Elisabetta Passinetti WE NEED TO TALK ABOUT KEVIN1: PSICOPATOLOGIA PRECOCE, PERVERSIONE E PSICOSI IN UN FILM Intervento completo al Quinto Simposio2 Prima rappresentanza e psicosi 24 maggio 2014 “Sei sempre stato la gioia di tua madre”3 È notte, la macchina da presa si sposta lentamente dall’interno di una casa verso una porta finestra, la cui tenda è dolcemente sollevata dal vento, che proviene dal balcone adiacente. Si ode un rumore indistinto di sottofondo. L’apparente pace della scena, proprio nella sua staticità, sembra presagire una tragedia. Con queste immagini essenziali, si apre la narrazione del film, We need to talk about Kevin, nel quale Tilda Swinton è Eva Khatchadourian, una famosa giornalista di un certo successo, la quale, per soddisfare la richiesta del marito, lascia da parte le sue ambizioni professionali, come la sua amata New York, e mette su famiglia, in un sobborgo in periferia. Fin dalle prime scene, la donna non sembra essere entusiasta del suo nuovo ruolo di madre: mentre le altre gestanti, incontrate ad un corso premaman, mostrano orgogliose il loro pancione, lei ne sembra quasi disgustata. E dice chiaramente al primogenito di qualche anno, che stava meglio prima che arrivasse lui. Il bambino, infatti, la innervosisce, fin da piccolo piange sempre, non reagisce ai suoi stimoli. Compiuti alcuni mesi, Eva cerca di coinvolgerlo in alcuni giochi, senza mai chiedersi che cosa 1 Lynne Ramsay, 2011, tratto dall’omonimo romanzo di Lionel Shriver. We need to talk about Kevin, oltre ad essere il titolo di questo film, è una nota scritta da Eva Khatchadourian al marito, preoccupata del comportamento del figlio. Dall’arrivo di Kevin, la vita di Eva cambia radicalmente. La donna lascia da parte le sue ambizioni professionali per occuparsi del bambino, ma tra i due nasce subito un rapporto conflittuale. Mentre con il padre, Kevin si dimostra tranquillo (anche se questo rapporto sembra essere più un segno di sfida nei confronti della madre per evidenziare la di lei incapacità a relazionarsi con il ragazzo), con Eva egli continua a piangere, passando dal mutismo e indifferenza nei confronti di stimoli offerti dalla stessa, fino alla ribellione adolescenziale. È interessante notare come non solo non ci sia rapporto tra i due, ma come sia completamente negato l’intero universo. La maggior parte delle scene si svolgono nella grande casa alla periferia di New York, dove, oltre ai membri della famiglia non appare nessun altro. Fin dall’asilo, Kevin non ha mai amici intorno a lui. 2 Il mio intervento al Simposio della SAP del 24 maggio corrisponde al paragrafo, Conclusioni, di questo testo. 3 Washington Philips, Mother’s last words to her son, 1927-1929. Il titolo di questo paragrafo è costituito da una strofa della canzone che accompagna l’ultima sequenza del film. 1 questo bambino (ed il futuro figlio adolescente) desideri fare - come non le viene in mente di svolgere con il figlio un’attività che potrebbe piacere anche a lei. Quelle che propone, sembrano essere piuttosto giochi educativi, ripetuti senza variazioni e in modo speculare da entrambi, le poche volte che Kevin si degna di partecipare. Verso i quattro-cinque anni la madre porta il figlio da un medico, perché pensa che abbia problemi all’udito. Il bambino non parla, pare non sentire e non reagire a ciò che lei dice. La diagnosi di autismo è subito esclusa, secondo il medico, infatti, il bambino è sanissimo. Eva, in ogni caso, continua a cercare di stimolarlo in vari modi, più piccolo, facendogli scandire la parola “mamma”, che si rifiuta categoricamente di pronunciare 4 (emettendo, invece, fastidiosi suoni indistinti), e più grande, verso i sei-sette anni, una volta appreso a parlare, lasciandogli ripetere più volte numeri, che in ogni caso egli conosce senza problemi, ma non lo fa vedere5. In questo periodo, Kevin, va ancora in giro con il pannolino, perché incapace di usare gli sfinteri come i bambini della sua età. Solo in seguito a un incidente, provocato dall’insofferenza di Eva, che perde il controllo sul figlio e gli rompe un braccio, egli utilizza improvvisamente il bagno. E qui allo spettatore sorgono i primi dubbi, e cioè che la diagnosi di autismo sia proprio da escludere, come aveva