depressione negli adolescenti

INDICE
PREMESSA
-3-
PREFAZIONE
-7-
CAPITOLO I: IPOTESI EZIOPATOGENETICHE SULLA
DEPRESSIONE
- 14 1.1. INTRODUZIONE
- 14 -
1.2. MODELLO PSICOANALITICO
- 15 -
1.2.1. Sigmud Freud
1.2.2. Karl Abraham
1.2.3. Melanie Klein
1.2.4. Silvano Arieti e Jules Bemporad
- 15 - 22 - 30 - 37 -
1.3. MODELLO COGNITIVISTA: A. Beck
- 55 -
1.4. TEORIA DELL’ATTACCAMENTO: J. Bowlby
- 63 -
1.5. MODELLO BIOLOGICO
- 73 -
1.5.1. Teoria Monoamminergica
1.5.2. Altre Ipotesi
1.5.3. Conclusioni
- 73 - 76 - 79 -
1.6. MODELLO PSICHIATRICO
1.6.1. Quadro generale del DSM-IV
1.6.2. I Disturbi dell‟Umore
- 82 - 82 - 86 -
CAPITOLO II: TRATTAMENTO
- 92 -
2.1. INTRODUZIONE
- 92 -
2.2. TRATTAMENTO FARMACOLOGICO
- 94 -
2.3. PSICOTERAPIA
- 102 -
2.4. ALTRE TERAPIE BIOLOGICHE E FISICHE
- 107 -
-1-
2.5. INTERDIPENDENZA DEI TRATTAMENTI: TRATTAMENTO
FARMACOLOGICO E PSICOTERAPIA
- 111 -
CAPITOLO III: LA DEPRESSIONE
NELL’ADOLESCENZA
3.1. INTRODUZIONE
- 117 - 117 -
3.2. PUNTI COMUNI E DIFFERENZE TRA DEPRESSIONE E
PROCESSO ADOLESCENZIALE
- 119 3.3. LA DEPRESSIONE NEGLI ADOLESCENTI
3.3.1. Precisazioni sulla depressione adolescenziale
3.3.2. La depressione: epidemiologia e fattori di rischio
- 128 - 128 - 131 -
3.4. DIAGNOSI E TRATTAMENTO TERAPEUTICO NELLA
DEPRESSIONE DEGLI ADOLESCENTI
- 140 -
CAPITOLO IV: PRINCIPALI STRUMENTI
PSICODIAGNOSTICI NELLA DEPRESSIONE
ADOLESCENZIALE
- 148 -
4.1. INTRODUZIONE
- 148 -
4.2. TEST DELL’ANSIA E DELLA DEPRESSIONE
NELL’INFANZIA E ADOLESCENZA (TAD)
- 152 -
4.2.1. Fondamenti psicologici e aspetti generali del TAD
4.2.2. Somministrazione del test e attribuzione dei punteggi
4.2.3. Compilazione del protocollo
4.2.4. Interpretazione e comunicazione dei risultati
4.3. CHILDREN’S DEPRESSION INVENTORY (C. D. I.)
4.3.1. Descrizione e costruzione del C. D. I.
4.3.2. Somministrazione e istruzioni per l‟esaminatore
4.3.3. Determinazione del punteggio
4.3.4. Validità e attendibilità del C.D.I.
4.4. CHILDRENS DEPRESSION SCALE (C. D. S.)
4.4.1. Definizione e principi teorici per l‟elaborazione del C.D.S.
4.4.2. Descrizione: scale e sotto-scale
4.4.3. Uso del C.D.S.
4.4.4. Somministrazione ed interpretazione del C.D.S.
- 152 - 157 - 159 - 161 -
- 163 - 163 - 165 - 167 - 167 -
- 169 - 169 - 171 - 174 - 176 -
CONCLUSIONI
- 181 -
BIBLIOGRAFIA
- 183 -
-2-
PREMESSA
La patologia depressiva è considerata oggigiorno il male del
secolo. L‟interesse per questo tipo di disturbo, non è solo
scientifico ma è soprattutto umano. In effetti il disturbo
depressivo appare come un dolore non descrivibile, un vuoto
oscuro e maligno, che procura un enorme sofferenza alla persona
che ne è affetta.
Quando si parla di depressione è opportuno dare un giusto
significato a questa parola. Invero, “depressione” significa
sostanzialmente uno stato di malinconia che è patologico, non
normale. Deve tuttavia precisarsi, che l‟apparente genericità della
definizione del disturbo depressivo, non giustifica affatto la
riconduzione generalizzata e sistematica nell‟ambito della
depressione stessa, di alcune sintomatologie aventi viceversa
natura, effetti, e di conseguenza indicazioni terapeutiche del tutto
differenti. Non può sottacersi infatti che la patologia depressiva
molto spesso si manifesta con dei risentimenti di carattere
somatico e che è imprescindibile, ai fini del corretto
accertamento della patologia depressiva stessa, avere la sicurezza
che tali effetti incidenti sul fisico del soggetto, non siano
riconducibili a delle malattie organiche. Uno degli sforzi più
impegnativi che l‟operatore, preposto alla diagnosi della malattie
mentali, è chiamato a compiere, riguarda per l‟appunto
l‟effettuazione di una corretta indagine differenziale finalizzata
ad escludere la presenza di patologie fisiche. Un ulteriore ed
-3-
indispensabile analisi che l‟operatore medesimo deve effettuare,
riguarda altresì, la corretta individuazione del “discrimen”
interno, nell‟ambito delle varie tipologie di disturbi depressivi; è
di tutta evidenza, infatti, che sono enormi le differenze
diagnostiche e terapeutiche che sussistono tra depressioni così
diverse come ad esempio quelle reattive e quelle endogene.
Proprio per dare ad ogni paziente la giusta diagnosi e la corretta
terapia, l‟operatore deve tempestivamente riconoscere le suddette
differenze e non deve aprioristicamente cristallizzarsi nel
perseguire una sorta di “terapia standardizzata”, valida per tutti i
diversi fenomeni della patologia depressiva e per tutti i diversi
soggetti, affetti dalla patologia medesima. Proprio in virtù di
queste considerazioni è opportuno sottolineare le diverse
necessità terapeutiche (sia farmacologiche che psicoterapeutiche)
di un depresso endogeno e di un depresso reattivo, ma soprattutto
di un depresso adulto e di un depresso adolescente. Infatti
dall‟analisi dei più recenti ed avveduti contributi letterari relativi
alla
depressione
adolescenziale,
si
evince
in
maniera
inequivocabile che è indispensabile apprestare degli strumenti
terapeutici specifici al fine di favorire un recupero totale del
paziente depresso. Rinviando al capitolo terzo la trattazione
analitica dei suddetti strumenti terapeutici è opportuno in questa
sede soffermarsi sulle ragioni di carattere sociologico e, perché
no, anche etico, che sollecitano la completa guarigione
dell‟adolescente affetto da depressione. Un giovane o una
giovane di 16 o 17 anni non possono accontentarsi soltanto di un
-4-
intervento terapeutico volto alla ibernazione dei sintomi
depressivi, ma necessitano di un intervento che sia in grado di far
riconoscere e superare loro le cause sottostanti i disturbi
depressivi stessi. Infatti, un adolescente ha vissuto soltanto una
minima parte della sua esistenza e non può pertanto essere
afflitto dal supplizio della depressione per buona parte della sua
vita; questi è infatti chiamato ad affrontare i problemi legati alla
vita di relazione, i problemi che si presenteranno all‟indomani
del suo eventuale matrimonio, i problemi che causeranno i suoi
figli, nonché i problemi tipici della società moderna (vita
frenetica, difficoltà a trovare una occupazione, ecc.). Proprio per
rendere l‟adolescente in grado di superare efficacemente questi
duri ostacoli è fondamentale che la depressione “patologica” non
accompagni in perpetuo la sua vita. Da ciò si evince, il ruolo non
soltanto curativo ma anche sociale ed etico che l‟operatore
chiamato a risolvere i problemi adolescenziali, assume nella
società moderna; ruolo che senza dubbio attribuisce a questo
operatore una dignità ed un importanza fulcrale nell‟ambito
dell‟universo medico-scientifico, ma che al pari di ogni altro
compito fondamentale per la società, rende l‟attività del
medesimo estremamente onerosa e delicata, facendola assurgere
al rango di una vera e propria “missione sociale”.
Da ultimo, in virtù del fatto che nella nostra moderna società
occidentale si sente parlare molto spesso di depressione e ansia
tra i giovani ed i meno giovani, il valore che assume questo
lavoro risulta essere davvero pregnante e cruciale per una
-5-
comprensione esaustiva del disturbo. In effetti questo testo, che
raccoglie numerosi e validi contributi sul piano teorico e
metodologico nell‟analisi e nel trattamento della patologia
depressiva, rappresenta nell‟ambito della letteratura scientifica
internazionale, una valida guida per addentrarsi e districarsi nei
meandri di un disturbo apparentemente noto ma ricco di
sfumature che risulta spesso, come già accennato, per gli stessi
professionisti di auto aiuto, difficile da decifrare a pieno. Una
conferma del valore di siffatto studio proviene dai più recenti
studi epidemiologici che evidenziano un marcato aumento di
incidenza della depressione nell‟adolescenza. In particolare, può
osservarsi che in Italia i ragazzi depressi sono più di 800.000. Per
quanto riguarda l‟Europa, secondo le statistiche dell‟Unione
Europea, il 4% degli adolescenti tra i 12 e i 17 anni soffre di
depressione grave e la percentuale sale al 9% intorno ai 18 anni.
E' chiaro che, nella complessa cornice dell'odierna era post –
industriale, la complessità storica e socioculturale sempre
crescente
che
accompagna
adolescenziali, si riflette
e
acuisce
le
problematiche
nell'ampliarsi della letteratura
sull'argomento. A tal proposito, storici e antropologi hanno infatti
evidenziato come la complessità dell'organizzazione sociale e
culturale di un determinato popolo, in un determinato contesto
geografico e in un altrettanto determinato periodo storico,
influenzi direttamente non solo la poliedricità e la problematicità
del fenomeno suddetto, bensì la sua stessa esistenza.
-6-
PREFAZIONE
L‟Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) dichiara che il
disturbo depressivo è tra malattie mentali quello più diffuso; a tal
proposito le previsioni di tale Organismo per gli anni a venire
sono davvero preoccupanti, in particolare la depressione potrebbe
diventare la seconda causa di disabilità fra tutte le condizioni
morbose.
Secondo l‟OMS, oltre il 20% dei soggetti in età evolutiva
soffrirebbe di una qualche forma di disturbo mentale ed
il
suicidio rappresenta la terza causa di morte in età adolescenziale.
Nella
fattispecie,
tra
le
patologie
psichiatriche
più
frequentemente associate al suicidio ci sono per l‟appunto
i
disturbi dell‟umore: depressioni maggiori e disturbi bipolari;
fanno seguito, l‟abuso di alcool e la schizofrenia. Tuttavia, ai
disturbi dell‟umore spetta una posizione largamente prioritaria,
interessando tra il 65 e il 90% dei suicidi. Tra i depressi, il rischio
sembra maggiore qualora il paziente non segua la terapia in
modo corretto o che presenti una resistenza ai farmaci assunti.
Ciononostante, anche quando il disturbo depressivo non provoca
la morte della persona, comunque provoca una compromissione
di aree importanti della vita, quali: l‟aspetto sociale, lavorativo ed
di
altre
aree
abituali
della
vita
del
soggetto.
Muovendo da queste considerazioni, l‟obiettivo principale di
questo
lavoro,
a
partire dalla
letteratura
nazionale
ed
internazionale sull‟argomento, è quello di far conoscere, ad un
-7-
gruppo sempre più grande di studiosi e clinici: cos‟è la
depressione, quali sono gli strumenti psicodiagnostici di cui ci
possiamo
avvalere
per
poter
formulare
corrette
ipotesi
diagnostiche, in particolare nella fase adolescenziale e; non
ultimo, quali interventi terapeutici risultano essere più efficaci
per il trattamento del suddetto disturbo. Tutto ciò risulta essere
importante anche alla luce di recenti studi che hanno dimostrato
che gli adolescenti che hanno lievi forme di depressione
rischiano problemi di salute mentale più gravi da adulti. Ad oggi
saranno necessari ulteriori studi per capire se i problemi di
depressione degli adolescenti sono una fase iniziale di successive
depressioni più gravi o se contribuiscono allo sviluppo di
malattie mentali più severe negli anni a venire. Ma quel che già si
può dedurre è che anche i lievi segni di depressione negli
adolescenti non vanno trascurati: i ragazzi vanno subito aiutati e
avviati a una terapia adeguata.
Il lettore di questo libro potrà sorprendersi di un fatto: vale a dire
che ad oggi, a prescindere dal diverso modello teorico di
riferimento
nello
spiegare
l‟eziopatogenesi
del
disturbo
depressivo, non esistono delle divergenze sostanziali nel
trattamento del disturbo; infatti dati che emergono da diverse
ricerche evidenziano l‟importanza di un approccio integrato,
ossia strategie di intervento che prevedono la combinazione di un
trattamento farmacologico e di una psicoterapia.
Nei capitoli che seguono saranno approfonditi tutti i temi
correlati ed esplicativi del medesimo disturbo.
-8-
Nel capitolo 1, verranno passati in rassegna i diversi contributi
teorici che hanno cercato di dare una spiegazione alla genesi del
disturbo depressivo. In particolare, nell‟ambito psicodinamico,
ricordiamo le teorie di Sigmud Freud, Karl Abraham, Melanie
Klein e di Silvano Arieti e Jules Bemporad, nonché la teoria
dell‟attaccamento formulata da John Bowlby. Gli altri modelli
teorici ed interpretativi della depressione proposti sono quello
cognitivo-comportamentale di Aaron Beck ed il modello
biologico
e
psichiatrico.
Questi
ultimi
modelli
danno
parallelamente importanza a diversi fattori, in particolare il
modello cognitivo – comportamentale di Beck, assumendo che i
pensieri, i comportamenti, ed
processi fisiologici sono tutte
componenti importanti dei disturbi depressivi, è quello che ha
ricevuto il più gran numero di verifiche empiriche, validazioni, e
applicazioni
cliniche;
viceversa
il
modello
biologico
e
psichiatrico analizzano altri aspetti integranti e bilaterali del
disturbo depressivo, ovverosia gli eventi neurofisiologici e quelli
sintomatologici
della
suddetta
patologia.
In
particolare,
nell‟ambito psichiatrico, è il DSM- IV (Manuale Diagnostico e
Statistico dei disturbi mentali, giunto alla sua quarta edizione) ad
assumere un ruolo davvero importante tra i diversi operatori che
si occupano dei disturbi mentali. In effetti, questo manuale, che è
scritto con un linguaggio condivisibile dai diversi orientamenti
teorici, si fonda su una vasta base empirica. Ciò risulta utile per
l‟individuazione dei sintomi cognitivi, comportamentali, somatici
ed affettivi che, nel loro insieme, sono in grado di diminuire in
-9-
maniera da lieve a grave il tono dell'umore, compromettendo il
"funzionamento" della persona, nonché le sue abilità ad adattarsi
alla vita sociale.
A partire da questa vasta poliedricità di modelli che hanno
contribuito a dare una diversa spiegazione delle cause sottostanti
e concorrenti la patologia depressiva; nel capitolo 2 sono stati
valutati i diversi strumenti terapeutici utili per permettere una
pianificazione della cura più attenta e mirata a seconda dello
scompenso depressivo presentato dal soggetto. A tal proposito,
sono
stati
farmacologico
approfonditi
e
nei
particolari
il
trattamento
quello psicoterapeutico. Il primo, che è
particolarmente consigliato nelle forme gravi oppure endogene di
depressione, ha come scopo principale quello di stabilizzare nel
cervello gli squilibri neurochimici (prodotti da un deficit di
serotonina, noradrenalina e dopamina) che accompagnano lo
scompenso depressivo. Ciò avviene grazie all‟utilizzo di una
classe particolare di psicofarmaci, ossia gli antidepressivi che,
come vedremo, possono inizialmente, a seconda dei dosaggi,
provocare (nei primi 15 giorni) dei disturbi disfunzionali, a
carattere neurovegetativo. Tuttavia, è giusto sottolineare che le
risposte fisiologiche ai farmaci sono strettamente individuali e
non sempre prevedibili.
Il secondo trattamento, ossia la psicoterapia (a prescindere come
vedremo dai diversi modelli di riferimento) è usato nelle forme
non psicotiche di depressione ed ha come ruolo principale quello
- 10 -
di rendere la persona più consapevole del suo problema,
fornendole gli strumenti per fronteggiarlo.
Comunque, sebbene non tutte le scuole di psicoterapia lo
prevedano, la maggior parte dei clinici è d‟accordo nel sostenere
che il trattamento psicoterapico/psicofarmacologico integrato
fornisce un piano di cura certamente più incisivo per quelle
forme di depressione non solo gravi, ma anche soggette a
maggiori recidive e dunque tale trattamento è in grado di
potenziare l‟efficacia e migliorare i risultati a lungo termine. In
effetti, in varie occasioni sembra che una psicofarmacologia
consenta una psicoterapia: è il caso di pazienti depressi che senza
un aiuto psicofarmacologico antidepressivo non hanno nemmeno
le energie per investire su un lavoro psicoterapeutico. Tuttavia, è
anche vero l‟inverso, vale a dire che una psicoterapia può
favorire, in diversi casi, una maggiore compliance alla terapia
farmacologica, ossia può favorire il corretto mantenimento della
farmacoterapia. Verranno anche menzionati altri trattamenti che,
a seconda della gravità o meno del tipo di depressione, possono
rilevarsi utili per il trattamento medesimo. Essi sono: il
trattamento con elettroshock, l‟ospedalizzazione, la fototerapia,
la privazione o riduzione di sonno e l‟esercizio fisico.
Nel terzo capitolo, si procederà ad analizzare come la
depressione si manifesta nel periodo adolescenziale; cercando in
primis di riuscire a cogliere il sottile ed incerto confine esistente
tra una „depressione fisiologica‟, che risulta essere, per così dire,
congenita
alla
fase
adolescenziale
- 11 -
ed
una
„depressione
patologica‟; in tal modo, verranno esaminate le analogie e le
differenze esistenti tra i due tipi di depressione. Allo stesso
modo, verranno riportate le diverse manifestazioni depressive
tipiche dell‟adolescenza: stato di noia o morositè, crisi ansiosodepressive, sindrome depressiva grave e altre due forme
depressive specifiche dell‟età adolescenziale, o meglio la
depressione di inferiorità e la depressione mascherata. Alla luce
dei diversi studi epidemiologici nazionali ed internazionali
sull‟argomento che mostrano una incidenza massiccia della
patologia depressiva nell‟età adolescenziale, si è passati ad
analizzare il ruolo che i diversi „fattori di rischio‟ svolgono sul
grado
di
vulnerabilità,
insorgenza,
mantenimento
e
cronicizzazione del disturbo medesimo. Tenendo conto del
complesso e poliedrico quadro che caratterizza la patologia
depressiva in età adolescenziale, sono state tracciate delle linee di
intervento terapeutico più efficaci per il trattamento del
medesimo disturbo, che non possono essere applicate sic et
simpliciter al paziente adolescente, ma vanno progettate „ad hoc‟
sul soggetto in esame.
L‟ultimo capitolo è dedicato alla descrizione dei diversi
strumenti psicodiagnostici di cui si avvale il clinico per svolgere
una corretta diagnosi di disturbo depressivo in età adolescenziale.
In particolare, i principali reattivi psicologici usati per valutare la
diagnosi depressiva adolescenziale sono: il Test dell‟Ansia e
della Depressione nell‟infanzia e nell‟adolescenza (TAD), il
Children‟s Depression Inventory (CDI) e il Childrens Depression
- 12 -
Scale (CDS). La valenza, sul piano pragmatico, assunta da questi
strumenti è davvero elevata. In effetti, nonostante la diagnosi di
depressione non può prescindere dal colloquio clinico, gli
strumenti presentati rappresentano comunque un valido supporto
nel processo di valutazione diagnostica.
Nelle conclusioni verranno proposti spunti di riflessione di
diverso tipo, allo scopo di stimolare nel lettore neofita o anche
esperto una visione concreta dell‟immagine del paziente depresso
all‟interno del suo contesto vitale. Di conseguenza, verrà
delineata la cornice all‟interno della quale il disturbo depressivo
si esplica, rimandando la doppia funzione dell‟intero lavoro che
è per l‟appunto quella di aver non solo trattato in termini
esaustivi gli aspetti relativi all’eziopatogenesi, al trattamento del
disturbo depressivo, con particolare riferimento alla depressione
negli adolescenti, ma anche quello di promuovere, in senso lato,
una valutazione critica, utile per sollecitare una cultura alla
prevenzione della patologia depressiva.
- 13 -
CAPITOLO I
IPOTESI EZIOPATOGENETICHE SULLA
DEPRESSIONE
1.1. INTRODUZIONE
La depressione, diversamente forse da ogni altro disturbo in
psichiatria o in medicina in generale, fa risalire la sua storia ai
primi documenti scritti del genere umano. Molti personaggi degli
antichi miti o protagonisti della Bibbia sono raffigurati con dei
sintomi che sarebbero oggi classificati come tipici della malattia
depressiva. Tuttavia, la prima descrizione clinica oggettiva della
depressione
risale
ad
Ippocrate,
che
coniò
il
termine
“melanconia”, intendendo richiamare l‟attenzione sull‟eccesso di
bile nera nel soggetto depresso.
Qui di seguito, verranno messi in rassegna i principali indirizzi
teorici che si sono occupati della patologia depressiva. Essi sono:
il Modello psicoanalitico, con particolare riferimento a: Sigmud
Freud, Karl Abraham, Melanie Klein, Jules Bemporad e Silvano
Arieti; il Modello cognitivista: Aaron Beck; la Teoria
dell‟attaccamento: John Bowlby; il Modello biologico, ed infine
il Modello psichiatrico.
- 14 -
1.2. MODELLO PSICOANALITICO
1.2.1. Sigmud Freud
Nell‟ambito della teoria psicoanalitica molti sono stati gli scritti
relativi alla tematica della depressione, ma tra tutti il più
significativo resta senza alcun dubbio il breve saggio scritto da
Freud nel 1915, intitolato Lutto e Melanconia.
Non si tratta del primo lavoro psicoanalitico sull‟argomento,
infatti, già Karl Abraham, discepolo di Freud, ne aveva
pubblicati parecchi. Nonostante ciò, Lutto e Melanconia ha
rappresentato un punto di riferimento per tutti gli psicoanalisti.
Questo lavoro assume una certa importanza perché per la prima
volta Freud postula dei meccanismi patologici nei quali non è la
frustrazione della sessualità a svolgere una funzione patogena.
Inoltre in questo scritto Freud parla di “rapporti oggettuali”
piuttosto che di rimozione; delinea una istanza che più tardi
diventerà il Super-Io; ed amplia la funzione dell‟Io nello sviluppo
patologia.
È importante altresì sottolineare che l‟autore non parla
esplicitamente di depressione, ma fa riferimento a quei particolari
stati emotivi consistenti nella melanconia (o malinconia) e nella
mania, che rappresentano le due anime della patologia.
Freud, inizia il suo saggio, precisando che la diagnosi di
melanconia risulta essere particolarmente complessa, in quanto
tale diagnosi potrebbe caratterizzare un gruppo di altri disturbi.
- 15 -
Egli inoltre sottolinea che, avendo acquisito i dati della sua
indagine da un numero non cospicuo di pazienti; gli esiti delle
indagini medesime non si presterebbero a generalizzazioni.
Freud analizza in modo più approfondito la melanconia. E nel
fare questo, la confronta con il lutto, notando numerose
somiglianze così come alcune differenze critiche con tale
fenomeno. Osserva infatti che entrambi questi stati hanno in
comune un senso di doloroso abbattimento per una perdita, una
mancanza di interesse nei confronti del mondo esterno, la perdita
della capacità di amare, e un‟inibizione dell‟attività. Tuttavia,
soltanto il soggetto melanconico mostra una diminuzione della
stima di sé, al punto che vi sono delle espressioni di
autorimprovero ed un‟aspettativa irrazionale di punizione: difatti
il melanconico è molto autocritico verso il suo passato e
commisera i suoi cari perché sono legati a lui. Questo quadro di
delirio di inferiorità è generalmente completato da insonnia,
rifiuto del nutrimento, e da quella che Freud definisce
“superamento della pulsione di vita”. Inoltre, il melanconico, a
differenza di chi subisce un lutto, non sa bene di che natura sia la
sua perdita, e non è consapevole di ciò che ha dato luogo al suo
malessere. Anche quando è consapevole di ciò che ha perduto,
non gli è chiaro che cosa ha perduto. Questo dato conduce Freud
a credere che la perdita sia interiore ed inconscia. Anche la
perdita della stima di sé indica un impoverimento interiore.
Infatti “nel lutto”, afferma Freud “è il mondo che è diventato
povero e vuoto; nella melanconia è l‟Io stesso”.
- 16 -
Ma come spiega Freud questo senso interiore di perdita nella
melanconia?
Egli
prende
spunto
dagli
autorimproveri
inappropriati che: 1) sono abitualmente di contenuto morale, 2)
sono
chiaramente
ingiustificati
e
3)
vengono
espressi
pubblicamente e senza vergogna. Secondo l‟autore questo è
dovuto ad una scissione dell‟Io del melanconico, in cui una parte
si differenzia e si contrappone all‟altra, la giudica criticamente e
la osserva come se fosse un oggetto esterno1 (Bemporad, 1991).
Dai dati clinici raccolti, Freud ipotizza che gli autorimproveri
non sono in realtà diretti al sé, bensì a qualche persona che il
paziente ama, ha amato o avrebbe dovuto amare; quindi gli
autorimproveri sono in realtà rimproveri rivolti verso un‟altra
persona. Freud a titolo esemplificativo, osserva che: “la donna
che commisera fortemente il proprio marito per il fatto che costui
è legato ad una moglie così incapace, intende in realtà accusare il
marito di incapacità” (Freud, 1915, trad. it. p. 197). Il
melanconico pertanto non ha bisogno di vergognarsi di questi
rimproveri, poiché essi sono diretti a qualcun altro. Inoltre Freud
aggiunge acutamente che, nonostante le sue dichiarazioni, in
realtà il melanconico non agisce come persona indegna, ma si
offende continuamente come se fosse stato trattato con grande
ingiustizia.
1
Questa parte giudicante dell‟Io viene chiamata “coscienza morale” o
meglio coscienza critica, ma diventerà più tardi, con la revisione
determinata dalla teoria strutturale, il Super-Io.
- 17 -
Ma come avviene questo processo intrapsichico di spostamento
di un oggetto nell‟Io? Attraverso l‟identificazione di una parte
dell‟Io con l‟oggetto perduto. O meglio, Freud postula che nella
infanzia il futuro melanconico abbia avuto un intenso rapporto
oggettuale che è stato compromesso a causa di una delusione
vissuta con la persona amata. La rottura di tale rapporto ha
provocato un ritiro della libido2 dalla persona amata, ma la libido
liberata non si è trasferita su un altro oggetto, bensì sull‟Io. Ciò è
avvenuto perché, secondo Freud, la scelta dell‟oggetto è stata
fondamentale di tipo narcisistico, per cui è proprio l‟oggetto
incorporato che, nei panni di se stesso, l‟Io attacca, cioè l‟Io
attacca l‟oggetto con cui si è identificato, non se stesso.
Freud descrive questo processo con le sue famose e drammatiche
parole: “l‟ombra dell‟oggetto cadde così sull‟Io che d‟ora in
avanti potè esser giudicato da un‟istanza particolare come
oggetto, e precisamente come l‟oggetto abbandonato” (ivi, p.
198).
Con queste parole l‟autore austriaco ci vuol far capire che è
l‟immagine
interiorizzata
dell‟oggetto
perduto
ad
essere
sottoposta a sentimenti ambivalenti, non l‟Io.
Inoltre Freud osserva che in casi estremi, il sadismo è così
violento che l‟individuo desidera distruggere completamente
2
La libido è per Freud un‟ energia psichica di carattere sessuale, suscettibile
di evolversi nel tempo e di fissarsi su oggetti diversi. Tale concetto ha
rappresentato, fin dalle prime teorizzazioni, un punto di contrasto tra Freud
e Carl Gustav Jung, secondo il quale il libido è viceversa un‟energia vitale,
unica, che non ha un carattere esclusivamente sessuale.
- 18 -
l‟immagine interna dell‟oggetto, e si suicida. Questa, dunque è
per Freud la predisposizione intrapsichica alla melanconia.
Perdite successive, riattivano la perdita primaria e fanno sì che la
rabbia del paziente si diriga verso l‟oggetto deludente originario,
che si è fuso con una parte dell‟Io del paziente. Quando la rabbia
si è spenta, oppure l‟immagine dell‟oggetto è stata abbandonata
in quanto non aveva più valore, la malattia passa, finché un‟altra
perdita riattiva l‟intero processo.
In alcuni pazienti vi è un‟improvvisa liberazione della libido
dall‟immagine interna, e questa sovrabbondanza di energia si
scarica in un comportamento maniacale. In particolare, nella
mania, l‟Io ha padroneggiato questa rabbia interiorizzata ed ha
accantonato il problema; viceversa, nella melanconia, l‟Io è
sconfitto dall‟istanza critica e continua ad essere soggetto alla sua
rabbia. Inoltre, mentre nella melanconia si può notare che c‟è da
parte del paziente un disinteresse verso il mondo esterno; al
contrario, nella mania sembra accadere il contrario. La verità è
che il fare maniacale è fine a se stesso, cioè fare una cosa, per il
maniacale, equivale a farne un‟altra; non c‟è un interesse preciso
per una particolare esperienza. A tal proposito Kraepelin 3 parlò di
“fuga delle idee”, ossia di sovrapproduzione disordinata di idee,
3
Kraepelin è stato il primo a formulare l‟ampio concetto nosologico della
psicosi maniaco-depressiva, parlando di “stati misti”, caratterizzati da una
combinazione di sintomi maniacali e depressivi. Egli distingue sei tipi
principali: 1) Lo stupor maniacale 2) La depressione agitata 3) La mania
non produttiva 4) La mania depressiva 5) La depressione con fuga delle idee
6) La mania acinetica (cit. in Arieti, 1991, trad. it. p. 98).
- 19 -
tale da provocare l‟incapacità di fissazione verso un particolare
oggetto. Si può ancora osservare che, il maniacale, a differenza
del melanconico, vive in una condizione di “trionfo dell‟Io 4”,
ossia l‟energia del maniacale è in realtà investita sull‟Io e ciò
porta spesso ad un “delirio di grandezza”. Ma da dove viene
questa energia? L‟energia proviene da un investimento
oggettuale che si è riuscito ad abbandonare, ossia dalla
disidentificazione del soggetto con l‟oggetto perduto. Ma perché
nel caso del lutto alla tristezza non segue la mania? Cioè, alla
identificazione di una parte dell‟Io con l‟oggetto perduto, non
segue tale disidentificazione? A tale interrogativo Karl Abraham
risponde che al termine del lutto, lo stato maniacale si manifesta
spesso in un iperinvestimento su un figlio. Quindi il figlio risulta
una soluzione al lutto.
In conclusione Freud ipotizza nella melanconia tre fattori
condizionanti: la perdita dell‟oggetto, un elevato grado di
ambivalenza, e una regressione della libido nell‟Io. Mentre i
primi due li ritroviamo nei rimproveri ossessivi susseguenti a casi
di morte, soltanto l‟ultimo è specifico della melanconia 5.
4
È in Psicologia delle Masse ed analisi dell’Io (1921) che Freud descrive il
trionfo dell‟Io, caratteristico della mania, come fusione dell‟Io e dell‟Io
ideale, in modo che il primo sia libero dalle critiche del secondo.
5
Tuttavia, è possibile anche notare che la teorizzazione di Freud sulla
melanconia non è estranea all‟idea che ci sia anche una componente
biologica che interferisca sulle dinamiche psichiche; ciò osserva Freud si
può evincere “dalla regolare attenuazione dello stato melanconico nelle ore
serali”(Freud, 1915, trad. it. pp. 202-203).
- 20 -
Retrospettivamente Lutto e Melanconia può essere considerato
un capolavoro di ricerca clinica e di deduzione logica, grazie al
quale Freud ha proposto un modello interamente nuovo di
malattia: quale l‟espressione di un affetto verso l‟oggetto
incorporato. Freud riconobbe pertanto la natura interpersonale
del disturbo e lo stretto rapporto fra il mantenimento della stima
di sé ed il mantenimento di un rapporto riuscito, infatti egli riuscì
a vedere che nella depressione una persona ha profondamente
influito sullo stato mentale di un‟altra e che la perdita di questa
persona dà luogo ad una perdita interna per il depresso. Tuttavia,
è diventato sempre più difficile corroborare tale formulazione
mediante i dati clinici, infatti: “Alcuni depressi non hanno
mostrato i cruciali autorimproveri, oppure non presentano con
uniformità una storia di perdite passate o attuali” (cit. in
Bemporad, 1991, trad. it. p. 39). Pertanto la formulazione ricca
di immaginazione di Freud non sembra aver superato le prove del
tempo.
- 21 -
1.2.2. Karl Abraham
Karl Abraham può essere ricordato come l‟autore che ha iniziato
lo studio psicoanalitico della depressione. Rispetto a Freud, il
modello di Abraham è, da un lato, più direttamente collegato alla
clinica, dall‟altro, valorizza di più un punto di vista genetico”
(cit. in Semi, 1997). Infatti è proprio grazie a lui che alcune
parole
della
psichiatria
tedesca
sono
entrate
nell‟uso
psicoanalitico: ricordiamo a tal proposito il concetto di psicosi
maniaco-depressiva o di follia maniaco-depressiva elaborato da
Kraepelin.
