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NOVEMBRE 2014
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SOFFIO AL CRATERE
DI SUD-EST
DEL MONTE ETNA
(PH GABRIELE AUGELLO
www.clickalps.com)
MONTAGNE
DELLA
SICILIA
PANORAMICA LAGO GURRIDA “CT”
(PH GABRIELE AUGELLO - WWW.CLICKALPS.COM)
GENERALITÀ
L
a Sicilia è emersa lentamente dal Mediterraneo dieci milioni di anni fa (Miocene). A quel tempo, infatti,
risalgono i preludi del sollevamento della Catena Montuosa Settentrionale che oggi caratterizzano l’isola
(costituita dai Peloritani, dai Nebrodi, dalle Madonie, dai Sicani e dai cosiddetti rilievi occidentali dell’IsolaRocca Busambra, Kumeta, La Pizzuta, Inici, Cofano, eccetera). Man mano che la Catena Settentrionale Siciliana emergeva dalle acque, gli agenti meteorici la erodessero e i detriti originati si accumulavano sul bordo
settentrionale (avampaese), della Placca Africana, che si stava insinuando sotto quell’Europea. La parte
mediana di quest’avampaese era costituta da materiale piuttosto flessibile: infatti, mentre da una parte si
accumulavano i detriti, dall’altra essa si infossava e creava una zona depressa, formando così tutta l’area centrale della Sicilia, denominata Bacino di Caltanissetta. Il restante avampaese della Placca Africana, essendo
formato da rocce rigide (calcari organogeni), ha costituito una piattaforma che è venuta a scontrarsi con la
parte meridionale della Placca Eurasiatica. Da tale scontro (circa cinque milioni di anni fa -Pliocene inferiore) si è originato il blocco di terre emerse, l’Altopiano Ibleo. Il margine lungo il quale la Placca Africana
s’insinua sotto la Placca Eurasiatica è costituito da un lungo solco, detto avanfossa, che, nel caso dell’avanfossa Catania-Gela, si sviluppa quasi parallelamente alla strada omonima di scorrimento veloce: sic-
VEGETAZIONE DEL RILIEVO INSULARE
Vegetazione
rupestre
Vegetazione dei
detriti di falda e
pascolo arido
Lecceta
Pascolo e
sugherete
Formazioni
arbustive a
ginepri e macchia
mediterranea
DISEGNO DI MICHELE ZANETTI
293
MONTAGNE DELLA SICILIA
Fig. 5 - Distribuzione delle fasce di vegetazione in Italia secondo Pignatti.
ché i territori che stanno a nord di essa appartengono alla Placca Europea, mentre quelli che stanno a sud
fanno parte di quell’Africana. La parte nord-occidentale del Catanese è una propaggine dei Nebrodi, perciò
una parte della Catena Settentrionale. Circa tre milioni di anni (Pliocene superiore e Quaternario) si sollevarono dal fondo marino i sedimenti. Infine, risale a meno di un milione di anni fa, la Piana di Catania (Quaternario), di fronte agli Erei, composta di alluvioni depositate dal Simeto e dai suoi affluenti tutto il resto
dell’Isola. Oggi la Sicilia è caratterizzata da un territorio prevalentemente collinare (per il 61,4%), la parte
montuosa è solo il 24,5% e il restante 14,1% è pianeggiante: la piana di Catania costituisce la pianura più
estesa dell’isola. In Sicilia si riconoscono quattro regioni orografiche. La prima, l’Appennino Siculo, è, la continuità dell’Appennino Calabro con la costituzione cristallina (gneiss, scisti vari): sono i M. Peloritani, che
s’innalzano a più di 1100-1300 m. Separati dalla faglia definita Linea di Taormina, seguono i M. Nebrodi più
elevati, con diverse cime superiori ai 1500 m (M. Soro 1847 m), con una morfologia più morbida dovuta alla
composizione litologica composta prevalentemente da rocce sedimentarie come le arenarie, argille scagliose, calcari mesozoici. il Gruppo delle Madonie rappresenta le montagne più alte della Sicilia escluso
l’Etna: sono fondamentalmente calcaree (trias e giura) con cime che sfiorano i 2000 m (Pizzo Carbonara
1979 m).
La seconda regione orografica abbraccia la Sicilia occidentale: ricordiamo alcune cime come il M. Cammarata
(1580 m) e la Rocca Busamba (1613 m); i cosiddetti Monti di Palermo e i M. Sicani.
La terza regione, nel cuore della Sicilia, chiamata altopiano solfifero, fa parte della cosiddetta formazione
gessoso-solfifera del Miocene supeOMBRELLIFERE E SCROFULARIACE
riore. Il limite orientale è costituito dai
AI PIEDI DEL VULCANO
M. Erei, dove prevalgono i terreni pliò ALTO D'EUROPA
PIU
cenici, d’spetto tabulare con una
(PH GABRIELE AUGELLO
media altimetrica sugli 800 m. L’anWWW.CLICKALPS.COM)
golo sud – orientale della Sicilia ben
differente nella sua morfologia è rappresentato dai M. Iblei: un vero tavolato.
La quarta regione è rappresentata
E t na
dalla gigantesca massa dell’E
(3346 m). “A Muntagna”, e così com’è
viene chiamata dai siciliani, raggiunge
un’altitudine superiore al limite del
bosco. Dal punto di vista naturalistico
si prendono in esame i due gruppi
principali: l’Etna e le Madonie che si
differiscono in primis per l’altitudine,
ma soprattutto per la differente età di
origine, alla natura geologia e agli
aspetti geomorfologici.
MONTAGNE DELLA SICILIA
L’ETNA
Con i suoi 3346 m di quota oltre
a essere la montagna più alta
dell’isola, è anche il vulcano attivo più alto d’Europa, e tra i più
attivi al mondo. Collocato fra due
fiumi, il Simeto e l’Alcantara, chi
vi giunge in cima può spaziare
con lo sguardo fino alle isole
Eolie e alle alture del Palermitano.
Il paesaggio vegetale dell’Etna è
condizionato oltre che dalla sua
altezza, dalla sua localizzazione
geografica, dalla natura litologica
ed età del substrato: infatti, accanto ad aree fertili, fittamente
boscose o coperte da cespugli o
da erbe, si stendono vastissime
zone dove è assente ogni forma
di vegetazione; e dominano le
nude distese di lava fresca.
È la montagna più giovane fra
quelle italiane: infatti è costituito
interamente da lave di età compresa fra i circa 600.000 anni e il
presente. L’età stessa delle lave è
sempre più recente passando
dalla periferia di bassa quota fino
alla vetta dove questa non supera i tre secoli di età.
Il chimismo è di tipo basaltico,
quindi povero in silice (basico).
Anche la morfologia della montagna è legata all’attività vulcanica.
Diversi sono i coni craterici, dei
quali due sono i principali: il
“Mongibello”, l’attuale cratere, e il
“Trifoglietto”, più antico, che
sprofondando ha dato origine
alla Valle del Bove sul versante
orientale.
Nell’uso corrente i vocaboli “flora”
e “vegetazione” sono sinonimi,
mentre nel linguaggio scientifico,
essi indicano due concetti diversi. La Flora si riferisce all’insieme delle specie di piante
selvatiche che sono presenti su
un territorio e consiste essenzialmente nella lista di queste
piante, cui si aggiungono sovente altri dati: la forma biologica
(bulbosa, arbustiva, annuale,
ecc.) e l’areale (vi sono specie cosmopolite e specie che vivono
solo su un determinato distretto
(endemiche). La Vegetazione indica i modi con cui ciascuna specie di pianta, in un determinato
territorio, si pone in relazione con
294
l’ambiente circostante, quindi
non solo gli elementi fisici
(acqua, suolo, temperatura, ecc.)
ma anche le altre specie di piante
che sono presenti nel territorio
considerato. Abbiamo così la vegetazione del bosco montano,
quella del bosco di pianura, della
steppa, della gariga, eccetera. La
vegetazione di un territorio si
suddivide in due ripartizioni: zonale ed extra zonale. La prima è
quella parte di vegetazione legata al clima della regione considerata (temperatura,
precipitazioni, insolazione, venti,
ecc.); quell’extra zonale è quella
parte della vegetazione, invece,
non legata al clima, ma è legata
essenzialmente al substrato (solido o liquido) su cui si è insediata. La vegetazione della piana
di Catania, ha una zonazione altitudinale marcatamente assimetrica per il contrasto climatico sia
nel senso Est-Ovest sia NordSud e può essere ripartita nelle
seguenti fasce: termo mediterranea (compresa fra il livello del
mare e i 500 m di altitudine); mesomediterranea (compresa fra i
500 m e i 1000 m); supramediterranea (dai 1000 m ai 2000 m).
Per quanto riguarda l’Etna, esistono altre due fasce vegetazionali: quell’oromediterranea (da
2.000 m a 2.500 m) e criomediterranea (sopra i 2.500 m). La vegetazione extra zonale
comprende una vegetazione
delle coste (Timpa di Acireale,
scogli di Catania, Foce del Simeto); una degli ambienti umidi
(salmastri come per es. la Foce
del Simeto e palustri come per
es. il Pantano della Gurna di Mascali e Gurrida); una dei corsi
d’acqua (Alcantara, Simeto, Dittaino, Fiumefreddo).
Il versante orientale è influenzato dalle correnti marine, con
piovosità doppia rispetto a quello
occidentale a parità di quota. Il
versante settentrionale è più fresco rispetto a quello meridionale.
La parte basale è veramente antropizzata e l’uomo ha lasciato
evidenti tracce nel paesaggio vegetale dove troviamo intense
colture agricole di vario tipo
come agrumeti, vigneti,uliveti,
noccioleti, pistacchieti e le colture ortive (ad esempio fragole),
per terminare con i pometi e i castagneti. Sopra questa quota e
negli spazi sottostanti lasciati liberi dalle colture, troviamo la vegetazione spontanea, la cui
distribuzione risente particolarmente di due fattori: il suolo e il
clima. Il suolo vulcanico di fresca
data è inospitale per qualsiasi
forma vegetale. Dopo qualche
tempo sulla superficie delle lave
s’insediano microrganismi (Cianobatteri) che possono fare a
meno del substrato perché nitroautotrofi. Seguono alcune specie
di licheni (esseri derivati dalla
collaborazione fra un’alga e un
fungo) che hanno la facoltà di
appiccarsi alla nuda roccia; fra
essi assai diffuso è lo Stereocaulo (Stereocaulon vesuvianum). Accanto ai licheni, nelle
fessure dove si accumula un po’
di sabbia, attecchiscono i muschi
(per es. Bryum argenteum e Politrychum piliferum). Con il trascorrere del tempo, man mano che il
terriccio si raccoglie nelle fenditure della roccia, compaiono le
prime erbe annuali (per es. Tuberaria guttata, Rumex bucephalophorus) e poi le graminacee
pluriennali (Stipa capensis, Cymbopogon hirtus). Trascorso ancora altro tempo il suolo si
arricchisce sempre più di humus
e allora si costituiscono le praterie steppiche, in cui sono presenti erbe suffruticose, come i
Perpetuini (Helicrysum italicum)
e la Camarezza (Centranthus
ruber). Quando, sotto l’azione
delle stesse piante e degli agenti
atmosferici, si forma un suolo
maturo, attecchiscono gli arbusti,
quali ad esempio la Ginestra
dell’Etna (Genista aetnensis), la
Ginestra odorosa (Spartium junceum) e il Cìtiso (Cytus villosus).
