L`OSSERVATORE ROMANO

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L’OSSERVATORE ROMANO
POLITICO RELIGIOSO
GIORNALE QUOTIDIANO
Non praevalebunt
Unicuique suum
Anno CLV n. 39 (46.877)
Città del Vaticano
mercoledì 18 febbraio 2015
.
Il Papa offre la messa a Santa Marta per i ventuno copti brutalmente assassinati «per il solo motivo di essere cristiani»
Ecumenismo del sangue
Come martiri
La forza
del nome
E in una conversazione telefonica con Tawadros
II
manifesta profonda partecipazione al dolore
di MANUEL NIN
«Offriamo questa messa per i nostri
ventuno fratelli copti, sgozzati per il
solo motivo di essere cristiani». Lo
ha detto Papa Francesco nella celebrazione presieduta martedì 17 febbraio nella cappella della Casa Santa
Marta. «Preghiamo per loro — ha
aggiunto — che il Signore come martiri li accolga, per le loro famiglie,
per il mio fratello Tawadros che soffre tanto». E proprio con il patriarca
della Chiesa ortodossa copta, Tawadros II, il Papa ha parlato personalmente al telefono nel pomeriggio di
lunedì, manifestandogli la sua profonda partecipazione al dolore per il
barbaro assassinio compiuto dai fondamentalisti islamici.
Anche i membri della Congregazione per le Chiese Orientali hanno
voluto unirsi alle espressioni di cordoglio che Papa «Francesco ha rivolto a Sua Santità Tawadros e a
tutto il popolo egiziano». Lo rende
noto un comunicato del dicastero in
occasione della sessione ordinaria di
questa mattina, martedì 17, alla presenza di Sua Beatitudine Ibrahim
Sidrak, patriarca copto cattolico. Il
comunicato si chiude auspicando la
«conversione del cuore dei violenti,
sagge decisioni in seno alla comunità delle Nazioni e il ritorno a una
serena convivenza e a una pace duratura» per i popoli del Medio
Oriente e dell’Ucraina. Auspici di
pace che erano risuonati nella stessa
omelia del Papa a Santa Marta.
Commentando la liturgia del giorno,
il Pontefice ha invitato a «pensare
«quella voglia di autonomia» che
porta a dire: «Io faccio quello che
voglio». E così facendo «nelle guerre, nel traffico delle armi» gli uomini diventano «imprenditori di morte». Al punto che, ha aggiunto «ci
alla capacità di distruzione che ha
l’uomo», perché esso «è capace di
distruggere tutto quello che Dio ha
fatto». Infatti, ha spiegato, «dal
cuore dell’uomo escono tutte le malvagità», le quali scaturiscono da
sono i Paesi che vendono le armi a
questo, che è in guerra con questo, e
le vendono anche a questo, perché
così continui la guerra».
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Nel trentennale della giornata mondiale della gioventù
Esploratori della bellezza
«Voi giovani siete dei bravi esploratori... Nell’invitarvi a riscoprire
la bellezza della vocazione umana
all’amore, vi esorto anche a ribellarvi contro la diffusa tendenza»
a banalizzarlo. Lo scrive il Papa
nel messaggio per la giornata
mondiale della gioventù, che sarà
celebrata a livello diocesano nella
domenica delle Palme. È il secondo dei tre messaggi dedicati alle
beatitudini evangeliche, che stanno scandendo la preparazione al
raduno internazionale in programma in Polonia nel 2016.
«Trent’anni fa — ricorda Francesco — Giovanni Paolo II istituì le
Giornate Mondiali della Gioventù. Il santo Pontefice, Patrono
delle GMG, interceda per il nostro
pellegrinaggio verso Cracovia».
n pomeriggio, passeggiando per Roma, cercavo delle
bancarelle di fiorai. Da
sempre amo i cactus, queste piante
belle e sobrie, portate a una vita
quasi ascetica tra la sabbia del deserto, piante austere anche nella
fioritura: rari e pochissimi fiori ma
di una bellezza unica. La ricerca
mi portò quasi per caso da un fioraio dai tratti medio-orientali. Mi
accorsi che portava tatuata sul dorso della mano una piccola croce e
gli chiesi se era cristiano. Mi disse
che era copto ortodosso e che si
chiamava Scenute.
Di fronte al martirio dei copti in
Libia, con accorate parole il Papa
ha alzato ancora una volta la voce
per annunciare, quasi fosse una
professione di fede, l’ecumenismo
del sangue: «Dicevano solamente:
“Gesù aiutami”. Sono stati assassi-
U
giorni hanno lodato il Signore.
Monaci e monache, padri e madri
del deserto, padri e madri dei martiri, che nel deserto dell’Egitto hanno cercato il solo e l’unico, nella
comunione con gli uomini. Uomini
e donne che lungo il Nilo hanno
vissuto e vivono nella comunione
con il Signore e con i fratelli. La
Chiesa copta, nata e cresciuta attorno ai monaci e agli asceti, nella
scia di Antonio, Pacomio, Scenute.
E nella scia di tanti martiri fino ai
nostri giorni: uomini, donne, bambini, in Egitto e in Libia. Uomini e
donne inermi, ma fermi unicamente nella forza del nome di Gesù.
Una notizia di agenzia ha enumerato i nomi dei martiri copti della Libia: Milad, Youssif, Kirillos,
Tawadros, Giorgios, Bishoi e tanti
altri. Nomi legati a santi martiri e
vescovi della Chiesa copta delle
origini, nomi della Chiesa copta di
oggi, nomi del martirologio del
PAGINA 8
El Sissi lancia nuove missioni aeree contro postazioni dell’Is
Il Cairo chiede l’intervento internazionale in Libia
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IL CAIRO, 17. Il presidente egiziano,
Abdel Fattah El Sissi, appoggiando
la posizione già espressa dal presidente francese, François Hollande,
ha chiesto oggi che il Consiglio di
sicurezza dell’Onu approvi una risoluzione che autorizzi un intervento
internazionale in Libia per contrastare l’avanzata del cosiddetto Stato
islamico (Is) e stabilizzare il Paese.
Il capo dello Stato egiziano ha parlato della sua richiesta in un’intervista rilasciata a una radio francese,
confermando così l’ulteriore consolidamento dell’asse tra Parigi e Il Cairo. «Non ci sono altre scelte, tenendo in considerazione l’accordo del
popolo libico e del Governo, che ci
hanno chiesto di agire» ha dichiarato il presidente egiziano.
Il Cairo ha ordinato nuove missioni aeree in territorio libico contro
postazioni dell’Is. Secondo alcuni
media egiziani, che citano fonti ufficiali libiche, altri sette raid con «decine di morti» sono stati compiuti
dall’aviazione egiziana contro postazioni strategiche dell’Is a Derna. Il
ministro degli Esteri egiziano, Sameh
Shoukry,
in
un’intervista
all’emittente «Al Arabiya», ha ribadito che i raid aerei condotti sulle
postazioni dell’Is in Libia sono giustificati
dal
diritto
dell’Egitto
«all’autodifesa» e che continueranno. «Dopo la diffusione del video
erano necessari un attacco e una reazione» ha affermato Shoukry, riferendosi al filmato diffuso in rete due
giorni fa che mostra l’esecuzione di
ventuno cittadini copti egiziani da
parte dei miliziani. I raid «fanno
parte del diritto dell’Egitto all’autodifesa per proteggere i nostri bambini» ha aggiunto il ministro.
Franz Ehrle e Giovanni Mercati
alla Biblioteca Vaticana
I cataloghi
prima di tutto
PAOLO VIAN
A PAGINA
5
Intanto, Abdullah Al Thani, il
premier del Governo libico riconosciuto dalla comunità internazionale,
ha chiesto ieri all’Occidente di sferrare un’offensiva aerea per stanare i
jihadisti, altrimenti «la minaccia arriverà in Italia». E in base ad alcune
intercettazioni ritenute attendibili, i
jihadisti dell’Is sarebbero pronti ad
usare l’immigrazione come arma psicologica, lasciando andare alla deriva centinaia di barconi carichi di
profughi, non appena l’Italia dovesse approvare l’intervento armato.
Nelle ultime ore, comunque, la situazione migratoria nel Mediterraneo, e in particolare al largo della
Libia, resta molto problematica.
Sul fronte diplomatico, l’Alto rappresentante per la politica estera e di
sicurezza comune dell’Unione europea, Federica Mogherini, ha annunciato che incontrerà le autorità egiziane e statunitensi questa settimana
per discutere di una possibile strategia comune in Libia. Mogherini al
momento ha comunque scartato
l’ipotesi di un qualsiasi ruolo militare per l’Ue.
Il pericolo maggiore, adesso, è
che l’acuirsi dei combattimenti possa
produrre un ulteriore peggioramento
della situazione nel Paese arabo, già
segnato da caos e violenza. Lo ha
sottolineato l’inviato speciale delle
Nazioni Unite in Libia, Bernardino
León, secondo il quale la crisi è ancora «gestibile, ma la comunità internazionale deve agire rapidamente». Secondo León, lo scenario attuale in Libia «non è paragonabile a
quello in Siria e Iraq». La questione
principale è la necessità che le fazioni libiche trovino un accordo rapidamente. Altrimenti sarà molto difficile
farlo in seguito. Credo — ha concluso l’inviato dell’Onu — che i gruppi
libici devono essere consapevoli
dell’enorme minaccia rappresentata
dall’Is». Per il segretario generale
dell’Onu, Ban Ki-moon, il dialogo
interno è «la possibilità migliore per
aiutare la Libia a uscire dalla crisi in
cui si trova».
Reciproche accuse tra Kiev e ribelli
Vacilla la tregua nell’est ucraino
KIEV, 17. Vacilla la tregua nell’est
dell’Ucraina, dove ribelli filorussi e
forze armate di Kiev non hanno ancora rispettato i termini per l’inizio
del ritiro delle armi pesanti. In base
agli accordi di Minsk della scorsa
settimana, il ritiro delle armi sarebbe dovuto iniziare oggi per creare
entro quattordici giorni una zona di
sicurezza. La creazione di questa
zona — che dovrebbe essere larga
tra cinquanta e centoquaranta chilometri, a seconda della gittata dei
pezzi di artiglieria e dei lanciarazzi
— è messa in dubbio dal mancato
rispetto della tregua in alcune aree
del Donbass, in particolare a Debaltseve, con reciproci scambi di accuse fra le due parti di avere violato
il cessate il fuoco.
Oltre ai combattimenti nella zona di Debaltseve, dove migliaia di
soldati ucraini sono circondati dai
filorussi, scontri e bombardamenti
— più o meno sporadici — si registrano anche in altre aree. Un portavoce dell’autoproclamata repubblica di Donetsk, Eduard Basurin,
non ha escluso che il ritiro delle armi pesanti possa iniziare in certi
punti della linea di contatto, dove
le parti hanno già cessato il fuoco.
Oggi dovrebbe svolgersi una conferenza del gruppo di contatto (KievMosca-Osce-separatisti) per cercare
di risolvere la situazione.
Nulla di fatto all’Eurogruppo nelle trattative sul debito greco
Muro contro muro
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Cristo e san Mina (icona copta,
nati per il solo fatto di essere cristiani» e il loro sangue «è una testimonianza che grida». In questo
modo Francesco ha riproposto il
cammino dei cristiani di diverse
confessioni, non ancora attorno
all’unico pane e all’unico calice, ma
già attorno all’unico sangue versato
per Cristo, per rendere testimonianza dell’unico Signore.
Il Pontefice ha ricordato come
l’unica parola uscita dalla bocca
dei martiri copti è stata «Gesù,
aiutami», quasi un’eco della preghiera del cuore delle tradizioni, la
preghiera di Gesù ripetuta da innumerevoli cristiani che invocano
l’unico nome in cui abbiamo la salvezza. Questa è stata la preghiera
dei martiri copti, nel momento in
cui hanno reso testimonianza della
loro fede, in comunione con
quell’invocazione del nome di Cristo Gesù, la stessa preghiera che
lungo i secoli è stata ed è l’invocazione quotidiana e continua di tanti uomini e donne cristiani, monaci
e monache, pellegrini, martiri che
lo invocano con fede: «Signore
Gesù Cristo, figlio di Dio, abbi
pietà di me peccatore». L’invocazione del nome che sulle labbra dei
martiri copti, di tanti martiri cristiani dei nostri giorni, si riduce
all’essenziale, invocando colui che
dà loro la forza: «Gesù, aiutami».
La Chiesa copta, che dal II secolo in poi ha dato vita a una letteratura cristiana importante, a una
linfa e a una vita che si esprime
nella lingua degli antichi egiziani
diventata lingua cristiana, il copto,
parlata da milioni di cristiani in
Egitto, copti ortodossi e cattolici,
che lungo i secoli fino ai nostri
VI
secolo)
sangue comune a tutte le Chiese
cristiane, patrimonio, forza e vanto
di tutti i cristiani. Leggendo i sinassari e i martirologi di diverse
tradizioni cristiane ci si accorge come i santi martiri dei primi secoli
sono patrimonio comune a tutte le
Chiese, senza distinzione di origine, attraverso vicende storiche diverse. E anche i nuovi martiri,
dall’Iraq e dalla Siria fino all’Egitto e alla Libia, dall’Asia all’Africa,
scrivono col sangue il loro nome
nel sinassario e nel martirologio di
tutti coloro che invocano il nome
del Signore Gesù Cristo, vita e salvezza dei martiri.
Questa mattina, finito il mattutino quaresimale nel Collegio greco,
sono andato a trovare il fioraio
Scenute per dirgli che gli ero vicino. E condividendo con lui l’ecumenismo del sangue, gli ho ripetuto le parole di Papa Francesco: «Il
sangue è lo stesso» e «testimonia
Cristo».
NOSTRE
INFORMAZIONI
Il Santo Padre ha nominato
Nunzio Apostolico in Australia
Sua Eccellenza Reverendissima
Monsignor Adolfo Tito Yllana,
Arcivescovo titolare di Montecorvino, finora Nunzio Apostolico nella Repubblica Democratica del Congo.
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mercoledì 18 febbraio 2015
Nulla di fatto all’Eurogruppo nelle trattative sul debito greco
Muro contro muro
Nuovo incontro fissato per venerdì
ATENE, 17. È muro contro muro tra
Grecia ed Eurogruppo, con i ministri che perdono la pazienza e lanciano un ultimatum ad Atene. Il
Governo Tsipras ha fino a venerdì
per decidere se vuole un’estensione
dell’attuale programma di aiuti oppure se preferisce essere lasciato solo
a se stesso, con le scadenze che da
marzo non potrà onorare. Se non
chiederà l’estensione del programma, infatti, Atene non potrà più
contare nemmeno sul Fondo monetario internazionale (Fmi), che senza
programma — e quindi controllo —
europeo, chiuderà i cordoni della
borsa. Ma nonostante i toni duri,
per il ministro dell’Economia italiano, Pier Carlo Padoan, non c’è alcun rischio di un’uscita della Grecia
dalla moneta unica. Insomma, le
condizioni di dialogo ci sono.
L’Eurogruppo ha rimesso di nuovo sul tavolo la proposta di
un’estensione del programma di aiuti, suscitando le perplessità greche,
esattamente come mercoledì scorso,
nel precedente Eurogruppo. Per il
Governo Tsipras, le condizioni europee sono «assurde, inaccettabili: siamo stati eletti proprio per cambiare
il programma, non per portarlo a
termine». In particolare, la richiesta
ellenica è quella di un prestito ponte
fino ad agosto per avere il tempo
necessario alla costituzione di un
nuovo piano. Ma per l’Europa non
c’è alcuna alternativa all’estensione
del programma attuale: «L’estensione è l’unica strada», ha detto senza
mezzi termini il commissario agli
Affari economici e monetari, Pierre
Moscovici, che ha quindi invitato i
greci a essere «logici e non ideologici», perché il problema non è la fraseologia, bensì trovare «un terreno
comune».
