Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO POLITICO RELIGIOSO GIORNALE QUOTIDIANO Non praevalebunt Unicuique suum Anno CLV n. 39 (46.877) Città del Vaticano mercoledì 18 febbraio 2015 . Il Papa offre la messa a Santa Marta per i ventuno copti brutalmente assassinati «per il solo motivo di essere cristiani» Ecumenismo del sangue Come martiri La forza del nome E in una conversazione telefonica con Tawadros II manifesta profonda partecipazione al dolore di MANUEL NIN «Offriamo questa messa per i nostri ventuno fratelli copti, sgozzati per il solo motivo di essere cristiani». Lo ha detto Papa Francesco nella celebrazione presieduta martedì 17 febbraio nella cappella della Casa Santa Marta. «Preghiamo per loro — ha aggiunto — che il Signore come martiri li accolga, per le loro famiglie, per il mio fratello Tawadros che soffre tanto». E proprio con il patriarca della Chiesa ortodossa copta, Tawadros II, il Papa ha parlato personalmente al telefono nel pomeriggio di lunedì, manifestandogli la sua profonda partecipazione al dolore per il barbaro assassinio compiuto dai fondamentalisti islamici. Anche i membri della Congregazione per le Chiese Orientali hanno voluto unirsi alle espressioni di cordoglio che Papa «Francesco ha rivolto a Sua Santità Tawadros e a tutto il popolo egiziano». Lo rende noto un comunicato del dicastero in occasione della sessione ordinaria di questa mattina, martedì 17, alla presenza di Sua Beatitudine Ibrahim Sidrak, patriarca copto cattolico. Il comunicato si chiude auspicando la «conversione del cuore dei violenti, sagge decisioni in seno alla comunità delle Nazioni e il ritorno a una serena convivenza e a una pace duratura» per i popoli del Medio Oriente e dell’Ucraina. Auspici di pace che erano risuonati nella stessa omelia del Papa a Santa Marta. Commentando la liturgia del giorno, il Pontefice ha invitato a «pensare «quella voglia di autonomia» che porta a dire: «Io faccio quello che voglio». E così facendo «nelle guerre, nel traffico delle armi» gli uomini diventano «imprenditori di morte». Al punto che, ha aggiunto «ci alla capacità di distruzione che ha l’uomo», perché esso «è capace di distruggere tutto quello che Dio ha fatto». Infatti, ha spiegato, «dal cuore dell’uomo escono tutte le malvagità», le quali scaturiscono da sono i Paesi che vendono le armi a questo, che è in guerra con questo, e le vendono anche a questo, perché così continui la guerra». PAGINA 7 Nel trentennale della giornata mondiale della gioventù Esploratori della bellezza «Voi giovani siete dei bravi esploratori... Nell’invitarvi a riscoprire la bellezza della vocazione umana all’amore, vi esorto anche a ribellarvi contro la diffusa tendenza» a banalizzarlo. Lo scrive il Papa nel messaggio per la giornata mondiale della gioventù, che sarà celebrata a livello diocesano nella domenica delle Palme. È il secondo dei tre messaggi dedicati alle beatitudini evangeliche, che stanno scandendo la preparazione al raduno internazionale in programma in Polonia nel 2016. «Trent’anni fa — ricorda Francesco — Giovanni Paolo II istituì le Giornate Mondiali della Gioventù. Il santo Pontefice, Patrono delle GMG, interceda per il nostro pellegrinaggio verso Cracovia». n pomeriggio, passeggiando per Roma, cercavo delle bancarelle di fiorai. Da sempre amo i cactus, queste piante belle e sobrie, portate a una vita quasi ascetica tra la sabbia del deserto, piante austere anche nella fioritura: rari e pochissimi fiori ma di una bellezza unica. La ricerca mi portò quasi per caso da un fioraio dai tratti medio-orientali. Mi accorsi che portava tatuata sul dorso della mano una piccola croce e gli chiesi se era cristiano. Mi disse che era copto ortodosso e che si chiamava Scenute. Di fronte al martirio dei copti in Libia, con accorate parole il Papa ha alzato ancora una volta la voce per annunciare, quasi fosse una professione di fede, l’ecumenismo del sangue: «Dicevano solamente: “Gesù aiutami”. Sono stati assassi- U giorni hanno lodato il Signore. Monaci e monache, padri e madri del deserto, padri e madri dei martiri, che nel deserto dell’Egitto hanno cercato il solo e l’unico, nella comunione con gli uomini. Uomini e donne che lungo il Nilo hanno vissuto e vivono nella comunione con il Signore e con i fratelli. La Chiesa copta, nata e cresciuta attorno ai monaci e agli asceti, nella scia di Antonio, Pacomio, Scenute. E nella scia di tanti martiri fino ai nostri giorni: uomini, donne, bambini, in Egitto e in Libia. Uomini e donne inermi, ma fermi unicamente nella forza del nome di Gesù. Una notizia di agenzia ha enumerato i nomi dei martiri copti della Libia: Milad, Youssif, Kirillos, Tawadros, Giorgios, Bishoi e tanti altri. Nomi legati a santi martiri e vescovi della Chiesa copta delle origini, nomi della Chiesa copta di oggi, nomi del martirologio del PAGINA 8 El Sissi lancia nuove missioni aeree contro postazioni dell’Is Il Cairo chiede l’intervento internazionale in Libia y(7HA3J1*QSSKKM( +,!z!?!#!:! IL CAIRO, 17. Il presidente egiziano, Abdel Fattah El Sissi, appoggiando la posizione già espressa dal presidente francese, François Hollande, ha chiesto oggi che il Consiglio di sicurezza dell’Onu approvi una risoluzione che autorizzi un intervento internazionale in Libia per contrastare l’avanzata del cosiddetto Stato islamico (Is) e stabilizzare il Paese. Il capo dello Stato egiziano ha parlato della sua richiesta in un’intervista rilasciata a una radio francese, confermando così l’ulteriore consolidamento dell’asse tra Parigi e Il Cairo. «Non ci sono altre scelte, tenendo in considerazione l’accordo del popolo libico e del Governo, che ci hanno chiesto di agire» ha dichiarato il presidente egiziano. Il Cairo ha ordinato nuove missioni aeree in territorio libico contro postazioni dell’Is. Secondo alcuni media egiziani, che citano fonti ufficiali libiche, altri sette raid con «decine di morti» sono stati compiuti dall’aviazione egiziana contro postazioni strategiche dell’Is a Derna. Il ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shoukry, in un’intervista all’emittente «Al Arabiya», ha ribadito che i raid aerei condotti sulle postazioni dell’Is in Libia sono giustificati dal diritto dell’Egitto «all’autodifesa» e che continueranno. «Dopo la diffusione del video erano necessari un attacco e una reazione» ha affermato Shoukry, riferendosi al filmato diffuso in rete due giorni fa che mostra l’esecuzione di ventuno cittadini copti egiziani da parte dei miliziani. I raid «fanno parte del diritto dell’Egitto all’autodifesa per proteggere i nostri bambini» ha aggiunto il ministro. Franz Ehrle e Giovanni Mercati alla Biblioteca Vaticana I cataloghi prima di tutto PAOLO VIAN A PAGINA 5 Intanto, Abdullah Al Thani, il premier del Governo libico riconosciuto dalla comunità internazionale, ha chiesto ieri all’Occidente di sferrare un’offensiva aerea per stanare i jihadisti, altrimenti «la minaccia arriverà in Italia». E in base ad alcune intercettazioni ritenute attendibili, i jihadisti dell’Is sarebbero pronti ad usare l’immigrazione come arma psicologica, lasciando andare alla deriva centinaia di barconi carichi di profughi, non appena l’Italia dovesse approvare l’intervento armato. Nelle ultime ore, comunque, la situazione migratoria nel Mediterraneo, e in particolare al largo della Libia, resta molto problematica. Sul fronte diplomatico, l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune dell’Unione europea, Federica Mogherini, ha annunciato che incontrerà le autorità egiziane e statunitensi questa settimana per discutere di una possibile strategia comune in Libia. Mogherini al momento ha comunque scartato l’ipotesi di un qualsiasi ruolo militare per l’Ue. Il pericolo maggiore, adesso, è che l’acuirsi dei combattimenti possa produrre un ulteriore peggioramento della situazione nel Paese arabo, già segnato da caos e violenza. Lo ha sottolineato l’inviato speciale delle Nazioni Unite in Libia, Bernardino León, secondo il quale la crisi è ancora «gestibile, ma la comunità internazionale deve agire rapidamente». Secondo León, lo scenario attuale in Libia «non è paragonabile a quello in Siria e Iraq». La questione principale è la necessità che le fazioni libiche trovino un accordo rapidamente. Altrimenti sarà molto difficile farlo in seguito. Credo — ha concluso l’inviato dell’Onu — che i gruppi libici devono essere consapevoli dell’enorme minaccia rappresentata dall’Is». Per il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, il dialogo interno è «la possibilità migliore per aiutare la Libia a uscire dalla crisi in cui si trova». Reciproche accuse tra Kiev e ribelli Vacilla la tregua nell’est ucraino KIEV, 17. Vacilla la tregua nell’est dell’Ucraina, dove ribelli filorussi e forze armate di Kiev non hanno ancora rispettato i termini per l’inizio del ritiro delle armi pesanti. In base agli accordi di Minsk della scorsa settimana, il ritiro delle armi sarebbe dovuto iniziare oggi per creare entro quattordici giorni una zona di sicurezza. La creazione di questa zona — che dovrebbe essere larga tra cinquanta e centoquaranta chilometri, a seconda della gittata dei pezzi di artiglieria e dei lanciarazzi — è messa in dubbio dal mancato rispetto della tregua in alcune aree del Donbass, in particolare a Debaltseve, con reciproci scambi di accuse fra le due parti di avere violato il cessate il fuoco. Oltre ai combattimenti nella zona di Debaltseve, dove migliaia di soldati ucraini sono circondati dai filorussi, scontri e bombardamenti — più o meno sporadici — si registrano anche in altre aree. Un portavoce dell’autoproclamata repubblica di Donetsk, Eduard Basurin, non ha escluso che il ritiro delle armi pesanti possa iniziare in certi punti della linea di contatto, dove le parti hanno già cessato il fuoco. Oggi dovrebbe svolgersi una conferenza del gruppo di contatto (KievMosca-Osce-separatisti) per cercare di risolvere la situazione. Nulla di fatto all’Eurogruppo nelle trattative sul debito greco Muro contro muro PAGINA 2 Cristo e san Mina (icona copta, nati per il solo fatto di essere cristiani» e il loro sangue «è una testimonianza che grida». In questo modo Francesco ha riproposto il cammino dei cristiani di diverse confessioni, non ancora attorno all’unico pane e all’unico calice, ma già attorno all’unico sangue versato per Cristo, per rendere testimonianza dell’unico Signore. Il Pontefice ha ricordato come l’unica parola uscita dalla bocca dei martiri copti è stata «Gesù, aiutami», quasi un’eco della preghiera del cuore delle tradizioni, la preghiera di Gesù ripetuta da innumerevoli cristiani che invocano l’unico nome in cui abbiamo la salvezza. Questa è stata la preghiera dei martiri copti, nel momento in cui hanno reso testimonianza della loro fede, in comunione con quell’invocazione del nome di Cristo Gesù, la stessa preghiera che lungo i secoli è stata ed è l’invocazione quotidiana e continua di tanti uomini e donne cristiani, monaci e monache, pellegrini, martiri che lo invocano con fede: «Signore Gesù Cristo, figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore». L’invocazione del nome che sulle labbra dei martiri copti, di tanti martiri cristiani dei nostri giorni, si riduce all’essenziale, invocando colui che dà loro la forza: «Gesù, aiutami». La Chiesa copta, che dal II secolo in poi ha dato vita a una letteratura cristiana importante, a una linfa e a una vita che si esprime nella lingua degli antichi egiziani diventata lingua cristiana, il copto, parlata da milioni di cristiani in Egitto, copti ortodossi e cattolici, che lungo i secoli fino ai nostri VI secolo) sangue comune a tutte le Chiese cristiane, patrimonio, forza e vanto di tutti i cristiani. Leggendo i sinassari e i martirologi di diverse tradizioni cristiane ci si accorge come i santi martiri dei primi secoli sono patrimonio comune a tutte le Chiese, senza distinzione di origine, attraverso vicende storiche diverse. E anche i nuovi martiri, dall’Iraq e dalla Siria fino all’Egitto e alla Libia, dall’Asia all’Africa, scrivono col sangue il loro nome nel sinassario e nel martirologio di tutti coloro che invocano il nome del Signore Gesù Cristo, vita e salvezza dei martiri. Questa mattina, finito il mattutino quaresimale nel Collegio greco, sono andato a trovare il fioraio Scenute per dirgli che gli ero vicino. E condividendo con lui l’ecumenismo del sangue, gli ho ripetuto le parole di Papa Francesco: «Il sangue è lo stesso» e «testimonia Cristo». NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha nominato Nunzio Apostolico in Australia Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Adolfo Tito Yllana, Arcivescovo titolare di Montecorvino, finora Nunzio Apostolico nella Repubblica Democratica del Congo. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 mercoledì 18 febbraio 2015 Nulla di fatto all’Eurogruppo nelle trattative sul debito greco Muro contro muro Nuovo incontro fissato per venerdì ATENE, 17. È muro contro muro tra Grecia ed Eurogruppo, con i ministri che perdono la pazienza e lanciano un ultimatum ad Atene. Il Governo Tsipras ha fino a venerdì per decidere se vuole un’estensione dell’attuale programma di aiuti oppure se preferisce essere lasciato solo a se stesso, con le scadenze che da marzo non potrà onorare. Se non chiederà l’estensione del programma, infatti, Atene non potrà più contare nemmeno sul Fondo monetario internazionale (Fmi), che senza programma — e quindi controllo — europeo, chiuderà i cordoni della borsa. Ma nonostante i toni duri, per il ministro dell’Economia italiano, Pier Carlo Padoan, non c’è alcun rischio di un’uscita della Grecia dalla moneta unica. Insomma, le condizioni di dialogo ci sono. L’Eurogruppo ha rimesso di nuovo sul tavolo la proposta di un’estensione del programma di aiuti, suscitando le perplessità greche, esattamente come mercoledì scorso, nel precedente Eurogruppo. Per il Governo Tsipras, le condizioni europee sono «assurde, inaccettabili: siamo stati eletti proprio per cambiare il programma, non per portarlo a termine». In particolare, la richiesta ellenica è quella di un prestito ponte fino ad agosto per avere il tempo necessario alla costituzione di un nuovo piano. Ma per l’Europa non c’è alcuna alternativa all’estensione del programma attuale: «L’estensione è l’unica strada», ha detto senza mezzi termini il commissario agli Affari economici e monetari, Pierre Moscovici, che ha quindi invitato i greci a essere «logici e non ideologici», perché il problema non è la fraseologia, bensì trovare «un terreno comune». La situazione, comunque, non è affatto facile. Il prossimo 28 febbraio è il giorno in cui scade l’attuale piano di salvataggio da 172 miliardi di euro e senza un accordo con i creditori internazionali, Atene rischia a marzo di ritrovarsi con le casse vuote, le banche a picco e sulla strada verso l’uscita dall’eurozona, dovendo rimborsare 4,3 miliardi di debiti. Il Governo Tsipras chiede inoltre di ridurre l’obiettivo — fissato dall’Ue — del surplus di bilancio per quest’anno dal tre per cento all’1,5 e per il 2016 dal 4,5 all’1,5 in modo da avere maggiori margini di manovra per rilanciare la crescita. Il pil (prodotto interno lordo) greco nel quarto trimestre del 2014 ha segnato una contrazione a sorpresa dello 0,2 per cento contro stime per una crescita dello 0,4. «Indirizzeremo il processo di revisione in corso e valuteremo se alcuni o larga parte degli impegni Vladimir Putin a Budapest per colloqui sul gas BUDAPEST, 17. Il presidente della Russia, Vladimir Putin, è oggi a Budapest in visita ufficiale, un ulteriore segnale — indicano gli osservatori — dell’avvicinamento dell’Ungheria a Mosca. Come fa sapere l’ufficio stampa del Cremlino, Putin — oltre al primo ministro, Viktor Orbán, considerato dagli analisti un importante partner della Russia in Europa, vedrà anche il presidente, János Áder. La visita sarà incentrata soprattutto sulla sicurezza energetica, dopo che Mosca ha deciso di abbandonare il progetto South Stream, e arriva a due settimane dalla missione diplomatica a Budapest del cancelliere tedesco, Angela Merkel. «Il nostro obiettivo è una cooperazione con la Russia, nel rispetto del diritto internazionale e sulla base di un partenariato pragmatico, per poter concludere accordi utili per la nostra sicurezza energetica», ha detto alla stampa il ministro degli Esteri ungherese, Péter Szijjártó. Un nuovo contratto per l’approvvigionamento del gas naturale in Ungheria sarà infatti il tema principale della visita di Putin. Il contratto attuale di dieci anni scade, infatti, nel 2015. «L’Ungheria è ancora un mercato significativo per i nostri idrocarburi e come potenziale Paese di transito», ha spiegato ai giornalisti il consigliere presidenziale russo, Yuri Ushakov, riferendosi al nuovo progetto di gasdotto alternativo al South Stream diretto verso la Turchia. Nei mesi scorsi, Orbán aveva concluso un accordo con Mosca per la costruzione di nuovi reattori nella centrale nucleare di Paks, con un credito russo di 10 miliardi di euro. L’opposizione ha aspramente criticato questa intesa e l’eventuale apertura a est. “No alla Russia, si all’Europa!” è stato infatti lo slogan di una manifestazione di ieri di protesta nella capitale contro la visita del presidente russo. L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano [email protected] www.osservatoreromano.va presi siano stati implementati o meno» ha spiegato il direttore generale dell’Fmi, Christine Lagarde. I tentativi di avvicinare le parti, ieri, prima dell’inizio ufficiale della riunione, sono stati molti. Il ministro greco delle Finanze, Yanis Varoufakis, ha incontrato il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, e poi anche il presidente della Bce, Mario Draghi. Ma — stando alle parole del ministro ellenico — solo l’incontro con Moscovici gli aveva fatto ben sperare: il commissario gli aveva infatti sottoposto una bozza di comunicato che conteneva elementi condivisibili, ossia un piano intermedio invece di un’estensione, il controllo della Commissione invece della Troika. A quelle condizioni, ha spiegato il ministro, sarebbe stato pronto a firmare subito. Ma una volta nella sala del vertice, con gli altri 18 partner, è stata proposta e discussa una bozza differente, «che ci portava indietro a mercoledì scorso» ha detto Varoufakis. Secondo il presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, «c’è tempo e spazio per un accordo con la Grecia sull’estensione del programma attuale» e da parte dell’eurozona «non c’è alcuna intenzione di convocare un vertice dei capi di Stato e di Governo» della moneta unica per affrontare la questione. «Sulle parole come “ponte” ed “estensione” si può sempre trovare una soluzione, ma ci deve essere un impegno da parte della Grecia ad accettare le principali caratteristiche del programma: questo non può deragliare, ma deve restare ampiamente sui binari». Non è quindi una questione di parole: bisogna tenere ferme certe condizioni di fondo. Il nuovo appuntamento dell’Eurogruppo deve tenersi al massimo venerdì, perché altrimenti non ci sarebbero i tempi tecnici per far approvare un’estensione del programma a quei Paesi che devono sottoporla ai loro Parlamenti, come Germania e Finlandia. «Sono sicuro che, come sempre, dall’impasse di oggi l’Europa riuscirà a tirare fuori un accordo onorevole entro un paio di giorni» ha detto Varoufakis. Il killer non faceva parte di una cellula terroristica Resta alta l’allerta a Copenaghen Manifestazione in ricordo delle vittime COPENAGHEN, 17. Proseguono in Danimarca le ricerche per fare luce sugli attentati di sabato scorso contro un centro culturale e una sinagoga. L’allerta resta alta: questa mattina un pacco sospetto è stato trovato fuori dal caffè dove il killer ha ucciso, nel primo attacco, un uomo e ha ferito tre agenti. La polizia ha evacuato la zona. Il premier danese Helle Thorning-Schmidt ha detto ieri che niente indica che il giovane killer, ucciso dalla polizia poco dopo la seconda strage, facesse parte di «una cellula terroristica più ampia». Insomma, si sarebbe trattato di un “lupo solitario”, anche se la matrice del gesto era chiaramente terroristica. La premier danese ha poi sostenuto che quello in corso «è un conflitto tra i valori fondanti della nostra società e violenti estremisti». Nell’ambito delle indagini, comunque, due persone sono state arrestate: avrebbero aiutato il giovane killer nella fuga, ma non possono ritenersi a tutti gli effetti complici. I due uomini sono «accusati di aver aiutato con consigli e azioni il responsabile delle sparatorie» ha detto la polizia. Tuttavia, ieri a Copenaghen è stata soprattutto la giornata del do- lore e del ricordo delle due vittime. Decine di migliaia di danesi sono scesi in piazza. La grande manifestazione doveva tenersi nei dintorni dei luoghi degli attentati, ma la polizia — dato l’alto numero di dimostranti — ha deciso di farli convergere nell’area centrale della capitale danese. Un messaggio è stato rivolto dal premier Thorning-Schmidt anche alla comunità ebraica, che «è stata in questo Paese per secoli: gli ebrei appartengono alla Danimarca, sono parte della comunità danese e non sarebbe lo stesso senza la comunità ebraica in Danimarca». Sull’antisemitismo e la sicurezza degli ebrei sono intervenuti ieri anche il cancelliere tedesco, Angela Merkel, e il premier francese, Manuel Valls. «Desideriamo che gli ebrei che vivono in Germania continuino a viverci e bene», ha detto Merkel. Il premier francese ha invece chiesto una grande mobilitazione contro il terrorismo e l’antisemitismo. Valls si è recato davanti all’ambasciata danese a Parigi, dove ha deposto un mazzo di fiori e ha reso omaggio, con un momento di raccoglimento, alle vittime. «La Francia è ferita come voi e si augura che non ve ne andiate», ha ripetuto Valls, rivolgendosi alla comunità ebraica. Avviata la missione di senatori democratici a Cuba Passi in avanti tra Washington e L’Avana L’AVANA, 17. Passi in avanti nel processo di normalizzazione dei rapporti tra Stati Uniti e Cuba. Si è tenuto ieri all’Avana un incontro tra il ministro degli Esteri cubano, Bruno Rodríguez, e una delegazione di senatori democratici americani. Nel corso dell’incontro, il ministro cubano e i senatori statunitensi Claire McCaskill, del Missouri, Amy Klobuchar, del Minnesota e Mark Warner della Virginia, hanno avuto una conversazione sul processo di ripresa delle relazioni diplomatiche bilaterali. Al centro dei colloqui, stando a quanto riportano i media, anche la revoca dell’embargo su cui tuttavia dovrà esprimersi il Congresso statunitense, a maggioranza repubblicana in entrambe le Camere. La missione dei senatori democratici arriva pochi giorni dopo la diffusione di alcune indiscrezioni secondo cui il dipartimento di Stato americano avrebbe deciso di ridurre drasticamente le restrizioni alle importazioni di beni e servizi da «imprenditori cubani indipendenti». Secondo le indiscrezioni, riportate dalla Reuters, sarà presto pubblicata una lista dei prodotti cubani di cui sarà consentita l’importazione negli Stati Uniti. L’elenco escluderebbe comunque armi, animali vivi, tabacco, veicoli, macchinari e alcuni prodotti tessili e metallurgici. La notizia non ha ancora ricevuto conferme ufficiali, ma, nel caso in cui fosse confermata, rappresenterebbe una svolta nella normalizzazione delle relazioni tra Washington e L’Avana, comportando una sostanziale riduzione dell’embargo. Nell’ambito della ripresa delle relazioni bilaterali, il presidente Obama ha dato indicazioni al segretario di Stato, John Kerry, per avviare immediatamente discussioni con Cuba sul ripristino delle relazioni diplomatiche tra L’Avana e Washington. I legami fra i due Paesi erano fermi dal gennaio del 1961. La ripresa dei rapporti diplomatici prevede anche la riapertura dell’am- basciata americana all’Avana e la realizzazione di scambi di alto livello e visite tra funzionari del Governo. A guidare le rappresentanze ci sono due donne: l’americana Roberta Jacobson, nella veste di vice segretario di Stato per gli affari dell’emisfero occidentale, e la cubana Josefina Vidal Ferreiro, alto funzionario del ministero degli Affari esteri. La ripresa del dialogo con L’Avana era stata annunciata lo scorso 17 dicembre dal presidente Obama e dal leader cubano Raúl Castro, in due discorsi pronunciati in contemporanea. Entrambi i leader hanno riconosciuto il fondamentale ruolo di mediazione svolto da Papa Francesco. L’agenda politica della normalizzazione dei rapporti, al di là degli aspetti amministrativi, prevede la cooperazione nei campi più vari: sicurezza dello spazio aereo, scambio di dati su monitoraggi sismici, emergenze sanitarie. Due le garanzie chieste da Cuba: la cancellazione dalla lista dei Paesi che appoggiano il terrorismo e la fine dell’embargo. Stati Uniti nord-orientali nella morsa del gelo Agente controlla un pacco sospetto nel centro della capitale danese (Reuters) GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Giuseppe Fiorentino vicedirettore Piero Di Domenicantonio Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] caporedattore Gaetano Vallini segretario di redazione Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va WASHINGTON, 17. L’intero nord-est degli Stati Uniti è stretto nella morsa del gelo, con temperature ben inferiori alla media stagionale, accompagnate da venti impetuosi. Finora sono già più di duemila i voli cancellati, principalmente agli aeroporti di Boston e di New York. Nel New England sono caduti fino a sessanta centimetri di neve, trentatré a Boston, segnando il record per la città. E non si intravedono particolari miglioramenti: l’ondata di gelo, infatti, è destinata a proseguire per tutto il mese di febbraio e Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale parte di marzo negli Stati Uniti nord-orientali e anche in Canada. L’allarme riguarda cinquanta milioni di statunitensi. A New York, le temperature sono scese fino a quindici gradi sotto zero. Situazione difficile anche a Washington, dove la colonnina di mercurio ha fatto registrare meno quattordici gradi. Una bufera polare sta in queste ore attraversando il Missouri, l’Arkansas, il sud dell’Illinois, il Tennessee, il Kentucky, l’Indiana e l’Ohio, causando seri problemi al traffico stradale. Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 Compleanno d’eccellenza per «The New Yorker» NEW YORK, 17. Resta tra le riviste più curate e raffinate, nella forma e nei contenuti, e compie novant’anni. Per segnare la ricorrenza «The New Yorker» pubblica una doppia edizione speciale proponendo nove delle sue celebri copertine. Una per ogni decennio, a partire da quel primo numero, uscito nel febbraio 1925. Le copertine sono state selezionate per «riflettere il talento e la diversità» di chi ha contribuito a fare della pubblicazione un appuntamento speciale, unico per il mondo intellettuale. «The New Yorker» è da sempre un punto di riferimento letterario. Sulle pagine della rivista — spesso accompagnati dall’opera di celeberrimi disegnatori — hanno infatti trovato spazio alcuni dei maggiori scrittori americani contemporanei, come Philip Roth e Jerome David Salinger, che proprio alla rivista debbono gran parte del loro successo. Ma tra gli altri autori di rilievo ospitati da «The New Yorker», ci sono anche nomi come Alice Munro, Vladimir Nabokov e John Updike. I fondatori della rivista furono Harold Ross, già direttore della testata delle Forze armate «Stars and Stripes», e la moglie Jane Grant, giornalista del «New York Times». Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 [email protected] Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Banca Carige Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO mercoledì 18 febbraio 2015 pagina 3 Dopo l’appello dell’Onu per una soluzione politica I ribelli huthi rifiutano il dialogo Nuovo corso nei rapporti tra India e Sri Lanka NEW DELHI, 17. India e Sri Lanka hanno firmato ieri a New Delhi un accordo in materia di cooperazione per l’uso pacifico dell’energia nucleare, in occasione della prima visita all’estero del nuovo presidente srilankese, Maithripala Sirisena. I media locali hanno sottolineato l’importanza della visita di Sirisena, determinato a migliorare le relazioni con l’India. In una conferenza stampa congiunta, il primo ministro indiano, Narendra Modi, ha sostenuto che «l’accordo bilaterale sulla cooperazione per il nucleare civile è un’altra dimostrazione della nostra fiducia reciproca». Questo — ha sottolineato il premier — «è il primo accordo del genere firmato dallo Sri Lanka, che apre nuove strade per la cooperazione, comprese aree come l’agricoltura e la salute». India e Sri Lanka, si è infine appreso, hanno anche deciso di espandere la loro cooperazione nel campo della difesa, della sicurezza e nel settore marittimo. Dopo aver detto che l’India è orgogliosa di essere un partner commerciale dello Sri Lanka, Modi ha precisato che i due Paesi stanno vivendo un momento di opportunità senza precedenti per portare le relazioni bilaterali a un nuovo livello. «Siamo impegnati a sbloccare il vasto potenziale della nostra cooperazione economica e a rafforzare la cooperazione bilaterale nella difesa, nel settore dell’energia nucleare civile, nell’agricoltura e nella pesca» con «uno spirito di nuova fiducia reciproca», ha dichiarato il premier indiano, che si recherà a Colombo il mese prossimo. Dal canto suo, Sirisena ha sottolineato l’importanza dell’India come alleato regionale. «New Delhi e Colombo hanno un rapporto storico culturale che può essere fatto risalire a migliaia di anni. Come presidente dello Sri Lanka, questa è la mia prima visita di Stato e ho scelto l’India perché c’è una forte relazione tra le nostre Nazioni», ha detto ai giornalisti, confermando che, dopo anni di rapporti non facili con New Delhi — e di pressione internazionale per accelerare gli sforzi di riconciliazione dopo la guerra civile — ora è tempo di affrontare seriamente tutte le questioni irrisolte e dare insieme risposte definitive. SAN’A, 17. Gli huthi dicono no all’appello delle Nazioni Unite al dialogo. Il Consiglio di sicurezza — si legge in un comunicato dei ribelli sciiti — «deve rispettare la volontà e la sovranità del popolo yemenita e mostrarsi oggettivo». È dunque caduta nel vuoto la richiesta del Palazzo di vetro che gli huthi abbandonino le sedi istituzionali occupate nelle scorse settimane e aprano a una transizione politica. I ribelli huthi hanno occupato negli ultimi mesi edifici governativi e palazzi presidenziali a San’a, estendendo inoltre il proprio controllo su sette province. Scesi l’estate scorsa dalle regioni del nord, i ribelli hanno preso il controllo della capitale. A rischio la sicurezza nel Paese Morsa talebana sull’Afghanistan siano sotto il diretto controllo del Comitato supremo rivoluzionario. C’è tuttavia una nuova minaccia che i ribelli devono affrontare, con il rischio dell’aprirsi di un nuovo fronte: quella della resistenza sunnita. Centinaia di miliziani tribali, sostenuti da secessionisti sunniti, hanno preso ieri il controllo di alcune istituzioni governative e militari nella città portuale di Aden, nel sud dello Yemen. Sono stati registrati anche pesanti scontri con gli huthi. I sunniti — dicono fonti locali — hanno preso il controllo della stazione elettrica, dell’aeroporto internazionale, delle stazioni radiofoniche e televisive, della stazione di polizia e di diversi uffici governativi ad Aden. Stesso copione nella vicina provincia di Abyan, dove miliziani tribali hanno preso il controllo di alcuni edifici ingaggiando pesanti scontri con gli huthi. Tutte le tribù nelle province di Shabwa, Abyan e Hadramout sono ora in stato di massima allerta, pronti a respingere qualsiasi avanzata degli huthi nel sud. L’immagine di un ribelle huthi riflessa in uno specchio (Reuters) Colpita una base dell’esercito camerunense al confine con la Nigeria Boko Haram intensifica la sua azione KABUL, 17. Sempre più difficile la situazione della sicurezza in Afghanistan. Nel suo ultimo rapporto, l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (Easo) riferisce che — a seguito del ritiro delle truppe straniere, della chiusura delle basi militari internazionali e della transizione dei compiti di sicurezza alle forze per la sicurezza nazionale — gruppi armati di insorti, come i talebani, stanno conducendo sempre più attacchi su larga scala. In base allo studio dell’Easo, gli insorti hanno dunque avuto sempre più successo nel conquistare e nel controllare il territorio, anche se le forze di sicurezza riescono an- Sempre più irregolare il flusso del fiume Mekong VIENTIANE, 17. Con l’avvio a inizio febbraio della seconda fase dei lavori della diga di Xayaburi, nel Laos settentrionale, cresce la preoccupazione delle comunità lungo le rive del Mekong, in particolare per le variazioni improvvise nel flusso del fiume, che decimano la fauna ittica e mettono a rischio la sicurezza dei pescatori e le disponibilità alimentari delle loro famiglie. Per la seconda fase, i cantieri sono stati spostati dalla riva occidentale del fiume, nella provincia di Xayaburi, a quella orientale, dove si affaccia la provincia di Luang Prabang. Per la prima volta dal 2012, quando hanno preso il via i lavori, è anche iniziata la costruzione di sbarramenti temporanei per deviare il corso del fiume. La diga dovrebbe essere completata a giugno di quest’anno, mentre l’intera opera sarà in grado di pro- A gennaio hanno quindi costretto agli arresti domiciliari il presidente Abed Rabbo Mansur Hadi e i suoi ministri. Nelle scorse settimane gli huthi hanno inoltre annunciato la pubblicazione di un decreto costituzionale, considerato dagli analisti un atto rivoluzionario a tutti gli effetti. Il documento scioglie il Parlamento e lo sostituisce con un Consiglio nazionale di transizione (Cnt) composto da 551 membri. Al Cnt spetterà il compito di eleggere un Consiglio presidenziale di cinque membri, il quale a sua volta nominerà un Governo di transizione. Il decreto stabilisce che sia il Consiglio di transizione sia il Consiglio presidenziale durre entro il 2019 1.285 megawatt di elettricità, esportata per il 90 per cento nella vicina Thailandia. Gli esperti ambientalisti hanno però lanciato un allarme per gli sbalzi nel flusso delle acque, già evidenti. Secondo testimoni locali, il livello delle acque, che tradizionalmente saliva da maggio a ottobre per diminuire poi da novembre a aprile, è diventato imprevedibile. In base ai dati disponibili presso la Commissione per il fiume Mekong, il livello dell’acqua è cresciuto improvvisamente di un metro in due giorni, per poi calare bruscamente. Senza una ragione climatica, in assenza di precipitazioni. Non a caso, i pescatori di Chiang Khan, località a centosessanta chilometri a valle della diga, stanno vivendo il periodo più difficile degli ultimi cinque anni, con la disponibilità ittica scesa ormai della metà. cora a presidiare le città principali e la maggior parte del Paese. A partire dal 2013, gli attacchi sempre più numerosi hanno provocato molte più vittime tra la popolazione civile, principalmente a causa di fuochi incrociati, colpi di mortaio e bombardamenti. Il dato è in contrasto con gli anni precedenti, quando la minaccia per i civili era rappresentata da ordigni esplosivi improvvisati posti lungo le strade, su mezzi di trasporto o indossati da attentatori suicidi. L’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo indica Helmand, Kandahar e Nangarhar come le province con la maggior parte degli episodi di violenza. Violenti scontri in Myanmar NAYPYIDAW, 17. Si intensificano gli scontri tra truppe governative e milizie etniche nelle regioni settentrionali del Myanmar. Dopo i combattimenti con i ribelli kachin, nelle ultime ore i militari si stanno confrontando con l’Esercito dell’alleanza democratica, milizia espressione della minoranza kokang. Almeno tredici ribelli sono morti, e altri otto arrestati, negli scontri nell’area di Laukkai, nello Stato di Shan. Durante le operazioni, che hanno seguito i combattimenti della settimana scorsa, in cui sono stati usati aerei per colpire i ribelli, le truppe governative hanno sequestrato ingenti quantitativi di armi e munizioni. Naypyidaw ha comunicato la perdita di settantatré soldati. ABUJA, 17. Boko Haram, il gruppo jihadista nigeriano, intensifica la sua azione. L’esercito del Camerun ha reso noto oggi che la base di Waza, al confine con la Nigeria, è stata attaccata da presunti membri dell’organizzazione, con un bilancio di cinque soldati morti e otto feriti. Il colonnello Joseph Nouma ha detto che due mitragliatrici e un veicolo blindato del gruppo sono stati distrutti, ma centinaia di miliziani sono riusciti a scappare in Nigeria dopo aver saccheggiato e dato fuoco ad alcuni edifici. È ormai il Camerun il nuovo fronte della guerra contro Boko Haram. Fonti militari riferiscono che cinque soldati camerunensi e 86 miliziani di Boko Haram sono morti in sanguinosi scontri nel nord del Paese. Lo ha reso noto Didier Badjeck, portavoce del ministero della Difesa camerunense. Gli scontri sono avvenuti in alcune regioni al confine con la Nigeria. E nel frattempo, più di 160 persone sono state arrestate in Niger con l’accusa di avere legami con i Dopo sei mesi riaprono le scuole in Liberia MONROVIA, 17. Molte scuole sono state riaperte ieri in Liberia dopo una sospensione delle lezioni di circa sei mesi dovuta alla vasta epidemia di ebola. Secondo il viceministro dell’Istruzione, Remses Kumuyah, negli istituti del Paese dell’Africa occidentale sono stati distribuiti più di cinquecento kit con termometri e disinfettante da utilizzare per lavare le mani. Ebola, infatti, si trasmette attraverso il contatto fisico con una persona malata e uno dei sintomi principali è la febbre alta. «Abbiamo chiesto ai presidi delle scuole — ha detto Kumuyah — di fare in modo che in ciascuna classe non ci siano più di quaranta o cinquanta studenti», per favorire un ambiente più sano ed evitare il ritorno dell’epidemia. Durante i sei mesi di sospensione, circa un milione di studenti hanno seguito le lezioni via radio. A livello nazionale, le vittime causate dal tremendo virus dell’ebola sono state almeno 3.800. Riguardo agli altri due Paesi più colpiti da ebola, in Guinea le scuole hanno riaperto il 19 gennaio, mentre la Sierra Leone sta pianificando di farlo a fine marzo. miliziani di Boko Haram. Il portavoce della polizia, Adily Toro, ringrazia per la collaborazione i cittadini della regione Diffa. A conferma del clima di altissima tensione che si respira in tutto il Paese c’è stato anche l’attentato, avvenuto qualche giorno fa, quando una donna si era fatta saltare in aria in una affollata stazione di autobus nella città di Damaturu, capitale dello Stato nord-orientale di Yobe, provocando la morte di almeno sedici persone e il ferimento di una trentina. La donna aveva superato i con- trolli e azionato l’esplosivo che aveva addosso. Si è trattato del primo attentato kamikaze a Damaturu, sebbene la città abbia già subito diversi attacchi. La principale conseguenza di questa situazione è soprattutto umanitaria. Circa tre milioni di persone sono sfollate in Nigeria, costrette ad abbandonare le proprie abitazioni a causa delle violenze. Oltre centocinquantamila hanno trovato rifugio in Niger, quarantamila in Camerun e diciassettemila in Ciad, secondo i dati delle Nazioni Unite. Critica la situazione nell’est congolese KINSHASA, 17. La situazione all’est della Repubblica Democratica del Congo sta peggiorando. Negli ultimi mesi la sicurezza e la capacità di controllo da parte delle autorità governative si sono drasticamente deteriorate, costringendo la popolazione a vivere in un ambiente completamente degradato, stretta tra la morsa di una economia all’estremo, con il crollo della produzione agricola, e vittima di continui attacchi da parte delle varie milizie operanti sul territorio. Facendo presagire un’apertura nei confronti delle forze armate nazionali, con cui i rapporti si erano fatti più tesi negli ultimi giorni, la Monusco — la missione Onu nel Paese africano — ha fatto sapere di essere pronta a sostenere il Governo e l’esercito nella lotta contro i gruppi armati. Lo ha detto il generale Carlos Alberto dos Santos Cruz, comandante della Monusco. L’11 febbraio scorso, la Monusco aveva annunciato la sospensione del sostegno all’offensiva in corso contro i ribelli rwandesi delle Forze democratiche di liberazione del Rwanda (Fdlr), attivi nell’est del Paese. La decisione era stata motivata con il ruolo di comando concesso dalle autorità di Kinshasa ai generali Bruno Mandevu e Sikabwe Fall, che l’Onu considera complici di gravi crimini. «In Nord Kivu — ha però detto Dos Santos Cruz — abbiamo gruppi armati, in particolare le Fdlr, che pianifichiamo di disarmare in collaborazione con l’esercito congolese». Inoltre, ha ricordato l’ufficiale delle Nazioni Unite, la situazione militare nel Paese è differente a seconda delle regioni. Il generale Dos Santos Cruz si è soffermato in particolare sulla situazione in Ituri, dove sono ancora attivi il gruppo Lra e miliziani appartenuti alla Forza di resistenza patriottica dell’Ituri, il cui comandante Banaloko “cobra” Matata ha annunciato la resa lo scorso novembre. Sette caschi blu feriti in Mali BAMAKO, 17. È di sette feriti, alcuni gravi, il bilancio di un attacco suicida contro una base dei caschi blu delle Nazioni Unite in Mali, a Tabankort, nel nord-est del Paese africano. Lo ha reso noto un portavoce militare, precisando che un terrorista si è lanciato a bordo di un’auto contro le guardie all’ingresso della base locale della Minusma, gestita da militari del Bangladesh, e si è fatto esplodere. Tabankort si trova in una delle zone più turbolente del Mali, teatro da mesi di sanguinosi combattimenti tra le milizie tuareg, alcune indipendentiste e altre sostenitrici del Governo centrale di Bamako. Un altro attacco è stato compiuto poco dopo contro una postazione dell’esercito nella regione di Mopti, quattrocentosessanta chilometri a nord della capitale, zona in cui sono attive anche cellule jihadiste. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 mercoledì 18 febbraio 2015 Nonostante i lavori in corso che raddoppieranno gli spazi espositivi al primo piano dell’edificio vasariano il museo fiorentino non ha mai chiuso un solo giorno «David» (particolare) L’autore della Cappella Sistina e gli Uffizi di Firenze Michelangelo pittore suo malgrado di ANTONIO PAOLUCCI ntonio Natali è direttore degli Uffizi da nove anni. In questo periodo il museo italiano più celebre al mondo e più visitato — poco meno di due milioni di persone nel 2014 — è stato incessante laboratorio e prestigiosa vetrina di attività culturali di costante qualità: restauri, pubblicazioni, mostre al ritmo di due all’anno, l’ultima, inaugurata nei giorni scorsi, dedicata a Gherardo delle Notti. Tutto questo è avvenuto senza che il museo — interessato da un immane cantiere che prevede e in parte ha già realizzato il raddoppio degli spazi espositivi con il restauro e il recupero dell’intero primo piano dell’edificio vasaria- A «Tondo Doni» (particolare) no — chiudesse anche per un solo giorno. Quando si parla di manager alla guida dei grandi musei italiani porto sempre l’esempio del mio amico Natali che, per meno di duemila euro al mese, riesce a governare in maniera impeccabile una realtà sottoposta a una pressione turistica e a una visibilità mediatica straordinarie, ma riesce anche a far bene il suo vero mestiere che è quello di storico dell’arte. E infatti i suoi studi su Leonardo da Vinci, le monografie su Michelozzo, sul Pontormo, sul Rosso, le memorabili mostre fiorentine di Palazzo Strozzi dedicate ai protagonisti della Maniera, fanno di Natali un rappresentante fra i più conosciuti e apprezzati della nostra disciplina. Il 19 febbraio il suo ultimo lavoro Michelangelo agli Uffizi, dentro e fuori (Firenze, Maschietto editore, 2014 pagine 80, euro 24) viene presentato nella Sala conferenze dei Musei Vaticani. Nelle mie intenzioni questa presentazione avrebbe dovuto chiudere il “nostro” anno michelangiolesco, quattrocentocinquantesimo della morte del Buonarroti e ventesimo del grande restauro sistino di Fabrizio Mancinelli e di Gianluigi Colalucci. Quale modo migliore di onorare quel grande dopo il convegno che nell’ottobre scorso ha illustrato la messa in opera delle provvidenze climatologiche e della nuova illuminazione nella “cappella magna” del Papa di Roma? Purtroppo ritardi editoriali e l’incombere delle vacanze natalizie ci hanno costretto a rimandare a oggi la presentazione del libro. Ed eccoci quindi dentro e fuori gli Uffizi, con Michelangelo. Dentro gli Uffizi perché qui è custodito il Tondo Doni, la sola opera certa di pittura del Buonarroti. Fuori perché fuori, sul sagrato di Palazzo Vecchio, c’è, come tutti sanno, il clone di quel celeberrimo David che sta, in originale, nel Museo fiorentino dell’Accademia. Michelangelo non si considerava pittore, non Scelta di discrezione «Una scelta che contrasta con una contemporaneità tutta basata sull’abuso della scena mediatica anche per i sentimenti più intimi e preziosi». Così scrive Paolo Conti nel «Corriere della sera» del 17 febbraio in cronaca di Roma, commentando la discrezione che ha accompagnato l’avvio del servizio di docce e barberia per i clochard sul lato destro del colonnato di piazza San Pietro. È un’occasione — commenta Conti — per ricordarsi «di quel bisogno di riservatezza che appartiene a ciascuno di noi ma viene sempre più ignorato nella costante spettacolarizzazione della vita quotidiana». Niente macchine fotografiche, interviste o riflettori sul servizio gratuito offerto ai poveri per volontà di Papa Francesco. voleva esserlo. Lo disse a Giulio II quando gli commissionò la volta della Sistina, lo scrisse nel famoso sonetto dedicato a Giovanni da Pistoia là dove parla della sua tribolazione nel confronto terribile con gli È difficile per noi oggi capire l’emozione e lo stupore che la grande scultura dell’eroe provocò quando venne scoperta l’8 settembre 1504 oltre mille metri quadrati del soffitto sistino da ricoprire di più di trecento figure («non sendo in loco bon, né io pittore»), eppure il Tondo Doni dimostra che era pittore e di qualità eccellente anche dal punto di vista tecnico. Quanto al David, è difficile per noi oggi capire l’emozione, lo stupore e lo sconcerto che quella scultura deve aver provocato quando l’8 settembre 1504, festa della Madonna, venne scoperta. Per la prima volta, dal tempo dei Greci e dei Romani, un uomo nudo grande cinque volte il vero occupava da protagonista il cuore di una piazza italiana. Non ci sono più né Fidia né Policleto, Michelangelo ha superato gli antichi, dirà Giorgio biblico Vasari cinquanta anni più tardi. Dirà di più lo storico aretino; dirà che il David è la prima scultura moderna della storia dell’arte perché è una scultura in certo senso concettuale. Infatti il David non è rappresentato durante il combattimento né dopo la vittoria quando esibisce come un macabro trofeo la testa del gigante abbattuto e decollato. Così voleva l’iconografia tradizionale, così avevano rappresentato l’eroe biblico Andrea del Castagno, Donatello e Verrocchio. Michelangelo azzera i suoi illustri modelli come farà con la creazione di Adamo nella volta della Sistina, e ne inventa uno radicalmente nuovo e del tutto inedito. David semplicemente “è”. Sta lì da sempre in tensione dei muscoli, della volontà, dei sensi, pronto a scattare se e quando sarà necessario. È la fionda di Israele, è l’eroe che Dio tiene sotto la sua mano. È pronto al combattimento, rappresenta la libertà che l’ingiustizia e la tirannia (l’eterno Golia sempre risorgente) possono in ogni momento minacciare; è fiorentino ed è ognuno. Per questo quella scultura è diventata un’icona per le donne e per gli uomini del mondo. Ciò che affascina in questo libro piccolo e prezioso, edito con cura sapiente come è raro ormai incontrare nelle pubblicazioni d’arte, anche le più prestigiose, è la capacità dell’autore di muoversi con disinvolta efficacia su più livelli. C’è il livello primario che è quello dell’opera d’arte in quanto tale; l’opera d’arte che è sempre il documento più im- portante e che, se guardata con occhi nuovi, può fare emergere aspetti inediti anche nei massimi capolavori. Quando l’anamnesi dell’opera è portata ai punti di eleganza e raffinatezza dispiegati dall’autore si capisce che questo è anche il risultato della consuetudine, del contatto quotidiano con le cose, con i materiali, con le tecniche e con gli stili che solo lo studioso di museo può avere. Poi ci sono i molti livelli — storici, iconologici, stilistici — che nell’opera d’arte sono presenti perché molte cose l’opera d’arte significa e da molte è significata. L’opera d’arte è squisitamente relativa, anzi è il centro di un sistema di relazioni. Anche un capolavoro supremo come il Tondo Doni lo è. Natali ce lo dimostra quando, studiando quel dipinto celebre, disarticolandolo e analizzandolo in ogni dettaglio, fa emergere l’Antico e Raffaello, l’Apollo del Belvedere e la Scrittura, il Laocoonte scoperto a Roma un giorno di gennaio del 1506 e il Prologo di Giovanni (Giovanni, 1, 9-10). Nei capolavori supremi, nel David come nel Tondo Doni, sono presenti — verrebbe da dire — tutte le suggestioni religiose, poetiche, filosofiche dell’epoca che li ha visti nascere e tutti i capolavori; quelli che sono stati e quelli che, da loro ispirati, saranno. La seconda guerra mondiale nel romanzo dello statunitense Anthony Doerr La notte di Werner di CLAUDIO TOSCANI Sette agosto 1944: sulla cittadina francese di Saint-Malo piovono volantini da un aereo come ultimatum ai residenti: «Dirigetevi immediatamente in aperta campagna». È il preludio a un bombardamento da parte delle fortezze americane sulle case occupate dai tedeschi. È anche l’inizio di più di cinquecento pagine di vicissitudini belliche e civili tra Parigi e la località bretone oggetto di uno degli scontri più furiosi della seconda guerra mondiale. Racconto intessuto da Anthony Doerr in Tutta la luce che non vediamo (Milano, Rizzoli, 2014, pagine 509, euro 19) attorno a una miriade di fatti, giorni, emozioni e occasioni. Tra i tanti destini coinvolti di un buon numero di personaggi, la trama procede in stretta connessione binaria tra quelli dei due protagonisti: Marie-Laure, ragazzina di sedici anni divenuta cieca a sei, che dalla capitale è fuggita col padre Daniel Leblanc dal prozio Étienne nell’inutile tentativo di evitare la guerra; e il diciottenne Werner Pfennig, soldato della Wehrmacht proveniente da un orfanotrofio a suo tempo condiviso con la sorella Jutta, ma ora, sotto le armi, esperto di sistemi radio utilizzati nel conflitto. Va detto subito, a scanso di un eccesso di aspettativa, che i due non si incontreranno che a qualche decina di pagine dalla fine, e in un modo che non è lecito svelare, ma anche perché ciò non toglie nulla alla verve della narrazione, anzi aggiunge sempre nuove corrispondenze e ricchezza d’intreccio, nonché sempre più complesse prospezioni psicologiche sulle figure che si muovono nel volume. Doerr è scrittore americano che al suo secondo romanzo ha voluto sperimentare un tipo di storia a due le cui singolari vicende restano rigorosamente separate fin quasi alla fine e, rispettate di pagina in pagina, convergono infine tra loro solo quando matura una congiuntura esistenziale e una circostanza morale in grado di dare senso a tutto il previo itinerario di vite e coscienze. Il padre di Marie-Laure è fabbro e custode di chiavi presso un Museo di storia naturale; per la figlia ha fabbricato un plastico fedele del quartiere che lei manda a memoria evitando di smarrirsi. Entrato in possesso di una perla dal valore inestimabile la porta con sé in esilio co- me possibile ancora di salvezza. I fratelli Pfennig invece hanno sempre vissuto presso la Casa dei Bambini e, una volta arruolato, Werner è vittima dell’educazione nazista, per cui, messa a frutto la sua competenza radio-tecnica, se ne serve per intercettare le emittenti partigiane ed eliminarle. Il contesto è terribile e Doerr non fa nulla per risparmiarci alcune esplicite atrocità, ma il suo dettato le riscatta, non solo alla chiusura del libro, ma anche nel congegno formale della scrittura. Di netto realismo ma mai perdonata né condivisa ferocia, anzi, con la riserva del puro di cuore che è trascinato dai fatti ma si mantiene padrone della sua statura interiore. La storia grande filtra tra le cose minute della vita di tutti i giorni e il romanzo è una lunga apnea narrativa in attesa della catastrofe finale. Marie-Laure resta senza il padre arrestato e messo sott’accusa da un primo maresciallo del Reich esperto di diamanti che vuole a tutti i costi la perla nascosta all’interno del plastico parigino. E resta anche senza zio che cade nelle mani della Gestapo. Sul binario a lato, Werner è testimone, e talvolta responsabile, di insopportabili gesti di sopraffazione. Serve pazienza per srotolare i destini dei protagonisti, giovani vite, una immersa nel buio della cecità fisica, l’altro travolto dalla notte della dottrina totalitaria del Führer — torna il mente il motto Nacht und Nebel, nemici politici e oppositori dovevano essere fatti scomparire «nella notte e nella nebbia», diceva Hitler — entrambi visitati e rivisitati da uno stillicidio di brevi capitoli e di infinitesimi casi, minime e oscure vicende in filigrana al tracollo del Terzo Reich. Lui, Werner che rinnega continuamente se stesso fino a non poterne più di obbedire e a rovesciare il tavolo della propria sorte. Lei, Marie-Laure, che riesce a tenere desta la speranza, far scudo della propria innocenza contro lo smarrimento che la assale, sia dentro il suo handicap Un’esercitazione dei soldati della Wehrmacht nel 1939 fisico che lungo i brividi di una coscienza desta e libera. «Chi vince decide la storia» ripete l’istruttore di Werner nella delirante certezza che nulla può opporsi alla Germania nazionalsocialista. In ogni caso la storia è decisa altrove, indipendentemente dalle parti in causa e da chi prevale nel confronto. Porte aperte al Quirinale «Ho disposto che il Quirinale sia, entro breve tempo, aperto alle visite tutti i giorni della settimana». Lo ha annunciato il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, durante la presentazione della mostra che dopo 150 anni riunisce i venti arazzi medicei. Mattarella ha anche chiesto «di aprire il percorso delle visite ad altre parti del palazzo prima non visibili e di utilizzare nuovi spazi per le attività espositive permanenti o temporanee, chiedendo agli uffici di ritirarsi da alcuni ambienti». La decisione è stata assunta «per sottolineare il legame tra il palazzo, la storia del Paese e i cittadini». L’OSSERVATORE ROMANO mercoledì 18 febbraio 2015 Non più mero deposito librario ma centro propulsore di studi In linea con la riconquista cattolica di spazi culturali che compensassero il ridimensionamento territoriale del papato Franz Ehrle e Giovanni Mercati alla Biblioteca Vaticana I cataloghi prima di tutto di PAOLO VIAN ella triplice periodizzazione della storia della Biblioteca Vaticana, José Ruysschaert fa corrispondere a ogni Papa determinante per decisivi sviluppi dell’istituzione un bibliotecario che del Pontefice fu l’interprete ideale, il vero e pratico realizzatore dei suoi disegni. A Sisto IV, il fondatore istituzionale, viene abbinato Bartolomeo Platina; Sisto V, costruttore del nuovo edificio nel cuore del cortile del Belvedere, ricorse alla famiglia quasi dinastica dei Ranaldi; la svolta di Leone XIII, che trasformò l’antica istituzione palatina di difficile accesso in un moderno centro di studi, non è pensabile senza Franz Ehrle. Il «risveglio dopo il lungo sonno» — secondo l’espressione di N gno «Franz Kardinal Ehrle (18451934)», organizzato il 19 e il 20 febbraio dal Römisches Institut der Görres-Gesellschaft presso il Pontificio Collegio Teutonico. Nell’opera di trasformazione e di rigenerazione della Biblioteca Vaticana Ehrle individuò presto la necessità di un corpo scientifico che animasse le attività dell’istituzione: non più mero deposito librario, non più semplice Wunderkammer da mostrare a visitatori anche illustri, ma — in profonda e sostanziale sinergia con l’Archivio Segreto, aperto alla consultazione di ricercatori di tutto il mondo — centro propulsore di studi e di pubblicazioni, in linea con la riconquista cattolica di quegli spazi culturali che dovevano compensare il ridimensionamento territoriale del papato reagendo all’assedio della modernità e del laicismo. pagina 5 Tappe di una vita 1898, «ha estremo bisogno di buoni scrittori» perché «in respetto alla Sua biblioteca ed i suoi catalogi si trova in posizione poco decorosa». Al termine del “secolo della storia”, mentre nell’ambito della catalogazione dei manoscritti operano in Francia Léopold Delisle, in Germania Theodor Mommsen e Valentin Rose, in Inghilterra Falconer Madan e Montague Rhodes James e persino nelle biblioteche italiane si vive la “primavera fortunata”, la Santa Sede non può rimanere indietro. E non per orgoglio di campanile. Ehrle sa bene che sul piano della serietà degli studi storici e su quello, strettamente connesso, dell’amministrazione dello straordinario patrimonio che la Provvidenza e la storia hanno affidato ai Papi, si gioca la credibilità, la ragionevolezza della fede cristiana e della sua proposta alla modernità. Non è un caso che una delle rare frizioni fra Ehrle e Mercati si verifichi nell’ottobre 1901 ancora sul problema dei cataloghi. Il primo ha richiamato il secondo sull’importanza e sulla priorità dei cataloghi, negli impegni di lavoro, e il secondo ne è rimasto turbato, quasi offeso. Ehrle reagisce, con pacatezza ma fermamente: «Mi dispiace moltissimo, che la mia lettera Li ha fatto tanta pena e recato tanto disturbo. Ma benché io prevedessi che la lettera zione di Ehrle che il 21 settembre 1897 chiese al bollandista François van Ortroy di verificare se Mercati «dispone almeno un po’ di spirito di sacrificio per lavorare per la Santa Chiesa, anche sacrificando un po’ del suo tempo, o se piuttosto non pensa che a farsi un nome nel mondo scientifico, e se ha avuto discussioni e dispute dove è stato prima di passare a Milano». Qualche mese dopo, il 