Risale al 1912 l‟opera più importante in cui Abraham tratta la
patologia depressiva, intitolata Note per l’indagine e il
trattamento psicoanalitici della follia maniaco-depressiva e di
stati affini. L‟autore in questo saggio si occupa degli stati
depressivi, sottolineando fin dall‟inizio uno stretto rapporto tra
questi ed il concetto di nevrosi, così come è stato formulato da
Freud6.
Osserva Abraham che: “Mentre il nevrotico viene preso da
angoscia quando la sua pulsione aspira a un soddisfacimento che
la sua rimozione gli impedisce di raggiungere. La depressione
subentra quando egli senza successo, insoddisfatto, rinuncia alla
meta sessuale” (cit. in Abraham, 1912, trad. it. p. 104). Ossia,
mentre l‟angoscia che sperimenta il nevrotico sorge quando la
6
Nel 1911 la psiconevrosi veniva interpretata da Freud come il risultato
della rimozione della libido.
- 22 -
rimozione impedisce il conseguimento della gratificazione
desiderata che potrebbe ancora essere possibile; la depressione
sorge quando il soggetto ha perso la speranza di soddisfare le sue
aspirazioni libidiche. Inoltre, nella depressione l‟aspirazione
verso un soddisfacimento libidico è così profondamente rimossa
che il soggetto si sente incapace di amare o di essere amato,
disperando così “della vita e del futuro”.
Abraham applica pertanto la dottrina fondamentale della
eccessiva rimozione della libido alla depressione, e poi a
conferma di questa formulazione descrive sei pazienti depressi da
lui trattati7.
Nel presentare questi casi egli, fin dall‟inizio, focalizza la sua
attenzione sulla somiglianza esistente fra i pazienti depressi e
quelli ossessivi. Infatti, in entrambi gli stati riscontra una
profonda ambivalenza verso gli altri, dovuta alla presenza di due
tendenze diverse – odio e amore – che si danneggiano a vicenda;
in cui l‟aspirazione all‟amore viene inibita da forti sentimenti di
7
Queste presentazioni di casi rimangono dei classici della descrizione nella
letteratura psicoanalitica. Di questi sei casi: “Due di essi erano pazienti
maniaco-depressivi lievi (caso di cosiddetta ciclotimia); un‟altra malata
soffriva di stati depressivi brevi che si succedevano a breve distanza tra loro,
con fenomeni tipicamente melanconici. In due pazienti si trattava di psicosi
depressiva per la prima volta; anche se già in passato avevano avuto la
tendenza a lievi oscillazioni d‟umore maniacali e depressive. Infine un
paziente si era ammalato a quarantacinque anni di psicosi grave ed
ostinata”. Abraham, sulla scia di Kraepelin, classificò quest‟ultimo caso
come follia maniaco-depressiva.
- 23 -
odio, che a loro volta sono rimossi perché il soggetto non riesce
ad accettarli. Pertanto, come l‟ossessivo anche il depresso non
riesce ad avere una vita relazionale normale, perché i suoi
sentimenti di odio e di amore interferiscono costantemente l‟uno
con l‟altro. Di conseguenza, i rapporti interpersonali del depresso
mostrano questo odio rimosso che ha le sue radici nella libido
bloccata (cfr. Bemporad, 1991).
Karl Abraham tratta nel suo saggio anche le differenze esistenti
tra lo stato ossessivo e quello depressivo, infatti, sebbene la
capacità di amare gli altri risulta inibita in entrambe le forme, a
causa della rimozione della libido; i depressi e gli ossessivi si
differenziano radicalmente nel modo in cui gli impulsi inibiti
trovano un‟espressione sostitutiva. Nell‟ossessivo, sono i rituali
ripetitivi a prendere il posto degli inaccettabili desideri sessuali
originari. Per il depresso, egli postula un processo particolare di
proiezione, che sembra aver modellato sulla spiegazione della
paranoia, formulata precedentemente da Freud 8. Secondo
l‟autore, i processi dinamici interni del depresso consistono in
questo sentimento fondamentale: “Non riesco ad amare gli altri,
devo odiarli”. Questo riconoscimento dell‟odio è inaccettabile e
deve essere rimosso. L‟ostilità viene allora proiettata sugli altri
ed il pensiero cosciente si trasforma in quest‟altro: “Gli altri non
8
É in Osservazioni psicoanalitiche su un caso di paranoia (dementia
paranoides) descritto autobiograficamente (1919) che Freud da una
formulazione precisa della psicogenesi della paranoia. In brevi formule egli
precisa gli stadi che sono percorsi fino alla formazione del delirio paranoico;
il cui nucleo conflittuale risiede, nella fantasia di desiderio omosessuale di
amare una persona dello stesso sesso.
- 24 -
mi amano, mi odiano”. Questa formulazione è accettabile e
ulteriormente sostenuta dalla razionalizzazione che l‟essere odiati
è giustificato da qualche difetto congenito immaginario
(Bemporad, 1991).
Nonostante ciò “gli impulsi sadici rimossi non hanno riposo”.
Essi mostrano la tendenza a ritornare alla coscienza in varie
forme: “sogni, azioni sintomatiche, inclinazioni moleste verso
l‟ambiente, impulsi criminali”.
Egli continua a spiegare sulla base della rimozione anche altri
aspetti della depressione. Osserva, infatti che il senso di colpa
che sperimenta il depresso, deriva dalla rimozione dei suoi
desideri distruttivi di odio, di vendetta, etc. Invero afferma che:
“quanto più violenti sono gli impulsi inconsci di vendetta, tanto
più pronunciata è l‟inclinazione a costruire idee deliranti di
colpevolezza”. Da ciò si può evincere che abbiamo a che fare con
una
persona
che
ha
un
“insaziabile
sadismo
rimosso
nell‟inconscio” che vorrebbe volgere contro tutto e tutti.
Tuttavia, egli osserva che alcuni pazienti vanno orgogliosi del
loro senso di colpa, soddisfando il loro desiderio inconscio “di
essere un criminale della peggior specie, di avere più colpa di
tutti gli altri esseri umani messi insieme”. Pertanto, è “dalla
rimozione del sadismo che deriva la depressione, l‟angoscia e gli
autorimproveri” (cit. in Abraham, 1912, trad. it. p. 112).
Abraham nota anche, che alcuni depressi sembrano godere del
loro rimproverarsi e provare piacere nelle sofferenze perché
questo permette loro di concentrare tutti i loro pensieri su se
- 25 -
stessi. Questa polarizzazione su se stessi spiega i deliri di
impoverimento che sono simboli della privazione emotiva
risultante dal ritiro della libido dall‟ambiente circostante (cfr.
Bemporad, 1991). Altre due caratteristiche importanti della
psicosi depressiva sono: un‟inibizione psichica generale 9, che ha
l‟effetto di rendere ancora più difficile il rapporto tra il malato ed
il mondo esterno; e la tendenza inconscia alla negazione della
vita.
Successivamente, Abraham si occupa della fase maniacale dei
disturbi circolari e della terapia psicoanalitica per i soggetti
depressi.
La mania viene considerata come la manifestazione evidente di
ciò che era stato rimosso durante la fase depressiva, ossia come il
fallimento della rimozione e la liberazione della “pulsione
sadica”. Il paziente in questa fase, a differenza della fase
depressiva, appare molto allegro. Ciò può portare anche alla
errata conclusione che le due fasi siano in contrasto tra loro; in
realtà, la psicoanalisi ci insegna che entrambi le fasi sono
dominate “dagli stessi complessi”. Tuttavia, mentre nello stato
depressivo il soggetto si lascia abbattere dal complesso; nella
fase maniacale, il soggetto si pone sopra tale complesso, per cui
sia la libido negativa che quella positiva si spingono ugualmente
alla coscienza. Inoltre, mentre nella fase depressiva tutto induce
9
I gradi più alti di inibizione si definiscono “stupore depressivo”. Il malato
resta privo di reazioni anche applicandogli forti stimoli esterni, come se non
appartenesse più al mondo vivente.
- 26 -
ad uno stato di inibizione generale, alla negazione della vita e
alla morte; nella fase maniacale, si assiste alla cosiddetta “fuga di
idee”, ad uno stato di perenne esaltazione della vita, e di consueto
alla manifestazione di comportamenti aggressivi, con la presenza
di idee deliranti di grandezza. Deve altresì considerarsi che
caratteristica dello stato maniacale è anche una sorta di “allegria
spensierata”, che è possibile interpretare come un ritorno al
periodo dell‟infanzia. In effetti, Abraham osserva che avere un
colloquio con un adulto maniacale assomiglia molto al parlare ad
un bambino di cinque anni.
Nella parte finale del saggio, l‟autore analizza l‟effetto
terapeutico della psicoanalisi, ed afferma che, nonostante ci siano
ovvi problemi nello “stabilire la traslazione con questi pazienti
che nella loro depressione si distaccano da tutto il mondo”,
possiamo considerarla come l‟unica “terapia razionale” per
trattare le psicosi maniaco-depressive. In ultimo, dal punto di
vista prettamente pratico, Abraham consiglia agli addetti ai
lavori, ossia agli altri psicoanalisti di iniziare una terapia in
periodi in cui il soggetto sia libero da attacchi maniacali o
depressivi. “Il vantaggio è evidente. Non si può eseguire l‟analisi
con
malati
melanconici
gravemente inibiti
o
maniacali
disattenti”.
L‟importanza di questo saggio consiste nel fatto che, l‟autore
coglie per la prima volta alcuni aspetti importanti della malattia
depressiva quali: l‟ambivalenza del depresso; la sua incapacità di
amare veramente gli altri; un‟eccessiva preoccupazione per sé;
- 27 -
l‟utilizzazione del senso di colpa per attirare l‟attenzione su di sé
e non ultimo l‟ostilità di base che impedisce una maturazione
emotiva adeguata. Ciò che invece sembra mancare è l‟importanza
del ruolo attribuito all‟aspetto relazionale nell‟eziologia e nel
mantenimento della depressione.
Dopo aver analizzato i capisaldi della teoria di Abraham sulla
depressione, è d‟uopo ricordare un‟altra sua opera, pubblicata nel
1917, intitolata Il primo stadio pregenitale della libido, che
rappresenta
un
approfondimento
delle
tematiche
precedentemente trattate, in cui l‟autore, tenendo anche conto
delle teorizzazioni di Freud sull‟argomento, si pone il compito di
dimostrare come la depressione possa essere integrata nella
formulazione della regressione ad uno stadio libidico particolare
dello sviluppo.
In effetti, Abraham ritiene che la depressione possa essere
interpretata come una regressione inconscia alla prima fase
psicosessuale, ovvero alla fase orale. La somiglianza tra la fase
orale e la depressione va ricercata nella modalità di scarica
libidica, così come in una forma caratteristica dei rapporti
oggettuali. Freud aveva indicato che la modalità dominante dei
rapporti inconsci degli individui con fissazione orale era
caratterizzata dall‟introiezione. Partendo da questo assunto,
Abraham pensa che il depresso vada oltre l‟incorporazione
dell‟oggetto psichico. Infatti, afferma che: “nella profondità
dell‟inconscio del depresso vi è una tendenza a divorare e a
demolire l‟oggetto”. Per cui, è questo desiderio inconscio di
- 28 -
distruggere “oralmente” l‟oggetto ad essere responsabile dei due
principali sintomi della depressione: il rifiuto del cibo (vale a dire
l‟equivalenza del cibo con l‟oggetto d‟amore che il soggetto teme
di distruggere) e la paura di morire di fame (di nuovo derivante
dal timore di realizzare dei desideri orali distruttivi). Abraham
sostiene anche un fatto apparentemente antitetico, vale a dire che
in alcuni depressi l‟assunzione di cibo allevia il sentimento di
depressione.
Ciò nonostante, anche in questo caso egli nota il rapporto tra
depressione e oralità (Bemporad, 1991).
In conclusione possiamo notare, anche in questo scritto, la
complessità del pensiero di Abraham ed il suo continuo lavoro,
tendente all‟ampliamento dei tratti caratterizzanti la patologia
depressiva.
- 29 -
1.2.3. Melanie Klein
Melanie Klein è stata una pensatrice originale che ha dato luogo,
nel corso del secolo scorso, ad un sistema autonomo di
interpretazione psicodinamica. I suoi interessi principali, che
derivano sia dalla esperienza clinica con i bambini gravemente
disturbati e sia dal contatto personale con Karl Abraham,
furono gli stadi più precoci della vita psichica e la funzione
prevalente
dell‟ambivalenza
nella
psicopatologia.
Il
suo
contributo allo studio della depressione si può comprendere
soltanto nel contesto del suo sistema generale, per cui è
importante riassumere, in grandi linee, il suo pensiero.
La Klein postula due stadi fondamentali di sviluppo nel primo
anno di vita, che chiama “posizioni”. La prima è la posizione
schizoparanoide, ed è caratterizzata da una percezione particolare
degli oggetti: conosciuti come parziali, piuttosto che interi. Per
esempio il bambino durante questo stadio dello sviluppo,
concepirebbe il seno come separato dalla madre. Inoltre, il seno è
“buono” quando è fonte di soddisfazione ossia quando lo nutre;
viceversa, viene concepito come “cattivo” 10 quando risulta
10
Il bambino non avverte gli oggetti come cattivi “solo perché non
soddisfano i suoi desideri, ma anche perché proietta su di essi la propria
aggressività; per questo fatto egli li immagina come realmente pericolosi,
come persecutori che teme lo divorino, svuotino il suo corpo”. […] “Queste
imago fantastiche, configurazioni distorte degli oggetti reali che ne sono il
fondamento, vengono collocate non solo nel mondo esterno ma con il
- 30 -
inadeguato a soddisfare i suoi bisogni. In questo modo, il
bambino risolve il problema dell‟ambivalenza “scindendo”
l‟oggetto intero in oggetti parziali separati buoni e cattivi, che
non appartengono alla stessa persona. Oltre ad avere la
sensazione che questi oggetti buoni e cattivi esistano nel mondo
esterno, il bambino interiorizza gli oggetti (a causa di una scarsa
differenziazione fra sé e l‟ambiente), in modo che essi diventino
“oggetti interni” nella psiche.
Pertanto l‟oggetto parziale “seno”, intorno a cui si origina la
dinamica della fase schizoparanoide, è esterno ed interno, buono
o cattivo, incorporato e proiettato, unitario e frammentario (cfr.
Silvia Veggetti Finzi, 1990).
Secondo la Klein, il bambino teme che gli oggetti cattivi
interiorizzati distruggano gli oggetti buoni interiorizzati. Egli
risolve
questo
conflitto riproiettando
gli
oggetti
cattivi
nell‟ambiente per poter salvare il suo senso interiore di bontà. In
tal modo il bambino vive l‟angoscia di essere distrutto dagli
oggetti cattivi, angoscia di tipo paranoide quando l‟oggetto è per
l‟appunto esterno; viceversa esperisce un‟angoscia di tipo
ipocondriaco, quando l‟oggetto persecutorio è sentito come
interno.
Nel corso dello sviluppo normale, il bambino sperimenta solo
sporadicamente tali angosce, tuttavia esse compaiono sempre e
processo dell‟incorporazione, anche nell‟Io” (Melanie Klein, 1935, trad. it.
p. 297).
- 31 -
svolgono una funzione strutturante, purché i fattori libidici11
prevalgono su quelli aggressivi. In questo caso (ma non
necessariamente) la posizione schizoparanoide sarà integrata
nella personalità matura. Inoltre il processo di scissione, benché
pieno di pericoli12, permette all‟Io di emergere progressivamente
dalla indistinzione
originaria e di ordinare la realtà esterna
secondo due categorie elementari “buono” e “cattivo”, che stanno
alla base della successiva capacità discriminativa.
Dunque, ad un certo livello di organizzazione interna, quando le
capacità cognitive del bambino sono sufficientemente mature, le
parti buone e le parti cattive di sé possono coesistere e l‟Io si
differenzia progressivamente dall‟oggetto, ossia la scissione cede
il passo alla integrazione dell‟Io e dell‟oggetto. Il passaggio
dall‟oggetto parziale all‟oggetto intero, che accade verso i sei
mesi, segna il superamento della posizione schizoparanoide e
l‟inizio della seconda posizione, che è quella depressiva. A
questo stadio il bambino si rende conto che sia il seno buono che
quello cattivo appartengono entrambi alla stessa madre, e che
11
Gli impulsi libidici del bambino aumentano man mano che egli si
identifica più completamente con un oggetto buono. Ed è proprio
l‟introiezione dell‟oggetto buono che gli permette di opporsi ai persecutori
interni.
12
Nel caso in cui l‟organizzazione primitiva della scissione divenga rigida e
permanente (fissazione), il soggetto funziona in modo psicotico, secondo i
quadri psichiatrici della schizofrenia e della paranoia, oppure si troverà in
quella situazione mediana tra psicosi e nevrosi, detta borderline (cfr. Silvia
Veggetti Finzi, 1990).
- 32 -
egli deve affrontare il conflitto derivante dal fatto che delle figure
esterne sono sia fonte di dolore che di piacere. Dunque, la madre
unificata ingloba in sé le caratteristiche precedentemente scisse
della bontà e della cattiveria e diviene un oggetto ambivalente.
Poiché l‟integrazione dell‟oggetto va di pari passo con
l‟integrazione
dell‟Io,
l‟ambivalenza
all‟ambivalenza dell‟altro.
La
crisi,
dell‟uno
corrisponde
a questo punto,
è
rappresentata dalla paura del bambino che la sua aggressività,
che egli ora riconosce come propria, distrugga gli oggetti buoni
sia esterni che interni. La paura principale viene quindi chiamata
“ansia depressiva”; essa è in rapporto con la paura del bambino
di avere lui stesso causato la perdita o la distruzione della sua
sensazione di benessere (oggetti buoni).
Pertanto, mentre nella fase schizoparanoide la maggior angoscia
consisteva nella distruzione dell‟Io da parte degli oggetti cattivi;
nella posizione depressiva, invece, l‟angoscia sorge dal timore
che i propri impulsi aggressivi distruggano l‟oggetto amato.
Inoltre, siccome l‟oggetto ideale viene, nella fase depressiva,
incorporato nell‟Io; qualsiasi attacco nei suoi confronti è sentito
come autodistruttivo. Da questo momento l‟aggressività infantile
non provoca solo angoscia ma anche lutto e senso di colpa (Silvia
Veggetti Finzi, 1990).
Vi sono vari modi in cui il bambino può affrontare la posizione
depressiva. Uno è quello di diventare inibito, depresso e timoroso
di agire, per paura di distruggere gli oggetti buoni. Un altro è
quello di negare il valore degli oggetti buoni e di affermare che
- 33 -
egli non ha bisogno di alcun altro oggetto se non di se stesso (la
cosiddetta difesa maniacale). Infine la soluzione sana è che il
bambino si renda conto che, benché le sue azioni o i suoi desideri
possano aver temporaneamente causato la perdita degli oggetti
buoni, questi possono essere recuperati mediante manovre
riparative appropriate (Bemporad, 1991). In questo modo il
soggetto riconosce le proprie responsabilità nei confronti dei suoi
sentimenti ostili (egli non li proietta sugli altri), e nello stesso
tempo si rassicura sul fatto che la sua ostilità non è così
distruttiva; che attraverso un comportamento appropriato gli è
possibile riacquistare un sentimento positivo riguardo a se stesso
(vale a dire gli oggetti buoni interiori). In effetti la Klein esprime
questo concetto con le seguenti parole: “il bambino riuscirà a
superare la posizione depressiva quanto più sarà in grado di
pervenire, in questo stadio, ad un rapporto felice con la madre
reale, ma tutto dipenderà dal come potrà trovare una via d‟uscita
dal conflitto tra l‟amore da una parte e l‟odio incontrollabile e il
sadismo dall‟altra (Klein, 1935, trad. it. p. 323). Inoltre ella
afferma che: “con l‟aumento dell‟amore per i propri
oggetti
buoni e reali aumenta la fiducia nella propria capacità di amare e
si riducono le angosce paranoidi per gli oggetti cattivi; questi
cambiamenti comportano una diminuzione del sadismo e modi
più adeguati di controllare l‟aggressività e di darle sfogo” (ivi, p.
324).
Così la posizione depressiva che la Klein ha ipotizzato: “Come
una melanconia in statu nascendi” (Klein, 1940, trad. it. p. 327)
- 34 -
diventa la posizione centrale dello sviluppo del bambino che,
nonostante abbia origine all‟epoca del costituirsi dell‟oggetto
totale (attorno ai sei mesi di età), si presenta poi in ogni
situazione di cambiamento indotto dallo sviluppo libidico e/o
dalle variazioni della realtà; dunque, si può parlare di modello
interiore di vicissitudini del soggetto nei confronti dell‟oggetto al
quale tornare sistematicamente nelle vicende della vita (cfr.
Semi, 1997). La capacità dell‟individuo di superare felicemente
la posizione depressiva infantile, non significa altro che
l‟acquisizione di un modello interiore di “posizione depressiva”
garante della possibilità (nelle evenienze successive della vita) di
restaurare e reintegrare il proprio mondo interno; una sorta di
meccanismo fondamentale di salvaguardia della vita psichica,
fallendo il quale si “può avere come risultato la malattia
depressiva, la mania o la paranoia” (Klein, 1940, trad. it. p. 352).
Sempre nell‟opera del 1940, intitolata Il lutto e la sua
connessione con gli stati maniaco depressivi, l‟autrice ci riporta
le differenze fondamentali esistenti tra il lutto e gli stati maniacodepressivi. Ella asserisce che: “La differenza fondamentale tra il
lutto normale da un lato e lutto anormale e stati maniacodepressivi dall‟altro si può esporre nei termini seguenti. Il
maniaco-depressivo e colui che non riesce a elaborare il lutto,
anche se si avvalgono di difese che possono essere notevolmente
diverse, hanno in comune che nella primissima infanzia non sono
riusciti a consolidare i loro oggetti interni buoni e a sentirsi
sicuri nel loro mondo interiore. Essi non hanno mai superato
- 35 -
veramente la posizione depressiva infantile. Nel lutto normale,
invece, questa posizione, che viene rivissuta a seguito della
perdita dell‟oggetto amato, torna a essere modificata e superata
con sistemi analoghi a quelli usati dall‟Io nell‟infanzia. Il
soggetto reinsedia dentro di sé l‟oggetto d‟amore − e cioè i
genitori buoni − che al momento della perdita reale ha sentito in
pericolo di perdere. Reinsediando dentro di sé sia i genitori buoni
che la persona appena venuta a mancare e ricostruendo il proprio
mondo interiore disgregato e in pericolo, il soggetto supera il
cordoglio, riacquista il senso della sicurezza e perviene a
un‟autentica armonia e una vera pace”.
Questa lunga citazione serve a farci notare come il bambino e poi
l‟adulto si appoggiano (nel corso della vita) sulla propria
esperienza del superamento della posizione depressiva infantile
per ricostruire il proprio mondo interiore (cfr. Semi, 1997). La
depressione è dunque, nel pensiero della Klein, una situazione
altamente drammatica, perché implica la mancanza nel soggetto
della possibilità di rifarsi a qualcosa (la posizione depressiva
infantile) a cui appoggiarsi per ricostruire il proprio mondo
interno.
In conclusione, possiamo considerare la Klein come colei che ha
contribuito a far progredire ulteriormente lo studio della
depressione. Tuttavia, il suo operato non è esente da critiche. Le
più accreditate riguardano: i cosiddetti “oggetti interni”, di cui ne
parla come se fossero entità reali; l‟attribuzione al bambino
piccolo di una quantità di meccanismi psicologici troppo
- 36 -
complessi (adultomorfismo); un‟eccessiva importanza data alla
patologia nel comportamento quotidiano; ed infine l‟ultima
critica riguarda il suo ignorare l‟importanza reale degli scambi
con le altre persone significative nella predisposizione alla
depressione.
1.2.4. Silvano Arieti e Jules Bemporad
Altri due teorici che si sono occupati della patologia depressiva,
il cui pensiero è possibile inquadrare nell‟ambito del modello
psicoanalitico sono Silvano Arieti e Jules Bemporad.
L‟opera in cui entrambi gli autori hanno trattato, in modo
veramente esaustivo, la patologia in esame (tenendo conto della
vastità del campo di studio) è intitolata La depressione grave e
lieve (1991). In questo lavoro essi si sono preposti lo scopo di
illustrare l‟importanza che i fattori psicologici giocano sia
nell‟eziologia che nella terapia della depressione, osservando che
i fattori psicologici, nonostante non siano gli unici responsabili di
ogni caso di depressione, sono sempre presenti; sta poi allo
specialista saperli individuare, a meno che non ci si accontenti di
una guarigione per così dire “superficiale e sintomatica”, che può
dare luogo ad una ricaduta della malattia, in ogni momento.
- 37 -
La loro elaborazione relativa alla depressione è suddivisa in
cinque parti: la prima parte, contiene una rassegna delle
principali teorie sulla depressione ed in essa viene descritta la
sintomatologia clinica della varie forme depressive; la seconda
parte tratta la psicodinamica della depressione grave (Arieti) e
lieve (Bemporad) ed in particolar modo la depressione nei
bambini e negli adolescenti; la terza parte è dedicata alla
esemplificazione di una serie di casi clinici; la quarta parte è
relativa agli aspetti sociologici
e letterari della patologia in
esame; ed infine l‟ultima parte, riguarda ulteriori osservazioni sul
rapporto fra cognizione e depressione. Tuttavia, la parte che
analizzeremo maggiormente è la seconda, poiché è proprio qui
che i due autori (prima, Arieti e successivamente, Bemporad)
espongono il loro pensiero sulla depressione.
Arieti, partendo dal presupposto che esiste uno stretto rapporto
tra la tristezza che è una emozione normale e, la depressione che
è uno stato o sintomo psichiatrico, e osservando che così come
nella
depressione,
anche nella
tristezza
si
verifica
un
cambiamento chimico nel cervello; crede che il fattore
determinante nella eziologia del disturbo depressivo sia un
fattore di tipo psicologico, infatti per l‟autore, è proprio
quest‟ultimo ad influenzare lo stato chimico del nostro cervello e
a farci comprendere la differenza esistente tra la tristezza
normale e la depressione. Pertanto, per Arieti che, come già
riferito precedentemente, privilegia un indirizzo psicodinamico
nello studio della depressione, sono le circostanze della vita, così
- 38 -
come gli schemi psicologici seguiti dal paziente a determinare la
depressione; di fatti l‟autore osserva, che anche quando il
paziente sembra non palesare i motivi che lo hanno reso
depresso, in realtà le ragioni che hanno determinato il suo
malessere esistono, ma semplicemente egli non le conosce.
Perciò, l‟obiettivo che si pone Arieti è quello di “descrivere il
modo in cui l‟ambiente influisce sul futuro paziente gravemente
depresso ed il modo in cui egli integra queste influenze”.
L‟autore descrive quattro modelli di vita che il futuro paziente
depresso può aver sviluppato, a seguito di una particolare
situazione familiare che ha vissuto. Invero, Arieti pensa che il
soggetto depresso: “nasce generalmente in una casa che è pronta
ad accettarlo e a prendersi cura di lui”, vale a dire ha una madre
che è disposta a soddisfare tutti i suoi bisogni e desideri. Questa
disponibilità della madre è a sua volta accettata dal bambino, il
quale è pronto ad accettare ogni cosa che gli venga offerta; cioè,
“fin dall‟inizio il bambino è molto recettivo all‟influenza
dell‟adulto significativo (genitore)” (ivi, trad. it. p. 156). Tale
recettività predispone il soggetto a sviluppare una dipendenza
eccessiva nei confronti dei genitori, e di conseguenza a favorire
lo sviluppo di tratti specifici di personalità nel futuro paziente,
quali: estroversione, conformismo ecc. Successivamente, nel
secondo anno di vita, si assiste ad un atteggiamento nuovo da
parte della madre (o genitori), che cambia drasticamente
l‟ambiente in cui il bambino sta crescendo. Talvolta, il
mutamento improvviso viene vissuto dal soggetto come un grave
- 39 -
trauma. In questa nuova situazione, la madre continua a prendersi
cura del bambino, ma a patto che quest‟ultimo soddisfi le sue
(loro) aspettative13, che sono per lo più esagerate. Così il
bambino “passa da un ambiente che lo predisponeva ad una
grande recettività ad un altro che ha grandi aspettative nei suoi
confronti”. In molti casi il mutamento brusco è avvenuto a causa
di una serie di accadimenti inaspettati, come per esempio:
l‟improvviso abbandono del bambino da parte della madre che lo
affida ad una nonna, zia o estranea; svezzamento (privazione di
latte materno) precoce ecc.. Il bambino sperimenta questi
avvenimenti come una minaccia14, e cerca di affrontare la nuova
situazione disturbante adottando una serie di meccanismi
speciali.
Un primo meccanismo comune, è “il cercare la sicurezza
accettando le aspettative onerose dei genitori” (modello
accomodante). Vale a dire, il bambino accetta coscientemente di
13
L‟aumento delle aspettative da parte dei genitori nei confronti del
bambino è dovuto al fatto che essi “sono generalmente insoddisfatti della
propria vita, e talvolta nutrono risentimento verso i bambini, che
rappresentano un aumentano di lavoro e di responsabilità”. Tuttavia, non
potendo manifestare questa ostilità apertamente la esprimono in questo
modo (ivi, trad. it. p.157).
14
Si usa il termine “minaccia” e non “perdita” perché, nonostante il
bambino abbia subito in molti casi una perdita reale (della madre, di una
domestica materna, dell‟amore ecc.), egli sperimenta tale situazione come
“minaccia”. Se così non fosse, il bambino tenderebbe a diventare subito
depresso.
- 40 -
soddisfare le loro richieste, poiché “soltanto accettando,
obbedendo e lavorando duramente può riconquistare l‟amore o lo
stato di beatitudine che aveva quando era piccolo” (ivi, p. 159).
Dunque, in tale circostanza il bambino ha paura di essere punito
e di perdere completamente l‟amore dei genitori se non fa ciò che
gli è stato chiesto. Inoltre, la paura di non riuscire nel proprio
intento si trasforma ben presto in un sentimento di colpa; di
conseguenza se l‟affetto o il perdono non arrivano, il bambino ha
l‟impressione che la colpa sia sua, perché non si è adeguato a ciò
che la madre (o altro significativo15) si aspetta da lui.
Questo rapporto interpersonale, basato sull‟essere acquiescente e
accomodante, predispone il bambino a selezionare e adottare
delle modalità specifiche di affrontare il mondo, gli altri e se
stesso; ad acquisire, dunque, una “personalità predepressiva”,
caratterizzata da estroversione, conformismo, eccessivo bisogno
di ordine e pulizia e forte senso del dovere.
Un secondo modello con cui il bambino cerca di affrontare
l‟improvviso mutamento delle circostanze ambientali è di
orientare tutti o quasi tutti i suoi sforzi verso uno scopo , quale
per esempio, quello di diventare un uomo importante , un capo,
un attore o un grande amatore. Nonostante, all‟inizio questo
modello si sia sviluppato per poter compiacere l‟altro
15
Arieti definisce la madre o in genere la figura di accudimento come
“l‟altro significativo”, ossia la persona da cui il bambino comunemente si
aspetta di ricevere nutrimento, accettazione, riconoscimento, amore e
rispetto (ivi, trad. it. p. 161).
- 41 -
significativo, più tardi quest‟ultimo perde di importanza e viene
gradualmente sostituito, durante l‟adolescenza, da uno scopo
significativo. A questo punto il soggetto si trova a vivere
esclusivamente per questo scopo. Normalmente “avere delle
aspirazioni nella vita è un fatto comune negli adolescenti”,
tuttavia, nella persona che diventerà gravemente depressa, lo
scopo significativo occupa la maggior parte della psiche e non
lascia posto per altri scopi. Ciò pone le basi per lo sviluppo di
una personalità predepressiva, in cui l‟unica cosa che conta è la
“sete di gloria”. In realtà, dietro questo atteggiamento c‟è
qualcosa di più, cioè, “a livello inconscio il paziente pensa che
sarà degno di amore da parte degli altri o di se stesso soltanto se
riuscirà a raggiungere lo scopo dominante”.
Un terzo modello che il bambino può adottare è quello di rendersi
più infantile e più bisognoso dell‟altro significativo. In tale
circostanza, il soggetto svilupperà un modello di dipendenza, in
cui la madre o altri adulti importanti sono obbligati a ristabilire
un‟atmosfera da prima infanzia, cioè di “beatitudine primitiva”.
Talvolta il bambino potrebbe sviluppare un forte risentimento
verso la madre che non gli dà abbastanza amore. Tale
risentimento si manifesta, spesso, con attacchi di rabbia 16,
collera, ribellione o anche violenza. In molti casi questi
16
Spesso anche nei bambini e negli adolescenti che hanno adottato il
secondo modello, sono presenti episodi di collera e ribellione; in questo
caso il soggetto può non voler più sacrificare tutta la vita per lo scopo
significativo, pertanto alterna dei periodi di apatia a comportamenti
stravaganti.
- 42 -
sentimenti vengono subito rimossi; in altri casi provocano dei
sentimenti di colpa e di indegnità, tali da trasformarsi in tendenze
masochistiche. Nell‟adottare questo modello, il bambino e più
tardi l‟adulto svilupperà un tipo di personalità molto esigente e
allo stesso tempo vischiosa e dipendente.
C‟è infine un quarto modello di vita, il cui meccanismo dinamico
si trova alla base di alcuni casi di psicosi maniaco-depressiva. In
questa situazione: “Il bambino intuisce che l‟accettazione o
l‟introiezione dei genitori diventa un peso eccessivo, e senza
rendersene conto, sposta la direzione delle sue incorporazioni
verso altri adulti dell‟ambiente (fratelli molto grandi, zii, nonni,
amici ecc.), che egli interiorizza al posto dei genitori” (ivi, p.
163). Il bambino ricorre inconsciamente a tale meccanismo per
diminuire il peso dell‟introiezione parentale , ma in molti casi
questa difesa non risulta utile, anzi ha l‟effetto di confonderlo
ulteriormente, e di aumentare il suo sentimento di colpa.
