QUADRIMESTRALE EDITO DALL’ORDINE AVVOCATI DI LECCO Anno XXIV - N.1/2014 La collaborazione con Toga Lecchese è aperta a tutti gli operatori del diritto che intendano inviare saggi, interventi, provvedimenti giudiziari, note a sentenza e cronache di vita forense. Gli articoli, le note, le osservazioni – firmati o siglati – esprimono unicamente l’opinione del loro autore. SOMMARIO Prefazione……………………………………………… pag. 3 Il commiato del Presidente Dott. Renato Bricchetti……… “ 4 L’art. 161 c.p.c. e il diritto romano……………………… “ 5 Risarcibilità del danno extrapatrimoniale a favore dei nonni “ 6 Il futuro dell’avvocato…………………………………… “ 7 Una vicenda istruttiva: quello che tutti gli avvocati dovrebbero sapere “ 8 Giurisprudenza deontologica del C.N.F.…………………… “ 10 Decreto Tribunale di Milano in materia di spese straordinarie… “ 16 Sanzionato l’avvocato che usa in giudizio contro l’ex cliente le notizie apprese nella vecchia causa “ 18 Per Voi………………………………………………… “ 20 Lettera idealmente indirizzata all’Avv. Andrea Durastante… “ 21 Storia di un Re………………………………………… “ 21 Recensione…………………………………………… “ 25 Cerco/offro…………………………………………… “ 25 In giro per mostre……………………………………… “ 26 Fondatore e Direttore Responsabile Renato Cogliati Stampa: Maper - Renate (MB) Autorizzazione n. 2/91 del tribunale di Lecco 2 I tempi sono quelli che sono, per la nostra professione ed in genere per tutti. Nei momenti di magra è noto che non l’antidoto, ma quantomeno una buona medicina, è serrare le fila proponendo a sé ed agli altri ulteriore impegno, andando avanti con più determinazione di prima. Anche la nostra rivista può essere utile come strumento di confronto, di approfondimenti e di conoscenze. Abbiamo la fortuna di avere e di avere avuto Consigli dell’Ordine, a partire da quello presieduto dall’Avv. Gianni Calvetti nel lontano 1991, che credono e hanno creduto nell’importanza della comunicazione. Abbiamo ed abbiamo avuto a disposizione dei collaboratori (colleghi e non) che a titolo volontaristico, impegnano volta per volta del tempo per scrivere. Il nostro Ordine è tra i pochissimi in Italia che pubblicano un periodico. Dobbiamo essere orgogliosi di ciò. Dopo ventitre anni (23) di pubblicazione, la rivista deve essere ulteriormente arricchita di contributi, che siano stimolo per ciascuno a continuare nell’impegno professionale, anche in questi tempi non facili. Personalmente prometto ulteriore impegno, confidando che la schiera dei collaboratori si arricchisca, così come avvenuto in questi anni e l’ Editore non faccia mancare, anche negli anni a venire, la sua presenza e stimolo. Renato Cogliati 3 Il commiato del Presidente Dott. Renato Bricchetti D) Lei se ne va, che situazione lascia rispetto a quella che ha trovato al suo arrivo ad inizi 2010? Non credo di aver fatto danni. La situazione era già buona. Comunque vediamo. Ad esempio, si è creato il processo civile telematico grazie al supporto della classe forense e delle istituzioni locali, in particolare della Camera di Commercio. Ancora: è stata varata l’opera, assolutamente necessaria, di riassetto della gestione delle amministrazioni di sostegno. Ma non posso qui farle l’elenco. Pubblichi sulla rivista, quando avrà spazi, qualche passo del Programma di gestione 2014, del Documento organizzativo per il triennio 2014 – 2016. Li ho inviati al consiglio dell’Ordine. Lì c’é tutto. Poi si ricorderà nel 2012 abbiamo fatto i bilanci di responsabilità sociale ed economico. D) Lecco è stato per lei il primo incarico dirigenziale. Che esperienza ha vissuto? Sul piano umano una di quelle esperienze di cui si può dire: non me la dimenticherò. D) Quali difficoltà ha incontrato nell’espletamento del suo incarico? Sono stato fortunato. Poche. Ma di questo il merito va al personale amministrativo e ai magistrati, alla loro capacità di aiutarsi e di aiutare me: alle colonne del Tribunale come i dott. Lombardi, Trovò, Catalano, Salvatore e Mercaldo; ai giovani, bravissimi, come i dott. Colasanti, Lamberti, Quartarone, Cucuzza. E non voglio dimenticare quello che ho sempre chiamato la Repubblica autonoma del lavoro e della previdenza, il dott. Gatto. E poi l’ultimo arrivato, il dott. Calabrò, una ventata di esperienza. Ci sono poi i giudici onorari, appassionati e in continuo miglioramento. ma direi di no. La classe forense lecchese ha un rispetto innato delle istituzioni e una straordinaria voglia di crescere. Il primo lo si percepisce anche nei giovani; la seconda anche nei decani del foro. E questo è, per il mio modo di pensare e vivere, straordinario, Presidente ora, se mi permette, Le porgo qualche domanda più personale. Va bene. D) La sua vita professionale