4 aprile 1898, di fronte ai tormenti e alle titubanze di Mercati Ehrle sarà costretto a ricordargli con fermezza che l’iniziativa della proposta del trasferimento a Roma era partita proprio da lui. Più interessante è però il profilo ideale di scriptor della Vaticana che dalla domanda di Ehrle al confratello gesuita chiaramente si delinea. Non solo competenza scientifica ma anche dedizione al lavoro di catalogazione «per la Santa Chiesa», rinunciando alle ambizioni mondane e alla ricerca di una gloria personale per inserirsi in un orizzonte più vasto e importante. Su questo punto Ehrle insiste ripetutamente con Mercati. Il 4 aprile 1898: «Rimanga dunque fermo nella Sua offerta, se vuole nel Suo sacrifizio, fatto alla Sua Santa Madre la Chiesa ed accettato da Essa. Faccia i Suoi calcoli col Nostro Signore e coll’eternità»; il 17 aprile 1898: «Del resto uno può venire volentieri a Roma in tal posizione, anche senza Il 4 dicembre 1924, rispondendo agli indirizzi di omaggio a lui rivolti in ambizione alcuna, per occasione della presentazione da parte altri buoni e ragionedi Pio XI dei cinque volumi della voli motivi, fra i quali Miscellanea Francesco Ehrle, il cardinale certamento il più fungesuita, indirizzandosi al Papa, fra dato ed il più nobile l’altro, disse: «Non ho coscienza d’aver ed efficace per il temfatto altro, che cercar di compiere il po e per l’eternità è di mio sacro dovere, in un posto così voler fatigare e lavoranobile e così simpatico, che finanche la re non mica per la sopersona più indolente si sarebbe sentita la scienza per un po’ spinta a fare la sua parte. Il Prefetto di fumo, ma per la S. della Biblioteca Vaticana, come i capi Chiesa e la S. Sede, degli altri reparti scientifici ed artistici per la quale Dio è padella Vostra reggia, Beatissimo Padre, gatore. Dunque faccia hanno il graditissimo incarico di le Sue cose per Domidispensare con signorile larghezza i ne Dio, usi senza antesori provvidenzialmente raccolti dai sietà la prudenza neVostri predecessori. Questo interesse e cessaria e lasci chiacquesta cura dei Romani Pontefici, già chierare il mondo ciò quasi venti volte secolare, per la scienza che vuole». Ma va ane la cultura, per le lettere e per le arti, che rilevato l’accenno benché non stia nel centro della loro alle querelles e alle dimissione, le è nondimeno così sputes. Per Ehrle lo strettamente connessa, che non la scrittore della Vaticana poterono mai dimenticare, essendo deve essere al di sopra questa cultura, nella sua forma genuina delle immancabili e più pura, voluta da Dio, come un guerricciuole che spesimportante fattore e come una so divampano nel lanecessaria conseguenza della loro voro erudito ma anche missione di cristiano incivilimento. estraneo ai contrasti Anzi i bisogni stessi del culto e della fra conservatori e liturgia, il dovere di dare alla sublimità “modernisti” che dilainterna dei misteri del cristianesimo niavano il mondo catuna veste meno disdicevole; inoltre tolico di fine Ottocenl’importanza della molteplice tradizione to, sino nell’ambito del magistero ecclesiastico, li dovevano degli studi. Per Ehrle spingere a favorire la produzione e la l’obiettivo è invece il conservazione delle opere d’arte e di lavoro serio, duro, inmoltiplicare, di salvare e di raccogliere stancabile, per fornire i tesori letterari dei secoli andati, la biblioteca dei Papi essendo in un certo senso il di cataloghi dei fondi cristianesimo una religione manoscritti aggiornati essenzialmente fautrice delle arti e dei e approfonditi e così libri. Quindi la dimora dei Papi, non per superare il «disoper caso, né soltanto per il loro gusto nore» che le derivepersonale, ma per una disposizione rebbe dal confronto provvidenziale, inerente al loro ufficio, con le altre biblioteche diventò, nel lungo corso dei secoli, europee. La Santa Semalgrado tutte le spogliazioni, quel de, scrive Ehrle a tesoro d’arte e di scienza, che ancora Mercati il 4 aprile oggi affascina il mondo più colto». 1845, 17 ottobre: nasce a Isny, nell’Allgäu (BadenWürttemberg). 1861: dopo gli studi nel ginnasio Stella Matutina a Feldkirch, entra nel noviziato gesuita di Gorheim (Hohenzollern). 1873: si trasferisce in Inghilterra, presso Liverpool, con i gesuiti espulsi dalla Germania nell’ambito del Kulturkampf. 1876: viene ordinato sacerdote e si dedica al ministero fra gli operai; incomincia a collaborare al periodico «Stimmen aus Maria-Laach»; nel 1878 si trasferisce in Belgio. 1880: viene inviato a Roma, dove Leone XIII ha aperto l’archivio vaticano agli studiosi; inaugura un decennio di studi e di viaggi per l’Europa. 1885: con Heinrich Denifle fonda l’«Archiv für Literatur - und Kirchengeschichte des Mittelalters». 1890: pubblica il primo tomo dell’Historia Bibliothecae Romanorum Pontificum. 1895-1914: prefetto della Biblioteca Vaticana, che rinnova completamente nei servizi e nelle pubblicazioni. Nel novembre 1892 apre la Sala Leonina, per la consultazione degli stampati; nel 1898 promuove a San Gallo una conferenza internazionale per la conservazione e il restauro dei manoscritti antichi. 1922: Pio XI, nel suo primo concistoro, lo crea cardinale. 1929: diviene cardinale Bibliotecario e Archivista. 1934, 31 marzo: muore a Roma. Una religione fautrice delle arti Geniale convegno dei dotti Il 13 dicembre 1922, imponendo la berretta cardinalizia a Ehrle, Pio XI, definendolo «il Prefetto ideale della più importante e splendida biblioteca del mondo», pronunciò, fra l’altro, queste parole: «Non è facile stringere in poche parole quanti meriti copre ed onora la porpora dell’Eminentissimo Ehrle; diciamo, meriti verso la repubblica dei dotti e verso la Religione, verso la scienza e verso la Santa Sede. Anche del Pontificio Archivio segreto e d’altri Istituti l’Eminentissimo Ehrle fu non poco benemerito; ma basti qui dire che della Biblioteca Vaticana, grazie all’illuminato e munifico favore di Leone XIII di gl. m., egli ha fatto in 20 anni di un meraviglioso lavoro di riorganizzazione, ha fatto, diciamo, il più geniale e ricercato convegno dei dotti cercatori e studiosi di tutto il mondo, foggiandola a mirabile strumento ed a vera operosa officina di lavoro e di produzione scientifica e letteraria. Rare volte la dimostrazione apologetica dell’armonia tra la fede e la scienza si tradusse in un fatto di così vaste ed imponenti proporzioni, di così splendida e bella evidenza». Eugène Tisserant che così caratterizzò il nuovo corso voluto da Papa Pecci — non sarebbe stato possibile senza l’opera del prefetto gesuita che fu veramente l’artefice della Vaticana moderna, il protagonista della prima fase della sua modernizzazione. Ma Ehrle non fu solo; seppe circondarsi di figure, anche eccezionali, che lo aiutarono nell’impresa. Giovanni Mercati, scriptor greco della Biblioteca Vaticana dal 1898 al 1919, suo prefetto dal 1919 al 1936, cardinale bibliotecario e archivista dal 1936 alla morte (1957), uno dei massimi rappresentanti dell’erudizione del Novecento, fu una di queste. Lo studio del rapporto fra le due figure va dunque al di là dell’aneddoto personale per costituire una via di accesso privilegiata alla comprensione di quello storico rinnovamento che trasformò la biblioteca dei Papi; ma nel confronto fra i due emergono meglio anche le caratteristiche del personaggio cui è dedicato il conve- Il corpo degli scrittori, in primo luogo impegnato in una catalogazione scientifica dei manoscritti in grado di competere con le altre grandi biblioteche europee, doveva così essere costituito elemento per elemento, con un’opera di reclutamento accorta e mirata. Candidati all’altezza del compito nel clero italiano non abbondavano, non solo per preparazione scientifica ma per spirito di dedizione. Come ha mostrato Cesare Pasini in un articolo di prossima pubblicazione, nel settembre 1897, fu lo stesso Mercati, allora dottore della Biblioteca Ambrosiana, a candidarsi per un trasferimento in Vaticana a Ehrle, di passaggio a Milano, e a offrirsi così per il nuovo compito. Fu il primo incontro fra i due. Anche se in seguito Mercati mostrò, come al suo solito, dubbi, incertezze, ripensamenti sulla decisione per una molteplicità di ragioni che non vanno qui analizzate, importa notare la rea- Li potessi dispiacere e benché in conseguenza mi costasse di scriverla, lo ho creduto il mio dovere di mandarla, il mio dovere d’ufficio ed un dovere di schiettezza verso di Lei, — di quella schiettezza, senza la quale non posso amichevolmente stare e lavorare insieme con altri. Amo che gli altri mi dicano, se hanno qualche cosa contra di me e credo che anche Lei desideri lo stesso. Del resto la lettera provocando la Sua seconda ha avuto il bene di mostrarmi meglio, in quali circonstanze e disposizioni Lei si staccò da Milano. Però ciò che io Li scrissi per vincere le dubiezze e titubazioni, che Lei mostrò dopo il nostro primo colloquio, Lo scriverei oggi ancora con maggiore convinzione. Inoltre non ho mai creduto, che Lei non abbia dato alla Biblioteca, tutto quel tempo che ad essa spettava, ma ho soltanto creduto il mio dovere di chiamare la Sua attenzione sulla importanza e l’assoluta necessità del lavoro dei cataloghi. Questo era l’unico scopo della mia lettera. Ed anche in questo punto Lei sa, che non pretenderò cose ingiuste e terrò sempre largo dovuto conto della [sic] stato della Sua salute. Spero che queste righe bastaranno per calmarlo e liberarlo da tutti pensieri molesti e penosi. Che ciò avvenga sarà la preghiera mia per lei in questi giorni». Ove emergono l’equilibrio e la compostezza di uno studioso che era nato anche per essere un capo e un organizzatore degli studi altrui. Vangeli tradotti e commentati da quattro donne Mercoledì 18 febbraio, dopo l’udienza generale, sarà consegnata a Papa Francesco la prima traduzione in italiano dei vangeli realizzata da donne. Si tratta di Rosanna Virgili, Rosalba Manes, Annalisa Guida e Marida Nicolaci, che hanno lavorato per anni nel tentativo di far emergere — assieme alla bellezza della narrazione e alla forza del messaggio cristiano — anche uno sguardo al femminile sul testo sacro. Il volume (Milano, Àncora, 2015, pagine 1700, euro 55) sarà disponibile nelle librerie dal 26 febbraio. La nuova traduzione mette in luce, innanzitutto, la presenza ormai affermata e qualificata delle donne nella conoscenza e competenza della Bibbia, nonché nella docenza e ricerca delle scienze a essa consacrate, fenomeno piuttosto recente. Particolare attenzione è stata riservata, nei commenti e nel saggio conclusivo, alla presenza decisiva delle donne nel racconto evangelico. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 mercoledì 18 febbraio 2015 Il cardinale O’Malley alla Gregoriana (Ap) Monsignor Dal Toso alla riunione del Consiglio di amministrazione della Fondazione Giovanni Paolo II per il Sahel Carità che porta pace e comunione DAKAR, 17. «Se fino a qualche anno fa erano ancora possibili una coabitazione pacifica e un dialogo sereno tra le diverse religioni, la crescita dei fondamentalismi genera oggi tensione, paura, sfiducia nelle popolazioni. Tocchiamo un punto fondamentale per il processo di pace in questa regione. Credo che la Fondazione abbia, su questo piano, un ruolo importante da svolgere grazie all’aiuto concreto che fornisce senza distinzioni di razza o religione. Questa carità è il biglietto da visita del Santo Padre e della Chiesa ed è portatrice di pace e comunione». Intervenuto oggi a Dakar, in Senegal, all’apertura dell’annuale sessione del Consiglio di amministrazione della Fondazione Giovanni Paolo II per il Sahel, monsignor Giovanni Pietro Dal Toso, segretario del Pontificio Consiglio «Cor Unum», ha ricordato quanto sia «alta la posta in gioco per essere veri testimoni della carità del Papa» in questa regione, il Sahel, tra le più fragili del mondo per quanto riguarda la situazione umanitaria, le relazioni politiche, la coabitazione fra le differenti religioni presenti nel territorio. In questi ultimi tempi — ha detto Dal Toso, che presso la Fondazione è osservatore della Santa Sede — l’organismo è chiamato a giocare un ruolo sempre più importante tanto a livello di carità, in virtù di una competenza tecnica accresciuta e una cu- ra per l’evangelizzazione, quanto di “pacificazione” grazie «a questa carità che apre e consente un dialogo interreligioso». L’obiettivo è di essere «portatori di pace nella regione e strumento caritativo ecclesiale e pontificio sempre più autentico ed efficace nella lotta contro la siccità e al servizio della popolazione sofferente del Sahel». La Fondazione è stata eretta da Giovanni Paolo II il 22 febbraio 1984, a seguito dell’appello lanciato al mondo intero dal Pontefice il 10 maggio 1980 da Ouagadougou, allora capitale dell’Alto Volta (oggi Burkina Faso). «Tutti, ve ne prego, ascoltate questo appello, ascoltate le voci del Sahel e di tutti i Paesi vittime della siccità, senza eccezione alcuna. E a tutti voi io dico “Dio ve ne renda merito”», affermò tra l’altro il Papa nell’omelia della messa. La Fondazione è affidata al Pontificio Consiglio «Cor Unum» e ha sede amministrativa a Ouagadougou. Interessa nove nazioni: Burkina Faso, Capo Verde, Ciad, Gambia, Guinea-Bissau, Mali, Mauritania, Niger e Senegal. Suoi scopi primari sono la formazione di persone che lottino contro la siccità, la desertificazione e il soccorso alle vittime della siccità nella regione. Il Consiglio di amministrazione è presieduto dal vescovo di Banfora, Lucas Kalfa Sanou, membro per il Burkina Faso. Nel suo intervento, monsignor Dal Toso ha ripercorso la storia dell’organismo, che affonda le sue radici nell’emergenza di un popolo vittima della costante desertificazione del proprio territorio. Negli anni Settanta del secolo scorso — ha ricordato — «le condizioni climatiche disastrose hanno prodotto una terribile siccità nella regione del Sahel che ha causato un’alta mortalità nella popolazione e la distruzione di numerosi capi di bestiame». Una siccità che ha colpito complessivamente venticinque milioni di persone aggravando condizioni di vita già estremamente precarie per colpa della cronica malnutrizione, della mancanza di acqua potabile e delle epidemie. «Di fronte a una tale catastrofe umanitaria, Paolo VI chiese nel 1973 al Pontificio Consiglio “Cor Unum”, fondato due anni prima, di seguire da vicino la situazione. “Cor Unum” lanciò “l’operazione semina”, su proposta del cardinale Paul Zoungrana, al fine di limitare l’avanzata del deserto grazie alle colture della popolazione locale. Paolo VI — ha aggiunto il segretario del Pontificio Consiglio — riunì i vescovi del