è dimostrato un test: attendibile (sia dal punto di vista della stabilità nel tempo che della coerenza interna) e valido (in particolare si fa riferimento alla validità di contenuto, la validità legata al criterio e la validità di costrutto). Scala di autovalutazione per l’alunno (Scala A) La Scala A contiene 22 item: 11 misurano la depressione e 11 misurano l‟ansia. La struttura è quella della scala a 4 punti del tipo Likert che indica la frequenza e la gravità di ogni item, con risposte che variano da 1 (mai), 2 (qualche volta), 3 (spesso), a 4 (quasi sempre). La maggior parte degli item rappresenta pensieri e sentimenti, piuttosto che comportamenti. Per esempio, item che denotano la depressione sono: “Mi odio. Ho voglia di uccidermi.” Item tipici, che misurano l‟ansia sono: “Faccio brutti sogni. Mi sento solo.” Questo tipo di scala comporta un impegno molto limitato di risorse e di tempo; infatti, normalmente gli alunni possono completare tale Scala in 15-20 minuti; tuttavia, gli item devono essere letti ai non vedenti, cosa che richiede 3040 minuti. L‟attribuzione dei punteggi, da parte dell‟esaminatore, richiede circa 5 minuti per alunno. Scala di valutazione per l’insegnante (Scala I) La Scala I, per gli insegnanti, contiene 20 item e si avvale di una struttura vero/falso per identificare l‟assenza o la presenza di un comportamento o atteggiamento. Gli item sono formulati - 154 - positivamente o negativamente, come per esempio: “Gli piace la scuola. È spesso imbronciato.” Dei 20 item, 13 misurano la depressione e 7 misurano l‟ansia. Tutti gli item nella Scala I sono relativi all‟ambiente scolastico. Nonostante il processo di valutazione richieda all‟insegnante di fare delle inferenze, gli item si focalizzano comportamenti principalmente strettamente su correlati atteggiamenti e processo di al apprendimento e quindi di pertinenza dell‟insegnante o di altri membri del personale scolastico. È importante che le valutazioni siano condotte in maniera indipendente dai vari insegnanti (di solito, vengono scelti i due insegnanti che trascorrono più tempo con i ragazzi e che quindi li conoscono di più), in modo tale da non potersi consultare tra di loro prima della compilazione della scala. La Scala I dovrebbe essere compilata dagli insegnanti non più tardi di 5 giorni dopo che l‟alunno ha compilato la Scala A. Il tempo necessario per compilare questa scala è di 5 minuti. La Scala di valutazione per i genitori (Scala G) La Scala G, ideata per i genitori o per chi ne fa le veci, contiene 28 item formulati in modo positivo o negativo, e usa anch‟essa una struttura vero/falso. Questa scala è unica in quanto presenta tre dimensioni, anziché due; precisamente, oltre a misurare la depressione e l‟ansia, la Scala G valuta anche l‟incapacità dei ragazzi di mettersi in relazione con gli altri, ovvero il cosiddetto “disadattamento sociale”. Nel complesso, 7 item comprendono la componente di disadattamento sociale, 13 misurano la depressione e 8 misurano l‟ansia. Tutti gli item di questa scala - 155 - richiedono giudizi su atteggiamenti e comportamenti che riguardano gran parte dei comportamenti legati alla scuola, ma che comprendono anche aspetti più globali della vita del bambino. Di solito, il tempo richiesto per compilare questa scala varia dai 6 ai 10 minuti; e dovrebbe essere somministrata possibilmente entro 3-5 giorni dopo che il ragazzo ha completato la Scala A. Le ultime due scale: la Scala di valutazione per l‟insegnante (Scala I) e la Scala di valutazione per i genitori (Scala G), si sono rivelate veramente importanti per identificare sia il disturbo depressivo che quello ansioso. Invero, gli insegnanti ed in particolare i genitori sono le persone che vedono quotidianamente i ragazzi; pertanto sono in grado di rivelare delle informazioni accurate sul funzionamento cognitivo, emozionale e sociale dei ragazzi stessi. - 156 - 4.2.2. Somministrazione del test e attribuzione dei punteggi Il TAD è fondamentalmente uno strumento carta e matita, perciò può essere somministrato sia in gruppo che singolarmente. In ogni caso, il requisito fondamentale di idoneità è che l‟alunno capisca il significato degli item e comprenda le risposte. Normalmente, esso viene usato per diversi scopi: 1. identificare, attraverso la somministrazione individuale o di gruppo delle varie scale, sintomi o gruppi di sintomi che forniscono prove più significative dei livelli patologici di depressione e/o ansia; allo scopo di attuare efficaci interventi psicologici; 2. fornire agli specialisti i dati iniziali utili come base per un colloquio clinico più approfondito; 3. condurre ricerche su ansia e depressione