Il bambino che utilizza questo modello, manifesterà più tardi un
tipo di personalità superficiale, apparentemente caratterizzata da
un atteggiamento vivace, attivo, cordiale, amichevole; infatti a
livello profondo il soggetto è insoddisfatto della propria
esistenza.
I tipi di personalità sopra descritti, non conducono ad un
equilibrio stabile
ma
ad
uno
stato quasi
costante di
insoddisfazioni e di lieve depressione. Su questo sfondo stabile,
generalmente troviamo dei fattori precipitanti che inducono un
episodio di depressione grave. Queste situazioni precipitanti
- 43 -
possono essere classificate in tre categorie: 1) la consapevolezza
da parte del paziente del fallimento di un importante relazione
interpersonale (generalmente la relazione con il coniuge); 2) la
morte di una persona cara per il paziente; 3) il fallimento dello
scopo dominante, a cui il paziente ha dedicato l‟intera vita.
Arieti sostiene che la causa comune a tutte le situazioni sopra
elencate è “la perdita di un oggetto cui il soggetto attribuisce
valore”. Tali situazioni sono interpretate dal paziente come
“abbandono”; e hanno l‟effetto di riattivare la paura infantile di
“perdita dell‟amore materno”, che in questo caso non
è più
sentita come “minaccia” ma come “perdita”.
Esaminiamo più dettagliatamente le diverse situazioni, già
elencate.
La prima situazione si ha quando il paziente si rende pienamente
conto del fallimento di un‟importante relazione interpersonale. Il
genitore simbolico, generalmente il coniuge, è considerato come
un tiranno che ha tratto dei vantaggi dall‟atteggiamento
sottomesso e compiacente del paziente. Quest‟ultimo, da un lato
pensa di aver rovinato la propria vita dedicandosi intensamente al
coniuge, amandolo o forzandosi ad amarlo ad ogni costo;
dall‟altro non accetta l‟idea di provare odio nei suoi confronti.
Pertanto il soggetto cerca di rimuovere questo odio, ma allo
stesso tempo si sentirà indegno per il fatto di non amarlo. Ed è
proprio per quest‟ultimo motivo che il soggetto esperirà un
elevato senso di colpa e temerà dunque di essere abbandonato.
- 44 -
La seconda situazione, quando muore una persona cara al
paziente, è una riproduzione simbolica dell‟abbandono parentale.
Il paziente si sente depresso non solo perché pensa di essere stato
davvero abbandonato, ossia privato della fonte di amore, ma
anche perché si sente responsabile e colpevole. I sentimenti di
colpa sorgono a due livelli differenti: ad un livello, il paziente
sente di aver “ucciso” la persona morta, poiché crede che sia
stato il suo cattivo comportamento a rendere la persona
ammalata, infelice e di conseguenza portata alla morte; ad un
altro livello, il malato si sente colpevole perché riconosce che,
nei momenti in cui riaffiorava il risentimento, aveva desiderato la
morte della persona perduta. Il desiderio è ora divenuto realtà;
pertanto, il soggetto si sente colpevole di aver coltivato tale
desiderio omicida.
Nella terza situazione, la perdita è meno personale. Un
avvenimento improvviso come un licenziamento o una mancata
promozione fa sì che il paziente si renda conto che la sua intera
vita è stata un fallimento. L‟istituzione a cui il paziente ha
dedicato tanta parte di sé (per esempio l‟esercito, la Chiesa, la
sua professione, il lavoro) lo ha terribilmente deluso, e di nuovo
il paziente ne incolpa se stesso. Un fattore precipitante
relativamente comune è la perdita dell‟impiego. In alcuni malati,
però, un episodio depressivo grave può essere addirittura
scatenato da un avvenimento apparentemente piacevole. Per
esempio, le donne tra i quaranta e i cinquant‟anni, che hanno
subito precedenti episodi molto lievi di depressione, possono
- 45 -
incorrere in un grave episodio poco dopo il matrimonio di un
figlio o di una figlia unica. Qui l‟avvenimento è vissuto dalla
paziente non come un fatto piacevole ma come una perdita; di
fatto: “il figlio di cui la madre aveva tanto bisogno, e che era il
solo scopo e la sola soddisfazione della sua vita, ora
l‟abbandona”. In altri casi, l‟episodio si verifica dopo la
promozione, che viene interpretata dal paziente come una nuova
imposizione. In particolare, il soggetto sembra essere stanco dei
nuovi doveri; teme che la nuova posizione (che gli impone altre
responsabilità) metta a repentaglio la sicurezza che ha
conquistato con sforzi penosi; ed in ultimo, teme e si aspetta
l‟invidia e la collera degli ex-colleghi, cui è strettamente legato.
La previsione di tali reazioni da parte degli altri lo porta ad
allontanarsi da loro e lo conduce così alla reazione depressiva.
Talvolta il paziente, in questo quadro di estrema sofferenza, può
intravedere
delle
alternative,
che
però
gli
sembrano
“irrangiungibili o immeritevoli”. Ciò accade perché la sua vita è
“il risultato di una storia caratterizzata da un attaccamento rigido
a quei modelli di vita” sopra descritti. Tuttavia, l‟autore crede
che “questa incapacità di cambiamento può essere superata
attraverso una corretta psicoterapia”.
Questo è dunque il pensiero di Silvano Arieti sulla psicodinamica
della depressione grave. Viceversa, Jules Bemporad, come già
riferito in premessa, si occupa della teorizzazione delle forme
lievi
di
depressione.
L‟autore,
prima
di
analizzare
la
psicodinamica delle depressioni lievi, dà una propria definizione
- 46 -
della sindrome depressiva e delinea le caratteristiche generali dei
soggetti affetti da siffatta patologia.
La
depressione
viene
concepita
da
Bemporad
come:
“un‟emozione17 complessa che insorge quando un soggetto viene
privato (o si priva) di un elemento di vita che è necessario per un
soddisfacente stato del Sé” (Bemporad, 1991, trad. it. pp. 186187). Tuttavia, la maggior parte degli individui adulti,
sperimentano, nel corso della vita, episodi analoghi di sofferenza
mentale senza deprimersi clinicamente. Altri invece, passano
dalla reazione psicobiologica depressiva iniziale ad una vera e
propria depressione clinica. Secondo l‟autore “questi soggetti
sono predisposti ad episodi depressivi”, vale a dire hanno una
particolare personalità premorbosa chi li rende vulnerabili a
periodi ripetuti di depressione.
I soggetti affetti da forme depressive lievi hanno una serie di
peculiarità:
17
La teoria a cui Bemporad aderisce è quella proposta da Sandler e Joffe
(1965), i quali consideravano la depressione (in quanto stato affettivo)
come una risposta psicobiologica di base. Tale teoria è suffragata dal fatto
che la depressione stessa può essere determinata con mezzi fisiologici,
infatti, si possono osservare delle depressioni lievi in seguito a malattie
virali o in condizioni di affaticamento. “Tutto ciò sembra indicare che la
depressione, mentre viene causata per lo più da avvenimenti psicologici, è
strettamente legata ad alterazioni neurochimiche di base, e sembra pertanto
essere una modalità fondamentale di reazione, che è simile alle altre
emozioni” (Bemporad, 1991, trad. it. p. 185, nota 1).
- 47 -
 “riescono a funzionare bene nella loro vita quotidiana,
anche se spesso in misura ridotta”;
 sono capaci di ragionare e di utilizzare le normali attività
cognitive e di iniziare subito una psicoterapia;
 sono consapevoli, a differenza dei pazienti con forme gravi
di depressione, della natura distonica dei propri sintomi,
ossia riconoscono che i sintomi sono ingiustificati o
esagerati, pertanto desiderano attivamente liberarsene.
Tuttavia, l‟aspetto più importante che caratterizza tali pazienti
(nonostante la loro depressione possa oscillare da uno stato di
consapevolezza angosciosa di perdita, ad una conclusione
disperata della vita) è soprattutto la loro capacità di conservare i
rapporti con le altre persone; dalle quali, il più delle volte,
cercano conforto e appoggio.
L‟autore classifica queste forme lievi di depressione in tre tipi:
reattiva, caratteriale e mascherata.
La depressione reattiva è caratterizzata principalmente dal fatto
che inizia dopo il verificarsi di un evento spiacevole nella vita del
paziente, come per esempio il lutto, ossia la perdita per la morte
di una persona cara al paziente. Dunque, tale forma depressiva
“si verifica dopo un trauma identificabile e soggettivamente
grave nella vita dell‟individuo” (ivi, p. 187). Questo disturbo,
così come gli altri tipi di depressione lieve, si differenzia dalle
forme gravi per tutta una serie di motivi.
1. Mentre nella depressione grave, il soggetto sembra aver
utilizzato l‟altro dominante o lo scopo dominante per
- 48 -
liberarsi da un senso di male o di cattiveria interiori; al
contrario, il soggetto affetto da depressione reattiva, anche
se si vede “costantemente cattivo”, utilizza l‟altro
dominante o lo scopo dominante per ottenere piacere ed
importanza. Quindi, in quest‟ultimo caso, nonostante il
paziente si sente pigro, impotente o anche corresponsabile
per la perdita avvenuta, “il sottofondo maligno della vera
autosvalutazione” è assente.
2. Il depresso lieve, pur mostrando un bisogno eccessivo
dell‟altro o dello scopo dominante, è capace, a differenza
del depresso grave, di sviluppare altri modi per ottenere la
stima di sé.
3. I soggetti lievemente depressi sono meno rigidamente
legati ad una serie di idee, ovvero sembrano essere più
capaci di scoprire delle alternative nelle loro modalità di
pensiero; invece i depressi gravi sono rigidamente legati ad
un numero limitato di idee e di persone.
4. L‟infanzia del depresso lieve è stata meno traumatica di
quelle del depresso grave, infatti il primo è cresciuto in una
famiglia in cui il genitore dominante (generalmente il
padre) lo incentivava positivamente, attraverso lodi e
favoritismi,
a
favorendo
così
raggiungere
nel
paziente
risultati
lo
soddisfacenti;
sviluppo
di
un
atteggiamento acquiescente. Viceversa, il depresso grave
ha avuto una madre che lo rimproverava e minacciava di
- 49 -
abbandonarlo; per cui il paziente ha dovuto lavorare
duramente per ottenere l‟approvazione parentale.
La depressione caratteriale è una varietà di depressione lieve
che è contraddistinta da un costante umore depresso, che diventa
un tratto importante del carattere del soggetto. Tale forma
depressiva comprende due tipi generali di pazienti. Un gruppo ha
una struttura psichica analoga al gruppo reattivo, ma se ne
differenzia in quanto il rapporto con l‟altro dominante non ha
l‟effetto di espellere i sentimenti depressivi. Questo gruppo
“sembra proibirsi delle normali attività piacevoli per paura di
perdere l‟altro dominante o perché queste attività possono
interferire con il conseguimento dello scopo dominante”. Invero,
in quest‟ultimo caso, il paziente crede che qualsiasi distrazione
possa mettere a repentaglio il raggiungimento dello scopo
dominante, pertanto ogni situazione che il soggetto vive come un
ostacolo, darà luogo a periodi prolungati di depressione. L‟altro
gruppo, o gruppo inibito, è cronicamente depresso, poiché ha
delle convinzioni irrazionali, relative al Sé e agli altri che gli
impediscono di provare piacere; in effetti , in questo caso, la
depressione non sembra essere il risultato di avvenimenti
ambientali, ma il soggetto è affetto da un senso cronico di
inutilità e mancanza di speranza che gli impediscono di dedicarsi
ad attività gratificanti. A livello superficiale, il soggetto che
appartiene a questo gruppo, sembra essere orgoglioso, sicuro di
sé; al contrario, a livello più profondo è possibile scorgere una
personalità infantile, caratterizzata da: convinzioni paranoidi che
- 50 -
gli altri lo controllino e desiderio di essere accudito passivamente
dalle altre persone. Proprio per questo, il paziente, avendo paura
che i propri bisogni di dipendenza possano emergere, si allontana
gradualmente dalla vita relazionale, fino a provare “un vuoto
interiore o un senso di essere esclusi dal mondo”. Alcuni depressi
cercano di colmare questo vuoto interiore attraverso l‟alcool o la
droga ; tuttavia , come ben sappiamo, queste sostanze riescono a
lenire il dolore solo per un periodo breve.
Infine c‟è la depressione mascherata, così chiamata perché è
caratterizzata dall‟assenza di un sentimento cosciente di
depressione. Secondo Bemporad, questo disturbo è quello più
difficile da diagnosticare, poiché non sono stati delineati dei
criteri diagnostici sicuri per poterlo identificare. I pazienti affetti
da questo disturbo sono veramente depressi, ma utilizzano certe
difese contro tale “stato affettivo spiacevole”; infatti questi
soggetti presentano (abitualmente) dei disturbi ipocondriaci,
ossia appaiono preoccupati in modo veramente esagerato del loro
stato di salute fisica. In realtà sotto tale atteggiamento è possibile
scorgere la presenza dei comuni sintomi depressivi: paura della
novità e del piacere, paura di non guarire, manipolazione degli
altri per ricevere attenzioni, ecc.. Un tipo comune di depressione
mascherata è quella che assume le caratteristiche della sindrome
di depersonalizzazione. In questo caso, il sentimento depressivo è
così penoso che il soggetto elimina tutti i sentimenti per evitare
di sperimentarlo; difatti, il soggetto non si sente più se stesso,
- 51 -
sente che la voce o parti del corpo non gli appartengono, e
pertanto percepisce la realtà come trasformata.
Tuttavia, tutti i pazienti con depressione lieve, nelle sue
molteplici sfaccettature, condividono due tratti psicodinamici:
1. hanno continuamente bisogno della presenza di un agente
esterno per ottenere soddisfazioni, poiché si sentono
incapaci di procurarsi il piacere in modo autonomo.
Bemporad per definire questo tipo di comportamento
patologico parla di “paura della gratificazione autonoma”.
Questa caratteristica è per l‟autore un tratto che è possibile
osservare costantemente nel depresso; invero il successo
professionale o sociale acquistano importanza soltanto
nella misura in cui permettono al paziente di ottenere
l‟amore o l‟accettazione da parte degli altri significativi.
Da ciò ne consegue che tutti i suoi rapporti interpersonali
si basano sulla dipendenza e sull‟inibizione, allo scopo
principale di ottenere amore da parte degli altri dominanti.
2. non manifestano apertamente la propria collera, poiché
“esprimere direttamente la collera significa perdere l‟altro
che rappresenta tutto
e fornisce gli oggetti buoni
incorporati, cioè la gratificazione e la stima di sé.”
Pertanto, i pazienti depressi credono che qualunque
espressione di collera potrà catastroficamente risolversi
nella perdita della gratificazione e di conseguenza nella
perdita dell‟altro significativo.
- 52 -
Nella maggior parte degli studi sulla depressione è emerso che
c‟è una stretta correlazione tra la frequenza di morte di un
genitore durante l‟infanzia e la depressione in età adulta.
Tuttavia, nonostante c‟è tutta una serie di fattori (Bowlby, li ha
ben identificati) che dimostrano che la perdita di un genitore
attraverso la morte o qualche altra disgrazia rappresenta
certamente un trauma per il fanciullo; tutto ciò non sembra
predisporre in modo specifico alla depressione da adulto.
In verità, l‟autore crede che il futuro paziente depresso (come già
riferito precedentemente), sia stato incentivato o forse quasi
costretto dal padre, durante l‟infanzia, ad avere successo. Il
successo stesso è stato presentato al soggetto come una sorta di
ricompensa, una superiorità della famiglia o come un modo per
ricevere amore dal genitore. Infatti, il padre sembra essersi
interessato al figlio soltanto quando quest‟ultimo, attraverso un
comportamento modello o degli ottimi voti, è stato in grado di
portare vantaggi sociali alla famiglia. Prima di questo momento il
soggetto veniva trattato come “un compito senza importanza”,
affidato alla madre (in questo caso) debole e sottomessa. Questo
è dunque il pensiero espresso da Jules Bemporad sulla
psicodinamica della depressione lieve. Anche se c‟è da dire che,
entrambi gli autori, sia Arieti che Bemporad, hanno trattato in
modo molto approfondito e con un linguaggio molto chiaro e
semplice (grazie all‟aiuto anche di casi clinici) la patologia
depressiva grave e lieve.
- 53 -
Il merito che è giusto attribuire a questi due studiosi (nonostante
avessero dovuto prediligere, a causa della loro formazione
prevalentemente psichiatrica, un approccio biologico) è quello di
aver
voluto
sottolineare
l‟importanza
delle
componenti
psicologiche e di conseguenza anche della psicoterapia nella
patologia depressiva.
- 54 -
1.3. MODELLO COGNITIVISTA
Aaron T. Beck
Le teorie cognitive rappresentano un altro modello interpretativo
della depressione. Prima di trattare la teoria di A. Beck sulla
depressione, è importante ricordare che, fin dalle prime
descrizioni sull‟argomento, già la maggior parte degli autori
aveva notato che i disturbi depressivi facevano parte del quadro
sintomatologico delle distorsioni della cognizione. Tuttavia,
l‟originalità della teoria di Beck sta nel fatto che egli considera
queste distorsioni cognitive come la causa primaria della
malattia, piuttosto che come elaborazioni secondarie. Più
precisamente Beck considera secondarie le modificazioni del
tono dell‟umore che si presentano nel corso della depressione e
primarie le distorsioni che il sistema cognitivo del soggetto opera
nell‟analisi degli eventi e nell‟interpretazione della realtà (cfr.
Cornoldi, Sanavio, 2001).
Secondo Beck, tutte le forme di psicopatologia (e non soltanto la
schizofrenia) manifestano in certa misura dei disturbi del
pensiero. Evidentemente, nessuno può conoscere la
realtà in
modo completamente obiettivo, e la valutazione che ciascuno fa
del suo mondo viene influenzata dalle proprie esperienze passate.
Pertanto, il cosiddetto esame di realtà resta un fatto
prevalentemente soggettivo. Tuttavia, nonostante come ribadito
in premessa, la percezione della realtà sia connotata in via
prioritaria da aspetti soggettivistici, si sono sviluppate delle
- 55 -
forme di consenso nell‟ambito della collettività che considerano
determinate tipologie di esperienze come “normali”. In
psicopatologia, secondo l‟autore, appaiono delle distorsioni
caratteristiche che si discostano da ciò che la maggior parte degli
individui considererebbe un modo realistico di pensare o di
interpretare la realtà. In effetti, egli ritiene che il disturbo
depressivo dipenda da un modo di pensare dominato dalla regola
inflessibile secondo la quale ogni azione sarebbe o assolutamente
buona o assolutamente cattiva. Questo tipo di ragionamento
verrebbe acquisito nella primissima infanzia, e nel caso di
persistenza sin nell‟età adulta predisporrebbe alla depressione.
L‟autore osserva il ruolo decisivo che nella depressione giocano
le autocritiche, le esagerazioni per le difficoltà esterne, e la
mancanza di fiducia in se stessi. Infatti, i depressi: si mostrano
estremamente
sensibili
alle
critiche
degli
altri;
danno
un‟importanza esagerata alle piccole difficoltà; e si autosvalutano
continuamente. In particolare Beck definì questo flusso ideativo,
improntato soprattutto sull‟autocritica (di cui il soggetto depresso
inizialmente non è consapevole) con il termine Pensieri
Automatici Negativi (PAN) e li considerò uno dei sintomi del
disturbo depressivo. Attraverso la registrazione sistematica dei
PAN dei pazienti, Beck capì alcune loro caratteristiche.
Innanzitutto, osservò che tali idee si presentano in modo
involontario e spontaneo in forma abbreviata, “stile telegrafico”.
Inoltre sono molto fugaci e transitori. Secondo il modello
cognitivo tutte le persone hanno pensieri automatici, ma quelli
- 56 -
che caratterizzano il paziente depresso è il loro contenuto:
negativo, di fallimento, autocritica, insuccesso, incapacità,
indegnità e non amabilità. Il tema dominante in tale disturbo è la
perdita. Studiando il contenuto dei PAN dei pazienti depressi ci
si accorge che si tratta di una perdita di uno scopo fondamentale
per il proprio progetto di vita, non sostituibile con nient‟altro e
sentita come irreversibile e non riparabile. Il depresso non riesce
ad accettare tale perdita e si blocca nel percorso che normalmente
dopo la perdita porta all‟accettazione e riorganizzazione del
proprio
progetto
di
vita
(Mancini
e
Rainone,
2004).
L‟individuazione dei pensieri automatici negativi permise di
dimostrare la presenza, nel paziente depresso, di un generalizzato
negativismo in se stesso, nel mondo che lo circonda e nella
propria prospettiva futura. Tale visione negativa, che costituisce
il contenuto tematico cognitivo specifico e distintivo del disturbo
depressivo, viene definita da Beck: “triade cognitiva”18 (1967).
L‟autore afferma che la prima componente della triade, che si
riferisce al modello d‟interpretazione negativa dell‟esperienza, “il
paziente interpreta costantemente le proprie interazioni con
l‟ambiente come manifestazioni di sconfitta, privazione o
denigrazione. Vede la sua vita costellata da un susseguirsi di
fardelli, ostacoli o situazioni traumatiche che lo sminuiscono in
maniera notevole”.
18
Beck A. (1967), tr. it. La depressione, Torino, Boringhieri, 1978 p. 306-
307-320.
- 57 -
La seconda componente, che riguarda il modello di visione
negativa di sé, “il soggetto si considera deficiente, inadeguato o
indegno e tende ad attribuire le esperienze spiacevoli a un
proprio difetto fisico, mentale o morale. Inoltre, egli si considera
indesiderabile e indegno a causa di questo presunto difetto e
tende per questo a respingere sé stesso”.
La terza componente, che consiste nel vedere negativamente il
futuro, “il soggetto prevede che le sue difficoltà o sofferenze
attuali continueranno all‟infinito. Nel guardare il futuro, egli
vede una vita d‟incessanti avversità, frustrazioni e privazioni”.
L‟autore oltre ad aver individuato la triade depressiva, delinea
anche la “triade maniacale”; ed osserva che i “modelli cognitivi
tipici della fase maniacale della reazione maniaco-depressiva
hanno un contenuto esattamente opposto a quello che si osserva
nella depressione”. La triade maniacale è dunque costituita da:
una visione “illusoriamente positiva” del mondo, di sé e del
futuro; infatti le caratteristiche affettive e motivazionali tipiche di
questa fase sono una conseguenza dell‟attività di questi modelli
cognitivi.
Beck, è stato in grado di individuare questi elementi nucleari
della depressione attraverso i sogni, le libere associazioni, e le
reazioni agli stimoli esterni dei suoi pazienti. Egli presenta anche
numerosi
dati
sperimentali,
ottenuti
di
solito
mediante
valutazioni di questionari sulla depressione, per sostenere le sue
conclusioni. A tal proposito, c‟è da dire che la maggior parte
degli studiosi della depressione concorda sul fatto che i pazienti
- 58 -
depressi hanno spesso opinioni pessimistiche riguardo agli altri,
a se stessi e al loro futuro. La difficoltà sorge quando la
cognizione viene considerata come primaria e all‟origine del
sentimento depressivo. Per Beck, da questo atteggiamento
cognitivo sorgerebbero spontaneamente i sentimenti propri della
depressione.
Nel suo lavoro, Beck collega la depressione ad una perdita
significativa che, a sua volta, dà luogo alle caratteristiche
distorsioni o errori cognitivi (biases). Pertanto, egli osserva che
sono le esperienze di vita del paziente ad attivare degli schemi
cognitivi che vertono sul tema della perdita. E conclude
sottolineando che, dopo aver sperimentato la perdita (vista come
risultato sia di un evento reale e ovvio, che di privazioni evidenti)
la persona predisposta alla depressione comincia a valutare le sue
esperienze in modo negativo (cfr. Bemporad, 1991).
A tal proposito, è d‟uopo menzionare le specifiche distorsioni
cognitive (individuate da Beck) che i pazienti depressi
commettono abitualmente nell‟attribuire significato alle proprie
esperienze interne ed esterne. Esse sono le seguenti.
 Deduzione
arbitraria:
la
persona
giunge
ad
una
conclusione da prove inadatte o insufficienti o addirittura
contrarie.
 Astrazione selettiva: il paziente si concentra su un dettaglio
estrapolato dal contesto, ignorando altri aspetti salienti
della situazione e concettualizzando l‟intera esperienza
sulla base di questo particolare .
- 59 -
 Ipergeneralizzazione: il paziente trae una conclusione sulla
base di uno o più eventi isolati e la generalizza, in modo
arbitrario, ad altre situazioni.
 Minimizzazione e ingigantimento: la persona riduce o
esagera l‟importanza di un evento.
 Personalizzazione: l‟individuo tende a porre gli eventi
esterni in relazione a se stesso, anche in assenza di
elementi che giustificano tale attribuzione.
 Pensiero dicotomico: il paziente tende a classificare le
esperienze in due categorie opposte (pensiero bianco-nero)
 Tendenza a darsi la colpa: (strettamente correlata alla
personalizzazione, la persona tende a porre gli eventi
esterni in relazione a se stesso, anche in assenza di
elementi che giustificano tale attribuzione, manifestando
così un‟accentuata tendenza a darsi la colpa.
Beck sottolinea che gli errori cognitivi, messi in atto dal soggetto
depresso nell‟elaborare le informazioni, sono sistematici,
specifici e riguardano prevalentemente il dominio personale
(Mancini e Rainone, 2004).
Inoltre, ricordiamo che Beck ha prodotto un‟enorme quantità di
lavoro clinico e sperimentale a sostegno della sua teoria; e
benché essa abbia molti meriti, presenta anche alcuni difetti.
Tra i pregi ricordiamo sicuramente:
1. il superamento della contrapposizione tra una depressione
“nevrotica” ed una “psicotica”, ponendo le basi della
- 60 -
moderna
classificazione
diagnostica
dei
disturbi
dell‟umore così come oggi li conosciamo;
2. l‟equilibrio proposto, nel trattare l‟argomento, tra gli
aspetti psicologici e biologici;
3. l‟incremento del ricorso alla psicoterapia nella cura della
depressione − e questo in anni in cui l‟impiego della
psicoterapia
incontrava
più
controindicazioni
che
indicazioni nella cura della depressione (Cornoldi,
Sanavio, 2001).
Per quanto riguarda invece i difetti del suo operato, possiamo
notare che:
1. nonostante abbia evidenziato gli aspetti cognitivi della
depressione, ha rivolto l‟attenzione verso formulazioni
cognitive
prevalentemente
coscienti
e
semplici;
trascurando così le strutture cognitive inconsce. Per
esempio, alcuni depressi nutrono aspettative che li
condannano alla delusione e alla disperazione, eppure tali
aspettative sono inconsce e l‟individuo non è consapevole
dell‟influenza che esse esercitano sul comportamento;
2. la sua teoria si mostra carente nel determinare perché certe
persone diventano depresse dopo una perdita ed altre no.
Egli non prende realmente in considerazione gli aspetti
interpersonali di una persona incline alla depressione, e il
motivo per cui una perdita o una delusione scatenino un
episodio depressivo. Egli si limita piuttosto a riferire che
- 61 -
una perdita provoca una reazione a catena che si
autorinforza e che culmina nella depressione.
3. Beck descrive i risultati ma non la causa della patologia
depressiva, offrendo una versione della malattia soltanto in
sezione trasversale, non nel suo svolgersi longitudinale e
psicodinamico; ossia, nonostante egli descrive molto
accuratamente
alcune
distorsioni
cognitive
che
si
osservano durante un episodio depressivo, non sembra
andare oltre queste opinioni coscienti fino agli schemi
sottostanti, spesso inconsci, conflittuali o interpersonali,
che rendono in partenza l‟individuo vulnerabile alla
depressione (Bemporad, 1991).
Nonostante queste limitazioni, il lavoro di Beck è esemplare e
mostra la strada verso un settore trascurato in psicopatologia, che
è per l‟appunto quello della cognizione.
- 62 -
1.4. TEORIA DELL’ATTACCAMENTO
John Bowlby
John Bowlby, fondatore della teoria dell’attaccamento, ha
sviluppato anch‟egli un‟ipotesi sull‟eziopatogenesi del disturbo
depressivo. Prima di approfondire il suo pensiero sull‟argomento
in esame, è opportuno esporre i punti nevralgici della suddetta
teoria; senza la quale risulterebbe difficile collocare i suoi
successivi contributi, finalizzati alla comprensione di una serie di
disturbi psichiatrici (tra cui, quello depressivo).
Bowlby, psichiatra infantile e psicoanalista, giunse alla
formulazione teorica delle idee sull‟attaccamento tra il 1954 ed il
1963. Ma è tra il 1963 ed il 1980, il periodo in cui l‟autore
pubblica la trilogia19; opera attraverso cui giunse ad una
definitiva sistematizzazione della teoria dell‟attaccamento, che
nel frattempo si era arricchita di una serie di conferme empiriche.
Tale teoria è stata influenzata da diverse discipline, quali: la
psicoanalisi, la psicologia dello sviluppo, la cibernetica e
l‟etologia. Ma è stata soprattutto quest‟ultima, che basandosi
sull‟osservazione diretta e lo studio del comportamento di una
specie nel suo ambiente naturale, a dare un fondamento
scientifico alla teoria dell‟attaccamento. Invero, Bowlby, fu a tale
19
La trilogia (inizialmente pensata come libro unico, intitolato Attachment
and Loss) è composta da tre volumi: 1) Attachment, pubblicato nel 1969; 2)
Separation Anxiety and Anger, pubblicato nel 1973; 3) Loss, Sadness and
Depression, pubblicato nel 1980 (cfr. Caviglia, 2003, p. 28).
- 63 -
riguardo influenzato dagli studi effettuati sia da Konrad Lorenz, e
sia da Harlow e Zimmermann.
Il primo, studiò nel 1952 l’imprinting, definendolo come una
forma particolare di apprendimento sovraindividuale, stabile, che
è capace di influenzare i successivi modelli di comportamento. In
particolar modo, può osservarsi che Lorenz parla di “ periodi
sensibilità” o “periodi critici”, come periodi specifici in cui gli
animali sono biologicamente pronti ad imparare un nuovo
comportamento. In questi periodi l‟animale è particolarmente
sensibile a certi stimoli ed ha dei comportamenti particolarmente
suscettibili alla modificazione. L‟esempio più noto offertoci dallo
studioso austriaco, riguarda certi uccelli (le oche, per esempio),
che subito dopo la nascita sembrano capaci di imparare le
caratteristiche distintive della loro madre e perciò anche della
loro specie. Durante il periodo di sensibilità, il piccolo impara a
seguire uno stimolo e arriva a preferire quello stimolo
(imprinting). Pertanto, lo scopo dell‟imprinting è quello di
aumentare la possibilità di sopravvivenza dei piccoli attraverso la
vicinanza al genitore, che gli procura il cibo e lo tiene al riparo
dalle situazioni pericolose (cfr. Miller Patricia H., 1994).
Harlow e Zimmermann, invece, studiarono nel 1959 i piccoli
delle scimmie rhesus e mostrano che, quando ai piccoli veniva
offerta la possibilità di scegliere tra due surrogati materni, uno
fatto di fili metallici ed uno di stoffa; preferivano passare la
maggior parte del tempo a contatto con quest‟ultimo, nonostante
al primo venisse associato il cibo. Inoltre, quando venivano
- 64 -
impauriti da qualcosa di strano, i piccoli correvano ad
arrampicarsi sul modello di stoffa, piuttosto che su quello di filo;
e accadeva che essi risultavano notevolmente disturbati soltanto
se venivano separati dal modello di stoffa. Da ciò Harlow
dedusse che il benessere da contatto rappresenta una fonte molto
più importante del cibo nel sollecitare l‟affetto del piccolo nei
confronti della madre (cfr. Schaffer Rudolph H., 1998).
Bowlby, basandosi su queste osservazioni del legame madrefiglio negli animali, giunse così alla conclusione che, anche negli
umani, il legame di attaccamento si sviluppa a prescindere dal
nutrimento20; ed ha la funzione di garantire la sopravvivenza, in
quanto il piccolo umano non può sopravvivere senza un adulto
che si prenda cura di lui, in termini di “nutrimento e di
“accadimento”(cfr. Caviglia, 2003). In effetti, il neonato il cui
sistema motorio è ancora immaturo, utilizza i cosiddetti
“meccanismi innati di segnalazione” 21quali: pianto, balbettio,
sorriso; per comunicare i propri bisogni, ed incoraggiare l‟adulto
20
Bowlby va in questo modo a ribaltare uno dei principi base della teoria
freudiana: quello secondo cui il legame di attaccamento è secondario
rispetto al soddisfacimento orale. Infatti, l‟autore concepisce lo sviluppo
della dinamica dell‟attaccamento come un processo a sé stante, indipendente
dalla nutrizione (cfr. Caviglia, 2003).
21
Esistono dei dati in favore del concetto di Bowlby che i comportamenti di
segnalazione sono innati, infatti anche i neonati ciechi o ciechi e sordi
acquisiscono il sorriso sociale (diverso dal sorriso spontaneo, che è presente
sin dalla nascita) verso le sei settimane circa (cfr. Miller Patricia H., 1994).
- 65 -
ad andare da lui. Pertanto il sistema motorio immaturo del
neonato viene compensato da queste capacità di segnalazione.
A questo punto l‟analogia con le osservazioni di Lorenz risulta
evidente; infatti così come seguire l‟oggetto di imprinting serve
per le oche a mantenere la vicinanza e di conseguenza a ricevere
protezione e nutrimento, così i comportamenti di segnalazione
servono allo stesso scopo negli esseri umani (Miller Patricia H.,
1994).
Secondo Bowlby, l‟attaccamento agli adulti in generale si evolve
normalmente, intorno ai 6-9 mesi di età, verso l‟attaccamento per
uno o più adulti particolari. Questo attaccamento si può vedere
nelle proteste del bambino quando viene separato da un adulto
particolare, rispetto a tutti gli altri adulti, giacché questa
separazione è per il bambino “un‟indicazione di pericolo innata”
che provoca il comportamento di segnalazione volto a ripristinare
la vicinanza.