luogo per cercare di definire un aiuto che potesse contribuire a limitare le conseguenze di questo flagello. Si calcolò all’epoca che il deserto avanzasse di quindici chilometri all’anno. Anche le Nazioni Unite e i vari governi dedicarono la loro attenzione a questa catastrofe, che aveva commosso il mondo intero, inviando più di 550.000 tonnellate di aiuti alimentari fra il 1973 e il 1974». Il resto lo fece Giovanni Paolo II attraverso quell’appello lanciato durante il suo pellegrinaggio apostolico in Africa, nel maggio 1980. Appello ripetuto da Benedetto XVI il 10 febbraio 2012 ricevendo i rappresentanti della Fondazione. Un’altra siccità stava nuovamente mettendo in pericolo la sopravvivenza delle popolazioni nel Sahel (in particolare due milioni di bambini) e il Pontefice, sottolineando l’origine teologica ed ecclesiologica della missione caritativa dell’organismo, si rivolse alla comunità internazionale affinché prestasse la propria attenzione all’estrema povertà di quella gente e chiese alla Fondazione di essere sempre più testimone della carità della Chiesa, incitandola ad aggiornarsi e a rinnovarsi, aiutata in questo da «Cor Unum». Il futuro — ha spiegato monsignor Dal Toso — passa anche attraverso una migliore definizione dei campi di intervento relativamente ai criteri di selezione dei progetti, per garantire il nesso di causalità fra il tipo di intervento e la lotta contro la desertificazione. Criteri indicati dalla Conferenza episcopale italiana (il maggiore benefattore di fondi destinati all’organismo pontificio), per quanto concerne sia il profilo-tipo dei promotori dei progetti sia il formulario-tipo della loro presentazione, e che la Fondazione ha prontamente adottato. «Riguardo poi il profilo dei responsabili dei progetti», ha aggiunto il segretario, «è stata sottolineata l’importanza che appartengano o abbiano un legame con la Chiesa in modo che venga preservata l’identità cattolica dell’azione caritativa della Fondazione. La dichiarazione di sostegno del vescovo non è solo un aspetto formale ma significa l’impegno del vescovo su quel progetto». Due infine gli aspetti relativi alla formazione, uno motivazionale (come rendere trasparente la presenza della Chiesa attraverso il progetto), l’altro tecnico-procedurale (formulazione, gestione e valutazione dei progetti). «Il Segretariato generale — ha concluso — è chiamato a diventare sempre più non solamente un luogo di raccolta dei documenti ma anche di condivisione delle esperienze a sostegno delle varie diocesi del Sahel, dei loro progetti per la promozione umana e in difesa dell’ambiente». Il vescovo di Sokoto in vista delle elezioni generali del 28 marzo Corruzione e disuguaglianza primi mali della Nigeria ABUJA, 17. «Un’orribile marea di corruzione». Così il vescovo di Sokoto, monsignor Matthew Hassan Kukah, ha definito la situazione politica in Nigeria a sei settimane dalle elezioni presidenziali e legislative. Secondo il presule ci sono pochi dubbi: il nuovo esecutivo dovrà affrontare come priorità le questioni che oggi affossano il Paese africano. «Anni di corruzione — afferma il presule in una lettera inviata ad Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs) — hanno diminuito il senso di legalità percepito nel nostro Stato. Il nuovo presidente dovrà chiamare a raccolta i cittadini attorno a un progetto di identità e di unità nazionale». Le più forti disuguaglianze in Nigeria si registrano a causa dell’assoluta sperequazione nella distribuzione delle risorse: i giacimenti naturali e il loro sfruttamento sono concentrati nelle mani di pochi. «Nonostante gli enormi ricavi derivanti dall’esportazione del petrolio — spiega monsignor Kukah — è difficile che questi abbiano ricadute positive sulla vita dei comuni cittadini». L’ineguaglianza, politica, economica e sociale, è quindi il primo problema da risolvere per restituire alla Nigeria quella pace perduta ormai da tempo: «Chiunque vincerà le ele- zioni, dovrà investire risorse nell’educazione, nella creazione di posti di lavoro e nell’agricoltura». A questi problemi si aggiungono quelli legati alla repressione della libertà religiosa. Gli islamisti di Boko Haram non hanno fatto altro che incrementare le tensioni fra i diversi gruppi, «in special modo — afferma il presule — fra cristiani e musulmani. A Sokoto, dove vivo, come in altre città del nord della Nigeria, c’è stato un grande esodo di persone». I cristiani, in particolare, «hanno raggiunto le loro famiglie in altre parti del Paese, già prima di natale». Il timore è che si ripeta la stessa violenza del 2011, quando prima delle elezioni vennero uccise circa 800 persone, con le case e le chiese dei cristiani distrutte dalle fiamme. «Peccato — aggiunge il vescovo — che il Governo federale della Nigeria non abbia provveduto a risarcire i familiari di queste persone in alcun modo». Eppure monsignor Kukah si dice speranzoso riguardo le prossime elezioni del 28 marzo: «Guardiamo a questo appuntamento con moderato ottimismo, seppur con un profondo senso di attenzione. Siamo incoraggiati dal fatto che i nigeriani stanno facendo di tutto per respingere le incursioni di Boko Haram in vista della consultazione elettorale, come siamo lieti di notare il crescente supporto degli organismi internazionali. Siamo fiduciosi che le prossime elezioni si possano svolgere in un clima di pace e tranquillità». Intanto, Acs ha accolto l’appello lanciato dal vescovo donando qua- rantacinquemila euro agli sfollati della diocesi di Maiduguri, mentre altri trentasettemila euro saranno stanziati per permettere ai sacerdoti della stessa diocesi di continuare a celebrare messa. La metà di essi, infatti, si era rifugiata nella vicina diocesi di Yola. Alla Gregoriana un centro per la protezione dei minori Più educazione e più prevenzione Papa Francesco ha espresso sostegno e gratitudine al rinnovato Centre for child protection, attivo nella Pontificia Università Gregoriana. Lo ha scritto in un messaggio al presidente della struttura, il gesuita tedesco Hans Zollner, che è anche membro della Pontificia Commissione per la protezione dei minori. Il messaggio è stato reso pubblico lunedì 16 febbraio ed è stato letto proprio in occasione dell’incontro di presentazione svoltosi alla Gregoriana. «Desidero far giungere un cordiale saluto a te e a tutti coloro che lavorano a questo compito» ha scritto il Pontefice a padre Zollner, rallegrandosi «molto per quello che state facendo» e complimentandosi «di cuore». E dicendosi anche certo «che tutto questo lavoro darà i suoi frutti», il Papa ha «fraternamente» concluso il suo messaggio chiedendo al Signore di accompagnare questo lavoro e alla Vergine Maria di proteggerlo. Dunque il Centre for child protection «si rinnova ed espande su scala internazionale il proprio lavoro per la prevenzione degli abusi sessuali su minori e persone vulnerabili» è stato spiegato. E lo fa su ampia scala: sede trasferita a Roma da Monaco di Baviera; collaborazione con la Pontificia Commissione per la tutela dei minori; ampliamento dei partner internazionali e anche, nel 2016, un diploma in «Safeguarding of minors and vulnerable people». Tutto questo dopo una “fase pilota” di tre anni avviata con un convegno organizzato, nel 2012, sempre dalla Gregoriana. La struttura è stata avviata a Monaco di Baviera dall’Istituto di psicologia della stessa Gregoriana, in collaborazione con il dipartimento di psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza-psicoterapia dell’Università clinica di Ulm, e con il supporto dell’arcidiocesi di Monaco e Frisinga. A sostenerlo, tuttora, la stessa arcidiocesi guidata dal cardinale Reinhard Marx, oltre a singole diocesi, ordini e congregazioni religiose. Ora, dunque, il Centre for child protection «affianca la sua attività a quella della Pontificia commissione per la tutela dei minori» che sta concentrando i propri sforzi sulla prevenzione e ragionando su come definire «la accountability» dei vescovi di fronte alle denunce di pedofilia nei confronti di preti delle loro diocesi. Intervenendo alla conferenza di presentazione, il cardinale Sean Patrick O’Malley, presidente della Pontificia Commissione, ha rilevato che in passato non c’era sufficiente consapevolezza della «devastazione» provocata dalla pedofilia nella Chiesa «in nome di uno spirito di segretezza e di vergogna», con risposte «inadeguate», «improvvisate» o che hanno addirittura dato più attenzione «alla riabilitazione degli abusatori che alla cura dei bambini abusati». E ha sottolineato la necessità di maggiori sforzi nel campo degli studi sulle cause e la fenomenologia di questa «piaga», puntando di più su «educazione e prevenzione». Il nostro obiettivo, ha spiegato il cardinale O’Malley, «non è trattare i singoli casi di abuso sessuale» ma «consigliare il Santo Padre a raccomandare le migliori azioni e procedure per promuovere» appunto «l’educazione e la prevenzione». L’OSSERVATORE ROMANO mercoledì 18 febbraio 2015 pagina 7 Il Papa ha offerto la messa a Santa Marta per i ventuno copti «sgozzati per il solo motivo di essere cristiani» Come martiri «Offriamo questa messa per i nostri ventuno fratelli copti, sgozzati per il solo motivo di essere cristiani». Lo ha detto Papa Francesco nella celebrazione presieduta martedì 17 febbraio nella cappella della Casa Santa Marta. «Preghiamo per loro — ha aggiunto — che il Signore come martiri li accolga, per le loro famiglie, per il mio fratello Tawadros che soffre tanto». E proprio con il patriarca della Chiesa ortodossa copta, Tawadros II, il Papa ha parlato personalmente al telefono nel pomeriggio di lunedì manifestandogli la sua profonda partecipazione al dolore per il barbaro assassinio compiuto dai fondamentalisti islamici. E assicurando anche la propria preghiera. Ripetendo le parole dell’antifona iniziale «Sii per me difesa, o Dio, rocca e fortezza che mi salva, perché tu sei mio baluardo e mio rifugio; guidami per amore del tuo nome» (salmo 31, 3-4), Papa Francesco ha aperto l’omelia. Il brano del Libro della Genesi sul diluvio (6, 5-8; 7, 15.10), proposto dalla liturgia del giorno, «ci fa pensare — ha detto il Pontefice — alla capacità di distruzione che ha l’uomo: l’uomo è capace di distruggere tutto quello che Dio ha fatto» quando «gli sembra di essere più potente di Dio». E così «Dio può fare cose buone, ma l’uomo è capace di distruggerle tutte». Anche «nella Bibbia, nei primi capitoli, troviamo tanti esempi, dall’inizio». Ad esempio, ha spiegato Francesco, «l’uomo chiama il diluvio per la sua malvagità: è lui che lo chiama!». Inoltre «l’uomo chiama il fuoco del cielo, in Sodoma e Gomorra, per la sua malvagità». Poi «l’uomo crea la confusione, la divisione dell’umanità — Babele, la Torre di Babele — per la sua malvagità». Insomma, «l’uomo è capace di distruggere, noi siamo tutti capaci di distruggere». Ce lo conferma, sempre nella Genesi, «una frase molto, molto acuta: “Questa malvagità era grande e ogni intimo intento del loro cuore — del cuore degli uomini — non era altro che male, sempre”». Non è questione di essere troppo negativi, ha fatto notare il Papa, perché «questa è la verità». A tal punto che «siamo capaci di distruggere anche la fraternità», come dimostra la storia di «Caino e Abele nelle prime pagine della Bibbia». Un episodio che, appunto, «distrugge la fraternità, è l’inizio delle guerre: le gelosie, le invidie, tanta cupidigia di potere, di avere più potere». Sì, ha affermato Francesco, «questo sembra negativo, ma è realista». Del resto, ha aggiunto, basta prendere un «giornale qualsiasi» per vedere «che più del novanta per cento delle notizie sono notizie di distruzione: più del novanta per cento! E questo lo vediamo tutti i giorni!». Ma allora «cosa succede nel cuore dell’uomo?» è stato l’interrogativo fondamentale proposto dal Papa. «Gesù, una volta, avvertì i suoi discepoli che il male non entra nel cuore dell’uomo perché mangia questa cosa che non è pura, bensì perché esce dal cuore». E «dal cuore dell’uomo escono tutte le malvagità». Infatti «il nostro cuore debole è ferito». C’è «sempre quella voglia di autonomia» che porta a dire: «Io faccio quello che voglio e se io ho voglia di questo, lo faccio! E se per questo voglio fare una guerra, la faccio! E se per questo voglio distruggere la mia famiglia, lo faccio! E se per questo devo ammazzare il vicino, lo faccio!». Ma proprio «queste sono le notizie di ogni giorno» ha rimarcato il Papa, osservando che «i giornali non ci raccontano notizie di vita di santi». Dunque, ha proseguito rilanciando la questione centrale, «perché siamo così?». La risposta è diretta: «Perché abbiamo questa possibilità di distruzione, questo è il problema!». E così facendo, poi, «nelle guerre, nel traffico delle armi siamo imprenditori di morte!». E «ci sono i Paesi che vendono le armi a questo che è in guerra con questo, e le vendono anche a questo, perché così continui la guerra». Il problema è proprio la «capacità di distruzione e questo non viene dal vicino» ma «da noi!». «Ogni intimo intento del cuore non era altro che male» ha ripetuto, ancora, Francesco. Ricordando ap- punto che «noi abbiamo questo seme dentro, questa possibilità». Ma «abbiamo anche lo Spirito Santo che ci salva». Si tratta perciò di scegliere a partire dalle «piccole cose». E così «quando una donna va al mercato e trova un’altra, incomincia a chiacchierare, a sparlare della vicina, dell’altra donna di là: questa donna uccide, questa donna è malvagia». E lo è «nel mercato» ma anche «in parrocchia, nelle associazioni: quando ci sono le gelosie, le invidie vanno dal parroco a dire “ma questa no, questo sì, questo fa”». Anche «questa è la malvagità, la capacità di distruggere che tutti noi abbiamo». È su questo punto che «oggi la Chiesa, alle porte della Quaresima, ci fa riflettere». L’invito del Papa è a domandarcene la ragione, a partire dal passo evangelico di Marco (8, 14-21). «Nel Vangelo Gesù rimprovera un po’ i discepoli che discutevano: “ma tu dovevi prendere il pane — No, tu!”». Insomma i dodici «discutevano come sempre, litigavano fra loro». Ed ecco che Gesù rivolge loro «una bella parola: “Fate attenzione, guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode”». Così, «semplicemente fa l’esempio di due persone: Erode è cattivo, assassino, e i farisei ipocriti». Ma il Signore parla anche di «“lievito” e loro non capivano». Il fatto è che, come racconta Marco, i discepoli «parlavano di pane, di questo pane, e Gesù gli fa: “Ma quel lievito è pericoloso, quello che noi abbiamo dentro e che ci porta a distruggere. Guardatevi, fate attenzione!”». Poi «Gesù fa