La situazione, comunque, non è
affatto facile. Il prossimo 28 febbraio è il giorno in cui scade l’attuale piano di salvataggio da 172 miliardi di euro e senza un accordo con i
creditori internazionali, Atene rischia a marzo di ritrovarsi con le
casse vuote, le banche a picco e sulla strada verso l’uscita dall’eurozona,
dovendo rimborsare 4,3 miliardi di
debiti. Il Governo Tsipras chiede
inoltre di ridurre l’obiettivo — fissato
dall’Ue — del surplus di bilancio per
quest’anno dal tre per cento all’1,5 e
per il 2016 dal 4,5 all’1,5 in modo da
avere maggiori margini di manovra
per rilanciare la crescita. Il pil (prodotto interno lordo) greco nel quarto trimestre del 2014 ha segnato una
contrazione a sorpresa dello 0,2 per
cento contro stime per una crescita
dello 0,4. «Indirizzeremo il processo
di revisione in corso e valuteremo se
alcuni o larga parte degli impegni
Vladimir Putin
a Budapest
per colloqui sul gas
BUDAPEST, 17. Il presidente della
Russia, Vladimir Putin, è oggi a Budapest in visita ufficiale, un ulteriore
segnale — indicano gli osservatori —
dell’avvicinamento dell’Ungheria a
Mosca. Come fa sapere l’ufficio
stampa del Cremlino, Putin — oltre
al primo ministro, Viktor Orbán,
considerato dagli analisti un importante partner della Russia in Europa, vedrà anche il presidente, János
Áder. La visita sarà incentrata soprattutto sulla sicurezza energetica,
dopo che Mosca ha deciso di abbandonare il progetto South Stream,
e arriva a due settimane dalla missione diplomatica a Budapest del
cancelliere tedesco, Angela Merkel.
«Il nostro obiettivo è una cooperazione con la Russia, nel rispetto
del diritto internazionale e sulla base di un partenariato pragmatico,
per poter concludere accordi utili
per la nostra sicurezza energetica»,
ha detto alla stampa il ministro degli Esteri ungherese, Péter Szijjártó.
Un nuovo contratto per l’approvvigionamento del gas naturale in
Ungheria sarà infatti il tema principale della visita di Putin. Il contratto attuale di dieci anni scade, infatti,
nel 2015. «L’Ungheria è ancora un
mercato significativo per i nostri
idrocarburi e come potenziale Paese
di transito», ha spiegato ai giornalisti il consigliere presidenziale russo,
Yuri Ushakov, riferendosi al nuovo
progetto di gasdotto alternativo al
South Stream diretto verso la Turchia.
Nei mesi scorsi, Orbán aveva concluso un accordo con Mosca per la
costruzione di nuovi reattori nella
centrale nucleare di Paks, con un
credito russo di 10 miliardi di euro.
L’opposizione ha aspramente criticato questa intesa e l’eventuale
apertura a est. “No alla Russia, si
all’Europa!” è stato infatti lo slogan
di una manifestazione di ieri di protesta nella capitale contro la visita
del presidente russo.
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presi siano stati implementati o meno» ha spiegato il direttore generale
dell’Fmi, Christine Lagarde.
I tentativi di avvicinare le parti,
ieri, prima dell’inizio ufficiale della
riunione, sono stati molti. Il ministro greco delle Finanze, Yanis Varoufakis, ha incontrato il presidente
della Commissione Ue, Jean-Claude
Juncker, e poi anche il presidente
della Bce, Mario Draghi. Ma —
stando alle parole del ministro ellenico — solo l’incontro con Moscovici
gli aveva fatto ben sperare: il commissario gli aveva infatti sottoposto
una bozza di comunicato che conteneva elementi condivisibili, ossia un
piano intermedio invece di un’estensione, il controllo della Commissione invece della Troika. A quelle condizioni, ha spiegato il ministro, sarebbe stato pronto a firmare subito.
Ma una volta nella sala del vertice,
con gli altri 18 partner, è stata proposta e discussa una bozza differente, «che ci portava indietro a mercoledì scorso» ha detto Varoufakis.
Secondo il presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, «c’è
tempo e spazio per un accordo con
la Grecia sull’estensione del programma attuale» e da parte dell’eurozona «non c’è alcuna intenzione
di convocare un vertice dei capi di
Stato e di Governo» della moneta
unica per affrontare la questione.
«Sulle parole come “ponte” ed
“estensione” si può sempre trovare
una soluzione, ma ci deve essere un
impegno da parte della Grecia ad
accettare le principali caratteristiche
del programma: questo non può deragliare, ma deve restare ampiamente sui binari». Non è quindi una
questione di parole: bisogna tenere
ferme certe condizioni di fondo.
Il nuovo appuntamento dell’Eurogruppo deve tenersi al massimo venerdì, perché altrimenti non ci sarebbero i tempi tecnici per far approvare un’estensione del programma a quei Paesi che devono sottoporla ai loro Parlamenti, come Germania e Finlandia. «Sono sicuro
che, come sempre, dall’impasse di
oggi l’Europa riuscirà a tirare fuori
un accordo onorevole entro un paio
di giorni» ha detto Varoufakis.
Il killer non faceva parte di una cellula terroristica
Resta alta l’allerta a Copenaghen
Manifestazione in ricordo delle vittime
COPENAGHEN, 17. Proseguono in
Danimarca le ricerche per fare luce
sugli attentati di sabato scorso contro un centro culturale e una sinagoga. L’allerta resta alta: questa
mattina un pacco sospetto è stato
trovato fuori dal caffè dove il killer
ha ucciso, nel primo attacco, un
uomo e ha ferito tre agenti. La polizia ha evacuato la zona.
Il premier danese Helle Thorning-Schmidt ha detto ieri che
niente indica che il giovane killer,
ucciso dalla polizia poco dopo la
seconda strage, facesse parte di
«una cellula terroristica più ampia». Insomma, si sarebbe trattato
di un “lupo solitario”, anche se la
matrice del gesto era chiaramente
terroristica. La premier danese ha
poi sostenuto che quello in corso
«è un conflitto tra i valori fondanti
della nostra società e violenti estremisti». Nell’ambito delle indagini,
comunque, due persone sono state
arrestate: avrebbero aiutato il giovane killer nella fuga, ma non possono ritenersi a tutti gli effetti complici. I due uomini sono «accusati
di aver aiutato con consigli e azioni
il responsabile delle sparatorie» ha
detto la polizia.
Tuttavia, ieri a Copenaghen è
stata soprattutto la giornata del do-
lore e del ricordo delle due vittime.
Decine di migliaia di danesi sono
scesi in piazza. La grande manifestazione doveva tenersi nei dintorni
dei luoghi degli attentati, ma la polizia — dato l’alto numero di dimostranti — ha deciso di farli convergere nell’area centrale della capitale
danese.
Un messaggio è stato rivolto dal
premier Thorning-Schmidt anche
alla comunità ebraica, che «è stata
in questo Paese per secoli: gli ebrei
appartengono alla Danimarca, sono
parte della comunità danese e non
sarebbe lo stesso senza la comunità
ebraica in Danimarca».
Sull’antisemitismo e la sicurezza
degli ebrei sono intervenuti ieri anche il cancelliere tedesco, Angela
Merkel, e il premier francese, Manuel Valls. «Desideriamo che gli
ebrei che vivono in Germania continuino a viverci e bene», ha detto
Merkel. Il premier francese ha invece chiesto una grande mobilitazione contro il terrorismo e l’antisemitismo. Valls si è recato davanti
all’ambasciata danese a Parigi, dove
ha deposto un mazzo di fiori e ha
reso omaggio, con un momento di
raccoglimento, alle vittime. «La
Francia è ferita come voi e si augura che non ve ne andiate», ha ripetuto Valls, rivolgendosi alla comunità ebraica.
Avviata la missione di senatori democratici a Cuba
Passi in avanti
tra Washington e L’Avana
L’AVANA, 17. Passi in avanti nel processo di normalizzazione dei rapporti tra Stati Uniti e Cuba. Si è
tenuto ieri all’Avana un incontro tra
il ministro degli Esteri cubano, Bruno Rodríguez, e una delegazione di
senatori democratici americani. Nel
corso dell’incontro, il ministro cubano e i senatori statunitensi Claire
McCaskill, del Missouri, Amy Klobuchar, del Minnesota e Mark Warner della Virginia, hanno avuto una
conversazione sul processo di ripresa delle relazioni diplomatiche bilaterali. Al centro dei colloqui, stando a quanto riportano i media, anche la revoca dell’embargo su cui
tuttavia dovrà esprimersi il Congresso statunitense, a maggioranza
repubblicana
in
entrambe
le
Camere.
La missione dei senatori democratici arriva pochi giorni dopo la
diffusione di alcune indiscrezioni
secondo cui il dipartimento di Stato americano avrebbe deciso di ridurre drasticamente le restrizioni alle importazioni di beni e servizi da
«imprenditori cubani indipendenti». Secondo le indiscrezioni, riportate dalla Reuters, sarà presto pubblicata una lista dei prodotti cubani
di cui sarà consentita l’importazione negli Stati Uniti. L’elenco escluderebbe comunque armi, animali
vivi, tabacco, veicoli, macchinari e
alcuni prodotti tessili e metallurgici.
La notizia non ha ancora ricevuto
conferme ufficiali, ma, nel caso in
cui fosse confermata, rappresenterebbe una svolta nella normalizzazione delle relazioni tra Washington e L’Avana, comportando una
sostanziale riduzione dell’embargo.
Nell’ambito della ripresa delle relazioni bilaterali, il presidente Obama ha dato indicazioni al segretario
di Stato, John Kerry, per avviare
immediatamente discussioni con
Cuba sul ripristino delle relazioni
diplomatiche tra L’Avana e Washington. I legami fra i due Paesi
erano fermi dal gennaio del 1961.
La ripresa dei rapporti diplomatici
prevede anche la riapertura dell’am-
basciata americana all’Avana e la
realizzazione di scambi di alto livello e visite tra funzionari del Governo. A guidare le rappresentanze ci
sono due donne: l’americana Roberta Jacobson, nella veste di vice
segretario di Stato per gli affari
dell’emisfero occidentale, e la cubana Josefina Vidal Ferreiro, alto funzionario del ministero degli Affari
esteri.
La ripresa del dialogo con L’Avana era stata annunciata lo scorso 17
dicembre dal presidente Obama e
dal leader cubano Raúl Castro, in
due discorsi pronunciati in contemporanea. Entrambi i leader hanno
riconosciuto il fondamentale ruolo
di mediazione svolto da Papa Francesco. L’agenda politica della normalizzazione dei rapporti, al di là
degli aspetti amministrativi, prevede la cooperazione nei campi più
vari: sicurezza dello spazio aereo,
scambio di dati su monitoraggi sismici, emergenze sanitarie. Due le
garanzie chieste da Cuba: la cancellazione dalla lista dei Paesi che appoggiano il terrorismo e la fine
dell’embargo.
Stati Uniti nord-orientali
nella morsa del gelo
Agente controlla un pacco sospetto nel centro della capitale danese (Reuters)
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
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segretario di redazione
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WASHINGTON, 17. L’intero nord-est
degli Stati Uniti è stretto nella
morsa del gelo, con temperature
ben inferiori alla media stagionale,
accompagnate da venti impetuosi.
Finora sono già più di duemila i
voli cancellati, principalmente agli
aeroporti di Boston e di New York.
Nel New England sono caduti fino
a sessanta centimetri di neve, trentatré a Boston, segnando il record
per la città. E non si intravedono
particolari miglioramenti: l’ondata
di gelo, infatti, è destinata a proseguire per tutto il mese di febbraio e
Segreteria di redazione
telefono 06 698 83461, 06 698 84442
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Tipografia Vaticana
Editrice L’Osservatore Romano
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
parte di marzo negli Stati Uniti
nord-orientali e anche in Canada.
L’allarme riguarda cinquanta milioni di statunitensi. A New York,
le temperature sono scese fino a
quindici gradi sotto zero. Situazione difficile anche a Washington,
dove la colonnina di mercurio ha
fatto registrare meno quattordici
gradi. Una bufera polare sta in
queste ore attraversando il Missouri, l’Arkansas, il sud dell’Illinois, il
Tennessee, il Kentucky, l’Indiana e
l’Ohio, causando seri problemi al
traffico stradale.
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
America Nord, Oceania: € 500; $ 740
Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30):
telefono 06 698 99480, 06 698 99483
fax 06 69885164, 06 698 82818,
[email protected] [email protected]
Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675
Compleanno
d’eccellenza
per
«The New Yorker»
NEW YORK, 17. Resta tra le riviste più curate e raffinate, nella
forma e nei contenuti, e compie
novant’anni. Per segnare la ricorrenza «The New Yorker» pubblica una doppia edizione speciale
proponendo nove delle sue celebri copertine. Una per ogni decennio, a partire da quel primo
numero, uscito nel febbraio 1925.
Le copertine sono state selezionate per «riflettere il talento e la
diversità» di chi ha contribuito a
fare della pubblicazione un appuntamento speciale, unico per
il mondo intellettuale.
«The New Yorker» è da sempre un punto di riferimento letterario. Sulle pagine della rivista
— spesso accompagnati dall’opera di celeberrimi disegnatori —
hanno infatti trovato spazio alcuni dei maggiori scrittori americani contemporanei, come Philip
Roth e Jerome David Salinger,
che proprio alla rivista debbono
gran parte del loro successo. Ma
tra gli altri autori di rilievo ospitati da «The New Yorker», ci sono anche nomi come Alice Munro, Vladimir Nabokov e John
Updike. I fondatori della rivista
furono Harold Ross, già direttore della testata delle Forze armate «Stars and Stripes», e la moglie Jane Grant, giornalista del
«New York Times».
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L’OSSERVATORE ROMANO
mercoledì 18 febbraio 2015
pagina 3
Dopo l’appello dell’Onu per una soluzione politica
I ribelli huthi rifiutano
il dialogo
Nuovo corso
nei rapporti
tra India
e Sri Lanka
NEW DELHI, 17. India e Sri Lanka
hanno firmato ieri a New Delhi
un accordo in materia di cooperazione per l’uso pacifico dell’energia nucleare, in occasione della
prima visita all’estero del nuovo
presidente srilankese, Maithripala
Sirisena.
I media locali hanno sottolineato l’importanza della visita di
Sirisena, determinato a migliorare
le relazioni con l’India. In una
conferenza stampa congiunta, il
primo ministro indiano, Narendra
Modi, ha sostenuto che «l’accordo
bilaterale sulla cooperazione per il
nucleare civile è un’altra dimostrazione della nostra fiducia reciproca». Questo — ha sottolineato il
premier — «è il primo accordo del
genere firmato dallo Sri Lanka,
che apre nuove strade per la cooperazione, comprese aree come
l’agricoltura e la salute». India e
Sri Lanka, si è infine appreso,
hanno anche deciso di espandere
la loro cooperazione nel campo
della difesa, della sicurezza e nel
settore marittimo.
Dopo aver detto che l’India è
orgogliosa di essere un partner
commerciale dello Sri Lanka, Modi ha precisato che i due Paesi
stanno vivendo un momento di
opportunità senza precedenti per
portare le relazioni bilaterali a un
nuovo livello. «Siamo impegnati a
sbloccare il vasto potenziale della
nostra cooperazione economica e
a rafforzare la cooperazione bilaterale nella difesa, nel settore
dell’energia
nucleare
civile,
nell’agricoltura e nella pesca» con
«uno spirito di nuova fiducia reciproca», ha dichiarato il premier
indiano, che si recherà a Colombo
il mese prossimo.