già confermato il medico. Il bambino parla, sa contare ed usare gli sfinteri senza problemi. Le occasioni di dissidio, tuttavia, continuano ad essere presenti. Ecco che il cibo, per esempio, non è mai considerato mezzo di convivialità o piacere, quanto piuttosto arma contundente con cui attaccare e destabilizzare l’altro. Una volta compiuto qualche anno, Kevin imbratta di cibo le pareti o spiaccica toast di marmellata sul tavolino del salotto. Alla domanda di Eva se voglia mangiare la zuppa di pesce o un panino al formaggio, il bambino settenne risponde che per lui è uguale. Una sera in cui la madre invita Kevin, ormai quindicenne, a cenare fuori, questi si fa trovare in cucina, poco prima di uscire, a mangiare un pollo spropositato. Giunto al ristorante, non tocca cibo per tutta la cena, limitandosi appena a fare delle pallottoline con il pane servito al tavolo del locale. In un’altra occasione Eva lo intravede da lontano, osservare la locandina che pubblicizza la presentazione di un suo libro, sembra quindi essere interessato all’attività giornalistica da lei svolta. Quando la madre, una volta tornata a casa, glielo fa notare, il ragazzo nega tutto. Secondo Eva, è sempre Kevin a far perdere un occhio alla sorella più piccola, in assenza di entrambi i genitori, anche se non è in grado di provarlo: è stata lei a lasciare inavvertitamente il flacone dell’acido sul lavandino, e la bambina l’ha preso, oppure il fratello a gettarglielo in faccia? In seguito a quanto successo, i genitori ringraziano il ragazzo quindicenne per aver chiamato l’ambulanza ed esprimono la loro preoccupazione nei suoi confronti, nel caso gli venissero dei sensi di colpa. Lui non sembra assolutamente preoccupato per quanto successo, perché dovrebbe? Kevin è fatto così, i ragazzi sono così, questa è una frase che torna spesso nel film. 4 Della serie: “Mai!” Formula semplice per indicare la psicopatologia precoce. G. B. Contri, Condensazioni sulla psicopatologia, in: “Think!”, 26 maggio 2014, reperibile online in questo stesso sito: <http://www.giacomocontri.it/BLOG/2014/2014-05/2014-05-26-BLOG_condensazioni_su_psicopat.htm>. 5 Vi è una scena in cui Eva chiede a Kevin di ripetere numeri in fila. Il bambino, visibilmente infastidito, non risponde subito alla madre. Poi li elenca dall’uno al cinquanta senza problemi. Il genitore, invece di apprezzare la capacità del bambino, interpreta questa sua prestazione come un affronto. Pertanto lo sottopone a un calcolo matematico ancora più complesso, di fronte al quale il bambino reagisce, strappandole il foglio di mano e accartocciandolo. 2 Una forma di cultura con relativa Weltanschauung Kevin, in ogni caso, non è un poverino, è un intellettuale, pensa, eccome. In due frasi è racchiusa la sua Weltanschauung. Dopo averne viste di tutte i colori, un bel giorno, la madre chiede al figlio, perché si comporti in questo modo, e la risposta del ragazzo a proposito è la seguente: “There is no point, that’s the point”. Che si potrebbe tradurre con “Non c’è nessun motivo, questo è il punto”, ma anche con “Non c’è nessun fine, scopo, questo è il punto”6. Se non c’è fine, non c’è meta e quindi non c’è soddisfazione (“There is no point, that’s the point”), perché la soddisfazione è la mia meta. We need to talk about Kevin è un film, tratto dal libro bestseller di Lionel Shriver, che ha avuto molto successo. Il “We” del titolo riguarda tutti noi. È auspicabile parlare di persone come Kevin7, perché offrono forme di cultura8, come d’altronde lui stesso afferma nella seconda frase decisiva del film: “Ti svegli la mattina e guardi la televisione. Entri in macchina e ascolti la radio. Vai al lavoro o a scuola, ma non senti parlare di tutto questo nel notiziario delle sei. Perché in realtà non è successo niente9. E la cosa peggiore è, che nel momento in cui le persone sono alla televisione, stanno guardando anche loro la televisione, e cosa stanno guardano tutte queste persone? Delle persone come me”. Spassionatezza, mancanza di meta e piacere nell’agire, attacco all’altro, tutto è considerato uguale, banalizzazione, non succede niente: questi sono elementi che caratterizzano la perversione. Kevin è un perverso10 che ha cavalcato fin troppo bene l’autismo, portando, così, avanti un’azione parallela11. 