Super karate: 10

ISTITUTO ONCOLOGICO VENETO
PERCORSO DIAGNOSTICO-TERAPEUTICO E ASSISTENZIALE PER I PAZIENTI
AFFETTI DA SARCOMA
Vittorina Zagonel
U.O. C Oncologia Medica 1
Maria Cristina Montesco
U.O. Diagnostica di Melanomi e Sarcomi
Giovanni Scarzello
U.O. C Radioterapia
Carlo Riccardo Rossi
U.O. C Melanoma e Sarcomi dei Tessuti Molli
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I sarcomi sono tumori rari di origine mesenchimale, con incidenza globale intorno a 3-5 casi/100.000
abitanti/anno. I sarcomi possono insorgere in qualsiasi area anatomica, anche se in oltre la metà dei
casi sono colpiti gli arti. Sotto il termine di sarcomi delle parti molli sono raggruppati più di 50 tipi
istologici diversi con caratterizzazioni biologiche specifiche e comportamenti distinti.
L’approccio multidisciplinare integrato è la migliore garanzia di qualità e di efficienza del percorso
diagnostico-terapeutico e assistenziale per i pazienti affetti da sarcoma. Tale approccio permette oggi
un trattamento personalizzato sulle caratteristiche istologiche della malattia, e sulle condizioni
specifiche del singolo individuo. Il gruppo multidisciplinare dedicato al trattamento dei sarcomi dello
IOV, in collaborazione con l’AOU di Padova e Ulss 16, garantisce ai pazienti affetti da sarcoma un
approccio multidisciplinare lungo tutto il percorso di diagnosi e cura.
Il paziente che giunge all’osservazione dell’Istituto Oncologico Veneto con diagnosi di sarcoma
accertato o in fase di accertamento è valutato presso l’ambulatorio di Prime Visite per i Sarcomi.
La prima visita oncologica sarà dedicata a:
-
Anamnesi e valutazione clinica completa. È essenziale che il paziente porti alla visita tutta la
documentazione clinica recente in suo possesso, compresi i referti anatomo-patologici, le
lettere di dimissione, nonché i dischetti degli accertamenti radiologici eseguiti al di fuori dello
IOV;
−
Programmazione di esami ematochimici e strumentali per la definizione dell'estensione di
malattia (stadio)
−
Comunicazione al paziente riguardo la diagnosi e la prognosi della malattia
−
Proposta
delle opzioni e obiettivi del trattamento antitumorale che potrà essere
eventualmente integrato alla radioterapia, all’intervento chirurgico, a trattamenti locali e ad
altre opzioni (se informazioni già disponibili);
−
Sequenza dei trattamenti, possibili effetti indesiderati e modalità per la prevenzione ed il
trattamento, con eventuale già acquisizione del consenso informato per la terapia (se
trattamento già definito)
−
Programmazione degli appuntamenti successivi con i recapiti telefonici, fax, e-mail per
consentire di contattare il personale medico e/o infermieristico di riferimento durante il
trattamento.
−
Valutazione geriatrica multidimensionale (VGM) per i pazienti di età superiore a 70 anni.
−
Invio relazione di sintesi al medico di famiglia.
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Gli esami richiesti per definire lo stadio della malattia sono:
-
TAC torace addome completo con mezzo di contrasto iodato (MdC);
-
Risonanza Magnetica Nucleare (RMN) della parte specifica del corpo coinvolta dalla malattia
(es. gamba, braccio, arto superiore…) con gadolinio;
-
Scintigrafia ossea e radiografie mirate dello scheletro (in presenza di dolori scheletrici)
-
TAC cerebrale (in presenza di disturbi neurologici);
-
Ecografie mirate.
Il campionamento bioptico necessario per un’adeguata tipizzazione istologica e preliminare a
qualsiasi trattamento, è ottenuto mediante:
-
Agobiopsia percutanea TAC-guidata
-
Biopsia linfonodale o di massa esterna
-
Biopsie incisionali o escissionali
Il materiale ottenuto con tale prelievo potrà servire anche per eseguire indagini molecolari, che
possono essere utili nella definizione diagnostica.
Per i pazienti con diagnosi istologica di sarcoma eseguita in altra sede, viene richiesta la revisione dei
preparati istologici.
Il programma terapeutico, personalizzato per ogni singolo paziente, tiene conto sia alle
caratteristiche della malattia (istotipo, dimensione e sede del tumore, coinvolgimento linfonodale e
sedi di eventuali metastasi) che delle condizioni del paziente (età, indipendenza funzionale,
comorbidità,
farmaci concomitanti etc.)
e viene
definito nell’ambito della discussione
multidisciplinare.
ISTOPATOLOGIA
La diagnosi finale dovrà essere stilata attenendosi ad appropriati e concreti criteri morfologici,
codificati dalla letteratura internazionale ed uniformi
per quanto concerne l’inquadramento
classificativo-terminologico. Per la classificazione si raccomanda di utilizzare la classificazione del
2012 dell’OMS “The WHO classification of Tumors of Soft Tissue and Bone”.
In accordo con i protocolli nazionali ed internazionali nel referto istopatologico devono essere riportati
oltre alla diagnosi:
- Grado istologico
- Stato dei margini
- Necrosi
- Classe di rischio secondo la classificazione proposta da Fletcher per i GISTs
- Stato degli eventuali linfonodi presenti
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- Risultato delle metodiche ancillari
Grado istologico
Stabilita la diagnosi di sarcoma la più importante informazione che il patologo può fornire al clinico é
costituita dal grado istologico.
Per i tumori delle parti molli non esiste un sistema di grading universalmente accettato. I sistemi più
noti sono proposti dalla French Federation of Cancer Centers Sarcoma Group (FNCLCC) e dal
National Cancer Institute.
Il sistema di gradazione francese è quello maggiormente utilizzato e sembra essere il più riproducibile
oltre che correlare meglio con la prognosi. Nell’applicazione del grado istologico bisogna tener conto
di alcuni limiti e seguire alcune regole:
- Il grado istologico non è sostitutivo della diagnosi
- Il grado istologico deve essere valutato solo su tumori primitivi non chemio- o radiotrattati
- Il grado istologico deve essere valutato solo su materiale rappresentativo
- Il grado istologico non è applicabile a tutti i tipi di sarcoma. Infatti, non devono essere gradati i tumori
a malignità intermedia, e non sono ritenuti gradabili alcuni rari sarcomi (sarcoma alveolare delle parti
molli, sarcoma epitelioide, e sarcoma a cellule chiare)
- Per alcuni istotipi, quali ad esempio, il tumore maligno delle guaine nervose periferiche il grading
non appare di valore prognostico.
- Per alcuni sarcomi l’istotipo definisce la prognosi (il liposarcoma ben differenziato/tumore lipomatoso
atipico è per definizione un tumore a basso grado non metastatizzante; invece PNET,
rabdomiosarcoma alveolare ed in genere i tumori a piccole cellule rotonde sono tumori ad alto grado)
Stato dei margini
Deve essere riportato lo stato dei margini: intralesionale, marginale (< 2cm), ampio (> 2cm) e riportata
la distanza in mm per ogni margine inferiore ai 2cm.
Necrosi
Deve essere riportata la presenza o meno di necrosi ed è consigliabile esprimerne la percentuale in
relazione alla massa tumorale.
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Risultato delle metodiche ancillari.
Nel referto devono essere riportati i risultati delle colorazioni immunoistochimiche, e di ogni metodica
molecolare applicata
Parametri opzionali sono da considerasi, l’indice mitotico, la presenza di invasione vascolare, la
presenza di infiltrato, infiammatorio, le caratteristiche dei margini.
STADIAZIONE
Per la stadiazione di questi tumori viene impiegato il sistema sviluppato dall’AJCC, in cui ciascuno
stadio risulta dalla valutazione dei seguenti fattori.