Dal canto suo, Sirisena ha sottolineato l’importanza dell’India
come alleato regionale. «New Delhi e Colombo hanno un rapporto
storico culturale che può essere
fatto risalire a migliaia di anni.
Come presidente dello Sri Lanka,
questa è la mia prima visita di
Stato e ho scelto l’India perché
c’è una forte relazione tra le nostre Nazioni», ha detto ai giornalisti, confermando che, dopo anni
di rapporti non facili con New
Delhi — e di pressione internazionale per accelerare gli sforzi di riconciliazione dopo la guerra civile
— ora è tempo di affrontare seriamente tutte le questioni irrisolte e
dare insieme risposte definitive.
SAN’A, 17. Gli huthi dicono no
all’appello delle Nazioni Unite al
dialogo. Il Consiglio di sicurezza —
si legge in un comunicato dei ribelli
sciiti — «deve rispettare la volontà e
la sovranità del popolo yemenita e
mostrarsi oggettivo». È dunque caduta nel vuoto la richiesta del Palazzo di vetro che gli huthi abbandonino le sedi istituzionali occupate nelle scorse settimane e aprano a una
transizione politica.
I ribelli huthi hanno occupato negli ultimi mesi edifici governativi e
palazzi presidenziali a San’a, estendendo inoltre il proprio controllo su
sette province. Scesi l’estate scorsa
dalle regioni del nord, i ribelli hanno preso il controllo della capitale.
A rischio la sicurezza nel Paese
Morsa talebana
sull’Afghanistan
siano sotto il diretto controllo del
Comitato supremo rivoluzionario.
C’è tuttavia una nuova minaccia
che i ribelli devono affrontare, con il
rischio dell’aprirsi di un nuovo fronte: quella della resistenza sunnita.
Centinaia di miliziani tribali, sostenuti da secessionisti sunniti, hanno
preso ieri il controllo di alcune istituzioni governative e militari nella
città portuale di Aden, nel sud dello
Yemen. Sono stati registrati anche
pesanti scontri con gli huthi. I sunniti — dicono fonti locali — hanno
preso il controllo della stazione elettrica, dell’aeroporto internazionale,
delle stazioni radiofoniche e televisive, della stazione di polizia e di diversi uffici governativi ad Aden.
Stesso copione nella vicina provincia di Abyan, dove miliziani tribali hanno preso il controllo di alcuni edifici ingaggiando pesanti scontri con gli huthi. Tutte le tribù nelle
province di Shabwa, Abyan e Hadramout sono ora in stato di massima allerta, pronti a respingere qualsiasi avanzata degli huthi nel sud.
L’immagine di un ribelle huthi riflessa in uno specchio (Reuters)
Colpita una base dell’esercito camerunense al confine con la Nigeria
Boko Haram intensifica la sua azione
KABUL, 17. Sempre più difficile la
situazione della sicurezza in Afghanistan.
Nel suo ultimo rapporto, l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo
(Easo) riferisce che — a seguito del
ritiro delle truppe straniere, della
chiusura delle basi militari internazionali e della transizione dei compiti di sicurezza alle forze per la sicurezza nazionale — gruppi armati
di insorti, come i talebani, stanno
conducendo sempre più attacchi su
larga scala.
In base allo studio dell’Easo, gli
insorti hanno dunque avuto sempre più successo nel conquistare e
nel controllare il territorio, anche
se le forze di sicurezza riescono an-
Sempre più irregolare
il flusso del fiume Mekong
VIENTIANE, 17. Con l’avvio a inizio
febbraio della seconda fase dei lavori della diga di Xayaburi, nel Laos
settentrionale, cresce la preoccupazione delle comunità lungo le rive
del Mekong, in particolare per le
variazioni improvvise nel flusso del
fiume, che decimano la fauna ittica
e mettono a rischio la sicurezza dei
pescatori e le disponibilità alimentari delle loro famiglie.
Per la seconda fase, i cantieri sono stati spostati dalla riva occidentale del fiume, nella provincia di
Xayaburi, a quella orientale, dove si
affaccia la provincia di Luang
Prabang. Per la prima volta dal
2012, quando hanno preso il via i
lavori, è anche iniziata la costruzione di sbarramenti temporanei per
deviare il corso del fiume.
La diga dovrebbe essere completata a giugno di quest’anno, mentre
l’intera opera sarà in grado di pro-
A gennaio hanno quindi costretto
agli arresti domiciliari il presidente
Abed Rabbo Mansur Hadi e i suoi
ministri.
Nelle scorse settimane gli huthi
hanno inoltre annunciato la pubblicazione di un decreto costituzionale,
considerato dagli analisti un atto rivoluzionario a tutti gli effetti. Il documento scioglie il Parlamento e lo
sostituisce con un Consiglio nazionale di transizione (Cnt) composto
da 551 membri. Al Cnt spetterà il
compito di eleggere un Consiglio
presidenziale di cinque membri, il
quale a sua volta nominerà un Governo di transizione. Il decreto stabilisce che sia il Consiglio di transizione sia il Consiglio presidenziale
durre entro il 2019 1.285 megawatt
di elettricità, esportata per il 90 per
cento nella vicina Thailandia.
Gli esperti ambientalisti hanno
però lanciato un allarme per gli
sbalzi nel flusso delle acque, già evidenti. Secondo testimoni locali, il livello delle acque, che tradizionalmente saliva da maggio a ottobre
per diminuire poi da novembre a
aprile, è diventato imprevedibile.
In base ai dati disponibili presso
la Commissione per il fiume
Mekong, il livello dell’acqua è cresciuto improvvisamente di un metro
in due giorni, per poi calare bruscamente. Senza una ragione climatica,
in assenza di precipitazioni.
Non a caso, i pescatori di Chiang
Khan, località a centosessanta chilometri a valle della diga, stanno vivendo il periodo più difficile degli
ultimi cinque anni, con la disponibilità ittica scesa ormai della metà.
cora a presidiare le città principali
e la maggior parte del Paese.
A partire dal 2013, gli attacchi
sempre più numerosi hanno provocato molte più vittime tra la popolazione civile, principalmente a
causa di fuochi incrociati, colpi di
mortaio e bombardamenti. Il dato
è in contrasto con gli anni precedenti, quando la minaccia per i civili era rappresentata da ordigni
esplosivi improvvisati posti lungo
le strade, su mezzi di trasporto o
indossati da attentatori suicidi.
L’Ufficio europeo di sostegno
per l’asilo indica Helmand, Kandahar e Nangarhar come le province con la maggior parte degli episodi di violenza.
Violenti
scontri
in Myanmar
NAYPYIDAW, 17. Si intensificano
gli scontri tra truppe governative e milizie etniche nelle regioni
settentrionali del Myanmar. Dopo i combattimenti con i ribelli
kachin, nelle ultime ore i militari si stanno confrontando con
l’Esercito dell’alleanza democratica, milizia espressione della
minoranza kokang. Almeno tredici ribelli sono morti, e altri otto
arrestati,
negli
scontri
nell’area di Laukkai, nello Stato
di Shan. Durante le operazioni,
che hanno seguito i combattimenti della settimana scorsa, in
cui sono stati usati aerei per colpire i ribelli, le truppe governative hanno sequestrato ingenti
quantitativi di armi e munizioni.
Naypyidaw ha comunicato la
perdita di settantatré soldati.
ABUJA, 17. Boko Haram, il gruppo
jihadista nigeriano, intensifica la sua
azione. L’esercito del Camerun ha
reso noto oggi che la base di Waza,
al confine con la Nigeria, è stata attaccata da presunti membri dell’organizzazione, con un bilancio di cinque soldati morti e otto feriti. Il colonnello Joseph Nouma ha detto
che due mitragliatrici e un veicolo
blindato del gruppo sono stati distrutti, ma centinaia di miliziani sono riusciti a scappare in Nigeria dopo aver saccheggiato e dato fuoco
ad alcuni edifici.
È ormai il Camerun il nuovo fronte della guerra contro Boko Haram.
Fonti militari riferiscono che cinque
soldati camerunensi e 86 miliziani di
Boko Haram sono morti in sanguinosi scontri nel nord del Paese. Lo
ha reso noto Didier Badjeck, portavoce del ministero della Difesa camerunense. Gli scontri sono avvenuti in alcune regioni al confine con la
Nigeria. E nel frattempo, più di 160
persone sono state arrestate in Niger
con l’accusa di avere legami con i
Dopo sei mesi
riaprono le scuole
in Liberia
MONROVIA, 17. Molte scuole sono
state riaperte ieri in Liberia dopo
una sospensione delle lezioni di circa sei mesi dovuta alla vasta epidemia di ebola. Secondo il viceministro dell’Istruzione, Remses Kumuyah, negli istituti del Paese dell’Africa occidentale sono stati distribuiti
più di cinquecento kit con termometri e disinfettante da utilizzare per
lavare le mani.
Ebola, infatti, si trasmette attraverso il contatto fisico con una persona malata e uno dei sintomi principali è la febbre alta. «Abbiamo
chiesto ai presidi delle scuole — ha
detto Kumuyah — di fare in modo
che in ciascuna classe non ci siano
più di quaranta o cinquanta studenti», per favorire un ambiente più sano ed evitare il ritorno dell’epidemia.
Durante i sei mesi di sospensione,
circa un milione di studenti hanno
seguito le lezioni via radio. A livello
nazionale, le vittime causate dal tremendo virus dell’ebola sono state almeno 3.800.
Riguardo agli altri due Paesi più
colpiti da ebola, in Guinea le scuole
hanno riaperto il 19 gennaio, mentre
la Sierra Leone sta pianificando di
farlo a fine marzo.
miliziani di Boko Haram. Il portavoce della polizia, Adily Toro, ringrazia per la collaborazione i cittadini della regione Diffa.
A conferma del clima di altissima
tensione che si respira in tutto il
Paese c’è stato anche l’attentato, avvenuto qualche giorno fa, quando
una donna si era fatta saltare in aria
in una affollata stazione di autobus
nella città di Damaturu, capitale dello Stato nord-orientale di Yobe, provocando la morte di almeno sedici
persone e il ferimento di una trentina. La donna aveva superato i con-
trolli e azionato l’esplosivo che aveva addosso. Si è trattato del primo
attentato kamikaze a Damaturu, sebbene la città abbia già subito diversi
attacchi.
La principale conseguenza di questa situazione è soprattutto umanitaria. Circa tre milioni di persone sono sfollate in Nigeria, costrette ad
abbandonare le proprie abitazioni a
causa delle violenze. Oltre centocinquantamila hanno trovato rifugio in
Niger, quarantamila in Camerun e
diciassettemila in Ciad, secondo i
dati delle Nazioni Unite.
Critica la situazione
nell’est congolese
KINSHASA, 17. La situazione all’est
della Repubblica Democratica del
Congo sta peggiorando.
Negli ultimi mesi la sicurezza e
la capacità di controllo da parte
delle autorità governative si sono
drasticamente deteriorate, costringendo la popolazione a vivere in
un ambiente completamente degradato, stretta tra la morsa di una
economia all’estremo, con il crollo
della produzione agricola, e vittima
di continui attacchi da parte delle
varie milizie operanti sul territorio.
Facendo presagire un’apertura
nei confronti delle forze armate nazionali, con cui i rapporti si erano
fatti più tesi negli ultimi giorni, la
Monusco — la missione Onu nel
Paese africano — ha fatto sapere di
essere pronta a sostenere il Governo e l’esercito nella lotta contro i
gruppi armati. Lo ha detto il generale Carlos Alberto dos Santos
Cruz, comandante della Monusco.
L’11 febbraio scorso, la Monusco
aveva annunciato la sospensione
del sostegno all’offensiva in corso
contro i ribelli rwandesi delle Forze
democratiche di liberazione del
Rwanda (Fdlr), attivi nell’est del
Paese. La decisione era stata motivata con il ruolo di comando concesso dalle autorità di Kinshasa ai
generali Bruno Mandevu e Sikabwe Fall, che l’Onu considera complici di gravi crimini. «In Nord Kivu — ha però detto Dos Santos
Cruz — abbiamo gruppi armati, in
particolare le Fdlr, che pianifichiamo di disarmare in collaborazione
con l’esercito congolese».
Inoltre, ha ricordato l’ufficiale
delle Nazioni Unite, la situazione
militare nel Paese è differente a seconda delle regioni. Il generale
Dos Santos Cruz si è soffermato in
particolare sulla situazione in Ituri,
dove sono ancora attivi il gruppo
Lra e miliziani appartenuti alla
Forza di resistenza patriottica
dell’Ituri, il cui comandante Banaloko “cobra” Matata ha annunciato
la resa lo scorso novembre.
Sette caschi blu
feriti in Mali
BAMAKO, 17. È di sette feriti, alcuni
gravi, il bilancio di un attacco suicida contro una base dei caschi blu
delle Nazioni Unite in Mali, a Tabankort, nel nord-est del Paese
africano. Lo ha reso noto un portavoce militare, precisando che un
terrorista si è lanciato a bordo di
un’auto contro le guardie all’ingresso della base locale della Minusma, gestita da militari del Bangladesh, e si è fatto esplodere.
Tabankort si trova in una delle
zone più turbolente del Mali, teatro da mesi di sanguinosi combattimenti tra le milizie tuareg, alcune
indipendentiste e altre sostenitrici
del Governo centrale di Bamako.
Un altro attacco è stato compiuto
poco dopo contro una postazione
dell’esercito nella regione di Mopti, quattrocentosessanta chilometri
a nord della capitale, zona in cui
sono attive anche cellule jihadiste.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
mercoledì 18 febbraio 2015
Nonostante i lavori in corso
che raddoppieranno gli spazi espositivi
al primo piano dell’edificio vasariano
il museo fiorentino
non ha mai chiuso un solo giorno
«David» (particolare)
L’autore della Cappella Sistina e gli Uffizi di Firenze
Michelangelo
pittore suo malgrado
di ANTONIO PAOLUCCI
ntonio Natali è direttore
degli Uffizi da nove anni. In questo periodo il
museo italiano più celebre al mondo e più visitato — poco meno di due milioni di
persone nel 2014 — è stato incessante
laboratorio e prestigiosa vetrina di
attività culturali di costante qualità:
restauri, pubblicazioni, mostre al ritmo di due all’anno, l’ultima, inaugurata nei giorni scorsi, dedicata a
Gherardo delle Notti. Tutto questo è
avvenuto senza che il museo — interessato da un immane cantiere che
prevede e in parte ha già realizzato
il raddoppio degli spazi espositivi
con il restauro e il recupero dell’intero primo piano dell’edificio vasaria-
A
«Tondo Doni» (particolare)
no — chiudesse anche per un solo
giorno.
Quando si parla di manager alla
guida dei grandi musei italiani porto
sempre l’esempio del mio amico Natali che, per meno di duemila euro
al mese, riesce a governare in maniera impeccabile una realtà sottoposta
a una pressione turistica e a una visibilità mediatica straordinarie, ma riesce anche a far bene il suo vero mestiere che è quello di storico dell’arte. E infatti i suoi studi su Leonardo
da Vinci, le monografie su Michelozzo, sul Pontormo, sul Rosso, le
memorabili mostre fiorentine di Palazzo Strozzi dedicate ai protagonisti
della Maniera, fanno di Natali un
rappresentante fra i più conosciuti e
apprezzati della nostra disciplina.
