UTEM – Università della terza età Montebelluna Sessione primaverile 2012-2013 L’”ENEIDE” DI VIRGILIO Il viaggio; la tappa cartaginese Docente: Innocenza Indelicato “Infandum, regina, iubes renovare dolorem “ “Chiedi, regina, che io ripercorra un dolore indicibile: Come il regno potente di Troia,ora degno di lacrime, abbiano i Danai divelto e le tristi sventure che vidi io, coi miei occhi, e di cui fui gran parte …” Venere:”prendi o figlio la fuga, e metti fine al tuo strazio”(II-620) Bernini Giorgi E dunque sù, caro padre, sollevati sopra il mio collo, Ti porgerò le mie spalle, e non mi sarà fatica. Quale che siano gli eventi, uno solo e comune il pericolo, Una sarà la salvezza ad entrambi, A me il piccolo Julo venga compagno e a distanza sorvegli le tracce la sposa. Io la cercavo e per la città senza tregua smaniavo, e il simulacro infelice, l’ombra di lei, di Creusa mi apparve innanzi agli occhi e figura più grande del solito … “Cosa ti giova indulgere tanto a un folle dolore o dolce sposo? Non senza il volere divino ora accadono queste vicende; né a te è consentito portare Creusa via per compagna … Dopo che dette quei detti, me in lacrime, e ansioso di dirle molto ancora,lasciò, e si ritrasse nell’aria sottile. Lì per tre volte tentai di cingere il collo abbracciandolo; e per tre volte, afferrata, sfuggì fra le mani l’immagine, pari ai venti leggeri e assai simile al sonno fugace. Prima tappa In Tracia. Enea strappa un ramo e da questo sgorga sangue e una voce: E’ Polidoro, ucciso dal re del luogo per impossessarsi delle sue ricchezze “A che non trascini i mortali Fame esecranda dell’oro.. (III,56) Seconda tappa Approdano all’isola del re Anio (Delo) che riconosce Anchise e offre ospitalità, ma sussulta la montagna e sentono: ” L’antica madre cercate. Qui avrà dominio su tutte le terre la casa d’Enea e i figli dei suoi figli,e i figli poi nati da quelli..”(III,95) Terza tappa:Creta Enea sente in sogno: “Ma non son queste le sedi, non queste le spiagge indicate da Apollo,né a Creta ordinava che ci si insediasse. V’è un luogo- con il nome di Esperia i Greci lo chiamanoterra antica, potente di armi e di campi ubertosi; adesso è fama che i posteri abbian chiamato quel popolo Italia :queste le sedi a noi proprie, qui ebbero origine Dardano e il padre Iasio, dal quale la nostra stirpe ha principio.. (III,161) IV tappa: Le Strofadi Lì la funesta Celeno con le altre Arpie dimora.. Non v’è mostro più infausto di loro, né peste mai sorse più spietata o castigo divino.. Quei volatili han volto di vergini e assai repellente flusso del ventre e mani artigliate.. E insozzano tutto col loro contatto sudicio, fra sinistre strida e lezzo schifoso.. (III,214) V tappa: Butrotum Incontrano Andromaca e Eleno che predice: “In primo luogo l’Italia- che tu già prossima pensi e nei cui porti vicini, ignaro,ti appresti ad entrarelunga via, impervia, con lunghe regioni, separa VI tappa:la Sicilia (III,570…) Nel frattempo, col sole, il vento abbandona noi stanchi e, ignari della via,dei Ciclopi approdiamo alle spiagge.. Li accanto in orrendi sconquassi rintrona l’Etna e talvolta una nuvola fosca proietta nell’etere fumo in un gorgo di pece e incandescenti faville.. .. Sporcizia tremenda, lunghissima barba panni appuntati con spini, ma un Greco per gli altri rispetti e già un tempo inviato a Troia con le armi sue patrie … Lui come abiti vide dardanii e armi troiane di lontano, atterrito alla vista, ristette un momento e il suo passo trattenne; poi a precipizio alla spiaggia corse con pianto e preghiere “Teucri, prendetemi a bordo, e in qualunque terra portatemi: Altro non chiedo. Lo so, appartengo alle flotte dei Danai e riconosco che venni a far guerra ai penati di Ilio. E per questo, se tanta del mio misfatto è l’offesa, fatemi a pezzi tra i flutti e nel vasto mare affondatemi; se perirò mi conforta perire