e sul disagio psicologico; infatti, i dati a sostegno della validità e dell‟attendibilità del test (come già riferito) offrono una solida base per il suo uso nella ricerca clinica. Per usare il TAD, è opportuno che l‟esaminatore conosca le direttive professionali ed etiche che regolano l‟uso dei test psicologici; le conoscenze di base della statistica dei test; le procedure che regolano la somministrazione, l‟assegnazione, l‟interpretazione dei punteggi. Tuttavia, è importante che egli abbia una certa familiarità con il modello di classificazione dei disturbi d‟ansia e dell‟umore proposto dal DSM-III-R. - 157 - In generale, l‟esaminatore può garantire una somministrazione attendibile del test osservando 10 semplici regole: 1. avere la massima familiarità con i contenuti del manuale relativo al test; 2. somministrare la Scala A per l‟alunno in un ambiente ben illuminato, confortevole e privo di distrazioni; 3. dare indicazioni complete, incoraggiare a rispondere a tutte le domande e controllare i ragazzi mentre procedono nella compilazione del test, assicurandosi che non tralascino item e che non facciano confusione; 4. verificare che gli studenti capiscano lo scopo del test e svolgano il compito con serietà. Se qualcuno non è seriamente impegnato o ben motivato, interrompere il test e invalidare i risultati; 5. non dare suggerimenti su come rispondere a un item, ma offrire aiuto quando qualcuno non riesce a leggere o a capire gli item stessi; 6. non permettere agli alunni di discutere gli item o le risposte mentre stanno compilando la Scala A per l‟alunno. Non lasciare copiare da un compagno; 7. avere a disposizione matite e gomme in abbondanza da distribuire a chi ne è privo; 8. somministrare la Scala A in una seduta, attenendosi strettamente alle istruzioni del manuale; 9. garantire che le Scale I e G siano compilate poco dopo la Scala A, preferibilmente tra i 3 e i 5 giorni successivi (gli - 158 - esaminatori non dovrebbero conoscere altri risultati su questi aspetti psicologici); 10. assicurarsi che chi valuta gli alunni comprenda pienamente i concetti che si stanno misurando, così come lo scopo della valutazione. Per quanto riguarda i punteggi; il TAD ne prospetta tre tipologie: punteggi grezzi, percentili e punteggi standard. Dapprima, vengono calcolati i punteggi grezzi, direttamente dalle risposte fornite alle tre scale. Successivamente, attraverso apposite tabelle, i punteggi grezzi vengono convertiti in punteggi percentili e standard. Questo procedimento viene effettuato per tutte e tre le scale 4.2.3. Compilazione del protocollo Il protocollo di valutazione è stato concepito per inserire tutti i dati disponibili che riguardano le risposte di una persona al test TAD. Esso è diviso in quattro sezioni: la Sezioni I per i dati personali, la Sezione II per i punteggi del TAD, la Sezione III per un profilo dei punteggi del test e la Sezione IV per le impressioni e i suggerimenti clinici. Sezione I. Dati personali I dati importanti relativi alla persona che verrà valutata con il TAD comprendono il nome dell‟alunno, l‟indirizzo, la classe, - 159 - l‟età, la scuola e l‟eventuale storia clinica. Quest‟ultima informazione viene richiesta se il test è somministrato in ambienti clinici; viceversa, non appare pertinente in ambito scolastico. Sezione II. Punteggi I punteggi grezzi, i percentili e i punteggi standard di depressione e ansia per tutte e tre le scale e di disadattamento sociale soltanto per la Scala G vengono registrati negli spazi della Sezione II del protocollo di valutazione. Sezione III. Profilo dei punteggi Mentre nella Sezione II i risultati del TAD vengono riportati in forma numerica, in questa sezione gli stessi risultati vengono disposti graficamente. Per creare il profilo dello studente sono riportati sul grafico i punteggi standard per le componenti (depressione, ansia, e disadattamento sociale) di ogni scala che è stata completata. Uno sguardo veloce al profilo rivela dati che rientrano nella fascia problematica e mostra il grado di accordo o disaccordo tra gli esaminatori. Infatti, i punteggi TAD alti indicano livelli patologici (150 è il livello più alto e 50 il livello più basso). Sezione IV. Dati clinici La sezione che presenta i dati clinici del protocollo di valutazione è importante perché fornisce all‟insegnante, allo psicologo, allo psichiatra o alle altre persone che collaborano nel processo diagnostico l‟opportunità di annotare impressioni e suggerimenti - 160 - 4.2.4. Interpretazione e comunicazione dei risultati Come indicato precedentemente, il TAD fornisce tre tipi di punteggi per ogni scala: punteggi grezzi, percentili e punteggi