Il 19 febbraio il suo ultimo lavoro
Michelangelo agli Uffizi,
dentro e fuori (Firenze,
Maschietto editore, 2014
pagine 80, euro 24) viene
presentato nella Sala
conferenze dei Musei Vaticani. Nelle mie intenzioni questa presentazione avrebbe dovuto chiudere il “nostro” anno michelangiolesco, quattrocentocinquantesimo della
morte del Buonarroti e
ventesimo del grande restauro sistino di Fabrizio
Mancinelli e di Gianluigi
Colalucci. Quale modo
migliore di onorare quel
grande dopo il convegno
che nell’ottobre scorso ha
illustrato la messa in
opera delle provvidenze
climatologiche e della
nuova illuminazione nella “cappella magna” del
Papa di Roma? Purtroppo ritardi editoriali e l’incombere delle vacanze
natalizie ci hanno costretto a rimandare a oggi la presentazione del libro. Ed eccoci quindi
dentro e fuori gli Uffizi,
con Michelangelo.
Dentro gli Uffizi perché qui è custodito il
Tondo Doni, la sola opera
certa di pittura del Buonarroti. Fuori perché fuori, sul sagrato di Palazzo
Vecchio, c’è, come tutti
sanno, il clone di quel
celeberrimo David che
sta, in originale, nel Museo fiorentino dell’Accademia.
Michelangelo non si
considerava pittore, non
Scelta di discrezione
«Una scelta che contrasta con una
contemporaneità tutta basata
sull’abuso della scena mediatica
anche per i sentimenti più intimi e
preziosi». Così scrive Paolo Conti
nel «Corriere della sera» del 17
febbraio in cronaca di Roma,
commentando la discrezione che ha
accompagnato l’avvio del servizio
di docce e barberia per i
clochard sul lato destro del
colonnato di piazza San
Pietro. È un’occasione —
commenta Conti — per
ricordarsi «di quel bisogno di
riservatezza che appartiene a
ciascuno di noi ma viene sempre
più ignorato nella costante
spettacolarizzazione della vita
quotidiana». Niente macchine
fotografiche, interviste o riflettori
sul servizio gratuito offerto ai
poveri per volontà di Papa
Francesco.
voleva esserlo. Lo disse a Giulio II
quando gli commissionò la volta
della Sistina, lo scrisse nel famoso
sonetto dedicato a Giovanni da Pistoia là dove parla della sua tribolazione nel confronto terribile con gli
È difficile per noi oggi capire
l’emozione e lo stupore
che la grande scultura dell’eroe
provocò quando venne scoperta
l’8 settembre 1504
oltre mille metri quadrati del soffitto
sistino da ricoprire di più di trecento
figure («non sendo in loco bon, né
io pittore»), eppure il Tondo Doni dimostra che era pittore e di qualità
eccellente anche dal punto di vista
tecnico.
Quanto al David, è difficile per
noi oggi capire l’emozione, lo stupore e lo sconcerto che quella scultura
deve aver provocato quando l’8 settembre 1504, festa della Madonna,
venne scoperta. Per la prima volta,
dal tempo dei Greci e dei Romani,
un uomo nudo grande cinque volte
il vero occupava da protagonista il
cuore di una piazza italiana.
Non ci sono più né
Fidia né Policleto, Michelangelo ha superato
gli antichi, dirà Giorgio
biblico
Vasari cinquanta anni
più tardi. Dirà di più lo
storico aretino; dirà che
il David è la prima
scultura moderna della
storia dell’arte perché è
una scultura in certo senso concettuale. Infatti il David non è rappresentato durante il combattimento né
dopo la vittoria quando esibisce come un macabro trofeo la testa del gigante abbattuto e decollato. Così
voleva l’iconografia tradizionale, così
avevano rappresentato l’eroe biblico
Andrea del Castagno, Donatello e
Verrocchio.
Michelangelo azzera i suoi illustri
modelli come farà con la creazione
di Adamo nella volta della Sistina, e
ne inventa uno radicalmente nuovo
e del tutto inedito. David semplicemente “è”. Sta lì da sempre in tensione dei muscoli, della volontà, dei
sensi, pronto a scattare se e quando
sarà necessario. È la fionda di Israele, è l’eroe che Dio tiene sotto la sua
mano. È pronto al combattimento,
rappresenta la libertà che l’ingiustizia e la tirannia (l’eterno Golia sempre risorgente) possono in ogni momento minacciare; è fiorentino ed è
ognuno. Per questo quella scultura è
diventata un’icona per le donne e
per gli uomini del mondo.
Ciò che affascina in questo libro
piccolo e prezioso, edito con cura
sapiente come è raro ormai incontrare nelle pubblicazioni d’arte, anche
le più prestigiose, è la capacità
dell’autore di muoversi con disinvolta efficacia su più livelli. C’è il livello primario che è quello dell’opera
d’arte in quanto tale; l’opera d’arte
che è sempre il documento più im-
portante e che, se guardata con occhi nuovi, può fare emergere aspetti
inediti anche nei massimi capolavori.
Quando l’anamnesi dell’opera è portata ai punti di eleganza e raffinatezza dispiegati dall’autore si capisce
che questo è anche il risultato della
consuetudine, del contatto quotidiano con le cose, con i materiali, con
le tecniche e con gli stili che solo lo
studioso di museo può avere. Poi ci
sono i molti livelli — storici, iconologici, stilistici — che nell’opera d’arte
sono presenti perché molte cose
l’opera d’arte significa e da molte è
significata. L’opera d’arte è squisitamente relativa, anzi è il centro di un
sistema di relazioni. Anche un capolavoro supremo come il Tondo Doni
lo è.
Natali ce lo dimostra quando, studiando quel dipinto celebre, disarticolandolo e analizzandolo in ogni
dettaglio, fa emergere l’Antico e Raffaello, l’Apollo del Belvedere e la
Scrittura, il Laocoonte scoperto a Roma un giorno di gennaio del 1506 e
il Prologo di Giovanni (Giovanni, 1,
9-10). Nei capolavori supremi, nel
David come nel Tondo Doni, sono
presenti — verrebbe da dire — tutte
le suggestioni religiose, poetiche, filosofiche dell’epoca che li ha visti
nascere e tutti i capolavori; quelli
che sono stati e quelli che, da loro
ispirati, saranno.
La seconda guerra mondiale nel romanzo dello statunitense Anthony Doerr
La notte di Werner
di CLAUDIO TOSCANI
Sette agosto 1944: sulla cittadina francese
di Saint-Malo piovono volantini da un
aereo come ultimatum ai residenti: «Dirigetevi immediatamente in aperta campagna». È il preludio a un bombardamento
da parte delle fortezze americane sulle
case occupate dai tedeschi. È anche l’inizio di più di cinquecento pagine di vicissitudini belliche e civili tra Parigi e la località bretone oggetto di uno degli scontri più furiosi della seconda guerra mondiale. Racconto intessuto da Anthony
Doerr in Tutta la luce che non vediamo
(Milano, Rizzoli, 2014, pagine 509, euro
19) attorno a una miriade di fatti, giorni,
emozioni e occasioni.
Tra i tanti destini coinvolti di un buon
numero di personaggi, la trama procede
in stretta connessione binaria tra quelli
dei due protagonisti: Marie-Laure, ragazzina di sedici anni divenuta cieca a sei,
che dalla capitale è fuggita col padre Daniel Leblanc dal prozio Étienne nell’inutile tentativo di evitare la guerra; e il diciottenne Werner Pfennig, soldato della
Wehrmacht proveniente da un orfanotrofio a suo tempo condiviso con la sorella
Jutta, ma ora, sotto le armi, esperto di sistemi radio utilizzati nel conflitto.
Va detto subito, a scanso di un eccesso
di aspettativa, che i due non si incontreranno che a qualche decina di pagine
dalla fine, e in un modo che non è lecito
svelare, ma anche perché ciò non toglie
nulla alla verve della narrazione, anzi aggiunge sempre nuove corrispondenze e
ricchezza d’intreccio, nonché sempre più
complesse prospezioni psicologiche sulle
figure che si muovono nel volume.
Doerr è scrittore americano che al suo
secondo romanzo ha voluto sperimentare
un tipo di storia a due le cui singolari vicende restano rigorosamente separate fin
quasi alla fine e, rispettate di pagina in
pagina, convergono infine tra loro solo
quando matura una congiuntura esistenziale e una circostanza morale in grado
di dare senso a tutto il previo itinerario
di vite e coscienze.
Il padre di Marie-Laure è fabbro e custode di chiavi presso un Museo di storia
naturale; per la figlia ha fabbricato un
plastico fedele del quartiere che lei manda a memoria evitando di smarrirsi. Entrato in possesso di una perla dal valore
inestimabile la porta con sé in esilio co-
me possibile ancora di salvezza. I fratelli Pfennig invece hanno sempre vissuto
presso la Casa dei Bambini
e, una volta arruolato, Werner è vittima dell’educazione nazista, per cui, messa a
frutto la sua competenza radio-tecnica, se ne serve per
intercettare le emittenti partigiane ed eliminarle.
Il contesto è terribile e
Doerr non fa nulla per risparmiarci alcune esplicite
atrocità, ma il suo dettato le
riscatta, non solo alla chiusura del libro, ma anche nel
congegno
formale
della
scrittura. Di netto realismo
ma mai perdonata né condivisa ferocia, anzi, con la riserva del puro di cuore che
è trascinato dai fatti ma si
mantiene padrone della sua
statura interiore.
La storia grande filtra tra le cose minute della vita di tutti i giorni e il romanzo
è una lunga apnea narrativa in attesa della catastrofe finale. Marie-Laure resta
senza il padre arrestato e messo sott’accusa da un primo maresciallo del Reich
esperto di diamanti che vuole a tutti i costi la perla nascosta all’interno del plastico parigino. E resta anche senza zio che
cade nelle mani della Gestapo. Sul binario a lato, Werner è testimone, e talvolta
responsabile, di insopportabili gesti di
sopraffazione.
Serve pazienza per srotolare i destini
dei protagonisti, giovani vite, una immersa nel buio della cecità fisica, l’altro travolto dalla notte della dottrina totalitaria
del Führer — torna il mente il motto Nacht und Nebel, nemici politici e oppositori
dovevano essere fatti scomparire «nella
notte e nella nebbia», diceva Hitler — entrambi visitati e rivisitati da uno stillicidio di brevi capitoli e di infinitesimi casi,
minime e oscure vicende in filigrana al
tracollo del Terzo Reich.
Lui, Werner che rinnega continuamente se stesso fino a non poterne più di obbedire e a rovesciare il tavolo della propria sorte. Lei, Marie-Laure, che riesce a
tenere desta la speranza, far scudo della
propria innocenza contro lo smarrimento
che la assale, sia dentro il suo handicap
Un’esercitazione dei soldati della Wehrmacht nel 1939
fisico che lungo i brividi di una coscienza
desta e libera.
«Chi vince decide la storia» ripete
l’istruttore di Werner nella delirante certezza che nulla può opporsi alla Germania nazionalsocialista. In ogni caso la
storia è decisa altrove, indipendentemente dalle parti in causa e da chi prevale
nel confronto.
Porte aperte al Quirinale
«Ho disposto che il Quirinale sia, entro
breve tempo, aperto alle visite tutti i giorni
della settimana». Lo ha annunciato il
presidente della Repubblica italiana, Sergio
Mattarella, durante la presentazione della
mostra che dopo 150 anni riunisce i venti
arazzi medicei. Mattarella ha anche chiesto
«di aprire il percorso delle visite ad altre
parti del palazzo prima non visibili e di
utilizzare nuovi spazi per le attività espositive
permanenti o temporanee, chiedendo agli
uffici di ritirarsi da alcuni ambienti». La
decisione è stata assunta «per sottolineare il
legame tra il palazzo, la storia del Paese e i
cittadini».
L’OSSERVATORE ROMANO
mercoledì 18 febbraio 2015
Non più mero deposito librario
ma centro propulsore di studi
In linea con la riconquista cattolica di spazi culturali
che compensassero
il ridimensionamento territoriale del papato
Franz Ehrle e Giovanni Mercati alla Biblioteca Vaticana
I cataloghi
prima di tutto
di PAOLO VIAN
ella triplice periodizzazione della storia della
Biblioteca
Vaticana,
José Ruysschaert fa
corrispondere a ogni
Papa determinante per decisivi sviluppi dell’istituzione un bibliotecario
che del Pontefice fu l’interprete
ideale, il vero e pratico realizzatore
dei suoi disegni. A Sisto IV, il fondatore istituzionale, viene abbinato
Bartolomeo Platina; Sisto V, costruttore del nuovo edificio nel cuore del
cortile del Belvedere, ricorse alla famiglia quasi dinastica dei Ranaldi; la
svolta di Leone XIII, che trasformò
l’antica istituzione palatina di difficile accesso in un moderno centro di
studi, non è pensabile senza Franz
Ehrle. Il «risveglio dopo il lungo
sonno» — secondo l’espressione di
N
gno «Franz Kardinal Ehrle (18451934)», organizzato il 19 e il 20 febbraio dal Römisches Institut der
Görres-Gesellschaft presso il Pontificio Collegio Teutonico.
Nell’opera di trasformazione e di
rigenerazione della Biblioteca Vaticana Ehrle individuò presto la necessità di un corpo scientifico che animasse le attività dell’istituzione: non
più mero deposito librario, non più
semplice Wunderkammer da mostrare
a visitatori anche illustri, ma — in
profonda e sostanziale sinergia con
l’Archivio Segreto, aperto alla consultazione di ricercatori di tutto il
mondo — centro propulsore di studi
e di pubblicazioni, in linea con la riconquista cattolica di quegli spazi
culturali che dovevano compensare
il ridimensionamento territoriale del
papato reagendo all’assedio della
modernità e del laicismo.
pagina 5
Tappe di una vita
1898, «ha estremo bisogno di buoni
scrittori» perché «in respetto alla
Sua biblioteca ed i suoi catalogi si
trova in posizione poco decorosa».
Al termine del “secolo della storia”, mentre nell’ambito della catalogazione dei manoscritti operano in
Francia Léopold Delisle, in Germania Theodor Mommsen e Valentin
Rose, in Inghilterra Falconer Madan
e Montague Rhodes James e
persino nelle biblioteche italiane si vive la “primavera fortunata”, la Santa Sede non può
rimanere indietro. E non per
orgoglio di campanile. Ehrle
sa bene che sul piano della
serietà degli studi storici e
su quello, strettamente
connesso, dell’amministrazione dello straordinario
patrimonio che la Provvidenza e la storia hanno
affidato ai Papi, si gioca
la credibilità, la ragionevolezza della fede cristiana e della sua proposta
alla modernità.
Non è un caso che una
delle rare frizioni fra Ehrle
e Mercati si verifichi
nell’ottobre 1901 ancora sul
problema dei cataloghi. Il
primo ha richiamato il secondo sull’importanza e sulla priorità dei cataloghi, negli impegni di lavoro, e il secondo ne è rimasto turbato,
quasi offeso. Ehrle reagisce,
con pacatezza ma fermamente:
«Mi dispiace moltissimo, che la
mia lettera Li ha fatto tanta pena e recato tanto disturbo. Ma
benché io prevedessi che la lettera
zione di Ehrle che il 21 settembre
1897 chiese al bollandista François
van Ortroy di verificare se Mercati
«dispone almeno un po’ di spirito di
sacrificio per lavorare per la Santa
Chiesa, anche sacrificando un po’
del suo tempo, o se piuttosto non
pensa che a farsi un nome nel mondo scientifico, e se ha avuto discussioni e dispute dove è stato prima di
passare a Milano». Qualche mese
dopo, il 4 aprile 1898, di fronte ai
tormenti e alle titubanze di Mercati
Ehrle sarà costretto a ricordargli con
fermezza che l’iniziativa della proposta del trasferimento a Roma era
partita proprio da lui.
Più interessante è però il profilo
ideale di scriptor della Vaticana che
dalla domanda di Ehrle al confratello gesuita chiaramente si delinea.