è stata contraddistinta da un motto? No motti no. Poi di solito sono in latino e non mi sembra il caso. Se poi dovessi avere un motto in latino userei uno di quegli strafalcioni che ho raccolto negli anni e che lei conosce perché ha avuto modo di essere presente quando mi è capitato di parlarne. Servono a stemperare le tensioni. D) Quale ritiene sia il tratto principale del suo essere Magistrato? Non essere ciò che non sopporto negli altri: arrogante, supponente, maleducato, scansafatiche, fazioso. D) Che qualità ritiene imprescindibili in un Magistrato? Buon senso, equilibrio, concisione, tolleranza, capacità di ascoltare, riserbo, passione per il lavoro, dedizione senza se né ma, indipendenza senza isolamento dalla realtà. Non me ne vengono in mente altre ma ci sono. D) E in un Avvocato? D) Ha avvertito anche aspetti negativi nel rapporto tra la classe forense e la magistratura? Più o meno le stesse. Poi gli avvocati hanno una qualità genetica importante che definirei cultura della sopportazione. Che comprende la capacità di sopportare l’idea di poter avere una decisione contraria, ritenuta ingiusta, senza farne un dramma. Non vorrei sembrare accondiscendente D) Di converso qual è a suo giudizio il 4 principale limite nel modo di essere di Magistrato e di Avvocato? Non capire che i limiti esistono; spesso invisibili, servono a convivere civilmente e nella legalità. D) Tra gli incarichi che ha ricoperto, quali ha preferito e quali desidererebbe le venissero in futuro assegnati ? Quello di giudice istruttore ante 1989; quello di consigliere della Corte di cassazione, dopo. Per il futuro, e sottolineo futuro, ambisco all’incarico di nonno. D) Quali sono e quali sono stati i Magistrati di cui maggiormente apprezza o ha apprezzato la figura, quindi in sostanza i suoi riferimenti nella magistratura? Esclusi i viventi, per non fare torti, direi Giovanni SILVESTRI, recentemente scomparso, conosciuto alla I sezione della Corte di Cassazione. Aveva tutte le qualità che un magistrato deve possedere e, inoltre, era un giurista raffinato e al tempo stesso deciso, determinato. D) Quali colpe le hanno ispirato maggior indulgenza? Dispensare indulgenza é lavoro da santi. Essere in generale indulgenti e tolleranti è sintomo di appartenenza al genere umano. D) Che ricordi porterà con sé dell’esperienza lecchese e del suo foro? Del foro lecchese ho come simbolo, una lettera, quella che il Consiglio dell’Ordine scrisse quando si ventilava la possibilità che la mia nomina venisse meno. Quella lettera mi inorgoglisce. So che l’orgoglio è peccato ma che ci vuol fare. Dell’esperienza lecchese mi porto nel cuore alcune persone. Non le cito. Ma loro lo sanno e se non lo sanno farò in modo di farglielo sapere. Renato Cogliati L’art. 161 c.p.c. e il diritto romano 1. Come è noto, l’art. 161 del nostro codice di procedura civile prevede che “la nullità delle sentenze soggette ad appello o a ricorso per cassazione può essere fatta valere soltanto nei limiti e secondo le regole proprie di questi mezzi di impugnazione. Questa disposizione non si applica quando la sentenza manca della sottoscrizione del giudice.” Dal tenore tutt’altro che perspicuo della disposizione normativa emergono le difficoltà di distinguere le ipotesi in cui, in generale, la nullità delle decisioni giurisdizionali deve essere fatta valere con lo strumento dell’appello o del ricorso per Cassazione, da quelle in cui, al contrario, è esclusa la necessità di una nuova pronuncia per l’accertamento dell’improduttività degli effetti giuridici. 2. Anche nel sistema processuale romano, fra i gravi e complessi problemi che si pongono nello studio della nullità delle sentenze, emesse all’esito di un procedimento giurisdizionale, spicca quello relativo alle modalità della sua rilevazione, se cioè, e con quali strumenti, fosse necessario esperire un autonomo ricorso per una censura ed un eventuale riesame della decisione priva di effetti giuridici, perché emanata per qualche aspetto irregolarmente, oppure, se, al contrario, l’improduttività dei profili processuali della pronuncia vulnerata operasse ipso iure, quale mero accertamento dichiarativo, senza la necessità di un nuovo vaglio giurisdizionale, neppure limitatamente all’esperimento di una fase ulteriore dello stesso giudizio. Un problema che, ovviamente, non si poneva nel sistema processuale dell’ordo, nel quale, pur essendo chiara la nozione della possibile esistenza di vizi di cui poteva essere inficiato il procedimento giurisdizionale, mancava, però, per la natura stessa del giudizio, la configurabilità di un controllo da parte di un organo sovraordinato al giudice