Infine compaiono le boscaglie
con gli alberi di Leccio (Quercus
ilex), di Roverella (Quercus dalechampii, Quercus congesta,
Quercus virgliana), di Bagolaro
(Celtis australis) e di Frassino
(Fraxinus ornus) quando il terreno vulcanico è maturo, esso respinge l’attecchimento di certe
piante, come ad esempio le note
MONTAGNE DELLA SICILIA
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verdure selvatiche, Senape nera
(Brassica nigra), Senape canuta
(Hirschfeldia incana) e la Bieta
spontanea (Beta vulgaris) che
prosperano su terreni sedimentari circostanti. Il fattore determinante della distribuzione delle
piante sulla montagna etnea è il
clima, che varia con l’altitudine.
Gli elementi che influenzano la
presenza o meno delle varie specie, sono: la temperatura, che diminuisce con l’aumento della
quota, e le precipitazioni, molto
rilevanti quelle nevose, la cui coltre persiste per alcuni mesi sopra
la quota 2.000 m. Avendo fissato
la curva di livello a 500 metri
come limite inferiore del settore
ambientale etneo, vediamo come
il paesaggio vegetale segue questa distribuzione vegetazionale
“zonale”.
La fascia vegetazionale mediterranea (chiamata mesomediterranea o dei boschi pedemontani) si
sviluppa da 500 m fino a 1000 m
nel versante orientale, più
umido, e arriva fino a 1400 m nel
versante occidentale. Alle quote
più basse, nel settore meridionale, troviamo il predominio
dell’Euforbia a portamento di arbusto ramificato privo di foglie
(Euphorbia desidroides). In questa fascia il versante occidentale
della montagna il bosco più diffuso è quello a Leccio e Maletto.
Nel versante orientale, il Leccio
ha uno sviluppo modesto e si associa a latifoglie più mesofile
come l’Orniello e il Carpino nero.
Nel settore sudoccidentale la lecceta è più frammentata, con la
presenza del Bagolaro dell’Etna
(Celtis aetnensis), pianta endemica, nome dialettale
“minicucco”, relegato nei dintorni
di Bronte, più piccolo del comune
Bagolaro e i cui frutticini sono di
colore bruno. Nel comune di Milo,
segnaliamo l’esistenza della
pianta di Leccio più grande (h 18
m e diametro 4,8 m) e più antica
(circa 600 anni) di tutta l’Etna.
Essa è chiamata “Ilici di Carrinu” o
“Ilici di Pantanu”: il primo nome si
riferisce a un antico proprietario
(Carlino) e il secondo a una ormai
scomparsa zona umida situata
nei pressi della pianta. Nell’am-
bito del bosco del Leccio, troviamo il Frassino, boscaglie di Ginestra etnea (Genista
aetnensis), pianta quasi endemica, presente anche in Sardegna, sia in forma cespugliosa sia
arborea. Con il nome di “Ginestra”, s’intendono almeno due
piante: la Ginestra odorosa
(Spartium junceum) e la Ginestra
dell’Etna (Genista aetnensis).
Esse si assomigliano nel portamento, ma fioriscono in tempi diversi: la prima nei mesi di
maggio/giugno e la seconda nei
mesi di luglio/agosto. A bassa
quota prevale la Ginestra odorosa mentre la Ginestra dell’Etna
è esclusiva delle quote più alte
spingendosi fino al limite del
bosco. In un non lontano passato
la Ginestra dell’Etna è stata la
pianta più usata per produrre il
carbone con i caratteristici “fussuni”. Al piede di qualche pianta
di Ginestra etnea non è raro vedere delle robuste formazioni erbacee, prive di clorofilla, che
ricordano le mazze di tamburo: si
tratta del Succhiamele maggiore
(Orobanche rapum-genistae), un
parassita dell’arbusto che, incapace di fotosintesi, sfrutta la
pianta cui sono attaccate le sue
radici austorie. Nei dintorni del rifugio di M.te Scavo, situato nella
parte occidentale dell’Etna, noteremo ai bordi della carrareccia dei
robusti e strani arbusti che, in
estate esibiscono grandi grappoli
di fiori gialli. Sono esemplari di
Maggiociondolo (Laburnum alpinum), una specie estranea alla
flora siciliana. Nel sottobosco incontreremo piante amanti dei
terreni rocciosi: il Guado (Isatis
tinctoria), pianta alimentare del
bruco dell’Aurora dell’Etna (Anthocharis damone), una bellissima farfalla dalle ali gialle e rosa;
i Perpetuini (Helichrysum italicum) e la Camarezza (Centranthus ruber), che sono le tra le
prime piante colonizzatrici delle
lave. Dove il suolo è più soffice,
cresce abbondante la Costolina
(Hypochoeris radicata), lo Strigolo (Silene vulgaris) e la Barbatella (Tolpis quadriaristata), che
sono delle piante mangerecce.
Passando nella fascia supramediterranea bassa (da 1.000 m a
1.700 m) troviamo i boschi submontani, caratterizzati da querce
caducifoglie ovvero roverelle
(Quercus dalechampii, Quercus
congesta, Quercus virgliana), ai
quali si aggiunge, nel versante
orientale, un bosco abbastanza
puro a Cerro, detto della Cerrita o
Giarrita. Dove il substrato è roccioso o detritico, la fascia supramediterranea può ospitare
boschi a Pino laricio (Pinus
laricio), pianta quasi endemica,
che oltre che sull’Etna, troviamo
solo, in Calabria e in Corsica.
Densi popolamenti di Pino laricio
ACERO DI MONTE SORO NEI NEBRODI (PH R.B.S.)
MONTAGNE DELLA SICILIA
sono presenti nei boschi di Ragabo (Linguaglossa e Castiglione
di Sicilia) e di Serra La Nave
(Biancavilla). Qui le lave recenti
sono piuttosto frequenti e la vegetazione pioniere attecchisce
con facilità prevale il genere
Rumex aetnensis e Helichrysum
italicum. I blocchi lavici più grandi
sono coperti da licheni (Stereocaulon vesuvianum). Ricordiamo
che i licheni sono il sodalizio fra
un’alga e un fungo: la prima ha la
capacità di costruire la sostanza
organica, il secondo fornisce la
necessaria acqua e i necessari
sali. In questa fascia sono presenti aree destinate a colture,
come pometi (molto nota la varietà di mele dette “Puma Cola”,
coltivate specialmente nella contrada di Monte Pomiciario) e castagneti. I castagneti, che sono
d’impianto antropico, risultano
largamente diffusi sull’Etna. Il Castagno (Castanea sativa) è stato
ed è coltivato per l’estrazione del
legname da opera e da combustione, mentre poco interesse
suscita, da sempre, la produzione
delle castagne. Alberi secolari di
Castagno si trovano nel comune
di Sant’Alfio. Il più noto fra questi
è il castagno dei Cento Cavalli,
così chiamato poiché la tradizione vuole che le sue fronde abbiano dato riparo alla Regina
Giovanna d’Aragona e al suo seBETULLA ETNEA (PH A.G.)
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guito formato da cento cavalieri.
Ha un diametro di 52 m, un’altezza di 28 m la sua età è stimata
a circa 4.000 anni. Segue il Castagno della Nave, posto appena
più avanti sul confine con il comune di Mascali, così chiamato
perché il suo tronco ricorda un
veliero: si tratta di una ceppaia
con tre polloni, aventi un diametro complessivo di 25 m e un’altezza di 15 m e un’età stimata dei
circa 2.000 anni.
La fascia supramediterranea alta
si estende fra i 1.700 m e i 2.000
m di quota. Qui le coltivazioni
sono del tutto assenti e troviamo
i boschi montani costituiti da popolamenti di Faggio (Fagus sylvatica), di Betulla etnea (Betula
aetnensis), che differisce dalle
altre betulle italiane (Betula pendula e Betula pubescens) per la
forma delle foglie; e di Pioppo
tremulo (Populus tremula). Le
faggete etnee toccano le più
basse latitudini d’Europa, e sono
localizzate principalmente sul
versante settentrionale del vulcano, sui pendii esposti a Nord e
nelle stazioni fresche (ad esempio a Monte Spagnolo e a Monte
Santa Maria, nel comune di Randazzo). Il Pioppo tremulo non è
comune sui versanti orientale e
meridionale dell’Etna, mentre
forma boschi quasi puri sul versante settentrionale, dove ci
sono anche l’Acero di montagna
(Acer pseudoplatanus) e l’Acero
Ioppo (Acer opalus).
Sovente nelle faggete è presente
l’Agrifoglio (Ilex aquifolium), nella
forma cespugliosa. I boschi di Betulla sono localizzati nel versante
nord-orientale. La specie aetnensis è endemica ed è un relitto
dell’ultima glaciazione (circa
15.000 anni fa). In questa fascia
troviamo anche alcune specie arbustive, quali il Crespino (Berberis aetnensis) e il Ginepro
(Juniperus hemispahaerica): queste due piante formano larghi cuscini spinosi al limite dei boschi e
sovente s’impiantano sulle zone
rocciose. Nelle aree più aperte si
trovano pascoli secondari caratterizzati da Graminacee come la
Festuca stenantha ssp. laives e
Phleum hirsutum ssp. subgum. Il
sottobosco è caratterizzato da
Daphne laureola, Galium rodundifolium e Cephalanthera rubra.
Quando il bosco si dirada nel sottobosco, prevale la Felce aquilina
(Pteris aquilina), pianta le cui
fronde erano un tempo utilizzate
per coibentare i blocchi di neve,
che venivano trasportati sui muli,
e, commerciati in tutta l’Isola, e
graminacee quali la Festuca
ovina e Brachypodium dylvaticum.