standard. Questi punteggi sono le informazioni più importanti perché offrono un fondamento oggettivo per valutare i sentimenti e gli atteggiamenti, indicativi della salute mentale del ragazzo. Come osservato in precedenza, i punteggi grezzi sono semplicemente il numero di punti in ogni scala del TAD. Essi forniscono un‟impressione generale della situazione di un alunno, soprattutto quando sono estremi. I percentili, chiamati anche punteggi o ranghi prercentili, rappresentano i valori su una scala di 100 che indicano la percentuale (di distribuzione) uguale o inferiore a quel valore. Ciò nonostante, l‟indicazione più chiara e accurata della posizione di un alunno nel TAD è fornita dai punteggi standard. Per ciascuna delle tre scale del TAD, il punteggio medio standard è stato fissato a 100 e la deviazione standard a 15. Le categorie di punteggi standard offrono quindi la possibilità di interpretare e confrontare i risultati di ogni componente ─ depressione, ansia e disadattamento (solo con Scala G) ─ di ciascuna scala. In effetti, come già detto, punteggi standard alti possono contribuire alla formulazione di una diagnosi, ma sono di per se stessi insufficienti per porre una diagnosi definitiva di stati clinici depressivi o ansiosi. Tale livello di diagnosi è possibile quando i - 161 - dati del test sono integrati da colloqui diagnostici approfonditi, condotti da personale clinico specializzato. In conclusione è importante che i risultati ottenuti siano resi noti alle sole persone legalmente autorizzate a ricevere tali informazioni e a coloro che hanno bisogno di conoscerle, tra cui altri specialisti, i genitori e il ragazzo stesso. Invero, la riservatezza è essenziale perché la persona ha diritto a tutta la privacy possibile; ciò indipendentemente dal contesto in cui l‟esaminatore opera. - 162 - 4.3. CHILDREN’S DEPRESSION INVENTORY (C. D. I.) 4.3.1. Descrizione e costruzione del C. D. I. Il Children‟s Depression Inventory (C.D.I.) è una scala di autovalutazione della depressione utilizzabile con soggetti dagli 8 ai 17 anni di età. La scala si presenta sotto forma di un questionario “carta e penna”, composto da 27 item, finalizzati a quantificare una ampia varietà di sintomi, inclusi i disturbi dell‟umore, della capacità di provare piacere, delle funzioni vegetative, della stima di sè e del comportamento sociale. Numerosi item indagano in modo specifico gli effetti della condizione depressiva in quei contesti che sono particolarmente rilevanti per il ragazzo (ad es. la scuola). Ciascun item prevede tre possibili alternative di risposta che il soggetto è invitato a scegliere sulla base “delle idee e dei sentimenti avuti nelle ultime due settimane”, indicando con un segno, nella casella corrispondente, la frase che “descrive meglio come si è sentito ultimamente”. L‟esaminatore valuta ogni risposta su una scala da 0 a 2 punti, nella direzione di una gravità crescente della sintomatologia; il punteggio totale può variare, quindi, da 0 a 54. Circa il 50% degli item ha inizio con la frase che riflette il livello maggiore di gravità del sintomo, per il resto la sequenza delle alternative è invertita, risultando sempre al centro le frasi che suggeriscono una sua presenza lieve. - 163 - Il Children‟s Depression Inventory (C.D.I.) è stato ideato da Maria Kovacs e pubblicato negli Stati Uniti nel 1977, dopo un lungo lavoro di studio iniziato nel 1975, con la revisione del Beck Depression Inventory (BDI), questionario (composto da 21 item) che, come precedentemente riferito, viene somministrato a soggetti adulti. La scelta di una scala per adulti quale punto di partenza per la costruzione del C.D.I. era incoraggiata dalla ricerca psichiatrica nordamericana, che sempre più tendeva a riconoscere la validità di tre principi, inizialmente assai controversi: 1. la depressione è possibile nel bambino; 2. essa può essere osservata e misurata; 3. le sue caratteristiche sono in larga parte sovrapponibili a quelle della depressione dell‟adulto. M. kovacs, in collaborazione con A. T. Beck, realizzò una prima stesura del CDI (marzo, 1975) adattando e semplificando il vocabolario del BDI con l‟ausilio di due gruppi di soggetti, sani ed ospedalizzati, dai 10 ai 15 anni di età, ai quali fu chiesto di suggerire come gli item potessero essere resi “chiari e comprensibili ai bambini”. Al termine di questa fase, l‟item del BDI relativo all‟interesse sessuale venne sostituito con un item sul “sentimento di solitudine” e furono aggiunti cinque item, concernenti il rendimento scolastico e l‟inserimento sociale. Successivamente nel 1976, fu proposta una prima revisione del test, con l‟inclusione di un nuovo item