Non solo competenza scientifica ma
anche dedizione al lavoro di catalogazione «per la Santa Chiesa», rinunciando alle ambizioni mondane e
alla ricerca di una gloria personale
per inserirsi in un orizzonte più vasto e importante.
Su questo punto Ehrle insiste ripetutamente con Mercati. Il 4 aprile
1898: «Rimanga dunque fermo nella
Sua offerta, se vuole nel Suo sacrifizio, fatto alla Sua
Santa Madre la Chiesa ed accettato da Essa. Faccia i Suoi calcoli col Nostro Signore e
coll’eternità»; il 17
aprile 1898: «Del resto
uno può venire volentieri a Roma in tal posizione, anche senza
Il 4 dicembre 1924, rispondendo agli
indirizzi di omaggio a lui rivolti in
ambizione alcuna, per
occasione della presentazione da parte
altri buoni e ragionedi Pio XI dei cinque volumi della
voli motivi, fra i quali
Miscellanea Francesco Ehrle, il cardinale
certamento il più fungesuita, indirizzandosi al Papa, fra
dato ed il più nobile
l’altro, disse: «Non ho coscienza d’aver
ed efficace per il temfatto altro, che cercar di compiere il
po e per l’eternità è di
mio sacro dovere, in un posto così
voler fatigare e lavoranobile e così simpatico, che finanche la
re non mica per la sopersona più indolente si sarebbe sentita
la scienza per un po’
spinta a fare la sua parte. Il Prefetto
di fumo, ma per la S.
della Biblioteca Vaticana, come i capi
Chiesa e la S. Sede,
degli altri reparti scientifici ed artistici
per la quale Dio è padella Vostra reggia, Beatissimo Padre,
gatore. Dunque faccia
hanno il graditissimo incarico di
le Sue cose per Domidispensare con signorile larghezza i
ne Dio, usi senza antesori provvidenzialmente raccolti dai
sietà la prudenza neVostri predecessori. Questo interesse e
cessaria e lasci chiacquesta cura dei Romani Pontefici, già
chierare il mondo ciò
quasi venti volte secolare, per la scienza
che vuole». Ma va ane la cultura, per le lettere e per le arti,
che rilevato l’accenno
benché non stia nel centro della loro
alle querelles e alle dimissione, le è nondimeno così
sputes. Per Ehrle lo
strettamente connessa, che non la
scrittore della Vaticana
poterono mai dimenticare, essendo
deve essere al di sopra
questa cultura, nella sua forma genuina
delle
immancabili
e più pura, voluta da Dio, come un
guerricciuole che spesimportante fattore e come una
so divampano nel lanecessaria conseguenza della loro
voro erudito ma anche
missione di cristiano incivilimento.
estraneo ai contrasti
Anzi i bisogni stessi del culto e della
fra
conservatori
e
liturgia, il dovere di dare alla sublimità
“modernisti” che dilainterna dei misteri del cristianesimo
niavano il mondo catuna veste meno disdicevole; inoltre
tolico di fine Ottocenl’importanza della molteplice tradizione
to, sino nell’ambito
del magistero ecclesiastico, li dovevano
degli studi. Per Ehrle
spingere a favorire la produzione e la
l’obiettivo è invece il
conservazione delle opere d’arte e di
lavoro serio, duro, inmoltiplicare, di salvare e di raccogliere
stancabile, per fornire
i tesori letterari dei secoli andati,
la biblioteca dei Papi
essendo in un certo senso il
di cataloghi dei fondi
cristianesimo una religione
manoscritti aggiornati
essenzialmente fautrice delle arti e dei
e approfonditi e così
libri. Quindi la dimora dei Papi, non
per superare il «disoper caso, né soltanto per il loro gusto
nore» che le derivepersonale, ma per una disposizione
rebbe dal confronto
provvidenziale, inerente al loro ufficio,
con le altre biblioteche
diventò, nel lungo corso dei secoli,
europee. La Santa Semalgrado tutte le spogliazioni, quel
de, scrive Ehrle a
tesoro d’arte e di scienza, che ancora
Mercati il 4 aprile
oggi affascina il mondo più colto».
1845, 17 ottobre: nasce a Isny, nell’Allgäu (BadenWürttemberg).
1861: dopo gli studi nel ginnasio Stella Matutina a
Feldkirch, entra nel noviziato gesuita di Gorheim
(Hohenzollern).
1873: si trasferisce in Inghilterra, presso Liverpool,
con i gesuiti espulsi dalla Germania nell’ambito
del Kulturkampf.
1876: viene ordinato sacerdote e si dedica al
ministero fra gli operai; incomincia a collaborare al
periodico «Stimmen aus Maria-Laach»; nel 1878 si
trasferisce in Belgio.
1880: viene inviato a Roma, dove Leone XIII ha
aperto l’archivio vaticano agli studiosi;
inaugura un decennio di studi e di viaggi per
l’Europa.
1885: con Heinrich Denifle fonda l’«Archiv für
Literatur - und Kirchengeschichte des
Mittelalters».
1890: pubblica il primo tomo dell’Historia
Bibliothecae Romanorum Pontificum.
1895-1914: prefetto della Biblioteca Vaticana, che
rinnova completamente nei servizi e nelle
pubblicazioni.
Nel novembre 1892 apre la Sala Leonina, per la
consultazione degli stampati; nel 1898 promuove a
San Gallo una conferenza internazionale per la
conservazione e il restauro dei manoscritti antichi.
1922: Pio XI, nel suo primo concistoro, lo crea
cardinale.
1929: diviene cardinale
Bibliotecario e Archivista.
1934, 31 marzo: muore
a Roma.
Una religione
fautrice delle arti
Geniale convegno dei dotti
Il 13 dicembre 1922, imponendo la berretta cardinalizia a Ehrle, Pio XI,
definendolo «il Prefetto ideale della più importante e splendida
biblioteca del mondo», pronunciò, fra l’altro, queste parole: «Non è
facile stringere in poche parole quanti meriti copre ed onora la
porpora dell’Eminentissimo Ehrle; diciamo, meriti verso la repubblica
dei dotti e verso la Religione, verso la scienza e verso la Santa Sede.
Anche del Pontificio Archivio segreto e d’altri Istituti l’Eminentissimo
Ehrle fu non poco benemerito; ma basti qui dire che della Biblioteca
Vaticana, grazie all’illuminato e munifico favore di Leone XIII di gl.
m., egli ha fatto in 20 anni di un meraviglioso lavoro di
riorganizzazione, ha fatto, diciamo, il più geniale e ricercato convegno
dei dotti cercatori e studiosi di tutto il mondo, foggiandola a mirabile
strumento ed a vera operosa officina di lavoro e di produzione
scientifica e letteraria. Rare volte la dimostrazione apologetica
dell’armonia tra la fede e la scienza si tradusse in un fatto di così vaste
ed imponenti proporzioni, di così splendida e bella evidenza».
Eugène Tisserant che così caratterizzò il nuovo corso voluto da Papa
Pecci — non sarebbe stato possibile
senza l’opera del prefetto gesuita che
fu veramente l’artefice della Vaticana
moderna, il protagonista della prima
fase della sua modernizzazione.
Ma Ehrle non fu solo; seppe circondarsi di figure, anche eccezionali,
che lo aiutarono nell’impresa. Giovanni Mercati, scriptor greco della
Biblioteca Vaticana dal 1898 al 1919,
suo prefetto dal 1919 al 1936, cardinale bibliotecario e archivista dal
1936 alla morte (1957), uno dei massimi rappresentanti dell’erudizione
del Novecento, fu una di queste. Lo
studio del rapporto fra le due figure
va dunque al di là dell’aneddoto
personale per costituire una via di
accesso privilegiata alla comprensione di quello storico rinnovamento
che trasformò la biblioteca dei Papi;
ma nel confronto fra i due emergono
meglio anche le caratteristiche del
personaggio cui è dedicato il conve-
Il corpo degli scrittori, in primo
luogo impegnato in una catalogazione scientifica dei manoscritti in grado di competere con le altre grandi
biblioteche europee, doveva così essere costituito elemento per elemento, con un’opera di reclutamento accorta e mirata. Candidati all’altezza
del compito nel clero italiano non
abbondavano, non solo per preparazione scientifica ma per spirito di
dedizione.
Come ha mostrato Cesare Pasini
in un articolo di prossima pubblicazione, nel settembre 1897, fu lo stesso Mercati, allora dottore della Biblioteca Ambrosiana, a candidarsi
per un trasferimento in Vaticana a
Ehrle, di passaggio a Milano, e a offrirsi così per il nuovo compito. Fu
il primo incontro fra i due. Anche se
in seguito Mercati mostrò, come al
suo solito, dubbi, incertezze, ripensamenti sulla decisione per una molteplicità di ragioni che non vanno
qui analizzate, importa notare la rea-
Li potessi dispiacere e benché in
conseguenza mi costasse di scriverla,
lo ho creduto il mio dovere di mandarla, il mio dovere d’ufficio ed un
dovere di schiettezza verso di Lei, —
di quella schiettezza, senza la quale
non posso amichevolmente stare e
lavorare insieme con altri. Amo che
gli altri mi dicano, se hanno qualche
cosa contra di me e credo che anche
Lei desideri lo stesso. Del resto la
lettera provocando la Sua seconda
ha avuto il bene di mostrarmi meglio, in quali circonstanze e disposizioni Lei si staccò da Milano. Però
ciò che io Li scrissi per vincere le
dubiezze e titubazioni, che Lei mostrò dopo il nostro primo colloquio,
Lo scriverei oggi ancora con maggiore convinzione. Inoltre non ho
mai creduto, che Lei non abbia dato
alla Biblioteca, tutto quel tempo che
ad essa spettava, ma ho soltanto creduto il mio dovere di chiamare la
Sua attenzione sulla importanza e
l’assoluta necessità del lavoro dei cataloghi. Questo era l’unico scopo
della mia lettera. Ed anche in questo
punto Lei sa, che non pretenderò
cose ingiuste e terrò sempre largo
dovuto conto della [sic] stato della
Sua salute. Spero che queste righe
bastaranno per calmarlo e liberarlo
da tutti pensieri molesti e penosi.
Che ciò avvenga sarà la preghiera
mia per lei in questi giorni». Ove
emergono l’equilibrio e la compostezza di uno studioso che era nato
anche per essere un capo e un organizzatore degli studi altrui.
Vangeli tradotti e commentati
da quattro donne
Mercoledì 18 febbraio, dopo l’udienza generale, sarà
consegnata a Papa Francesco la prima traduzione in
italiano dei vangeli realizzata da donne. Si tratta di
Rosanna Virgili, Rosalba Manes, Annalisa Guida e
Marida Nicolaci, che hanno lavorato per anni nel
tentativo di far emergere — assieme alla bellezza della
narrazione e alla forza del messaggio cristiano — anche
uno sguardo al femminile sul testo sacro. Il volume
(Milano, Àncora, 2015, pagine 1700, euro 55) sarà
disponibile nelle librerie dal 26 febbraio. La nuova
traduzione mette in luce, innanzitutto, la presenza ormai
affermata e qualificata delle donne nella conoscenza e
competenza della Bibbia, nonché nella docenza e ricerca
delle scienze a essa consacrate, fenomeno piuttosto
recente. Particolare attenzione è stata riservata, nei
commenti e nel saggio conclusivo, alla presenza decisiva
delle donne nel racconto evangelico.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
mercoledì 18 febbraio 2015
Il cardinale O’Malley
alla Gregoriana (Ap)
Monsignor Dal Toso alla riunione del Consiglio di amministrazione della Fondazione Giovanni Paolo
II
per il Sahel
Carità
che porta pace e comunione
DAKAR, 17. «Se fino a qualche anno
fa erano ancora possibili una coabitazione pacifica e un dialogo sereno
tra le diverse religioni, la crescita dei
fondamentalismi genera oggi tensione, paura, sfiducia nelle popolazioni. Tocchiamo un punto fondamentale per il processo di pace in questa
regione. Credo che la Fondazione
abbia, su questo piano, un ruolo importante da svolgere grazie all’aiuto
concreto che fornisce senza distinzioni di razza o religione. Questa
carità è il biglietto da visita del Santo Padre e della Chiesa ed è portatrice di pace e comunione». Intervenuto oggi a Dakar, in Senegal,
all’apertura dell’annuale sessione del
Consiglio di amministrazione della
Fondazione Giovanni Paolo II per il
Sahel, monsignor Giovanni Pietro
Dal Toso, segretario del Pontificio
Consiglio «Cor Unum», ha ricordato quanto sia «alta la posta in gioco
per essere veri testimoni della carità
del Papa» in questa regione, il
Sahel, tra le più fragili del mondo
per quanto riguarda la situazione
umanitaria, le relazioni politiche, la
coabitazione fra le differenti religioni presenti nel territorio.
In questi ultimi tempi — ha detto
Dal Toso, che presso la Fondazione
è osservatore della Santa Sede —
l’organismo è chiamato a giocare un
ruolo sempre più importante tanto a
livello di carità, in virtù di una competenza tecnica accresciuta e una cu-
ra per l’evangelizzazione, quanto di
“pacificazione” grazie «a questa carità che apre e consente un dialogo
interreligioso». L’obiettivo è di essere «portatori di pace nella regione e
strumento caritativo ecclesiale e
pontificio sempre più autentico ed
efficace nella lotta contro la siccità e
al servizio della popolazione sofferente del Sahel».
La Fondazione è stata eretta da
Giovanni Paolo II il 22 febbraio
1984, a seguito dell’appello lanciato
al mondo intero dal Pontefice il 10
maggio 1980 da Ouagadougou, allora capitale dell’Alto Volta (oggi Burkina Faso). «Tutti, ve ne prego,
ascoltate questo appello, ascoltate le
voci del Sahel e di tutti i Paesi vittime della siccità, senza eccezione alcuna. E a tutti voi io dico “Dio ve
ne renda merito”», affermò tra l’altro il Papa nell’omelia della messa.
La Fondazione è affidata al Pontificio Consiglio «Cor Unum» e ha sede amministrativa a Ouagadougou.
Interessa nove nazioni: Burkina Faso, Capo Verde, Ciad, Gambia, Guinea-Bissau, Mali, Mauritania, Niger
e Senegal. Suoi scopi primari sono
la formazione di persone che lottino
contro la siccità, la desertificazione e
il soccorso alle vittime della siccità
nella regione. Il Consiglio di amministrazione è presieduto dal vescovo
di Banfora, Lucas Kalfa Sanou,
membro per il Burkina Faso.
Nel suo intervento, monsignor
Dal Toso ha ripercorso la storia
dell’organismo, che affonda le sue
radici nell’emergenza di un popolo
vittima della costante desertificazione del proprio territorio. Negli anni
Settanta del secolo scorso — ha ricordato — «le condizioni climatiche
disastrose hanno prodotto una terribile siccità nella regione del Sahel
che ha causato un’alta mortalità nella popolazione e la distruzione di
numerosi capi di bestiame». Una
siccità che ha colpito complessivamente venticinque milioni di persone aggravando condizioni di vita già
estremamente precarie per colpa della cronica malnutrizione, della mancanza di acqua potabile e delle epidemie. «Di fronte a una tale catastrofe umanitaria, Paolo VI chiese
nel 1973 al Pontificio Consiglio “Cor
Unum”, fondato due anni prima, di
seguire da vicino la situazione. “Cor
Unum” lanciò “l’operazione semina”, su proposta del cardinale Paul
Zoungrana, al fine di limitare l’avanzata del deserto grazie alle colture
della popolazione locale. Paolo VI —
ha aggiunto il segretario del Pontificio Consiglio — riunì i vescovi del
luogo per cercare di definire un aiuto che potesse contribuire a limitare
le conseguenze di questo flagello. Si
calcolò all’epoca che il deserto avanzasse di quindici chilometri all’anno.