6 H. Kelsen, Pure Theory of Law, The Lawbook Exchange, Ltd., Clark, 2009, pp. 90-91. Nella versione originale inglese del film, la parola “point”, mi ha ricordato il termine “ending point” di Kelsen. In La dottrina pura del diritto, questi descrive la differenza tra i concetti di causalità e imputabilità. La causalità è indipendente dall’interferenza dell’individuo e procede all’infinito: un effetto può essere la causa di un altro effetto. Con l’imputabilità si arriva a un punto finale nella catena imputativa, che pertanto non è infinita (ending point). Nel dire “questo mi piace, questo non mi piace”, io posso giudicare una situazione o un comportamento, mettendo fine o dando inizio ad un trattamento nei miei confronti. Considero questo giudizio una declinazione del termine soddisfazione. 7 Questa mi è sembrata una delle osservazioni più interessanti che ho sentito durante la discussione che è seguita alla visione del film, proposta dalla Società Psicoanalitica Tedesca a Francoforte, cui sono grata per averlo suggerito e presentato pubblicamente. Parlarne come lavoro di civiltà: “È un’opera di civiltà, come ad esempio il prosciugamento dello Zuiderzee”. S. Freud, Introduzione alla psicoanalisi, 1932, OSF, vol. 11, p. 190. 8 Rimando a G. B. Contri, L’affamiglia, in “Think!”, 21 novembre 2013, disponibile sul sito: <http://www.giacomocontri.it/BLOG/2013/2013-11/2013-11-21-BLOG_affamiglia.htm>. “Non mi illudo che inizierà in proposito un new deal del mondo, che secondo me peggiorerà: ammetto però come possibile che qualcuno lo pensi, come sede individuale di una Società del pensiero: un giorno il “mondo” sarà un Memorial splatter dove accompagnare i bambini, come al teatro greco, o alla Marvel”. 9 Frase ben diversa da quella di Freud: “Wo es war, soll ich werden” (S. Freud, Introduzione alla psicoanalisi, cit., p. 190). Che tradurrei più letteralmente con “Dove era l’es, dovrei accadere io”, oppure, citando G. B. Contri, “Chi si muove a meta sono io”. 10 Il quindicenne Kevin lascia intendere alla madre di essere insieme ad una ragazza. Un giorno, questa trova nella camera del figlio un CD con su scritto “I love you” e pensa che contenga foto o canzoni raccolte da Kevin per la sua compagna. Incuriosita, lo inserisce in un portatile, per controllarne il contenuto, che si rivela essere un virus informatico così potente da rovinarle tutto il sistema operativo ed i file riferiti al suo lavoro. Solo in seguito scopre che Kevin raccoglie virus informatici come hobby. 3 Vi è un’unica scena in tutto il film in cui Kevin settenne si adagia nel grembo della madre per ascoltarla raccontare, con visibile piacere, le avventure di Robin Hood12, eroe con il quale si identificherà fino alla tragedia finale. Gran finale Un giorno Kevin si reca a scuola, con lo zaino pieno di robusti lucchetti di ferro per biciclette. Spranga con essi le uscite della palestra e poi inizia a tirare, con il suo arco, frecce all’impazzata, ferendo i propri compagni, riuniti per la lezione di ginnastica. Solo qualcuno esce indenne dalla carneficina. Quando finalmente le forze dell’ordine intervengono, facendo saltare i lucchetti ed arrestando il carnefice, questi, dopo essere stato ammanettato e fatto entrare nell’auto della polizia, continua a fissare la madre, giunta nel cortile della scuola, con lo stesso sguardo di quando si mostrava indifferente da piccolo, ai giochi da lei proposti. Ritornata a casa, affacciandosi dalla porta finestra, che dà sul giardino, Eva scopre i corpi del marito e figlia, inerti sul prato, uccisi dalle frecce di Kevin e bagnati da un irrigatorio, il cui rumore, apparentemente estraneo e non classificabile, caratterizza la prima sequenza del film, incipit di questo mio lavoro. Si arriva quindi all’ultima scena, dove appaiono nuovamente i protagonisti principali, questa volta nel penitenziario in cui Kevin è stato rinchiuso. Il dialogo tra i due è asciutto: “Non mi sembri molto contento, soddisfatto”, “Lo sono mai stato?”, risponde Kevin alla madre, che in tutto il film, in ogni caso, non appare assolutamente angosciato. Eva, riferendosi alla carneficina da lui compiuta, vuole sapere: “Perché?”