Per Bowlby, il sistema comportamentale di attaccamento è
influenzato, tuttavia, non solo da fattori innati, ma anche da
fattori ambientali. Infatti, nonostante il bambino abbia una
propensione innata a formare attaccamenti, il legame che andrà
ad instaurare (che può essere sia di tipo funzionale che
patologico) dipenderà sia dalle cure genitoriali cui è esposto, sia
dal tipo di comportamento (carattere) presentato dal bambino.
Per dirla con le parole di Bowlby (1969, cit. in Caviglia, 2003, p.
32): “Il fatto che la qualità delle cure ricevute dal bambino
influenza il modello di attaccamento che egli va formandosi, non
- 66 -
esclude che il bambino stesso ne sia in qualche modo attivamente
corresponsabile. Come una madre si occupa del suo bambino,
dipende in parte dalla sua personalità e dalle sue idee iniziali sui
bambini piccoli, dall‟esperienza che ha avuto dalla sua famiglia
d‟origine e in parte dalla sua esperienza attuale, che comprende
tra l‟altro il tipo di comportamento presentato dal suo bambino.
Un neonato facile può aiutare una madre indecisa a sviluppare
modalità di accudimento positive, mentre un neonato difficile e
imprevedibile può influenzarla in senso contrario”.
Secondo l‟autore alla fine il comportamento del neonato e
dell‟adulto
diventano
sincronizzati
in
una
“struttura
di
attaccamento”; in cui il comportamento di ciascun membro serve
come stimolo segnale per l‟azione a schema fisso dell‟altro.
Ciascun membro del sistema impara ad aspettarsi che l‟altro
risponderà al suo comportamento in un certo modo. Le
aspettative del bambino sono parte dei suoi “modelli operativi
interni”(MOI o IWM, Internal Working Model), definiti da
Bowlby come l‟insieme di norme coscienti e/o inconsce che
consentono di organizzare l‟informazione relativa all‟esperienza
di attaccamento. I MOI sono strutture mnestiche relativamente
stabili22 che includono aspetti percettivi, cognitivi ed affettivi; e
22
I modelli operativi interni, nonostante tendono a rimanere invariati e a
perpetuare gli stili di attaccamento dell‟infanzia nella vita adulta, possono,
in alcuni periodi particolari della vita di una persona, cambiare
naturalmente. Tali periodi sono: l‟adolescenza, la gravidanza e la nascita di
un figlio. Talvolta il lavoro psicoterapeutico assolve lo stesso ruolo (cfr.
Caviglia, 2003).
- 67 -
aiutano il bambino ad interpretare, valutare situazioni nuove, e
quindi, a scegliere un comportamento, come per esempio giocare
o cercare una figura di attaccamento per farsi consolare. Quindi,
un bambino che ha delle figure di accudimento sensibili e
responsive, che gli garantiscono sicurezza, fiducia e affetto,
svilupperà un senso di sé come degno di amore e di attenzione,
un senso degli altri come persone di cui avere fiducia, e avrà
aspettative positive nei confronti delle relazioni di intimità. In
questo modo si costituisce un “attaccamento sicuro” che consente
al bambino di organizzare in modo equilibrato le informazioni e
le emozioni, provenienti sia dal mondo interno che da quello
esterno. Viceversa, “un attaccamento insicuro” si instaura quando
il bambino sperimenta l‟inadeguatezza e l‟inaccessibilità del
proprio caregiver. Il bambino in questione svilupperà un senso
deficitario di sé e degli altri, poiché ha avuto delle figure di
accudimento scostanti ed insensibili che non sono state in grado
di fornirgli protezione, sicurezza, e fiducia in se stesso (Caviglia,
2003).
Secondo Bowlby, alla base della patologia depressiva, c‟è
proprio un attaccamento di tipo insicuro. In particolare è
nell‟ultimo volume della trilogia, intitolato La perdita della
madre, in cui l‟autore osserva che nella maggior parte delle
forme di disturbo depressivo, ivi inclusi il lutto cronico, il
soggetto esperisce un senso di “impotenza appresa” 23 che
23
È stato Seligman, a coniare nel 1973 il concetto di “impotenza appresa”;
richiamando l‟attenzione su quelle persone che, non essendo riuscite varie
- 68 -
comporta l‟inettitudine a conservare dei rapporti affettivi intensi
e soddisfacenti; siffatta sensazione di inettitudine è attribuibile
alle esperienze, che il soggetto depresso, ha vissuto nella famiglia
di origine. Bowlby, infatti, postula l‟esistenza di tre tipi di
esperienze familiari (che possono mostrarsi singolarmente o
interconnesse) responsabili del sentimento di impotenza che
caratterizza le persone depresse. La prima esperienza che può
aver vissuto il soggetto in questione è di non essere riuscito a
soddisfare, nonostante i suoi ripetuti sforzi, le aspettative
ambiziose dei genitori, con i quali non ha mai instaurato un
rapporto stabile e sicuro. Queste esperienze, vissute durante
l‟infanzia, predispongono il soggetto ad interpretare ogni
fallimento successivo come dovuto alla propria inettitudine. La
seconda esperienza possibile è quella in cui un genitore,
solitamente la madre, trasmette al soggetto la sensazione di
essere indegno, incapace e non meritevole del suo amore. Di
conseguenza, il soggetto svilupperà un modello di sé come di un
essere indesiderato, e un modello delle figure di attaccamento
come di esseri punitivi o rifiutanti24. L‟ultima esperienza
volte a risolvere determinati problemi, si sentono in seguito impotenti, e
anche quando si trovano di fronte ad un problema che rientra nelle loro
capacità risolutive, non cercano neppure di affrontarlo. O se ci riescono,
svalutano il loro successo, giudicandolo un puro caso (cfr. Bowlby, 1980).
24
Può osservarsi una certa affinità tra la teoria di Bowlby e quella di Beck,
infatti, entrambe le teorie postulano che “gli individui possiedono schemi
cognitivi che presentano alcuni aspetti insoliti ma caratteristici, i quali fanno
sì che il soggetto veda gli eventi della propria vita in quel particolar modo”.
- 69 -
enunciata da Bowlby, è quella in cui il soggetto sperimenta
durante l‟infanzia la perdita reale di un genitore. Tuttavia, ciò
può essere una condizione necessaria ma non sufficiente per
l‟insorgenza della malattia; infatti, il sopraggiungere della
patologia depressiva è determinato non dalla perdita in quanto
tale, ma da una serie di variabili intervenienti: “1) dalle cause e
dalle circostanze della perdita, con speciale riferimento a quanto
viene detto al fanciullo e a come glielo si dice, alle opportunità
che gli vengono in seguito date di far domande su cosa è
successo; 2) dai rapporti all‟interno della famiglia dopo la
perdita, con speciale riferimento al fatto che il bambino resti o no
con il genitore superstite; e in caso affermativo al modo in cui si
trasformano i modelli del rapporto in conseguenza alla perdita; 3)
dai modelli dei rapporti all‟interno della famiglia prima della
perdita, con speciale riferimento ai modelli esistenti tra gli stessi
genitori, e tra ciascuno di loro e il bambino che ha subìto la
perdita”(cit. in Bowlby, 1980, trad. it. p. 375).
Dunque,
l‟autore
riconosce
che
un
ruolo
importante,
nell‟eziologia dei disturbi depressivi, va attribuito agli eventi
psicosociali, in particolare alle esperienze di separazione e
perdita.
Bensì, le due formulazioni divergono in quanto: mentre la teoria bowlbiana
“cerca di spiegare come si sviluppino tali schemi, postulando che chi li
sviluppa è stato esposto a certi tipi di esperienze durante l‟infanzia”, la
teoria di Beck “non dà nessuna spiegazione” (Bowlby, 1980, trad. it. p.
302).
- 70 -
Fondamentali sono a tale riguardo, per Bowlby, i risultati dello
studio condotto dai sociologi Brown e Harris (pubblicati nel 1978
in The Social Origins of Depression) i quali hanno studiato la
parte svolta dagli eventi sociali emotivamente importanti nella
genesi dei disturbi depressivi, tenendo conto non soltanto degli
eventi esistenziali più recenti, ma anche delle perdite subite
durante l‟infanzia. Brown e Harris intervistarono 458 donne,
estratte casualmente dalle liste elettorali di Camberwell, nei
pressi di Londra. Il campione di donne fu poi suddiviso in 2
sottocampioni, uno composto da pazienti diagnosticati come
affetti da patologia depressiva e un altro costituito da un gruppo
di controllo. Gli autori rilevarono una forte correlazione tra il tipo
di perdita subita nel corso dell‟infanzia o della fanciullezza e la
forma e la gravità del disturbo; mentre non fu trovata una
correlazione significativa con le perdite subite l‟anno precedente
all‟insorgenza del disturbo. La conclusione cui giunsero Brown e
Harris fu che l‟esperienza della perdita può contribuire
occasionalmente a causare i disturbi depressivi in uno dei tre
seguenti modi: 1) come agente provocante che aumenta il rischio
dello sviluppo del disturbo; 2) come fattore di vulnerabilità che
aumenta la sensibilità di un individuo a quel tipo di eventi; 3)
come fattore che influisce sulla gravità e sulle forme del disturbo
depressivo, che può essersi sviluppato per una qualunque
ragione. Va anche detto che i risultati cui sono pervenuti i due
autori non sono stati esenti da critiche. Quelle più pregnanti
riguardano: la procedura utilizzata per diagnosticare i casi di
- 71 -
disturbi depressivi, e i metodi statistici usati per l‟analisi dei dati.
Tuttavia, Brown e Harris hanno saputo resistere caparbiamente
ed efficacemente alle obiezioni di cui sopra. In realtà uno dei
meriti da attribuire loro è quello di aver saputo dimostrare che le
persone cadono in depressione non per motivi irrazionali, ma lo
diventano per ragioni comprensibili.
Va infine ricordato che Bowlby, nell‟individuare le cause che
stanno alla base dei disturbi depressivi, attribuisce un ruolo
significativo, non solo agli eventi psicosociali (in particolare alla
separazione e alla perdita), ma anche ai processi neurofisiologici,
sottolineando la relazione (ormai accertata) esistente tra
determinati neurotrasmettitori da una parte e i disturbi affettivi
dall‟altra.
A questo punto, non può non tenersi conto dei contributi
apportati da Bowlby nel trattare l‟eziopatogenesi del disturbo
depressivo; infatti egli è stato l‟autore che riuscito più di tutti ad
inquadrare la patologia in esame a “trecentosessanta gradi”, cioè
a tener conto delle interazioni complesse esistenti tra le influenze
genetiche e quelle ambientali, e a sottolineare il peso diverso che
a seconda della situazione possono giocare le une e le altre.
- 72 -
1.5. MODELLO BIOLOGICO
Nel trattare questo modello, va subito chiarito che un indirizzo
biologico nello studio della depressione non è necessariamente in
contraddizione con un indirizzo psicodinamico. Indubbiamente i
fenomeni psicologici si accompagnano ad eventi neurofisiologici
e l‟esperienza della depressione non fa eccezione. Pertanto, i due
punti di vista sono conciliabili se la depressione viene concepita
come un sentimento fondamentale che emerge automaticamente
in certe situazioni.
1.5.1. Teoria Monoamminergica
Prima di esporre la teoria Monoamminergica, è importante dare
alcune delucidazioni sul funzionamento del sistema nervoso
centrale. Il sistema nervoso centrale (SNC) è costituito da oltre
100 milioni di cellule -neuroni- che hanno una forma molto
speciale. Ogni neurone assomiglia, infatti, ad una ragnatela. Esso
contiene: il nucleo o corpo cellulare, il cui compito è quello di
provvedere alla sopravvivenza dell‟ intero neurone; i dentriti,
prolungamenti nervosi brevi che si ramificano attorno al corpo
cellulare e che costituiscono le principali strutture recettrici del
neurone; assone o fibra nervosa, prolungamento generalmente
unico che trasmette i segnali nervosi al neurone successivo; ed
infine i terminali assonici, ramificazioni dell‟assone provviste di
- 73 -
un terminale assonico, chiamato terminale presinaptico o bottone
sinaptico (cfr. Guyton A. C., 1996).
Il bottone sinaptico, poggia sulla superficie della membrana di un
dentrite o del corpo cellulare di un altro neurone, stabilendo così
un punto di contatto chiamato sinapsi. In questo modo i segnali
nervosi vengono trasmessi da un neurone all‟altro.
Nel mondo animale esistono fondamentalmente due differenti
tipi di sinapsi: la sinapsi chimica e la sinapsi elettrica. Tutte le
sinapsi impegnate nella trasmissione di segnali del SNC
dell‟uomo sono sinapsi chimiche. In questo tipo di sinapsi, il
primo neurone secerne a livello della fessura sinaptica (spazio
inter-neurale o sinaptico in cui si svolgono i fenomeni chimici
che assicurano la trasmissione dell‟informazione dal settore
presinaptico al settore postsinaptico) una sostanza chimica, il
neurotrasmettitore o neuromediatore, che a sua volta agisce su
proteine recettrici della membrana del neurone successivo per
eccitarlo, inibirlo oppure per modificarne la sensibilità.
I
mediatori
chimici,
che
veicolano
la
trasmissione di
informazioni fra le cellule nervose, sono numerosi, ma quelli
implicati nello scompenso depressivo sono due: la serotonina e la
noradrenalina. In particolar modo, si ha una diminuzione
patologica del numero di molecole di una o più di queste
sostanze che sono disponibili nelle interfacce fra le cellule
nervose. Tutto ciò sta alla base della teoria Monoamminergica
della depressione, che associa la depressione ad un deficit di
attività delle sinapsi serotinergiche e noradrenergiche. Questa
- 74 -
teoria fu proposta simultaneamente da Schildkraut e Davis, nel
1964, per la noradrenalina, e poco dopo da Coppen per la
serotonina.
In particolar modo, bisogna ricordare che sono stati i vari
progressi compiuti nel trattamento della depressione (frutto di
tentativi
puramente
empirici)
a
condurci
alla
ipotesi
monoamminergica. Infatti è stata la scoperta di alcuni farmaci,
come gli IMAO, gli antidepressivi triciclici o gli inibitori selettivi
del
riassorbimento
della
serotonina
che,
impedendo
la
ricaptazione della noradrenalina e della serotonina nelle
terminazioni nervose, mantengono un più elevato tasso di queste
ammine nelle sinapsi. Invero nel soggetto depresso, si osserva: la
deattivazione del neurotrasmettitore che viene riassorbito nel
bottone sinaptico, provocandone un abbassamento nella fessura
sinaptica; e la diminuzione dei recettori sul settore post-sinaptico,
problema anche questo attenuato dall‟utilizzo di antidepressivi.
Tuttavia, la teoria Monoamminergica non è esente da problemi.
 Il primo riguarda l‟incongruenza che c‟è con il decorso
temporale dell‟effetto del farmaco antidepressivo. In
particolare, i farmaci aumentano il livello di monoammine
nel giro di poche ore, ma occorrono diverse settimane di
trattamento per ottenere dei risultati benefici.
 Il
secondo
problema
catecolammine
è
che
(noradrenalina
l‟eliminazione
e
dopamina)
delle
non
è
abbassata in tutti i pazienti depressi, lo è soprattutto nei
soggetti agitati o ansiosi.
- 75 -
 Il terzo problema è che alcune sostanze che bloccano il
riassorbimento delle monoammine (per esempio, la
cocaina) non hanno effetti antidepressivi.
 Il quarto è che il litio (utilizzato nella fase maniacale della
depressione)
non
blocca
il
riassorbimento
delle
monoammine, tuttavia ha un effetto antidepressivo
efficace.
 Infine, il quinto problema è che la misurazione dei livelli
di monoammine e dei loro metaboliti nei pazienti depressi
non ha fornito supporto a favore della teoria (cfr. Pinel,
2000).
1.5.2. Altre Ipotesi
Studi più recenti hanno portato alla scoperta di nuovi
antidepressivi che, contrariamente ai precedenti, agiscono o sul
sistema noradrenergico o su quello serotinergico e anche questi
ultimi si sono rivelati efficaci nel trattamento del disturbo
depressivo.
Due sono state le ipotesi avanzate per render conto di questa
complessità: la prima postula l‟esistenza di due malattie, la
seconda postula due meccanismi complementari.
La prima ipotesi suppone che esistano due forme di depressione,
l‟una
legata
a
un‟insufficienza
- 76 -
della
neurotrasmissione
noradrenergica,
l‟altra
legata
a
un‟insufficienza
della
neurotrasmissione serotinergica. Gli argomenti a favore di questa
ipotesi sono numerosissimi. Si hanno depressioni prodotte da una
insufficienza della trasmissione serotinergica, ma non tutti i
depressi
presentano
livelli
deboli
di
5HIAA
(acido5-
idrossindolacetico-metabolita della serotonina). Quelli che li
presentano sono gli stessi che rispondono al prodotto precursore,
il triptofano (cfr. Widlöcher, 1985).
È d‟altra parte provata l‟esistenza di depressioni, prodotte da
un‟insufficienza noradrenergica. Coloro che presentano un basso
tasso di MHPG (3-metossi-4-idrofeneletilenglicole-metabolita
della noradrenalina) nelle urine tendono a rispondere meglio a
certi antidepressivi che non ad altri.
Fino ad oggi, gli antidepressivi utilizzati influenzavano entrambe
le funzioni, la noradrenergica e la serotinergica e soltanto delle
percentuali di riuscita permettevano di inferire una migliore
risposta all‟uno o all‟altro antidepressivo. Sotto questo profilo, la
recente scoperta di prodotti molto specifici rispetto all‟una o
all‟altra funzione permetterà forse di verificare l‟ipotesi in esame.
La seconda ipotesi, invece, suppone che in ogni depressione
esiste una perturbazione associata dei due sistemi. Secondo
alcuni, la malattia depressiva sarebbe il prodotto di uno squilibrio
tra le due funzioni. Secondo altri, esisterebbe in tutti i maniacodepressivi (tanto nel corso di accessi maniacali quanto durante gli
accessi depressivi) una deficienza della funzione serotinergica,
mentre la funzione noradrenergica diminuirebbe negli stati
- 77 -
depressivi e aumenterebbe negli stati maniacali (Widlöcher,
1985).
Il deficit serotinergico permetterebbe il manifestarsi della
perturbazione noradrenergica. Inoltre non è certo che nella
depressione siano implicati solo i deficit noradrenergici e
serotinergici, infatti i farmaci antidepressivi hanno effetto anche
su altri
recettori; tra i più noti ricordiamo i recettori
dell‟acetilcolina.
Infine, analizziamo altre due teorie sulla depressione, alternative
a quella Monoamminergica.
La prima teoria, concentra l‟attenzione sul sistema adenoipofisicorticale adrenergico. Essa si basa sul fatto che l‟iniezione di
dexametasone, (un
glucocorticoide sintetico), non riduce il
rilascio di glucocorticoidi nei pazienti depressi, come fa invece
nei soggetti sani. Questa evidenza suggerisce che la mancanza di
un meccanismo appropriato di feedback negativo sul sistema
ipofisario potrebbe costituire un fattore della depressione (cfr.
Barden, Reul e Holsboer, 1995, cit. in Pinel, 2000). Evidenze a
favore di questa teoria provengono dalla scoperta che la terapia
antidepressiva spesso ristabilisce la normalità nella risposta al
test della soppressione del dexametasone. Tuttavia, l‟assenza
della soppressione del dexametasone non è specifica dei disturbi
affettivi; infatti, è riscontrabile anche nei casi di demenza.
La seconda teoria postula che alla base della depressione ci sia
una trasmissione genetica: in particolare, si osserva che il
responsabile di una siffatta trasmissione sia il cromosoma X (cfr.
- 78 -
J. Ruffiè, 1982, cit. in Widlöcher, 1985). Tale teoria servirebbe a
provare l‟esistenza di un fattore genetico soprattutto nelle forme
bipolari di depressione. Si sa che dei quarantotto cromosomi, due
hanno l‟effetto di determinare il sesso del soggetto. Nei soggetti
di sesso maschile, i due cromosomi differiscono. L‟uno, il
cromosoma X, proviene dalla madre; il secondo, il cromosoma
Y, proviene dal padre. Le figlie presentano due cromosomi X,
provenienti l‟uno dalla madre e l‟altro dal padre. Il fatto che la
depressione colpisca più frequentemente le donne rispetto agli
uomini potrebbe spiegarsi con la localizzazione sul cromosoma
X del gene portatore dell‟anomalia. Invero, le argomentazioni a
favore di questa ipotesi non sono specifiche delle forme bipolari;
ma sono caratteristiche di tutti i tipi di depressione.
1.5.3. Conclusioni
Tenendo conto degli sviluppi apportati dal modello biologico, è
possibile dividere gli studiosi della materia in due schieramenti:
da un lato ci sono gli scettici e dall‟altro gli entusiasti.
Gli scettici ammettono senz‟altro l‟idea che l‟encefalo sia la base
dei comportamenti, ma non accettano l‟idea che da un cervello
fragile
possa dipendere un fenomeno così grossolano come
quello che influenza alcune monoammine. Il rischio, nel
- 79 -
momento in cui si assume tale atteggiamento, oltre ad essere di
tipo pratico (riluttanza nei confronti di una terapia farmacologia
efficace) è quello di rinunciare ad una riflessione autentica sul
rapporto tra lo «psicologico» e il «biologico». Ossia, si corre il
pericolo di non tener conto di questa costante interconnessione
esistente tra i fenomeni psicologici e quelli biologici nella genesi
della patologia depressiva.
Gli entusiasti, invece, preferiscono opporre il cervello normale,
che assicura libertà di pensiero, al cervello malato, responsabile
della depressione. In realtà queste presupposizioni costituiscono
un intralcio alla necessaria riflessione critica al pari dei
pregiudizi degli scettici.
In ogni caso è importante non assumere posizioni estreme,
poiché dire che la depressione sia una semplice espressione
comportamentale dell‟azione neurochimica è vero in parte
(questo è possibile osservarlo soprattutto nelle depressioni
endogene) ma è anche indiscutibile che tale comportamento sia
una risposta, normale o patologica agli avvenimenti della vita e
allo stato di personalità dell‟individuo.
Piuttosto che opporre una forma primaria e biologica della
depressione
ad
una
forma
secondaria,
i
dati
empirici
suggeriscono un modello di interazioni reciproche nel quale le
costrizioni di ordine psico-sociale entrano in equilibrio o in
competizione con costrizioni d‟ordine neurofisiologico.
Un modello del genere sottolinea che le interazioni tra gli
avvenimenti psico-sociali e lo stato del cervello sono bilaterali,
- 80 -
ossia che lo stato depressivo è da considerarsi sia come una
risposta a stimoli di ordine sociale e psicologico, sia come il
prodotto di cambiamenti neurofisiologici che si verificano nel
cervello.
Dunque, non possiamo lasciare all‟indagine biologica il compito
di spiegare tutto, ma è opportuno interrogarsi sulla natura
psicologica di tale disturbo e tentare altresì di precisarne le
caratteristiche fondamentali.
- 81 -
1.6. MODELLO PSICHIATRICO
1.6.1. Quadro generale del DSM-IV
Nell‟ambito psichiatrico, lo strumento che viene utilizzato per
diagnosticare i disturbi mentali è il Manuale Diagnostico e
Statistico dei disturbi mentali (DSM), giunto alla IV edizione. Il
DSM-IV, è dunque la quarta revisione di un lavoro di ricerca
iniziato più di mezzo secolo fa da parte dell‟American
Psychiatric Association. Alla sua redazione hanno collaborato 13
gruppi di lavoro, ognuno dei quali era responsabile di una
specifica sezione; questi gruppi di lavoro si sono avvalsi della
consultazione e della collaborazione di oltre mille specialisti ed
hanno interpellato oltre 60 società scientifiche, compresa
l‟American Psychological Association.
Parte della sua popolarità è pertanto dovuta al fatto che esso è
caratterizzato da uno sforzo ateorico, ossia è scritto con un
linguaggio condivisibile dai diversi orientamenti, e si fonda su
una vasta base empirica.
Il sistema utilizzato per la stesura di questo manuale, parte dal
presupposto che le cause dei disturbi mentali siano tuttora
materia dubbia e controversa, e che le conoscenze a riguardo si
modifichino rapidamente; quindi è di buona regola che un
sistema di classificazione sia quanto più semplice possibile,
assicurando così la massima concordanza tra i diversi utilizzatori.
Di fatti, lo scopo del DSM-IV è quello di fornire descrizioni
- 82 -
chiare delle categorie diagnostiche, allo scopo di consentire ai
clinici ed ai ricercatori di diagnosticare, di comunicare, di
studiare e di curare le persone affette dai diversi disturbi mentali.
Per capire come utilizzare il suddetto manuale, è importante
approfondire alcuni concetti: quello di codice diagnostico;
diagnosi; specificazioni della gravità e del decorso; ricorrenza
del disturbo; tipo di informazioni nel testo; piano di
organizzazione; e valutazione multiassiale.
La maggior parte dei disturbi presenti nel DSM-IV hanno un
codice diagnostico. L‟uso di questi codici risulta fondamentale
per tutta una serie di motivi: consente di tenere le cartelle
cliniche, facilita la raccolta dei dati ed il recupero e la
compilazione di informazioni statistiche. I codici sono anche
spesso necessari per riferire i dati diagnostici a terze persone,
quali le agenzie organizzative, gli assicuratori privati e
l‟Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).
La diagnosi del DSM-IV si applica allo stato attuale
dell‟individuo, e non viene utilizzata per indicare precedenti
diagnosi dalle quali l‟individuo è guarito. La diagnosi può essere:
Principale/Motivo della visita e Provvisoria. La prima, viene
considerata come la condizione che, dopo la valutazione del
soggetto, viene ritenuta responsabile del ricovero. Il motivo della
visita, è la condizione principalmente responsabile delle
prestazioni mediche ambulatoriali fornite durante la visita. Nella
maggior parte dei casi la diagnosi principale, o il motivo della
visita, rappresentano il centro dell‟attenzione e del trattamento.
- 83 -
La diagnosi provvisoria è utilizzata quando non sono disponibili
informazioni sufficienti per porre una diagnosi sicura.
Le specificazioni della gravità e del decorso vengono elencate
dopo la diagnosi e possono essere: Lieve. Sono presenti pochi
sintomi che provocano solo una minima menomazione nel
funzionamento. Moderato. Sono presenti sintomi o menomazione
funzionale tra “lieve” e “grave”. Grave. Sono presenti molti
sintomi che possono provocare una menomazione marcata nel
funzionamento sociale o lavorativo. In remissione parziale. I
sintomi per diagnosticare il disturbo risultavano precedentemente
tutti presenti, ma attualmente sono presenti solo alcuni dei
sintomi o segni del disturbo. In remissione completa. Non vi
sono più sintomi o segni del disturbo, ma è ancora clinicamente
giustificato rilevare il disturbo. In anamnesi. Viene annotata una
storia dei criteri che sono risultati soddisfatti per un disturbo,
anche quando l‟individuo ne è considerato guarito.
Nella pratica clinica, quando si parla di ricorrenza, si fa
riferimento alla presenza di sintomi che possono indicare una
ricaduta del disturbo originale, ma che ancora non soddisfano i
criteri completi per quel disturbo. Sta poi al clinico decidere
come indicare la ricorrenza di tali sintomi che può essere:
Attuale, Non Altrimenti Specificata (NAS) e in Anamnesi.
Il testo del DSM-IV descrive sistematicamente ogni disturbo
sotto i seguenti titoli: caratteristiche diagnostiche, sottotipi e /o
specificazioni, procedure di registrazione, manifestazioni e
disturbi associati, caratteristiche collegate a cultura, età e genere,
- 84 -
prevalenza,
decorso,
familiarità
e diagnosi
differenziale.
Quest‟ultima è fondamentale per proporre una giusta diagnosi,
poiché ci dà indicazioni utili su come differenziare un disturbo
da altri che presentano caratteristiche simili, tali da provocare
confusione nel clinico.
Per quanto riguarda il piano di organizzazione, i disturbi del
DSM-IV sono raggruppati in 16 classi diagnostiche principali
(per esempio, disturbi da uso di sostanze, disturbi dell‟umore,
disturbi d‟ansia) ed una sezione supplementare; “Altre condizioni
che possono essere oggetto di attenzione clinica”.
Si può infine osservare che il DSM-IV è caratterizzato da un
sistema multiassiale, che comporta la valutazione delle patologie
su diversi assi, ognuno dei quali si riferisce ad un campo diverso
di informazioni, che può aiutare il clinico nel pianificare il
trattamento e prevedere l‟esito. La classificazione multiassiale
del DSM-IV comprende cinque assi:
ASSE I . Disturbi clinici ─Altre condizioni che possono essere
oggetto di attenzione clinica.
ASSE II . Disturbi di Personalità ─ Ritardo Mentale.
ASSE III . Condizioni mediche generali.
ASSE IV . Problemi Psicosociali ed Ambientali.
ASSE V . Valutazione Globale del Funzionamento.
L‟uso del sistema multiassiale facilita la valutazione dei vari
disturbi mentali e condizioni mediche generali, dei problemi
ambientali e psicosociali e del livello di funzionamento, che
- 85 -
potrebbero essere trascurati se il centro dell‟attenzione fosse
rivolto alla valutazione di un singolo problema in atto.
1.6.2. I Disturbi dell’Umore
La depressione è un quadro clinico complesso, il cui elemento
caratterizzante è rappresentato da un disturbo del tono
dell‟umore25: l‟umore depresso. I disturbi dell‟umore sono
riportati sull‟asse primo del DSM-IV. La sezione relativa a tali
disturbi è organizzata in tre parti. La prima parte comprende gli
Episodi di Alterazione dell‟Umore26: L‟Episodio Depressivo
Maggiore è detto proprio “episodio” perché costituisce un fatto
transitorio: un periodo, che dovrebbe durare almeno due
settimane, che presenta un cambiamento rispetto al precedente
livello di funzionamento dell‟individuo, con sintomi che causano
disagio clinicamente significativo o compromissione del
funzionamento sociale e lavorativo o di altre aree importanti. I
25
L‟umore può essere definito come una tonalità emotiva di fondo, che ha
una certa durata nel tempo, nasce in genere in maniera spontanea, permea in
maniera diffusa tutto l‟essere, connotando l‟attitudine posturale e motoria
del soggetto e le sue modalità di rapportarsi alla realtà (cfr. Militerni, 2004).
26
Gli Episodi di Alterazione dell‟Umore non hanno codici diagnostici
propri, e non possono essere diagnosticati come entità separate; essi
rappresentano comunque la base per la diagnosi dei disturbi.
- 86 -
sintomi possono essere vari: 1) Umore depresso per la maggior
parte del giorno, quasi ogni giorno. 2) Marcata diminuzione di
interessi o piacere per tutte o quasi tutte le attività per la maggior
parte del giorno, quasi ogni giorno. 3) Significativa perdita (o
aumento) di peso o dell‟appetito. 4) Insonnia (o ipersonnia) quasi
ogni giorno. 5) Agitazione o rallentamento psicomotorio quasi
ogni giorno. 6) Affaticabilità o mancanza di energia quasi ogni
giorno. 7) Sentimenti di autosvalutazione o di colpa eccessiva o
inappropriati (che possono essere deliranti), quasi ogni giorno. 8)
Ridotta capacità di pensare o di concentrarsi, o indecisione quasi
ogni giorno. 9) Pensieri ricorrenti di morte, ricorrente ideazione
suicidaria senza un piano specifico, o un tentativo di suicidio, o
ideazione di un piano specifico per commettere suicidio. Per
parlare in senso proprio di Episodio Depressivo Maggiore è
richiesta la presenza di almeno cinque dei sintomi sopra elencati.
Inoltre i sintomi non sono giustificati da lutto o dovuti ad effetti
fisiologici di una sostanza o di una condizione medica generale.
L‟Episodio Maniacale è anch‟esso un periodo di alterazione
grave dell‟umore; in questo caso l‟umore è anormalmente e
persistentemente elevato, espansivo o irritabile. Per definire un
episodio maniacale, la durata dell‟episodio deve essere di almeno
una
settimana
e
la
gravità
tale da
compromettere
il
funzionamento lavorativo o delle attività sociali abituali. Inoltre è
richiesta la presenza di almeno tre sintomi sotto elencati: 1)
Autostima ipertrofica o grandiosità. 2) Diminuito bisogno di
sonno. 3) Maggiore loquacità del solito (logorrea). 4) Fuga delle
- 87 -
idee o esperienza soggettiva che i pensieri si succedano
rapidamente. 5) Distraibilità. 6) Aumento dell‟attività finalizzata
(sociale, lavorativa, scolastica, sessuale) oppure agitazione
psicomotoria. 7) Eccessivo coinvolgimento in attività ludiche che
hanno un alto potenziale di conseguenze dannose (per esempio,
eccessi nel comprare, comportamento sessuale sconveniente,
investimenti in affari avventati).
L‟Episodio misto è caratterizzato da un periodo di tempo di
almeno una settimana, durante il quale sono presenti quasi ogni
giorno le caratteristiche dell‟Episodio Depressivo Maggiore
alternate a quelle dell‟Episodio Maniacale.
L‟Episodio Ipomaniacale è una manifestazione meno grave di un
Episodio Maniacale; esso dura almeno quattro giorni, non
provoca la marcata compromissione in ambito lavorativo e
sociale e non richiede (a differenza dell‟Episodio Depressivo
Maggiore e quello Maniacale) l‟ospedalizzazione.
La seconda parte della suddetta sezione, descrive i Disturbi
dell‟Umore, il Disturbo Bipolare, ed Altri Disturbi dell‟Umore. I
primi sono: Il Disturbo Depressivo Maggiore , contrassegnato da
uno o più Episodi Depressivi Maggiori senza storia di Episodi
Maniacali, Misti o Ipomaniacali. Il rischio, nel corso della vita, è
stimato tra il 10% ed il 25% per le donne, tra il 5% ed il 12%per
gli uomini. È più comune tra i familiari di primo grado, ed è
associato ad un elevata mortalità; infatti fino al 15% degli
individui con un Disturbo Depressivo Maggiore muore per
suicidio.