Terminata la copertura del bosco,
si passa alla zona scoperta ovvero alla fascia oromediterranea
o altomontana che arriva fino ai
2.500 m. Qui è il regno dello Spinosanto (Astragalus siculus): la
pianta assume la forma semisferica (pulvino), efficace adattamento contro le basse
temperature, contro l’eccessiva
traspirazione ed anche contro
l’azione meccanica ed essiccatrice del vento. All’interno dello
Spinosanto trova riparo la Viola
dell’Etna (Viola aetnensis), dai
bellissimi fiori violetti o bianchi;
la Peverina (Cerastium tomentosum) e la Violaciocca del Bonanni
(Erysimum bonannianum). Da ricordare ancora, la Saponaria (Saponaria sicula), che sdraia i suoi
fusti fra le sabbie vulcaniche esibendo, in estat fiori di colore
rosa carico e dal calice oblungo; il
Centograni etneo (Scleranthus
MONTAGNE DELLA SICILIA
297
aetnensis), un’erba pluriennale
che vive sulle sabbie e sulle rocce
vulcaniche e i cui fiori sono piccoli e appariscenti; il Tanaceto
(Tanacetum siculum), dalle piccole infiorescenze gialle, raccolte
in mazzetti (corimbi), dalle cui foglie si ricava un amaro detto
“Donnavita”.
L’ultima fascia di vegetazione,
quella criomediterranea o cacuminale, va da 2.500 m fino ai
2.900 m. Oltre tale quota non vi è
più alcuna forma di vita. Qui troviamo pochissime specie molto
specializzate, quasi tutte endemiche, che si presentano in ciuffi
d’individui sparpagliati qua e là.
Esse sono: la varietà d’alta quota
(aetnensis) del Romice scudato
(Rumex scutatus), la Camomilla
etnea (Anthemis aetnensis), una
margheritina bianca che assomiglia alla Camomilla romana (Anthemis nobilis); il Senecione
glauco (Senecio aetnensis), una
grossa margherita gialla; e la Costolina appenninica (Robertia taraxocoides).
LE MA DONIE
Il sistema montuoso delle Madonie può sostanzialmente essere
distinto in tre grandi raggruppamenti principali-formati da rocce
calcaree o silicee-:
quello carbonatico Panormide
NEBRODI, LAGO MAULAZZO (PH R.B.S.)
costituito da grigio, durissimo
calcare corallifero, presente nell’area centrale di Pizzo Carbonara;
quello delle formazioni eminentemente carbonatiche del complesso basale che formano i
rilievi occidentali culminanti nel
Monte dei Cervi (1794 m); quello
dei depositi silice-argillosi che interessano principalmente il versante nord-orientale.
Questo sistema montuoso pur
non avendo uno sviluppo altitudinale modesto nel cuore dell’isola siciliana (sotto i 2000 m –
Pizzo Carbonara alto 1979 m),
presenta una vegetazione alquanto complessa, superiore a
quella dell’Etna. La causa è legata all’eterogeneità litologia del
gruppo che ha origine sedimentaria (rocce carbonatiche compatte: calcari, calcari dolomitici e
dolomie) che hanno milioni di
anni. Sono presenti anche rocce
più friabili e più ricche di silicati
(arenarie quarzose, marne e argille): questa eterogeneità litologica implica una conseguente
varietà geomorfologica e pedologica e di conseguenza diverse
associazioni vegetazionali. Taluni
definiscono la regione madonita
un “giardino botanico” al centro
del bacino del Mediterraneo o,
ancora, “un crocevia fra tre continenti”: qui, infatti, nell’arco di mi-
lioni di anni, una serie di felici circostanze ha favorito non solo la
sopravvivenza di centinaia di
specie endemiche, esclusive di
queste montagne- l’Abete dei
Nebrodi (Abies nebrodensis) è il
caso più eclatante- ma anche la
presenza di altre, giunte da decine di regioni geografiche dai
climi diversi: da quello freddocontinentale –da dove proviene il
Faggio, pianta dei paesi centronord europei- a quello arido e
sub-tropicale.
La fascia basale (compresa tra la
quota del mare e i 400 m) è caratterizzata da una vegetazione
xerofila e arbustiva di clima tipicamente mediterraneo-arido,
ove vegetano l’Olivastro (Olea
europea var. silvestris), il Carrubbo (Ceratonia siliqua), il Lentisco (Pistacia lentiscus).
La fascia mediterraneo-temperata (compresa tra i 400 e i
1200-1300 m) è invece connotata dalla presenza della Quercia
da sughero (Quercus suber), su
rocce marnoso-arenacee, che occupa il 16,5% del manto boschivo, e dal Leccio (Quercus
ilex), che s’incontra eccezionalmente anche sino a 1750 m, che
domina il paesaggio vegetale soprattutto nel versante settentrionale (Collesano, Cefalù,
Castelbuono) e nord-orientale
MONTAGNE DELLA SICILIA
(Geraci Siculo). Il Leccio copre
circa il 23% dell’intera copertura
forestale in associazione con il
Sughero, la Roverella, l’Acero
campestre (Acer campestre), il
Sorbo meridionale (Sorbus
graeca), l’Agrifoglio (Ilex aquifolium). Notevole la presenza di
macchia foresta ad Alloro (Laurus
nobilis), ove vegeta il rarissmo
Ranno di Lojacono (Rhamnus lojaconoi), una specie legnosa scoperta da poco.
La vegetazione arbustiva tipica
di queste quote è quella della
macchia mediterranea. Essa annovera moltissime specie distribuite a diverse quote e
variamente associate, come il
Mirto (Myrtus communis), l’Olivello spinoso (Phillyrea media),
l’Eforbia arborescente (Euphorbia dendroides) e l’Euphorbia
characias, il Rovo (Rubus ulmiflius), l’Erica (Erica arborea), il
Corbezzolo (Arbutus unedo), Cisti
bianchi e rossi (Cistus salvifolius
e Cistus incanus), varie Ginestre,
tra le quali Spartium junceum e
Genista cupanii, quest’ultima endemismo esclusivo delle Madonie; il Pero selvatico (Pirus
pyraster) e mandorlino (Pyrus
amygdaliformis); l’Orniello (Fraxinus ornus), alcune rose, come la
Rosa viscosa e sempervirens,
l’Azeruolo (Crataegus
monogyna), il Pungitopo (Ruscus
aculeatus). Tra le specie erbacee
ricordiamo l’Asparago (Asparagus acutifolis), la Peonia (Paeonia mascula), la Viola (Viola
dehnhardtii),la Dafne (Daphne
gnidium). Sia la fascia basale sia
la fascia mediterraneo-temperata, hanno risentito maggiormente dell’azione dell’uomo, per
cui il paesaggio vegetale naturale di questi orizzonti risulta
spesso condizionato da diffuse
colture agrarie, come uliveti, vigneti, castagneti, noccioleti, pascoli, frassineti che
caratterizzano il versante settentrionale delle Madonie, mentre le colture cerealicole
prevalentemente caratterizzano
il versante meridionale. La quasi
millenaria presenza di alcune varietà di Frassino da manna,
pianta ormai quasi esclusiva
298
delle campagne di Pollina e Castelbuono, riveste notevole interesse non solo dal punto di vista
antropologico, ma anche da
quello biologico.
La fascia supramediterranea, denominata anche “fascia colchica”,
per la presenza del Colchide caucasico a tre foglie (Colchicum trifyllum), è confinata tra i 1200 –
1500 m, ed è fortemente condizionata dalla morfologia del territorio, dove abbiamo aree di
rilievo dolce, fondovalle e i “piani”
dove ristagna l’aria umida. Questa fascia è dominata principalmente da vegetazione forestale
relitta caratterizzata dal bosco
misto di Rovere (Quercus petraea), che annovera anche individui secolari e Agrifoglio, che
forma spesso un intricato e fitto
bosco. Il bosco di Rovere trova la
sua massima espressione a
Piano Pomieri (Petralia Sottana),
ma è presente pure a Pizzo Cerro,
Montaspro, Passo Canale, Piano
di Farina, Stretta di Canna, Pizzo
Antenna piccola (1697 m). Assieme a queste specie troviamo
spesso il Cerro, con esemplari
isolati, la Roverella, l’Olmo montano (Ulmus glabra), specie assai
rara in Sicilia, il Sorbo torminale
(Sorbus torminalis), l’Acero d’Ungheria (Acer obtusatum), il Biancospino di Sicilia (Crataegus
laciniata), il Melo selvatico (Malus
sylvestris) e, nelle zone più fresche, elemnti della fascia soprastante come il Faggio e l’Acero
montano (Acer pseudoplatanus).
Tra le specie arbustive più significative figurano il Pungitopo
(Ruscus aculeatus), la Dafne
(Daphne laureola), la Rosa selvatica (Rosa canina), il Ciclamino, la
Peonia, la Viola. Questa fascia riveste rilevante valore geobotanico, forestale ed estetico, anche
per la presenza di molte specie
endemiche e di rarità. E’ il caso
dell’Abete dei Nebrodi (Abies nebrodensis), un preziosissimo endemismo, che nel passato
ricopriva buona parte dei monti
siciliani e del quale restano (in
tutto il modo) i poco più dei venti
esemplari localizzati nel Vallone
Madonna degli Angeli, nei pressi
di Polizza Generosa; del bosco di
agrifogli pluricentenari e di eccezionali dimensioni a Piano Pomo,
nei pressi di Castelbuono, e a
Piano Pomieri, nei pressi di Petralia Sottana, che si estende per
quasi 1000 ettari. Sempre in
questa fascia sono localizzati taluni ambienti umidi, quali i margi,
in aree pianeggianti con substrato poco drenante, colonizzati
da comunità di torbiera bassa.
Qui troviamo alcune specie di Carici (Carex tumidicarpa, Carex oederi, Carex pallescens) e di Felci
(Athyrium flix-foemina,
Osmunda regalis). In particolare,
l’elegante Felce regale, un relitto terziario, costituisce una
rarità di considerevole interesse
fitogeografico e ambientale. Tipiche piante di questi habitat
sono pure il Lonchite minore
(Blechnum spicant), il Giunco dei
Nebrodi (Eleocharis nebrodensis), il Ranuncolo (Ranunculus
pratensis)
Dove il bosco è stato allontanato,
troviamo la Genista apanii, arbusto endemico delle Madonie e dei
Nebrodi; a livello erbaceo domina
la Tolpis virgata.. Non trascurabili
anche i rimboscamenti con specie alloctone con i cedri asiatici,
eucalipti australiani, robinie americane e cipressi di varie provenienze.