Anche le Nazioni Unite e i vari governi dedicarono la loro attenzione a
questa catastrofe, che aveva commosso il mondo intero, inviando più
di 550.000 tonnellate di aiuti alimentari fra il 1973 e il 1974».
Il resto lo fece Giovanni Paolo II
attraverso quell’appello lanciato durante il suo pellegrinaggio apostolico in Africa, nel maggio 1980. Appello ripetuto da Benedetto XVI il 10
febbraio 2012 ricevendo i rappresentanti della Fondazione. Un’altra siccità stava nuovamente mettendo in
pericolo la sopravvivenza delle popolazioni nel Sahel (in particolare
due milioni di bambini) e il Pontefice, sottolineando l’origine teologica
ed ecclesiologica della missione caritativa dell’organismo, si rivolse alla
comunità internazionale affinché
prestasse la propria attenzione
all’estrema povertà di quella gente e
chiese alla Fondazione di essere
sempre più testimone della carità
della Chiesa, incitandola ad aggiornarsi e a rinnovarsi, aiutata in questo da «Cor Unum».
Il futuro — ha spiegato monsignor
Dal Toso — passa anche attraverso
una migliore definizione dei campi
di intervento relativamente ai criteri
di selezione dei progetti, per garantire il nesso di causalità fra il tipo di
intervento e la lotta contro la desertificazione. Criteri indicati dalla
Conferenza episcopale italiana (il
maggiore benefattore di fondi destinati all’organismo pontificio), per
quanto concerne sia il profilo-tipo
dei promotori dei progetti sia il formulario-tipo della loro presentazione, e che la Fondazione ha prontamente adottato. «Riguardo poi il
profilo dei responsabili dei progetti», ha aggiunto il segretario, «è stata sottolineata l’importanza che appartengano o abbiano un legame
con la Chiesa in modo che venga
preservata
l’identità
cattolica
dell’azione caritativa della Fondazione. La dichiarazione di sostegno del
vescovo non è solo un aspetto formale ma significa l’impegno del vescovo su quel progetto». Due infine
gli aspetti relativi alla formazione,
uno motivazionale (come rendere
trasparente la presenza della Chiesa
attraverso il progetto), l’altro tecnico-procedurale (formulazione, gestione e valutazione dei progetti).
«Il Segretariato generale — ha concluso — è chiamato a diventare sempre più non solamente un luogo di
raccolta dei documenti ma anche di
condivisione delle esperienze a sostegno delle varie diocesi del Sahel,
dei loro progetti per la promozione
umana e in difesa dell’ambiente».
Il vescovo di Sokoto in vista delle elezioni generali del 28 marzo
Corruzione e disuguaglianza primi mali della Nigeria
ABUJA, 17. «Un’orribile marea di
corruzione». Così il vescovo di Sokoto, monsignor Matthew Hassan
Kukah, ha definito la situazione politica in Nigeria a sei settimane dalle
elezioni presidenziali e legislative.
Secondo il presule ci sono pochi
dubbi: il nuovo esecutivo dovrà affrontare come priorità le questioni
che oggi affossano il Paese africano.
«Anni di corruzione — afferma il
presule in una lettera inviata ad Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs) —
hanno diminuito il senso di legalità
percepito nel nostro Stato. Il nuovo
presidente dovrà chiamare a raccolta
i cittadini attorno a un progetto di
identità e di unità nazionale».
Le più forti disuguaglianze in Nigeria si registrano a causa dell’assoluta sperequazione nella distribuzione delle risorse: i giacimenti naturali
e il loro sfruttamento sono concentrati nelle mani di pochi. «Nonostante gli enormi ricavi derivanti
dall’esportazione del petrolio — spiega monsignor Kukah — è difficile
che questi abbiano ricadute positive
sulla vita dei comuni cittadini».
L’ineguaglianza, politica, economica
e sociale, è quindi il primo problema da risolvere per restituire alla
Nigeria quella pace perduta ormai
da tempo: «Chiunque vincerà le ele-
zioni,
dovrà
investire
risorse
nell’educazione, nella creazione di
posti di lavoro e nell’agricoltura».
A questi problemi si aggiungono
quelli legati alla repressione della libertà religiosa. Gli islamisti di Boko
Haram non hanno fatto altro che incrementare le tensioni fra i diversi
gruppi, «in special modo — afferma
il presule — fra cristiani e musulmani. A Sokoto, dove vivo, come in altre città del nord della Nigeria, c’è
stato un grande esodo di persone».
I cristiani, in particolare, «hanno
raggiunto le loro famiglie in altre
parti del Paese, già prima di natale».
Il timore è che si ripeta la stessa violenza del 2011, quando prima delle
elezioni vennero uccise circa 800
persone, con le case e le chiese dei
cristiani distrutte dalle fiamme.
«Peccato — aggiunge il vescovo —
che il Governo federale della Nigeria non abbia provveduto a risarcire
i familiari di queste persone in alcun
modo». Eppure monsignor Kukah
si dice speranzoso riguardo le prossime elezioni del 28 marzo: «Guardiamo a questo appuntamento con
moderato ottimismo, seppur con un
profondo senso di attenzione. Siamo
incoraggiati dal fatto che i nigeriani
stanno facendo di tutto per respingere le incursioni di Boko Haram in
vista della consultazione elettorale,
come siamo lieti di notare il crescente supporto degli organismi internazionali. Siamo fiduciosi che le prossime elezioni si possano svolgere in
un clima di pace e tranquillità».
Intanto, Acs ha accolto l’appello
lanciato dal vescovo donando qua-
rantacinquemila euro agli sfollati
della diocesi di Maiduguri, mentre
altri trentasettemila euro saranno
stanziati per permettere ai sacerdoti
della stessa diocesi di continuare a
celebrare messa. La metà di essi, infatti, si era rifugiata nella vicina diocesi di Yola.
Alla Gregoriana un centro per la protezione dei minori
Più educazione
e più prevenzione
Papa Francesco ha espresso sostegno e gratitudine al rinnovato
Centre for child protection, attivo
nella Pontificia Università Gregoriana. Lo ha scritto in un messaggio al presidente della struttura, il
gesuita tedesco Hans Zollner, che
è anche membro della Pontificia
Commissione per la protezione
dei minori. Il messaggio è stato
reso pubblico lunedì 16 febbraio
ed è stato letto proprio in occasione dell’incontro di presentazione
svoltosi alla Gregoriana.
«Desidero far giungere un cordiale saluto a te e a tutti coloro
che lavorano a questo compito»
ha scritto il Pontefice a padre Zollner, rallegrandosi «molto per
quello che state facendo» e complimentandosi «di cuore». E dicendosi anche certo «che tutto
questo lavoro darà i suoi frutti», il
Papa ha «fraternamente» concluso
il suo messaggio chiedendo al Signore di accompagnare questo lavoro e alla Vergine Maria di proteggerlo.
Dunque il Centre for child protection «si rinnova ed espande su
scala internazionale il proprio lavoro per la prevenzione degli abusi sessuali su minori e persone
vulnerabili» è stato spiegato. E lo
fa su ampia scala: sede trasferita a
Roma da Monaco di Baviera; collaborazione con la Pontificia
Commissione per la tutela dei minori; ampliamento dei partner internazionali e anche, nel 2016, un
diploma in «Safeguarding of minors and vulnerable people». Tutto questo dopo una “fase pilota”
di tre anni avviata con un convegno organizzato, nel 2012, sempre
dalla Gregoriana.
La struttura è stata avviata a
Monaco di Baviera dall’Istituto di
psicologia della stessa Gregoriana,
in collaborazione con il dipartimento di psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza-psicoterapia dell’Università clinica di
Ulm, e con il supporto dell’arcidiocesi di Monaco e Frisinga. A
sostenerlo, tuttora, la stessa arcidiocesi guidata dal cardinale Reinhard Marx, oltre a singole diocesi, ordini e congregazioni religiose. Ora, dunque, il Centre for
child protection «affianca la sua
attività a quella della Pontificia
commissione per la tutela dei minori» che sta concentrando i propri sforzi sulla prevenzione e ragionando su come definire «la accountability» dei vescovi di fronte
alle denunce di pedofilia nei confronti di preti delle loro diocesi.
Intervenendo alla conferenza di
presentazione, il cardinale Sean
Patrick O’Malley, presidente della
Pontificia Commissione, ha rilevato che in passato non c’era sufficiente consapevolezza della «devastazione» provocata dalla pedofilia nella Chiesa «in nome di uno
spirito di segretezza e di vergogna», con risposte «inadeguate»,
«improvvisate» o che hanno addirittura dato più attenzione «alla
riabilitazione degli abusatori che
alla cura dei bambini abusati». E
ha sottolineato la necessità di
maggiori sforzi nel campo degli
studi sulle cause e la fenomenologia di questa «piaga», puntando
di più su «educazione e prevenzione». Il nostro obiettivo, ha
spiegato il cardinale O’Malley,
«non è trattare i singoli casi di
abuso sessuale» ma «consigliare il
Santo Padre a raccomandare le
migliori azioni e procedure per
promuovere» appunto «l’educazione e la prevenzione».
L’OSSERVATORE ROMANO
mercoledì 18 febbraio 2015
pagina 7
Il Papa ha offerto la messa a Santa Marta per i ventuno copti «sgozzati per il solo motivo di essere cristiani»
Come martiri
«Offriamo questa messa per i nostri
ventuno fratelli copti, sgozzati per il
solo motivo di essere cristiani». Lo
ha detto Papa Francesco nella celebrazione presieduta martedì 17 febbraio nella cappella della Casa Santa Marta. «Preghiamo per loro — ha
aggiunto — che il Signore come
martiri li accolga, per le loro famiglie, per il mio fratello Tawadros che
soffre tanto». E proprio con il patriarca della Chiesa ortodossa copta,
Tawadros II, il Papa ha parlato personalmente al telefono nel pomeriggio di lunedì manifestandogli la sua
profonda partecipazione al dolore
per il barbaro assassinio compiuto
dai fondamentalisti islamici. E assicurando anche la propria preghiera.
Ripetendo le parole dell’antifona
iniziale «Sii per me difesa, o Dio,
rocca e fortezza che mi salva, perché
tu sei mio baluardo e mio rifugio;
guidami per amore del tuo nome»
(salmo 31, 3-4), Papa Francesco ha
aperto l’omelia. Il brano del Libro
della Genesi sul diluvio (6, 5-8; 7, 15.10), proposto dalla liturgia del
giorno, «ci fa pensare — ha detto il
Pontefice — alla capacità di distruzione che ha l’uomo: l’uomo è capace di distruggere tutto quello che
Dio ha fatto» quando «gli sembra
di essere più potente di Dio». E così
«Dio può fare cose buone, ma l’uomo è capace di distruggerle tutte».
Anche «nella Bibbia, nei primi
capitoli, troviamo tanti esempi,
dall’inizio». Ad esempio, ha spiegato Francesco, «l’uomo chiama il diluvio per la sua malvagità: è lui che
lo chiama!». Inoltre «l’uomo chiama
il fuoco del cielo, in Sodoma e Gomorra, per la sua malvagità». Poi
«l’uomo crea la confusione, la divisione dell’umanità — Babele, la Torre di Babele — per la sua malvagità». Insomma, «l’uomo è capace di
distruggere, noi siamo tutti capaci di
distruggere». Ce lo conferma, sempre nella Genesi, «una frase molto,
molto acuta: “Questa malvagità era
grande e ogni intimo intento del loro cuore — del cuore degli uomini —
non era altro che male, sempre”».
Non è questione di essere troppo
negativi, ha fatto notare il Papa,
perché «questa è la verità». A tal
punto che «siamo capaci di distruggere anche la fraternità», come dimostra la storia di «Caino e Abele
nelle prime pagine della Bibbia».
Un episodio che, appunto, «distrugge la fraternità, è l’inizio delle guerre: le gelosie, le invidie, tanta cupidigia di potere, di avere più potere». Sì, ha affermato Francesco,
«questo sembra negativo, ma è realista». Del resto, ha aggiunto, basta
prendere un «giornale qualsiasi» per
vedere «che più del novanta per
cento delle notizie sono notizie di
distruzione: più del novanta per
cento! E questo lo vediamo tutti i
giorni!».
Ma allora «cosa succede nel cuore
dell’uomo?» è stato l’interrogativo
fondamentale proposto dal Papa.
«Gesù, una volta, avvertì i suoi discepoli che il male non entra nel
cuore dell’uomo perché mangia questa cosa che non è pura, bensì perché esce dal cuore». E «dal cuore
dell’uomo escono tutte le malvagità». Infatti «il nostro cuore debole è
ferito». C’è «sempre quella voglia di
autonomia» che porta a dire: «Io
faccio quello che voglio e se io ho
voglia di questo, lo faccio! E se per
questo voglio fare una guerra, la faccio! E se per questo voglio distruggere la mia famiglia, lo faccio! E se
per questo devo ammazzare il vicino, lo faccio!». Ma proprio «queste
sono le notizie di ogni giorno» ha
rimarcato il Papa, osservando che «i
giornali non ci raccontano notizie di
vita di santi».
Dunque, ha proseguito rilanciando la questione centrale, «perché
siamo così?». La risposta è diretta:
«Perché abbiamo questa possibilità
di distruzione, questo è il problema!». E così facendo, poi, «nelle
guerre, nel traffico delle armi siamo
imprenditori di morte!». E «ci sono
i Paesi che vendono le armi a questo
che è in guerra con questo, e le vendono anche a questo, perché così
continui la guerra». Il problema è
proprio la «capacità di distruzione e
questo non viene dal vicino» ma
«da noi!».
«Ogni intimo intento del cuore
non era altro che male» ha ripetuto,
ancora, Francesco. Ricordando ap-
punto che «noi abbiamo questo seme dentro, questa possibilità». Ma
«abbiamo anche lo Spirito Santo
che ci salva». Si tratta perciò di scegliere a partire dalle «piccole cose».
E così «quando una donna va al
mercato e trova un’altra, incomincia
a chiacchierare, a sparlare della vicina, dell’altra donna di là: questa
donna uccide, questa donna è malvagia». E lo è «nel mercato» ma anche «in parrocchia, nelle associazioni: quando ci sono le gelosie, le invidie vanno dal parroco a dire “ma
questa no, questo sì, questo fa”».
Anche «questa è la malvagità, la capacità di distruggere che tutti noi
abbiamo».
È su questo punto che «oggi la
Chiesa, alle porte della Quaresima,
ci fa riflettere». L’invito del Papa è
a domandarcene la ragione, a partire
dal passo evangelico di Marco (8,
14-21). «Nel Vangelo Gesù rimprovera un po’ i discepoli che discutevano: “ma tu dovevi prendere il pane — No, tu!”». Insomma i dodici
«discutevano come sempre, litigavano fra loro». Ed ecco che Gesù rivolge loro «una bella parola: “Fate
attenzione, guardatevi dal lievito dei
farisei e dal lievito di Erode”». Così,
«semplicemente fa l’esempio di due
persone: Erode è cattivo, assassino,
e i farisei ipocriti». Ma il Signore
parla anche di «“lievito” e loro non
capivano».
Il fatto è che, come racconta Marco, i discepoli «parlavano di pane,
di questo pane, e Gesù gli fa: “Ma
quel lievito è pericoloso, quello che
noi abbiamo dentro e che ci porta a
distruggere. Guardatevi, fate attenzione!”». Poi «Gesù fa vedere l’altra
porta: “Avete il cuore indurito? Non
vi ricordate quando ho spezzato i
cinque pani, la porta della salvezza
di Dio?». Infatti «per questa strada
della discussione — dice — mai, mai
si farà qualcosa di buono, sempre ci
saranno divisioni, distruzione!». E
continua: «Pensate alla salvezza, a
quello che anche Dio ha fatto per
noi, e scegliete bene!». Ma i discepoli «non capivano perché il cuore
era indurito per questa passione, per
questa malvagità di discutere fra loro e vedere chi era il colpevole di
quella dimenticanza del pane».