- 88 -
Il Disturbo Distimico si caratterizza per un umore cronicamente
depresso, presente per la maggior parte del giorno, quasi ogni
giorno per almeno due anni. È caratterizzato da sintomi meno
gravi,
che
creano
sofferenza
e
compromissione
del
funzionamento sociale, lavorativo o in altre aree importanti
dell‟individuo, ma che non pervengono mai ad un Episodio
Depressivo Maggiore. Quando il Disturbo Distimico ha una
durata di molti anni, l‟alterazione dell‟umore può non essere
facilmente distinta dal funzionamento “abituale dell‟individuo”.
Il Disturbo Depressivo Non Altrimenti Specificato include tutti i
disturbi con manifestazioni depressive che non soddisfano i
criteri per un Disturbo Depressivo Maggiore, ed un Disturbo
Distimico.
Il
Disturbo
Bipolare
include:
Il
Disturbo
Bipolare
I,
contrassegnato da un decorso clinico con uno o più Episodi
Maniacali o Episodi Misti. Spesso gli individui hanno presentato
anche uno o più Episodi Depressivi Maggiori accompagnati da
sintomi psicotici. È stato osservato che il 10-15% degli individui
con Disturbo Bipolare I compiono suicidi. Inoltre studi gemellari
e sulle adozioni forniscono dati che depongono decisamente per
un‟influenza genetica.
Il Disturbo Bipolare II , è contraddistinto da uno o più Episodi
Depressivi Maggiori accompagnati da almeno un Episodio
Ipomaniacale. Al contrario la presenza di un Episodio Maniacale
o Misto preclude la diagnosi di Disturbo Bipolare II. I sintomi
psicotici non sono presenti durante gli Episodi Ipomaniacali, e
- 89 -
sembrano meno frequenti negli Episodi Depressivi Maggiori del
Disturbo Bipolare II rispetto al Disturbo Bipolare I.
Il Disturbo Ciclotimico è una varietà di Disturbo Bipolare,
caratterizzato da un‟alterazione dell‟umore cronica, fluttuante,
con numerosi periodi con sintomi ipomaniacali e numerosi
periodi con sintomi depressivi. Tali sintomi devono presentarsi
per almeno due anni, durante i quali gli intervalli liberi dai
sintomi non durano più di due mesi.
Il Disturbo Bipolare Non Altrimenti Specificato, include disturbi
con caratteristiche bipolari che non soddisfano i criteri per nessun
specifico Disturbo Bipolare.
La voce Altri Disturbi dell‟umore, include: Il Disturbo
dell‟Umore Dovuto ad una Condizione Medico Generale, ossia
un‟alterazione dell‟umore rilevante e persistente che si ritiene
dovuta agli effetti fisiologici diretti di una Condizione Medica
Generale. Contrariamente al Disturbo Depressivo Maggiore, tale
patologia sembra essere ugualmente distribuita tra i sessi.
Il Disturbo dell‟Umore Indotto da Sostanze è un‟alterazione
dell‟umore rilevante e persistente che si ritiene dovuta agli effetti
fisiologici diretti di una sostanza (droga, farmaco, esposizione ad
una tossina). Tali disturbi insorgono soltanto in relazione con
stati di intossicazione o astinenza, mentre i Disturbi dell‟Umore
primari possono precedere l‟esordio dell‟uso di sostanze o si
possono manifestare durante periodi di astinenza prolungata.
Il Disturbo dell‟Umore Non Altrimenti Specificato comprende i
disturbi con sintomi di alterazione dell‟umore che non soddisfano
- 90 -
i criteri per alcun specifico Disturbo dell‟Umore, e per i quali sia
difficile scegliere tra Disturbo dell‟Umore Non Altrimenti
Specificato e Disturbo Bipolare Non Altrimenti Specificato (per
es.,agitazione acuta).
La terza, ed ultima, parte include le Specificazioni per la
descrizione dell‟Episodio Più Recente e le Specificazioni
riguardanti il decorso degli Episodi Ricorrenti. In entrambi i casi
vengono fornite alcune precisazioni per i Disturbi dell‟Umore al
fine di incrementare la specificità diagnostica, creare sottogruppi
più omogenei, assistere nella scelta del trattamento, e migliorare
la formulazione della prognosi.
Le Specificazioni per la descrizione dell‟Episodio di alterazione
dell‟umore Attuale (o più recente) sono di tipo: Cronico, Con
Manifestazioni Catatoniche, Con Manifestazioni Melanconiche,
Con Manifestazioni Atipiche, Con Esordio nel Postpartum . Le
specificazioni che indicano la gravità, la remissione, e le
manifestazioni psicotiche possono essere codificate nella quinta
cifra del codice diagnostico per la maggior parte di Disturbi
dell‟Umore. Le altre specificazioni non possono essere
codificate.
Le Specificazioni che descrivono il decorso degli episodi
ricorrenti
comprendono
le
Specificazioni
del
Decorso
Longitudinale (Con e Senza Recupero Interepisodico Completo),
Con Andamento Stagionale e A Cicli Rapidi.
- 91 -
CAPITOLO II
TRATTAMENTO
2.1. INTRODUZIONE
In questo capitolo, si procederà ad una rassegna accurata dei
diversi tipi di trattamento: farmacologico, psicoterapeutico,
elettroconvulsivante ed altri; utilizzati per la cura della
depressione.
Prima di addentrarci in questo argomento così delicato; è d‟uopo
ricordare che oggigiorno, nonostante la nostra società è andata
sempre più evolvendosi, la percentuale di soggetti affetti da
depressione che non viene affatto curata, raggiunge il 50%.
Inoltre, fra coloro che ricevono cure approssimative, è probabile
che più del 50% non riceva cure né ottimali e né propriamente
adeguate. Il motivo per cui ciò accade, dipende dal fatto che,
spesso, la depressione non viene percepita come malattia né dalla
persona interessata, né − qualche volta− dai familiari.
Chi soffre di nevrosi, cioè di disturbi ansiosi, avverte sempre
l‟ansia (o il panico o le fobie) come un ostacolo rispetto ad una
vita altrimenti normale e quindi cerca attivamente di curarsi.
Invece, chi è affetto da alterazioni molto disturbanti dell‟umore,
di tipo psicotico (confusione mentale, deliri, allucinazioni) può
non essere in grado di percepirsi come malato, ma in compenso
accade che i familiari si accorgono che vi è un disturbo psichico
serio, e presto o tardi intervengono (Jervis, 2002). Inoltre c‟è una
serie di fattori, sia di tipo psicologico che culturale, che
- 92 -
ostacolano l‟accesso al trattamento (soprattutto quello di tipo
farmacologico); infatti il soggetto depresso esperisce una certa
ripugnanza ad accettare l‟idea che il suo malessere possa essere
dovuto ad uno scompenso di quelle funzioni del cervello che
presiedono alla regolazione del tono dell‟umore. Pertanto, la
sostanza chimica (farmaco) viene avvertita come qualcosa di
artificioso e brutale che pretende di ridurre la persona ad una
macchina guasta, negandogli, in tal modo, la dignità della
sofferenza; con l‟effetto ulteriore di provocargli assuefazione e
problemi di comprensione della realtà. Tutto ciò è falso, poiché i
farmaci risultano essenziali, soprattutto quando si ha a che fare
con forme gravi di depressione (endogene27) in cui il rischio di
suicidio è veramente alto. Passiamo ora ad analizzare i principali
trattamenti per la cura della depressione: quello farmacologico e
quello psicoterapeutico.
27
La depressione endogena si differenzia da quella nevrotica, per il fatto
che: 1) la prima appare legata a fattori interni al soggetto (quali quelli
biologici), dunque non è correlata con gli eventi esterni, ossia si manifesta
senza la presenza di alcun evento scatenante; viceversa, la depressione
nevrotica appare, in un certo senso, più legata ad eventi negativi, a volte
anche di poco conto, ed in particolar modo alla storia di vita del paziente. 2)
Il soggetto affetto da depressione endogena ha una visione completamente
distorta e delirante della vita, e vede il suicidio come l‟unica soluzione alla
propria sofferenza; invece, il depresso nevrotico non ha una visione
assolutistica e dogmatica del proprio malessere, pertanto egli desidera e
cerca di farsi curare.
- 93 -
2.2. TRATTAMENTO FARMACOLOGICO
Il trattamento farmacologico della depressione comprende
l‟utilizzo di una particolare classe di psicofarmaci 28, gli
antidepressivi.
Il
loro uso
richiede
la
conoscenza
dei
corrispondenti effetti collaterali, nonché delle controindicazioni
mediche e psichiatriche al loro impiego, ma soprattutto una
corretta valutazione diagnostica (cfr. Giberti, 1996).
Gli antidepressivi sono sostanze che agiscono riequilibrando la
presenza nel nostro cervello di alcuni tipi di molecole, i mediatori
chimici o neurotrasmettitori, che sono prodotti dal cervello
stesso. I mediatori chimici, che veicolano la trasmissione di
informazioni fra le cellule nervose, sono numerosi, ma quelli
implicati nello scompenso depressivo sono tre: la serotonina, la
noradrenalina e la dopamina. Gli esatti squilibri neurochimici che
determinano lo scompenso depressivo non sono ancora
perfettamente noti; molto probabilmente si ha una diminuzione
patologica del numero di molecole di una o più di queste
sostanze, che sono disponibili nelle interfacce tra le cellule
nervose. Tuttavia, entrano in gioco altri fattori: in particolare la
possibilità che le cellule stesse hanno di utilizzare i mediatori
28
Gli psicofarmaci sono farmaci che modificano le condizioni psichiche in
modo da favorire la risoluzione di sofferenze soggettive e di disturbi
comportamentali. Essi possono essere classificati in: 1) Neurolettici o
Tranquillanti Maggiori o anche Antipsicotici 2) Ansiolitici o Tranquillanti
Minori 3) Antidepressivi 4) Sedativi e Ipnotici.
- 94 -
chimici, mediante i loro recettori; e anche l‟equilibrio
proporzionale fra i vari mediatori.
Gli
antidepressivi
agiscono
soprattutto
aumentando
la
disponibilità, nel cervello, di uno o più dei tre mediatori chimici
coinvolti nella depressione. Poiché (come già si è detto), questo
loro effetto sul nostro organismo è quasi immediato, mentre i
sintomi della depressione cominciano normalmente a scomparire
solo dopo due o tre settimane di trattamento; è molto probabile
che l‟effetto decisivo abbia luogo allorquando le cellule hanno
modificato il loro numero di recettori in seguito alla maggiore
disponibilità dei mediatori chimici, dovuti all‟assunzione
regolare del farmaco.
Gli antidepressivi oggi più comunemente usati appartengono a
due categorie: i triciclici e i serotoninergici; anche se i primi
farmaci
antidepressivi
furono
gli
inibitori
delle
Monoamminossidasi.
Gli inibitori delle monoamminossidasi.
L‟iproniazide, il primo farmaco antidepressivo, fu inizialmente
prodotto per la cura della tubercolosi, per la quale si rivelò un
fallimento. Però, questo farmaco suscitò un certo interesse come
potenziale antidepressivo a seguito dell‟osservazione che esso
rendeva i pazienti affetti da tubercolosi meno preoccupati della
loro malattia. Di conseguenza, l‟iproniazide fu testata su di un
gruppo misto di pazienti psichiatrici e si scoprì che era efficace
contro la depressione. Il farmaco in esame, fu commercializzato
- 95 -
per la prima volta nel 1957. L‟iproniazide, è un agonista delle
monoammine; cioè aumenta il livello di monoammine inibendo
l‟attività della monoamminossidasi (MAO), l‟enzima che scinde i
neurotrasmettitori monoamminergici nel citoplasma del neurone.
Gli inibitori delle MAO hanno molti effetti collaterali, il più
pericoloso dei quali, è noto col nome di effetto formaggio.
Alimenti quali il vino, i sottaceti e appunto il formaggio
contengono un‟ammina chiamata tiramina, che agisce in modo
potente sull‟innalzamento della pressione del sangue. In
condizioni normali, questi alimenti hanno un piccolo effetto sulla
pressione sanguigna perché
la tiramina viene metabolizzata
rapidamente nel fegato dalle MAO. Tuttavia, gli individui che
assumono gli inibitori delle MAO e consumano degli alimenti
ricchi di tiramina corrono il rischio di essere colpiti da un infarto
cerebrale provocato dalla brusca elevazione della pressione
sanguigna. Per questo motivo, tale categoria di antidepressivi
viene ormai poco usata; ciononostante, bisogna ricordare che una
minoranza di pazienti reagisce in modo ottimale solo a questo
tipo di sostanze (Pinel, 2000). I principali antidepressivi
antiMAO sono la fenelzina (nome commerciale: Nardil) e
l‟isocabossazide (Marplan).
Gli antidepressivi triciclici.
Gli antidepressivi triciclici sono così chiamati grazie alla azione
antidepressiva e al fatto che la loro struttura chimica presenta una
catena a tre anelli.
- 96 -
L‟imipramina, il primo farmaco antidepressivo triciclico, fu
inizialmente ritenuto un farmaco antischizofrenico, tuttavia
quando fu provata su di un gruppo misto di pazienti psichiatrici, i
suoi effetti antidepressivi risultarono evidenti.
Gli antidepressivi triciclici bloccano il riassorbimento della
serotonina e della noradrenalina, aumentandone in questo modo
il livello cerebrale. Essi costituiscono un‟alternativa più sicura
agli inibitori delle MAO. I più noti antidepressivi classici di tipo
triciclico, oltre all‟imipramina il cui nome commerciale è
Tofranil sono: la clomipramina (Anafranil); l‟amitriptilina
(Triptizol, Adrepil, Laroxil), e il suo derivato nortriptilina
(Vividy) e la trimipramina (Surmontil). L‟Amitriptilina è il più
tipico e meglio collaudato fra quegli antidepressivi che hanno
anche un lieve effetto sedativo e antiansia (Jervis, 2002).
I serotoninergici o inibitori selettivi del riassorbimento della
serotonina (SSRI).
La fluoxetina, che è commercializzata con il nome di Prozac, è
un discendente degli antidepressivi triciclici. Si tratta di una
leggera variazione strutturale degli antidepressivi triciclici, che
blocca selettivamente il riassorbimento solo della serotonina. Per
questo motivo il Prozac e gli altri farmaci della sua famiglia
vengono detti inibitori selettivi del riassorbimento della
serotonina. Il Prozac è stato introdotto nell‟uso clinico negli
anni‟80. Sebbene non sia più efficace dell‟imipramina contro la
depressione; la sua popolarità è sorprendente per due motivi.
- 97 -
Primo, ha pochi effetti collaterali; secondo, oltre alla depressione,
si è dimostrato efficace nei confronti di una grande varietà di
disturbi psicologici. Dal momento che il Prozac è così utile
contro disturbi che una volta erano considerati dominio esclusivo
della psicoterapia (per esempio, mancanza di autostima, paura
dell‟insuccesso, eccessiva suscettibilità alle critiche ed incapacità
a provare piacere) ha avuto un impatto enorme sia in campo
psichiatrico e sia nella psicologia clinica (Pinel, 2000).
Altri farmaci serotoninergici, oltre alla fluoxetina, sono: la
paroxetina, suo derivato (Serotax, Sereupin), la sertralina (Tatig,
Zoloft), la fluvoxamina (Dumirox, Maveral, Feravin) e il
citalopram (Elopram, Seropram).
C‟è infine un‟ultima categoria di farmaci, che vengono usati per
trattare specificamente i disturbi bipolari della depressione.
Questi sono detti stabilizzatori dell’umore. Il più usato è il litio,
la cui scoperta, rappresenta un ulteriore esempio di successo
farmacologico ottenuto per caso. È stato uno psichiatra
australiano, John Cade, che nel tentativo di provare una sua
teoria, secondo la quale nell‟urina di pazienti maniacali vi fosse
una sostanza chimica causante la mania, mescolò acido urico con
litio per formare un sale solubile iniettabile. Egli lo iniettò in un
gruppo di porcellini d‟India e, per controllo, iniettò un sale di
litio in un altro gruppo. Poiché l‟effetto calmante del sale di litio
da solo era tanto grande quanto quello di litio combinato con
l‟acido urico, Cade mutò la sua ipotesi ed attribuì l‟effetto
- 98 -
calmante al litio anziché all‟acido urico, dopodichè pensò di
confermare
la
sua
conclusione
su
pazienti
umani.
Retrospettivamente, la conclusione di Cade sembra superficiale,
oggi, infatti si sa che le dosi di sale di litio da lui usate producono
grave nausea. Agli occhi inesperti di Cade l‟inattività delle sue
cavie poteva apparire come calma, mentre in realtà esse stavano
male. Indipendentemente da ciò, trasportato dal successo ottenuto
con le cavie nel 1954, lo studioso valutò gli effetti del litio su di
un gruppo di 10 pazienti affetti da mania e dimostrò quanto
questo trattamento fosse efficace. Il lavoro di Cade non sortì una
reazione immediata, invero si è dovuto aspettare fino alla fine
degli anni‟60 per rendersi conto del potenziale terapeutico di
questo semplice ione metallico, per la cura della patologia
depressiva.
D‟altro lato il litio presenta anche alcuni aspetti negativi: 1) la
sua efficacia non è erga omnes, ossia non è detto che riesca a
curare efficacemente tutti i casi di disturbo bipolare; 2) a
differenza degli antidepressivi di ultima generazione, presenta un
alto tasso di tossicità; 3) richiede un uso continuo nel tempo,
ovvero, la terapia una volta iniziata, non va sospesa a meno che
non intervengano dei motivi molto seri; infatti sospenderla
comporta il rischio che alla ripresa la cura si riveli molto meno
efficace (Jervis, 2002). Per tutta questa serie di motivi, vengono
spesso utilizzati altri medicinali per trattare le crisi maniacali
acute. Questi farmaci venivano usati originariamente come
antiepilettici; i più noti sono: il valproato di sodio (Depakin) e la
- 99 -
carbamazepina
(Tegretol),
ambedue
hanno
il
vantaggio,
nonostante non siano ugualmente efficaci in tutti i pazienti, di
avere un‟azione piuttosto rapida sul disturbo bipolare. Talora si
usano anche, nelle fasi maniacali, i sedativi neurolettici
tradizionali o di ultima generazione; ma è soprattutto
l‟elettroshock a rivelarsi, nei casi più difficili, un trattamento
altamente risolutivo, benché l‟effetto non sia realmente duraturo.
È importante a questo punto, dopo aver esaminato i vari
antidepressivi, analizzare, in linea generale, gli effetti che questi
hanno sul soggetto affetto da patologia depressiva.
Può osservarsi, infatti, che il paziente, dopo circa due settimane
di trattamento farmacologico, non sta affatto meglio, anzi ha una
serie di disturbi funzionali dovuti per l‟appunto ai farmaci; si
tratta quasi sempre di disturbi lievi, come: sonnolenza (in certi
casi), nervosismo ed ansia (in altri casi), senso di stordimento,
stitichezza, aumento del peso corporeo, disturbi del sonno, calo
del desiderio e della disponibilità sessuale, palpitazioni, bocca
secca, nausea, ed altri fastidi meno frequenti.
I disturbi sopra elencati, sono generalmente presenti, malgrado
ciò, bisogna tener conto che le risposte fisiologiche ai farmaci
sono strettamente individuali; come lo è d‟altronde anche il
dosaggio richiesto per esortare l‟effetto terapeutico auspicabile.
In genere, una buona valutazione dell‟effetto di un dato
antidepressivo è possibile solo dopo più di un mese di
trattamento. In questo periodo di tempo può essere necessario
aumentare
i
dosaggi,
talvolta
- 100 -
diminuirli;
somministrare
contemporaneamente due antidepressivi diversi o sostituirli con
altri. Dunque, bisogna ammettere che la scelta di un dato
antidepressivo, invece di un altro, viene fatta un po‟ “ alla buona”
(Jervis, 2002). Infatti, ogni psichiatra tende ad avere le sue
preferenze per un taluni antidepressivi, di conseguenza li conosce
meglio, si fida di più, e li usa più volentieri rispetto ad altri.
Successivamente, quando il soggetto ha in modo efficace seguito
lo schema terapeutico e si sente quasi perfettamente bene; è
importante che non smetta di prendere il farmaco, poiché, in ogni
caso, la diminuzione del farmaco deve essere fatta con prudenza
e gradualità, per evitare il rischio di una ricaduta della malattia. A
tal proposito, è stato osservato che in alcuni casi l‟antidepressivo
non va mai sospeso del tutto, ma, nei periodi di maggiore
benessere vanno prescritti dosaggi minimi; viceversa, nei periodi
più critici, in cui i sintomi depressivi aumentano, vanno
somministrati dosaggi più forti. Pare infatti accertato che, in
molti casi, un simile modo di procedere renda meno frequenti e
meno gravi gli episodi successivi di depressione.
- 101 -
2.3. PSICOTERAPIA
Un altro trattamento valido per la cura della patologia depressiva
è la psicoterapia. Spesso si parla o si sente parlare di
“psicoterapia”, senza sapere esattamente di che cosa si tratti. Da
un punto di vista generale, una “psicoterapia” è ogni intervento
effettuato sul paziente, senza mezzi fisici o biologici, per aiutarlo
a migliorare o guarire. Anche il semplice colloquio con il medico
di famiglia o con lo specialista, sia esso psicologico o psichiatra,
può essere considerato come un intervento limitato di
“psicoterapia” se ha lo scopo di sostenere, confortare, consigliare
il paziente o di spiegare a lui e alla sua famiglia i problemi che
vanno affrontati nel corso della sua malattia.
Da un punto di vista specifico, una psicoterapia può essere
definita come una tecnica di cura che non fa uso di farmaci o di
altri interventi “biologici”, ma che si basa esclusivamente sulla
comunicazione, ossia sullo scambio di messaggi verbali e non
verbali (il colloquio) con il paziente.
Nella cura della depressione, lo scopo principale di siffatto
trattamento è quello di rendere la persona più consapevole del
suo problema ma anche, al tempo stesso, più capace di farvi
fronte. In molti casi, soprattutto quando il paziente è al primo
episodio depressivo, sono entrati in gioco reali drammi di vita:
per esempio, un grave lutto, la fine di un legame coniugale, ecc.
Qui è necessario che il soggetto sia aiutato ad elaborare in modo
consapevole ciò che gli è realmente accaduto, ma al tempo
- 102 -
stesso, ad accettare che la sua reazione agli eventi è forse stata,
senza che egli abbia alcuna colpa, sproporzionatamente
depressiva. Nei casi in cui lo stato depressivo è grave o molto
grave, così da provocare una sospensione delle normali attività
quotidiane, da un lato può essere importante il più semplice
contatto umano, dall‟altro lato il paziente non è realmente in
grado di dialogare su un piano sufficientemente sensato. Quindi,
in situazioni del genere non è affatto realistico provare a fare
sedute di psicoterapia: quest‟ultima non è possibile, o per essere
più precisi, non è ancora possibile, perché la condizione di
depressione è troppo grave e schiacciante. Solo successivamente,
a seguito del trattamento farmacologico (necessario in questo
caso) e dell‟attenuazione dei sintomi depressivi, è possibile
iniziare un lavoro psicoterapeutico, tale da favorire l‟emergenza
graduale di un punto di osservazione diverso e di un modo nuovo
e più realistico di concettualizzare l‟insieme di problemi.
Casi di depressione reattiva29 o nevrotica, in cui la patologia si
manifesta in forme non gravi, sono le condizioni cliniche in cui
29
La depressione reattiva è uno stato depressivo, strettamente legato ad un
avvenimento doloroso (ad es.: lutto, perdita, sconfitta…) ma con
un‟intensità e durata sproporzionata rispetto alla “reazione” di fronte a
simili eventi. Elemento principale che caratterizza questo disturbo è un
sentimento di tristezza vissuta a livello cosciente e con forte partecipazione
emotiva. Non sempre è facile distinguere questo tipo di depressione da
quella nevrotica, poiché chi soffre di quest‟ultima forma tende a reagire in
senso depressivo di fronte a situazioni ed eventi stressanti. La differenza si
- 103 -
un trattamento psicoterapeutico è più opportuno e più efficace. In
questi casi la psicoterapia può aiutare le persone ad imparare
strategie per conoscere ed affrontare la depressione, ad
identificare situazioni conflittuali e problematiche della propria
vita che possono essere connesse con l‟insorgenza della
depressione.
La psicoterapia è utile anche nei casi di disturbo distimico o in
quello ciclotimico, in cui nonostante il soggetto abbia una vita
pressoché normale, deve imparare a convivere con un‟attuale
lieve depressione di lunga durata; che richiede, probabilmente,
l‟assunzione quotidiana di farmaci e un‟attenta gestione delle
proprie risorse psicologiche sul lavoro, nella famiglia, nello
svago e nelle relazioni affettive. In particolare, anche per quanto
riguarda le difficoltà coniugali, il soggetto depresso deve
imparare a capire che la depressione è uno stato d‟animo che
tende a distruggere la vita di coppia. Invero, la depressione, tipica
della persona distimica, rende poco disponibili all‟altro, rende
meno affettuosi, meno simpatici, e molto spesso rende anche più
scostanti dalla situazione coniugale, più irritabili di fronte alle
piccole mancanze e frustazioni connesse alla convivenza. Molti
matrimoni naufragano a causa di una lieve depressione cronica,
non diagnosticata in uno dei due membri della coppia. Anche
qui, un lavoro psicoterapeutico individuale, ed eventualmente
una psicoterapia di coppia, aiuta a capire, a capirsi, a gestire, a
basa principalmente sulla diretta ed inequivocabile connessione tra l‟inizio
della sintomatologia e l‟evento scatenante.
- 104 -
ridurre le conseguenze dei malumori e delle insoddisfazioni
derivanti da una soggettività depressiva.
Le psicoterapie sono, dunque, un trattamento molto utilizzato (al
pari dei farmaci) nella cura della depressione; esse vengono
utilizzate soprattutto per le forme non psicotiche di depressione,
in cui non è compromesso il cosiddetto “esame di realtà”. Di
solito, si ricorre nel trattare il disturbo in esame, a psicoterapie
brevi o comunque a durata limitata (da una decina di settimane a
un anno); esse si differenziano a seconda dei vari approcci in:
psicoterapia
cognitivo
-
comportamentale,
interpersonale,
psicodinamica ed infine quelle familiari e coniugali.
La psicoterapia cognitivo - comportamentale, come suggerisce il
nome, combina due forme di terapia: la psicoterapia cognitiva e
quella comportamentale. La prima, si pone l‟obiettivo di aiutare
il soggetto depresso a modificare concetti e cognizioni erronee su
se stesso, sui sintomi e sulle opinioni pessimistiche; la seconda, è
finalizzata ad attenuare o far scomparire alcuni sintomi mediante
“estinzione”
di
atteggiamenti
disadattivi
specifici
e
apprendimento di comportamenti atti a fornire rinforzi positivi,
conferme soddisfacenti e capacità di rilassarsi.
La psicoterapia interpersonale (I.P.T.) di Klerman è un
trattamento relativamente specifico per depressioni maggiori non
psicotiche; è di durata breve (12-16 settimane) e mira: 1) al
miglioramento sintomatico mediante riformulazione e risoluzione
di problemi comuni e specifici delle relazioni interpersonali e 2)
all‟acquisizioni di nuovi legami e comunicazioni sociali.
- 105 -
La psicoterapia psicodinamica impiega tecniche psicoanalitiche
(associazioni libere, interpretazioni, ecc.) ed è utilizzabile meglio
in depressioni conflittuali, caratterogene e psicogene, in presenza
di buone capacità di introspezione (insight), di tolleranza alla
sofferenza depressiva e di un ambiente stabile: è a durata
indefinita, oppure (in casi particolari) si può procedere ad una
psicoterapia dinamica breve (BDT). Quest‟ultima, consta di tre
fasi. Nella fase iniziale, il terapeuta valuta il quadro clinico e
delinea il problema primario definendo il focus: sintomo,
problema o conflitto. Nella fase intermedia, l‟intervento
psicoterapeutico viene indirizzato sul focus. Nella fase finale, si
esplicita e si discute il termine della psicoterapia, revisionando e
consolidando i progressi ottenuti.
Infine c‟è la psicoterapia familiare e coniugale che, come già
riferito, appare opportuna in quei casi in cui i problemi
intrafamiliari o nel rapporto matrimoniale sono preminenti e
concorrono alla genesi della depressione; o viceversa, in casi in
cui è la depressione di uno dei coniugi o provocare
incomprensioni all‟interno della coppia.
In ogni caso, la scelta dei diversi metodi psicoterapeutici dipende
non solo da una valutazione accurata dei casi, ma dalla specifica
preparazione professionale del terapeuta; per questo, prima di
affidare un depresso ad un tale trattamento è sempre opportuno
acquisire tutte le informazioni possibili sulle qualifiche e
sull‟esperienza di chi effettua la psicoterapia. Infine, va tenuto
presente che una psicoterapia è in genere di costo relativamente
- 106 -
elevato e richiede al paziente un elevato quoziente intellettivo
(QI).
2.4. ALTRE TERAPIE BIOLOGICHE E FISICHE
Trattamento con elettroshock
Il trattamento elettroconvulsivante, o di applicazione di
elettroshockterapia (ES o ECT ovvero EST), oggi è di assai
ridotto impiego; infatti è riservato a casi gravi di depressione (o
anche talvolta di mania o stati depressivi atipici) con resistenza o
controindicazioni a corrette e adeguate terapie farmacologiche.
Fra gli anni ‟40 e la prima metà degli anni ‟60, nei manicomi e
nelle cliniche private se ne faceva un uso eccessivo: sia perché
veniva utilizzato anche in casi clinici che non davano sufficiente
garanzia di trarne giovamento, sia perché accadeva che i singoli
pazienti venissero sottoposti ad un numero troppo grande di
applicazioni. Negli anni successivi, fra la metà degli anni‟60 e la
metà degli anni‟70, a causa dell‟ignoranza presente nella maggior
parte della gente, tale terapia fu molto criticata; pertanto, ne fu
proposto l‟abbandono. In seguito, e soprattutto a partire dalla fine
degli anni‟70, studi più accurati ne dimostrarono l‟ineliminabile
efficacia
terapeutica;
proponendo,
tra
l‟altro,
importanti
modifiche tecniche per rendere l‟ES più sicuro e meno
traumatizzante.
Oggi, sappiamo che viene considerato il trattamento di
“emergenza”, ossia viene usato soprattutto quando la cura
farmacologia non si rivela
efficace nel trattare casi di
- 107 -
depressione molto gravi, in cui sono presenti il rischio immediato
di suicidio e la presenza di sintomi psicotici, come accade per
esempio nella depressione maggiore, in molti casi di depressione
senile e nella depressione in gravidanza, in cui è opportuno
evitare l‟uso di farmaci che possono provocare danni al bambino.
La terapia con l‟ES consiste nell‟indurre nel paziente, posto in
anestesia generale, una crisi epilettica. La crisi è più che altro
virtuale, perché per effetto della somministrazione endovenosa
dei
farmaci
muscolorilassanti
connessi
all‟anestesia,
la
convulsione non ha realmente luogo: ma essa è ben registrata
all‟elettroencefalogramma. La crisi epilettica è indotta dal breve
passaggio di corrente elettrica attraverso il cervello, a partire da
due elettrodi posti, di solito, uno su una tempia ed uno sulla
fronte. Al risveglio (il tutto dura pochi minuti) il paziente può
essere un po‟ confuso e avere qualche disturbo transitorio della
memoria. In genere si fanno 6-10 applicazioni, al ritmo di due e
talora tre ogni settimana. Il ricovero non è necessario. Se usato
bene, i pericoli dell‟ES sono minimi e non vi sono esiti negativi
permanenti. In ogni caso, il trattamento elettroconvulsivante
rimane un rimedio di secondo piano rispetto agli psicofarmaci,
soprattutto quelli di “nuova generazione”, che si dimostrano il
più delle volte efficaci nella cura della depressione.
Ospedalizzazione
In condizioni di elevata gravità della sintomatologia depressiva,
in cui c‟è un serio rischio di suicidio o in condizioni di mancato
- 108 -
supporto familiare, sociale o ambientale, il ricovero, anche con
trattamento sanitario obbligatorio (TSO), rappresenta l‟unica
soluzione necessaria.
Terapia della luce o fototerapia
La terapia della luce o fototerapia si basa sull‟esposizione
mattutina (di solito), ad una luce artificiale bianca “brillante”, di
intensità maggiore della illuminazione tradizionale per 1-3 ore;
essa è indicata nelle depressioni maggiori ad andamento
stagionale (autunno- inverno), infatti la statistiche mostrano che
nel 60% di pazienti affetti da depressione di tipo stagionale si
verifica il miglioramento dei sintomi, già nel giro di qualche
giorno.
Privazione o riduzione del sonno
La deprivazione totale o parziale di un sonno notturno, provoca
un miglioramento immediato dei sintomi depressivi, ma
transitorio in circa la metà dei casi; difatti dopo una dormita si
torna allo stato iniziale.
Esercizio fisico
L‟esercizio fisico cura la depressione in cinque modi:
1. induce l‟organismo a rilasciare endorfine;
2. riduce il livello di cortisolo nel sangue, l‟ormone coinvolto
nello stress e nella depressione;
3. aiuta a vedere la vita con più ottimismo;
- 109 -
4. dà una sensazione di soddisfazione che aiuta ad aumentare
l‟autostima;
5. aumenta il livello di serotonina.
L‟attività fisica può essere qualsiasi, l‟importante è essere
costanti: 2 o 3 volte alla settimana o, meglio, ogni giorno.