relativo ad “auto-accuse / auto-denigrazione”. Più tardi, nel maggio 1977, fu presentata - 164 - un‟altra revisione del questionario. In questa versione, due item originali (“vergogna” e “perdita del peso”) e due dei sei aggiuntivi (“conflitti denigrazione”) familiari” vennero sostituiti e “auto-accuse con quattro / item autoche sembravano più validi ed appropriati per l‟età (ad es. “sentimenti di non essere amato”). Gli item vennero ricomposti in un formato con tre possibilità di risposta per ciascuno di essi. Questo lungo percorso ha condotto alla versione finale del CDI (luglio, 1977), oggetto di ulteriori minime modifiche nel 1979. Quest‟ultima versione del test è stata tradotta in lingua italiana nel maggio del 1984, con il parere favorevole e la stessa collaborazione della Kovacs. In particolare la versione italiana è stata realizzata da Mayer R., Camuffo M., Cerreti R. e Lucarelli L., i quali hanno evidenziato l‟utilità e la possibilità d‟uso del CDI in Italia. 4.3.2. Somministrazione e istruzioni per l’esaminatore Il Children‟s Depression Inventory (CDI) è uno strumento clinico di ricerca che può essere somministrato individualmente o a piccoli gruppi. La somministrazione individuale è consigliabile per i soggetti con disturbi psichiatrici o nel caso esistano dubbi in - 165 - merito alla capacità del bambino/ragazzo di conservare la concentrazione necessaria. Generalmente, esso deve essere somministrato in un ambiente tranquillo e ben illuminato. Inoltre, occorre fare il possibile per mantenere viva l‟attenzione e sostenere la motivazione del soggetto. Infatti, se si avverte un calo di interesse, è consigliabile interrompere la somministrazione del questionario ed iniziare una conversazione informale o una attività di gioco prima di continuare. Di regola, al soggetto viene data una copia del CDI su cui segnare le risposte. L‟esaminatore leggerà ad alta voce gli item su un‟altra copia. Egli si collocherà in una posizione tale da poter osservare le risposte fornite dal soggetto medesimo; ciò gli consentirà di verificare se le istruzioni sono state comprese. In ogni caso, è opportuno che l‟esaminatore non faccia sentire eccessivamente la sua presenza. Ad eventuali domande che gli vengono poste dal ragazzo, l‟esaminatore dovrà rispondere in modo conciso e preciso. È indispensabile evitare qualsiasi forma di comunicazione verbale e non verbale che possa influenzare le risposte; è altresì necessario accertare che il soggetto abbia letto, insieme all‟esaminatore, tutte e tre le possibilità offerte da ogni singolo item prima di rispondere. Infine, se il soggetto è incerto sulla scelta e sostiene di non riconoscersi in nessuna delle tre frasi, l‟esaminatore lo deve incoraggiare ad indicare quella che meglio descrive ciò che ha provato o pensato nelle ultime due settimane. - 166 - 4.3.3. Determinazione del punteggio Per ciascun item del CDI, alle tre diverse possibilità di risposta si assegna un punteggio variabile da 0 a 2. Più alto è il valore numerico, più grave è clinicamente il sintomo valutato. La determinazione del punteggio totale si ottiene sommando i valori numerici relativi alle risposte per ciascun item. Tali valori vengono segnati dall‟esaminatore, al termine della somministrazione, negli appositi spazi, al lato di ogni item. Ad esempio, se all‟item n.1 il soggetto ha scelto “Molte volte sono triste”, questa risposta è valutata un punto. Nel caso il soggetto abbia fornito, in un item, più di una risposta, nel computo totale va tenuto conto soltanto della risposta con il punteggio più alto. Il punteggio totale del CDI è la somma dei punteggi dei singoli item. Pertanto, il punteggio totale (come già detto) può variare da 0 a 54. 4.3.4. Validità e attendibilità del C.D.I. Esaminando i dati in letteratura, sembra che il punto di forza del CDI sia la sua “coerenza interna”; in effetti, la buona attendibilità del questionario appare confermata dalle correlazioni itempunteggio totale, statisticamente significative nelle varie popolazioni esaminate. In merito all‟attendibilità test-retest del CDI, gli studi noti hanno indicato coefficienti di correlazione - 167 - statisticamente significativi soprattutto tra una prima somministrazione ed una seconda a breve-medio termine. A tal riguardo M. Kovacs ha ottenuto una correlazione test-retest pari a 0,82. Infine, per quanto riguarda la validità, la Kovacs ha anche in questo caso rilevato correlazioni altamente significative a favore della validità del test. - 168 - 4.4. CHILDRENS DEPRESSION SCALE (C. D. S.) 4.4.1. Definizione e principi teorici per l’elaborazione del C.D.S. Il Childrens Depression Scale è uno strumento di