STORIE FRIULANE DALLA 1917, Udine, Porta Aquileia, dopo la battaglia degli Arditi a difesa della città (foto ALC) GRANDE GUERRA 135.000 SFOLLATI SU 630.000 ABITANTI I civili, chiamati anche profughi, internati, austriacanti, regnicoli... furono le grandi e a lungo dimenticate altre vittime di questa enorme tragedia bollata da papa Benedetto XV come “inutile strage”. Morirono a migliaia e migliaia per malattia, inedia e per la brutalità propria della guerra. Subirono violenze e molti ebbero o un morto da piangere o la casa distrutta. Rimasti soli e inermi davanti ai soprusi dei vari comandi militari perché abbandonati a volte dai loro amministratori, spesso furono difesi solo dai parroci rimasti a vegliare il proprio gregge e a tenere diari di tanta sofferenza. “Il 24 maggio noi di Miren (Merna) capimmo cosa significa la guerra. Da allora in poi iniziò l’orrore”(Anton Budin, classe 1902) Nei ricordi, si accenna spesso ai fatti accaduti in Belgio nel 1914 dove le truppe tedesche occupanti, per evitare imboscate e intimorire la popolazione, commisero crimini di guerra massacrando centinaia di civili tra cui donne e bambini. Inoltre, espulsero l’intera popolazione di Lovanio, 42.000 persone, ne distrussero l’importante biblioteca universitaria (oltre 300.000 tra volumi e manoscritti) e la fiorente industria. Questi crimini destarono molto scalpore e suscitarono lo sdegno internazionale tanto che l’espressione “Stupro del Belgio” divenne motivo di propaganda a favore dell’intervento in guerra. La vuere e je stade un flagjel apocalitic pal nestri Friûl. La agriculture e je lade in malore. (…) Prime de vuere il besteam furlan al contave 160 mîl cjâfs bovins; un an dopo finide la vuere si indi contave dome 15 mîl. La nestre industrie, che e sflorive (…) e à cjapade une scomade santissime. Lis cjasis, lis glesiis, i ospedâi, lis scuelis, i municipis, ce sdrumâts dal dut, ce ruvinâts, a sumavin a centenârs di miârs. Pieri Piçul (pre Pietro Londero, 1913-1986) Storie dal Popul furlan, 1974, Clape Culturâl Furlane ‘Hermes di Colorêt’ Don Pasquale Michieli, Libro storico della Parrocchia di Avasinis ** “Eravamo diventati verdi come i prati” a causa dell’abitudine di cibarsi delle erbe bollite ” Onorino Menean in Chiara Fragiacomo, Un paese in guerra: Paularo ** I profughi e gli internati furono tra coloro che patirono di più la Grande Guerra. Costretti a fuggire con pochissimo tempo di preavviso, spesso abbandonando tutto magari per destinazioni lontanissime dalle loro case. Finirono spaesati, in estrema miseria, accattoni di necessità e trattati come tali tra gente che li guardava con diffidenza, li considerava elemento perturbante, non capiva la loro lingua e, a volte, faticava essa stessa a sopravvivere. Inoltre, erano considerati dalla propaganda - sia da un campo che dall’altro - come nemici o collaborazionisti del nemico. A migliaia morirono di fame, di stenti, di malattie. Ci furono campi di raccolta dove la mortalità infantile raggiunse addirittura picchi del 60%. FARINA GIORNALIERA PRO CAPITE PERMESSA DAGLI AUSTRIACI DOPO LE REQUISIZIONI “Il 21 maggio (1915) si ordinava in due ore l’immediato sgombero di Pontebba, sacrificando ogni avere di quella popolazione alla illusione di non destare allarmi nell’avversario.” 200 gr non superiore al consumo della popolazione della monarchia 100 gr nel portogruarese 50 gr a Conegliano Con la guerra le donne ritrovarono il loro ruolo di vittime maggiormente esposte alle violenze ma, nel contempo, riacquistarono un loro ruolo fondamentale nella famiglia dovendo sopperire alla mancanza dei mariti al fronte. Da loro dipese l’economia della casa che dovettero sostenere in toto - e non solamente per i proverbiali tre lati - con il lavoro agricolo o al servizio dell’esercito. Friulani che, per vivere, emigravano nelle terre dell’Impero austro-ungarico, nel