che aveva pronunciato la sentenze i mezzi per reagire contro la nullità. Il possibile contrasto nell’individuazione e nell’utilizzo pratico dei mezzi di rilevazione della nullità di una pronuncia giudiziale, resa in violazione dei principi informatori dell’ordinamento, emergeva, al contrario, e con particolare evidenza, nel momento in cui, con la graduale diffusione delle cognitiones extra ordinem, fu introdotto, nel sistema processuale romano, un formale sistema di impugnazioni contro le decisioni dei funzionari imperiali e l’appellatio veniva utilizzata anche per l’accertamento della nullità delle pronunce giurisdizionali, come conseguenza, per certi aspetti, inevitabile della generalizzazione del nuovo concetto della possibilità di censurare le sentenze ritenute ingiuste o pregiudizievoli per la parte soccombente: un rimedio che pure avrebbe dovuto considerarsi superfluo di fronte ad una pronuncia priva del requisito dell’esistenza giuridica stessa (nec ulla sententia). Le fonti testimoniano, infatti, con chiarezza l’esistenza di un simile contrasto e documentano come la tendenza a sottoporre a riesame anche una sentenza gravata da nullità fosse già largamente diffusa sullo scorcio del II e nel corso del III secolo, come si ricava dall’esame dei numerosi interventi imperiali del titolo che i compilatori giustinianei hanno raccolto sotto la rubrica Quando provocare necesse non est, C. 7.64, ma soprattutto, al di fuori di esso, con importanti provvedimenti normativi, attribuiti all’imperatore Caracalla ed espressamente finalizzati a contrastare una simile prassi processuale, che doveva apparire come un inutile appesantimento della struttura, già complessa, del nuovo sistema cognitorio. 3.La soluzione reiteratamente adottata, con cui l’imperatore Caracalla mirava ad escludere l’avvio di un nuovo procedimento giudiziario, o quantomeno un successivo grado di giudizio, per la rilevazione della nullità di una sentenza, doveva essere comunque molto dibattuta e controversa, se la riflessione della giurisprudenza ci trasmette soluzioni pratiche a singoli casi specifici, nei quali, al contrario, si ammette la proposizione di uno specifico mezzo di gravame per l’accertamento della totale invalidità di una decisione giudiziale. Del travaglio normativo e giurisprudenziale di età severiana, le fonti più tarde hanno conservato, nelle raccolte ufficiali, tracce significative, seppure quantitativamente scarse. 4.Nell’esperienza giuridica romana, dunque, il problema relativo necessità o meno dell’esperimento di un autonomo strumento per la rilevazione della nullità delle sentenze resta estremamente controverso, anche per la difficoltà di individuare, nelle disposizioni normative e nella riflessione della giurisprudenza, un criterio veramente sicuro per distinguere i casi in cui la nullità opera ipso iure da quelli in cui, invece, deve essere accertata giudizialmente: il problema emerge ancora nel moderno ordinamento processuale, come si ricava dal vigente art. 161 cpc, che ancora distingue, pur senza una precisa delineazione delle relative fattispecie considerate, le ipotesi in cui, in generale, la nullità delle decisioni giurisdizionali deve essere fatta valere con un autonomo strumento di reclamo, dalle ipotesi in cui non era necessaria una impugnazione, come per il caso di una sentenza priva della sottoscrizione del giudice: un vizio tanto grave da non richiedere, per l’accertamento dell’improduttività degli effetti giuridici, l’esperimento di un apposito mezzo di gravame, che la lunga riflessione del diritto intermedio qualificherà come querela nullitatis. Federico Pergami 5 Risarcibilità del danno extrapatrimoniale a favore dei nonni Segnalo un’interessante pronuncia del giudice di merito in relazione alla risarcibilità del danno extrapatrimoniale morale a favore dei prossimi congiunti(nella fattispecie i nonni) di un giovane ragazzo deceduto a seguito di sinistro stradale per colpa di terzi. Come noto l’orientamento della Suprema Corte in alcune recenti pronunce ha in qualche modo ristretto la possibilità di ottenere risarcimento da parte dei nonni (e viceversa dei nipoti) della persona venuta a mancare per fatto illecito altrui, sulla base della considerazione oggettiva della trasformazione della famiglia da patriarcale a mononucleare, ponendo come requisito per la risarcibilità al di fuori di tale stretto nucleo, la convivenza. Tale requisito è stato ritenuto da qualche pronuncia (Cass. Civ. Sez. III numero 40253 del 16/03/12) il “connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l’intimità dei rapporti parentali anche allargati caratterizzati da reciproci vincoli