Francesco ha quindi esortato a
prendere «questo messaggio del Signore sul serio». Con la consapevolezza che «queste non sono cose
strane, non è il discorso di un marziano» ma sono invece «le cose che
ogni giorno accadono nella vita». E
per verificarlo, ha ripetuto, basta
soltanto prendere «il giornale, niente di più!».
Però, ha aggiunto, «l’uomo è capace di fare tanto bene: pensiamo a
madre Teresa, per esempio, una
donna del nostro tempo». Ma se
«tutti noi siamo capaci di fare tanto
bene» siamo altrettanto «capaci anche di distruggere nel grande e nel
piccolo, nella stessa famiglia: distruggere i figli, non lasciando crescere i figli con libertà, non aiutandoli a crescere bene» e così in qualche modo annullando i figli. E considerato che «abbiamo questa capacità», per noi «è necessaria la meditazione continua: la preghiera, il
confronto fra noi» proprio «per non
cadere in questa malvagità che tutto
distrugge».
E «abbiamo la forza» per farlo,
come «Gesù ci ricorda». Tanto che
«oggi ci dice: “Ricordate. Ricordatevi di me, che ho versato il mio sangue per voi; ricordatevi di me che vi
ho salvato, vi ho salvati tutti; ricordatevi di me, che ho la forza di accompagnarvi nel cammino della vita, non per la strada della malvagità,
ma per la strada della bontà, del fare il bene agli altri; non per la strada della distruzione, ma per la strada del costruire: costruire una famiglia, costruire una città, costruire
una cultura, costruire una patria,
sempre di più!».
La riflessione di oggi ha suggerito
a Francesco di chiedere al Signore,
«prima di incominciare la Quaresima», la grazia di «scegliere sempre
bene la strada col suo aiuto e non
lasciarci ingannare dalle seduzioni
che ci porteranno sulla strada sbagliata».
Il dolore dei familiari degli egiziani copti trucidati in Libia (Reuters)
Le esequie del cardinale Becker
Maestro di sapienza
Papa Francesco ha presieduto nel pomeriggio di lunedì 16 febbraio, all’altare
della cattedra della basilica vaticana, il rito dell’ultima commendatio e della
valedictio al termine delle esequie del cardinale Karl Josef Becker. La messa funebre è stata celebrata dal cardinale decano, il quale ha tenuto l’omelia che
pubblichiamo di seguito. Hanno concelebrato trenta cardinali, tra i quali il segretario di Stato, Parolin, e dieci presuli. Erano presenti i cardinali Martino,
Coppa e Sardi. Con il Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede erano l’arcivescovo Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati, e i monsignori Wells, assessore, e Bettencourt, capo del Protocollo. Erano presenti anche la
sorella e i nipoti del cardinale defunto, che è stato sepolto nella cappella dei prepositi generali dei gesuiti nel cimitero romano del Verano.
di ANGELO SODANO
Un dovere di riconoscenza ci ha
riuniti in questa storica Basilica di
San Pietro, per dare l’estremo saluto al nostro compianto cardinale
Karl Josef Becker, illustre membro
della Compagnia di Gesù. Egli ci
ha lasciati dopo una vita tutta protesa verso quel Cristo che l’aveva
“afferrato”, come un giorno aveva
“afferrato” l’Apostolo Paolo (Fil 3,
17), chiamandolo a seguirlo.
Oggi noi siamo riuniti in preghiera, per ringraziare il Signore
per avercelo dato e per affidarlo
poi nelle mani misericordiose del
Padre che sta nei cieli.
Alla fine della nostra Messa, il
Santo Padre verrà a dargli la Benedizione finale, testimoniando così
tutta la sua vicinanza a chi ci ha lasciato. Appena appresa la notizia
della pia morte del nostro caro Cardinale, il Papa l'aveva già ricordato
con parole commosse. In un messaggio al Preposito Generale della
Compagnia di Gesù il Papa aveva
già espresso tutta la sua profonda
gratitudine per l’intenso ed esemplare lavoro svolto dal compianto
Fratello «nell’insegnamento, nella
formazione delle nuove generazioni,
specialmente dei sacerdoti, come
pure nel servizio alla Santa Sede».
Anche per coloro che fra noi
l’hanno conosciuto, il compianto
cardinale rimane come una grande
figura di maestro di sapienza cristiana, di quella “theologia mentis et
cordis” che non solo illumina la
mente, ma riscalda anche il cuore,
portandoci all’incontro del Signore.
A colloquio con padre Cantalamessa
Un abbraccio per l’ecumenismo
di NICOLA GORI
Per fare passi in avanti in ambito
ecumenico a volte vale di più un abbraccio, come quello tra Francesco e
il patriarca Bartolomeo, che tante
discussioni dottrinali. Ne ha parlato
il cappuccino Raniero Cantalamessa, in questa intervista al nostro
giornale, in occasione delle prediche
per Quaresima, che inizieranno da
venerdì 27 febbraio nella cappella
Redemptoris Mater del Palazzo
Apostolico, alla presenza del Papa.
Il predicatore della Casa Pontificia
svilupperà il tema «Due polmoni,
un solo respiro. Oriente e occidente
uniti nella professione della stessa
fede».
Perché la scelta di questo tema?
L’appello a condividere in pienezza la fede che unisce Oriente e Occidente, lanciato da Francesco in occasione del recente incontro con
Bartolomeo, ha fatto nascere in me
il desiderio di portare un piccolo
contributo alla realizzazione di questo desiderio che non è solo del Papa, ma di tutta la cristianità. Come
il corpo umano, anche il corpo di
Cristo, la Chiesa, secondo un’immagine cara a Giovanni Paolo II, ha
due polmoni e, come nel corpo
umano, essi devono respirare all’unisono. Di qui il titolo delle prediche.
Lei auspica un cambiamento di linea
in ambito ecumenico. Può spiegarci a
cosa si riferisce?
Finora, nello sforzo di promuovere l’unità tra i cristiani ha prevalso
la linea di risolvere prima le differenze, per poi condividere ciò che
abbiamo in comune; ora la linea che
si fa sempre più strada negli ambienti ecumenici è condividere ciò
che abbiamo in comune, per poi risolvere, in un clima di fraterno rispetto, le differenze. Il risultato più
sorprendente di questo cambiamento di prospettiva è che le stesse reali
differenze dottrinali, anziché apparire come un “errore”, o una “eresia”
dell’altro, ci appaiono spesso un necessario correttivo e un arricchimento della propria posizione. Se ne è
avuto un esempio, su un altro versante, con l’accordo del 1999 tra la
Chiesa cattolica e la Federazione
mondiale delle Chiese luterane, a
proposito della giustificazione mediante la fede.
Quali sono i punti di contatto e quelli
che più allontanano tradizione occidentale e orientale?
I grandi misteri della fede, nei
quali cercherò di verificare l’accordo
di fondo, pur nella diversità delle
due tradizioni, sono il mistero della
Trinità, la persona di Cristo, quella
dello Spirito Santo e la dottrina del-
la salvezza. Due polmoni, un unico
respiro: sarà questa la convinzione
dalla quale intendo lasciarmi guidare in tale cammino di ricognizione.
Francesco parla di «differenze riconciliate»: non taciute o banalizzate,
ma riconciliate. Un saggio pensatore
pagano del quarto secolo, Quinto
Aurelio Simmaco, ricordava una verità che acquista tutto il suo valore
se applicata ai rapporti tra le diverse
teologie dell’Oriente e dell’O ccidente: Uno itinere non potest perveniri ad
tam grande secretum («A un mistero
così grande non si può pervenire da
una sola strada»). Trattandosi di
semplici prediche quaresimali, è evidente che toccherò problemi così
complessi senza alcuna pretesa di
completezza, con un intento pratico
e orientativo, più che speculativo.
Su quali aspetti si potranno concentrare gli sforzi ecumenici?
Nell’ambito del dialogo ecumenico ufficiale, so che il tema della
Chiesa è, in questo momento, l’epicentro dell’interesse. Su di esso, la
commissione Fede e costituzione,
della quale fa parte anche la Chiesa
cattolica, ha concentrato da tempo i
suoi sforzi e ha messo a punto un
documento intitolato La Chiesa: verso una visione comune che segna un
notevole passo avanti nell’individuazione di quello che deve essere il
dato fondamentale comune a tutti e
di quelle che sono invece le caratteristiche proprie e condivisibili di ciascuna tradizione cristiana.
Quanto possono influire nel cammino
ecumenico gesti come la recente visita
di Francesco al patriarca Bartolomeo?
L’esperienza ha dimostrato che i
veri «salti di qualità», nei rapporti
tra Chiesa cattolica e Ortodossia,
non sono stati tanto i dialoghi bilaterali, quanto due abbracci: quello
no, da un giorno all’altro, solo con
un abbraccio o un gesto di riconciliazione. Il cardinale Kasper, negli
ultimi tempi da presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani insisteva spesso sulla necessità
di un «ecumenismo spirituale» che
spiani il terreno a quello dottrinale.
La vita consacrata può essere un ponte
di dialogo tra cattolici e ortodossi?
A livello di vita consacrata, nonostante alcuni ambiti di resistenza, è
in atto da tempo un fecondo scambio. Molte forme di vita religiosa e monastica
di recente fondazione,
Durante la Quaresima, specialmente in Frantroviamo modi concreti per superare cia, hanno attinto largamente al patrimonio
la nostra indifferenza liturgico e musicale
dell’Oriente. Ho appe(@Pontifex_it)
na terminato di predicare un corso di esercizi spirituali in Assisi a
tra Paolo VI e Atenagora e ultima- un gruppo di oltre settanta seminamente quello tra Francesco e Barto- risti di Parigi, accompagnati dai loro
lomeo. Ma questa è ormai convin- formatori; era una gioia per me
zione comune: l’ecumenismo dottri- ascoltare, durante le liturgie, testi e
nale deve essere accompagnato, e melodie polifoniche di cui conosceanzi preceduto, da un ecumenismo vo bene l’origine orientale. Un
dell’agape, cioè della carità e esempio di rapporti stretti tra
dell’amicizia. È incredibile quanti Oriente e Occidente nell’ambito
muri che sembravano irremovibili, monastico è, in Italia, il monastero
sono crollati, come il muro di Berli- di Bose fondato da Enzo Bianchi.
Nel Palazzo Apostolico Vaticano vi
è un bell’affresco di Raffaello nella
volta della Stanza della Segnatura
Apostolica, che rappresenta la teologia con una scritta sostenuta dagli
Angeli e che dice: “Divinarum rerum notitia”, notizia delle cose divine. Per il nostro cardinale la teologia era certamente «notizia delle
cose divine», ma voleva essere anche «amore delle cose divine». Essa
voleva essere un’anticipazione, per
quanto oscura, di ciò che potremo
poi conoscere con la visione di Dio
nell’eternità.
Nella prima lettura di questa
Santa Messa abbiamo poi ascoltato
le parole di Giobbe che, pur tra le
sue prove, diceva agli amici: «Io
vedrò Dio. Lo vedrò io stesso. I
miei occhi lo contempleranno»
(Giobbe, 19, 27).
In realtà, è questa la fede di ogni
credente. È stata questa la fede del
nostro cardinale. Quante volte,
spiegando ai suoi studenti il trattato De Deo uno o il trattato De Eucharistia, egli avrà anche illustrato
le parole dell’Apostolo Paolo ai Corinti: «Adesso vediamo Dio attraverso uno specchio, allora lo vedremo faccia a faccia» (1 Cor 13, 9).
Il Vangelo che oggi è stato proclamato ci ha poi parlato della necessità di tenere le nostre lampade
sempre accese, per poter accogliere
il Signore, quando venga a chiamarci. Ebbene mi sembra che il nostro caro fratello cardinale abbia atteso l’arrivo del Signore tenendo in
mano la lampada ben accesa, la
lampada della fede, per andare subito incontro al suo Signore.
L’esempio del cardinale Becker
spinga anche noi a seguirne le orme, per essere sempre pronti ad andare incontro al Signore, quando
Egli venga a chiamarci. Allora gusteremo anche noi le parole del Salmo: «Gustate e vedete come sia
buono il Signore. Beato l’uomo che
in Lui si rifugia» (Ps 34, 9).
I vigili del fuoco
in festa
per i santi patroni
Tutti quanti lavorano in Vaticano
sono tenuti a dare una testimonianza sincera e coerente della fede e
del battesimo. Lo ha detto il cardinale presidente Giuseppe Bertello,
celebrando martedì mattina, 17 febbraio, nella cappella del palazzo del
Governatorato, la messa per la festa
dei patroni del Corpo dei vigili del
fuoco, santa Barbara e san Leone IV
Papa. Il porporato ha anche richiamato l’attenzione a non cadere nel
fariseismo e a non considerare solo
l’aspetto esteriore. Hanno concelebrato, tra gli altri, il vescovo segretario generale Vérgez Alzaga, padre
García de la Serrana Villalobos, e i
cappellani don Pellini e padre
Schiavella. Tra i presenti, il coordinatore del Corpo dei vigili del fuoco, De Angelis, e il direttore dei
servizi di sicurezza e protezione civile, Giani, il quale ha spiegato che
nel 2014 ci sono state 45o chiamate
di pronto intervento in Vaticano e
nelle zone extraterritoriali.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
mercoledì 18 febbraio 2015
«Voi giovani siete dei bravi esploratori!
Nell’invitarvi a riscoprire la bellezza
della vocazione umana all’amore,
vi esorto anche a ribellarvi contro
la diffusa tendenza» a banalizzarlo.
Lo scrive Papa Francesco
nel messaggio per la Giornata
mondiale della gioventù 2015, che sarà
celebrata a livello diocesano
nella domenica delle Palme. È
il secondo dei tre messaggi papali
dedicati alle beatitudini evangeliche, che
stanno scandendo l’itinerario
di preparazione al raduno
internazionale in programma a
Cracovia nel 2016.
Nel trentennale della giornata mondiale della gioventù
Esploratori della bellezza
Giovanni Paolo
II
interceda per il nostro pellegrinaggio verso Cracovia
«Beati i puri di cuore, perché vedranno
Dio» (Mt 5, 8)
Cari giovani,
continuiamo il nostro pellegrinaggio spirituale verso Cracovia, dove
nel luglio 2016 si terrà la prossima
edizione internazionale della Giornata Mondiale della Gioventù. Come
guida del nostro cammino abbiamo
scelto le Beatitudini evangeliche.
L’anno scorso abbiamo riflettuto sulla Beatitudine dei poveri in spirito,
inserita nel contesto più ampio del
“discorso della montagna”. Abbiamo
scoperto insieme il significato rivoluzionario delle Beatitudini e il forte
richiamo di Gesù a lanciarci con coraggio nell’avventura della ricerca
si fanno subito notare anche nelle
loro relazioni con sé stessi, l’uno con
l’altro, con la natura. E sono drammatiche! La purezza delle origini è
come inquinata. Da quel momento
in poi l’accesso diretto alla presenza
di Dio non è più possibile. Subentra
la tendenza a nascondersi, l’uomo e
la donna devono coprire la propria
nudità. Privi della luce che proviene
dalla visione del Signore, guardano
la realtà che li circonda in modo distorto, miope. La “bussola” interiore
che li guidava nella ricerca della felicità perde il suo punto di riferimento e i richiami del potere, del possesso e della brama del piacere a tutti i
He Qi, «Road to Emmaus»
della felicità. Quest’anno rifletteremo sulla sesta Beatitudine: «Beati i
puri di cuore, perché vedranno Dio»
(Mt 5, 8).