giro di poco tempo dovettero fare ritorno a casa e, richiamati, andare ad uccidere coloro con i quali avevano a lungo convissuto per non farsi ammazzare da loro. Ma, aldilà dello sfacelo morale di una guerra e della violenza della propaganda, emergono costanti tracce di umanità nella popolazione friulana che prova pietà per i soldati, di qualsiasi nazionalità essi siano perché, forse, rivede nel nemico un proprio congiunto al fronte con la stessa fame, lo stesso orrore e lo stesso desiderio di poter tornare a casa. Non solo: c’è compassione pure tra gli stessi militari di campo avverso e tra quanti accolgono gli sfollati. Tra i civili italiani esiste, comunque, una certa valutazione differente tra i soldati dell’esercito tedesco e austriaco: mentre i primi sono considerati crudeli, gli altri muovono a compassione perché “laceri, sudici, sporchi di fame”. “Negli ultimi giorni della guerra c’erano ancora molti tedeschi sul nostro fienile a dormire e ricordo che una mattina, ho fatto le scale di corsa e ho gridato a quei soldati: Sveglia! Sveglia! Venire Italiani; scappare, scappare! Non erano poi cattivi quei Tedeschi e io volevo bene anche a loro.“ Concetta Gorizzizzo di Pozzuolo in Giacomo Viola, Un paese in guerra, Pozzuolo ** “Pasando per cuei sentieri troviamo molti borghesi, che erano anche molte done, specialmente ragasse dei dintorni di Civitalle, che portabano viveri sul monte planina; tutte sudate facevano compasione sul isstante.” Diario della guerra del 1915 di Giuseppe Garzoni (bersagliere), Ursinins Pizzul, Buje/Buia*** “A Saluzzo la gente veniva a guardare e pensava “Oddio, come sono? Sono eguali a noi.” Anton Budin in Dorika Macuc, Voci di guerra e di confine ** “Poveri soldati! Dopo la diuturna, bestiale lotta di trincea, ora la fuga disonorata nel pianto della Patria!“ “I russi prigionieri. (…) Sono sfatti dalla fame. Smunti e laceri stentano a tirarsi innazi il passo. Si prova accanto ad essi un senso di commiserazione infinita.“ “15. Verso le 10 antimer. un Ufficiale del XVI Corpo d’Armata dell’Esercito Austro Ungarico reca al Municipio di Talmassons l’ordine di versare al Comando dello stesso Corpo entro due giorni la somma di L. 270.000,00. È la taglia di guerra che viene imposta ai vinti! (...) L’iniqua imposizione dev’essere attuata nel tempo prefisso, pena la deportazione delle donne. Don Enrico Da Ronco, Libro storico della Parrocchia di Flambro ** Ma si raccolgono solo 37.030,00 lire e molti pezzi d’oro. A lato: distruzioni a Dogna (ottobre-novembre 1917) dopo i bombardamenti austriaci del 1916; sotto: Pontebba, 14 luglio 1917 (foto ALC) 17. Il Pievano porta seco le cartelle di rendita della Chiesa e gli oggetti d’oro donati dai fedeli alla Madonna col proposito di consegnare tutto, purché il minacciato provvedimento di cattura delle donne venisse scongiurato. (Grazie all’intervento del Parroco e del Sindaco) i barbari nemici sono tacitati con un versamento di contributo, che, pur in sé grave, appariva lieve di fronte alla somma totale della taglia.” Il Comando, infatti, tratterrà solo 25.000 lire restituendo gli ori e le cartelle di rendita della Chiesa. Don Enrico Da Ronco, Libro storico della Parrocchia di Flambro ** C’è una figura significativa ed entrata nell’immaginario della Grande Guerra: la portatrice carnica, colei che con la gerla in spalla portava al fronte rifornimenti e munizioni, 30-40 kg per volta, per ricavarne un piccolissimo guadagno che, comunque, permetteva alle loro famiglie di sopperire economicamente all’assenza dei mariti. Alcune di loro rimasero ferite e una, Maria Plozner Mentil, venne uccisa da un cecchino il 15 febbraio 1916. Nel 1997 venne insignita della medaglia d’oro al valor militare, come rappresentante di tutte le Portatrici. “Appena oltrepassata la porta di città (Poscolle), uno spettacolo indescrivibile si presentò