T: è il risultato della combinazione tra le dimensioni del tumore (>/< 5 cm) e la profondità di
localizzazione dello stesso. Vengono definite “superficiali” le lesioni che non interessano nella loro
crescita la fascia muscolare superficiale, mentre sono “profonde” le lesioni che la invadono o quelle
sottostanti. Per convenzione, tutti i sarcomi che si sviluppano nel retroperitoneo o nei visceri sono da
considerarsi profondi. Vengono considerate profonde anche la maggior parte delle lesioni del distretto
cervico-faciale e quelle endotoraciche.
N: nei SPM l’interessamento dei linfonodi regionali è un evento raro, ma con prognosi infausta. La
prognosi dei pazienti con malattia N1 è infatti sovrapponibile a quella dei pazienti con malattia
metastatica a distanza.
G: esprime il grado di differenziazione istologica della neoplasia, a cui viene dato un punteggio
crescente da 1 a 3 o 4 a seconda del sistema di classificazione utilizzato (v. sezione Patologia).
Poiché questo fattore è una variabile biologica di tipo continuo, può essere talora difficile
assegnarle un punteggio arbitrario.
Tumore primitivo (T)
Tx
tumore primitivo non valutabile
T0
nessuna evidenza di tumore primitivo
T1
tumore primitivo < 5 cm:
T1a = superficiale
T1b = profondo
T2
tumore primitivo > 5 cm
T2a = superficiale
T2b = profondo
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Linfonodi regionali (N)
Nx
linfonodi regionali non valutabili
N0
assenza di metastasi nei linfonodi regionali
N1
metastasi nei linfonodi regionali
Metastasi a distanza (M)
Mx
metastasi non valutabili
M0
non evidenza di metastasi a distanza
M1
presenza di metastasi a distanza
Grado istopatologico (G)
Gx
non valutabile
G1
ben differenziato
G2
moderatamente differenziato
G3
scarsamente differenziato
[G4
indifferenziato]
STADI
I
G1-2
T1a-b T2a-b
N0
M0
II
G3-4
T1a-b T2a
N0
M0
III
G3-4
T2b
N0
M0
IV
ogni G
ogni T
N1
M0
ogni G
ogni T
N0
M1
TRATTAMENTO DEI PAZIENTI CON MALATTIA LOCALIZZATA
Il trattamento di prima scelta per un SPM limitato alla sola sede locale, che può essere integrato con
chemioterapia e/o radioterapia (RT), è la chirurgia.
Obiettivo della chirurgia è ottenere margini sicuri e di qualità, evitando possibili danni funzionali ed
estetici. La qualità della chirurgia viene definita sulla base del margine più prossimo ai limiti della
neoplasia.
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ARTI
I criteri che orientano la strategia chirurgica sono in stretta correlazione con caratteristiche proprie del
tumore, ed in particolare:
- dimensioni
- situazione anatomica
- grading.
Scopo primario dell'intervento chirurgico è di ottenere margini chirurgici negativi.
Classicamente si distinguono le seguenti procedure.
Biopsia incisionale
L’incisione deve essere eseguita in modo da permettere successivamente la completa escissione
della precedente cicatrice. Nella maggior parte dei casi la sua direzione può essere parallela ai fasci
dei muscoli sottostanti. Se si posizionano drenaggi, questi devono fuoriuscire dall’incisione bioptica
piuttosto che attraverso altre incisioni, per evitare eventuali contaminazioni del tramite di uscita. E’
sempre necessaria un’emostasi accurata.
Chirurgia intralesionale
E’ eseguita all’interno della massa tumorale e solo una parte di essa viene asportata; residui
macroscopici del tumore vengono lasciati in sede. Non ha significato terapeutico dal punto di vista
oncologico.
Resezione marginale
Exeresi della massa tumorale rasente alla pseudocapsula. Da sola non è considerata un trattamento
adeguato (recidive locali nel 90% dei casi), anche se può essere una necessità per la salvaguardia
delle strutture anatomiche circostanti, di importanza vitale per l’arto. Bisogna sempre associare
terapie complementari (perfusione ipertermico antiblastica [PIA] e radio- chemioterapia).
Ampia escissione locale
Exeresi del tumore, di una porzione di tessuto muscolare sano contiguo dello spessore di almeno 1-2
cm e di tessuto fasciale o avventiziale macroscopicamente indenne. Deve inoltre comprendere tutte le
possibili aree contaminate dai precedenti interventi (cicatrici, tramiti dei drenaggi, ematomi). E'
essenziale non violare il letto tumorale, controllando con biopsia i margini sospetti, e delimitare con
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clips metalliche l'area di exeresi per facilitare l'eventuale RT post-operatoria.
L’escissione ampia è considerata sufficiente per i sarcomi superficiali < 5 cm, trattati in maniera
adeguata. Negli altri casi va associata alla RT, poiché nel 50% dei casi si verifica la recidiva locale. Lo
svuotamento linfonodale va associato alla escissione ampia solo se i linfonodi risultano
istologicamente infiltrati dal tumore.
Escissione radicale (Compartimentectomia)
Viene rimosso l'intero compartimento anatomico (aponevrosi, muscoli, nervi e vasi) che ospita il
tumore. E’ considerata trattamento adeguato per i tumori ad alto grado intracompartimentali, anche se
le recidive locali dopo tale intervento si verificano nel 15% dei pazienti.
Amputazione
Raramente indicata dopo l’avvento di trattamenti neoadiuvanti quali la Perfusione IpertermicoAntiblastica (PIA) con TNF e l’utilizzo di radio- e chemioterapia, le indicazioni all’amputazione sono
limitate ai casi con frattura patologica, recidiva di malattia dopo trattamento multimodale o in cui la
funzione residua dell’arto si preveda essere insufficiente dopo un intervento chirurgico conservativo.
Amputazione non è sinonimo di chirurgia adeguata per i sarcomi ma può essere marginale, ampia o
radicale a seconda del piano attraverso cui passa. Per definizione, il livello di amputazione si colloca
prossimalmente all’articolazione vicina alla neoplasia. Qualora sia necessario, possono essere
eseguiti i seguenti tipi di amputazione.
a. Al di sotto del ginocchio, al terzo medio-superiore di gamba, comprendendo sia la tibia che il
perone. Può essere indicata in particolare per i sarcomi del piede, data la scarsa tolleranza di
questo distretto per la RT.
b. Al di sopra del ginocchio, a qualsiasi distanza dal piccolo trocantere, con resezione di tutti i
maggiori gruppi muscolari della regione.
c. Disarticolazione dell’anca. Comporta l’asportazione completa dell’arto inferiore con resezione dei
muscoli che si inseriscono a livello dell’anca. Può essere utile per i tumori del terzo medio e
inferiore della coscia.
d. Emipelvectomia. Comporta la resezione completa dell’arto inferiore e della emipelvi con
disarticolazione dell’articolazione sacro-iliaca e della sinfisi pubica. Vengono asportati tutti i
muscoli dell’arto inferiore, tranne l’ileo-psoas, preservando un lembo posteriore di cute e sottocute
per ricoprire il moncone. E’ stata introdotta una variante tecnica, per agevolare la riabilitazione
post-operatoria, in cui l’osso iliaco viene interrotto al di sotto del solco dello sciatico, con
conservazione dei muscoli della natica. Non è però applicabile per i tumori localizzati in tale sede.
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Un’altra variante è la cosiddetta emipelvectomia interna, che consiste nell’asportazione del cingolo
pelvico, con conservazione dell’arto inferiore omolaterale. E’ indicata nei tumori localizzati all’ala
iliaca.
e. Emipelvectomia allargata. In caso di sarcomi dell’ala iliaca che non consentono la disarticolazione
della stessa dal sacro, la resezione è estesa fino al corpo vertebrale dell’ala del sacro.
f.