valutazione degli aspetti del fenomeno pre-depressivo o depressivo in età infantile e preadolescenziale, che focalizza la sua attenzione sia sul disagio come viene espresso dal bambino, sia sulla percezione che possono avere i genitori, gli insegnanti, ecc. Esso è stato progettato da Moshe Lang e Miriam Tisher nel 1978; successivamente nel 1983 è stato revisionato e nel 1984 è stato adattato e tradotto in italiano da S. Gori-Savinelli e F. MorinoAbbele. Il C.D.S. differisce dal lavoro di Kovacs e Beck dal momento che non deriva da nessun test per adulti, viceversa è stato elaborato in modo specifico per i ragazzi. Inoltre tiene conto dell‟ipotesi formulata recentemente da Kovacs e Beck (1977) e da Nowells (1977), secondo i quali sono molto importanti, per studiare il fenomeno depressivo, le osservazioni da parte di “figure rilevanti” come genitori e maestri. Pertanto, il C.D.S. viene somministrato ai ragazzi e forme della stessa scala, leggermente modificate, vengono somministrate ai genitori, agli insegnanti e ad altre persone rilevanti, alle quali si richiede di rispondere in base alla conoscenza che hanno del ragazzo. Gli autori, per la formazione degli item, si sono basati su di un attento esame di casi di psicoterapie, sul T.A.T., sulla - 169 - conclusione di casi di bambini depressi e anche sulla descrizione di fenomeni depressivi ed esperienze riportate dai vari studiosi. Questi item furono somministrati ad un vasto gruppo di bambini in trattamento al tempo della costituzione della scala. Ai bambini venne in seguito richiesto di commentare, modificare e/o suggerire nuovi item che esprimessero in modo più adeguato la propria esperienza. Dopo aver preso in considerazione alcune di queste modificazioni, il risultato fu una scala di 66 item (per es. “Spesso sento di non valere molto”, “Spesso mi sento solo”); di questi 66 item, 18 di tipo positivo (per es. “Mi diverto la maggior parte del tempo”) furono mescolati con i 48 item depressivi. Gli item, così formulati, avevano come scopo quello di introdurre varietà ed interesse e ridurre la possibilità che la somministrazione del C.D.S. avesse un effetto depressivo sul ragazzo. I 66 item del test, furono dunque raggruppati in sottoscale secondo criteri teorici e logici. Nel costruire le sottoscale si cercò di fare in modo che fossero considerati il maggior numero possibile dei caratteri della depressione infantile e infatti, le sottoscale sono simili alla definizione di depressione infantile. Fu fatto anche un tentativo per avere lo stesso numero di item in ogni sottoscala. - 170 - 4.4.2. Descrizione: scale e sotto-scale a) C.D.S. Il test completo contiene 66 item: 48 “depressivi” e 18 “positivi”. Questi due insiemi di item sono considerati scale indipendenti e viene dato loro un punteggio separato, classificato come punteggio “depressivo” e punteggio “positivo”. Le due scale principali del test si suddividono ciascuna in sottoscale in cui sono raggruppati gli item che si riferiscono ad aspetti simili della depressione infantile. La scala depressiva contiene cinque di queste sotto-scale e la scala positiva ne contiene una. Descriviamo brevemente ciascuna sottoscala: Risposte affettive: si riferisce al sentimento e alla tonalità emotiva del soggetto esaminato (8 item). Problemi sociali: si riferisce alle difficoltà nelle interazioni sociali, all‟isolamento e alla solitudine del ragazzo (8 item). Autostima: si riferisce agli atteggiamenti del ragazzo, ai concetti e ai sentimenti relativi al valore e alla stima che il ragazzo ha di sé (8 item). Paura delle malattie e della morte: si riferisce ai sogni del ragazzo, alle fantasie, alla possibilità di ammalarsi e morire (7 item). Senso di colpa: si riferisce al senso di colpa del ragazzo (8 item). Piacere: si riferisce alla capacità di scherzare e provare soddisfazione e felicità (8 item). - 171 - Gli item in ciascuna di queste sottoscale si escludono a vicenda, cioè ciascun item può appartenere ad una sola sottoscala. Ci sono 9 item depressivi che non si raggruppano in “cluster” e non appartengono a nessuna delle sottoscale. Questi sono valutati come “Miscellanea di item D”. In modo simile ci sono 10 item positivi che non appartengono ad una sottoscala; questi sono valutati come “Miscellanea di item P”. Quando si indaga sulla depressione di un bambino in particolare, è importante guardare sia il suo punteggio nelle sotto-scale, sia quello totale. Bambini diversi manifestano la loro depressione in modi diversi, queste sotto-scale rendono possibile ai vari aspetti della depressione infantile di essere considerati separatamente. b) C.D.S. Forma adulti Gli item del C.D.S. furono riformulati