affettivi, di pratica della solidarietà, di sostegno economico” ecc. A dire il vero tale orientamento riduttivo è stato attenuato dalla corte che con pronuncia del 24/7/2012 numero 12915 sez. III non ha escluso il risarcimento in ipotesi di mancanza di convivenza ma ha solo richiesto per tale caso la deduzione e dimostrazione di specifiche circostanze idonee a giustificare la sussistenza di vincoli affettivi meritevoli di compensazione in denaro. Il Gip del Tribunale di Monza con sentenza 326/13 ha dapprima affermato la legittimazione alla costituzione di parte civile delle nonne nel procedimento a carico dell’imputato per richiedere i danni extrapatrimoniali, pur non rientrando le stesse tra gli eredi. Il giudice non condivide la tesi dell’imputato e del responsabile civile che hanno 6 contestato la legittimazione attiva delle nonne per la non configurabilità di un danno “iure proprio” da perdita del rapporto con il nipote improvvisamente deceduto, fondata sulla mancanza del legame di convivenza, solo in presenza del quale, secondo tale tesi, sarebbe ravvisabile un rapporto diretto, giuridicamente rilevante tra nonni e nipoti. Secondo il giudice monzese “la sussistenza di un rapporto parentale rilevante giuridicamente non può certo negarsi sulla scorta della mera mancanza di un rapporto di convivenza in senso stretto, ravvisandosi, invece, profondi legami personali e familiari anche a prescindere dalla quotidiana coabitazione entro le medesime mura domestiche. Ciò soprattutto quando il legame sia tra nonni e nipoti, che, frequentemente, si concretizza in atti di pura dedizione e di forte attaccamento”. Il GIP di Monza non avalla meccanismi semplificativi di liquidazione di tipo automatico, evidenziando che, nel caso trattato, la valenza affettiva che legava il giovane alle sue nonne è emersa in modo più che significativo dalle dichiarazioni di numerose persone che hanno fatto emergere quanto profondo ed intenso fosse il rapporto che legava il ragazzo alle nonne, pur in assenza di convivenza. Tale statuizione è sicuramente da condividersi perché la morte di un congiunto configura per i superstiti familiari un danno non patrimoniale diretto ed ingiusto, costituito dalla lesione di valori costituzionalmente garantiti e di diritti umani inviolabili, perché la perdita dell’unità familiare è perdita di affetti e di solidarietà inerenti alla famiglia come società naturale. Nell’ambito di una famiglia così intesa non può disconoscersi, perché appartenen- te al senso comune, tutta l’importanza dei legami generazionali tra nonni e nipoti con la loro intrinseca capacità di trasmettere valori, educazione e cultura. Bisogna riconoscere che con le trasformazioni subite dalle famiglie che da patriarcali sono divenute mononucleari, il ruolo del nonno ha anch’esso subito modifiche sostanziali, ma non per questo ha perso importanza. Oggi è ben possibile trovarsi in presenza di nonni che non convivono con i nipoti ma tale situazione imputabile a circostanze della vita, non è comunque tale da escludere il permanere di vincoli affettivi ed una vicinanza psicologica al congiunto deceduto. Pertanto nel caso in cui sia stata fornita prova dei vincoli effettivi, anche attraverso elementi indiziari e presuntivi ravvisabili anche in allegazioni e documenti, il risarcimento deve essere riconosciuto. Richard Martini Disegno di Franco Necchi Il futuro dell’Avvocato In una recente conversazione, tenuta a Bergamo su invito dell’ANF locale, Cesare Piazza ha brillantemente sostenuto che le richieste della società sono ormai orientate decisamente verso la tutela degli interessi più che dei diritti. Per identificare l’avvocato del futuro, e cioè ‘chi’ sarà il nostro collega del 2050, ci si deve perciò chiedere prima di tutto ‘cosa’ sarà chiamato a fare. Più che una tesi quella di Piazza è un’analisi della situazione attuale e una previsione sullo sviluppo della professione forense, anche guardando a quello che succede al di là delle Alpi e dell’Atlantico. Potrà non piacere, ma se la realtà attuale e futura è quella accennata, occorre che gli avvocati ne tengano conto per affrontarla al meglio. Del resto i segnali che possiamo raccogliere dalla nostra legislazione e dalla sua applicazione (obbligatorietà della mediazione e sempre maggior spinta alla privatizzazione del diritto con aumento dei costi, anche a causa della nuova geografia giudiziaria) spingono tutti gli utenti, privati e aziende, a privilegiare la tutela degli interessi più che quella dei diritti. Conta il risultato economico, non la vittoria morale. Chi esce vittorioso dalla lite vuole anche essere rassicurato sulla eseguibilità