La fascia mediterran ea-montana, che si sviluppa dai 1500
sino ai limiti altitudinali dei rilievi montuosi presenti nell’area
madonita (1979 m), è caratterizzata da faggete che hanno un
maggior sviluppo sul versante
settentrionale. Fitte formazioni
boschive di grande valore naturalistico, biogeografico e paesaggistico si trovano a Monte
San Salvatore, esteso per quasi
2000 ettari, a Monte Mùfara,
Pizzo Antenna grande, Monte
dei Cervi, Vallone Madonna degli
Angeli ove il Faggio, scendendo
sotto i 1600 m, raggiunge il più
basso limite altitudinale noto
per la specie.
Le pendici calcareo-dolomitiche
sono ricoperte da comunità secondarie come l’Astragalo dei
Nebrodi (Astracantha nebrodense), un arbusto spinoso endemico delle montagne della
MONTAGNE DELLA SICILIA
299
Sicilia settentrionale. Associate a
quest’arbusto troviamo l’ombrellifera Cachrys ferulacea, ma
anche graminacee quali Phleum
ambiguum e Festuca circummediterranea che fanno assumere
un aspetto simile a un pascolo
arido.
Nelle aree pianeggianti, su substrato marnoso-arenaceo (suoli
acidi e debolmente acidificati) la
faggeta è stata eliminata, lasciando il posto a pascoli secondari e pascoli pingui tra i più
produttivi delle montagne siciliane. Qui stazionava e staziona il
bestiame bovino. Questi pascoli
pingui sono caratterizzati da
Plantago cupani (sub), endemismo delle Madonie e dei gruppi
montuosi vicini, soprattutto Peloritani e Nebrodi e ospitano
specie foraggere di trifoglio e gaminacee quali Cynosurus cristatus e Lolium perenne.
I migliori esempi di pascolo pingue a Prantago cupani li riscontriamo a Piani delle Battagliette e
della Battaglia. Le acque raccolte
nell’inghiottitoio formano degli
ecosistemi dove ci sono tipiche
vegetazioni acquatiche effimere
come Ranunculus lateriflorus,
Ranunculus marginatus e Myosurus minimus. In estate queste
pozze sono completamente pro-
ORCHIDEA (PH R.B.S.)
sciugate e le piante non sono più
individuabili. Ai bordi delle pozze
temporanee troviamo una vegetazione palustre persistente riconoscibile anche in estate. Sono
carici e giunchi come Eleocharis
nebrodensis, Juncus compressus
e Carex leporina.
Sopra i 1600 m troviamo vegetazione rupicola come la Stellina di
Gussone (Asperula gussonei),
rara e bellissima per le sue fioriture rosate, che si rinviene negli
habitat calcareo-dolomitici di alta
quota, Helichrysum nebrodense
e Draba olympicoides tutte specie endemiche di questo gruppo
montuoso. Presenti anche comunità di Anthemis cupaniana e
Centaurea busambarensis, entrambe endemiche, che si spingono fino alla fascia
supramediterranea. Tra gli altri
endemismi e rarità ricordiamo: il
Lino delle fate siciliano (Stipa sicula), una singolare esclusività di
Monte Quacella, caratteristica
per le sue reste flessuose; l’Aubrezia siciliana (Aubrieta deltoidea), dalle piccole, infiorescenze
rosa-viola, tra i più rari endemismi siculi delle Madonie; l’Ofride a
mezza luna (Ophrys lunulata),
delicata e poco diffusa orchidea,
presente più frequentemente
nei versanti settentrionali del
complesso montuoso; il Trifoglio
di Bivona-Bernardi (Trifolium bivonae), endemismo siculo dalla
bella infiorescenza rossa; lo Spillone dei Nebrodi (Armeria nebrodensis), endemismo siculo dai
fiori rosa; il Cardo niveo (Ptilostemon niveus), rarità siculo-calabra
ed importante pianta pioniera,
localizzata oltre i 1200 m; la Sassifraga meridionale (Saxifraga
lingulata subsp. Australis), rara
pianta rupestre localizzata a
Monte Quacella; l’Arenaria grandiflora (Arenaria grandiflora),
endemismo dell’Appennino e
della Sicilia, presente soprattutto
alla base di Monte Quacella; la
rara Orchidea screziata siciliana
(Orchis commutata); l’Astro di
Sorrentino (Aster sorrentinii),
pregiato esemplare di Composita,
solo recentemente scoperto tra
Polizzi Generosa e Castellana Sicula e nelle Petralie; l’Aglio dei
Nebrodi (Allium nebrodense), endemismo tra i più rappresentativi
dell’intera area madonita, presente nella zona centrale del
complesso montuoso. L’elenco è
estremamente succinto e non
rende pienamente merito alla realtà delle Madonie.
La ricorrente definizione “dei Nebrodi” nella nomenclatura di numerose specie citate è da riferirsi
MONTAGNE DELLA SICILIA
all’antica denominazione delle
Madonie (Mons Nebrodes) e non
ha alcuna attinenza con i vicini
Monti Nebrodi.
ASPETTI FAUNISTICI:
GENERA LITÀ
Invertebrati
Sono decine di migliaia le specie
d’invertebrati che popolano i boschi e le campagne, dal livello del
mare fino alla montagna. Si
tratta, generalmente, di una
fauna largamente ignorata dall’escursionista, salvo che essa
non si manifesti nelle forme di
una farfalla, di una mosca, di una
zanzara, di un ragno o di una
vespa. Moltissimi invertebrati
rappresentano anelli importantissimi delle catene alimentari
che culminano nei predatori
come il gatto selvatico o gli uccelli rapaci; altri costituiscono gli
agenti dell’impollinazione e molti
altri ancora sono agenti riciclatori
di materiale organico. È tra le
erbe e gli steli, sui tronchi e lungo
i rami degli alberi e degli arbusti
che l’escursionista può imbattersi più facilmente in un ricco
campionario d’invertebrati, il cui
quadro muta al variare delle stagioni e delle varie formazioni vegetali. Molti coleotteri, ad
esempio, che da adulti frequentano i fiori, hanno larve che vivono all’interno del legno, vivo o
BIACCO (PH R.B.S.)
300
morto, dove scavano lunghe gallerie; e sugli stessi fiori possiamo
trovare api e vespe, il cui ciclo vitale comincia in un nido che,
forse, è scavato sottoterra o è
nascosto in un angolo inaccessibile tra le rocce. Rovesciare le
pietre per vedere se c’è sotto
qualche animaletto, è una delle
attività più spesso praticate dall’escursionista/naturalista in
cerca d’insetti e di altri invertebrati. Molto spesso, la pietra rappresenta una sorta d’isola, verso
la quale converge temporaneamente una folla d’invertebrati
che trascorre altrove una buona
parte della loro esistenza e che vi
si rifugiano, ad esempio, durante
le ore diurne o nei momenti di
maggiore siccità, mentre se ne
allontana durante la notte o nei
periodi in cui l’aria è più umida.
Sulle Madonie è presente approssimativamente il 60% degli
invertebrati di tutta l’Isola e più di
novanta specie di farfalle, tra cui
molte le sottospecie endemiche,
come il “Parnassio Apollo di Sicilia” (Parnassius apollo subsp. siciliae), un’elegante farfalla che si
trova solo alle quote più elevate
delle Madonie. Probabilmente
dopo l’ultima glaciazione, questa
elegante farfalla bianca, caratterizzata da quattro ocelli rossi circondati di nero, benché adattata
a vivere in regioni con climi
freddi, si rifugiò nelle zone più
meridionali occupando però le
quote più elevate; la “Platicleide
del Conci” (Platycleis concii) scoperta dall’entomologo Antonio
Galvagni negli anni ’50 e dedicata
a un altro famoso entomologo
italiano, Cesare Conci.
Quest’altro insetto, una specie di
cavalletta, vive tra il 1500 e 1800
metri ed è localizzata sui versanti
esposti al sole e protetti dai venti
freddi. Tra i coleotteri ricordiamo
il “Rizotrogo di Romano” e la
“Shurmannia di Sicilia”, mentre a
quote più alte è presente la cavalletta “Stenobotro lineato”,
l’afodio di Zenker, boreale e siculo, la cui risorsa alimentare
consiste nello sterco degli erbivori, e il “Carabo planato”. Tra le
farfalle sono da ricordare, per la
loro bellezza o per l’interesse
scientifico, il Podalirio (Iphiclides
podalirius) e Polissena (Zerinthia
polyxena subsp. Cassandra) dalle
caratteristiche livree giallo-nero;
la delicatissima Meleageria daphnis; l’Aricia artaxerxes
subsp.allous; l’Eumedonia eumedon, una specie poco comune; il
Cynaris semiargus, dalla livrea
blu-viola; l’elegante Melanargia
russiae subsp.japigia; la Briseide
(Chazara Briseis); la bellissima
Cinzia (Melitaea cinxia subsp.cinxia.)
Sui Nebrodi sono presenti più di
600 specie d’invertebrati, tra i
quali oltre sessanta farfalle. Tra
queste ultime, numerose specie
sono nuove per la scienza o per
la fauna isolana, in altre parole
sono endemiche dei Nebrodi o
della Sicilia. Per quanto riguarda
gli insetti, scrive Pietro Alicata
(su Parco dei Nebrodi, supplemento a Papir n°25/1988): ”Per
le loro piccole dimensioni e per
l’abbondanza numerica delle loro
popolazioni, queste specie
hanno potuto più facilmente sopravvivere, in aree ristrette, alle
trasformazioni territoriali operate dall’uomo. Tra esse troviamo
rappresentanti di fauna prequaternaria, propria di periodi climatici caldo-umidi o
temperato-umidi, e specie di
clima freddo pervenute nell’Isola
durante le glaciazioni e rimaste,
oggi, accantonate nei boschi
MONTAGNE DELLA SICILIA
301
montani. Alcune di queste popolazioni si sono differenziate dalla
specie madre europea, dando
luogo a nuove specie presenti
solo sui Nebrodi. Per avere
un’idea dell’interesse di questa
fauna, basti pensare che le ricerche faunistiche in corso sui Nebrodi hanno evidenziato che su
600 specie censite, riguardanti
una piccola parte della fauna esistente, 100 sono nuove per la
fauna siciliana, venticinque sono
anche nuove per l’Italia e ventidue sono nuove per la scienza”.