per mano di uomini.” In cima ad un monte vediamo muoversi tra le greggi, vasto di mole, lui stesso lui, Polifemo, pastore.. mostro orrendo, deforme, imponente, dall’occhio divelto … dopo che, giunto alle acque, toccò i fondi flutti del mare vi deterse l’umore sanguigno dell’occhio cavato con digrignare di denti in un gemito .. Noi, trepidanti, raccolto quel meritevole supplice, ad affrettare la fuga da lì e a tagliare gli ormeggi zitti.. E in gara sui remi voltiamo.. Lui se ne accorse e alla fonte del suono volta i suoi passi … leva uno smisurato grido, a cui il mare e le onde tutte tremarono e fu atterrita la terra d’Italia fin negli abissi e l’Etna mugghiò nelle curve caverne … E richiamata, dai boschi e dalle alte montagne La stirpe Dei ciclopi irrompe giù al porto e affollano il lido. Noi li scorgiamo là ritti, invano, con torvo cipiglio, I fratelli etnei, le teste svettanti nel cielo In un orrendo assembrarsi.. Aspro timore trascina precipiti a scuoter le gòmene .. e a spiegare le vele ai venti propizi. “Anna, sorella, che sogni mi tengono in ansia e terrore. Questo ospite giunto da noi come è straordinario, come si porge nel volto, che forza nel petto e negli omeri! Credo davvero, e non sbaglio, che sia di stirpe divina.. Se non avessi nell’animo salda e incrollabile scelta di non congiungermi più con patto di nozze ad alcuno, dopo che il mio primo amore, morendo, mi illuse e deluse; se non avessi ormai in odio le stanze e le torce nuziali forse a quest’unica colpa avrei potuto soccombere. Lo confesso, Anna, dal fato del misero sposo mio Sicheo, e dalla strage fraterna che asperse i penati, lui solo i sensi ha piegato, e ha colpito, sì che ora vacilla, l’animo. Riconosco l’antica fiamma e i suoi segni. Ma preferisco mi si apra profonda, piuttosto la terra o il padre onnipotente mi scagli col fulmine alle ombre, pallide ombre nell’Erebo, e ad una notte d’abisso, prima che te, Pudore, io violi, o i tuoi vincoli sciolga Ora con sé fra le mura conduce Enea, e sempre mostra le ricchezze sidonie e la sua città quasi pronta; e a parlare incomincia, e a metà del discorso si ferma; ora al cadere del giorno ricerca un uguale convito e di nuovo, insensata, richiede di udire le pene di Ilio e pende di nuovo dal labbro di Enea che racconta. Poi quando han preso congedo, e oscura, a sua volta la luna spegne il suo lume, e invitano al sonno le stelle al declino, sola si strugge nei vuoti di casa e si adagia sui drappi ora lasciati: lontana, lui sente e lui vede lontano … “Tu ora dell’alta Cartagine poni le fondamenta e una bella città costruisci servo a una moglie, ed immemore, ahi, dei tuoi fati e del regno? Tiepolo Ma invero Enea a quella vista rimase in silenzio, sconvolto, ritti in testa all’orrore i capelli e spezzata la voce. Arde di andarsene via e lasciare le dolci regioni, degli dei a un tale monito e a un tale comando smarrito. Ah come fare? La folle regina con quali parole ora oserà accostare? Da dove iniziare il discorso? Ma è me che fuggi?Ti prego per questo mio pianto Se presso di te ho qualche merito, o se qualche cosa di mio per te fu dolce, .. Ti prego, svesti, se ancora v’è spazio alle suppliche, questo pensiero Per causa tua le genti di Libia e i sovrani dei nomadi mi odiano, e i Tiri mi avversano; e ancora sei tu la ragione se il mio pudore, e la fama di un tempo, che sola alle stelle mi innalzava, son spenti. A chi mi abbandoni morente, ospite (nome che solo, da quello di sposo mi resta)? Se solo concepito un figlio da te avessi, prima della tua fuga, un piccolo Enea, che te almeno in volto riproponesse.. Per certo non fino in fondo ingannata io mi sentirei, e abbandonata.. Va, segui sui venti l’Italia e ai regni fra le onde volgiti, non ti trattengo, né replico nulla ai tuoi detti; ma spero che fra gli scogli, se han qualche potere i pii numi, debba scontarne il