Al di sotto del gomito: per sarcomi della mano e del polso.
g. Al di sopra del gomito: per tumori dell’avambraccio.
h. Resezione extra-articolare di spalla (sec. Tikhoff-Lindberg). Prevede l’asportazione in blocco della
scapola, dell’omero prossimale e del terzo distale di clavicola. E’ indicata nei tumori della parte
prossimale del braccio.
i.
Amputazione interscapolo-toracica. E’ riservata per i tumori della spalla e della parte prossimale
del braccio. Comporta l’amputazione dell’intero arto superiore con scapola e clavicola.
j.
Scapulectomia. Trova indicazione per i tumori della regione scapolare. Può talora essere
un’alternativa all’amputazione interscapolo-toracica o all’intervento di Tikhoff-Lindberg.
PARETE TORACICA E ADDOMINALE
I sarcomi che insorgono in questi distretti sono talora di difficile trattamento a causa del ridotto
spessore dei tessuti che ricoprono muscoli, coste e cartilagini, e quindi per i problemi connessi con
un’adeguata ricostruzione. L’ampia escissione locale con margini istologicamente negativi è l’obiettivo
chirurgico da perseguire. Poiché nella maggior parte dei casi è richiesta la resezione completa a tutto
spessore della parete, la ricostruzione della soluzione di continuità può richiedere soluzioni
complesse, quali lembi mio-cutanei o innesti protesici, per ristabilire l’integrità funzionale della parete.
DISTRETTO CERVICO-FACIALE
I sarcomi di questo distretto sono relativamente poco frequenti ed interessano soprattutto la
popolazione pediatrica.
L’approccio standard è rappresentato dalla resezione marginale di necessità associata a RT
postoperatoria, visto che molto spesso non è possibile ottenere un margine di exeresi ampio a causa
della contiguità con strutture nobili, quali l’orbita, la carotide e la base cranica. In genere la prognosi
dei tumori di questo distretto è peggiore di quella degli arti.
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TRATTAMENTO CHIRURGICO INIZIALE INADEGUATO
Un intervento chirurgico iniziale intralesionale (con residuo di malattia di tipo macroscopico) nelle sedi
riportate sopra non è sanabile con la sola RT e va radicalizzato, possibilmente entro 90 giorni.
Esistono inoltre degli errori di conduzione dell'intervento chirurgico: 1) scelta di una via di accesso
chirurgica che violi il compartimento; 2) vie di accesso oblique o trasversali che non rispettino il campo
chirurgico; 3) utilizzo di anestesia locale che può creare dei tramiti con l'ago nei tessuti sani
circostanti. In tutte queste situazioni si rende necessaria la radicalizzazione e la successiva RT.
RETROPERITONEO
In questi tumori, il principale fattore che influenza la prognosi è rappresentato dalla possibilità di
eseguire un’exeresi chirurgica completa. Quando questa strada è percorribile la prognosi dipende dal
grading della lesione, dall'istotipo, dall'età del paziente, dallo stadio della malattia e dalla
localizzazione (addome superiore o inferiore). Il tasso di resecabilità varia a seconda che il tumore sia
primitivo o recidivo. In caso di tumore primitivo è possibile eseguire una resezione completa in oltre la
metà dei casi (60-80%). Invece, nelle recidive locali (che si verificano nel 30-85% dei pazienti) una
chirurgia radicale può essere eseguita in circa la metà dei casi, con una sopravvivenza media stimata
intorno al 50% a 5 anni dalla recidiva (la prognosi è differente a seconda dell'istotipo, migliore per i
liposarcomi, e del numero di localizzazioni). I pazienti con recidiva locale hanno a fronte di un
aumentato rischio di sviluppare ulteriori riprese di malattia locale una sopravvivenza sovrapponibile a
coloro che hanno un sarcoma retroperitoneale primitivo.
L’escissione completa è considerata il trattamento standard ed implica generalmente la resezione di
organi e strutture adiacenti al tumore, che devono essere compresi nell’exeresi non solo se infiltrati
dal tumore, ma anche se ne rappresentano il limite per ottenere la radicalità chirurgica. Tuttavia lo
spazio retroperiotoneale non consente una chirurgia compartimentale e sono rari i casi in cui
l’asportazione del tumore possa essere effettuata con margini ampi. Quindi la chirurgia dei SPM
retorperitoneli è per definizione marginale e non recuperabile con un re-intervento; pertanto la RT
adiuvante deve essere considerata. Inoltre, la chirurgia multiviscerale di principio per giungere ad una
maggiore radicalità può essere un'opzione proponibile.
Complessivamente il tasso di recidiva locale dopo exeresi è intorno al 40-50%, il che giustifica un
approccio aggressivo e la sperimentazione di terapie adiuvanti loco-regionali (IORT, RT). Ripetuti
interventi sono la norma nella storia naturale della malattia.
La chirurgia di riduzione di massa (debulking) può essere giustificata solo in alcuni casi, con intento
puramente palliativo (decompressione di visceri ecc.).
Tumori con infiltrazione massiva dei grossi vasi retroperitoneali e della radice del mesentere non sono
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considerati resecabili, anche se molto spesso il giudizio finale di resecabilità può essere emesso solo
al tavolo operatorio.
TERAPIA ADIUVANTE.
Dopo la chirurgia, a seconda del rischio di ripresa di malattia (diametro, sede di malattia,
coinvolgimento di linfonodi, grado di differenziazione tumorale), può essere indicato un trattamento
radioterapico adiuvante post-operatorio e, a volte, anche chemioterapico (ved. tabella I).
TERAPIA NEO-ADIUVANTE.
In pazienti selezionati con malattia localmente avanzata non operabile può essere preso in
considerazione un trattamento di tipo combinato. La chirurgia viene preceduta dalla chemioterapia e
radioterapia (ved. Tabella II). La radioterapia può essere eseguita prima o dopo l’intervento chirurgico,
in seguito a valutazione multidisciplinare del singolo caso. In alternativa questi pazienti possono
anche eseguire perfusione ipertermico-antiblastica loco regionali, seguita da asportazione
dell’eventuale residuo tumorale.
Per i pazienti con tumori inoperabili degli arti, l’approccio più moderno e recentemente condiviso in
alternativa all’amputazione, è rappresentato dalla PIA con TNF associato a melphalan. La PIA
consiste nel mettere l’arto chirurgicamente in circolazione extra-corporea somministrando i farmaci
antiblastici per 60 minuti a 40.5 °C. Dopo 4-6 settimane si procede ad exeresi della massa
neoplastica previa rivalutazione diagnostica locale (TC/RMN). In questo modo è stato possibile
eseguire una chirurgia conservativa nell’85% dei casi in pazienti altrimenti da amputare, con necrosi
tumorale completa in circa il 30% dei casi.
Considerando anche le amputazioni eseguite per
complicanze locoregionali a lungo termine o per recidiva, è stato dimostrato che complessivamente
circa il 70% dei pazienti sottoposti a PIA conserva l'arto.
Tabella I: Trattamento adiuvante
Indicazione
Regime
Durata
Pazienti ad alto rischio*
Epirubicina 60 mg/m2 giorni 1,2
q21 per 3-5 cicli
*sarcomi di grado elevato, di Ifosfamide 3 gr/m2 gg 1,2,3
diametro maggiore di 5 cm o Mesna 3 gr/m2 gg 1,2,3
situati in sedi profonde.