. Il figlio, prima esitando e poi farfugliando, risponde che pensava di saperlo, ma ora non ne è più sicuro. Eva esce dal carcere sulle note di Mother’s last words to her son di Washington Philips di cui riporto in nota le parole13. Un perverso può essere paragonato, a mio parere, a un virus. Dato che non si conosce in partenza l’entità dei danni che questo può provocare sulla nostra capacità di pensiero e di movimento, conviene tenerlo alla larga, una volta che si ha la sensazione che qualcosa logicamente non torna. 11 M. D. Contri, intervento al 4° simposio SAP, 12 aprile 2014, in via di pubblicazione sul sito: <http://www.studiumcartello.it/it/homepage.aspx>. 12 È anche l’unica scena in cui è il padre a essere cacciato a malo modo. 13 Washington Philips, Le ultime parole di una madre a suo figlio, 1927-1929. Riporto qui le parole della canzone, disponibile su youtube: <http://www.youtube.com/watch?v=OZXS4tnmI_0>. Non potrò mai dimenticare il giorno / In cui mia madre mi disse dolcemente / ‘Ora stai andando via, mio caro ragazzo, / Sei sempre stato la gioia di tua madre’ // Ora che vai via a girovagare per il mondo / Può darsi che non riuscirai più a tornare a casa / Ma ricordati che Gesù che vive in paradiso / Ti sta guardando con il suo occhio potente // Se ti inchinerai di fronte a Lui / e avrai fiducia in lui e nella sua grazia salvifica / Egli renderà leggero ogni tuo fardello / E sicuramente ti guiderà nella giusta strada // Ora, quando penso alla mia cara madre / La sento esclamare, ‘Figlio, accetta la tua strada’. Della serie: “Ormai…” Formula semplice per indicare la psicosi. G. B. Contri, Condensazioni sulla psicopatologia, in: “Think!”, 26 maggio 2014, reperibile online in questo stesso sito: < http://www.giacomocontri.it/BLOG/2014/2014-05/2014-05-26-BLOG_condensazioni_su_psicopat.htm>. 4 Conclusioni La canzone con cui termina il film è a mio parere molto importante, perché nella strofa “Sei sempre stato la gioia di tua madre” è racchiusa la teoria in cui Kevin si è fissato e nella quale crede ciecamente14. Seguendo questa teoria, non sono quindi determinanti i frutti derivati dal rapporto che ha costruito con la madre, ma l’esserne gioia e quindi adempimento e realizzazione dei suoi sogni, desideri, mancanze di donna. Questa è anche la rappresentanza del ragazzo. Se prendiamo inoltre in considerazione i quattro articoli (spinta, fonte, oggetto e meta) che Freud utilizza per spiegare il termine di pulsione, vediamo come lo psicoanalista, G. B. Contri, sostituisca all’elemento oggetto quello di materia prima. Io penso che nella psicosi l’oggetto rimanga oggetto, o meglio, la materia prima sia sostituita con l’oggetto e diventi un tutt’uno con la meta (e la meta con l’oggetto). Si produce quindi un’oggettivizzazione del reale15. Se il reale non è più considerato materia prima da cui trarre profitto, verranno meno elementi essenziali che lo costituiscono. Nella psicosi non c’è logica. Durante i colloqui preliminari con una paziente, questa mi aveva raccontato di essersi svegliata un giorno ed aver distrutto l’appartamento in cui abitava. Io non le chiesi per quale motivo fosse arrivata a compiere un simile gesto. Penso che se l’avessi fatto, avrei ricevuto la stessa risposta che Kevin dà ad Eva nella scena finale del film. Nella perversione, invece, la logica spassionata e senza meta è pur sempre una logica. Mi sono anche chiesta se gli psicotici pensano. Che cosa pensano? C’era pensiero quando questa donna distruggeva il suo appartamento? Se poi prendiamo in considerazione il secondo diritto, esso certamente non perde la sua validità nella psicosi (Kevin viene processato e finisce in carcere), ma a mio parere è sovvertito il legame tra reato e fattispecie. La paziente, di cui ho parlato poc’anzi, continuava chiedermi se fosse un reato, il fatto che lei fosse spiata e diffamata, perciò aveva il diritto di denunciare alcune persone che aveva in mente. Mentre la ascoltavo, pensavo che certamente i reati di diffamazione e spionaggio (per esempio industriale o scandalo NSA) esistono, ma questa donna ne sovvertiva la fattispecie: le persone di cui parlava erano passanti che si facevano letteralmente gli affari propri. Infine si può affermare che nella psicosi non ci sia rapporto16. Mentre il perverso