Camminare, andare in bicicletta, nuotare, giocare a pallavolo,
ecc. Quello che conta è che l‟attività prescelta dia piacere e
soddisfazione. Ad avvallare siffatta ipotesi terapeutica ci sono
due studi. Il primo, il Rancho Bernardo study, si è occupato di
una comunità di persone, nel sud della California, comprese tra i
50 e gli 89 anni ed ha messo in relazione esercizio fisico intenso
con andamento dell‟umore. I risultati hanno evidenziato che le
persone che praticano esercizio fisico hanno un umore meno
depresso; anche se il ruolo dell‟attività fisica non è anche
preventivo. Nell‟altro studio condotto presso l‟Università di
Durham in North Carolina è stata dimostrata un‟efficacia
dell‟esercizio fisico simile, addirittura, a quella dei farmaci. La
ricerca è stata condotta su 156 volontari, dai cinquant‟anni in su,
sofferenti di depressione. Il 75% dei soggetti divisi in tre gruppi:
solo farmaci, solo esercizio e farmaci/esercizio, dopo quattro
mesi dall‟avvio dei test ha evidenziato risultati simili, con
depressione diminuita fortemente se non scomparsa. A quel
punto i medicinali sono stati sospesi. Dieci mesi dopo, i
ricercatori hanno esaminato nuovamente i pazienti: i volontari
che facevano parte del gruppo sottoposto esclusivamente al
regime di esercizio hanno mostrato il più basso tasso di ricadute
- 110 -
nella depressione, circa la metà dei casi manifestatisi nuovamente
negli altri due gruppi (cfr. Malagutti, 2004).
2.5. INTERDIPENDENZA DEI TRATTAMENTI: TRATTAMENTO
FARMACOLOGICO E PSICOTERAPIA
Partendo
dal presupposto, che nell‟eziologia dei disturbi
dell‟umore sono coinvolti sia fattori biologici che fattori
psicosociali, l‟idea che oggi va sempre più consolidandosi, tra gli
specialisti della salute mentale, è quella di una “terapia” che
sappia integrare in modo intelligente, non ideologico, strategie di
intervento diverse. Si parla pertanto di trattamento combinato,
che include, per lo più, due tipi di interventi terapeutici: quello
farmacologico e quello psicoterapeutico. Tuttavia, non è ancora
chiaro se il trattamento combinato sia necessario o addirittura
auspicabile in tutti i casi. A tal proposito, l‟American
Psychological Association (APA, 1993), propone di essere cauti
nella prescrizione degli psicofarmaci per le forme depressive
lievi e di carattere transitorio, al fine di evitare un‟inutile
esposizione agli effetti collaterali e ad altri rischi, legati
all‟assunzione dei farmaci stessi; altrettanto cauti bisogna essere
nella prescrizione della psicoterapia nelle forme gravi che
rispondono ai farmaci, al fine di evitare inutili dispendi di tempo
ed energie.
Le linee guida per la pratica clinica della depressione, pubblicate
negli USA nel‟93, propongono l‟uso di terapie combinate
esclusivamente per quelle forme in cui l‟efficacia dei singoli
- 111 -
approcci si sia dimostrata solo parziale; vi sia evidenza di
compresenza di più obiettivi e necessità di ordine diverso, che
rispondano in modo differente ai singoli approcci; oppure in
ultimo, quando il decorso clinico si riveli cronico fin dal primo
episodio depressivo. Si presume che quest‟ultimo fattore, che in
generale corrisponde ad una minore responsività del soggetto ai
trattamenti, possa rispondere meglio proprio alla terapia
integrata. Infatti, il trattamento combinato si è dimostrato
particolarmente utile per quei pazienti che hanno una storia
clinica di depressione cronica e/o resistenze, e che prospettano
tutta una serie di problemi specifici a monte del loro disturbo
depressivo (Thase, 1994). Invero, esistono almeno quattro motivi
per cui il trattamento combinato si dimostra superiore ad ogni
trattamento singolo (Giavedoni, 1998).
1. In primis, il trattamento combinato si è dimostrato in grado
di aumentare la grandezza della risposta evidenziabile in
ogni singolo paziente. In parole povere, ciò significa che
questi pazienti possono trarre maggior benefici da un
trattamento combinato, rispetto ad un trattamento o solo
farmacologico oppure soltanto psicoterapeutico.
2. Il trattamento combinato può aumentare la probabilità di
risposta. Se infatti in una data popolazione si pensa che
alcuni pazienti rispondano ad un singolo trattamento ed
altri ad un altro, la somministrazione di un trattamento
combinato aumenterà la probabilità di una risposta
positiva.
- 112 -
3. Il trattamento combinato può aumentare l‟ampiezza della
risposta. Questo significa che, se si tiene conto che ogni
singola modalità di trattamento è in grado di incidere su
diversi risultati, fino ad un certo livello, il trattamento
combinato può raggiungere vantaggi unici e irriproducibili,
determinati dalla somma dei risultati dei singoli trattamenti
che danno un risultato finale superiore al singolo
trattamento.
4. Il trattamento combinato può aumentare il grado di
accettazione di ogni singolo trattamento.
Ne consegue, allora, che il contributo globale, dato dalla
psicoterapia combinata alla terapia farmacologica, permette di:
 migliorare il livello di conoscenza del paziente nei
confronti della propria malattia e sviluppare una
maggior tolleranza nei confronti della sofferenza
depressiva;
 favorire la “compliance”, cioè la capacità di restare
fedeli alle indicazioni terapeutiche;
 migliorare la tolleranza agli effetti collaterali della
terapia farmacologica;
 ridurre i “drop outs”, ossia i rischi di insuccesso
terapeutico.
Dunque, in ogni caso è opportuno rifiutare l‟atteggiamento
fideistico sia di alcuni psichiatri, che propongono nel trattamento
della depressione solo l‟utilizzo dei farmaci; sia di alcuni
psicoterapeuti, che prospettano solo l‟utilizzo della psicoterapia
- 113 -
nella cura della patologia depressiva. In effetti, siffatto
atteggiamento, può essere controproducente per il paziente, con il
risultato di aggravare ancora di più la sua depressione. Spesso,
infatti si assiste ad una sorta di “trionfalismo” degli psicofarmaci,
ossia lo psichiatra prescrive solo una terapia farmacologica per la
cura della depressione; di conseguenza innesca nell‟utente
(paziente) un‟illusione circa il come potrà venire fuori dalla
sofferenza depressiva e ansiosa. Questa illusione, che risulta
spesso disattesa dai risultati reali degli psicofarmaci, produce, in
seguito un peggioramento della depressione. Difatti, i pazienti
che, il più delle volte, giungono in psicoterapia si mostrano
delusi circa l‟effetto terapeutico dei farmaci, idealizzando, non di
rado, le aspettative sulla psicoterapia. Questa situazione, non
infrequente, complica non poco l‟intervento dello psicoterapeuta,
che oltre ad aiutare il paziente a smitizzare le attese sulla cura
psicoterapeutica, deve anche aiutarlo a riconquistare la giusta
fiducia verso gli psicofarmaci, che ancora una volta dovrà
effettivamente tornare ad assumere durante il percorso di
psicoterapia; ma ovviamente stavolta seriamente informato dei
limiti di ciò che può aspettarsi dai farmaci e seriamente
informato che gli stessi circoscritti benefici prodotti dai farmaci
stessi,
devono essere consolidati da
un contemporaneo
riaggiustamento della sua organizzazione cognitiva, ottenibile
con i procedimenti psicoterapeutici. In questo modo il paziente
diventa consapevole del fatto di essere innanzitutto “persona”; si
autoresponsabilizza nel corso della cura; impara a gestire lo
- 114 -
strumento farmacologico; smette di credere che la sua
depressione sia una malattia paragonabile ad una qualsiasi
malattia organica semplicemente curabile con le medicine; ed
impara, invece, ad accettare le conseguenze emozionali e
comportamentali che caratterizzano il suo stile depressivo. A
questo punto, il paziente può accettare i farmaci nel loro reale
ruolo, godendo pertanto dei loro benefici nell‟alleviare i sintomi
e allo stesso tempo può, grazie alla psicoterapia, conquistare
nuove ottiche di pensiero. Perciò, per trattare il soggetto depresso
in modo competente, efficiente ed efficace, è opportuno che lo
specialista sappia muoversi costantemente tra questi due modelli
terapeutici. A tal proposito, lo specialista in questione, può essere
sia uno psichiatra, preparato in entrambe le branche terapeutiche,
oppure ci sono due diversi professionisti, farmacoterapeuta e
psicoterapeuta; tuttavia, in quest‟ultimo caso occorre che ci sia
un accordo ed un affiatamento, indispensabili per una
integrazione ottimale delle rispettive finalità e professionalità, e
di conseguenza fondamentale per la cura desiderata.
Pertanto, è auspicabile che tutti gli operatori possano essere
specialisticamente informati su questo argomento, in modo da
comprendere e far comprendere al paziente, che qualunque
sofferenza psicologica è composta come una medaglia a due
facce: neurochimica e mentale. In tutti i casi la persona che
soffre, è stata esposta a certi tipi di esperienza ed ha perciò
organizzato un‟elaborazione complessa dei suoi pensieri su sé
stesso, sugli altri e sul mondo attorno a lui e nessun farmaco al
- 115 -
mondo potrà mai rieducarlo in quella elaborazione complessa dei
suoi pensieri. Per cui, pur riequilibrando il metabolismo
neurochimico per mezzo dei farmaci, il paziente, se non
interviene su se stesso continuerà a vedere sé, gli altri ed il
mondo dal suo solito punto di vista, che è per l‟appunto, un punto
di vista di tipo depressivo.
In conclusione, il disturbo depressivo, che è stato definito da
Jervis (2002), come “un vuoto oscuro e maligno”, che provoca
nel paziente un elevato livello di sofferenza (più o meno grave, a
seconda delle diverse forme di depressione), può essere colmato
solo se i due trattamenti, quello farmacologico e quello
psicoterapeutico,
agiscono
all‟unisono,
interdipendente.
- 116 -
cioè
in
modo
CAPITOLO III
LA DEPRESSIONE NELL’ADOLESCENZA
3.1. INTRODUZIONE
L‟adolescenza viene normalmente considerata come un periodo
dello sviluppo (che va dagli 11-13 ai 16-17 anni), caratterizzato
da
una
serie
di
trasformazioni
fisiologiche
(pubertà),
psicologiche e di ruolo sociale. L‟adolescenza è tipicamente una
fase di passaggio fra ruoli sociali dell‟infanzia e quelli della
maturità: in questo senso è un periodo di crisi, di trasformazioni e
di apprendimento; in cui l‟adolescente cerca di costruirsi una
propria identità ed una propria autonomia. Ed è proprio in questo
periodo “critico”, che si annida il rischio di ammalarsi di
depressione; in effetti molti autori, a partire da Anna Freud,
hanno
sottolineato
l‟esistenza
di
elementi
depressivi
o
depressogeni impliciti in ogni processo adolescenziale. In
particolare, si osserva che, l‟autrice, nel parlare del lavoro
psichico con cui ogni adolescente è chiamato a confrontarsi,
dichiarava che in questa fase fosse inevitabile il verificarsi di “un
certo lutto degli oggetti del passato” (cfr. Pfanner, Marcheschi,
Muratori, Masi, 1994).
Tutto ciò ha fatto sì che la depressione sia stata una delle
condizioni più riconosciute e meno curate, proprio per l‟incerto
confine esistente tra un movimento depressivo “normale” ed una
depressione patologica. Pertanto, è opportuno approfondire la
- 117 -
relazione tra depressione e adolescenza per poter riuscire a
distinguere la depressione cosiddetta “fisiologica”, normale,
connaturata
al
periodo
adolescenziale,
patologica.
- 118 -
dalla
depressione
3.2. PUNTI COMUNI E DIFFERENZE TRA DEPRESSIONE E
PROCESSO ADOLESCENZIALE
Tre sono i fattori che accomunano il processo adolescenziale da
una parte e la psicopatologia depressiva dall‟altra (cfr. Marcelli,
1993). Essi sono:
1. le perdite, di fronte alle quali tanto il paziente depresso
quanto l‟adolescente si trovano a confrontarsi;
2. il problema della gestione dell‟aggressività e del senso di
colpa;
3. la rottura dell‟equilibrio fra gli investimenti oggettuali e gli
investimenti narcisistici.
Il fattore “perdite e separazioni” è presente sia nella depressione
che nella adolescenza, anche se, in quest‟ultimo caso le perdite si
situano su poli diversi. In effetti nell‟adolescenza, si assiste alla
perdita della quiete del corpo, vale a dire, l‟irruzione della
pubertà determina una estrema tensione all‟interno stesso del
corpo dell‟adolescente, il quale si dichiara frequentemente
“nervoso”. Questa forte tensione è evidentemente legata
all‟emergere della pulsione sessuale ed ai bisogni nuovi che essa
determina. Tuttavia, con l‟arrivo della pubertà sono messe in crisi
le conoscenze che il bambino aveva del suo corpo, nella “triplice
dimensione”: statica (la forma dell‟immagine), dinamica (la
cinetica del corpo), ed interattiva (la funzione sociale del corpo).
Pertanto, si può parlare di perdita dell’immagine del corpo. In
effetti, sul piano statico, si assiste al frequente interrogarsi
“ansioso” dell‟adolescente sul suo corpo; sul piano dinamico,
- 119 -
l‟adolescente appare più maldestro, meno elegante e meno
dotato; infine può osservarsi che il cambiamento corporeo ha
delle ripercussioni anche sugli scambi interattivi sociali e
culturali del soggetto, infatti agli ineluttabili cambiamenti fisici,
l‟adolescente aggiunge una serie di modificazioni multiple: vuole
modificare la sua pettinatura, il suo modo di vestire, il suo modo
di agire, di comportarsi, ecc.. Si tratta per l‟adolescente di
distanziarsi dalle abitudini della propria infanzia e dai genitori
per potersi costruire una propria identità. In questa prospettiva,
l‟adolescenza implica una ridefinizione interna (processi
intrapsichici) ed esterna (processi interattivi) dei vecchi legami
(cfr. Nicolò, Zavattini, 1993).
Un‟altra perdita caratteristica di questa fase è la perdita della
bisessualità potenziale. Prima della pubertà, il bambino e la
bambina di 7/8 anni sanno di appartenere corrispettivamente al
sesso maschile e a quello femminile; ma ambedue possono
adottare dei comportamenti propri dell‟altro sesso, senza per
questo mettere in discussione la loro identità sessuale. Questa
“bisessualità potenziale”, spiega il sentimento di onnipotenza
infantile. Tuttavia, la trasformazione pubertaria fa perdere al
bambino questo sentimento di onnipotenza e questa bisessualità
potenziale. L‟adolescente è ora un uomo o una donna: non può
più essere le due cose assieme. L‟esempio clinico dei pazienti
anoressici
ci
mostra
molto
chiaramente
come
questa
trasformazione pubertaria minacci il sentimento soggiacente di
onnipotenza e come gli affetti depressivi siano presenti quando
- 120 -
l‟adolescente
inizia
a
rinunciare
a
questa
onnipotenza.
Normalmente i giovani adolescenti adottano comportamenti
sessuali “esasperati” nelle loro caratteristiche legate al sesso; di
fatto il ragazzo adolescente si sente in dovere di essere più
maschio o anche, come si suol dire, più “macho”; al contrario, la
giovane adolescente accentua la sua femminilità, indossando
scarpe con tacchi a spillo, vestiti aderenti ecc.. Questo a
dimostrazione che il bisogno di identificazione con il proprio
sesso gioca un ruolo essenziale. Tuttavia, la paura della parte
interna dell‟altro sesso, cioè il bisogno di scartare per il ragazzo,
la parte femminile che è in lui, per la ragazza la parte maschile
che è in lei, conducono per un certo periodo di tempo ad una
sorta di perdita interna; perdita della parte tenera e passiva per il
ragazzo, perdita per la parte aggressiva e attiva per la ragazza.
Ciò nonostante, per quest‟ultima la situazione è diversa; infatti
oggigiorno, a seguito della emancipazione sociale della donna e
dei cambiamenti culturali avvenuti nel corso degli anni, la
giovane adolescente può più facilmente, attraverso la moda
dell‟abbigliamento,
lasciare
esprimere
le
proprie
parti
“mascoline”.
Un‟ultima separazione che si verifica in questo periodo è la
separazione dal legame edipico, ossia la separazione dagli
oggetti originari di dipendenza. Invero, è nell‟adolescenza che si
assiste alla rottura dei legami di dipendenza dalla famiglia,
implicando tale rottura, l‟entrata dell‟adolescente nel mondo
degli adulti. Questo processo molto complesso comporta la
- 121 -
perdita del rifugio materno o perdita dell‟oggetto edipico. In
realtà l‟adolescente deve compiere un‟operazione nuova che
consiste nello spostare l‟investimento erotico dalle figure
genitoriali o dalle figure dei pari, narcisisticamente investite, alle
persone di sesso opposto. Dunque, in tale circostanza, il
sentimento depressivo non riguarda tanto la perdita dell‟oggetto,
quanto la perdita dell‟investimento edipico della coppia
genitoriale (Giaconia, 1997).
Il secondo fattore che accomuna la patologia depressiva ed il
processo adolescenziale è quello relativo alla “gestione
dell‟aggressività e del senso di colpa”. Infatti, come per la
Jacobson, la depressione appare un problema di aggressività non
risolta che viene scaricata in maniera distruttiva e peggiorativa
contro l‟Io (cfr. Giberti, Rasore, Moscato, Cardinale, 1996); così
nell‟adolescenza “la spinta della pubertà si accompagna ad una
intensificazione delle pulsioni nel corpo e nella psiche
dell‟adolescente, sia che si tratti della pulsione sessuale che di
quella
aggressiva”
(Marcelli,
1993).
La
traduzione
comportamentale abituale di questo accrescimento pulsionale è
che l‟adolescente si sente interiormente “eccitato”, nervoso e,
come reazione a ciò, sente l‟esigenza di allontanare i propri
genitori. Tutto questo accade perché l‟adolescente teme che le
proprie pulsioni, in particolare la propria aggressività, possano
nuocere l‟oggetto amato (genitore), ragion per cui ha bisogno di
mantenere una distanza tra se stesso e questo oggetto. Di
conseguenza, l‟adolescente si allontana dall‟oggetto edipico, o lo
- 122 -
mantiene
a
distanza
in
modo
concreto
o
figurativo.
Concretamente, alcuni adolescenti evitano la presenza fisica dei
loro genitori: possono perciò decidere o di restare chiusi nella
loro camera o di uscire di casa; l‟importante è restare il meno
possibile con i genitori. Dal punto di vista simbolico,
l‟adolescente si dichiara incompreso dai suoi genitori; pensa che
questi non lo capiscano affatto e per questo dichiara di essere
stato deluso. Tuttavia, occorre capire che l‟allontanamento
dell‟adolescente dalla propria eccitazione pulsionale e aggressiva
assolve ad una duplice funzione; da un lato serve a proteggere i
genitori dalla sua eccitazione pulsionale o aggressiva, dall‟altro
lato, l‟inibizione e la passività possono essere anche il mezzo che
egli utilizza per negare o per lo meno controllare questa
eccitazione; infatti dall‟atteggiamento tipico dell‟adolescente
(restare chiuso nella propria camera, non interessarsi a niente,
ecc.) si evince la sua paura di confrontarsi con il bisogno
pulsionale. Talvolta, il rivolgimento immediato su se stesso di
una aggressività, all‟inizio diretta contro gli oggetti edipici, di
cui l‟adolescente si colpevolizza dà vita a comportamenti e
pensieri suicidari. Pertanto “è evidente che questa inibizione,
questo ripiego, questa passività possono aprire la strada ad uno
stato depressivo più o meno manifesto” (Marcelli, 1993).
L‟ultimo fattore presente tanto nel disturbo depressivo quanto nel
processo adolescenziale è “la rottura dell‟equilibrio fra gli
investimenti oggettuali e quelli narcisistici”, ossia si assiste, in
entrambe le condizioni ad una accentuazione dell‟investimento
- 123 -
narcisistico e ad un disinteresse apparente per il mondo esterno.
Ciò nonostante, nell‟adolescente il sovrainvestimento del Sé, cioè
il suo bisogno di ripiegarsi su se stesso e sul proprio
funzionamento mentale, risulta necessario per permettergli di
rispondere a quei quesiti adolescenziali, riguardanti “il senso
della vita, della morte, la propria identità, ecc.” Questo
interrogarsi è tanto più doloroso ed insistente in quanto
l‟adolescente percepisce i molteplici cambiamenti, le incertezze e
le contraddizioni di cui è portatore. Tuttavia, egli aspira ad una
definizione rigorosa di se stesso.
Caratteristica di questa fase è anche l‟idealizzazione del Sé,
operata dal soggetto stesso. Effettivamente, in adolescenza si
osservano delle oscillazioni nell‟idealizzazione di se stessi:
l‟adolescente
passa,
molto
rapidamente,
da
periodi
di
autocompiacimento a fasi di profondo malessere, disistima,
inquietudine, noia e soprattutto di vuoto. Questo suo modo di
essere si osserva anche nella maniera in cui l‟adolescente valuta
gli avvenimenti e le persone che lo circondano; infatti egli
sembra vivere in “un mondo fatto di tutto o nulla”, in cui può
decidere di dare ad avvenimenti o persone un‟importanza
eccessiva o al contrario mostrare un disinteresse totale
(Bemporad, 1991). Anche in questa situazione, l‟adolescente
sembra mancare di una maturità sufficiente per mettere gli
avvenimenti quotidiani nella giusta prospettiva; pertanto ogni
cosa sarà vissuta con un‟aria di irrevocabilità e talvolta di
disperazione.
- 124 -
Dopo aver analizzato i punti comuni tra il disturbo depressivo e il
processo adolescenziale, è opportuno affrontare, anche se con
difficoltà, il tema delle differenze esistenti tra queste due
fenomenologie. In particolare, deve osservarsi che gli elementi
caratterizzanti lo stato depressivo “fisiologico” insito nel normale
processo adolescenziale, che valgono a differenziarlo dalla
presenza di una acclarata depressione adolescenziale riguardano:
1. la capacità dell‟adolescente di descrivere ed analizzare in
modo coerente la propria situazione interna, familiare e
relazionale;
2. la capacità di apportare delle possibili correzioni e modifiche
al proprio discorso, in base alle osservazioni a lui proposte
dall‟interlocutore;
3. la capacità di fare piani realistici sul futuro, e di mantenere
alcune aree di funzionamento intatte per l‟attuazione di questi
obiettivi;
4. la capacità di mantenere aree di interesse come espressione
diretta di una capacità interiore;
5. la capacità di stabilire delle identificazioni durature, talvolta
associate ad altre più atipiche e fluttuanti, con possibilità di
dare una valutazione realistica e profonda di questi legami;
6. la capacità di riferire idee e comportamenti ad un sistema di
valori coerente e dinamico, anche se differenziato da quello
dell‟ambiente familiare (Pfanner, Marcheschi, Muratori, Masi,
1994).
- 125 -
Un parametro clinico significativo è rappresentato dalla qualità
dello sviluppo cognitivo dell‟adolescente. Esso costituisce una
sorta di schermo protettivo, uno strumento attraverso il quale egli
è in grado di padroneggiare parte delle urgenze interne ed esterne
del processo adolescenziale. Ma l‟accesso a nuove categorie del
pensiero, in particolare l‟acquisizione di un livello superiore di
astrazione e generalizzazione, modifica in modo radicale il
rapporto che l‟adolescente ha con il mondo esterno, che non è più
il mondo concreto ed unico del bambino, ma uno degli infiniti
mondi possibili. A tal proposito sono stati effettuati due studi che
sembrano
dimostrare
l‟esistenza
di
un
legame
tra
la
sintomatologia depressiva e il deficit dei processi metacognitivi
nell‟attività di studio dei soggetti adolescenti (cfr. Terreni,
Campiotti, 1999). Nel primo studio, che ha coinvolto 315
adolescenti frequentanti i primi tre anni di una scuola media
superiore (14-17 anni), sono state ottenute misure della
sintomatologia depressiva e di molteplici aspetti dell‟attività di
studio. Infatti, i soggetti classificati come depressi in base all‟alto
punteggio al Children‟s Depression
Inventory (CDI) si
descrivevano come studenti meno strategici e metacognitivi
rispetto ai non depressi (basso punteggio al CDI). Al fine di
valutare gli effetti specifici della depressione sulle abilità
metacognitive, nel secondo studio è stato misurato anche il
livello d‟ansia. I soggetti erano 322 adolescenti frequentanti il
primo anno di una scuola media superiore (13-16 anni),
classificati come depressi ansiosi, depressi non ansiosi, non
- 126 -
depressi ansiosi e non depressi non ansiosi sulla base del
punteggio al Children‟s Depression Inventory e allo State Trait
Anxiety Inventory. Secondo quanto emerso dai risultati la
maggior parte degli effetti trovati sarebbe specifica della
depressione. In effetti, si è osservato che, di fronte ad un
materiale da apprendere, gli studenti depressi non sono in grado
di organizzarsi, non riconoscono la necessità di ricercare una
strategia che sia la migliore in relazione a quanto verrà loro
richiesto nella fase di verifica; incontrano difficoltà nel regolare
la propria attenzione e concentrazione; e non hanno la capacità di
valutare il proprio livello di preparazione. Di conseguenza,
sembrano meno motivati e affrontano lo studio in modo passivo.
Tali deficit metacognitivi possono spiegare le maggiori difficoltà
che spesso questi studenti incontrano a scuola. D‟altra parte il
rendimento scadente tende ad acuire i problemi di autostima e
quindi a rafforzare la sintomatologia depressiva. In tale
circostanza,
training
metacognitivi
con
studenti
depressi
potrebbero forse contribuire ad interrompere questo processo a
catena e migliorarne l‟umore insieme al rendimento scolastico.
- 127 -
3.3. LA DEPRESSIONE NEGLI ADOLESCENTI
3.3.1. Precisazioni sulla depressione adolescenziale
Come già riferito in premessa, i disturbi dell‟umore sono stati a
lungo sottostimati tra gli adolescenti. Diverse ragioni stanno alla
base di questa sottovalutazione:
1. Molti autori hanno sottolineato che l‟umore depressivo a
questa età non sia stabile, di conseguenza risulta difficile fare
una diagnosi categoriale sicura.
2. Un‟altra ragione, è che per molti anni si è fatto riferimento al
concetto troppo generale di “crisi”, derivato dai primi lavori
psicoanalitici sull‟adolescenza; ciò ha reso senz‟altro difficile
definire un processo psicopatologico preciso.
3. Una terza ragione è sicuramente legata alle diverse
manifestazioni di richiesta di aiuto. Queste ultime vanno dai
disturbi del comportamento, più spesso frequenti tra i ragazzi,
fino ai disturbi detti funzionali, più spesso presenti nelle
ragazze. È importante citare tutta una serie di atteggiamenti
presenti nell‟adolescente depresso, quali: lamentele di dolori
corporei, difficoltà scolastiche, mancata frequenza scolastica,
condotte delinquenziali, condotte bulimiche o anoressiche,
condotte di dipendenza, e chiaramente tentativi di suicidio.
Dal punto di vista sintomatologico, la depressione adolescenziale
assomiglia per alcuni aspetti a quella dell‟adulto; tuttavia, come
suddetto, è possibile osservare nell‟adolescente quadri depressivi
- 128 -
diversi. A tal proposito, è possibile distinguere diversi tipi di
manifestazioni
depressive
in
adolescenza
(cfr.
Marcelli,
Braconnier, 1999):
1. può osservarsi uno stato di noia o di “morositè”, legato ad un
rifiuto da parte dell‟adolescente di investire il mondo degli
oggetti,
oppure un umore depresso dovuto ad una
svalorizzazione rivolta verso se stessi, caratterizzata da crisi di
pianto, o infine una instabilità affettiva accompagnata da
momenti di relativa eccitazione;
2. crisi depressive o più spesso ansioso- depressive con frequenti
momenti di pianto, a volte idee di morte, accompagnate da
disturbi del sonno e dell‟alimentazione; ciò dura una o due
settimane, ma può evolvere anche in uno stato depressivo
vero e proprio;
3. l‟adolescente può presentare una sindrome depressiva grave,
caratterizzata da rallentamento psicomotorio, senza però una
espressione del viso particolarmente depressa; a volte ha
un‟aria ostile, irritata o del tutto indifferente. Il suo pensiero è
polarizzato su temi di insufficienza, inadeguatezza, incapacità,
colpevolezza, idee di morte, difficoltà a concentrarsi e disturbi
del sonno, ecc..
Due particolari forme di depressione che si presentano in
adolescenza sono: la depressione di inferiorità e la depressione
mascherata. La prima è un tipo di depressione, che si manifesta
attraverso una diminuzione della stima di sé e attraverso
sentimenti di inferiorità. Certamente questo calo della stima di sé
- 129 -
è normalmente presente in molte depressioni, ciò nonostante
occupa in questo caso un posto privilegiato. Clinicamente essa si
manifesta nell‟adolescente con un sentimenti di abbandono
(l‟adolescente non si sente amato dagli altri, soprattutto dai suoi
parenti) e di svalorizzazione. Il soggetto affetto da siffatta forma
depressiva si sente stupido, sfavorito dal punto di vista estetico e
pertanto può sviluppare atteggiamenti reattivi o difensivi per
poter dimostrare il suo valore (cfr. Marcelli, Braconnier, 1999).
Viceversa, il soggetto con depressione mascherata può presentare
i seguenti sintomi: insonnia, stanchezza, anoressia, cefalea,
disturbi gastro - intestinali; sicchè risulta difficile porre la
diagnosi differenziale con l‟ipocondria o i disturbi psicosomatici
(Braceland, 1966). Una manifestazione comune di depressione
mascherata è l‟alcoolismo (Arieti, 1991). In effetti sono molti i
giovani depressi che nascondono la loro depressione facendo un
uso eccessivo di alcool, e pertanto vengono considerati
alcolizzati. Tuttavia essi rivelano spesso la loro depressione negli
intervalli liberi da alcool. La depressione mascherata si può
presentare anche sotto forma di irrequietezza, iperattività,
problemi di concentrazione, atteggiamenti antisociali quali:
ostilità, aggressività e comportamenti spericolati.
- 130 -
3.3.2. La depressione: epidemiologia e fattori di rischio
Epidemiologia
In questo lavoro è utile segnalare che da vari e recenti studi
clinici ed epidemiologici passati in rassegna risulta che:
1. la depressione è più comune tra le donne che tra gli uomini;
2. l‟età d‟esordio è prevalentemente l‟adolescenza;
3. i tassi di prevalenza e di incidenza della depressione
nell‟adolescenza sono più alti per le femmine che per i
maschi.
Uno di primi studi epidemiologici, esaurientemente descritto da
Rutter (1994) è stato quello effettuato sui disturbi emozionali,
comportamentali e fisici della popolazione dell‟Isola di Wight
(con un campione di 3500 individui), realizzato a metà degli anni
′60. I dati emersi dalla suddetta ricerca rivelano che i sintomi
depressivi sono maggiormente frequenti all‟età di 14-15 anni
piuttosto che a 10-11 anni. Inoltre essi sono abitualmente presenti
nelle giovani donne.
Molti altri studi epidemiologici mostrano che la percentuale di
donne che soffrono di depressione in periodi della loro vita varia
dal 2% al 25% e la differenza nell‟incidenza della depressione tra
uomini e donne si rende evidente già nell‟adolescenza.
Recenti ricerche su popolazioni di teenagers di sesso femminile
indicano una prevalenza (casi per un anno) di circa il 17% di
disturbi ansiosi depressivi (Visconti, 1997).
- 131 -
In particolare i risultati di alcuni studi epidemiologici sulla
depressione nella popolazione generale mostrano un crescente
aumento della prevalenza della depressione e indicano le donne
adulte e giovani come fasce di popolazione a rischio più elevato
rispetto alle altre fasce. Un recente lavoro di ricerca
epidemiologica condotto presso l‟Harvard Medical School e il
Massachussetts
General
Hospital
di
Boston
(USA)
sull‟andamento della prevalenza della depressione mostra un
aumento del 5% dal 1970 al 1992 che ha interessato in
particolare le donne più giovani (Murphy et al, 2000).
Conferme, sull‟alta prevalenza della depressione nelle donne
adulte e adolescenti, provengono anche da numerosi ricercatori
che si sono occupati delle differenze di genere nelle sindromi
psichiatriche. Tra questi citiamo Susan Nolen Hoeksema (NolenHoeksema, 1990) che ha analizzato uno studio condotto nell‟80
dal National Institute of Mental Health su 9453 persone in tre
città degli Stati Uniti alle quali era stata somministrata la
"Diagnostic Interwiew Schedule". Dai dati risulta che la
percentuale di donne, con una diagnosi di depressione emessa nei
sei mesi precedenti la somministrazione dell‟intervista, è più alta
(4%) di quella degli uomini (1,7%) al di là dell‟età dei soggetti
intervistati. La Nolen aggiunge che la differenza rispetto al sesso,
per quanto riguarda i sintomi
depressivi,
non
emerge
nell‟infanzia e nella preadolescenza. Nell‟adolescenza, invece, la
variabile di genere diventa significativa: la percentuale di ragazze
con depressione risulta più alta rispetto a quella dei coetanei
- 132 -
maschi. Da altre ricerche su campioni di preadolescenti la
percentuale dei maschi rispetto a quelle delle femmine risulta più
alta, in relazione ai disturbi depressivi. I risultati di una ricerca
condotta da Anderson e colleghi nell‟87 (Anderson et al., 1987)
su 792 ragazzi (maschi e femmine) di undici anni mostrano che
al 2% dei maschi e solo allo 0,5% delle femmine corrispondeva
una diagnosi di depressione. Questa proporzione cambiava in
senso inverso per i soggetti adolescenti: su un campione di 150
ragazzi dai 14 ai 16 anni gli stessi ricercatori rilevarono solo il
2,7% dei maschi depressi contro il 13,3% delle femmine.
Fattori di rischio della depressione
In
relazione
all‟insorgenza
adolescenziale le varie
della
depressione
in
età
ricerche epidemiologiche e cliniche
passate in rassegna hanno indicato una vasta gamma di fattori di
rischio correlabili a ipotesi eziologiche.