al nostro sguardo. (…) Una confusione, un disordine, una baraonda mai più vista. Automobili, carri, carrette e carrettelle, autocarri, carriole, ogni specie insomma di veicoli, cavalli, asini, buoi, muli, maiali, pecore, ogni sorta di animali, misti a persone d’ogni ceto e condizione e soldati (italiani), la maggior parte disarmati ed ubriachi che danno triste spettacolo di sé e bestemmie e smorfie orribili motteggiano la popolazione terrorizzata.” fonte Lucio Fabi °° Maria Juretich di Udine, Ricordi di guerra e appunti dell’anno doloroso ** SACCHEGGI E REQUISIZIONI “Il giorno 24 ottobre italiani e austriaci incominciarono un grande bombardamento. La distanza di questo fronte dal nostro paese era circa 30 chilometri eppure i vetri delle finestre tremavano in un modo tale che tutta la popolazione aveva preso un gran spavento e guardandosi l’un l’altro non sapevano darsi nessuna spiegazione di questo bombardamento. (…) Ed ecco che da lì a poco che cominciano a passare cariaggi d’ogni genere, si sente una confusione, un sussurro, grida da una parte grida da un’altra, ma l’impressione si fece più cupa quando in fine si videro passare dei gran carri di borghesi coi propri bauli sopra ai quali stavano seduti donne e fanciulli, che interogateli ci risposero coi singhiozzi che la cosa andava molto male e dal volto di noi tutti si vedeva le stimmate dello spavento. (…) Si faceva notte; il passaggio aumentava, lo spavento cresceva in tutti sempre più: chi tremava, chi piangeva; in quella sera non si poteva né mangiare né dormire, non si sapeva che decisione prendere, tutti si aspettava l’ordine militare per partire ma ordini non arrivavano e tanti partivano in piena notte; altri preparavano la roba per scappare la mattina seguente.” Trincee e camminamenti, baracche e postazioni; le catene di rifornimenti andavano e venivano dalle prime linee vennero in gran parte allestite con il concorso dei civili. Le piccole somme che venivano distribuite servivano a sostenere un’economia familiare di sussistenza inasprita dai tempi difficili. (...) La gente di Paularo, nella maggioranza donne e ragazzi dagli otto anni in su, lavorava alle dipendenze del Genio militare. Portavano una fascia rossa al braccio come segno di riconoscimento. (…) “Si cominciava verso le otto e fino alle cinque, sei della sera. (…) Cosa mi dava? 250 francs al giorno, ioi! 250 francs al giorno. Ma erano soldi in quella volta!” (Caterina Zozzoli). “eravamo diventati verdi come i prati” Sia che si tratti dell’anarchia militare italiana seguita a Caporetto che della fame austriaca, i friulani sono vessati dai due eserciti che depredano le case abbandonate dai profugli e dagli internati e requisiscono granaglie e animali aggravando la situazione di quanti sono rimasti a difendere le case e gli averi. “(…) il giorno trentuno (ottobre 1917) il paese si occupò di un’infinità di soldati (italiani) i quali, in quelle case che c’era gente portavano un po’ di rispetto e in quelle vuote facevano ogni sorta di strage. Il giorno stesso nel pomeriggio cominciarono a ritornare indietro i carri coi borghesi che non avevano fatto in tempo a scappare al di là del Tagliamento; tanti senza carri, senza roba, senza armente, oppure con la roba rovinata, affamati e stanchi, piangendo. Il primo giorno di Novembre che tutti gli altri anni era bello quest’anno fu giorno di tristezza. I soldati erano aumentati e rubano di tutto essendo senza alcun comando (…) Noi si piangeva a vedere ciò e si andava a reclamare dai superiori i quali ci prendevano in giro e ridevano. Intanto continuavano ad arrivare soldati da Udine con delle forti sbornie, i quali saccheggiavano.” “Bisogna veder Udine a quei giorni con i magazzini e le botteghe tutte spalancate, alla balia di tutti, ma questo durò pochi giorni; poi nessuno poteva entrare a Udine senza permesso. Povero Udine; era