Con profilassi con G-CSF
Generalmente in regime di ricovero
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Tabella II:Trattamento Neoadiuvante
Indicazione
Pazienti
Regime
con
localmente avanzata
malattia Epirubicina 60 mg/m2 giorni 1,2
Durata
q21 per 3 cicli
Ifosfamide 3 gr/m2 gg 1,2,3
Mesna 3 gr/m2 gg 1,2,3
Con profilassi con G-CSF
Generalmente in regime di ricovero
FOLLOW-UP
Non vi sono in letteratura dati sufficienti per indicare uno specifico atteggiamento clinico-strumentale
per il follow-up dei pazienti affetti da SPM. Il grado del tumore primitivo, associato alle dimensioni e
alla sede sono gli elementi utili per definire il rischio di recidiva di un paziente. I pazienti ad alto rischio
(alto grado, dimensioni maggiori di 5 cm e localizzazione profonda) possono sviluppare una recidiva
entro 2-3 anni dalla diagnosi, mentre nei pazienti a basso rischio la ripresa di malattia si presenta
dopo intervalli maggiori. Le modalità più frequenti di recidiva sono la sede del sarcoma primitivo e lo
sviluppo di malattia a distanza (nella maggior parte dei casi il polmone per i SPM degli arti e del
tronco ed il fegato per i SPM retroperiotoneali). Pertanto le indagini diagnostiche utilizzate nel followup hanno lo scopo di valutare queste sedi in particolare. Vengono comunemente impiegate la
radiografia del torace, l’ecografia epatica, la TC del torace e dell’addome superiore, la TC o la RMN
dell’arto colpito. Anche l’ecografia delle parti molli si è dimostrata molto accurata nella diagnosi
precoce delle recidive locali, soprattutto per i tumori superficiali.
L’intervallo proposto per le visite di controllo e le indagini diagnostiche post-trattamento è di 4 mesi
per i primi due anni e di 6 mesi nei tre anni successivi. Successivamente è indicato un controllo
clinico-strumentale annuale per i successivi 5 anni.
Tuttavia è opportuno adeguare lo schema di follow-up al singolo contesto clinico tenendo presente in
particolare lo stadio della malattia. A scopo orientativo riportiamo il seguente schema:
a - valutazione loco-regionale (tumori ad alto e basso grado):
*
superficiali: Ecografia delle parti molli ogni 4-6 mesi;
*
profondi: TC/RMN ogni 4-6 mesi;
b – ricerca delle metastasi a distanza:
*
a basso grado: Rx torace ogni 12 mesi;
*
ad alto grado: TC torace + addome superiore ogni 4-6 mesi.
Fino ad ora non è stato dimostrato con sicurezza un impatto del follow-up sulla prognosi dei pazienti
affetti da SPM, tuttavia, sembra che l’asportazione chirurgica radicale di recidive locali o di metastasi
a distanza aumenti la sopravvivenza.
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RADIOTERAPIA
La RT riveste fondamentale importanza in queste patologie in quanto permette, associata alla
chirurgia, di ottenere risultati simili a quelli dell’approccio chirurgico radicale demolitivo pur eseguendo
interventi di tipo conservativo. Vi è consenso sul fatto che la RT sia di regola effettuata
postoperatoriamente. Modalità di RT diverse dalla postoperatoria classica possono essere utilizzate
presso istituzioni con esperienza specifica, in quanto attualmente non esistono evidenze definitive in
favore di modalità diverse da quella convenzionale.
Il razionale d’uso della RT si basa su due principi, supportati da trials clinici: localizzazioni tumorali
microscopiche possono essere sterilizzate da adeguate dosi di RT e quindi interventi chirurgici più
limitati possono essere programmati in caso di terapia combinata. Comunque la RT non può sostituire
una chirurgia inadeguata.
L'attuale ruolo della RT post-operatoria è prevalente dopo chirurgia ampia o chirurgia marginale non
migliorabile nei sarcomi di grado intermedio o elevato soprattutto se di diametro maggiore di 5 cm o
situati in sedi profonde. La RT adiuvante può trovare spazio anche nei sarcomi a basso grado ma di
grosso volume, sopratutto in sedi critiche o profonde o con margini non radicalizzabili. In alcuni istotipi
particolari ad aggressività limitata, quali il liposarcoma ben differenziato ed il dermatofibrosarcoma
protuberans l'indicazione alla RT rimane comunque limitata, e va discussa nell'ambito di un gruppo
multidisciplinare.
Nei pazienti con tumori trattabili con resezione marginale, si può procedere all’impianto intraoperatorio
di vettori per brachiterapia, che potrà essere successivamente praticata singolarmente o in
associazione con RT esterna. Non esistono attualmente studi randomizzati di comparazione fra le due
tecniche, che hanno comunque entrambe dimostrato di migliorare i risultati della chirurgia. Si utilizza
generalmente la tecnica dei tubi plastici su un piano singolo, posizionati sul letto operatorio, limitato
da clips radioopache, immediatamente dopo la rimozione della neoplasia.
Il caricamento delle sorgenti radioattive avviene fra la 5° e la 10° giornata. La dose erogata ai punti di
riferimento, con le tecniche a basso rateo di dose è solitamente di 15-20 Gy in caso di margini di
exeresi negativi e di 25 Gy con margini positivi. La brachiterapia ad alto rateo di dose permette di
erogare dosi superiori grazie al vantaggio radiobiologico del frazionamento; inoltre, non richiedendo
ricovero in ambiente protetto, può essere eseguita ambulatorialmente o in regime di Day-hospital. La
RT convenzionale dovrà iniziare entro 2 settimane dalla rimozione dei vettori.
Nei casi con tumori avanzati, o nei quali la chirurgia potrebbe esitare in residui macroscopici o
comportare importanti sacrifici anatomici, è preferibile, indipendentemente dallo stadio, un trattamento
radiante preoperatorio, associato o meno a chemioterapia, che potrà essere completato dopo
l’intervento con brachiterapia o RT con fasci esterni. In questo caso la RT preoperatoria sarebbe
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applicata su una neoplasia non manipolata chirurgicamente e quindi potenzialmente meglio
ossigenata, permettendo una decremento di dose che non compromette il controllo locale, inoltre con
questa tecnica il volume trattato viene sensibilmente ridotto, con intuibile vantaggio riguardo agli
effetti collaterali.
Un trattamento radiante esclusivo, con intento radicale potrà essere preso in considerazione solo in
caso di controindicazioni assolute all’intervento o rifiuto del paziente.
DOSE, VOLUME E TECNICHE DI RADIOTERAPIA
I principi generali della RT possono essere organizzati, per chiarezza, riferendosi a 3 siti maggiori di
possibile localizzazione: estremità, tronco e retroperitoneo.
Estremità
Il volume bersaglio viene determinato dopo una precisa definizione radiologica del tumore, del
compartimento muscolare di insorgenza e dei suoi limiti anatomici; nel caso di RT postoperatoria si
utilizzano anche la descrizione dell’intervento e le clips lasciate in sede dal chirurgo. Si ritiene
adeguato un margine minimo di 5 cm attorno al letto tumorale nel caso di trattamento postoperatorio,
in quanto margini superiori non hanno dimostrato di migliorare il controllo locale, mentre margini
inferiori hanno significativamente aumentato il numero delle recidive (6.8% vs. 59.6%
70
). I limiti del
campo non dovranno comunque superare le barriere naturali alla diffusione, come i piani ossei o
fasciali. La cicatrice chirurgica dovrà essere compresa nel campo e ricevere l’intera dose, assieme ai
siti di drenaggio. Allo scopo di prevenire pesanti effetti collaterali a lungo termine, è richiesta
particolare
attenzione
per
evitare
l'irradiazione
della
completa
circonferenza
dell'arto
o
dell’articolazione, pur mantenendo un sufficiente margine di sicurezza in tessuto sano. Per questi
motivi è di fondamentale importanza la scelta di un opportuno posizionamento dell’arto e la sua
immobilizzazione per mezzo di appositi mezzi di contenzione. Nel trattamento preoperatorio sono
considerati sufficienti margini di 3 cm, e postoperatoriamente sarà previsto un “boost” per i pazienti
con residui microscopici o con margini in tessuto sano insufficienti.