della decisione e, quindi, sulla recuperabilità dei costi e dell’eventuale capitale. Tutto il contrario di quello che accade nel nostro sistema dove il legislatore e la magistratura sembrano invece voler seguire la filosofia dell’imperatore cinese K’Ang Hsi, che alla fine del 1600 scriveva in un editto: “Le controversie giudiziarie tenderebbero a complicarsi smisuratamente se il popolo non avesse timore dei tribunali e confidasse di trovare in essi una rapida e perfetta giustizia...Pertanto desidero che coloro che si rivolgono ai tribunali siano trattati senza pietà e in tal modo che essi sentano un’avversione verso la legge e tremino al pensiero di comparire davanti ad un magistrato”. ‘Consumatori’ e ‘mercato’ Cosa chiede il ‘consumatore’? Cosa chiede il ‘mercato’? Ohibò, che termini deprecabili! Come può un professionista, che deve essere indipendente, leale, probo, degno, eccetera eccetera, misurarsi con termini che suggeriscono solo lotta concorrenziale, pubblicità comparativa e valutazione commerciale di un lavoro intellettuale riconosciuto addirittura a livello costituzionale? L’illusione di avere una missione nella propria vita professionale porta inevitabilmente a distorsioni della nostra autostima. Distorsioni che investono anche la generalità della categoria cui si appartiene. Non facciamoci illusioni: anche gli avvocati sono espressione della società attuale e non sono né migliori né peggiori della stessa. Se la comunità chiede più mercato e più concorrenza, dobbiamo cercare di soddisfare tali esigenze (pena il decesso per mancanza della domanda), cercando di dare un contributo ad una applicazione corretta di tali esigenze. Tutti sappiamo e sosteniamo a parole che il cliente che entra nel nostro studio esige risposte ad una variegata complessità di domande. Se non rispondiamo a tutte è probabile che si rivolga ad altri. Peraltro quando ci si viene a porre problemi di carattere societario è quasi impossibile non avere un supporto anche dal punto di vista finanziario, fiscale e tributario. Qualche anno fa ad un meeting di “Eurojuris” a Bruxelles, un avvocato inglese ci arringò in maniche di camicia (suscitando qualche sorrisetto di meraviglia/compatimento perché allora non erano ancora di moda i maglioncini alla Marchionne e l’uditorio era tutto in giacca e cravatta), dicendoci brutalmente che la struttura della nostra professione era cambiata e che il cliente che entra nel nostro studio non deve più uscirne senza avere avuto risposta a tutte le sue richieste di assistenza o consulenza che riguardino l’applicazione delle leggi dello Stato, civili, commerciali, penali, amministrative, tributarie, ecc.. Altrimenti, una volta uscito, troverebbe un altro studio legale che soddisferebbe tutte le sue esigenze in un unico contesto, con risparmi di tempo e denaro. Le strutture Questa situazione comporta la creazione di studi legali, che abbiano a disposizione adeguate risorse umane per risolvere ogni criticità nascente da una società complessa come la nostra. L’esigenza porta necessariamente alla creazione di organizzazioni strutturate, che possono nascere dall’associazione di vari professionisti del diritto e, eventualmente, di campi affini o, addirittura, di professioni tecniche (ma quest’ultima ipotesi è espressamente esclusa dalla nuova legge forense). Per non perdere il tram, come si dice dalle mie parti, nel nostro paese si è cercato di mantenere l’indipendenza dei singoli professionisti nell’ambito di una struttura più articolata attraverso lo schema dello ‘studio associato’, nel quale i singoli professionisti mantengono la loro indipendenza formale, ma che, peraltro, se troppo piccolo, molte volte non dura nel tempo, rivelando la sua natura effimera eccessivamente legata agli umori (e agli interessi contingenti) degli associati. I grandi studi associati, invece, possono andare incontro a problemi di leader-ship (conflittualità dovuta al venir meno del carisma del o dei soci fondatori) o di carenza di mezzi finanziari per poter mantenere un buon livello di funzionalità. La soluzione delle STP non sembra aver dato risultati concreti (due in tutta Italia?!) e la creazione delle società di capitali ad hoc per gli avvocati, che doveva essere introdotta con un regolamento governativo entro il due agosto, è in mente dei, visto che il governo non ha rispettato la scadenza. Indipendenza e responsabilità In tutti i casi è però indiscutibile che strutture complesse comprimono, se non annullano del tutto, la professionalità degli avvocati perché ne condizionano, più o meno pesantemente, l’indipendenza economica, la libertà di scelta e, di conseguenza, la responsabilità. 