da piangere a vederlo in quella brutta condizione; con tanta roba che possedeva, vederla consumarla e portarla via da quelle brutte bestie di Tedeschi, i quali in pochi giorni coi camion la portarono via tutta verso Gorizia e Trieste per passarla agli ammalati che si trovavano là.” Luigia Venturini di Basaldella, contadina, Episodi avvenuti in tempo dell’invasione in Friuli ** 1918 circa, Ellsworth Young (1866–1952), World War I poster. “Remember Belgium--Buy bonds-Fourth Liberty Loan”, Biblioteca del Congresso USA C ognossudis lis gnovis dal disastri (di Cjaorêt), une sbigule malandrete e plombâ sul popul furlan. A ingrandîle e pensave la propagande che e predicjave di vuardâsi dai gjermanics che a son triscj di nature lôr; che dal sigûr a varessin fatis plui malegraciis di chês fatis al Belgio parcè che a jerin luterans e a vevin in asse i catolics. (...) Il comant austriac, in premure, al à dât in man la aministrazion civîl dai paîs ai popolârs, come int che i ispirave plui fiducie, e là che no cjatave int adate al dave il paîs in man al plevan. Sindics e predis si son indafarâts par rindi mancul dure la ocupazion e par difindi i interès materiâi de lôr int. (…) I profucs furlans a àn cjatât sotet tes provinciis vie e jù pa la Italie e midiant il Comitât dai profucs a àn podût meti adun lis fameis che, tai dîs di scjampe scjampe, si jerin rotis. Pe lôr lenghe, pal numar, pe false propagande i nestris profucs a son stâts cuasi simpri sopuartâts; e, par vie di chêi restâts in Friûl, che a vignivin piturâts sui sfueis nazionâi come traditôrs, a jerin cjalâts di brut voli. (...) 47.000 DOPO CAPORETTO 10.000 COMPASSIONE E ODIO Deposizione dell’on. Michele Gortani presso la Commissione d’inchiesta istituita dopo Caporetto* “Il 17 ricorda l’anno della fame 1817 e più che ricordarlo lo rinnova, a quanto si può già palesare.” “18 (Luglio 1917). Il giorno imprecisato è stato ucciso ad Interneppo un gendarme austriaco non si sa bene da chi: dicono da un disertore forestiero. Da quel momento in poi tutte le ire del cielo sono scese su questi poveri disgraziatissimi paesi ove ormai si incomincia desiderare la morte naturale per non morire di fame come si prevede o di morte violenta.“ Deposizione dell’on. Michele Gortani presso la Commissione d’inchiesta istituita dopo Caporetto, seduta del 7 ottobre 1918 * ** “(…) però noi contadini la fame non l’avevamo ancora sentita grazie a Dio, ma però i bocconi che si mangiavano non facevano pro, giacché alla porta c’erano sempre donne con bambini e poveri vecchi deperiti di tutti i paesi, ma perdipiù dalla Carnia e dal Cadore.“ “Assai spesso e in più luoghi le autorità militari (…) agirono tagliando a dritto e a rovescio, partendo dal preconcetto che le popolazioni di confine, le quali avevano brillato durante i cinquantanni di Regno unito pel loro vigile patriottismo, fossero invece austriacanti.(..) Tra l’altro il capitano dei carabinieri Schiavetti mi confidò che gli risultava di famiglie internate perché le donne non avevano voluto cedere ai desideri degli ufficiali.” Luigia Venturini di Basaldella, contadina, Episodi avvenuti in tempo dell’invasione in Friuli ** ABITANTI DI UDINE “DATECI ALMENO LA POLENTA” LE DONNE Il 1917 è chiamato “Anno della fame” e viene paragonato al 1817, altro anno terribile a causa dell’invasione napoleonica. Realmente, le difficoltà di sostentamento iniziarono già nel 1914 con il rientro degli emigrati che privano le famiglie di entrate sicure e, in cambio, le accrescono di bocche da sfamare. Caporetto non fece che aggravare una situazione di miseria conseguente ai sequestri e alla mancanza di braccia per l’agricoltura visto che gli uomini validi sono stati richiamati in guerra. La situazione peggiorò con l’arrivo dei profughi, privi di qualsiasi mezzo di sussistenza, e di un esercito ridotto alla fame. Solo i