Queste neoplasie richiedono alte dosi erogate con fotoni ad alta energia, preferibilmente da
acceleratori lineari di 4-6 MV. Acceleratori lineari ad energia superiore potrebbero comportare un
sottodosaggio dei tessuti superficiali. In caso di tumori superficiali, moderatamente infiltranti, è
permesso l'impiego di elettroni di energia tale da comprendere il volume bersaglio entro l'isodose
dell'80%; in questo caso può essere necessario l'impiego di "bolus".
Il trattamento preoperatorio è previsto fino a una dose totale di 45 Gy in 25 frazioni giornaliere di 180
cGy per 5 giorni alla settimana. I pazienti con residui all’intervento riceveranno un “boost” con lo
15
stesso frazionamento fino a una dose totale di 63-65 Gy. La RT postoperatoria verrà somministrata
fino a 45 Gy su un campo che copre il compartimento anatomico di insorgenza, quindi si procederà
con un campo limitato al letto tumorale con adeguati margini fino a una dose totale di 63-65 Gy.
Dosi inferiori sono state proposte da vari Autori, ma attualmente possono essere applicate solo in
protocolli di studio
68 69 75 76
.
La brachiterapia può trovare indicazioni soprattutto se applicata intraoperatoriamente. Il tasso di
recidiva locale dopo chirurgia + brachiterapia varia dallo 0 al 24%.
Sarcomi non operabili richiedono dosi superiori ai 75 Gy, con un campo limitato al solo volume
tumorale senza margini dopo i 60Gy.
Sono previsti per tutti i pazienti lo studio dosimetrico su planimetria TC e la successiva simulazione di
terapia; i punti di riferimento della dose saranno calcolati secondo le norme standard ICRU. Sono
necessari ulteriori studi per poter comprendere se le moderne tecniche di trattamento, che
consentono una miglior copertura dei volumi bersaglio, a prezzo di costi elevati e di tempi-macchina
impegnativi, possano avere un significativo beneficio clinico attraverso la riduzione della tossicità a
lungo termine.
Tronco e capo-collo
In queste sedi, vista la possibilità di ricostruzione chirurgica con lembi, è fondamentale il
posizionamento di clips durante l’intervento per demarcare i limiti del letto tumorale. Poiché nel tronco
i volumi bersaglio sono comunemente superficiali, spesso è consigliabile un trattamento radiante su
ampi volumi con campi tangenziali fino ai classici 45 Gy, seguito dal “boost” con un campo diretto di
elettroni, fino alla dose totale di 63-65 Gy. Questa tecnica può permettere un notevole risparmio di
dose alle strutture profonde.
In caso di localizzazioni primitive al capo-collo dovranno essere comprese nel campo di irradiazione
iniziale le stazioni linfonodali regionali, anche se negative alla stadiazione. La RT sui linfonodi sarà
omessa in caso di svuotamento latero-cervicale con istologia negativa.
Nei tumori parameningei senza segni di erosione della base cranica o di interessamento dei nervi
cranici, il limite superiore dei campo comprenderà completamente la base cranica; in quelli con segni
di erosione della base cranica o di interessamento dei nervi cranici, il limite superiore del campo
comprenderà la base cranica con un margine di 2 cm; non è richiesta l'irradiazione profilattica
dell'intero encefalo. Nei pazienti con tumore parameningeo e liquor positivo o diffusione meningea
viene presa in considerazione la possibilità di irradiazione cranio-spinale. La dose suggerita è di 35
Gy, con frazioni di 160 cGy, seguita da boost di 10-15 Gy sui residui.
Il controllo locale della malattia dopo chirurgia e RT adiuvante è pari al 47%, nel caso del capo collo,
16
mentre nel caso del tronco è superiore all’80%.
Retroperitoneo
La RT postoperatoria è erogata con finalità di migliorare il controllo locale. Purtroppo, le vaste aree da
trattare con rischio di danni attinici sugli organi circostanti inducono all'uso di dosi ridotte che ne
limitano l'efficacia.
Anche se non sono stati pubblicati studi randomizzati che ne comprovino la superiorità, in questa
sede è normalmente preferito il trattamento radiante preoperatorio per 3 motivi fondamentali. In primo
luogo la localizzazione retroperitoneale permette una precisa definizione radiologica del volume
tumorale, facilitando la scelta del target e l’elaborazione del piano di cura. E’ da tenere presente
inoltre che tessuti mobili adiacenti al tumore potrebbero essere dislocati durante l’intervento,
richiedendo volumi di trattamento maggiori. In secondo luogo, la morbidità della RT preoperatoria è
inferiore perché l’importante massa del tumore primitivo spinge in periferia i tessuti sani, che possono
essere quindi in gran parte esclusi dal campo radiante. Infine, una risposta del tumore alla RT può
semplificare le procedure chirurgiche, permettendo asportazioni radicali non effettuabili alla diagnosi.
Nella RT dei tumori retroperitoneali deve essere prestata la massima attenzione alla tolleranza e alla
localizzazione di reni, fegato e intestino tenue. La dose preoperatoria prevista è di 45 Gy in 25
frazioni. La chirurgia è programmata entro le 4 settimane dalla fine del trattamento; al momento
dell’intervento sarà presente il radioterapista, per definire assieme al chirurgo il volume del “boost”
che permetterà di raggiungere una dose totale di 63-65 Gy. Nel caso in cui il paziente giunga
all’osservazione dopo l’intervento, la RT presenterà sicuramente maggiori difficoltà perché spesso è
impossibile un’esatta definizione del letto tumorale se non in presenza di un adeguato numero di clips.
In questi casi i campi sono solitamente sagomati sulla base delle indagini radiologiche alla diagnosi
ed i limiti di tolleranza dei tessuti sani comportano dosi totali non superiori a 50-55 Gy.
La RT intraoperatoria (IORT) potrebbe trovare indicazioni in caso di letti tumorali particolarmente
ampi, anche se non esiste evidenza certa della sua efficacia.
FRAZIONAMENTO
La massima cura deve essere posta per evitare interruzioni non indispensabili. A tale scopo saranno
predisposte per tempo le terapie di supporto, che si prevede possano divenire necessarie (es.
antiemetici, antiedemigeni, nutrizione parenterale, fattori di crescita ecc.).
Normalmente la quantità di midollo osseo emopoietico compresa nel campo di irradiazione è ridotta.
Per questo motivo non dovrebbe essere necessario sospendere la RT per tossicità emopoietica,
correlata all’eventuale chemioterapia precedente o concomitante e non al trattamento in atto.
17
Un’interruzione può rendersi necessaria in caso di febbre non controllata con conta granulocitaria
inferiore a 750/mmc.
Fino ad 1 settimana l’interruzione non comporta modifiche del programma terapeutico; se compresa
fra 1 e 2 settimane determinerà l'aggiunta di 1 seduta al piano iniziale, se fra 2 e 3 settimane di 2
sedute, intervalli superiori alle 3 settimane comporteranno l'aggiunta di 4 sedute.
DOSE DI TOLLERANZA DEGLI ORGANI CRITICI
Reni
15-18 Gy
fegato (intero volume)
polmoni (bilateralmente)
midollo spinale
30 Gy
12,6 Gy
40-44 Gy
CONTROLLO DI QUALITÀ
La descrizione dell’intervento, le radiografie di simulazione, i piani di trattamento e la documentazione
radiologica diagnostica che ha determinato il volume bersaglio saranno rivisti dal Gruppo Veneto
interdisciplinare per lo studio e la cura dei SPM dell’adulto in tutti i casi di recidiva locale.