7 Per altro verso però è indispensabile che tutti i professionisti, e gli avvocati in particolare, comincino a capire che chi ci chiede di tutelare interessi e diritti, vuole da noi risposte economicamente sostenibili ed efficaci. Poco importa che le nostre siano scelte libere o condizionate da altri professionisti. Basta che i risultati siano positivi, costino poco e, in caso di errori, sia possibile accedere ad un risarcimento adeguato. Ma, allora, se dobbiamo rinunciare a certe caratteristiche importanti (e per alcuni essenziali) che hanno configurato sino ad oggi la nostra professione dobbiamo pretendere in cambio qualcosa. E invece a fronte di una rinuncia certa dobbiamo subire una diminuzione dei ritorni economici e della sicurezza del posto di lavoro. Infatti lo studio/società non ti dà copertura per i momenti di crisi e se il lavoro diminuisce ti lascia a casa senza clienti e senza alcuna tutela economica (per gli avvocati non esistono posto fisso, cassa integrazione, TFR o liquidazione). Né è ipotizzabile che tali coperture le possa dare la nostra Cassa di previdenza, che a malapena con l’attuale livello contributivo riesce a rientrare nei parametri dettati dalla legge per garantire l’equilibrio economico a cinquant’anni. A questo proposito ANF si è sinora inutilmente battuta per dare una risposta concreta al problema sempre più assillante di questi colleghi sans papier. Le resistenze degli studi legali, grandi e piccoli, e la sordità del legislatore hanno messo nel nulla tutti i lodevoli sforzi dell’associazione. Una legge professionale da rimeditare La nuova legge professionale, purtroppo, non risponde alle esigenze che si sono prefigurate per la nostra attività. Sono d’accordo con coloro che hanno sostenuto che è meglio averla che non averla per niente. Ma è altrettanto necessario che vi si ponga mano subito, o direttamente o, se possibile, attraverso i regolamenti di attuazione, per adattarla alle esigenze della professione che è già cambiata da tempo e ancor più sta cambiando. Dove metter mano? 8 Un argomento essenziale da affrontare è quello dell’avvocato dipendente di un avvocato, che non riguarda solo i giovani, ma anche coloro che, non essendo disponibili a gravarsi di tutti gli incombenti della libera professione, preferiscono lavorare per altri avvocati, singoli o in associazione. Non si tratta di stabilire che debbano essere pagati adeguatamente, ma che non si debbano trovare a cinquant’anni senza lavoro, senza clienti e senza tutele assistenziali e previdenziali. Naturalmente in una società che si pretende liberista, pur se le regole ci devono essere, la libertà di determinare sé stessi e il proprio avvenire dev’essere difesa. Il fatto è che devo sapere all’inizio del mio percorso formativo quali saranno le prospettive della carriera scelta. Noi abbiamo favorito almeno due generazioni ad intraprendere la carriera forense. Non abbiamo posto ostacoli all’iscrizione all’università con filtri di qualsiasi genere e all’accesso all’albo con seri esami di selezione. Ora dobbiamo supportare una massa di avvocati, che non è compatibile con l’esercizio della libera professione, ma sarebbe potuta essere assorbita comodamente per servizi legali di alto livello se avessimo curato una preparazione specialistica adeguata. Diceva Franzo Grande Stevens che nella realtà italiana, così normativamente complicata, duecentomila avvocati con una buona preparazione di base, ma con una forte specializzazione in una delle numerose branche del diritto, sono facilmente assorbibili. Il fatto è che tutti (o quasi) fanno la stessa cosa (o quasi). Ecco perché occorre prevedere anche la figura dell’avvocato dipendente, senza violare le libere scelte di ciascuno. Non possiamo consentire che per la difesa di princìpi sacrosanti, ma riconducibili ad un numero limitato di professionisti, si crei una massa di cittadini che lottano ai margini della società, sfruttati e senza avvenire. Altre riflessioni sono rinviate a nuovo ruolo. Carlo Dolci Una vicenda istruttiva Quello che tutti gli avvocati dovrebbero sapere Quest’estate Vittorio Feltri e Pietro Ichino sui rispettivi quotidiani, Il Giornale e Il Corriere della Sera, hanno raccontato le loro grottesche avventure con la burocrazia fiscale italiana. Il primo per pagare tardivamente il bollo dell’auto e il secondo per assolvere ai suoi doveri di erede di un appartamento. Senza pretendere di essere brillante come i due autori citati, anch’io voglio raccontarvi le mie avventure fiscali, anche come controcanto alla notizia, apparsa il 21 ottobre 2013 su tutti i giornali, di un pensionato al quale è stato intimato dall’Agenzia