Tra i fattori di rischio maggiormente evidenziati si segnalano i
seguenti:
 Il genere femminile
Epidemiologi e clinici concordano sul dato che il numero di
ragazze con disturbi depressivi è superiore a quello dei maschi
della stessa fascia d‟età.
 I cambiamenti ormonali della pubertà
La ricerca neurobiologica evidenzia che durante la pubertà
avvengono dei cambiamenti ormonali che, oltre a produrre
marcate
trasformazioni
fisiche
- 133 -
e
caratteristiche
sessuali
specifiche per ciascun genere, incidono sul funzionamento
cerebrale e possono pertanto influenzare l‟umore modulando il
“rilascio” di alcuni neurotrasmettitori associati
all‟umore, in
particolare, la norefrinefrina e la serotonina (Kandel et al., 1998).
In particolare l‟elevata complessità dei cambiamenti nei livelli di
estrogeni,
progesterone
e
di
altri
ormoni
femminili
provocherebbe l‟esordio della depressione nelle adolescenti e
spiegherebbe il dato epidemiologico di una maggiore morbilità
delle femmine rispetto ai coetanei maschi. Questa spiegazione
“ormonale” della depressione femminile è ampiamente accettata
in campo medico ma, come rilevano altri numerosi ricercatori, a
tutt‟oggi non risulta ancora supportata da prove validabili
scientificamente.
 Lo sviluppo delle caratteristiche sessuali secondarie
Alcuni ricercatori ipotizzano che lo sviluppo delle caratteristiche
sessuali secondarie influenzi, in maniera più significativa del
cambiamento ormonale, lo sviluppo emozionale degli adolescenti
e che quelle caratteristiche inciderebbero sull‟autostima in
maniera diversificata rispetto al genere (Brooks-Gunn, 1988).
Infatti le ragazze valuterebbero negativamente i cambiamenti
fisici che accompagnano la pubertà. Esse soffrirebbero per
l‟aumento di peso adiposo e per la perdita dell‟immagine snella
e longilinea del periodo prepuberale, idealizzata dalla moda.
I ragazzi, al contrario, sarebbero soddisfatti dell‟aumento della
massa muscolare e degli altri cambiamenti puberali del loro
corpo; a sua volta il gradimento della propria immagine corporea
- 134 -
risulterebbe più strettamente correlato all‟autostima nelle ragazze
che nei ragazzi, per cui atteggiamenti negativi nei riguardi dei
cambiamenti fisici apportati dalla pubertà produrrebbero nelle
ragazze bassi livelli di autostima e quindi una maggiore
vulnerabilità alla depressione.
 La predisposizione genetica
Diversi studi sulla ereditarietà della depressione evidenziano che
la frequenza
delle forme depressive nei parenti di 1° grado
(genitori, fratelli e figli) dei pazienti affetti da depressione è
maggiore di quella che si osserva nel resto della popolazione.
La frequenza globale di concordanza per i gemelli monozigoti è
all‟incirca del 50%; la frequenza per i gemelli dizigoti è
all‟incirca del 10%. I gemelli omozigoti allevati separatamente
hanno una concordanza che va dal 40% al 60% simile a quella
dei gemelli allevati insieme (Kandel et all, 1998).
 L'alcolismo o l'abuso di droghe dei genitori
L‟alcolismo o l‟abuso di droghe di uno o di entrambi i genitori
sono considerati fattori ostacolanti (nei figli) lo sviluppo di
strategie di coping e di abilità sociali e quindi produrrebbero
vulnerabilità alla depressione (Martin, 1995).
 La depressione della madre
È più probabile avere una madre depressa che non un padre,
essendo la depressione più comune nelle donne che negli uomini.
La depressione materna, secondo numerosi ricercatori, può
aumentare nei figli adolescenti il rischio di insorgenza di disturbi
depressivi. Oltre che con spiegazioni genetiche di cui si è detto
- 135 -
prima, questo dato viene spiegato, dalle ricerche psicosociali, in
termini di risposta soggettiva dell‟adolescente ad un contesto
ambientale negativo (Martin, 1995).
 La disfunzionalità familiare e lo stile dei genitori
È stata identificata una stretta relazione tra disfunzionalità
familiare e disordini depressivi negli adolescenti. La qualità della
relazione familiare è associata alla presenza negli adolescenti
della depressione, dello stato di non salute e/o di comportamenti
di acting-out. Adolescenti con relazioni familiari non compatte
hanno riportato una prevalenza di depressione, tre volte superiore
a quella degli altri coetanei.
 Eventi di vita
La ricerca psicosociale ha correlato all‟insorgenza nello sviluppo
dei disturbi depressivi negli adolescenti alcuni eventi di vita (life
event stressors) che possono essere vissuti come trauma e che
comunque richiedono notevoli sforzi adattativi in quanto
producono incisive e repentine modificazioni nell‟esistenza
dell‟adolescente.
Tra gli eventi di vita più frequentemente segnalati troviamo:
la perdita di un genitore.
In molte ricerche viene sottolineato il peso esercitato dalla morte
di un genitore nell‟insorgenza della Depressione Maggiore
nell‟adolescente.
Alcuni ricercatori come Brown e Harris (1978) considerano in
particolare la morte della madre prima degli undici anni come un
fattore di vulnerabilità alla Depressione in età adulta, nel caso in
- 136 -
cui la perdita sia seguita da situazioni di carenze di cure e di
relazioni significative.
Il divorzio dei genitori
Da alcuni studi longitudinali risulta che la depressione è più
comune anche se lievemente, negli adolescenti figli di divorziati.
Le violenze sessuali e i maltrattamenti fisici
La letteratura su queste tematiche evidenzia che le violenze
sessuali e i maltrattamenti subiti nell‟infanzia e nell‟adolescenza
possono scatenare, nell‟immediato, risposte patologiche e/o
agiscono da incubatori di futuri disturbi psicofisici in età adulta,
tra cui i disturbi depressivi (Mary Seeman, 1995).
Alcune ricerche retrospettive sugli effetti in età adulta delle
violenze e dei maltrattamenti subiti in adolescenza indicano che
il numero di adolescenti femmine vittime delle violenze è
maggiore di quello dei coetanei maschi e che questo dato sarebbe
correlabile al fenomeno della maggiore diffusione
della
depressione nella popolazione femminile adolescente ed adulta
rispetto a quella maschile.
L‟American Psychological Association (APA, 2000) segnala che
circa il 37% delle donne ha subito violenze prima dei 21 anni e
che questo dato rappresenta solo una sottostima del fenomeno.
Anche altri studiosi, in tempi recenti, segnalano che le violenze
sessuali perpetrate sui minori oltre che a provocare immediate
reazioni psicofisiche tra cui la depressione rendono le vittime,
una volta diventate adulte, soggetti ad alto rischio di depressione
e/o di altre patologie.
- 137 -
 La perdita di un legame affettivo e il fallimento negli studi
Le statistiche forniscono dati allarmanti sui suicidi e i tentativi di
suicidio compiuti dagli adolescenti in seguito soprattutto a tali
eventi. Il suicidio è la terza causa di morte nei giovani dai 15 ai
24 anni, con una punta tra i 15 e i 19 anni per le femmine e
intorno ai 20 anni per i maschi (American Academy of
Pediatrics, 2000).
 Alcune caratteristiche della personalità
I ricercatori che ipotizzano un collegamento tra specifici stili di
personalità e sviluppo della depressione individuano tale
collegamento in personalità di adolescenti caratterizzate da
mancanza di assertività, pessimismo, dipendenza e tendenza a
rimuginare sulle cose. Queste caratteristiche di personalità
possono ostacolare l‟attivazione delle risorse dell‟adolescente per
affrontare adeguatamente eventi di vita stressanti producendo
così risposte di tipo depressivo.
Alcuni studi rilevano che la passività e il “ruminative style of
coping” è prevalente nelle donne adulte e adolescenti (Hoeksema
et al., 1991). Inoltre le adolescenti con stile di personalità di tipo
ruminativo risulterebbero più depresse dei coetanei maschi
(Girgus et al., 1991). Le caratteristiche di personalità implicate
nella depressione sarebbero correlabili all‟influenza dei modelli
educativi tradizionalmente improntati per le donne alla
dipendenza, alla passività e alla repressione (Reale, 1998).
- 138 -
 La bassa autostima
In quasi tutte le ricerche psicologiche passate in rassegna
l‟autostima
e
la
depressione
risultano
inversamente
proporzionali. La bassa autostima è riscontrabile in adolescenti
con
situazioni
familiari
difficili,
genitori
alcolisti
o
tossicodipendenti e in adolescenti che hanno subito abusi
sessuali. In queste situazioni un fattore che contribuisce al
mantenimento della bassa autostima e che quindi incide
indirettamente sulla depressione è la solitudine. Solitudine e
basso livello di autostima costituiscono fattori predittivi della
depressione nell‟adolescenza (Martin, 1995).
- 139 -
3.4. DIAGNOSI E TRATTAMENTO TERAPEUTICO NELLA
DEPRESSIONE DEGLI ADOLESCENTI
Partendo dal presupposto che negli adolescenti non si manifesta
un quadro con tutti i sintomi tipici della depressione, quale di
solito si palesa negli adulti; ciò rende difficile una corretta
diagnosi, nonché stabilire se i tratti riscontrati sono solo
manifestazioni transitorie del tumultuoso periodo di passaggio,
che è per l‟appunto l‟adolescenza, oppure spie di una patologia
depressiva in atto. Infatti, negli adolescenti, l‟aspetto tipico della
depressione può essere poco evidente e lasciare il campo a
“equivalenti depressivi”, quali disobbedienza, noia, faticabilità,
dolori addominali, ipocondria, esibizionismo, inclinazione ad
agire,
che
mascherano
una
sofferenza
depressiva
non
apertamente manifestata (Cappelli, Cimino, 2002). Malgrado il
considerevole numero di studi sull‟argomento, ancora oggi è
difficile distinguere tra normalità e patologia dei fenomeni
depressivi in adolescenza. A tal proposito, Vaneck (1978)
afferma che: “l‟adolescente oscilla costantemente tra una
condizione che tende alla depressione ma che non è patologica ed
è dotata anzi di valenze strutturanti, e il pericolo rappresentato
dalla caduta in un vero e proprio stato depressivo”.
Tuttavia, secondo i criteri diagnostici del DSM-IV (APA, 1994),
(che
non
considera
in
dettaglio
i
cambiamenti
nella
fenomenologia del disturbo depressivo che si presentano nel
corso del ciclo vitale) solo due sono gli aspetti tipici della
depressione nell‟infanzia e nell‟adolescenza. Essi sono:
- 140 -
1. l‟irritabilità come il tratto più evidente di un‟alterazione
dell‟umore di tipo disforico;
2. la durata di tale alterazione per almeno 1 anno (mentre per gli
adulti si considerano 2 anni).
Inoltre, il DSM-IV non ritiene che per l‟infanzia e l‟adolescenza
si possano discriminare, come avviene per l‟adulto, le sindromi
della “depressione maggiore” e della “distimia”. Per il resto la
classificazione dei disturbi dell‟umore proposta per l‟adulto,
viene pressoché utilizzata anche per gli adolescenti. In ogni caso,
per fare una corretta diagnosi è essenziale che l‟alterazione
dell‟umore sia primaria e non secondaria a qualche altro disturbo.
Infatti, è noto che nella fanciullezza molti altri disturbi, come il
Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività, il Disturbo della
Condotta
e
i
Disturbi
dell‟Apprendimento,
producono
frequentemente e regolarmente almeno un certo scoraggiamento.
Analogamente, quando l‟alterazione è lieve e sembra provenire
da
stress
psicosociale
acuto,
si
dovrebbe
prendere
in
considerazione una diagnosi di Disturbo dell‟Adattamento. Se la
qualità dell‟alterazione dell‟umore è lieve ma cronica, comunque,
la distimia è adeguata. Tra i Disturbi dell‟Umore, i Disturbi
Depressivi sono quelli più frequentemente identificati nel gruppo
dell‟età pediatrica, ma vi sono prove rilevanti che gli Episodi
Maniacali siano sottodiagnosticati nell‟adolescenza. D‟altra
parte, il ritardo psicomotorio, l‟ipersonnia e i deliri sono più
spesso indice di depressione negli adolescenti e negli adulti
piuttosto che nei bambini (cfr. Rapoport, Ismond, 2004). Inoltre
- 141 -
per la diagnosi differenziale, specie rispetto al Disturbo della
Condotta e al Disturbo Oppositivo Provocatorio, è possibile
riscontrare che nei bambini e negli adolescenti i sintomi
depressivi
sono fortemente
associati
con
comportamenti
antisociali, cosicché può essere difficile distinguere l‟irritabilità
nel Disturbo Oppositivo Provocatorio dall‟irritabilità come
sintomo depressivo in un Episodio Depressivo Maggiore. Per
esempio, se un bambino è disattento, ha scarsa autostima ed è
irritabile, come verrà condotta la distinzione diagnostica? In tal
caso bisogna tener conto che per la diagnosi del Disturbo
Oppositivo Provocatorio è richiesta la presenza di comportamenti
che non dovrebbero manifestarsi esclusivamente durante un
Episodio Depressivo Maggiore o Distimico, ma presentarsi per
un periodo particolarmente lungo, più lungo anche di un
Episodio Depressivo Maggiore. Tuttavia, è opportuno mettere
l‟accento su altre caratteristiche diagnostiche specifiche per la
fanciullezza e l‟adolescenza. Nei bambini, i Disturbi Depressivi
hanno una forte associazione sia col Disturbo della Condotta sia
col Disturbo d‟Ansia di Separazione (Bird et al., 1998). In
contrasto, il gruppo adolescente sembra seguire lo stesso pattern
di alterazioni osservate nei casi adulti di Disturbo Depressivo
Maggiore (Geller, Chestnut, Miller Price, Yates, 1985). Negli
adolescenti, gli Episodi Depressivi Maggiori sono spesso
associati con Disturbi da Deficit di Attenzione e da
Comportamento Dirompente, come lo sono i Disturbi d‟Ansia, i
Disturbi dell‟Alimentazione e i Disturbi Correlati a Sostanze. Nei
- 142 -
bambini prepuberi, vi è uguale incidenza di tutti i Disturbi
dell‟Umore tra maschi e femmine, mentre nei gruppi di età
maggiore le femmine prevalgono. Per quanto riguarda la mania,
quest‟ultima è estremamente rara nei bambini prepuberi.
Tuttavia, di recente, sono stati condotti ottimi studi volti a
dimostrare che la diagnosi di mania nell‟adolescenza è, come già
detto prima, trascurata dagli psichiatri infantili. In realtà la
maggiore consapevolezza e l‟attenzione da parte dei clinici può
evitare più gravi complicazioni, specie in prospettiva dei possibili
benefici del trattamento con litio, che non può essere preso in
considerazione se la diagnosi di Episodio Maniacale non viene
fatta (cfr. Rapoport, Ismond, 2004).
In ultimo deve osservarsi, che ai fini diagnostici, negli
adolescenti depressi sono state riscontrate delle anomalie dei
tracciati elettroencefalografici del sonno (EEG). In particolare si
è evidenziato un tempo di latenza del sonno più lungo
(specialmente negli adolescenti depressi che tentano il suicidio) e
una diminuzione della durata delle ore di sonno (Dahl e al.,
1990). Inoltre alcuni studi evidenziano, negli adolescenti con
disturbo depressivo maggiore, un ridotto tempo di latenza nella
fase REM (cfr. Kahn, Todd, 1990, cit. in Cappelli, Cimino,
2000).
Per quanto riguarda la cura, il trattamento combinato (come detto
in precedenza) che include due tipi di interventi: quello
farmacologico e quello psicoterapeutico, è il più indicato. In
realtà, il clinico di fronte ad un adolescente depresso non può
- 143 -
permettersi né di privarsi dell‟apporto relazionale e delle
potenzialità evolutive sempre presenti, di cui il soggetto a questa
età può beneficiare (approccio psicoterapeutico), né dell‟aiuto
che i farmaci antidepressivi possono apportare in quello che c‟è
di più fisicamente comportamentale nella struttura depressiva. A
tutto ciò bisogna aggiungere il fatto che la presa in carico
dell‟ambiente, e in particolare dei genitori, sia, per quanto
possibile, parte integrante della strategia terapeutica. Ciò
significa fornire aiuto anche a coloro che sono più vicini
all‟adolescente depresso, soprattutto nelle interazioni che essi
sono portati a vivere e negli atteggiamenti e nei controatteggiamenti che questi ultimi possono generare.
Relativamente
al
trattamento
farmacologico,
i
farmaci
antidepressivi più utilizzati sono quelli di “nuova generazione”,
ossia i farmaci serotoninergici: SSRI, fuoxetina (Prozac) e
sertralina. Tali antidepressivi richiedono dalle due alle sei
settimane di tempo per migliorare i sintomi della depressione e
l'attesa può essere a volte deludente e stressante, ma è molto
importante non interrompere la cura. Per questo è necessario che
l‟adolescente abbia una famiglia o persone a lui care che lo
controllino, affinché segua dettagliatamente la cura prescritta.
Spesso, soprattutto in questi casi di depressione adolescenziale,
vengono prescritti anche degli ansiolitici; ciò accade quando la
componente ansiosa è predominante rispetto a quella depressiva.
A tal riguardo le benzodiazepine o il buspirone sono gli
ansiolitici più utilizzati e vengono prescritti in combinazione agli
- 144 -
antidepressivi. Deve osservarsi, che gli psichiatri consigliano il
buspirone piuttosto che le benzodiazepine, sia per i minori effetti
collaterali del primo rispetto alle seconde, sia per il minor rischio
di assuefazione che il buspirone provoca. Infine per quanto
concerne gli stabilizzatori dell‟umore, che come sappiamo
vengono utilizzati per trattare specificamente i disturbi bipolari
della depressione, il più utilizzato è il litio.
Infine, per quanto riguarda la psicoterapia, essa assurge a
strumento prioritario per la cura dei problemi relativi alla
depressione adolescenziale.
Tre sono le psicoterapie più utilizzate:
La psicoterapia individuale
Si tratta in generale di psicoterapia di ispirazione analitica, in cui
gli interventi dello psicoterapeuta si focalizzano sul “qui ed ora”
delle sedute. Di solito le sedute si succedono con una cadenza di
tre alla settimana.
La psicoterapia di gruppo e psicodramma individuale
Questi approcci non hanno delle particolarità in rapporto al
problema della depressione. Il gruppo può essere aperto, o
preferibilmente
chiuso
(gli
adolescenti
si
incontrano
regolarmente in un quadro definito). Il gruppo è talvolta riservato
ai soli adolescenti depressi, ma più spesso accoglie degli
adolescenti che presentano una patologia più diversificata. Lo
psicodramma è sia individuale, in cui un solo paziente mette in
scena la rappresentazione che ha proposto con coterapeuti che
giocano alcuni ruoli, sotto la direzione di un responsabile; e sia di
- 145 -
gruppo, in cui più adolescenti giocano ruoli che si ripartiscono
dopo aver elaborato insieme uno scenario in presenza di almeno
due terapeuti.
La psicoterapia familiare
L‟approccio familiare è una necessità frequente, in particolare
quando la presenza dei genitori sembra giocare un ruolo induttore
o anche patogeno nella depressione dell‟adolescente. Inoltre,
l‟incontro con il gruppo familiare diviene ancor più necessario
quando debbono essere discussi degli interventi concreti (come
per es. l‟ospedalizzazione). È importante anche ricordare che i
familiari, stando a stretto contatto con l‟adolescente, sono in
grado di capire il rischio di un tentato suicidio da parte del
ragazzo. Di solito, tra i comportamenti osservabili, che sono più
frequentemente associati ad un rischio di suicidio, ricordiamo:
1. il parlare di morte, suicidio o il farsi del male;
2. presenza di panico e ansia cronica;
3. insonnia costante;
4. cambiamenti nelle abitudini di sonno e/o alimentari;
5. recenti e ripetuti fallimenti scolastici;
6. cessione di oggetti personali particolarmente cari.
Infine per quello che riguarda il trattamento psicoterapeutico
vero e proprio, è importante che l‟adolescente possegga
determinate caratteristiche necessarie per poter ottenere risultati
efficaci nel tempo; vale a dire che l‟adolescente deve essere
motivato e deve dar prova di avere una tolleranza sufficiente al
grado di frustrazione che la psicoterapia comporta.
- 146 -
Per motivazione al trattamento psicoterapeutico, deve intendersi
un insieme di tre variabili che sono indispensabili affinché un
adolescente si impegni in modo durevole in un trattamento.
Queste tre variabili sono le seguenti.
1. Una curiosità sufficiente in rapporto al mondo psichico
interno. In effetti, alcuni adolescenti danno prova di un
interesse per i propri pensieri, le loro fantasie, i loro sogni,
desiderando comprendere il perché dei loro pensieri e affetti;
altri, al contrario, vanno alla ricerca di una causa esterna che
impedisca loro di mostrare il minimo interesse per il proprio
mondo rappresentazionale interno.
2. Un ansia ed un malessere diffuso che fanno soffrire
l‟adolescente e un riconoscimento di questa ansia e malessere
come proprio. Questo malessere e questa sofferenza debbono
certamente essere moderate per non provocare un crollo del
paziente, ma debbono essere altresì presenti per costituire una
forte motivazione per il paziente.
3. Una stanchezza nei riguardi della propria sofferenza.
Generalmente, è difficile che queste tre variabili si presentino
assieme fin dall‟inizio delle prime consultazioni. Tuttavia, si
potrebbe dire che l‟obiettivo terapeutico dei colloqui di
valutazione è proprio quello di mettere l‟adolescente nella
condizione di avvertire coscientemente la necessità di dette
variabili.
- 147 -
CAPITOLO IV
PRINCIPALI STRUMENTI PSICODIAGNOSTICI NELLA
DEPRESSIONE ADOLESCENZIALE
4.1. INTRODUZIONE
In via preliminare si ritiene opportuno descrivere un quadro
generale sui test psicologici, che sono strumenti usati dallo
psicologo per acquisire elementi di conferma o meno nel suo
processo di chiarimento dei dubbi diagnostici e di comprensione
dei problemi (Labella, 2001). Essi svolgono una funzione di
mediazione fra ipotesi e realtà storica, ma non possono mai
assurgere a dati oggettivi cui delegare la diagnosi; ossia sono
strumenti che, nell‟ambito dell‟iter psicodiagnostico30, devono
essere utilizzati: 1) per chiarire i dubbi diagnostici; 2) per
conferme o per ulteriori spunti di riflessione da approfondire e
verificare; 3) quando le informazioni ottenute dal colloquio
clinico non sono sufficienti ad offrire degli elementi significativi
per una caratterizzazione di diagnosi; 4) quando il contesto
operativo lo richieda come compito professionale dello
psicologo, come nell‟ipotesi dei servizi di psicodiagnostica; 5)
per ottenere delle informazioni ulteriori che serviranno per
programmare un futuro intervento.
30
L‟iter psicodiagnostico è un processo complesso, attraverso cui lo
psicologo si impegna, nelle sue varie fasi, a fornire una risposta diagnostica
al paziente. Le fasi dell‟iter psicodiagnostico sono: l‟analisi della domanda,
la raccolta anamnestica, il colloquio, i test e la restituzione/referto.
- 148 -
I test danno sempre informazioni parziali e, pertanto sono
strumenti “necessari ma non sufficienti” per fare una diagnosi.
Normalmente, un test deve possedere determinate caratteristiche.
Esso deve essere: 1) Valido. Un test deve misurare il costrutto
che dichiara di misurare. 2) Attendibile. Il concetto di
attendibilità assume due distinti significati: uno si riferisce alla
stabilità dello strumento nel tempo (attendibilità test-retest), ossia
alla replicabilità dei risultati per ciascun soggetto; l‟altro, alla
coerenza interna, ovvero tutti gli item che compongono il test
misurano la medesima variabile, oggetto di studio. 3) Un test
deve possedere delle norme statistiche. Esso deve essere
standardizzato, in modo tale che i risultati siano quantificabili in
modo corretto. 4) Un test deve essere adeguato ai soggetti da
esaminare. Prima di somministrare il test, il ricercatore deve
tener conto di una serie di fattori, quali: età, livello di
scolarizzazione, motivo per cui il soggetto decide di sottoporsi al
test, ecc.. Per esempio, l‟MMPI (Minnesota Multiphasic
Personality Inventory) è un inventario di personalità che non può
essere applicato a soggetti con basso livello culturale, infatti
questi ultimi, per paura di non comprendere gli item, potrebbero
chiedere delle spiegazioni all‟esaminatore; ciò come sappiamo
andrebbe ad inficiare la veridicità del test. 5) Facilità di uso ed
economicità. Quest‟ultima caratteristica, che un buon reattivo
deve possedere, è richiesta soprattutto nelle strutture pubbliche,
ove il tempo a disposizione da dedicare ad ogni paziente è
davvero poco. In linea generale, si è soliti distinguere i test in due
- 149 -
categorie: test di rendimento (es. WAIS-R) e test di personalità.
Questi ultimi è possibile suddividerli in altre due categorie: test
oggettivi o strutturati, in cui lo stimolo definito, ammette solo
risposte limitate; e test proiettivi o non strutturati, in cui lo
stimolo, volutamente ambiguo, permette un‟ampia gamma di
interpretazioni. È importante sottolineare che le differenze tra le
tecniche oggettive e quelle proiettive non risiede nello scopo, in
quanto entrambe si prefiggono la descrizione della personalità
dell‟uomo
e
l‟individuazione
delle
caratteristiche
di
comportamento, quanto piuttosto nel modo in cui vengono
raccolte e valutate le informazioni (Labella, 2001).
I test oggettivi sono costituiti da: 1) inventari, 2) questionari, e 3)
rating scale. I test proiettivi si differenziano tra di loro in base al
tipo di stimolo (cfr. Liss, 1998). Essi sono: 1) test grafici (basati
sulla produzione di disegni), 2) test tematico-costruttivo (basati
sul racconto e/o costruzione di storie), 3) test strutturali (basati su
macchie), 4) test di completamento di parole (il compito consiste
nel completare parole, frasi, racconti).
Dopo aver introdotto le principali tecniche psicometriche, è
opportuno ritornare all‟argomento oggetto di studio. I più famosi
test utilizzati per valutare la patologia depressiva sono: il Beck
Depression Inventory-BDI (Beck et al., 1961), la Self-rating
Depression Scale-SDS (Zung,1965), l‟Inventory of Depressive
Symptomatology-IDS (Rusch et al., 1985), e la Center for
Epidemiologic Studies- Depression scale-CES-D (Radloff,1997).
Tuttavia, questi reattivi vengono comunemente utilizzati su
- 150 -
soggetti adulti; invece, test adeguati a valutare, in modo
specifico, la depressione negli adolescenti sono: il Test
dell‟Ansia e della Depressione nell‟infanzia e nell‟adolescenza
(TAD), il Children‟s Depression Inventory (CDI) e il Childrens
Depression Scale (CDS).
- 151 -
4.2. TEST DELL’ANSIA E DELLA DEPRESSIONE
NELL’INFANZIA E ADOLESCENZA (TAD)
4.2.1. Fondamenti psicologici e aspetti generali del TAD
Il test dell‟Ansia e della Depressione nell‟infanzia e nella
adolescenza (TAD) è uno dei più famosi strumenti di
valutazione, che è stato messo a punto per aiutare il personale
specialistico che opera nella scuola (psicologi, pedagogisti e
insegnanti di sostegno) e gli operatori della salute mentale al fine
di identificare l‟ansia e la depressione nei bambini e negli
adolescenti.
Il TAD (Depression and Anxiety in Youth Scale) è stato ideato
da Newcomer, Barenbaum e Bryant nel 1995, per essere
somministrato a bambini e adolescenti di età compresa tra i 6 e i
19 anni.
Esso fornisce tre fonti di dati sui pensieri, le emozioni e il
comportamento del ragazzo: le valutazioni da parte degli
insegnanti, le valutazioni da parte dei genitori (o di chi ne fa le
veci) e le autovalutazioni da parte dei ragazzi stessi. Pertanto, tali
informazioni, che provengono da prospettive diverse, servono a
far luce sul mondo interiore del ragazzo e rivelano l‟entità dei
problemi che lo affliggono nel suo ambiente, ovvero a scuola e a
casa.
La base teorica del TAD è rappresentata sia dal DSM-III-R (terza
edizione, riveduta, del Manuale Diagnostico e Statistico dei
- 152 -
disturbi mentali), sia dagli studi più recenti che si occupano di
depressione e di ansia; infatti, nel primo caso, le classificazioni
dei disturbi d‟ansia e dell‟umore presenti nel DSM-III-R sono
servite come fonte per creare item relativi ad ambedue i disturbi,
nel secondo caso, le ricerche indicano che la relazione tra
sintomatologia ansiosa e depressiva negli adolescenti è
fenomenologicamente simile a quella degli adulti. Pertanto, il
TAD è stato creato proprio per misurare questi sintomi, che
figurano tanto nella patologia ansiosa e depressiva dei soggetti
adulti, quanto in quella degli adolescenti.
Il TAD, come si è detto, è stato costruito come strumento
multidimensionale; è infatti composto da tre scale: la scala di
autovalutazione per l‟alunno (Scala A), la scala di valutazione
per l‟insegnante e/o sostituto (Scala I), e la scala di valutazione
per i genitori o per chi ne fa le veci (Scala G). Ogni scala è stata
costruita attraverso indagini sperimentali in cui gli item che
attualmente la compongono sono stati selezionati tramite un
processo a più fasi. La prima fase di questa procedura è stata
quella di definire un vasto gruppo di item che rappresentasse
molti aspetti dell‟ansia e della depressione. Gli item sono stati
poi testati su vari soggetti. Le scale sono state usate da numerosi
campioni di alunni dalla 1a classe elementare alla 4a superiore, e
dai vari campioni di ragazzi diagnosticati come affetti da disturbi
psicologici. Sono state inoltre garantite, quando possibile, le
valutazioni di questi alunni da parte degli insegnanti e dei
genitori. È stata successivamente condotta un‟attenta analisi degli
- 153 -
item per selezionare quelli che sembravano misurare in modo
fedele e attendibile ogni costrutto concernente la depressione e
l‟ansia. Di conseguenza, il TAD si è dimostrato un test:
attendibile (sia dal punto di vista della stabilità nel tempo che
della coerenza interna) e valido (in particolare si fa riferimento
alla validità di contenuto, la validità legata al criterio e la validità
di costrutto).
Scala di autovalutazione per l’alunno (Scala A)
La Scala A contiene 22 item: 11 misurano la depressione e 11
misurano l‟ansia. La struttura è quella della scala a 4 punti del
tipo Likert che indica la frequenza e la gravità di ogni item, con
risposte che variano da 1 (mai), 2 (qualche volta), 3 (spesso), a 4
(quasi sempre). La maggior parte degli item rappresenta pensieri
e sentimenti, piuttosto che comportamenti. Per esempio, item che
denotano la depressione sono: “Mi odio. Ho voglia di
uccidermi.” Item tipici, che misurano l‟ansia sono: “Faccio brutti
sogni. Mi sento solo.” Questo tipo di scala comporta un impegno
molto limitato di risorse e di tempo; infatti, normalmente gli
alunni possono completare tale Scala in 15-20 minuti; tuttavia,
gli item devono essere letti ai non vedenti, cosa che richiede 3040 minuti. L‟attribuzione dei punteggi, da parte dell‟esaminatore,
richiede circa 5 minuti per alunno.
Scala di valutazione per l’insegnante (Scala I)
La Scala I, per gli insegnanti, contiene 20 item e si avvale di una
struttura vero/falso per identificare l‟assenza o la presenza di un
comportamento o atteggiamento. Gli item sono formulati
- 154 -
positivamente o negativamente, come per esempio: “Gli piace la
scuola. È spesso imbronciato.” Dei 20 item, 13 misurano la
depressione e 7 misurano l‟ansia. Tutti gli item nella Scala I sono
relativi all‟ambiente scolastico. Nonostante il processo di
valutazione richieda all‟insegnante di fare delle inferenze, gli
item
si
focalizzano
comportamenti
principalmente
strettamente
su
correlati
atteggiamenti
e
processo
di
al
apprendimento e quindi di pertinenza dell‟insegnante o di altri
membri del personale scolastico. È importante che le valutazioni
siano condotte in maniera indipendente dai vari insegnanti (di
solito, vengono scelti i due insegnanti che trascorrono più tempo
con i ragazzi e che quindi li conoscono di più), in modo tale da
non potersi consultare tra di loro prima della compilazione della
scala. La Scala I dovrebbe essere compilata dagli insegnanti non
più tardi di 5 giorni dopo che l‟alunno ha compilato la Scala A. Il
tempo necessario per compilare questa scala è di 5 minuti.
La Scala di valutazione per i genitori (Scala G)
La Scala G, ideata per i genitori o per chi ne fa le veci, contiene
28 item formulati in modo positivo o negativo, e usa anch‟essa
una struttura vero/falso. Questa scala è unica in quanto presenta
tre dimensioni, anziché due; precisamente, oltre a misurare la
depressione e l‟ansia, la Scala G valuta anche l‟incapacità dei
ragazzi di mettersi in relazione con gli altri, ovvero il cosiddetto
“disadattamento sociale”. Nel complesso, 7 item comprendono la
componente
di
disadattamento
sociale,
13
misurano
la
depressione e 8 misurano l‟ansia. Tutti gli item di questa scala
- 155 -
richiedono giudizi su atteggiamenti e comportamenti che
riguardano gran parte dei comportamenti legati alla scuola, ma
che comprendono anche aspetti più globali della vita del
bambino. Di solito, il tempo richiesto per compilare questa scala
varia dai 6 ai 10 minuti; e dovrebbe essere somministrata
possibilmente entro 3-5 giorni dopo che il ragazzo ha completato
la Scala A.
Le ultime due scale: la Scala di valutazione per l‟insegnante
(Scala I) e la Scala di valutazione per i genitori (Scala G), si sono
rivelate veramente importanti per identificare sia il disturbo
depressivo che quello ansioso. Invero, gli insegnanti ed in
particolare
i
genitori
sono
le
persone
che
vedono
quotidianamente i ragazzi; pertanto sono in grado di rivelare
delle informazioni accurate sul funzionamento cognitivo,
emozionale e sociale dei ragazzi stessi.