vedere l’altra porta: “Avete il cuore indurito? Non vi ricordate quando ho spezzato i cinque pani, la porta della salvezza di Dio?». Infatti «per questa strada della discussione — dice — mai, mai si farà qualcosa di buono, sempre ci saranno divisioni, distruzione!». E continua: «Pensate alla salvezza, a quello che anche Dio ha fatto per noi, e scegliete bene!». Ma i discepoli «non capivano perché il cuore era indurito per questa passione, per questa malvagità di discutere fra loro e vedere chi era il colpevole di quella dimenticanza del pane». Francesco ha quindi esortato a prendere «questo messaggio del Signore sul serio». Con la consapevolezza che «queste non sono cose strane, non è il discorso di un marziano» ma sono invece «le cose che ogni giorno accadono nella vita». E per verificarlo, ha ripetuto, basta soltanto prendere «il giornale, niente di più!». Però, ha aggiunto, «l’uomo è capace di fare tanto bene: pensiamo a madre Teresa, per esempio, una donna del nostro tempo». Ma se «tutti noi siamo capaci di fare tanto bene» siamo altrettanto «capaci anche di distruggere nel grande e nel piccolo, nella stessa famiglia: distruggere i figli, non lasciando crescere i figli con libertà, non aiutandoli a crescere bene» e così in qualche modo annullando i figli. E considerato che «abbiamo questa capacità», per noi «è necessaria la meditazione continua: la preghiera, il confronto fra noi» proprio «per non cadere in questa malvagità che tutto distrugge». E «abbiamo la forza» per farlo, come «Gesù ci ricorda». Tanto che «oggi ci dice: “Ricordate. Ricordatevi di me, che ho versato il mio sangue per voi; ricordatevi di me che vi ho salvato, vi ho salvati tutti; ricordatevi di me, che ho la forza di accompagnarvi nel cammino della vita, non per la strada della malvagità, ma per la strada della bontà, del fare il bene agli altri; non per la strada della distruzione, ma per la strada del costruire: costruire una famiglia, costruire una città, costruire una cultura, costruire una patria, sempre di più!». La riflessione di oggi ha suggerito a Francesco di chiedere al Signore, «prima di incominciare la Quaresima», la grazia di «scegliere sempre bene la strada col suo aiuto e non lasciarci ingannare dalle seduzioni che ci porteranno sulla strada sbagliata». Il dolore dei familiari degli egiziani copti trucidati in Libia (Reuters) Le esequie del cardinale Becker Maestro di sapienza Papa Francesco ha presieduto nel pomeriggio di lunedì 16 febbraio, all’altare della cattedra della basilica vaticana, il rito dell’ultima commendatio e della valedictio al termine delle esequie del cardinale Karl Josef Becker. La messa funebre è stata celebrata dal cardinale decano, il quale ha tenuto l’omelia che pubblichiamo di seguito. Hanno concelebrato trenta cardinali, tra i quali il segretario di Stato, Parolin, e dieci presuli. Erano presenti i cardinali Martino, Coppa e Sardi. Con il Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede erano l’arcivescovo Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati, e i monsignori Wells, assessore, e Bettencourt, capo del Protocollo. Erano presenti anche la sorella e i nipoti del cardinale defunto, che è stato sepolto nella cappella dei prepositi generali dei gesuiti nel cimitero romano del Verano. di ANGELO SODANO Un dovere di riconoscenza ci ha riuniti in questa storica Basilica di San Pietro, per dare l’estremo saluto al nostro compianto cardinale Karl Josef Becker, illustre membro della Compagnia di Gesù. Egli ci ha lasciati dopo una vita tutta protesa verso quel Cristo che l’aveva “afferrato”, come un giorno aveva “afferrato” l’Apostolo Paolo (Fil 3, 17), chiamandolo a seguirlo. Oggi noi siamo riuniti in preghiera, per ringraziare il Signore per avercelo dato e per affidarlo poi nelle mani misericordiose del Padre che sta nei cieli. Alla fine della nostra Messa, il Santo Padre verrà a dargli la Benedizione finale, testimoniando così tutta la sua vicinanza a chi ci ha lasciato. Appena appresa la notizia della pia morte del nostro caro Cardinale, il Papa l'aveva già ricordato con parole commosse. In un messaggio al Preposito Generale della Compagnia di Gesù il Papa aveva già espresso tutta la sua profonda gratitudine per l’intenso ed esemplare lavoro svolto dal compianto Fratello «nell’insegnamento, nella formazione delle nuove generazioni, specialmente dei sacerdoti, come pure nel servizio alla Santa Sede». Anche per coloro che fra noi l’hanno conosciuto, il compianto cardinale rimane come una grande figura di maestro di sapienza cristiana, di quella “theologia mentis et cordis” che non solo illumina la mente, ma riscalda anche il cuore, portandoci all’incontro del Signore. A colloquio con padre Cantalamessa Un abbraccio per l’ecumenismo di NICOLA GORI Per fare passi in avanti in ambito ecumenico a volte vale di più un abbraccio, come quello tra Francesco e il patriarca Bartolomeo, che tante discussioni dottrinali. Ne ha parlato il cappuccino Raniero Cantalamessa, in questa intervista al nostro giornale, in occasione delle prediche per Quaresima, che inizieranno da venerdì 27 febbraio nella cappella Redemptoris Mater del Palazzo Apostolico, alla presenza del Papa. Il predicatore della Casa Pontificia svilupperà il tema «Due polmoni, un solo respiro. Oriente e occidente uniti nella professione della stessa fede». Perché la scelta di questo tema? L’appello a condividere in pienezza la fede che unisce Oriente e Occidente, lanciato da Francesco in occasione del recente incontro con Bartolomeo, ha fatto nascere in me il desiderio di portare un piccolo contributo alla realizzazione di questo desiderio che non è solo del Papa, ma di tutta la cristianità. Come il corpo umano, anche il corpo di Cristo, la Chiesa, secondo un’immagine cara a Giovanni Paolo II, ha due polmoni e, come nel corpo umano, essi devono respirare all’unisono. Di qui il titolo delle prediche. Lei auspica un cambiamento di linea in ambito ecumenico. Può spiegarci a cosa si riferisce? Finora, nello sforzo di promuovere l’unità tra i cristiani ha prevalso la linea di risolvere prima le differenze, per poi condividere ciò che abbiamo in comune; ora la linea che si fa sempre più strada negli ambienti ecumenici è condividere ciò che abbiamo in comune, per poi risolvere, in un clima di fraterno rispetto, le differenze. Il risultato più sorprendente di questo cambiamento di prospettiva è che le stesse reali differenze dottrinali, anziché apparire come un “errore”, o una “eresia” dell’altro, ci appaiono spesso un necessario correttivo e un arricchimento della propria posizione. Se ne è avuto un esempio, su un altro versante, con l’accordo del 1999 tra la Chiesa cattolica e la Federazione mondiale delle Chiese luterane, a proposito della giustificazione mediante la fede. Quali sono i punti di contatto e quelli che più allontanano tradizione occidentale e orientale? I grandi misteri della fede, nei quali cercherò di verificare l’accordo di fondo, pur nella diversità delle due tradizioni, sono il mistero della Trinità, la persona di Cristo, quella dello Spirito Santo e la dottrina del- la salvezza. Due polmoni, un unico respiro: sarà questa la convinzione dalla quale intendo lasciarmi guidare in tale cammino di ricognizione. Francesco parla di «differenze riconciliate»: non taciute o banalizzate, ma riconciliate. Un saggio pensatore pagano del quarto secolo, Quinto Aurelio Simmaco, ricordava una verità che acquista tutto il suo valore se applicata ai rapporti tra le diverse teologie dell’Oriente e dell’O ccidente: Uno itinere non potest perveniri ad tam grande secretum («A un mistero così grande non si può pervenire da una sola strada»). Trattandosi di semplici prediche quaresimali, è evidente che toccherò problemi così complessi senza alcuna pretesa di completezza, con un intento pratico e orientativo, più che speculativo. Su quali aspetti si potranno concentrare gli sforzi ecumenici? Nell’ambito del dialogo ecumenico ufficiale, so che il tema della Chiesa è, in questo momento, l’epicentro dell’interesse. Su di esso, la commissione Fede e costituzione, della quale fa parte anche la Chiesa cattolica, ha concentrato da tempo i suoi sforzi e ha messo a punto un documento intitolato La Chiesa: verso una visione comune che segna un notevole passo avanti nell’individuazione di quello che deve essere il dato fondamentale comune a tutti e di quelle che sono invece le caratteristiche proprie e condivisibili di ciascuna tradizione cristiana. Quanto possono influire nel cammino ecumenico gesti come la recente visita di Francesco al patriarca Bartolomeo? L’esperienza ha dimostrato che i veri «salti di qualità», nei rapporti tra Chiesa cattolica e Ortodossia, non sono stati tanto i dialoghi bilaterali, quanto due abbracci: quello no, da un giorno all’altro, solo con un abbraccio o un gesto di riconciliazione. Il cardinale Kasper, negli ultimi tempi da presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani insisteva spesso sulla necessità di un «ecumenismo spirituale» che spiani il terreno a quello dottrinale. La vita consacrata può essere un ponte di dialogo tra cattolici e ortodossi? A livello di vita consacrata, nonostante alcuni ambiti di resistenza, è in atto da tempo un fecondo scambio. Molte forme di vita religiosa e monastica di recente fondazione, Durante la Quaresima, specialmente in Frantroviamo modi concreti per superare cia, hanno attinto largamente al patrimonio la nostra indifferenza liturgico e musicale dell’Oriente. Ho appe(@Pontifex_it) na terminato di predicare un corso di esercizi spirituali in Assisi a tra Paolo VI e Atenagora e ultima- un gruppo di oltre settanta seminamente quello tra Francesco e Barto- risti di Parigi, accompagnati dai loro lomeo. Ma questa è ormai convin- formatori; era una gioia per me zione comune: l’ecumenismo dottri- ascoltare, durante le liturgie, testi e nale deve essere accompagnato, e melodie polifoniche di cui conosceanzi preceduto, da un ecumenismo vo bene l’origine orientale. Un dell’agape, cioè della carità e esempio di rapporti stretti tra dell’amicizia. È incredibile quanti Oriente e Occidente nell’ambito muri che sembravano irremovibili, monastico è, in Italia, il monastero sono crollati, come il muro di Berli- di Bose fondato da Enzo Bianchi. Nel Palazzo Apostolico Vaticano vi è un bell’affresco di Raffaello nella volta della Stanza della Segnatura Apostolica, che rappresenta la teologia con una scritta sostenuta dagli Angeli e che dice: “Divinarum rerum notitia”, notizia delle cose divine. Per il nostro cardinale la teologia era certamente «notizia delle cose divine», ma voleva essere anche «amore delle cose divine». Essa voleva essere un’anticipazione, per quanto oscura, di ciò che potremo poi conoscere con la visione di Dio nell’eternità. Nella prima lettura di questa Santa Messa abbiamo poi ascoltato le parole di Giobbe che, pur tra le sue prove, diceva agli amici: «Io vedrò Dio. Lo vedrò io stesso. I miei occhi lo contempleranno» (Giobbe, 19, 27). In realtà, è questa la fede di ogni credente. È stata questa la fede del nostro cardinale. Quante volte, spiegando ai suoi studenti il trattato De Deo uno o il trattato De Eucharistia, egli avrà anche illustrato le parole dell’Apostolo Paolo ai Corinti: «Adesso vediamo Dio attraverso uno specchio, allora lo vedremo faccia a faccia» (1 Cor 13, 9). Il Vangelo che oggi è stato proclamato ci ha poi parlato della necessità di tenere le nostre lampade sempre accese, per poter accogliere il Signore, quando venga a chiamarci. Ebbene mi sembra che il nostro caro fratello cardinale abbia atteso l’arrivo del Signore tenendo in mano la lampada ben accesa, la lampada della fede, per andare subito incontro al suo Signore. L’esempio del cardinale Becker spinga anche noi a seguirne le orme, per essere sempre pronti ad andare incontro al Signore, quando Egli venga a chiamarci. Allora gusteremo anche noi le parole del Salmo: «Gustate e vedete come sia buono il Signore. Beato l’uomo che in Lui si rifugia» (Ps 34, 9). I vigili del fuoco in festa per i santi patroni Tutti quanti lavorano in Vaticano sono tenuti a dare una testimonianza sincera e coerente della fede e del battesimo. Lo ha detto il cardinale presidente Giuseppe Bertello, celebrando martedì mattina, 17 febbraio, nella cappella del palazzo del Governatorato, la messa per la festa dei patroni del Corpo dei vigili del fuoco, santa Barbara e san Leone IV Papa. Il porporato ha anche richiamato l’attenzione a non cadere nel fariseismo e a non considerare solo l’aspetto esteriore. Hanno concelebrato, tra gli altri, il vescovo segretario generale Vérgez Alzaga, padre García de la Serrana Villalobos, e i cappellani don Pellini e padre Schiavella. Tra i presenti, il coordinatore del Corpo dei vigili del fuoco, De Angelis, e il direttore dei servizi di sicurezza e protezione civile, Giani, il quale ha spiegato che nel 2014 ci sono state 45o chiamate di pronto intervento in Vaticano e nelle zone extraterritoriali. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 mercoledì 18 febbraio 2015 «Voi giovani siete dei bravi esploratori! Nell’invitarvi a riscoprire la bellezza della vocazione umana all’amore, vi esorto anche a ribellarvi contro la diffusa tendenza» a banalizzarlo. Lo scrive Papa Francesco nel messaggio per la Giornata mondiale della gioventù 2015, che sarà celebrata a livello diocesano nella domenica delle Palme. È il secondo dei tre messaggi papali dedicati alle beatitudini evangeliche, che stanno scandendo l’itinerario di preparazione al raduno internazionale in programma a Cracovia nel 2016. Nel trentennale della giornata mondiale della gioventù Esploratori della bellezza Giovanni Paolo II interceda per il nostro pellegrinaggio verso Cracovia «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5, 8) Cari giovani, continuiamo il nostro pellegrinaggio spirituale verso Cracovia, dove nel luglio 2016 si terrà la prossima edizione internazionale della Giornata Mondiale della Gioventù. Come guida del nostro cammino abbiamo scelto le Beatitudini evangeliche. L’anno scorso abbiamo riflettuto sulla Beatitudine dei poveri in spirito, inserita nel contesto più ampio del “discorso della montagna”. Abbiamo scoperto insieme il significato rivoluzionario delle Beatitudini e il forte richiamo di Gesù a lanciarci con coraggio nell’avventura della ricerca si fanno subito notare anche nelle loro relazioni con sé stessi, l’uno con l’altro, con la natura. E sono drammatiche! La purezza delle origini è come inquinata. Da quel momento in poi l’accesso diretto alla presenza di Dio non è più possibile. Subentra la tendenza a nascondersi, l’uomo e la donna devono coprire la propria nudità. Privi della luce che proviene dalla visione del Signore, guardano la realtà che li circonda in modo distorto, miope. La “bussola” interiore che li guidava nella ricerca della felicità perde il suo punto di riferimento e i richiami del potere, del possesso e della brama del piacere a tutti i He Qi, «Road to Emmaus» della felicità. Quest’anno rifletteremo sulla sesta Beatitudine: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5, 8). 