1. Il desiderio della felicità
La parola beati, ossia felici, compare nove volte in questa che è la prima grande predica di Gesù (cfr. Mt
5, 1-12). È come un ritornello che ci
ricorda la chiamata del Signore a
percorrere insieme a Lui una strada
che, nonostante tutte le sfide, è la
via della vera felicità.
Sì, cari giovani, la ricerca della felicità è comune a tutte le persone di
tutti i tempi e di tutte le età. Dio ha
deposto nel cuore di ogni uomo e di
ogni donna un desiderio irreprimibile di felicità, di pienezza. Non avvertite che i vostri cuori sono inquieti e
in continua ricerca di un bene che
possa saziare la loro sete d’infinito?
I primi capitoli del Libro della
Genesi ci presentano la splendida
beatitudine alla quale siamo chiamati e che consiste in comunione perfetta con Dio, con gli altri, con la
natura, con noi stessi. Il libero accesso a Dio, alla sua intimità e visione era presente nel progetto di Dio
per l’umanità dalle sue origini e faceva sì che la luce divina permeasse
di verità e trasparenza tutte le relazioni umane. In questo stato di purezza originale non esistevano “maschere”, sotterfugi, motivi per nascondersi gli uni agli altri. Tutto era
limpido e chiaro.
Quando l’uomo e la donna cedono alla tentazione e rompono la relazione di fiduciosa comunione con
Dio, il peccato entra nella storia
umana (cfr. Gen 3). Le conseguenze
costi li portano nel baratro della tristezza e dell’angoscia.
Nei Salmi troviamo il grido che
l’umanità rivolge a Dio dal profondo
dell’anima: «Chi ci farà vedere il bene, se da noi, Signore, è fuggita la
luce del tuo volto?» (Sal 4, 7). Il Padre, nella sua infinita bontà, risponde a questa supplica inviando il suo
Figlio. In Gesù, Dio assume un volto umano. Con la sua incarnazione,
vita, morte e risurrezione Egli ci redime dal peccato e ci apre orizzonti
nuovi, finora impensabili.
E così, in Cristo, cari giovani, si
trova il pieno compimento dei vostri
sogni di bontà e felicità. Lui solo
può soddisfare le vostre attese tante
volte deluse dalle false promesse
mondane. Come disse san Giovanni
Paolo II: «è Lui la bellezza che tanto
vi attrae; è Lui che vi provoca con
quella sete di radicalità che non vi
permette di adattarvi al compromesso; è Lui che vi spinge a deporre le
maschere che rendono falsa la vita; è
Lui che vi legge nel cuore le decisioni più vere che altri vorrebbero soffocare. È Gesù che suscita in voi il
desiderio di fare della vostra vita
qualcosa di grande» (Veglia di preghiera a Tor Vergata, 19 agosto
2000: Insegnamenti XXIII/2, [2000],
212).
2. Beati i puri di cuore...
Adesso cerchiamo di approfondire
come questa beatitudine passi attraverso la purezza del cuore. Prima di
tutto dobbiamo capire il significato
biblico della parola cuore. Per la cultura ebraica il cuore è il centro dei
sentimenti, dei pensieri e delle intenzioni della persona umana. Se la
Bibbia ci insegna che Dio non vede
le apparenze, ma il cuore (cfr. 1 Sam
16, 7), possiamo dire anche che è a
partire dal nostro cuore che possiamo vedere Dio. Questo perché il
cuore riassume l’essere umano nella
sua totalità e unità di corpo e anima,
nella sua capacità di amare ed essere
amato.
Per quanto riguarda invece la definizione di “puro”, la parola greca utilizzata dall’evangelista Matteo è katharos e significa fondamentalmente
pulito, limpido, libero da sostanze contaminanti. Nel Vangelo vediamo Gesù scardinare una certa concezione
della purezza rituale legata all’esteriorità, che vietava ogni contatto con
cose e persone (tra cui i lebbrosi e
gli stranieri), considerati impuri. Ai
farisei che, come tanti giudei di quel
tempo, non mangiavano senza aver
fatto le abluzioni e osservavano numerose tradizioni legate al lavaggio
di oggetti, Gesù dice in modo categorico: «Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che
escono dall’uomo a renderlo impuro.
Dal di dentro infatti, cioè dal cuore
degli uomini, escono i propositi di
male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza» (Mc 7, 15.21-22).
In che consiste dunque la felicità
che scaturisce da un cuore puro? A
partire dall’elenco dei mali che rendono l’uomo impuro, enumerati da
Gesù, vediamo che la questione tocca soprattutto il campo delle nostre
relazioni. Ognuno di noi deve imparare a discernere ciò che può “inquinare” il suo cuore, formarsi una coscienza retta e sensibile, capace di
«discernere la volontà di Dio, ciò
che è buono, a lui gradito e perfetto» (Rm 12, 2). Se è necessaria una
sana attenzione per la custodia del
creato, per la purezza dell’aria,
dell’acqua e del cibo, tanto più dobbiamo custodire la purezza di ciò
che abbiamo di più prezioso: i nostri
cuori e le nostre relazioni. Questa
“ecologia umana” ci aiuterà a respirare l’aria pura che proviene dalle
cose belle, dall’amore vero, dalla
santità.
Una volta vi ho posto la domanda: Dov’è il vostro tesoro? Su quale
tesoro riposa il vostro cuore? (cfr.
Intervista con alcuni giovani del Belgio, 31 marzo 2014). Sì, i nostri cuori
possono attaccarsi a veri o falsi tesori, possono trovare un riposo autentico oppure addormentarsi, diventando pigri e intorpiditi. Il bene più
prezioso che possiamo avere nella vita è la nostra relazione con Dio. Ne
siete convinti? Siete consapevoli del
valore inestimabile che avete agli occhi di Dio? Sapete di essere amati e
accolti da Lui in modo incondizionato, così come siete? Quando questa percezione viene meno, l’essere
umano diventa un enigma incomprensibile, perché proprio il sapere
di essere amati da Dio incondizionatamente dà senso alla nostra vita.
Ricordate il colloquio di Gesù con il
giovane ricco (cfr. Mc 10, 17-22)?
L’evangelista Marco nota che il Signore fissò lo sguardo su di lui e lo
amò (cfr. v. 21), invitandolo poi a seguirlo per trovare il vero tesoro. Vi
auguro, cari giovani, che questo
sguardo di Cristo, pieno di amore, vi
accompagni per tutta la vostra vita.
Il periodo della giovinezza è quello in cui sboccia la grande ricchezza
affettiva presente nei vostri cuori, il
desiderio profondo di un amore ve-
di divieti che soffocano i nostri desideri di felicità, ma in un progetto di
vita capace di affascinare i nostri
cuori!
3. ... perché vedranno Dio
ro, bello e grande. Quanta forza c’è
in questa capacità di amare ed essere
amati! Non permettete che questo
valore prezioso sia falsato, distrutto
o deturpato. Questo succede quando
nelle nostre relazioni subentra la
strumentalizzazione del prossimo
per i propri fini egoistici, talvolta come puro oggetto di piacere. Il cuore
rimane ferito e triste in seguito a
queste esperienze negative. Vi prego:
non abbiate paura di un amore vero,
quello che ci insegna Gesù e che san
Paolo delinea così: «La carità è magnanima, benevola è la carità; non è
invidiosa, non si vanta, non si gonfia
d’orgoglio, non manca di rispetto,
non cerca il proprio interesse, non si
adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si
rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.
La carità non avrà mai fine» (1 Cor
13, 4-8).
Nell’invitarvi a riscoprire la bellezza della vocazione umana all’amore,
vi esorto anche a ribellarvi contro la
diffusa tendenza a banalizzare
l’amore, soprattutto quando si cerca
di ridurlo solamente all’aspetto sessuale, svincolandolo così dalle sue
essenziali caratteristiche di bellezza,
comunione, fedeltà e responsabilità.
Cari giovani, «nella cultura del
provvisorio, del relativo, molti predicano che l’importante è “godere” il
momento, che non vale la pena di
impegnarsi per tutta la vita, di fare
scelte definitive, “per sempre”, perché non si sa cosa riserva il domani.
Io, invece, vi chiedo di essere rivoluzionari, vi chiedo di andare controcorrente; sì, in questo vi chiedo di
ribellarvi a questa cultura del provvisorio, che, in fondo, crede che voi
Nel cuore di ogni uomo e di ogni
donna risuona continuamente l’invito del Signore: «Cercate il mio volto!» (Sal 27, 8). Allo stesso tempo ci
dobbiamo sempre confrontare con la
nostra povera condizione di peccatori. È quanto leggiamo per esempio
nel Libro dei Salmi: «Chi potrà salire il monte del Signore? Chi potrà
stare nel suo luogo santo? Chi ha
mani innocenti e cuore puro» (Sal
24, 3-4). Ma non dobbiamo avere
paura né scoraggiarci: nella Bibbia e
nella storia di ognuno di noi vediamo che è sempre Dio che fa il primo
passo. È Lui che ci purifica affinché
possiamo essere ammessi alla sua
presenza.
Il profeta Isaia, quando ricevette
la chiamata del Signore a parlare nel
suo nome, si spaventò e disse: «Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono» (Is
6, 5). Eppure il Signore lo purificò,
inviandogli un angelo che toccò la
sua bocca e gli disse: «È scomparsa
la tua colpa e il tuo peccato è espiato» (v. 7). Nel Nuovo Testamento,
quando sul lago di Gennèsaret Gesù
chiamò i suoi primi discepoli e compì il prodigio della pesca miracolosa,
Simon Pietro cadde ai suoi piedi dicendo: «Signore, allontanati da me,
perché sono un peccatore» (Lc 5, 8).
La risposta non si fece aspettare:
«Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini» (v. 10). E quando
uno dei discepoli di Gesù gli chiese:
«Signore, mostraci il Padre e ci basta», il Maestro rispose: «Chi ha visto me, ha visto il Padre» (Gv 14, 89).
L’invito del Signore a incontrarlo
è rivolto perciò ad ognuno di voi, in
qualsiasi luogo e situazione si trovi.
Basta «prendere la decisione di lasciarsi incontrare da Lui, di cercarlo
ogni giorno senza sosta. Non c’è
motivo per cui qualcuno possa pen-
non siate in grado di assumervi responsabilità, crede che voi non siate
capaci di amare veramente. Io ho fiducia in voi giovani e prego per voi.
Abbiate il coraggio di andare controcorrente. E abbiate il coraggio anche di essere felici» (Incontro con i
volontari alla GMG di Rio, 28 luglio
2013).
Voi giovani siete dei bravi esploratori! Se vi lanciate alla scoperta del
ricco insegnamento della Chiesa in
questo campo, scoprirete che il cristianesimo non consiste in una serie
sare che questo invito non è per lui»
(Esort. ap. Evangelii gaudium, 3).
Siamo tutti peccatori, bisognosi di
essere purificati dal Signore. Ma basta fare un piccolo passo verso Gesù
per scoprire che Lui ci aspetta sempre con le braccia aperte, in particolare nel Sacramento della Riconciliazione, occasione privilegiata di incontro con la misericordia divina che
purifica e ricrea i nostri cuori.
Sì, cari giovani, il Signore vuole
incontrarci, lasciarsi “vedere” da noi.
“E come?” – mi potrete domandare.
Anche santa Teresa d’Avila, nata in
Spagna proprio 500 anni fa, già da
piccola diceva ai suoi genitori: «Voglio vedere Dio». Poi ha scoperto la
via della preghiera come «un intimo
rapporto di amicizia con Colui dal
quale ci sentiamo amati» (Libro della
vita, 8, 5). Per questo vi domando:
voi pregate? Sapete che potete parlare con Gesù, con il Padre, con lo
Spirito Santo, come si parla con un
amico? E non un amico qualsiasi,
ma il vostro migliore e più fidato
amico! Provate a farlo, con semplicità. Scoprirete quello che un contadino di Ars diceva al santo Curato del
suo paese: quando sono in preghiera
davanti al Tabernacolo, «io lo guardo e lui mi guarda» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2715).
Ancora una volta vi invito a incontrare il Signore leggendo frequentemente la Sacra Scrittura. Se non avete ancora l’abitudine, iniziate dai
Vangeli. Leggete ogni giorno un
brano. Lasciate che la Parola di Dio
parli ai vostri cuori, illumini i vostri
passi (cfr. Sal 119, 105). Scoprirete
che si può “vedere” Dio anche nel
volto dei fratelli, specialmente quelli
più dimenticati: i poveri, gli affamati, gli assetati, gli stranieri, gli ammalati, i carcerati (cfr. Mt 25, 31-46).
Ne avete mai fatto esperienza? Cari
giovani, per entrare nella logica del
Regno di Dio bisogna riconoscersi
poveri con i poveri. Un cuore puro è
necessariamente anche un cuore spogliato, che sa abbassarsi e condividere la propria vita con i più bisognosi.
L’incontro con Dio nella preghiera, attraverso la lettura della Bibbia
e nella vita fraterna vi aiuterà a conoscere meglio il Signore e voi stessi. Come accadde ai discepoli di
Emmaus (cfr. Lc 24, 13-35), la voce
di Gesù farà ardere i vostri cuori e si
apriranno i vostri occhi per riconoscere la sua presenza nella vostra
storia, scoprendo così il progetto
d’amore che Lui ha per la vostra
vita.
Alcuni di voi sentono o sentiranno la chiamata del Signore al matrimonio, a formare una famiglia. Molti oggi pensano che questa vocazione sia “fuori moda”, ma non è vero!
Proprio per questo motivo, l’intera
Comunità ecclesiale sta vivendo un
periodo speciale di riflessione sulla
vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo. Inoltre, vi invito a considerare la chiamata alla vita consacrata o al sacerdozio. Quanto è bello
vedere giovani che abbracciano la
vocazione di donarsi pienamente a
Cristo e al servizio della sua Chiesa!
Interrogatevi con animo puro e non
abbiate paura di quello che Dio vi
chiede! A partire dal vostro “sì” alla
chiamata del Signore diventerete
nuovi semi di speranza nella Chiesa
e nella società. Non dimenticate: la
volontà di Dio è la nostra felicità!
4. In cammino
verso Cracovia
«Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5, 8). Cari giovani,
come vedete, questa Beatitudine tocca molto da vicino la vostra esistenza ed è una garanzia della vostra felicità. Perciò vi ripeto ancora una
volta: abbiate il coraggio di essere
felici!
La Giornata Mondiale della Gioventù di quest’anno conduce all’ultima tappa del cammino di preparazione verso il prossimo grande appuntamento mondiale dei giovani a
Cracovia, nel 2016. Proprio trent’anni fa san Giovanni Paolo II istituì
nella Chiesa le Giornate Mondiali
della Gioventù. Questo pellegrinaggio giovanile attraverso i continenti
sotto la guida del Successore di Pietro è stata veramente un’iniziativa
provvidenziale e profetica. Ringraziamo insieme il Signore per i preziosi frutti che essa ha portato nella
vita di tanti giovani in tutto il pianeta! Quante scoperte importanti, soprattutto quella di Cristo Via, Verità
e Vita, e della Chiesa come una
grande e accogliente famiglia! Quanti cambiamenti di vita, quante scelte
vocazionali sono scaturiti da questi
raduni! Il santo Pontefice, Patrono
delle GMG, interceda per il nostro
pellegrinaggio verso la sua Cracovia.
E lo sguardo materno della Beata
Vergine Maria, la piena di grazia,
tutta bella e tutta pura, ci accompagni in questo cammino.
Dal Vaticano, 31 gennaio 2015
Memoria di san Giovanni Bosco