Etna è nePer quanto riguarda l’E
cessario rilevare anzitutto che
tutta la sua storia naturale è segnata dall’attività eruttiva vulcano che ha determinato
rilevanti e repentini cambiamenti
del territorio modificando gli habitat con la conseguenza che sia
la vegetazione sia la fauna si
sono adattate nel corso del
tempo. La fauna invertebrata,
grazie alle sue piccole dimensioni
e alla sua enorme ricchezza (non
bisogna, infatti, dimenticare che
più del 95% degli animali sono
invertebrati) ha avuto la possibilità di sopravvivere a varie trasformazioni, mantenendo una
struttura e una dinamica delle
popolazioni e delle biocenosi
quasi inalterate. In generale
mancano gli endemiti di antica
origine (paleoendemiti), mentre
numerose sono le specie e sotto-
specie neoendemiche, la cui origine può essere fatta risalire all’isolamento e al
differenziamento di popolazioni
di specie europee, o appenniniche, spinte in Sicilia dalle glaciazioni quaternarie. Tra le specie
più appariscenti sono da ricordare l’innocuo Scorpione (Euscorpio carpathicus) che vive di
solito nei luoghi umidi sotto i
sassi e che non di rado può
anche rinvenirsi nelle abitazioni
di campagna; l’Argiope o l’Eperia
fasciata (Argiope bruennichi),
grosso ragno dalla colorazione
giallo viva con sinuose strisce
nere trasversali. Sull’Etna vivono
molte specie di Gasteropodi polmonati che possono essere provvisti di conchiglia (chiocciole),
oppure privi (lumache). Alcune
specie di chiocciole sono ben
note anche perché sono utilizzate per scopi alimentari: Helix
(Cantareus) aperta, Cryptomphalus aspersa. Gli insetti costituiscono la parte faunistica
notevolmente più ricca di specie.
Oltre ai ben noti scarafaggi comuni abitatori delle abitazioni,
come la Blatta orientalis, nerastra dalle ali corte, sono da ricordare: Ectobius lagrecai, specie
alata sinora nota soltanto per
l’Etna, con corpo ocraceo che vive
di preferenza nella lettiera dei
boschi di roverella; Phyllodromica
tyrrhenica, piccola specie (6 mm)
PAESAGGIO SICILIANO (PH GABRIELE AUGELLO - WWW.CLICKALPS.COM)
esclusiva della Sicilia e che vive
nella lettiera. Tra le cavallette e i
grilli ricordiamo Poecilimon laevissimus, piuttosto raro e localizzato sul versante settentrionale
dell’Etna e l’Uromenus riggioi,
specie endemica siciliana di origine prequaternaria. Tra i coleotteri meritano di essere citati il
Carbide Lionychus fleisheri focalirei che vive nelle zone sommitali
del vulcano all’interno dei canaloni nei quali confluiscono le
acque meteoriche, e il Buprestide Buprestis aetnensis, presente quasi esclusivamente
all’interno dei boschi di pino laricio. Durante i mesi di maggio e di
giugno possiamo incontrare
lungo il nostro cammino, l’Aurora
dell’Etna (Anthocharis damone),
una bellissima farfalla dalle ali
gialle e rosa. Si può vedere volare
anche la Maniola (Maniola
jurtina) una farfalla di media
grandezza con faccia inferiore,
dalle ali di un bel colore verde
bruno; oppure la Sputacchina
(Cercopis sanguinolenta), una cicalina dalle ali nere e rosse che
protegge le sue larve con una
schiuma bavosa, simile a uno
sputo; o ancora la Mosca predatrice (Asilide) che potremo vedere in opera mentre va a caccia
di altri insetti, oppure le farfalle
Vanessa del cardo (Cynthia cardui) e Cecilia (Pyronia cecilia) che
volano qua e là, suggendo il net-
MONTAGNE DELLA SICILIA
tare dello Spinosanto (Astragalus siculus). Fra la sabbia del
suolo calpestabile si muovono affannati piccoli scarabei Tenebriondi (Pachychila dejeani) che
cercano detriti vegetali per il loro
nutrimento. Infine, come non ricordare la Processionaria del pino
(Thaumetopoea pityocampa),
una falena i cui bruchi si nutrono
degli aghi della pianta di pino
portando l’albero a esiziale deperimento. La forma adulta è una
farfalla dalle abitudini notturne,
quindi di difficile osservazione;
alla fine dell’estate essa depone
le uova alla base degli alberi,
sulla corteccia. L’anno successivo
dalle uova nascono le larve, dei
bruchi che risalgono lungo il
tronco dell’albero, guadagnano i
rami più alti della chioma e tessono il loro nido come se fosse
una ragnatela: bisogna evitare
questi nidi perché contengono
setole urticanti liberate dai bruchi che vi alloggiano o vi hanno
alloggiato; sono minuscoli dardi
velenosi che possono causare
gravi irritazioni sulla pelle degli
uomini e delle bestie.
Anfibi
Poche sono le specie di anfibi
che vivono in Sicilia.
Etna sono animali poco freSull’E
quenti, data la povertà di acque
superficiali perenni. Non vi sono
302
Urodeli (cioè Tritoni e Salamandre), ma unicamente Anuri (rane
e rospi). Sebbene la sua attuale
presenza richieda conferma, è citato l’Ululone (Bombina variegata), graziosissimo rospetto dal
ventre giallo vivo, screziato di ardesia. Sull’Etna si trovano il
Rospo comune (Bufo bufo) e il
Rospo smeraldino (Bufo viridis).
Una sola specie di rana vive sul
vulcano etneo, nelle zone a
bassa quota, la comunissima
Rana esculenta che in certe località viene anche utilizzata come
apprezzato alimento.
Sulle Madonie ma soprattutto sui
Nebrodi (data la presenza di un
gran numero di ambienti acquatici sia permanenti sia temporanei: piccole pozze e risorgive,
laghetti naturali, anse di torrenti
e fiumare, sia fuori sia dentro i
boschi), ritroviamo il Discoglosso
dipinto (Discoglossus pictus pictus), sottospecie endemica (pictus) di Sicilia e Malta che si
riproduce dalla fine dell’inverno
quando i maschi raggiungono gli
ambienti acquatici ed emettono
canti di richiamo; il Rospo comune (Bufo bufo spinosus), specie stanziale presente con la
sottospecie spinosus; il Rospo
smeraldino siciliano (Bufo
siculus), specie stanziale ed endemica, descritta in Sicilia come
Rospo smeraldino siciliano, di-
RAGANELLA HYLA (PH L.S. - WWW.BIRDS.IT)
stinta dall’italiana (Bufo balearicus), che comunque è presente
sui Peloritani e sulle coste catanesi: è una specie notturna che
frequenta habitat acquatici temporanei di piccole dimensioni
solo per riprodursi, mentre è più
facile rinvenirla in ambienti
aperti, agricoli e steppici. Ricordiamo pure la Raganella italiana
(Hyla intermedia) che in Sicilia si
rinviene dai 300 ai 1800 m, più
spesso tra gli 800 e i 1200 m, soprattutto nella dorsale settentrionale e la Rana verde di Berger
e di Uzzell (Rana bergeri e R. kl.
Hispanica) frutto d’incrocio tra
Rana bergeri e Rana ridibunda
presente nell’Italia peninsulare.
Rettili
Le lande sassose della Sicilia
sembrano fatte apposta per i rettili. Nel Mediterraneo esistono
più di una trentina di specie di lucertole, ma solo tre vivono nelle
campagne e nelle montagne
della Sicilia: il Ramarro, la Lucertola e la Lucertola siciliana. Quest’ultima, come dice il suo nome,
è esclusiva del’isola. Il Ramarro
occidentale (Lacerta bilineata) è
la più grossa e più colorata lucertola siciliana. Vive nei boschi ma
anche negli ambienti aperti con
qualche cespuglio e presso le
zone umide. Sui Nebrodi raggiunge il suo massimo limite altitudinale. La Lucertola campestre
(Podarcis sicula) è il rettile più comune della Sicilia, facilmente riconoscibile per il colore verde
reticolato su fondo nero del
dorso. Il massimo altitudinale conosciuto è di circa 2200 m sull’Etna e può raggiungere i 30 cm.
La lucertola siciliana (Podarcis
wagleriana) è una specie endemica siciliana appena inferiore
nelle dimensioni (20-25 cm) e
più esile nelle forme, e si riconosce (non certo con facilità) per la
colorazione più uniformemente
verde e due strie trasversali
chiare sul dorso. Probabilmente
non supera i 1200 m di altitudine
sulle Madonie e i 1600 m sui Nebrodi. Non è raro incontrare il
Gongilo ocellato (Chalcides ocellatus tiligugu) e la Luscengola
(Chalcides chalcides). Il primo, ti-
MONTAGNE DELLA SICILIA
303
pica specie nord-africana e asiatica, vive in Italia solamente in
Sardegna e Sicilia. Sulle Madonie
è noto con il nome dialettale di
“Tiro”. Molto termofila non sembra superi il limite della vegetazione mediterranea (0-400 m).
La luscengola rappresenta il cugino stretto del Gongilo e vive tra
i 1200-1300 m. Pur essendo in
tutte le sue caratteristiche anatomiche, un sauro (cioè una lucertola), i suoi movimenti e
l’aspetto esterno sono sicuramente serpentiformi e da molti
contadini è confusa proprio con
un serpente. Il Gongilo e la Luscengola sono due rettili abbastanza singolari; essi, infatti,
sono ovovivipari, cioè non depongono uova, ma queste si sviluppano dentro il corpo della
femmina che in giugno-luglio
partorisce 5-10 piccoli, indipendenti subito dopo la nascita. Tra i
Sauri vi è ancora il comunissimo
Geco (Tarentola mauritanica), conosciuto sulle Madonie con il
nome dialettale di “Schippiuni” e
il meno noto Emidattilo (Hemidactylus turcicus). Il Geco è uno
dei pochi rettili in grado di emettere suoni. Basta tenerlo per
qualche secondo in mano che
lanci le sue acute emissioni vocali. Sui Nebrodi è abbastanza
frequente trovare nei laghetti
naturali o naturalizzati e in pozze
temporanee, la Testuggine palustre siciliana (Emys trinacris) e la
Testuggine di Hermann (Testudo
hermanni). Le popolazioni più ricche sono nelle zone orientali dei
Monti Iblei e in zona pedemontana etnea. Sui Nebrodi sono minacciate dalla presenza di maiali
selvatici che predano uova e piccoli. I serpenti sono indubbiamente i rettili meno popolari
delle nostre campagne. Sulle
montagne siciliane ne vivono diverse specie. Tra queste ricordiamo: il Colubro liscio (Coronella
austriaca) presente perlopiù sui
monti della fascia settentrionale
(Madonie, Peloritani, Nebrodi,
Etna) spesso tra i 1000-1500 m
di altitudine, molto raro nelle
aree montuose di Palermo e sugli
Iblei; il Biacco (Hierophis viridiflavus xanthurus) diffuso in tutta la
Sicilia dal livello del mare fino a
oltre 1600 m di altitudine; il Saettone occhirossi (Zamenis lineatus) diffuso in tutta la Sicilia
settentrionale dai Peloritani ai
Monti di San Vito lo Capo (TP)
come pure sui Sicani, sull’Etna e
in altre zone montuose centrali;
la Natrice dal collare (Natrix natrix sicula) diffusa in tutta l’isola
essenzialmente in aree planizilai
entro i 1000 m di altitudine, ma si
può rinvenire anche più in alto
nei monti Nebrodi ed è rara solo
sulle zone vulcaniche etnee e in
ambienti aridi; la Vipera (Vipera
aspis hugyi) localizzata in ambienti montuosi e alto collinari da
500 a 1800 m, soprattutto nei
Sicani, Madonie, Nebrodi e sull’Etna. Presente anche negli Iblei
e sui Peloritani, assente in vaste
aree centrali e meridionali. E’ riconoscibile per le sue forme
tozze, per la presenza di numerose piccole squame sul capo (nei
serpenti innocui le squame del
capo sono molto più grandi). A
differenza di quanto si ritiene, la
Vipera è un animale lento e
molto timoroso dell’uomo e la
sua vista è piuttosto debole; la
cattura delle prede (generalmente piccoli topi) avviene grazie
ad un organo particolare presente sul suo capo, in grado di rilevare la temperatura corporea
degli oggetti vicini.