contadini riuscirono a passarsela alla meno peggio nascondendo il cibo per sottrarlo alle requisizioni. PROVINCIA DI UDINE TESTIMONIANZE DAL FRONTE CIVILE L’ANNO DELLA FAME CIVILI E MILITARI Le portatrici, figure mitiche che ancor oggi risaltano nelle tradizioni carniche e nell’agiografia patriottica, nella maggioranza donne giovani e robuste, erano organizzate sotto la direzione della Sussistenza. Trasportavano viveri, generi di conforto, meno spesso munizioni, fino alla linea del fronte. Compivano lunghi percorsi, in alcuni punti maggiormente esposti coperti da rudimentali mascheramenti. Arrivavano nelle baracche dei soldati impiegando due o tre ore di cammino. (...) Ogni viaggio veniva pagato 2 lire e 50. Gli abitanti di Paularo legavano soprattutto con i soldati friulani perché sentivano di appartenere alla stessa terra. Erano come di casa. (…) Con il soldato non friulano di solito non si innestava alcuna stretta confidenza. Infine il soldato meridionale veniva visto come maggiormente “diverso”. “…erano i primi giovanotti; a diciotto anni non sono maturi; sono così… piangevano: mamma di qua, mamma di là, andiamo alla morte (Gaetana Del Rosso).” Chiara Fragiacomo, Un paese in guerra: Paularo ** Chiara Fragiacomo, Un paese in guerra, Paularo ** “(I soldati italiani), ronzavano attorno alle brave ragazze del Collio e con quelle più facili riuscivano ad ottenere parecchio anche grazie all’offerta di caramelle e cioccolata. Dopo 9 mesi, qui e là, nasceva qualche bambino dalla carnagione scura.” Oskar Reja-Kozanski in Drago Sedmak, Testimonianze slovene sulla Prima Guerra Mondiale ** Luigia Venturini di Basaldella, contadina, Episodi avvenuti in tempo dell’invasione in Friuli ** “eh vediamo (…) abbiamo visto anche una medaglia, ma erano tutti della Bassa Italia, begli uomini che era peccato seppellirli.” “Intanto continuano i saccheggi di giorno e di notte, e con vergogna e dolore devo confessare che purtroppo parecchi cittadini e maggioranza di contadini si uniscono volentieri ai saccheggiatori e vanno a gara per distinguersi in arte e abilità.“ “Ad un tratto sentimmo che anche l’Italia avrebbe dichiarato guerra agli austriaci. Allora noi austriaci eravamo sul confine con l’Italia. Cosa sarà, cosa non sarà, non volevamo credere alle nostre orecchie. Ma quello che doveva venir, venne.” Jožefa Larc Lakovič, Doberdob/Doberdò ** Gaetana Fragiacomo in Chiara Fragiacomo, Un paese in guerra, Paularo ** 1917, civili in fuga (foto FSF) Maria Juretich, Udine, Ricordi di guerra e appunti dell’anno doloroso ** 3 novembre 1917, il Ponte del Diavolo a Cividale distrutto dalle truppe italiane in ritirata, verrà ricostruito dagli austriaci nel 1918 (foto ALC) 1917, ufficiali del Battaglione Monte Clapier (foto ALC) “10 e 11 (Novembre). Pattuglie di soldati tedeschi, baionetta in canna vengono tutte le sere a requisire animali bovini. Il fieno l’hanno portato via quasi tutto i soldati italiani; oramai che farne delle armente?“ Don Pasquale Michieli, Libro storico della Parrocchia di Avasinis ** * * I luoghi dimenticati della Grande Guerra, vol. II AAVV. (Guide Gaspari) ** La gente e la guerra a cura di Lucio Fabi (ed. il Campo) *** La guerra vissuta a cura di Lucio Fabi (ed. Persico Associazione culturale el tomât email: el tomâ[email protected]) “(…) la Latteria invece ha dovuto chiudersi il 12 luglio perché tutto il latte veniva requisito per i bisogni della truppa.