TRATTAMENTO DEI PAZIENTI CON MALATTIA AVANZATA
Gli obiettivi principali del trattamento di pazienti con localizzazioni a distanza di sarcoma sono ridurre
o posticipare l'insorgenza dei sintomi legati alla malattia, migliorare la qualità di vita e prolungare la
sopravvivenza. Il trattamento di elezione per questi pazienti è la chemioterapia sistemica. IL polmone
è l’organo più frequentemente coinvolto come sede metastatica a distanza.
Terapia di prima linea
La scelta del trattamento (tipo di farmaci, dosaggi e intervalli fra le somministrazioni, utilizzo di altre
risorse terapeutiche) viene stabilito in base a:
- storia ed estensione della malattia oncologica
- caratteristiche istologiche
- rischio di recidiva
- presenza e intensità di sintomi legati alla malattia
- condizioni generali e autonomia funzionale del paziente
- comorbidità
- terapie farmacologiche concomitanti
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- risposta e tolleranza ai trattamenti precedenti
Sulla base delle condizioni cliniche del paziente e della risposta al trattamento, sono possibili più linee
di terapia con farmaci chemioterapici o biologici o trattamenti loco regionali.
La terapia è essenzialmente basato sulla combinazione di epirubicina associata ad ifosfamide, anche
se tale combinazione ha dimostrato ottenere un maggiore percentuale di risposte obiettive, senza
tuttavia impattare sulla sopravvivenza globale. Pertanto per pazienti in condizioni non ottimali, la
doxorubicina come singolo agente, alla dose di 75mg/m2, può essere valida alternativa terapeutica. I
pazienti eseguono generalmente 4 cicli con controllo TC della risposta fino a 6 cicli totali se
rispondono alla terapia. Successivi controlli ogni 2 mesi con visita ed esami ematologici controlli
radiologici 4 mesi (ved. Tabella III).
In caso di progressione o recidiva, si utilizzano protocolli di seconda linea, a seconda dell’istotipo e
della risposta alla terapia precedente: per l’istotipo LIPOSARCOMA il farmaco più indicato è la
trabectedina; per il LEIOMIOSARCOMA la gemcitabina, deticene, docetaxel, trabectedina oppure
pazopanib; per il TUMORE GUAINE NERVOSE PERIFERICHE il carboplatino ed etoposide; per il
SARCOMA SINOVIALE l’ifosfamide in infusione continua, la trabectedina, oppure il pazopanib; per
l’ANGIOSARCOMA il paclitaxel settimanale oppure la gemcitabina (ved. Tabella III).
Tabella III:Trattamento della malattia avanzata
Indicazione
Regime
1° linea
Doxorubicina 75 mg/m2 giorno 1
Durata
Fino a 6 cicli
Epirubicina 60 mg/m2 giorni 1,2
(schedula q21)
Ifosfamide 3 gr/m2 gg 1,2,3
Mesna 3 gr/m2 gg 1,2,3
Con profilassi con G-CSF
Generalmente in ricovero
2
Doxorubicina peghilata liposomiale 50 mg/m giorno 1
Fino a 6 cicli
in pazienti anziani o per controindicazione all’utilizzo (schedula q28)
di antraciclina convenzionale
1°
linea
paz.
pretrattati
in
adiuvante
ved. schemi 2° linea
19
2°
linea
2
o Dacarbazina 400 mg/m g 1,2
Fino a 6 cicli
(schedula q21)
successive
2
Dacarbazina 500 mg/m e Gemcitabina 1800 mg/m
2
Fino a 6 cicli
(schedula q14)
2
Gemcitabina 900 mg/m g 1,8
Fino a 6 cicli
2
Docetaxel 100 mg/m g 8
(schedula q21)
Gemcitabina 1000 mg/m2 g 1,8
Generalmente 6 cicli
(schedula q21)
Ifosfamide in infusione continua 14 g/m
2
infusione in 14 giorni tramite pompa elastomerica e
Generalmente 6 cicli
(schedula q28)
catetere venoso centrale
Paclitaxel 80 mg/m2 g 1,8, 15
Generalmente 6 cicli
(schedula q28)
2
Trabectedina 1,5 mg/m g1
Sino a progressione
infus.continua 24h in catetere venoso centrale
o tossicità
(schedula q21)
Pazopanib 800 mg/die
Sino a progressione
o tossicità
per os, continuativo
Carboplatino AUC 4
Fino a 6 cicli
Etoposide 100 mg/m2 giorni 1,2,3
(schedula q21)
generalmente in ricovero
Durata del trattamento.
La durata del trattamento è variabile e dipende dal tipo di farmaco utilizzato, dalla compliance del
paziente e dalla risposta ottenuta. Alcuni farmaci possono essere somministrati fino a progressione o
a tossicità inaccettabili (trabectedina, pazopanib), altri invece vengono somministrati 6 cicli (antraci
cline; gemcitabina + docetaxel).
Al temine della chemioterapia il paziente prosegue controlli e, alla progressione ulteriore, può a volte
ricevere anche una terza o ulteriore linea di chemioterapia.
Valutazione della risposta.
Nei pazienti in trattamento chemioterapico per la malattia avanzata vengono eseguite visite cliniche
con esami ematochimici a cadenza mensile; la valutazione della risposta con TAC (o con lo stesso
esame radiologico eseguito nel corso della stadiazione basale) va effettuata ogni 3 mesi.
20
I criteri di valutazione della risposta sono basati sia sulle dimensioni delle lesioni (RECIST) che sulla
densità lesioni (CHOI), quest’ultimi soprattutto per pazienti con GIST o pazienti trattati con farmaci
anti-angiogenici.
Effetti Indesiderati.
I farmaci utilizzati nel trattamento sistemico dei sarcomi possono manifestare effetti indesiderati
diversi, la cui intensità e durata varia da soggetto a soggetto. Il medico oncologo nel momento in cui
prescrive il trattamento, oltre ad acquisire il consenso, informa il paziente del tipo di terapia, dei
risultati attesi e dei possibili effetti indesiderati ed i rimedi da adottare a domicilio per prevenirli.
Saranno inoltre forniti i recapiti telefonici, fax, e-mail per
contattare il personale medico e/o
infermieristico di riferimento nel caso di bisogno.
Altri trattamenti per la malattia avanzata.
Pazienti con uno o pochi siti di malattia metastatica (soprattutto se a sede polmonare), con risposta
duratura al trattamento sistemico, possono essere valutati per resezione chirurgica, con intento di
radicalità oncologica. In caso di assenza di malattia dopo l’intervento, non è indicata ulteriore terapia.
Alcuni pazienti eseguono anche trattamenti radioterapici (trattamenti antalgici per lesioni scheletriche,
o per compressione midollare da localizzazioni vertebrali destruenti), interventi chirurgici o trattamenti
loco-regionali (radiofrequenze o crioterapia su lesioni epatiche, tessuti molli, ossee, polmonari).
Pazienti con lesioni scheletriche diffuse e sintomatiche possono essere sottoposti a somministrazione
mensili di bisfosfonati (acido zoledronico o pamidronato), in associazione a terapia orale con vitamina
D, previa Rx ortopantomografia basale ed eventuale valutazione odontoiatrica o maxillo-faciale per la
prevenzione dell’osteonecrosi mandibolare.
FIBROMATOSI AGGRESSIVA
La fibromatosi aggressiva, definita anche tumore desmoide, è una rara forma di neoplasia
mesenchimale dall’incerto comportamento biologico. Nella maggior parte dei casi si tratta di malattia a
insorgenza sporadica, mentre una piccola percentuale può insorgere in un quadro si sindrome eredofamiliare (es.
mutazione del gene APC nella sindrome di Gardner, associata alla poliposi
adenomatosa familiare). Le sedi più frequenti sono le aponeurosi dei muscoli periferici, i muscoli della
parete addominale, più raramente la regione mesenterica o retroperitoneale.