Ricordiamo infine il Colubro leopardino (Zamenis situla) serpente dall’appariscente
colorazione che predilige le aree
pedemontane, spingendosi più
raramente in quelle collinari; per
questa ragione presenta popolazioni di ridotte dimensioni e
frammentate.
Nonostante generalmente temuti e ritenuti pericolosi, i serpenti hanno un importante ruolo
regolatore nei sistemi ecologici,
come predatori di topi, rettili e
talvolta di qualche uccelletto.
Uccelli
Le trasformazioni verificatesi in
Sicilia negli ultimi cinquant’anni,
dovute principalmente a depauperamento dell’originaria copertura del bosco, eccessiva
pressione antropica, degrado
ambientale, incendi, cementificazione dei corsi d’acqua, caccia,
bracconaggio, hanno avuto un
effetto molto negativo su gran
parte degli uccelli legati ai vari
ambienti naturali (agricoli, collinari, montani, etc.). Uccelli una
volta molto comuni, come il Gipeto (noto anche come Avvoltoio
degli agnelli) e il Grifone, sono
scomparsi assieme a molti mammiferi fin dalla fine del XIX sec.
La causa della definitiva estinzione del Grifone fu determinata
dall’uso sconsiderato (anni ’60) di
TESTUGGINE PALUSTRE (PH MAURIZIO SARA)
MONTAGNE DELLA SICILIA
bocconi avvelenati per il controllo
degli animali nocivi come le volpi.
Gli avvoltoi, uccelli necrofagi, nutrendosi dei cadaveri di animali
morti avvelenati, morirono anch’essi. Nel 1998, l’Ente Parco dei
Nebrodi assieme a quello delle
Madonie, iniziano un progetto di
reintroduzione del Grifone (Gyps
fulvus), importando questo uccello tramite l’associazione spagnola GREFA. Oggi, si può dire
che il Grifone è tornato in Sicilia e
da quattro anni oramai nidifica
regolarmente, contando circa
cinquanta individui presenti
esclusivamente in una ristretta
zona del Parco dei Nebrodi ed
esattamente negli antichi siti
rocciosi sovrastanti Alcara Li Fusi.
Questa popolazione è l’unica presente in tutto il meridione d’Italia. Un altro avvoltoio presente in
Sicilia è il Capovaccio (Neophron
percnopeturs), facilmente osservabile sulle Madonie, caratteristico per il suo piumaggio bianco
e la parte posteriore delle ali
nera. E’ un uccello migratore, arriva dall’Africa centrale in marzo e
riparte in settembre-ottobre;
questa specie è fortemente minacciata dalla caccia illegale e dal
collezionismo di esemplari imbalsamati. Se c’è un rapace adattato
alla vita negli ambienti mediterranei, è l’Aquila del Bonelli (Hie-
SPARVIERE (PH L.S. - WWW.BIRDS.IT)
304
raaetus fasciatus) riconoscibile
per le parti inferiori del corpo
bianche picchiettate di nero, la
superficie alare scura con
un’apertura alare di circa un
metro e sessanta centimetri. Le
quindici coppie nidificanti in Sicilia rappresentano un’importante
porzione della popolazione italiana e sono distribuite soprattutto nella fascia settentrionale
dell’isola, da San Vito Lo Capo ai
Peloritani (Madonie e Nebrodi
compresi) e sui Sicani. Sulle Madonie, sui Nebrodi, e sull’Etna
vive anche l’Aquila reale (Aquila
chrysaetos), nome dialettale
“Arpa”, con un’apertura alare di
circa due metri. Mentre l’Aquila
del Bonelli, grazie alla sua agilità
riesce a catturare uccelli in volo,
l’Aquila reale, con i suoi potenti e
robusti artigli, preda soprattutto
animali a terra. Ambedue costruiscono enormi nidi su pareti rocciose inaccessibili (tra i 450 e
1800 m). Non di rado possiamo
osservare la Poiana (Buteo
buteo), nome dialettale “Tappazza”, che frequenta ambienti
boschivi e rocciosi, pianure e colline, nidificando su alberi ma
anche su pareti rocciose. Diverse
specie di falchi vivono in Sicilia.
Indubbiamente il più noto è il
Falco pellegrino (Falco peregrinus), nome dialettale “Atti-
ghiazzu – Pinniciaru – Faccuni”,
presente con una delle più abbondanti popolazioni italiane,
con circa 250-300 coppie distribuite in aree collinari e montuose
fino a circa 1400 m di quota.
Meno frequente in pianura e
sulle coste meridionali. E’ il rapace più adatto a essere addestrato per la caccia e
principalmente a esso Federico II
di Svevia dedicò il suo De arte venandi cum avibus (Sull’arte di
cacciare con gli uccelli). Il Falco
pellegrino è un indicatore ecologico di rara sensibilità: se le sue
prede contengono dosi di contaminanti chimici, le concentra nel
suo organismo, andando lentamente incontro a sterilità. E’ successo negli anni cinquanta,
quando intere popolazioni dell’Europa centro-settentrionale si
sono estinte a causa della sterilità provocata dal DDT contenuto
nell’organismo dei piccoli uccelli
che essi predavano. Da allora il
Falco pellegrino è divenuto un
vero e proprio simbolo. Purtroppo, ancora oggi (dopo l’abolizione del DDT), si ritrovano altri
contaminanti chimici, se pur in
minore percentuale, concentrati
nel suo organismo come la dieldrina (un pesticida) o il PCB,
come struttura molto simile al
DDT, derivato da prodotti usati
nelle industrie di vernici. Tra le
altre specie di falchi che vivono in
Sicilia, ricordiamo il Lanario
(Falco biarmicus), simile per dimensioni al Falco pellegrino, ma
con le ali meno appuntite; il
Gheppio (Falco tinnunculus),
nome dialettale “Cuccareddu –
Cazzaventulu”, che vive in ambienti aperti dove cattura insetti,
lucertole, e topolini con la tecnica
cosiddetta dello “spirito santo” (è
una particolare specialità di questa specie di restare fermo in aria
muovendo velocemente le ali e
precipitando di colpo sulla
preda); e ancora il Lodolaio (Falco
Subbuteo), nome dialettale
“Cuccu monicu”, raro e localizzato
lungo la dorsale settentrionale,
dai Peloritani fino alle Madonie
nelle aree boschive; lo Sparviero
(Accipiter nisus), nome dialettale
“Spriveri”, uno dei rapaci più spe-
MONTAGNE DELLA SICILIA
305
cializzati a compiere veloci manovre tra il fitto degli alberi, difficile
da osservare e studiare per le
sue abitudini mimetiche ed elusive; e infine il Nibbio reale (Milvus milvus), elegantissimo e
facilmente riconoscibile per la
lunga coda forcuta, divenuto alquanto raro negli ultimi anni a
causa dello spietato bracconaggio. Una singolarità di questi uccelli è che altrove fanno il nido
sugli alberi, mentre in Sicilia
molte coppie preferiscono costruirlo su terrazzini di pareti rocciose. Tra i rapaci notturni
ricordiamo l’Allocco (Strix aluco),
nome dialettale “Fuanu”, noto
anche con il nome di Gufo selvatico, che marca il suo territorio
emettendo un caratteristico,
forte e modulato canto durante
le ore notturne; altri canti che si
possono udire sono quelli della
Civetta (Athene noctua), nome
dialettale “Cucca”, nelle zone più
aperte, coltivate o rocciose, o
quello dell’Assiolo (Otus scops),
nome dialettale “Chiuzzu – Chiù”,
nelle zone più basse, all’interno
di giardini coltivati ed anche nei
centri abitati. Nidificante estivo e
migratore, arriva a marzo e riparte tra settembre e ottobre, è il
Cuculo (Cuculus canoro), nome
dialettale “Cuccubeddu”, presente dai monti di Erice fino ai
gratori che passano parte dell’inverno in Sicilia, e invece il Gufo
comune (Asio otus), essenzialmente notturno che può cacciare
anche all’alba. Particolarmente
ricca l’avifauna legata alla macchia e al bosco mediterraneo ove
alberga il Succiacapre (Caprimiulgus europeus), nome dialettale
“Cuddaru”, uccello misterioso, mimetico ed elusivo, che è possibile
incontrae solo all’imbrunire,
quando si posa sulle piste di
montagna che attraversano i
querceti e le aree di pascolo e gariga: presente dalle Madonie ai
Peloritani; la Capinera (Sylvia
atricapilla), la Sterpazzola di Sardegna (Sylvia conspicillata),
nome dialettale “Cicchitedda”,
l’Occhiocotto (Sylvia melanocefala), la Sterpazzolina (Sylvia
cantillans), che vivono dove il
sottobosco è più fitto e intricato,
assieme al Pettirosso (Erithacus
rubecola), nome dialettale “Pittirru – Pettirussu – Pittirrussu”, al
Merlo (Turdus merula), nome dialettale “Merra – Merru”, e allo
Scricciolo (Troglodytes troglodytes), nome dialettale “Riiddu –
Riuzzu”. Ai bordi del bosco,
spesso vicino alle zone umide risuonano i canti dell’Usignolo (Luscinia megarhynchos), dello
Zigolo nero (Emberiza cirlus),
nome dialettale “Zippa”, e dello
PETTIROSSO (PH L.D.B.)