“ Don Enrico Da Ronco, Libro storico della Parrocchia di Flambro ** 26 febbraio 1917, portatrici carniche a Forca Armentaria (foto ALC) Plêf/Pieve di Rosa, predella del pulpito con frammenti di shrapnel italiano FRIULANI DELL’IMPERO AUSTRO-UNGARICO Gli uomini validi sono al fronte: un vecchio, delle donne e dei bambini, privi di animali da traino (requisiti?), trascinano penosamente le poche cose che sono riusciti a portare con loro nella fuga. “Dopo quattro giorni di sofferenze e spasimi ci sbarcano come colli a Viareggio e da qui non ci si muove. Non giovano preghiere e spiegazioni per farci raggiungere i nostri a Roma, siamo trattate da veri cani, ora siamo profughe che abbiamo bisogno e per le quali non si deve aver riguardi. Il Commissario italiano è peggio del Contìn austriaco che Dio lo abbia in gloria.” Aloysia Candutti, goriziana, insegnante di scuola materna di aspirazioni italiane ** 4 novembre 1917, una via di San Daniele dopo la battaglia di Muris “Essi giunsero in Ungheria; non poterono prendere nulla con sé; andarono dispersi in località e comuni dei territori più diversi. La miseria e le sofferenze che questa gente dovette sopportare, si sottraggono a ogni descrizione. Essi non rimasero tutti assieme, ma vennero dispersi sopra tutto il territorio dell’Ungheria fino ai confini della Bucovina, fino ai più lontani lembi della Transilvania. Là i contadini friulani capitarono fra ungheresi, ruteni e rumeni, gente che non capiva una parola della loro lingua e dalla quale non si poteva pretendere che accettasse con favore questi forestieri. Fra quella gente, essi dovettero soffrire la fame, andare scalzi e mal vestiti di casa in casa come mendicanti, e da mendicanti furono anche trattati.” (foto ALC) Giuseppe Bugatto, deputato al Parlamento di Vienna per il Partito Cattolico Popolare Friulano ** ALCUNI MUSEI E COLLEZIONI SULLA VITA TRADIZIONALE IN PROVINCIA DI UDINE SAURIS, ZAHRE Centro Etnografico Haus Van Derr Zahre FORNI AVOLTRI FOR DAVÔTRI DOGNA, DUNJA, DOGNE Museo del territorio Cemuòt chi érin MALBORGHETTO-VALBRUNA Museo Etnografico ‘Palazzo Veneziano’ TAIPANA, TIPANA, TAIPANE TOLMEZZO, TUMIEÇ Museo carnico delle Arti Popolari Testimonianze della civiltà contadina DRENCHIA, DREKA, DRENCJE BUJA, BUIE Museo d’arte della medaglia e della ciià di Buja Francesco Borgia Sedej, arcivescovo di Gorizia ** “Ci stivarono nei vagoni merci: tentammo di metterci assieme per famiglie. Eravamo curiosi di sapere dove ci saremmo fermati. Non potevamo guardare dalle finestre perché non c’erano finestre.” “Lì (a Vienna) ci aspettava il deputato goriziano Faidutti che procurò un buon pranzo e a tutti i bambini una tazza di caffè. I bambini si vantarono di aver bevuto il caffè e presero persino la tazza per ricordo.” Jožefa Larc Lakovič, Doberdob/Doberdò ** 1918. Manifesto quadrilingue, tedesco, ungherese, italiano e friulano Dopo la disfatta di Caporetto, le autorità civili spesso scapparono per mettersi in salvo. Solo i preti restarono al loro posto diventando, quasi sempre, il vero e tenace punto di riferimento sia per i comandi militari austriaci e tedeschi che per i parrocchiani rimasti, che si rivolgevano a loro per contrastare le violenze e i soprusi. Per non essere fuggiti, molti di loro finirono tacciati ingiustamente di essere filoaustriacanti. Dai loro diari emerge nella sua piena drammaticità la situazione sociale che seguì alla disfatta di Caporetto e le testimonianze più vivide dei giorni dell’occupazione. Museo del territorio GRIMACCO, GRMEK, GRIMAC FAGAGNA, FEAGNE PAGNACCO, PAGNÀ Museo di storia contadina UDINE, UDIN Museo etnografico del Friuli AIELLO DEL FRIULI, DAEL Museo della civiltà contadina del Friuli imperiale FRADIS CUINTRI, FRATELLI CONTRO Ma gli abitanti della Contea di Gorizia e Gradisca e del Litorale volevano l’Italia? Le opinioni sono molto discordi tant’è che ancora oggi si celebra il genetliaco dell’Imperatore Francesco Giuseppe. Resta il fatto che, in Europa, pochissimi di loro, fossero italiani, austriaci, tedeschi, serbi, bosniaci, croati, francesi, belgi..., volevano questa guerra. “Bilancio morale. (…) L’odio – che in forma più o meno acerba, covava in quasi tutti – era venuto assorbendo le migliori energie e le aveva avvelenate. Di qui la bestemmia, la freddezza nella vita religiosa, il rallentarsi dei vincoli di pietà verso il prossimo, e l’imbottigliamento dei sensi più nobili e sacri.” “Udine 23 Maggio 1915. Otto giorni fa (16 Maggio) fummo a Gonars invitati a colazione dagli ufficiali del “Monferrato”. (…) Alle 18 circa uscì il supplemento della Patria del Friuli recante il decreto di dichiarazione di guerra all’Austria. 