- 156 -
4.2.2. Somministrazione del test e attribuzione dei punteggi
Il TAD è fondamentalmente uno strumento carta e matita, perciò
può essere somministrato sia in gruppo che singolarmente. In
ogni caso, il requisito fondamentale di idoneità è che l‟alunno
capisca il significato degli item
e comprenda le risposte.
Normalmente, esso viene usato per diversi scopi:
1. identificare, attraverso la somministrazione individuale o di
gruppo delle varie scale, sintomi o gruppi di sintomi che
forniscono prove più significative dei livelli patologici di
depressione e/o ansia; allo scopo di attuare efficaci interventi
psicologici;
2. fornire agli specialisti i dati iniziali utili come base per un
colloquio clinico più approfondito;
3. condurre ricerche su ansia e depressione e sul disagio
psicologico; infatti, i dati a sostegno della validità e
dell‟attendibilità del test (come già riferito) offrono una solida
base per il suo uso nella ricerca clinica.
Per usare il TAD, è opportuno che l‟esaminatore conosca le
direttive professionali ed etiche che regolano l‟uso dei test
psicologici; le conoscenze di base della statistica dei test; le
procedure che regolano la somministrazione, l‟assegnazione,
l‟interpretazione dei punteggi. Tuttavia, è importante che egli
abbia una certa familiarità con il modello di classificazione dei
disturbi d‟ansia e dell‟umore proposto dal DSM-III-R.
- 157 -
In generale, l‟esaminatore può garantire una somministrazione
attendibile del test osservando 10 semplici regole:
1. avere la massima familiarità con i contenuti del manuale
relativo al test;
2. somministrare la Scala A per l‟alunno in un ambiente ben
illuminato, confortevole e privo di distrazioni;
3. dare indicazioni complete, incoraggiare a rispondere a tutte le
domande e controllare i ragazzi mentre procedono nella
compilazione del test, assicurandosi che non tralascino item e
che non facciano confusione;
4. verificare che gli studenti capiscano lo scopo del test e
svolgano il compito con serietà. Se qualcuno non è seriamente
impegnato o ben motivato, interrompere il test e invalidare i
risultati;
5. non dare suggerimenti su come rispondere a un item, ma
offrire aiuto quando qualcuno non riesce a leggere o a capire
gli item stessi;
6. non permettere agli alunni di discutere gli item o le risposte
mentre stanno compilando la Scala A per l‟alunno. Non
lasciare copiare da un compagno;
7. avere a disposizione matite e gomme in abbondanza da
distribuire a chi ne è privo;
8. somministrare la Scala A in una seduta, attenendosi
strettamente alle istruzioni del manuale;
9. garantire che le Scale I e G siano compilate poco dopo la
Scala A, preferibilmente tra i 3 e i 5 giorni successivi (gli
- 158 -
esaminatori non dovrebbero conoscere altri risultati su questi
aspetti psicologici);
10. assicurarsi che chi valuta gli alunni comprenda pienamente i
concetti che si stanno misurando, così come lo scopo della
valutazione.
Per quanto riguarda i punteggi; il TAD ne prospetta tre tipologie:
punteggi grezzi, percentili e punteggi standard. Dapprima,
vengono calcolati i punteggi grezzi, direttamente dalle risposte
fornite alle tre scale. Successivamente, attraverso apposite
tabelle, i punteggi grezzi vengono convertiti in punteggi
percentili e standard. Questo procedimento viene effettuato per
tutte e tre le scale
4.2.3. Compilazione del protocollo
Il protocollo di valutazione è stato concepito per inserire tutti i
dati disponibili che riguardano le risposte di una persona al test
TAD. Esso è diviso in quattro sezioni: la Sezioni I per i dati
personali, la Sezione II per i punteggi del TAD, la Sezione III per
un profilo dei punteggi del test e la Sezione IV per le impressioni
e i suggerimenti clinici.
Sezione I. Dati personali
I dati importanti relativi alla persona che verrà valutata con il
TAD comprendono il nome dell‟alunno, l‟indirizzo, la classe,
- 159 -
l‟età, la scuola e l‟eventuale storia clinica. Quest‟ultima
informazione viene richiesta se il test è somministrato in
ambienti clinici; viceversa, non appare pertinente in ambito
scolastico.
Sezione II. Punteggi
I punteggi grezzi, i percentili e i punteggi standard di depressione
e ansia per tutte e tre le scale e di disadattamento sociale soltanto
per la Scala G vengono registrati negli spazi della Sezione II del
protocollo di valutazione.
Sezione III. Profilo dei punteggi
Mentre nella Sezione II i risultati del TAD vengono riportati in
forma numerica, in questa sezione gli stessi risultati vengono
disposti graficamente. Per creare il profilo dello studente sono
riportati sul grafico i punteggi standard per le componenti
(depressione, ansia, e disadattamento sociale) di ogni scala che è
stata completata. Uno sguardo veloce al profilo rivela dati che
rientrano nella fascia problematica e mostra il grado di accordo o
disaccordo tra gli esaminatori. Infatti, i punteggi TAD alti
indicano livelli patologici (150 è il livello più alto e 50 il livello
più basso).
Sezione IV. Dati clinici
La sezione che presenta i dati clinici del protocollo di valutazione
è importante perché fornisce all‟insegnante, allo psicologo, allo
psichiatra o alle altre persone che collaborano nel processo
diagnostico l‟opportunità di annotare impressioni e suggerimenti
- 160 -
4.2.4. Interpretazione e comunicazione dei risultati
Come indicato precedentemente, il TAD fornisce tre tipi di
punteggi per ogni scala: punteggi grezzi, percentili e punteggi
standard. Questi punteggi sono le informazioni più importanti
perché offrono un fondamento oggettivo per valutare i sentimenti
e gli atteggiamenti, indicativi della salute mentale del ragazzo.
Come osservato in precedenza, i punteggi grezzi sono
semplicemente il numero di punti in ogni scala del TAD. Essi
forniscono un‟impressione generale della situazione di un
alunno, soprattutto quando sono estremi.
I percentili, chiamati anche punteggi o ranghi prercentili,
rappresentano i valori su una scala di 100 che indicano la
percentuale (di distribuzione) uguale o inferiore a quel valore.
Ciò nonostante, l‟indicazione più chiara e accurata della
posizione di un alunno nel TAD è fornita dai punteggi standard.
Per ciascuna delle tre scale del TAD, il punteggio medio standard
è stato fissato a 100 e la deviazione standard a 15. Le categorie di
punteggi standard offrono quindi la possibilità di interpretare e
confrontare i risultati di ogni componente ─ depressione, ansia e
disadattamento (solo con Scala G) ─ di ciascuna scala. In effetti,
come già detto, punteggi standard alti possono contribuire alla
formulazione di una diagnosi, ma sono di per se stessi
insufficienti per porre una diagnosi definitiva di stati clinici
depressivi o ansiosi. Tale livello di diagnosi è possibile quando i
- 161 -
dati del test sono integrati da colloqui diagnostici approfonditi,
condotti da personale clinico specializzato.
In conclusione è importante che i risultati ottenuti siano resi noti
alle sole persone legalmente autorizzate a ricevere tali
informazioni e a coloro che hanno bisogno di conoscerle, tra cui
altri specialisti, i genitori e il ragazzo stesso. Invero, la
riservatezza è essenziale perché la persona ha diritto a tutta la
privacy possibile; ciò indipendentemente dal contesto in cui
l‟esaminatore opera.
- 162 -
4.3. CHILDREN’S DEPRESSION INVENTORY (C. D. I.)
4.3.1. Descrizione e costruzione del C. D. I.
Il Children‟s Depression Inventory (C.D.I.) è una scala di
autovalutazione della depressione utilizzabile con soggetti dagli 8
ai 17 anni di età. La scala si presenta sotto forma di un
questionario “carta e penna”, composto da 27 item, finalizzati a
quantificare una ampia varietà di sintomi, inclusi i disturbi
dell‟umore, della capacità di provare piacere, delle funzioni
vegetative, della stima di sè e del comportamento sociale.
Numerosi item indagano in modo specifico gli effetti della
condizione depressiva in quei contesti che sono particolarmente
rilevanti per il ragazzo (ad es. la scuola).
Ciascun item prevede tre possibili alternative di risposta che il
soggetto è invitato a scegliere sulla base “delle idee e dei
sentimenti avuti nelle ultime due settimane”, indicando con un
segno, nella casella corrispondente, la frase che “descrive meglio
come si è sentito ultimamente”.
L‟esaminatore valuta ogni risposta su una scala da 0 a 2 punti,
nella direzione di una gravità crescente della sintomatologia; il
punteggio totale può variare, quindi, da 0 a 54. Circa il 50% degli
item ha inizio con la frase che riflette il livello maggiore di
gravità del sintomo, per il resto la sequenza delle alternative è
invertita, risultando sempre al centro le frasi che suggeriscono
una sua presenza lieve.
- 163 -
Il Children‟s Depression Inventory (C.D.I.) è stato ideato da
Maria Kovacs e pubblicato negli Stati Uniti nel 1977, dopo un
lungo lavoro di studio iniziato nel 1975, con la revisione del
Beck Depression Inventory (BDI), questionario (composto da 21
item) che, come precedentemente riferito, viene somministrato a
soggetti adulti. La scelta di una scala per adulti quale punto di
partenza per la costruzione del C.D.I. era incoraggiata dalla
ricerca psichiatrica nordamericana, che sempre più tendeva a
riconoscere la validità di tre principi, inizialmente assai
controversi:
1. la depressione è possibile nel bambino;
2. essa può essere osservata e misurata;
3. le sue caratteristiche sono in larga parte sovrapponibili a
quelle della depressione dell‟adulto.
M. kovacs, in collaborazione con A. T. Beck, realizzò una prima
stesura del CDI (marzo, 1975) adattando e semplificando il
vocabolario del BDI con l‟ausilio di due gruppi di soggetti, sani
ed ospedalizzati, dai 10 ai 15 anni di età, ai quali fu chiesto di
suggerire come gli item potessero essere resi “chiari e
comprensibili ai bambini”. Al termine di questa fase, l‟item del
BDI relativo all‟interesse sessuale venne sostituito con un item
sul “sentimento di solitudine” e furono aggiunti cinque item,
concernenti il rendimento scolastico e l‟inserimento sociale.
Successivamente nel 1976, fu proposta una prima revisione del
test, con l‟inclusione di un nuovo item relativo ad “auto-accuse /
auto-denigrazione”. Più tardi, nel maggio 1977, fu presentata
- 164 -
un‟altra revisione del questionario. In questa versione, due item
originali (“vergogna” e “perdita del peso”) e due dei sei
aggiuntivi
(“conflitti
denigrazione”)
familiari”
vennero
sostituiti
e
“auto-accuse
con
quattro
/
item
autoche
sembravano più validi ed appropriati per l‟età (ad es. “sentimenti
di non essere amato”). Gli item vennero ricomposti in un formato
con tre possibilità di risposta per ciascuno di essi. Questo lungo
percorso ha condotto alla versione finale del CDI (luglio, 1977),
oggetto di ulteriori minime modifiche nel 1979. Quest‟ultima
versione del test è stata tradotta in lingua italiana nel maggio del
1984, con il parere favorevole e la stessa collaborazione della
Kovacs. In particolare la versione italiana è stata realizzata da
Mayer R., Camuffo M., Cerreti R. e Lucarelli L., i quali hanno
evidenziato l‟utilità e la possibilità d‟uso del CDI in Italia.
4.3.2. Somministrazione e istruzioni per l’esaminatore
Il Children‟s Depression Inventory (CDI) è uno strumento clinico
di ricerca che può essere somministrato individualmente o a
piccoli gruppi. La somministrazione individuale è consigliabile
per i soggetti con disturbi psichiatrici o nel caso esistano dubbi in
- 165 -
merito alla capacità del bambino/ragazzo di conservare la
concentrazione necessaria.
Generalmente, esso deve essere somministrato in un ambiente
tranquillo e ben illuminato. Inoltre, occorre fare il possibile per
mantenere viva l‟attenzione e sostenere la motivazione del
soggetto. Infatti, se si avverte un calo di interesse, è consigliabile
interrompere la somministrazione del questionario ed iniziare una
conversazione informale o una attività di gioco prima di
continuare.
Di regola, al soggetto viene data una copia del CDI su cui
segnare le risposte. L‟esaminatore leggerà ad alta voce gli item
su un‟altra copia. Egli si collocherà in una posizione tale da poter
osservare le risposte fornite dal soggetto medesimo; ciò gli
consentirà di verificare se le istruzioni sono state comprese. In
ogni caso, è opportuno che l‟esaminatore non faccia sentire
eccessivamente la sua presenza. Ad eventuali domande che gli
vengono poste dal ragazzo, l‟esaminatore dovrà rispondere in
modo conciso e preciso. È indispensabile evitare qualsiasi forma
di comunicazione verbale e non verbale che possa influenzare le
risposte; è altresì necessario accertare che il soggetto abbia letto,
insieme all‟esaminatore, tutte e tre le possibilità offerte da ogni
singolo item prima di rispondere. Infine, se il soggetto è incerto
sulla scelta e sostiene di non riconoscersi in nessuna delle tre
frasi, l‟esaminatore lo deve incoraggiare ad indicare quella che
meglio descrive ciò che ha provato o pensato nelle ultime due
settimane.
- 166 -
4.3.3. Determinazione del punteggio
Per ciascun item del CDI, alle tre diverse possibilità di risposta si
assegna un punteggio variabile da 0 a 2. Più alto è il valore
numerico, più grave è clinicamente il sintomo valutato.
La determinazione del punteggio totale si ottiene sommando i
valori numerici relativi alle risposte per ciascun item. Tali valori
vengono
segnati
dall‟esaminatore,
al
termine
della
somministrazione, negli appositi spazi, al lato di ogni item. Ad
esempio, se all‟item n.1 il soggetto ha scelto “Molte volte sono
triste”, questa risposta è valutata un punto. Nel caso il soggetto
abbia fornito, in un item, più di una risposta, nel computo totale
va tenuto conto soltanto della risposta con il punteggio più alto. Il
punteggio totale del CDI è la somma dei punteggi dei singoli
item. Pertanto, il punteggio totale (come già detto) può variare da
0 a 54.
4.3.4. Validità e attendibilità del C.D.I.
Esaminando i dati in letteratura, sembra che il punto di forza del
CDI sia la sua “coerenza interna”; in effetti, la buona attendibilità
del questionario appare confermata dalle correlazioni itempunteggio totale,
statisticamente significative nelle
varie
popolazioni esaminate. In merito all‟attendibilità test-retest del
CDI, gli studi noti hanno indicato coefficienti di correlazione
- 167 -
statisticamente
significativi
soprattutto
tra
una
prima
somministrazione ed una seconda a breve-medio termine. A tal
riguardo M. Kovacs ha ottenuto una correlazione test-retest pari a
0,82.
Infine, per quanto riguarda la validità, la Kovacs ha anche in
questo caso rilevato correlazioni altamente significative a favore
della validità del test.
- 168 -
4.4. CHILDRENS DEPRESSION SCALE (C. D. S.)
4.4.1. Definizione e principi teorici per l’elaborazione del
C.D.S.
Il Childrens Depression Scale è uno strumento di valutazione
degli aspetti del fenomeno pre-depressivo o depressivo in età
infantile e preadolescenziale, che focalizza la sua attenzione sia
sul disagio come viene espresso dal bambino, sia sulla
percezione che possono avere i genitori, gli insegnanti, ecc. Esso
è stato progettato da Moshe Lang e Miriam Tisher nel 1978;
successivamente nel 1983 è stato revisionato e nel 1984 è stato
adattato e tradotto in italiano da S. Gori-Savinelli e F. MorinoAbbele.
Il C.D.S. differisce dal lavoro di Kovacs e Beck dal momento che
non deriva da nessun test per adulti, viceversa è stato elaborato in
modo specifico per i ragazzi. Inoltre tiene conto dell‟ipotesi
formulata recentemente da Kovacs e Beck (1977) e da Nowells
(1977), secondo i quali sono molto importanti, per studiare il
fenomeno depressivo, le osservazioni da parte di “figure
rilevanti” come genitori e maestri. Pertanto, il C.D.S. viene
somministrato ai ragazzi e forme della stessa scala, leggermente
modificate, vengono somministrate ai genitori, agli insegnanti e
ad altre persone rilevanti, alle quali si richiede di rispondere in
base alla conoscenza che hanno del ragazzo.
Gli autori, per la formazione degli item, si sono basati su di un
attento esame di casi di psicoterapie, sul T.A.T., sulla
- 169 -
conclusione di casi di bambini depressi e anche sulla descrizione
di fenomeni depressivi ed esperienze riportate dai vari studiosi.
Questi item furono somministrati ad un vasto gruppo di bambini
in trattamento al tempo della costituzione della scala. Ai bambini
venne in seguito richiesto di commentare, modificare e/o
suggerire nuovi item che esprimessero in modo più adeguato la
propria esperienza. Dopo aver preso in considerazione alcune di
queste modificazioni, il risultato fu una scala di 66 item (per es.
“Spesso sento di non valere molto”, “Spesso mi sento solo”); di
questi 66 item, 18 di tipo positivo (per es. “Mi diverto la maggior
parte del tempo”) furono mescolati con i 48 item depressivi. Gli
item, così formulati, avevano come scopo quello di introdurre
varietà
ed
interesse
e
ridurre
la
possibilità
che
la
somministrazione del C.D.S. avesse un effetto depressivo sul
ragazzo. I 66 item del test, furono dunque raggruppati in
sottoscale secondo criteri teorici e logici. Nel costruire le
sottoscale si cercò di fare in modo che fossero considerati il
maggior numero possibile dei caratteri della depressione infantile
e infatti, le sottoscale sono simili alla definizione di depressione
infantile. Fu fatto anche un tentativo per avere lo stesso numero
di item in ogni sottoscala.
- 170 -
4.4.2. Descrizione: scale e sotto-scale
a) C.D.S.
Il test completo contiene 66 item: 48 “depressivi” e 18 “positivi”.
Questi due insiemi di item sono considerati scale indipendenti e
viene dato loro un punteggio separato, classificato come
punteggio “depressivo” e punteggio “positivo”.
Le due scale principali del test si suddividono ciascuna in
sottoscale in cui sono raggruppati gli item che si riferiscono ad
aspetti simili della depressione infantile. La scala depressiva
contiene cinque di queste sotto-scale e la scala positiva ne
contiene una.
Descriviamo brevemente ciascuna sottoscala:
Risposte affettive: si riferisce al sentimento e alla tonalità emotiva
del soggetto esaminato (8 item).
Problemi sociali: si riferisce alle difficoltà nelle interazioni
sociali, all‟isolamento e alla solitudine del ragazzo (8 item).
Autostima: si riferisce agli atteggiamenti del ragazzo, ai concetti
e ai sentimenti relativi al valore e alla stima che il ragazzo ha di
sé (8 item).
Paura delle malattie e della morte: si riferisce ai sogni del
ragazzo, alle fantasie, alla possibilità di ammalarsi e morire (7
item).
Senso di colpa: si riferisce al senso di colpa del ragazzo (8 item).
Piacere: si riferisce alla capacità di scherzare e provare
soddisfazione e felicità (8 item).
- 171 -
Gli item in ciascuna di queste sottoscale si escludono a vicenda,
cioè ciascun item può appartenere ad una sola sottoscala. Ci sono
9 item depressivi che non si raggruppano in “cluster” e non
appartengono a nessuna delle sottoscale. Questi sono valutati
come “Miscellanea di item D”. In modo simile ci sono 10 item
positivi che non appartengono ad una sottoscala; questi sono
valutati come “Miscellanea di item P”.
Quando si indaga sulla depressione di un bambino in particolare,
è importante guardare sia il suo punteggio nelle sotto-scale, sia
quello totale. Bambini diversi manifestano la loro depressione in
modi diversi, queste sotto-scale rendono possibile ai vari aspetti
della depressione infantile di essere considerati separatamente.
b) C.D.S. Forma adulti
Gli item del C.D.S. furono riformulati per es. da “spesso sento di
non valere molto” a “spesso egli sente di non valere molto” (per i
maschi) e “spesso lei sente di non valere molto” (per le
femmine). Questi item costituiscono la forma-adulti del C.D.S.
che fu elaborato per essere usato con i genitori, insegnanti e
parenti del ragazzo al fine di “avere” un altro indice della
depressione. Nella pratica clinica si è soliti chiedere anche ad
altri di riferire sul comportamento del ragazzo o sul suo stato di
benessere. Le risposte dei genitori e degli insegnanti sono state
sistematicamente ottenute per mezzo di scale come la “Vineland
Social Maturity Scale” (1936-65) e la “Britistol Social Ajustment
- 172 -
Guide” (1964). Tuttavia queste scale richiedono risposte solo
dagli adulti e non chiedono le stesse cose al ragazzo.
L‟uso del C.D.S. nella forma adulti dà un indice della
depressione del ragazzo. In effetti, piuttosto che basarsi su di un
unico soggetto che dà notizie, cioè il ragazzo, l‟esaminatore può
avere informazioni sulla sua depressione, come minimo da due o
più fonti. In seguito, tutte le informazioni ottenute sono usate per
dare un indice della depressione del ragazzo; indice che è più
attendibile e più completo di quanto sarebbe stato se ci si fosse
basati soltanto sulle risposte di un solo individuo.
Informazioni ancora più importanti sul bambino e la sua famiglia
possono essere ottenute da un esame qualitativo di qualunque
differenza tra i punteggi delle madri e dei padri, tra i genitori e il
ragazzo, tra i genitori e gli altri. Tale esame può risultare
importante a livello di item specifici. Il tipo di scheda facilita il
procedimento.
c) Materiale
Il materiale originario del C.D.S. era il seguente:
1 Manuale
1 Serie di 66 cartoncini per i ragazzi (C.D.S.)
1 Serie di 66 cartoncini (C.D.S. forma-adulti) riferito ai maschi
1 Serie di 66 cartoncini
(C.D.S. forma-adulti) riferito alle
femmine.
5 Scatoline
5 Schede di registrazione dei dati.
- 173 -
Per facilitare la somministrazione sia individuale che in gruppo,
l‟adattamento italiano ha preferito una forma a questionario.
4.4.3. Uso del C.D.S.
Il C.D.S. è destinato ai ragazzi dai 9 ai 16 anni e cioè ai ragazzi
che hanno la capacità di poter comprendere gli item. La scala può
essere usata con i bambini più piccoli o con bambini che hanno
difficoltà nella lettura se il terapista o colui che fa il test legge gli
item a voce alta.
La scala può essere usata quando si sospetta di depressione.
Come si sa sono varie le sfumature che caratterizzano la
depressione infantile, cioè il ragazzo sembra o si dice che è triste,
infelice, che ha voglia di piangere, che è annoiato, chiuso,
apatico, ha difficoltà sociali, bassa autostima, problemi
psicosomatici, vale a dire mal di testa, dolori addominali, disturbi
del sonno, ed è preoccupato della morte e delle malattie. Altri
indici sono il lutto, la perdita di persone importanti, disturbi
fisici, disgregazione del nucleo familiari.
È necessario che, quando si fa il test ad un ragazzo, sia fatto il
tentativo per farlo anche ai genitori o ad altre persone coinvolte
in maniera significativa nella situazione del ragazzo, quali per
- 174 -
esempio gli insegnanti; usando, in questi casi, il C.D.S. formaadulti. Con famiglie in cui il paziente designato ha fratelli che
abbiano dai 9 ai 16 anni si consiglia la somministrazione del test
a ciascun fratello. (In alcuni casi, se c‟è tempo a disposizione, i
fratelli possono fare anche il C.D.S. forma-adulti). Infatti, è stato
scoperto che frequentemente la depressione si presenta come un
problema di famiglia e che altri membri della famiglia stanno
lottando con la loro depressione in un modo socialmente più
accettabile (Agras, 1959). Pertanto, la somministrazione del
C.D.S. ai fratelli può evidenziare una depressione prima non
riconosciuta e quindi diminuire la sensazione del ragazzo di
essere l‟unico con questo tipo di problemi. Questo modo di
procedere può evitare di etichettare un bambino come paziente
designato.
Il C.D.S. può essere usato nel corso della terapia per due motivi:
1) facilitare la comunicazione del ragazzo, infatti gli item
possono fornire le parole adeguate all‟esperienza del ragazzo,
aiutandolo in questo modo a parlare di più o più liberamente di se
stesso; 2) rassicurare il ragazzo che i sentimenti o gli
atteggiamenti che può avere non sono unici.
La somministrazione del C.D.S. e del C.D.S. forma-adulti in un
contesto familiare può aiutare i membri della famiglia a
comunicare e può rassicurare i genitori riguardo alla salute del
proprio figlio.
Infine il C.D.S. può essere usato con finalità di training. Il
manuale presenta una definizione esauriente della depressione
- 175 -
infantile e dà una struttura chiara, dal punto di vista concettuale,
in base alla quale colui che si sta preparando può farsi un‟idea
sulla depressione infantile. La familiarizzazione con gli item
incrementerà nell‟esaminatore l‟abilità a parlare al ragazzo in un
linguaggio adeguato.
4.4.4. Somministrazione ed interpretazione del C.D.S.
Il C.D.S, può essere somministrato sia individualmente che in
gruppo. La somministrazione individuale deve essere fatta in una
stanza dove il paziente è solo con l‟esaminatore. Questo è
consigliato per due motivi: primo, il ragazzo si sentirà più a
proprio agio, cosa che lo incoraggerà a sperimentare i propri
sentimenti in maniera più autentica. Questo aumenterà la
garanzia di una risposta valida. Secondo, si potranno anche
osservare reazioni non verbali. Ciò consente una valutazione più
precisa perché i risultati possono essere colti nel contesto del
comportamento non verbale.
La somministrazione in gruppo si adatta a gruppi naturali in
ambienti clinici, per esempio per bambini che sono in gruppo
psicoterapeutico o ricoverati in corsia d‟ospedale. In questi casi
una somministrazione per piccoli gruppi del C.D.S. può rendere
- 176 -
la comunicazione più facile fra i membri del gruppo. La
somministrazione del test in gruppo si può utilizzare anche a
scopo di ricerca. Se si usa questa forma del test, l‟esaminatore
deve lasciare del tempo, ai soggetti che lo desiderano, di parlare
delle loro percezioni del C.D.S. e dei sentimenti che provano
mentre rispondono.
La somministrazione contemporanea del test al gruppo familiare
presenta parecchi vantaggi purchè la stanza sia così vasta che
ogni soggetto esaminato possa avere una zona che salvaguardi la
sua riservatezza mentre fa il test. Talvolta i soggetti rimangono
sorpresi quando scoprono fino a che punto vanno o no d‟accordo
con altri membri della famiglia.
Il C.D.S. richiede risposte dirette dal paziente che riguardano lo
stato delle sue sensazioni, dei suoi pensieri e il suo
comportamento. La validità dei risultati al C.D.S. è perciò in
funzione dell‟onestà e dell‟apertura con le quali il soggetto
risponde alla scala. Queste sono in parte connesse con il tipo di
relazione che l‟esaminatore è capace di stabilire con il bambino o
l‟adulto. Pertanto, si raccomanda che il C.D.S. sia proposto al
bambino in modo rassicurante e graduale seguendo la consegna
suggerita dal manuale.
Durante la compilazione del test, è indispensabile che
l‟esaminatore prenda nota di una serie di fattori.
1. Impressioni generali che si è fatto sul bambino, secondo le
seguenti categorie: triste-felice; introverso-socievole; timido-
- 177 -
espansivo; ostile-amichevole. Può annotare anche la qualità
del rapporto che il soggetto ha instaurato con l‟esaminatore.
2. Comportamento ed atteggiamento del ragazzo durante il test:
osservare se egli è recettivo e pronto agli stimoli, distratto o
disinteressato. È importante registrare, se e come, il ragazzo
reagisce dal punto di vista emotivo alla scala e capire se il
ragazzo comprende a fondo i diversi item.
3. Commenti del ragazzo al test: sia mentre lo sta facendo, sia
dopo che lo ha completato. È anche rilevante che
l‟esaminatore manifesti al bambino il suo profondo interesse
per la sua comprensione, per le sue percezioni e le sue
sensazioni nei confronti del C.D.S.
Per quanto riguarda l‟interpretazione dei risultati, il primo passo
da fare da parte dell‟esaminatore consiste nel valutare la validità
dei punteggi, cioè fino a che punto egli “si fida” dei risultati.
Vale a dire, l‟esaminatore deve chiedersi se il soggetto esaminato
tendeva in generale a collaborare, se sembrava comprendere la
natura del compito ed i singoli item e se aveva preso il suo lavoro
con impegno e serietà. Un altro elemento di cui tenere conto è la
concordanza fra comportamento generale del soggetto durante la
seduta e la tendenza delle sue risposte. Così, per esempio, se il
ragazzo sceglie la risposta “Spesso mi sento triste, infelice ed ho
voglia di piangere”, come “Contrario” e durante la seduta
sembrava che stesse per piangere, l‟esaminatore può mettere in
discussione l‟esattezza della risposta.
- 178 -
Altri comportamenti da prendere in considerazione sono la
risposta automatica e quella casuale. La risposta automatica può
risultare dall‟andamento della seduta, se ad esempio il soggetto
utilizza sempre la stessa colonna per le risposte. Anche un
comportamento casuale è osservabile clinicamente: se il soggetto
non è affatto coinvolto e risponde a caso; questo non dovrebbe
sfuggire all‟attenzione. Infine, poiché il C.D.S. è uno strumento
clinico, al momento della valutazione è molto importante che
l‟esaminatore tenga anche conto dell‟atteggiamento del soggetto
verso il test.
Una caratteristica importante del test in questione consiste nella
possibilità di mettere a confronto i punteggi di diversi esaminati
fra
loro
e
con
le
risposte
del
bambino.
In
effetti,
nell‟interpretazione dei risultati, l‟esaminatore dovrebbe iniziare
confrontando i punteggi globali in stanine dei diversi soggetti
esaminati, poi i punteggi delle sotto-scale ed infine i punteggi dei
singoli item. Un alto punteggio sul C.D.S. può essere inteso
come una chiara affermazione da parte del ragazzo/a che è
depresso o anche che desidera comunicare la sua depressione.
Viceversa, un punteggio basso nel contesto di una buona
interazione tra bambino ed esaminatore indica che probabilmente
il bambino non è depresso. Tuttavia un basso punteggio nella
scala, se il bambino durante la seduta ha avuto un atteggiamento
di non collaborazione, può indicare piuttosto una reticenza a
comunicare, che assenza di depressione. Infine, è rilevante
sottolineare che la Forma della scala è tale da incoraggiare il
- 179 -
clinico a tenere in considerazione il comportamento del ragazzo
nel contesto familiare. Questo perché gli autori sono convinti che
il comportamento del ragazzo è strettamente collegato alla sua
costellazione familiare e che per avere una comprensione
completa del disagio del ragazzo o del “paziente designato”, sia
essenziale tener conto di come subisce l‟influenza della famiglia
e viceversa.
- 180 -
CONCLUSIONI
Dopo aver esaminato i profili storici e terapeutici della patologia
depressiva e dopo aver analizzato in particolare il fenomeno della
depressione nell‟età adolescenziale, occorre tirare le fila del
discorso ed operare alcune considerazioni conclusive.
Senza la pretesa di apportare alcuna sorta di contributo
scientifico, non essendo degni di un‟impresa di tal fatta, ci
limitiamo ad analizzare il fenomeno della depressione, come ogni
uomo, ogni cittadino, ogni membro di una comunità, valuta le
cose che intorno ad esso accadono, che a volte lo sfiorano, che a
volte lo colpiscono, che a volte lo abbattono!
La complessità del panorama scientifico che in questa materia si
presenta particolarmente diviso tra scuole di pensiero diverse, tra
antitetici orientamenti, tra filoni distinti in seno a ciascuno degli
orientamenti medesimi, spesso porta a dimenticare, o a
sottovalutare, che la depressione ha in realtà una causa di
diffusione molto semplice (a dispetto delle ingarbugliate
argomentazioni della teoria Monoamminergica, della teoria
psicoanalitica, e di tutte le altre).
Tali fattori di rischio, sebbene non sempre coincidano con le
cause genetiche del problema, hanno nella nostra società un
impatto così dirompente, da dover assurgere a rango di prioritario
oggetto di analisi. La vita frenetica, i modelli che i mass-media
impongono alla società e soprattutto ai giovani, l‟eccessivo
valore degli aspetti estetici e formalistici dell‟esistenza umana,
- 181 -
l‟esasperata competitività in ambito professionale e sociale,
l‟appiattimento dei valori, degli ideali, la crisi della famiglia, i
divorzi facili e le nuove famiglie “allargate”; sono solo alcuni
degli innumerevoli esempi di problemi, che hanno inciso ed
incidono su tanti aspetti della vita moderna, ed hanno inciso ed
incidono altresì su una molteplice serie di patologie organiche e
psicologiche. Un esempio paradigmatico del ruolo che tali fattori
possono avere sulla psiche di un soggetto apparentemente sano è
evidente. Si pensi ad un ragazza che non è stata baciata da
“Venere” e che sia costretta a vivere in un mondo dove ad essere
apprezzate sono “le veline”, a suscitare l‟attrazione dei coetanei è
il pearcing all‟ombelico di chi può permetterselo. É facilmente
intuibile che possa in lei radicarsi un sentimento depressivo,
concretantesi nella disistima e nella perdita di interesse per un
mondo che non l‟accetta, che la respinge, che la emargina!
Siamo consapevoli che il sopra esposto sia un approccio
apparentemente semplicistico alla problematica de qua, ma
sicuramente queste riflessioni, sebbene non esaustive e
sostanzialmente atecniche, possono e debbono essere prese in
considerazione dagli operatori che sono chiamati ad affrontare i
disturbi depressivi.
- 182 -
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