Peloritani e dai Sicani agli Erei.
Ben diffuso in tutte le province,
dal livello del mare fino a oltre i
1500 m di altitudine, è il Barbagianni (Tyto alba), nome dialettale “Piula – Priula”, che
s’incontra talvolta in volo lungo le
strade o su posatoi occasionali
come pali della luce o del telefono. Nidificante stanziale, cui si
aggiungono a volte individui miZIGOLO MUCIATTO (PH L.S. - WWW.BIRDS.IT)
Zigolo Muciatto (Emberiza cia).
L’elemento più importante è,
però la Cincia bigia di Sicilia (Poecile palustris siculus), esclusiva
delle faggete dei Nebrodi sopra
dei 1000 m, dove è presente un
ricco sottobosco costituito da alti
arbusti di agrifoglio, prunastro e
biancospino e il bosco deciduo è
ricco di alberi maturi. E’ una delle
specie più rare della Sicilia. Da ricordare ancora il Codibugnolo di
Sicilia (Aegithalos caudatus siculus), sottospecie endemica che
vive dai Peloritani ai monti Sicani
più a sud, nel tavolato Ibleo,
mentre sull’Etna è presente soprattutto nei querceti (sia decidui sia sempreverdi) e nei
mosaici vegetazionali fra i 400 e i
1800 m di quota. Ritroviamo, ancora, gli uccelli soprannominati
gli “infermieri del legno”, poiché,
perlustrando continuamente
ogni parte degli alberi, consumano una grande quantità d’insetti. Essi sono: il Picchio rosso
maggiore (Dendrocopos major),
nome dialettale “Pizzula zucca”,
l’unico “vero” Picchio ancora esistente in Sicilia. Le sue quattro
dita sono rivolte due in avanti e
due indietro in modo da ottenere
una perfetta presa sui tronchi. Il
cranio è molto robusto e quando
sente la sua preda, inizia con insistenza la sua azione di martella-
MONTAGNE DELLA SICILIA
mento fino ad aprire un piccolo
foro dove inserisce la lingua per
infilzare la carnosa larva estraendola dalla sua galleria nel legno.
La presenza del Picchio rosso
maggiore è strettamente condizionata dall’esistenza di grandi e
vecchi alberi; il Picchio muratore
(Sitta europea), che nonostante
il nome non è un “vero” Picchio
(è, infatti, sprovvisto di tutte
quelle specializzazioni del Picchio
rosso maggiore): è detto “muratore” per la sua abilità particolare
nel richiudere con un compatto
impasto di fango i buchi degli alberi a misura sua, in modo cioè
da poter appena passare attraverso il foro per raggiungere il
nido costruitovi dentro. Il terzo
arrampicatore è il Rampichino
(Certhia brachydactyla), piccolo e
paziente ripulitore di tronchi,
rami e fronde; tra le Cince, la Cinciarella (Cyanistes caeruleos), la
Cinciallegra (Parus major), e la
Cincia mora (Periparus ater),
nome dialettale “Munachedda”,
sono quelle più in continuo movimento tra questi “infermieri del
legno”. Anche gli ambienti rupestri, movimentati ora da picchi
svettanti, ora da valloni scavati
su pareti strapiombanti o da lunghi ghiaioni bianchi (come sulle
Madonie) ospitano- oltre i rapaciun’importante comunità di uccelli
che annovera la poco diffusa Coturnice di Sicilia (Alectoris graeca
306
whitakeri), nome dialettale “Pinnici – Pirnici”, oggi minacciata e in
declino a causa d’immissioni a
scopo venatorio, di soggetti non
della stessa sottospecie, provenienti da altre aree geografiche.
La sottospecie siciliana (whitakeri) è endemica ed è riconoscibile, tra l’altro, per le minori
dimensioni e il collare più stretto
e, a volte, interrotto sul davanti.
Ha un piumaggio ricco di colori
contrastanti: grigio, rosso mattone, fasce tricolori ai fianchi, un
ampio collare nero sulla gola
bianca, zampe e becco rosso vivo.
In questi ambienti rocciosi ritroviamo pure il Passero solitario
(Monticola solitarius), nome dialettale “Merru ruccaloru”, il cui
piumaggio è caratterizzato da
un’elegante livrea blu lavagna; il
raro Codirossone (Monticola saxatilis) di aspetto molto simile al
Passero solitario e da cui differisce per il piumaggio arancio del
petto e della coda e il bianco puro
della sopracoda; il Codirosso
spazzacamino (Phoenicurus
ochuros), nome dialettale “Cudarussa”, diffuso tra i 300 e 1800
m di quota lungo le catene montuose settentrionali (Madonie,
Nebrodi, Peloritani), ma anche
sui Sicani e gli Erei; il Saltimpalo
(Saxicola torquatus), con la testa
nera contrastante con il petto
rossiccio, caratteristico per l’abitudine di stare posato sui paletti
FALCO PELLEGRINO (PH MAURIZIO LANCINI - WWW.CLICKALPS.COM)
da dove caccia gli insetti sul terreno: questo gli è valso il nome
dialettale di “cacamarruggiu”; la
Monachella (Oenanthe
hispanica), nome dialettale “Caca
sciara”; il Torcicollo (Jynx
torquilla), nome dialettale “Fummicularu”. Infine ricordiamo la
Gazza (Pica pica), nome dialettale “Caccarazza”, la Ghiandaia
(Garrulus glandarius), nome dialettale “Pica – Gaggianu – Ciaia”,
la Taccola (Corvus monedula),
nome dialettale “Ciaula”, la Cornacchia grigia (Corvus corone
cornix), nome dialettale “Curvacchiu – Corvu”, il Corvo imperiale
(Corvus corax), nome dialettale
“Corvu mpiriali”; lo Storno nero
(Sturnus unicolor), nome dialettale “Struneddu niuru”, l’Upupa
(Upupa epops), nome dialettale
“Pipituni”, il Rondone (Apus
apus), nome dialettale “Riinuni –
Rininuni”, il Gracchio corallino
(Pyrrhocorax pyrrhocorax), specie in via di estinzione in Europa.
Ma la regina del bosco è considerata la Beccaccia (Scolopax rusticola), il cui colore marrone carico
le consente un mimetismo assoluto, anche a breve distanza. Tra
gli uccelli delle zone umide, soprattutto sulle Madonie e sui Nebrodi, ritroviamo lo Svasso
maggiore (Podiceps cristatus),
localizzato in diversi invasi e
laghi; il Germano reale (Anas platyrhynchos), nome dialettale
“Coddu viddi”, considerato raro e
scarso nidificante; il Tuffetto (Tachybaptus ruficollis), nome dialettale “Tummaturi –
Tummaloru”; la Gallinella d’acqua
(Gallinula chloropus), nome dialettale “Iaddinedda” in aumento
in tutta la Sicilia, soprattutto
centrale e meridionale; la Folaga
(Fulica atra), nidificante stanziale, abbondante e regolare durante i passi migratori; e poi
ancora, il Merlo acquaiolo (Cinclus cinclus), la Ballerina gialla
(Motacilla cinerea), nome dialettale “Pispisa gialla”; la Ballerina
bianca (Motacilla alba), nome
dialettale “Pispisa ianca”; l’Occhione (Bhurinus oedicnemus).
Durante la notte gli Occhioni eseguono un concerto di canti, costituiti da un crescendo di trilli, da
MONTAGNE DELLA SICILIA
307
cui probabilmente deriva il nome
dialettale “ciurruviu”. Ben noti,
sono anche, il Verdone (Chloris
chloris), nome dialettale
“Vidduni”; il Cardellino (Carduelis
carduelis), il Fringuello (Fringilla
coelebs), nome dialettale “Spinzuni”; la Passera d’Italia (Passer
italiae), la Passera mattugia
(Passer montanus), nome dialettale “Passiru puttusaru”; il Verzellino (Serinus serinus), nome
dialettale “Rappareddu”; la Cappellaccia (Galerida cristata), la Pispola (Anthus pratensis); il Luì
piccolo (Phylloscopus collybita),
nome dialettale “Mangiamuschi”;
il Piccione selvatico (Columba
livia), nome dialettale “Palumma
sarvaggia”; il Colombaccio (Columba palumbus), nome dialettale “Tutuni”; la Tortora
(Streptopelia turtur), nome dialettale “Turtura – Tuttira”; la Calandrella (Calandrella
brachydactyla), nome dialettale
“Carannulu”; la Cappellaccia (Galerida cristata), nome dialettale
“Cucugghiata”; l’Allodola (Alauda
arvensis), nome dialettale “ Carannula – Lodola – Lodina”; il Crociere (Loxia curvirostra), nome
dialettale “Beccu in cruci”.
Mammiferi
Se per qualche ragione dovesse
inabissarsi la Sicilia e rimanessero le sole Madonie e i Nebrodi,
certamente si salverebbe una
buona parte della storia naturale
dell’intera isola. Un’altissima percentuale delle specie animali che
vivono in Sicilia si trova, infatti,
su queste montagne. Ormai da
lungo tempo sono scomparsi i
grandi ungulati, soprattutto a
causa delle cacce borboniche e
dell’insidia del bracconaggio, ma
anche per il progressivo degrado
ambientale. Ironia della sorte,
Nebros, in greco significa Cerbiatto, ma, “ovviamente” di quei
mitici mammiferi (così come di
Cervi, Daini, Orsi, Caprioli, Lupi,
Cinghiali etc.) non resta più traccia se non, forse, nella memoria
di qualcuno. Tra i grossi mammiferi paradossalmente era rimasto
solo un predatore, il Lupo. Scomparse le sue prede naturali (gli
erbivori selvatici), la sopravvi-
venza del Lupo rimase per lungo
tempo legata alla predazione
degli erbivori domestici (pecore e
capre). Il rapporto uomo-lupo di
conseguenza divenne molto
teso. Con ogni mezzo; trappole,
battute di caccia, tagliole, taglie
e premi per ogni animale abbattuto, pastori e contadini diedero
un pesante e definitivo colpo alla
popolazione ormai sparuta di
Lupi che ancora rimanevano in
Sicilia. Fu coniato in quel periodo
il termine “lupara”, una caratteristica doppietta a canne mozze
(oggi di ben diversa fama), da cui
si sparavano ai Lupi cartucce con
grosse palle di piombo a distanza
ravvicinata. La storia delle estinzioni di specie animali non finisce
con questo episodio, ma è ben
più ricca. Con grande acume ha
scritto Chateaubriand “Ogni popolo viene preceduto dalla foresta e seguito dal deserto”.