24 Maggio. A S. Giovanni sappiamo dell’avanzata delle nostre truppe per Brazzano e Cormons senza opposizione: un solo ferito da un gendarme al passaggio del confine. Si tentò di far saltare il ponte di Brazzano, ma la mina non esplose. Accoglienza della popolazione piuttosto fredda: nessuna bandiera. Verso le 11 i nostri erano già a Mossa. Si dice che a Versa ci siano state accoglienze ostili e qualche colpo di fucile. A Cormons (…) La stazione ferroviaria era stata danneggiata il giorno prima dalla popolazione. Si accenna a vari atti di spionaggio e di tradimento contro le nostre truppe. Vari preti sono arrestati e, dicesi, fucilati. Pare che a Villesse si sia tirato contro le truppe dalle case borghesi, e che vi siano state 4 fucilazioni: segnalazioni e tradimenti continuano sul Coglio. 9 Giugno. Si dice che anche a Lucinico sia stato tirato dalle case sui nostri e che allora varie case siano state arse dopo arrestati i ribelli che si dicono fucilati (una ventina con il prete). (…) Le popolazioni dei paesi occupati sono tutte internate nel Regno. 20-21 Novembre. Finalmente i nostri si son decisi a bombardare Gorizia che in breve ora fu quasi distrutta da parecchie centinaia di cannoni. Il nemico non se l’aspettava perché non ci credeva capaci e ci fu molto sbigottimento, ma il provvedimento si imponeva perché centro di tutti i rifornimenti e luogo di ritiro a riposo per la truppa.” “Bilancio finanziario. Anche su questo campo le conseguenze dell’invasione furono disastrose. Poiché ogni ricchezza fu asportata e la campagna – ch’è la sorgente maggiore delle fortune del nostro paese – fu desolata nei vigneti, nei gelseti…” “All’arrivo dell’esercito italiano eravamo lungo la strada. Passavano i camion pieni di soldati. Da uno di questi camion gridarono: “Siete contenti che siamo arrivati?” E tutti, senza pensare, dicemmo “NO”. Noi avevamo tutti i diritti sotto l’Austria e non siamo stati bene ma in verità, non desideravamo nemmeno l’Italia. Se in quel momento avessimo visto le sofferenze future avremmo detto con più forza ancora una volta: No.” “29 Novembre 1917. Ordinata (dagli occupanti) una severa pulizia per le case, piazze, strade, cortili sotto pene severe. Sta benissimo perché una sporcizia simile ai paesi di qua del Tagliamento, eccetto Trasaghis, non si poteva trovare che in Galizia, Turchia, Albania, ecc.” “2 Agosto (1918). Jer sera ho sepolto un bambino di Alesso, morto di dissenteria (sangue); oggi ricevo notizia della morte di una profuga (Alesso); pure per dissenteria, domani dovrò andare a seppellirla. Mancava solo questo per completare il quadro dell’inferno di questo mondo. Peste fame e guerra. Veramente sto in attesa anche del terremoto.” “Oggi 21 Agosto. (Gli Austriaci) portano al diavolo le campane ridotte a pezzi. Così gli italiani hanno mandato le persone sacre in guerra togliendoli dai loro sacri templi e cure – questi hanno tolto i bronzi sacri per farne palle di cannone. Chi ha fatto peggio dei due?” Don Pasquale Michieli, Libro storico della parrocchia di Avasinis ** “Dalle prime ore del mattino giunge a noi il frastuono della nostra mitragliatrice e la eco di marce ben note. Alcuni portano già nascosta sotto la camicia il tricolore. È giunta l’ora della liberazione. Grazie, o Signore.” Casa rurale del territorio SAN DANIELE, SANT DENÊL Collezione Mario Ruttar Museo della vita contadina ‘Cjase Cocél’ “Dateci almeno la polenta, è il loro grido.” LA CHIESA RIMANE CON IL SUO GREGGE Si diceva che, lungo il confine, si