In virtù del comportamento biologico incerto, l’atteggiamento terapeutico più comune è la chirurgia,
ogniqualvolta sia possibile senza sacrificio di tessuti sani, o in alternativa si può proporre la sola
osservazione, specialmente nei casi di fibromatosi della parete addominale insorte durante o subito
21
dopo una gravidanza, casi nei quali si può assistere a regressione spontanea.
La radioterapia è un’opzione terapeutica che può essere proposta in taluni casi. In caso di malattia
inoperabile per sede o recidiva sintomatica può essere proposto un trattamento terapia sistemico con
vinorelbina e metotrexate, che sarà proseguito in base alla risposta, fino a 6 mesi. In alternativa, può
essere proposto il tamoxifene orale oppure il sorafenib (off-label), ved. Tabella IV.
Tabella IV: Trattamento della fibromatosi aggressiva
Regime
Durata
Vinorelbina 20 mg/m2 giorno 1
Almeno 6 mesi
Methotrexate 30 mg/m2 giorno 1
(schedula q14)
Tamoxifene 20 mg/die os
continuativo sino a massima risposta o tossicità
GASTROINTESTINAL STROMAL TUMOR (GIST)
I tumori stromali gastrointestinali ( GIST) sono tumori mesenchimali (ossia derivanti dal tessuto
connettivo) che originano nell'apparato gastrointestinale. I GIST sono caratterizzati da morfologia a
cellule fusate o epitelioidi, con espressione di c-kit (CD117) o PDGFRA nella maggior parte dei casi. I
GIST si caratterizzano dal punto di vista molecolare per la presenza di mutazioni attivanti del gene
KIT e, in una minoranza dei casi, del gene PDGFRA. Le mutazioni del gene KIT coinvolgono
prevalentemente l’esone 11 e con minor frequenza gli esoni 9, 13, 14 e 17; mentre le mutazioni del
gene PDGFRA coinvolgono prevalentemente gli esoni 12 e 18. Esistono GIST che non presentano
mutazioni nè di KIT nè di PDGFRA, cosiddetti GIST “wild type”, che si presentano con maggior
frequenza nei GIST che insorgono in età pediatrica e in quelli associati a sindrome NF1 (malattia di
Von Recklinghuasen).
Il comportamento biologico e il rischio di ricaduta dipendono dalle dimensioni della neoplasia, dal
tasso di crescita (espresso dall’indice mitotico), dalla sede, dalle mutazioni (Tabella V).
Tabella V: predizione del rischio di ricaduta dei GIST
Dimensioni
(cm)
Indice mitotico GIST gastrico
<2
duodeno
digiuno/ileo
retto
nessuno
nessuno
nessuno
nessuno
molto basso
basso
basso
basso
<5
>2<5
22
>5<10
basso
intermedio
dati insuff
dati insuff
>10
intermedio
alto
alto
alto
<2
nessuno
alto
dati insuff
alto
intermedio
alto
alto
alto
>5<10
alto
alto
alto
alto
>10
alto
alto
alto
alto
>2<5
>5
La sede più frequente di disseminazione metastatica è quella peritoneale ed epatica.
L’analisi mutazionale dei geni KIT e PDGFRA costituisce un parametro sia
prognostico che di
predizione di risposta ai farmaci inibitori dei recettori ad attività tirosin chinasica.
L’intervento chirurgico è la scelta prioritaria nel trattamento dei GIST. Vi è consenso nel dare
l’indicazione ad effettuare una resezione completa della neoplasia con margini liberi. Non vi è
evidenza certa che un residuo microscopico, con margini positivi, si associ ad una prognosi peggiore,
tuttavia una chirurgia completa, con margini liberi, rappresenta l’obiettivo terapeutico fondamentale
per ridurre il rischio di recidiva. In caso di chirurgia già effettuata con margini microscopicamente
positivi (R1) un secondo intervento di radicalizzazione dev’essere valutato alla luce della sua fattibilità
e della necessità di ampie demolizioni. Soprattutto i GIST del retto, del duodeno e dell’esofago
comportano problemi decisionali maggiori che debbono coinvolgere necessariamente il paziente.
In questi casi, pure in assenza di un’evidenza formale di efficacia per quanto riguarda l’outcome
finale, si può proporre una citoriduzione preoperatoria con Imatinib, perseguendo lo scopo di una
chirurgia meno demolitiva.
L’intervento chirurgico dev’essere condotto in modo da rendere minimo il rischio di contaminazione
peritoneale. La rottura della massa con dispersione del suo contenuto, sia esso per cause naturali o
per manovre chirurgiche, si associa ad una prognosi sfavorevole. Per questo, si può considerare una
terapia preoperatoria nei casi in cui vi sia un rischio elevato di rottura intraoperatoria della massa
tumorale, in quanto una risposta alla terapia medica preoperatoria è in grado di limitare tale evento.
Per i pazienti operati per un GIST a rischio intermedio-alto vi è l’indicazione a eseguire 3 anni di
terapia adiuvante post-operatoria con imatinib.
Pazienti con masse voluminose inoperabili possono essere trattati con imatinib in fase pre-operatoria
e poi essere sottoposti ad intervento dopo 6 mesi circa di trattamento. Imatinib andrà proseguito
generalmente anche in fase adiuvante dopo l’intervento.
Pazienti con malattia avanzata alla diagnosi o recidivata, sono candidati a terapia con imatinib fino a
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progressione di malattia, con o senza interventi di metastasectomia. Alla ulteriore progressione
possono ricevere sunitinib e successivamente regorafenib , ved. Tabella VI.
Tabella VI: terapia dei GIST
Indicazione
Regime
Durata
Adiuvante
Imatinib 400 mg/die os
3 anni
1° linea
Imatinib 400 mg/die os
sino a progressione o tossicità
Imatinib 800 mg/die os, se mutazioni esone 9
2° linea
Sunitinib 37,5 mg/die os
sino a progressione o tossicità
SARCOMI IN GIOVANE ETA’ (età < 25 anni)
In età giovane adulta possono presentarsi diagnosi di sarcoma con istologia a maggior prevalenza in
età pediatrica, e in particolare il
rabdomiosarcoma e i sarcomi dell’osso: sarcoma di Ewing e
Osteosarcoma. Il rabdomiosarcoma è una neoplasia dei tessuti molli molto rara, per cui le
informazioni sulle caratteristiche cliniche e biologiche del tumore e sulla terapia più efficace sono
limitati. Anche i sarcomi dell’osso sono neoplasie rare nell’adulto. I sarcomi di Ewing originano da
cellule di origine neuroectodermica, cioè da quei tessuti che, nell'embrione, danno origine al sistema
nervoso, e si localizzano prevalentemente a livello delle ossa, in particolare in quelle del bacino, della
regione toracica e delle gambe, in genere al centro delle ossa lunghe; mentre l’Osteosarcoma
colpisce le parti terminali di tali ossa.
Per tutte queste neoplasie, nel corso degli ultimi 30 anni sono stati sviluppati programma di
trattamento integrato (chirurgia, chemioterapia e radioterapia) intensivi. Questo ha progressivamente
aumentato le possibilità di guarigione, anche se con risultati non sempre paragonabili a quelli ottenuti
in età pediatrica, e spesso conb reliquati per la quialità della vita dei soggetti. Per i pazienti affetti da
sarcoma di Ewing che non rispondono ai trattamenti standard o che ricadono dopo le terapie iniziali, è
possibile utilizzare regimi intensivi di chemioterapia, seguita da reinfusione di cellule staminali
autologhe, preventivamente raccolte.