delle Entrate il pagamento di una somma ‘evasa’ nella misura di ‘un centesimo’. E’ il caso di premettere che di tutto quello che scriverò ho la documentazione cartacea e che cercherò di attenermi strettamente ai fatti. Richiesta inquietante Alla fine di maggio del 2012 mi viene notificato un “invito” a restituire entro 15 giorni un ‘questionario’ relativo all’anno di imposta 2008. Mi si chiede in sostanza di depositare i seguenti documenti: “-elenco soggetti assistiti; -in relazione alle cause iniziate e concluse nonché quelle in corso: la materia del contendere e l’area specialistica di riferimento, numero di udienze tenute, foro competente e valore della causa; -copia registro fatture emesse e ricevute; -copia fatture emesse e ricevute; -tariffario praticato; -ogni altra informazione necessaria ritenuta correlata alle precedenti”. Obbedisco, depositando nei termini tutto quanto richiesto compresa copia della Gazzetta Ufficiale con le tariffe forensi del 2004 e, per le cause: numero pratica, data inizio, nome delle parti, oggetto, date delle udienze, valore e data termine, se ultimate. Silenzio sino a dicembre, allorché cominciano ad arrivare, a me ed a mia moglie, comunicazioni da banche, un paio di società quotate in borsa, gestori di carte di credito, fondi di investimento, con le quali i soggetti in questione ci informavano che l’Agenzia delle Entrate aveva richiesto informazioni sui rapporti intercorsi con noi. La cosa non mi preoccupava molto perché nelle banche avevamo conti correnti di servizio o privati di modesta entità, alcuni addirittura estinti per liquidazione della banca. Una certa perplessità suscitavano le comunicazioni di banche con le quali ritenevo di non aver mai avuto rapporti diretti. Ma, sicuro della correttezza dei miei comportamenti fiscali e tranquillizzato per la parte strettamente tecnica dalla mia commercialista, non ci feci molto caso. Risposta a 300 quesiti Non era finita, naturalmente. Alla fine di febbraio (siamo nel 2013) mi arriva per posta un plico verde pallido (il verde riposante dell’Agenzia delle Entrate) di 24 pagine, con un questionario di poco meno di 300 posizioni da chiarire, sempre entro 15 giorni. Il tutto accompagnato dai soliti avvisi (intimidazioni!?): -che se non avessi risposto nel termine indicato mi sarebbe stata applicata una sanzione da 258 a 2065 euro; -che i documenti non presentati ora non avrebbero potuto essere presentati dopo “sia in sede amministrativa, sia in sede di contenzioso”; -che nel prospetto (bontà loro) “non sono state richieste le operazioni di addebito relative ai pagamenti tramite pos e carte di credito, i prelevamenti di contante inferiori ad € 1000,00, nonché i pagamenti spese per deleghe varie, rate di prestiti personali, il pagamento di utenze varie e tutte le movimentazioni fino ad € 100,00)”. Da suddito mugugnante, ma ligio alle leggi e ai regolamenti, ho cominciato a leggermi il questionario e qui è sorto subito il dubbio di non essere in grado di capire il senso di quello che mi si chiedeva. Non di essere capace di dimostrare che tutte le operazioni erano documentate e legittime, ma proprio il perché mi si chiedevano notizie che già erano contenute nella documentazione prodotta. La maggior parte delle posizioni di cui mi si chiedeva conto si riferiva al conto corrente dello studio e quindi le singole voci erano già elencate nella contabilità prodotta e riguardavano il pagamento di dipendenti, collaboratori, abbonamenti, assicurazioni, fornitori, contributi e tasse nonché incassi per fatture emesse. Ho perso tempo, ma non ho incontrato difficoltà a motivare entrate ed uscite, perché tutto era già registrato nella mia contabilità. Alcuni movimenti riguardavano però una banca con cui ritenevo di non aver mai avuto rapporti. Le ricerche nel mio archivio portavano alla luce che detti movimenti riguardavano libretti di deposito per conversioni di pignoramenti e per la gestione di un’eredità giacente. Cioè operazioni effettuate dalle Cancellerie, che poi mi avevano consegnato i libretti per il pagamento delle spese delle procedure, per la riscossione e la consegna del dovuto ai clienti. A chi ha rilasciato un assegno di € 150? A questo punto ho dovuto dedicare il mio tempo a chiarire 35 posizioni del conto corrente intestato a me e a mia moglie in comunione di beni, fra le quali sono presenti tredici bonifici della Cassa di previdenza riguardanti la mia pensione. Se ad un avvocato di 71 anni (nel 2008) vengono accreditate alla fine di ogni mese (e una volta il 15 dicembre) somme di importo simile da una misteriosa Cassa Nazionale Forense di Roma, è del tutto evidente, per il