usavano quattro lingue: il friulano e lo sloveno giocando; l’italiano andando a scuola; il tedesco prestando il servizio militare. Era presente, anche, un’importante comunità ebraica. CAPI BOVINI IN FRIULI ALL’INIZIO DELLA GUERRA 160.000 Conte Enrico de Brandis, Note di guerra ** Jožefa Larc Lakovič, Doberdob/Doberdò, Diario, in Dorica Markuc, Voci di Guerra e di Confine ** Don Enrico Da Ronco, Libro storico della Parrocchia di Flambro ** CAPI BOVINI IN FRIULI ALLA FINE DELLA GUERRA 15.000 Nella parte orientale del Friuli, la lingua friulana è stata censita due volte: nel 1857, come Contea di Gorizia e Gradisca: 48.841 friulianofoni (25%) 130.748 slovenofoni (66%) 15.134 italofoni (8%) 2.150 germanofoni (1%); nel 1921 come Regno d’Italia: 50.589 friulanofoni 1878, Impero Austro-Ungarico e Nazionalità sul confine (territori con oltre il 50%) Ricostruzione sommaria Con gli uomini al fronte, anche alle donne del Friuli austriaco spetta la responsabilità totale della famiglia (elab. da TCI, Atlante storico del Mondo 1997) (Villa Vicentina, prop. fam. Stabile) TEDESCHI RETOROMANZI (ladini) ITALIANI RETOROMANZI (friulani) Pordenone Pordenon (il) Piave (la) Plâf Kobarid Caporetto Cjaurêt Karfreit SLOVENI Udine Udin Aquileia Aquilee Grado Gravo Gorizia Gurize Gorica Görz Trieste Triest Trst Triest ISTRUZIONE OBBLIGO FINO AI 14 ANNI Venezia Venexia In Austria l’obbligo scolastico era stato sancito già nel 1774 da Maria Teresa, ma in realtà divenne più capillare con le leggi del 1840 e soprattutto con quelle del 1868-69, stabilendo 8 anni di scuola, anche se con diverse modalità. Così se permaneva nel Friuli Austriaco un certo analfabetismo questo era delle classi più anziane. Per i giovani da fine Ottocento la frequenza alla scuola era quasi totale. Nel Regno d’Italia, la legge Orlando (1904) portò l’obbligo scolastico fino al dodicesimo anno di età (sesta classe) imponendo ai Comuni di istituire scuole almeno fino alla quarta classe. CROATI CONDIZIONI SOCIALI NEL FRIULI AUSTRIACO Nel Friuli austriaco l’economia vedeva il netto predominio dell’agricoltura in cui era coinvolto il 60% della popolazione con la presenza di una piccolissima proprietà nelle zone più interne mentre il colonato e il bracciantato erano diffusi nelle zone più meridionali. Queste condizioni avevano spinto a una diffusa emigrazione - con percentuali comunque molto inferiori a quelle del Friuli italiano - verso l’America meridionale e il Brasile in particolare. Ai disagi degli agricoltori, ma non solo, cercava di venire incontro un grande movimento cooperativistico di marca cattolica che nel 1914 contava 99 sodalizi (casse rurali, cooperative di consumo, società di mutuo soccorso, orti pomologici, latterie sociali, ecc.) e 10.000 soci. L’attività industriale era modesta, anche se in lenta crescita grazie alle attività tessili e all’apertura, nel 1907, del cantiere navale di Monfalcone. Per gli operai vi era una legislazione sociale in quei tempi tra le più avanzate in Europa con le casse malati e infortuni. Monsignor Luigi Faidutti (San Leonardo, 1861 – Königsberg, 1931) fu “deputato friulano al Parlamento a Vienna” come amava definirsi. Capace mediatore tra le varie nazionalità, sviluppò il cooperativismo rurale fondando la Cassa Rurale di Capriva del Friuli e la Banca friulana. Fu uno strenuo difensore dell’autonomia di Gorizia fino a fondare il ‘Consiglio nazionale friulano’ e a pronunciarsi in friulano nel parlamento viennese: “Se ducj nus bandonin, nus judarìn bessoi. Diu che fedi il rest. No uarìn che nissun disponi di nô, sensa di nô.” Fu particolarmente sensibile al dramma dei profughi tanto da visitarli nelle cosiddette “città di legno”, campi dove erano rinchiusi, portando aiuti e conforto morale. Alla fine della guerra gli fu proibito di tornare in Friuli.
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