per es. da “spesso sento di non valere molto” a “spesso egli sente di non valere molto” (per i maschi) e “spesso lei sente di non valere molto” (per le femmine). Questi item costituiscono la forma-adulti del C.D.S. che fu elaborato per essere usato con i genitori, insegnanti e parenti del ragazzo al fine di “avere” un altro indice della depressione. Nella pratica clinica si è soliti chiedere anche ad altri di riferire sul comportamento del ragazzo o sul suo stato di benessere. Le risposte dei genitori e degli insegnanti sono state sistematicamente ottenute per mezzo di scale come la “Vineland Social Maturity Scale” (1936-65) e la “Britistol Social Ajustment - 172 - Guide” (1964). Tuttavia queste scale richiedono risposte solo dagli adulti e non chiedono le stesse cose al ragazzo. L‟uso del C.D.S. nella forma adulti dà un indice della depressione del ragazzo. In effetti, piuttosto che basarsi su di un unico soggetto che dà notizie, cioè il ragazzo, l‟esaminatore può avere informazioni sulla sua depressione, come minimo da due o più fonti. In seguito, tutte le informazioni ottenute sono usate per dare un indice della depressione del ragazzo; indice che è più attendibile e più completo di quanto sarebbe stato se ci si fosse basati soltanto sulle risposte di un solo individuo. Informazioni ancora più importanti sul bambino e la sua famiglia possono essere ottenute da un esame qualitativo di qualunque differenza tra i punteggi delle madri e dei padri, tra i genitori e il ragazzo, tra i genitori e gli altri. Tale esame può risultare importante a livello di item specifici. Il tipo di scheda facilita il procedimento. c) Materiale Il materiale originario del C.D.S. era il seguente: 1 Manuale 1 Serie di 66 cartoncini per i ragazzi (C.D.S.) 1 Serie di 66 cartoncini (C.D.S. forma-adulti) riferito ai maschi 1 Serie di 66 cartoncini (C.D.S. forma-adulti) riferito alle femmine. 5 Scatoline 5 Schede di registrazione dei dati. - 173 - Per facilitare la somministrazione sia individuale che in gruppo, l‟adattamento italiano ha preferito una forma a questionario. 4.4.3. Uso del C.D.S. Il C.D.S. è destinato ai ragazzi dai 9 ai 16 anni e cioè ai ragazzi che hanno la capacità di poter comprendere gli item. La scala può essere usata con i bambini più piccoli o con bambini che hanno difficoltà nella lettura se il terapista o colui che fa il test legge gli item a voce alta. La scala può essere usata quando si sospetta di depressione. Come si sa sono varie le sfumature che caratterizzano la depressione infantile, cioè il ragazzo sembra o si dice che è triste, infelice, che ha voglia di piangere, che è annoiato, chiuso, apatico, ha difficoltà sociali, bassa autostima, problemi psicosomatici, vale a dire mal di testa, dolori addominali, disturbi del sonno, ed è preoccupato della morte e delle malattie. Altri indici sono il lutto, la perdita di persone importanti, disturbi fisici, disgregazione del nucleo familiari. È necessario che, quando si fa il test ad un ragazzo, sia fatto il tentativo per farlo anche ai genitori o ad altre persone coinvolte in maniera significativa nella situazione del ragazzo, quali per - 174 - esempio gli insegnanti; usando, in questi casi, il C.D.S. formaadulti. Con famiglie in cui il paziente designato ha fratelli che abbiano dai 9 ai 16 anni si consiglia la somministrazione del test a ciascun fratello. (In alcuni casi, se c‟è tempo a disposizione, i fratelli possono fare anche il C.D.S. forma-adulti). Infatti, è stato scoperto che frequentemente la depressione si presenta come un problema di famiglia e che altri membri della famiglia stanno lottando con la loro depressione in un modo socialmente più accettabile (Agras, 1959). Pertanto, la somministrazione del C.D.S. ai fratelli può evidenziare una depressione prima non riconosciuta e quindi diminuire la sensazione del ragazzo di essere l‟unico con questo tipo di problemi. Questo modo di procedere può evitare di etichettare un bambino come paziente designato. Il C.D.S. può essere usato nel corso della terapia per due motivi: 1) facilitare la comunicazione del ragazzo, infatti gli item possono fornire le parole adeguate all‟esperienza del ragazzo, aiutandolo in questo modo a parlare di più o più liberamente di se stesso; 2) rassicurare il ragazzo che i sentimenti o gli atteggiamenti che può avere non sono unici. La somministrazione del C.D.S. e del C.D.S. forma-adulti in un contesto familiare può aiutare i membri della famiglia a comunicare e può rassicurare i genitori riguardo alla salute del proprio figlio. Infine il C.D.S. può essere usato con finalità di training. Il manuale presenta una definizione esauriente della depressione - 175 - infantile e dà una struttura chiara, dal punto di vista concettuale, in base alla quale colui che si sta preparando può farsi un‟idea sulla depressione infantile. La familiarizzazione con gli item incrementerà nell‟esaminatore l‟abilità a parlare al ragazzo in un linguaggio adeguato. 