ha ancora bisogno dell’altro, e lo cerca, per poi trattarlo malissimo, per lo psicotico gli altri sono ridotti ad oggetti, tentazioni17 (si potrebbe dire che spinta e fonte rimangono), ostacoli, bersagli da colpire o evitare, perché distolgono dalla teoria stessa in cui si crede ciecamente18. Nella palestra della sua scuola, 14 G. B. Contri, Psicotico: Pazzo d’amore, in: “BED & BOARD”, Febbraio 2004, p. 1, reperibile online in questo stesso sito: < http://www.studiumcartello.it/public/editorupload/documents/Archivio/0402B&B2_GBC3.pdf> 15 Vi è una sequenza del film in cui negli occhi di Kevin è riflessa l’immagine del tabellone tondo del tiro al bersaglio contro cui sta tirando delle frecce in giardino. Una simile immagine mi ha suggerito come da questo momento in poi egli oggettivizzerà ciò che ha attorno: per lui sarà tutto un bersaglio o sagoma. È inoltre interessante notare che la definizione che Freud dà della malinconia, considerata da G. B. e M. D. Contri, nel simposio SAP del 24 maggio 2014, come “genetica della psicosi”, sia “l’ombra dell’oggetto è caduta sull’Io, adombrandolo”. S Freud, Trauer und Melancholie, GW Bd. X, 1913-1917, Fischer Verlag, Frankfurt 1999, p. 435. 16 G. B. Contri, Psicotico: Pazzo d’amore, cit., p. 2. 17 O. Fenichel, Trattato di psicoanalisi, Casa Editrice Astrolabio, Roma 1951, p. 494. 18 S Freud, Die Abwehr-Neuropsychosen, GW Bd. I, 1892-1899, Fischer Verlag, Frankfurt 1999, p. 73. 5 Kevin, non sta colpendo delle persone, ma delle sagome19, bersagli. Prima di iniziare la carneficina, fa pure un bell’inchino: “Tu sei sempre stato la gioia di tua madre”. È interessante notare come la madre sia l’unica persona ad uscire indenne dalla mattanza, anche se nel vedere il film, ci si accorge che la vita che questa donna si ritrova, e nello stesso tempo, sceglie di condurre dopo la strage, è una vita penosa. Lo psicotico colpisce e si vendica persino dei portatori della teoria stessa, pur adorandoli. Si può dire che l’avere o meno bisogno dell’altro (o di un oggetto in sostituzione), segni il passaggio dalla perversione alla psicosi? Inoltre penso che siano due azioni distinte quella di colpire una persona, in quanto considerata sagoma, e colpire qualcuno per vendicarsi. La vendetta implica pur sempre un rapporto20. Desidero infine tornare al tema della fissazione con cui ho aperto questo paragrafo, per porre alcune questioni: come far cadere la fissazione nella psicosi, se manca parte del reale? Come ricostruire il reale? Come avviene che l’Io si stacchi da esso 21? Ho provato a spiegarlo, dicendo che nella psicosi il reale non è più considerato materia prima, ma oggetto. Come far cadere la fissazione in generale, per recuperare la propria rappresentanza? Sono inoltre molto interessata alla frase “lasciar cadere”, senza agire direttamente sulla patologia, e sono positivamente sorpresa che basti la non omissione e non sistematizzazione, quale regola psicoanalitica22, per raggiungere questa meta. Un ringraziamento particolare va agli amici della Società Amici del Pensiero e alla preziosa “formazione” psicoanalitica da loro offerta, senza la quale, insieme alla mia iniziativa, questo testo, e tante altre attività, non sarebbero possibili. © Società Amici del Pensiero - Studium Cartello 2014 Vietata la riproduzione anche parziale del presente testo con qualsiasi mezzo e per qualsiasi fine senza previa autorizzazione del proprietario del Copyright 19 G. B. Contri, Cinquecento per uno: psicosi pura e serial killer, in: “Think!”, 12 dicembre 2012, reperibile online in questo stesso sito: <http://www.giacomocontri.it/BLOG%20ARCHIVIO/BLOG%20PDF%20CONSULTAZIONE/BLOG%202012%20D EFINITIVO%20WEB.pdf>. 20 G. B. Contri, Corso di psicopatologia, 1991-1992, Sic Edizioni, p. 183, reperibile online in questo stesso sito: <http://www.studiumcartello.it/Public/EditorUpload/Documents/ARCHIVIO/PSICOPATOLOGIA.pdf>. 21 S Freud, Neurose und Psychose, GW Bd. XIII, 1920-1924, Fischer Verlag, Frankfurt 1999, p. 391. 22 G. B. Contri, Semper reformanda, in: “Think!”, 14 maggio 2014, reperibile online in questo stesso sito: <http://www.giacomocontri.it/BLOG/2014/2014-05/2014-05-14-BLOG_semper_reformanda.htm>. 6
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