1. Il desiderio della felicità La parola beati, ossia felici, compare nove volte in questa che è la prima grande predica di Gesù (cfr. Mt 5, 1-12). È come un ritornello che ci ricorda la chiamata del Signore a percorrere insieme a Lui una strada che, nonostante tutte le sfide, è la via della vera felicità. Sì, cari giovani, la ricerca della felicità è comune a tutte le persone di tutti i tempi e di tutte le età. Dio ha deposto nel cuore di ogni uomo e di ogni donna un desiderio irreprimibile di felicità, di pienezza. Non avvertite che i vostri cuori sono inquieti e in continua ricerca di un bene che possa saziare la loro sete d’infinito? I primi capitoli del Libro della Genesi ci presentano la splendida beatitudine alla quale siamo chiamati e che consiste in comunione perfetta con Dio, con gli altri, con la natura, con noi stessi. Il libero accesso a Dio, alla sua intimità e visione era presente nel progetto di Dio per l’umanità dalle sue origini e faceva sì che la luce divina permeasse di verità e trasparenza tutte le relazioni umane. In questo stato di purezza originale non esistevano “maschere”, sotterfugi, motivi per nascondersi gli uni agli altri. Tutto era limpido e chiaro. Quando l’uomo e la donna cedono alla tentazione e rompono la relazione di fiduciosa comunione con Dio, il peccato entra nella storia umana (cfr. Gen 3). Le conseguenze costi li portano nel baratro della tristezza e dell’angoscia. Nei Salmi troviamo il grido che l’umanità rivolge a Dio dal profondo dell’anima: «Chi ci farà vedere il bene, se da noi, Signore, è fuggita la luce del tuo volto?» (Sal 4, 7). Il Padre, nella sua infinita bontà, risponde a questa supplica inviando il suo Figlio. In Gesù, Dio assume un volto umano. Con la sua incarnazione, vita, morte e risurrezione Egli ci redime dal peccato e ci apre orizzonti nuovi, finora impensabili. E così, in Cristo, cari giovani, si trova il pieno compimento dei vostri sogni di bontà e felicità. Lui solo può soddisfare le vostre attese tante volte deluse dalle false promesse mondane. Come disse san Giovanni Paolo II: «è Lui la bellezza che tanto vi attrae; è Lui che vi provoca con quella sete di radicalità che non vi permette di adattarvi al compromesso; è Lui che vi spinge a deporre le maschere che rendono falsa la vita; è Lui che vi legge nel cuore le decisioni più vere che altri vorrebbero soffocare. È Gesù che suscita in voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande» (Veglia di preghiera a Tor Vergata, 19 agosto 2000: Insegnamenti XXIII/2, [2000], 212). 2. Beati i puri di cuore... Adesso cerchiamo di approfondire come questa beatitudine passi attraverso la purezza del cuore. Prima di tutto dobbiamo capire il significato biblico della parola cuore. Per la cultura ebraica il cuore è il centro dei sentimenti, dei pensieri e delle intenzioni della persona umana. Se la Bibbia ci insegna che Dio non vede le apparenze, ma il cuore (cfr. 1 Sam 16, 7), possiamo dire anche che è a partire dal nostro cuore che possiamo vedere Dio. Questo perché il cuore riassume l’essere umano nella sua totalità e unità di corpo e anima, nella sua capacità di amare ed essere amato. Per quanto riguarda invece la definizione di “puro”, la parola greca utilizzata dall’evangelista Matteo è katharos e significa fondamentalmente pulito, limpido, libero da sostanze contaminanti. Nel Vangelo vediamo Gesù scardinare una certa concezione della purezza rituale legata all’esteriorità, che vietava ogni contatto con cose e persone (tra cui i lebbrosi e gli stranieri), considerati impuri. Ai farisei che, come tanti giudei di quel tempo, non mangiavano senza aver fatto le abluzioni e osservavano numerose tradizioni legate al lavaggio di oggetti, Gesù dice in modo categorico: «Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza» (Mc 7, 15.21-22). In che consiste dunque la felicità che scaturisce da un cuore puro? A partire dall’elenco dei mali che rendono l’uomo impuro, enumerati da Gesù, vediamo che la questione tocca soprattutto il campo delle nostre relazioni. Ognuno di noi deve imparare a discernere ciò che può “inquinare” il suo cuore, formarsi una coscienza retta e sensibile, capace di «discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (Rm 12, 2). Se è necessaria una sana attenzione per la custodia del creato, per la purezza dell’aria, dell’acqua e del cibo, tanto più dobbiamo custodire la purezza di ciò che abbiamo di più prezioso: i nostri cuori e le nostre relazioni. Questa “ecologia umana” ci aiuterà a respirare l’aria pura che proviene dalle cose belle, dall’amore vero, dalla santità. Una volta vi ho posto la domanda: Dov’è il vostro tesoro? Su quale tesoro riposa il vostro cuore? (cfr. Intervista con alcuni giovani del Belgio, 31 marzo 2014). Sì, i nostri cuori possono attaccarsi a veri o falsi tesori, possono trovare un riposo autentico oppure addormentarsi, diventando pigri e intorpiditi. Il bene più prezioso che possiamo avere nella vita è la nostra relazione con Dio. Ne siete convinti? Siete consapevoli del valore inestimabile che avete agli occhi di Dio? Sapete di essere amati e accolti da Lui in modo incondizionato, così come siete? Quando questa percezione viene meno, l’essere umano diventa un enigma incomprensibile, perché proprio il sapere di essere amati da Dio incondizionatamente dà senso alla nostra vita. Ricordate il colloquio di Gesù con il giovane ricco (cfr. Mc 10, 17-22)? L’evangelista Marco nota che il Signore fissò lo sguardo su di lui e lo amò (cfr. v. 21), invitandolo poi a seguirlo per trovare il vero tesoro. Vi auguro, cari giovani, che questo sguardo di Cristo, pieno di amore, vi accompagni per tutta la vostra vita. Il periodo della giovinezza è quello in cui sboccia la grande ricchezza affettiva presente nei vostri cuori, il desiderio profondo di un amore ve- di divieti che soffocano i nostri desideri di felicità, ma in un progetto di vita capace di affascinare i nostri cuori! 3. ... perché vedranno Dio ro, bello e grande. Quanta forza c’è in questa capacità di amare ed essere amati! Non permettete che questo valore prezioso sia falsato, distrutto o deturpato. Questo succede quando nelle nostre relazioni subentra la strumentalizzazione del prossimo per i propri fini egoistici, talvolta come puro oggetto di piacere. Il cuore rimane ferito e triste in seguito a queste esperienze negative. Vi prego: non abbiate paura di un amore vero, quello che ci insegna Gesù e che san Paolo delinea così: «La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine» (1 Cor 13, 4-8). Nell’invitarvi a riscoprire la bellezza della vocazione umana all’amore, vi esorto anche a ribellarvi contro la diffusa tendenza a banalizzare l’amore, soprattutto quando si cerca di ridurlo solamente all’aspetto sessuale, svincolandolo così dalle sue essenziali caratteristiche di bellezza, comunione, fedeltà e responsabilità. Cari giovani, «nella cultura del provvisorio, del relativo, molti predicano che l’importante è “godere” il momento, che non vale la pena di impegnarsi per tutta la vita, di fare scelte definitive, “per sempre”, perché non si sa cosa riserva il domani. Io, invece, vi chiedo di essere rivoluzionari, vi chiedo di andare controcorrente; sì, in questo vi chiedo di ribellarvi a questa cultura del provvisorio, che, in fondo, crede che voi Nel cuore di ogni uomo e di ogni donna risuona continuamente l’invito del Signore: «Cercate il mio volto!» (Sal 27, 8). Allo stesso tempo ci dobbiamo sempre confrontare con la nostra povera condizione di peccatori. È quanto leggiamo per esempio nel Libro dei Salmi: «Chi potrà salire il monte del Signore? Chi potrà stare nel suo luogo santo? Chi ha mani innocenti e cuore puro» (Sal 24, 3-4). Ma non dobbiamo avere paura né scoraggiarci: nella Bibbia e nella storia di ognuno di noi vediamo che è sempre Dio che fa il primo passo. È Lui che ci purifica affinché possiamo essere ammessi alla sua presenza. Il profeta Isaia, quando ricevette la chiamata del Signore a parlare nel suo nome, si spaventò e disse: «Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono» (Is 6, 5). Eppure il Signore lo purificò, inviandogli un angelo che toccò la sua bocca e gli disse: «È scomparsa la tua colpa e il tuo peccato è espiato» (v. 7). Nel Nuovo Testamento, quando sul lago di Gennèsaret Gesù chiamò i suoi primi discepoli e compì il prodigio della pesca miracolosa, Simon Pietro cadde ai suoi piedi dicendo: «Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore» (Lc 5, 8). La risposta non si fece aspettare: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini» (v. 10). E quando uno dei discepoli di Gesù gli chiese: «Signore, mostraci il Padre e ci basta», il Maestro rispose: «Chi ha visto me, ha visto il Padre» (Gv 14, 89). L’invito del Signore a incontrarlo è rivolto perciò ad ognuno di voi, in qualsiasi luogo e situazione si trovi. Basta «prendere la decisione di lasciarsi incontrare da Lui, di cercarlo ogni giorno senza sosta. Non c’è motivo per cui qualcuno possa pen- non siate in grado di assumervi responsabilità, crede che voi non siate capaci di amare veramente. Io ho fiducia in voi giovani e prego per voi. Abbiate il coraggio di andare controcorrente. E abbiate il coraggio anche di essere felici» (Incontro con i volontari alla GMG di Rio, 28 luglio 2013). Voi giovani siete dei bravi esploratori! Se vi lanciate alla scoperta del ricco insegnamento della Chiesa in questo campo, scoprirete che il cristianesimo non consiste in una serie sare che questo invito non è per lui» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 3). Siamo tutti peccatori, bisognosi di essere purificati dal Signore. Ma basta fare un piccolo passo verso Gesù per scoprire che Lui ci aspetta sempre con le braccia aperte, in particolare nel Sacramento della Riconciliazione, occasione privilegiata di incontro con la misericordia divina che purifica e ricrea i nostri cuori. Sì, cari giovani, il Signore vuole incontrarci, lasciarsi “vedere” da noi. “E come?” – mi potrete domandare. Anche santa Teresa d’Avila, nata in Spagna proprio 500 anni fa, già da piccola diceva ai suoi genitori: «Voglio vedere Dio». Poi ha scoperto la via della preghiera come «un intimo rapporto di amicizia con Colui dal quale ci sentiamo amati» (Libro della vita, 8, 5). Per questo vi domando: voi pregate? Sapete che potete parlare con Gesù, con il Padre, con lo Spirito Santo, come si parla con un amico? E non un amico qualsiasi, ma il vostro migliore e più fidato amico! Provate a farlo, con semplicità. Scoprirete quello che un contadino di Ars diceva al santo Curato del suo paese: quando sono in preghiera davanti al Tabernacolo, «io lo guardo e lui mi guarda» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2715). Ancora una volta vi invito a incontrare il Signore leggendo frequentemente la Sacra Scrittura. Se non avete ancora l’abitudine, iniziate dai Vangeli. Leggete ogni giorno un brano. Lasciate che la Parola di Dio parli ai vostri cuori, illumini i vostri passi (cfr. Sal 119, 105). Scoprirete che si può “vedere” Dio anche nel volto dei fratelli, specialmente quelli più dimenticati: i poveri, gli affamati, gli assetati, gli stranieri, gli ammalati, i carcerati (cfr. Mt 25, 31-46). Ne avete mai fatto esperienza? Cari giovani, per entrare nella logica del Regno di Dio bisogna riconoscersi poveri con i poveri. Un cuore puro è necessariamente anche un cuore spogliato, che sa abbassarsi e condividere la propria vita con i più bisognosi. L’incontro con Dio nella preghiera, attraverso la lettura della Bibbia e nella vita fraterna vi aiuterà a conoscere meglio il Signore e voi stessi. Come accadde ai discepoli di Emmaus (cfr. Lc 24, 13-35), la voce di Gesù farà ardere i vostri cuori e si apriranno i vostri occhi per riconoscere la sua presenza nella vostra storia, scoprendo così il progetto d’amore che Lui ha per la vostra vita. Alcuni di voi sentono o sentiranno la chiamata del Signore al matrimonio, a formare una famiglia. Molti oggi pensano che questa vocazione sia “fuori moda”, ma non è vero! Proprio per questo motivo, l’intera Comunità ecclesiale sta vivendo un periodo speciale di riflessione sulla vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo. Inoltre, vi invito a considerare la chiamata alla vita consacrata o al sacerdozio. Quanto è bello vedere giovani che abbracciano la vocazione di donarsi pienamente a Cristo e al servizio della sua Chiesa! Interrogatevi con animo puro e non abbiate paura di quello che Dio vi chiede! A partire dal vostro “sì” alla chiamata del Signore diventerete nuovi semi di speranza nella Chiesa e nella società. Non dimenticate: la volontà di Dio è la nostra felicità! 4. In cammino verso Cracovia «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5, 8). Cari giovani, come vedete, questa Beatitudine tocca molto da vicino la vostra esistenza ed è una garanzia della vostra felicità. Perciò vi ripeto ancora una volta: abbiate il coraggio di essere felici! La Giornata Mondiale della Gioventù di quest’anno conduce all’ultima tappa del cammino di preparazione verso il prossimo grande appuntamento mondiale dei giovani a Cracovia, nel 2016. Proprio trent’anni fa san Giovanni Paolo II istituì nella Chiesa le Giornate Mondiali della Gioventù. Questo pellegrinaggio giovanile attraverso i continenti sotto la guida del Successore di Pietro è stata veramente un’iniziativa provvidenziale e profetica. Ringraziamo insieme il Signore per i preziosi frutti che essa ha portato nella vita di tanti giovani in tutto il pianeta! Quante scoperte importanti, soprattutto quella di Cristo Via, Verità e Vita, e della Chiesa come una grande e accogliente famiglia! Quanti cambiamenti di vita, quante scelte vocazionali sono scaturiti da questi raduni! Il santo Pontefice, Patrono delle GMG, interceda per il nostro pellegrinaggio verso la sua Cracovia. E lo sguardo materno della Beata Vergine Maria, la piena di grazia, tutta bella e tutta pura, ci accompagni in questo cammino. Dal Vaticano, 31 gennaio 2015 Memoria di san Giovanni Bosco
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