Adesso ci troviamo a metà strada
tra foresta e deserto. E la direzione da prendere dipende solo
da noi. Comunque, c’è da dire che
alcuni di questi mammiferi, come
per esempio il Daino (Dama
dama) e il Cinghiale (Sus scrofa)
sono tornati a seguito di reintroduzione nel 1970-80. Il Cinghiale, in seguito, incrociatosi
con il maiale domestico, ha dato
vita a una specie ibridata (il cinghia-maiale), che rispetto a un
cinghiale comune presenta di-
mensioni notevolmente accresciute e la sua presenza ha già
contribuito ad alterare alcuni importanti equilibri ecologici, come
la riduzione di conigli e vipere.
Scomparse, quindi, le forme di
grande mole, oggi i mammiferi
che vivono sulle montagne siciliane (Etna, Madonie e Nebrodi
principalmente) comprendono
soltanto specie di piccola e media
taglia, per lo più attive all’imbrunire o di notte e non legate a
quote particolari. Tra i carnivori,
le specie più comuni sono: la
Volpe (Vulpes vulpes), con il classico mantello di solito di colore
vario rossastro sul capo e sul
tronco, bianco-grigiastro sulle
parti inferiori; la Donnola (Mustola nivalis), simile all’Ermellino
ma di dimensioni più piccole (di
norma da 18 a 25 cm), particolarmente attiva di notte, spietata
cacciatrice di topi, ratti, rane, conigli, uccelli; il Gatto selvatico
(Felis silvestris), specie meno
frequente, e unico felino vivente
in Sicilia, non sempre riconoscibile con facilità dai gatti domestici rinselvatichiti, si riconosce
per la coda folta e grossa per
tutta la sua lunghezza terminante in modo netto con pochi
anelli neri dal caratteristico disegno a quattro strie longitudinali
sopra la testa verso le scapole e
dalla testa molto grossa. E’ presente solo sulla fascia settentrio-
DAINI (PH LORENZO MATTEI - WWW.CLICKALPS.COM)
MONTAGNE DELLA SICILIA
308
nale della Sicilia, nell’area dei Sicani e sui monti Iblei. La Martora
(Martes martes) s’incontra di solito all’alba o al tramonto mentre
si sposta nelle aree aperte per
andare a cacciare. Sebbene non
rara, questa specie è in netta diminuzione. Sull’Etna, non di rado,
troviamo pure il Furetto (Mustela
putorius), forma albina della puzzola, ridotta in semi domesticità
da tempi lontanissimi per la caccia al coniglio selvatico o addestrato per combattere ratti e topi.
Si accoppia facilmente con la
puzzola europea e con la donnola, dando origine a ibridi molto
ricercati dai cacciatori. Tra i roditori ricordiamo l’Istrice (Hystrix
cristata), da alcuni impropriamente chiamato Porcospino: animale principalmente notturno, si
ritiene che sia stato importato
dall’Africa in Italia e nei Paesi Balcanici da parte dei Romani, e che
nei successivi duemila anni circa
si sia diffuso nelle regioni centromeridionali, in particolare in Sicilia; il Ghiro (Glis glis), che
nell’aspetto ricorda alquanto uno
scoiattolo, presente nei Monti
Iblei, nelle Madonie, Nebrodi, Peloritani ed Etna; il Moscardino
(Muscardinus avellanarius), conosciuto anche col nome di topo
delle nocciole o topolino d’oro per
il colore giallo-fulvo delle parti
superiori della pelliccia: è il mammifero più raro della Sicilia, pre-
sente esclusivamente nei boschi
della dorsale settentrionale,
dalle Madonie ai Peloritani, quasi
assente sull’Etna; il Quercino
(Elyomis quercinus pallidus), simile al Ghiro, caratteristico per il
colore grigio, una singolare mascherina nera e un ciuffetto di
peli bianchi all’apice della coda; il
Topo selvatico (Apodemus sylvaticus dichrurus), piuttosto legato
alla copertura arborea; l’Arvicola
del Savi (Microtus savii nebrodensis), che il naturalista Francesco Minà Palumbo nel secolo
scorso riteneva fosse diversa da
quelle viventi altrove e chiamò
“nebrodensis” (anticamente per
Nebrodi s’intendeva il complesso
delle Madonie); il Toporagno di
Sicilia (Crocidura sicula) e il Mustiolo (Suncus etruscus): sono
molto simili per la forma del
muso a proboscide appuntita che
abitualmente muovono in ogni
senso per captare gli odori; il Riccio europeo occidentale (Erinaceus europaeus consolei),
provvisto di corti e appuntiti aculei per il suo corpo tondeggiante
e grasso: pochi predatori riescono a vincere con il Riccio, e tra
essi, c’è la Volpe, che usa lo stratagemma di urinare sul malcapitato ben appallottolato, che di
conseguenza cerca riparo altrove, trovando spesso un’ingloriosa fine; la Lepre appenninica
(Lepus corsicanus), che a diffe-
renza del Coniglio selvatico, non
vive in tana, ma sta sempre allo
scoperto, utilizzando particolari e
adatti giacigli alla base di grossi
ciuffi di piante erbacee o di cespugli. Le popolazioni etnee, un
tempo differenziate, sono ormai
geneticamente inquinate per l’introduzione di coppie importate
dall’Europa centro-orientale e
dall’Argentina a causa del ripopolamento per scopi venatori. Il Coniglio selvatico (Oryctolagus
cuniculus), comunissimo e molto
diffuso, vive in colonie in gallerie,
talvolta complicate e intrecciate,
scavate sottoterra. Infine, ricordiamo i Pipistrelli, che sull’Etna
sono presenti con numerose
specie, molte delle quali si rifugiano durante il giorno nelle
grotte del Vulcano, al crepuscolo
escono in volo per andare a caccia d’insetti, il loro unico nutrimento. Tra le varie specie vanno
citate la Nottola (Nyctalus noctula), che per il riposo preferisce
foreste e giardini; l’Orecchione
(Plecotus auritus) dalle grandissime orecchie; il piccolo Miniottero (Miniopterus schareibersi),
dalle minuscole orecchie, il
grande Pipistrello Orecchie di
topo (Myotis myotis), il Pipistrellus savii, il Vespertillio serotinus,
oltre a diverse specie di ferro di
cavallo (Rhinolophus).
Scheda a cura di
Riccardo Bontempo Scavo
(ONCN - CAI Bronte),
Antonino Gullotta
(ONCN CAI GIARRE)
e Vincenza Messana
(ONCN CAI PALERMO)
Bibliografia:
-Il Parco delle Madonie –Edizioni Arbor
-Il Parco dei Nebrodi - Fabio Orlando Editore
-Il Parco delle Madonie - Fabio Orlando
Editore
-Guida al riconoscimento degli uccelli nidificanti sull’Etna – Lipu/Parco dell’Etna
-La Fauna dei Nebrodi- Dipartimento di
biologia animale Università degli Studi di
Palermo/Ente Parco dei Nebrodi
-Guida naturalistica della provincia di Catania- Giuseppe Maimone editore
-La Fauna in Italia- Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio/Touring Club Italiano
LEPRE - APPENNINO (PH LORENZO MATTEI - WWW.CLICKALPS.COM)
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L'ETNA CON AGRUMETI IN PRIMO PIANO (PH GABRIELE AUGELLO - WWW.CLICKALPS.COM)
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Tutti i Santi 44 . 305 - 60
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PANORAMA NEBRODI (PH RICCARDO BONTEMPO SCAVO)
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S. Martino - S. Silvia 45 . 307 - 58
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S. Carlo Borromeo 45 . 308 - 57 6,47 - 17,00
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S. Zaccaria prof. 45 . 309 - 56 6,48 - 16,59
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S. Leonardo abate 45 . 310 - 55 6,49 - 16,58
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S. Ernesto abate 45 . 311 - 54 6,51 - 16,57
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S. Goffredo vescovo 45 . 312 - 53 6,52 - 16,56
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ABBEVERATOIO SUI MONTI NEBRODI (SICILIA) (PH R.B.S.)
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S. Leone Magno 46 . 314 - 51 6,54 - 16,54
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6,57 - 16,52
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S. Diego . S. Omobono 46 . 317 - 48 6,58 - 16,51
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S. Giacomo vescovo 46 . 318 - 47 6,59 - 16,50
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S. Alberto m. - S. Arturo 46 . 319 - 46 7,00 - 16 ,49
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NOVEMBRE 2014
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S. Margherita di S. 46 . 320 - 45
DOMENICA
7,02 - 16,48
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OLIVO, CAMPAGNA SICILIANA E SULLO SFONDO L'ETANA INNEVATO (PH GABRIELE AUGELLO - WWW.CLICKALPS.COM)
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NOVEMBRE 2014
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Lunedì
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S. Elisabetta 47 . 321 - 44
7,03 - 16,47
Martedì
S. Oddone abate 47 . 322 - 43
7,04 - 16,46
Mercoledì
S. Fausto martire 47 . 323 - 42 7,05 - 16,46
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NOVEMBRE 2014
318
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Giovedì
S. Benigno 47 . 324 - 41 7,06 - 16,45
21
Venerdì
Presentazione B.V. Maria 47 . 325 - 40 7 - 16,44
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Sabato
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S. Cecilia vergine 47 . 326 - 39 7,09 - 16,44
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NOVEMBRE 2014
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S. Clemente Papa 47 . 327 - 38 7,10 - 16,43
DOMENICA
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CASTAGNE FUNGHI, NEL SOTTOBOSCO ETNEO (PH GABRIELE AUGELLO - WWW.CLICKALPS.COM)
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NOVEMBRE 2014
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Lunedì
Cristo Re - S. Flora 48 .328 - 37 7,11 - 16,42
25
Martedì
S. Caterina d’Aless. 48 . 329 - 36 7,12 - 16,42
26
Mercoledì
S. Corrado vescovo 48 . 330 - 35 7,13 - 16,41
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NOVEMBRE 2014
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Giovedì
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Venerdì
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Sabato
S. Massimo - S. Virgilio 48 . 331 - 34 7,14 - 16,41
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S. Giacomo Franc. 48 . 332 - 33
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S. Saturnino martire 48 . 333 - 32 7,17 - 16,40
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NOVEMBRE 2014
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322
DOMENICA
Ia d’Avvento - S. Andrea 48 . 334 - 31 7,18 - 16,40
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L'ETNA IN ATTIVITÀ (PH GABRIELE AUGELLO - WWW.CLICKALPS.COM)
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NOVEMBRE 2014
323
Note:
ATTIVITÀ ESCURSIONISTICA CON LE CIASPE, VERSANTE SUD EST DELL'ETNA (PH GABRIELE AUGELLO - WWW.CLICKALPS.COM)
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