E’ in corso una collaborazione tra l’U.O.C. di Oncologia Medica 1 dello IOV e la Clinica di
Oncoematologia Pediatrica della AOU di Padova, volta ad ottimizzare il percorso dei pazienti giovani
con questi tipi di tumore e a migliorare gli outcome attraverso l’utilizzo di protocolli più intensivi e simili
a quelli proposti nei pazienti pediatrici.
Ai giovani pazienti, la cui aspettativa di vita è lunga, viene prospettata una valutazione specialistica
volta alla preservazione della fertilità, attraverso la crioconservazione dei gameti maschili o di biopsie
di tessuto ovarico.
24
SARCOMI DELL’UTERO
I sarcomi possono localizzarsi anche a livello uterino, rappresentando il 3-7% di tutte le neoplasie
maligne dell’utero. Gli istotipi più comuni sono rappresentati dal leiomiosarcoma e dal sarcoma dello
stroma endometriale. Nonostante lo stadio rappresenti il principale fattore prognostico, la correlazione
con l’ outcome clinico nelle forme iniziali, soprattutto in alcuni istotipi, è scarsa.
Negli stadi iniziali del leiomiosarcoma (istologia di gran lunga prevalente) la chirurgia è lo standard.
L’isterectomia totale con annessiectomia bilaterale rappresenta il trattamento standard nel in stadio I.
L’ovariectomia ha infatti il duplice scopo di eliminare la sintesi estrogenica nelle donne in premenopausa e di rimuovere eventuale foci tumorali. Interventi demolitivi parziali dell’utero sono
proponibili solo a scopo procreativo, in casi accuratamente selezionati di donne nullipare desiderose
di prole, adeguatamente informate circa l’impatto prognostico negativo che la chirurgia conservativa
potrebbe avere in questo tumore.
Considerata la probabilità significativa di diffusione addominale, è proponibile una stadiazione
chirurgica (citologia, omentectomia e sampling linfonodale) per via laparotomica o laparoscopica.
La dissezione linfonodale pelvica e lombo-aortica è raccomandata nelle pazienti con sarcoma
stromale endometriale a partire dallo stadio II, nonostante manchi una dimostrazione formale di un
impatto prognostico favorevole di questo tempo chirurgico in assenza di linfoadenopatie.
La radioterapia adiuvante può essere seguita in casi selezionati (es. invasione del canale cervicale,
vagina, parametri) sia con fasci esterni sia combinata con brachiterapia. Vi è evidenza di un
vantaggio, seppur limitato, con l’utilizzo di chemioterapia adiuvante, basata su combinazioni di
antraciclina e ifosfamide oppure gemcitabina e docetaxel che sono le più attive in questa malattia.
Nella malattia recidivata o avanzata, se la chirurgia non è possibile, si prendono in considerazione la
chemioterapia con antracicline e ifosfamide, gemcitabina e docetaxel oppure dacarbazina. Nelle
pazienti con malattia metastatica che possano giovarsi della citoriduzione in termini di miglioramento
della sintomatologia o di
riconducibilità alla resecabilità, si deve utilizzare una polichemioterapia
comprendente i farmaci più attivi (antraciclina + ifosfamide, gemcitabina e dacarbaziona, gemcitabina
e docetaxel). Nei casi di malattia metastatica in cui l’obiettivo è la palliazione, è preferibile l’utilizzo di
agenti singoli alla polichemioterapia. La radioterapia complementare dovrebbe essere proposta, su
base individualizzata, dopo chirurgia citoriduttiva nelle pazienti con malattia localmente avanzata o in
recidiva locale.
Il sarcoma stromale endometriale è una neoplasia endometriale a basso grado, con caratteri istologici
che ricordano la morfologia dello stroma endometriale nella fase proliferativa, e che presenta
caratteristicamente espressione dei recettori ormonali per gli estrogeni e i progestinici. Per tale
motivo, il trattamento standard è la chirurgia, seguito da terapia endocrina adiuvante con farmaci che
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non abbiano azione agonista (NON tamoxifene). La radioterapia può essere proposta su base
individualizzata in relazione alla presenza di fattori di rischio (es. estensione pelvica). Allo stesso
modo, nella malattia avanzata l’ormonoterapia è consigliabile in prima linea, riservando la
chemioterapia alle pazienti con tumori non ormonoresponsivi e dunque dopo fallimento del
trattamento ormonale.
PAZIENTI ANZIANI O FRAGILI
Per i pazienti di età superiore ai 70 anni, alla prima visita in oncologia, viene proposta una Valutazione
Geriatrica Multidimensionale (VGM), attraverso la quale è possibile definire in modo più completo lo
stato di salute del paziente, la sua indipendenza e gli eventuali bisogni socio-sanitari. L’esito della
VGM permette di orientare l’oncologo nella scelta del trattamento più opportuno e stabilire il grado di
tollerabilità dei trattamenti oncologici.
Sono disponibili inoltre programmi di trattamento ideati specificatamente per i pazienti anziani, al fine
di non escludere nessun paziente da trattamenti antitumorali potenzialmente attivi.
CURE SIMULTANEE
Negli ultimi anni un numero consistente di studi condotti in pazienti oncologici in fase metastatica, ha
dimostrato l’utilità di associare, in modo sistematico, alle terapie antitumorali anche le cure palliative,
ottenendo non solo un beneficio su tutti i parametri di qualità della vita (obbiettivo prioritario in
questa fase di malattia), ma in qualche caso, anche un prolungamento della sopravvivenza.
L’applicazione delle cure simultanee ha dimostrato anche di garantire il corretto setting di
cura a fine vita, di migliorare la soddisfazione del paziente e di ridurre i costi e sono
considerate oggi il paradigma della migliore assistenza per il malato oncologico in fase
avanzata e/o metastatica.
In occasione della visita in presenza di malattia metastatica, a tutti i pazienti viene somministrato il
termometro del distress attraverso il quale si ha una prima rilevazione del grado di distress globale del
paziente (fisico, funzionale, sociale, psicologico e spirituale). In base ad esso vengono identificati i
bisogni ed avviati i percorsi istituzionali e domiciliari appropriati attraverso i colloqui psicologici, il
servizio di nutrizione, la terapia antalgica e l’assistenza domiciliare in collaborazione con il
MMG/distretti.La precoce attivazione dei servizi di presa in carico domiciliare, a seconda dei bisogni
espressi dal paziente e dalla sua famiglia, garantiscono il più idoneo setting di cura nella fase
avanzata di malattia. Pazienti sintomatici per la neoplasia avanzata, o con comorbidità grave, hanno
una minor probabilità di trarre beneficio dal trattamento e una maggior probabilità che la
chemioterapia possa portare ad un peggioramento della loro qualità di vita. In questa situazione è più
indicato proporre un trattamento con singolo farmaco (doxorubicina liposomiale o trabectedina o
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deticene), e attivare le terapie che possano migliorare la qualità della vita del paziente (radioterapia,
cure palliative) e il controllo dei sintomi (es. dolore, anemia, stanchezza, calo di peso etc), attivando
precocemente i servizi di assistenza domiciliare.
Presso l’U.O.C. di Oncologia Medica 1 dello IOV sono inoltre attivi diversi protocolli sperimentali
nazionali ed internazionali clinici, approvati dal comitato di bioetica, con l’utilizzo di nuovi farmaci
chemioterapici o biologici. Tali studi sono disponibili per tutti i pazienti e vengono proposti sulla
base dello stadio di malattia e delle caratteristiche cliniche e biologiche della malattia.
Il gruppo multidisciplinare Sarcomi dello
IOV partecipa inoltre alle attività di ricerca e
protocolli clinici della Rete Nazionale Italian Sarcoma Group e all’EORTC sarcoma group.