4.4.4. Somministrazione ed interpretazione del C.D.S. Il C.D.S, può essere somministrato sia individualmente che in gruppo. La somministrazione individuale deve essere fatta in una stanza dove il paziente è solo con l‟esaminatore. Questo è consigliato per due motivi: primo, il ragazzo si sentirà più a proprio agio, cosa che lo incoraggerà a sperimentare i propri sentimenti in maniera più autentica. Questo aumenterà la garanzia di una risposta valida. Secondo, si potranno anche osservare reazioni non verbali. Ciò consente una valutazione più precisa perché i risultati possono essere colti nel contesto del comportamento non verbale. La somministrazione in gruppo si adatta a gruppi naturali in ambienti clinici, per esempio per bambini che sono in gruppo psicoterapeutico o ricoverati in corsia d‟ospedale. In questi casi una somministrazione per piccoli gruppi del C.D.S. può rendere - 176 - la comunicazione più facile fra i membri del gruppo. La somministrazione del test in gruppo si può utilizzare anche a scopo di ricerca. Se si usa questa forma del test, l‟esaminatore deve lasciare del tempo, ai soggetti che lo desiderano, di parlare delle loro percezioni del C.D.S. e dei sentimenti che provano mentre rispondono. La somministrazione contemporanea del test al gruppo familiare presenta parecchi vantaggi purchè la stanza sia così vasta che ogni soggetto esaminato possa avere una zona che salvaguardi la sua riservatezza mentre fa il test. Talvolta i soggetti rimangono sorpresi quando scoprono fino a che punto vanno o no d‟accordo con altri membri della famiglia. Il C.D.S. richiede risposte dirette dal paziente che riguardano lo stato delle sue sensazioni, dei suoi pensieri e il suo comportamento. La validità dei risultati al C.D.S. è perciò in funzione dell‟onestà e dell‟apertura con le quali il soggetto risponde alla scala. Queste sono in parte connesse con il tipo di relazione che l‟esaminatore è capace di stabilire con il bambino o l‟adulto. Pertanto, si raccomanda che il C.D.S. sia proposto al bambino in modo rassicurante e graduale seguendo la consegna suggerita dal manuale. Durante la compilazione del test, è indispensabile che l‟esaminatore prenda nota di una serie di fattori. 1. Impressioni generali che si è fatto sul bambino, secondo le seguenti categorie: triste-felice; introverso-socievole; timido- - 177 - espansivo; ostile-amichevole. Può annotare anche la qualità del rapporto che il soggetto ha instaurato con l‟esaminatore. 2. Comportamento ed atteggiamento del ragazzo durante il test: osservare se egli è recettivo e pronto agli stimoli, distratto o disinteressato. È importante registrare, se e come, il ragazzo reagisce dal punto di vista emotivo alla scala e capire se il ragazzo comprende a fondo i diversi item. 3. Commenti del ragazzo al test: sia mentre lo sta facendo, sia dopo che lo ha completato. È anche rilevante che l‟esaminatore manifesti al bambino il suo profondo interesse per la sua comprensione, per le sue percezioni e le sue sensazioni nei confronti del C.D.S. Per quanto riguarda l‟interpretazione dei risultati, il primo passo da fare da parte dell‟esaminatore consiste nel valutare la validità dei punteggi, cioè fino a che punto egli “si fida” dei risultati. Vale a dire, l‟esaminatore deve chiedersi se il soggetto esaminato tendeva in generale a collaborare, se sembrava comprendere la natura del compito ed i singoli item e se aveva preso il suo lavoro con impegno e serietà. Un altro elemento di cui tenere conto è la concordanza fra comportamento generale del soggetto durante la seduta e la tendenza delle sue risposte. Così, per esempio, se il ragazzo sceglie la risposta “Spesso mi sento triste, infelice ed ho voglia di piangere”, come “Contrario” e durante la seduta sembrava che stesse per piangere, l‟esaminatore può mettere in discussione l‟esattezza della risposta. - 178 - Altri comportamenti da prendere in considerazione sono la risposta automatica e quella casuale. La risposta automatica può risultare dall‟andamento della seduta, se ad esempio il soggetto utilizza sempre la stessa colonna per le risposte. Anche un comportamento casuale è osservabile clinicamente: se il soggetto non è affatto coinvolto e risponde a caso; questo non dovrebbe sfuggire all‟attenzione. Infine, poiché il C.D.S. è uno strumento clinico, al momento della valutazione è molto