supplizio, spesso “Didone” invocando .. Non chiedo più la tradita unione nuziale di un tempo né che di quel suo bel Lazio sia privo e rinunci a quel regno, chiedo una pausa di tempo, che dia alla follia un po’ di pace, fin che la mia fortuna insegni, a me vinta, a soffrire. Sole, il cui fuoco alle opere tutte del mondo dà luce, e tu Giunone di questi miei affanni partecipe e conscia .. questo accogliete e le mie preghiere ascoltate. Se deve quest’uomo nefando porti raggiungere e terre toccare, se i fati di Giove questo richiedono e questo termine resta fissato, pur tuttavia tormentato in guerra e con armi da audace popolo, fuori dalle sue terre e strappato all’abbraccio di Iulo implori aiuto.. E voi Tiri, impegnate con gli odi la stirpe e l’intero genere suo futuro, e alla cenere mia questi doni date. Né amore, né patti vi siano mai fra i due popoli. Queste acque e correnti controlla Caronte, nocchiero orrido, di spaventoso squallore, a cui giace incolta molta canizie sul mento, gli occhi son fissi e di fiamma, sordido manto pende dall’omero, stretto in un nodo … Qui rovinava tutta una folla effusa alle sponde.. Quante nei boschi col primo freddo d’autunno, staccandosi Cadon le foglie.. Caron dimonio, con occhi di bragia Loro accennando, tutti li raccoglie; Batte col remo qualunque s’adagia. Come d’autunno si levan le foglie L’una appresso dell’altra, fin che ‘l ramo Vede a la terra tutte le sue spoglie … Qui quelli che un duro amore consunse in crudele disfarsi strade appartate nascondono,e, intorno, protegge di mirti una selva; le pene nemmeno in morte li lasciano “Vera, o infelice Didone, era a me dunque giunta la voce che tu eri morta, seguendo la sorte estrema col ferro? Ahi! Della morte ti fui causa io? Per le stelle lo giuro, per i Superi e se una lealtà vale in fondo alla terra, contro mia voglia, regina, dal tuo lido ho preso congedo. . Ma me i comandi divini che ora qui a andare fra le ombre per luoghi squallidi e putridi e notte profonda mi forzano, hanno spinto coi loro decreti; né avrei mai creduto che ti avrei dato, partendo, un simile grande dolore. Ferma il tuo passo e non ti sottrarre al mio sguardo! Chi fuggi? Questa è per fato l’ultima volta che posso parlarti.” Con tali detti Enea quell’animo ardente e dal torvo sguardo voleva lenire, e lacrime intanto versava. Lei, altrove rivolta, gli occhi fissava giù a terra, né si smuoveva nel volto al discorso intrapreso più che se fosse una statua di dura pietra o di roccia marpesia .. “Padre la tua, la tua triste immagine, spesso apparendomi, a tendere a queste soglie mi ha spinto: stanno le navi nel sale tirreno. Da’ da’ che le destre siano congiunte, padre, e non ti sottrarre al mio abbraccio”. Lì per tre volte tentò di cingere il collo abbracciandolo e per tre volte, afferrata, sfuggì tra le mani l’immagine, pari ai venti leggeri e assai simile al sonno fugace. Ora, su, quale prole verrà poi alla prole dardania, quali nipoti l’attendano nati dall’ Itala gente, anime illustri che il nostro nome verranno a protrarre, ti svelerò coi miei detti, e a te mostrerò i tuoi destini.. “Ora di qua piega gli occhi: questa gente considera e i tuoi Romani. Qui è Cesare e tutta la stirpe di Iulo, sotto la vasta volta del cielo votata a venire. Questo, questo è quell’uomo che spesso ti senti promettere, Cesare Augusto, di stirpe divina, che i secoli d’oro fonderà nuovamente nel Lazio … Con maggior arte, altri nel bronzo daran forme e quasi respiro, sì lo concedo, e dal marmo trarranno dei volti viventi, e sapran meglio difendere le cause e tracciare al compasso gli itinerari del cielo e predire le stelle che sorgono; Tu col dominio, ricorda, Romano, di reggere i popoli -queste saran le tue arti – e di imporre una norma alla pace, ai sottomessi usare clemenza, e schiacciare i superbi”
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