importante che l‟esaminatore tenga anche conto dell‟atteggiamento del soggetto verso il test. Una caratteristica importante del test in questione consiste nella possibilità di mettere a confronto i punteggi di diversi esaminati fra loro e con le risposte del bambino. In effetti, nell‟interpretazione dei risultati, l‟esaminatore dovrebbe iniziare confrontando i punteggi globali in stanine dei diversi soggetti esaminati, poi i punteggi delle sotto-scale ed infine i punteggi dei singoli item. Un alto punteggio sul C.D.S. può essere inteso come una chiara affermazione da parte del ragazzo/a che è depresso o anche che desidera comunicare la sua depressione. Viceversa, un punteggio basso nel contesto di una buona interazione tra bambino ed esaminatore indica che probabilmente il bambino non è depresso. Tuttavia un basso punteggio nella scala, se il bambino durante la seduta ha avuto un atteggiamento di non collaborazione, può indicare piuttosto una reticenza a comunicare, che assenza di depressione. Infine, è rilevante sottolineare che la Forma della scala è tale da incoraggiare il - 179 - clinico a tenere in considerazione il comportamento del ragazzo nel contesto familiare. Questo perché gli autori sono convinti che il comportamento del ragazzo è strettamente collegato alla sua costellazione familiare e che per avere una comprensione completa del disagio del ragazzo o del “paziente designato”, sia essenziale tener conto di come subisce l‟influenza della famiglia e viceversa. - 180 - CONCLUSIONI Dopo aver esaminato i profili storici e terapeutici della patologia depressiva e dopo aver analizzato in particolare il fenomeno della depressione nell‟età adolescenziale, occorre tirare le fila del discorso ed operare alcune considerazioni conclusive. Senza la pretesa di apportare alcuna sorta di contributo scientifico, non essendo degni di un‟impresa di tal fatta, ci limitiamo ad analizzare il fenomeno della depressione, come ogni uomo, ogni cittadino, ogni membro di una comunità, valuta le cose che intorno ad esso accadono, che a volte lo sfiorano, che a volte lo colpiscono, che a volte lo abbattono! La complessità del panorama scientifico che in questa materia si presenta particolarmente diviso tra scuole di pensiero diverse, tra antitetici orientamenti, tra filoni distinti in seno a ciascuno degli orientamenti medesimi, spesso porta a dimenticare, o a sottovalutare, che la depressione ha in realtà una causa di diffusione molto semplice (a dispetto delle ingarbugliate argomentazioni della teoria Monoamminergica, della teoria psicoanalitica, e di tutte le altre). Tali fattori di rischio, sebbene non sempre coincidano con le cause genetiche del problema, hanno nella nostra società un impatto così dirompente, da dover assurgere a rango di prioritario oggetto di analisi. La vita frenetica, i modelli che i mass-media impongono alla società e soprattutto ai giovani, l‟eccessivo valore degli aspetti estetici e formalistici dell‟esistenza umana, - 181 - l‟esasperata competitività in ambito professionale e sociale, l‟appiattimento dei valori, degli ideali, la crisi della famiglia, i divorzi facili e le nuove famiglie “allargate”; sono solo alcuni degli innumerevoli esempi di problemi, che hanno inciso ed incidono su tanti aspetti della vita moderna, ed hanno inciso ed incidono altresì su una molteplice serie di patologie organiche e psicologiche. Un esempio paradigmatico del ruolo che tali fattori possono avere sulla psiche di un soggetto apparentemente sano è evidente. Si pensi ad un ragazza che non è stata baciata da “Venere” e che sia costretta a vivere in un mondo dove ad essere apprezzate sono “le veline”, a suscitare l‟attrazione dei coetanei è il pearcing all‟ombelico di chi può permetterselo. É facilmente intuibile che possa in lei radicarsi un sentimento depressivo, concretantesi nella disistima e nella perdita di interesse per un mondo che non l‟accetta, che la respinge, che la emargina! Siamo consapevoli che il sopra esposto sia un approccio apparentemente semplicistico alla problematica de qua, ma sicuramente queste riflessioni, sebbene non esaustive e sostanzialmente atecniche, possono e debbono essere prese in considerazione dagli operatori che sono chiamati ad affrontare i disturbi depressivi. - 182 - BIBLIOGRAFIA Abraham K. (1912), “Note per l‟indagine e il trattamento psicoanalitici della follia maniaco-depressiva e di stati affini”, in Teoria e applicazioni della psicoanalisi, Boringhieri, 1978. Albero D., Pelando E. (1999), “Il tentato suicidio in adolescenza: un problema aperto”, in Adolescenza, 10, 2: 112. Angelieri S. 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