nostro fisco, che bisogna chiedere chiarimenti ed invitare il presunto evasore ad apporre nello spazio apposito la parolina “pensione”. Come è altrettanto necessario che occorra chiedergli di indicare che le somme di circa 1000/1500 euro prelevate agli inizi del mese servono per le spese di casa. Ma ci sono altri misteri da chiarire: a chi sono stati rilasciati nel 2008 assegni di poco superiori ad € 100 e da chi provengono bonifici o accrediti di poche centinaia di euro? E allora via a cercare documenti, fatture, ricevute, matrici di assegni o copie degli stessi per dimostrare che si è pagato il macellaio, l’abbonamento ai concerti, un paio di pantaloni ecc.; oppure che si è avuto un rimborso da un’assicurazione o un bonifico da un parente per le vendita di libri antichi di proprietà comune. E poi: mia moglie a chi ha rilasciato quell’assegno e perché ha fatto un bonifico a favore del conto comune dal suo conto corrente estinto da tempo? Che c’entra mia moglie e il suo conto con me. Ah già, anch’io avevo la firma su quel conto e quindi posso averlo usato per fregare il fisco con un paio di operazioni per un totale inferiore a quattromila euro. Purtroppo il conto è chiuso e la banca incorporata in altra. Nei quindici giorni concessimi non so se riuscirò ad avere copia degli assegni. Anzi non so neppure se riuscirò ad averli mai dalla banca incorporante. E infatti non ci riesco. Speriamo che per questa bazzecola non mi facciano storie. Chi ha effettuato questi bonifici sul conto della figlia? Purtroppo la mia natura prudente è stata ereditata da mia figlia (non potrà dire che non le ho lasciato alcunché), che ha voluto la mia firma sul suo conto corrente. Ecco qui una trentina di voci da spiegare: tutti modesti importi incassati per la sua attività di insegnante e traduttrice e per le sue spesucce. Ma quattro assegni per un totale della bella somma complessiva di circa mille euro sfuggono a qualsiasi ricerca. Si dovrebbero chiedere le copie alla banca, ma la commercialista dice che, nonostante il perentorio limite di 100 euro di cui all’intim(id)azione sopra citata, non è necessario. Ho finito e in marzo, nei termini fissati, deposito il tutto. Tiro un sospiro di sollievo, anche se mi rimane qualche lieve inquietudine per le poche voci non completamente documentate. Inquietudine che si trasforma in costernazione alla fine di giugno quando mi viene notificato un avviso di accertamento di 30 pagine con una sanzione di € 8100. 9 Il provvedimento viene giustificato con la contestazione di 20 operazioni sul conto del mio studio, una sul mio conto privato e una su quello di mia moglie. Il tutto condito con varie considerazioni sulla magnanimità dell’Agenzia delle Entrate, che non ha preso in considerazione le piccole somme, per l’ “appiattimento” delle mie dichiarazioni dei redditi sui valori degli studi di settore e sulla incoerenza dell’incidenza delle spese sui compensi. Lieto fine, ma non per lo Stato La costernazione passa subito, dopo aver constatato che le operazioni sul conto corrente professionale riguardavano somme tutte già contabilizzate per l’acquisto di marche e francobolli e per le spese di studio. Mentre quelle sul mio conto privato e su quello di mia moglie potevano essere giustificate con la produzione di un estratto conto, di una dichiarazione e della fotocopia di un assegno. Naturalmente per contestare tutto ho dovuto spendere un po’ del mio tempo per reperire fotocopie di assegni e dichiarazioni, ma alla fine sono riuscito a presentare nei termini un’istanza in autotutela, che dopo appena un mese dal deposito è sfociata nell’annullamento totale dell’avviso di accertamento. Dalla vicenda emergono alcuni insegnamenti, specie per i professionisti in generale e per gli avvocati in particolare: a) le fatture ai clienti devono essere formulate analiticamente e con riferimento puntuale alla tariffa vigente (parcelle forfetarie vengono interpretate come indizi di evasione); b) di tutti i movimenti sui conti correnti devono essere annotati e conservati i nominativi dei beneficiari e dei bonificanti, evitando nei limiti del possibile prelievi e depositi di contante; c) l’uso di carte di credito o di debito viene ritenuto mezzo adeguato per la tracciabilità dei pagamenti ed è quindi consigliato; d) è meglio avere dichiarazioni dei redditi ‘sinusoidali’ che ‘rettilinee’. La fine positiva della vicenda lascia però aperta la porta ad una domanda inquietante: cosa è costato, a me suddito e allo Stato sovrano, tutto l’ambaradam descritto? Carlo Dolci 10 Giurisprudenza deontologica del C.N.F. Norme deontologiche - Dovere di correttezza e lealtà - Dovere di colleganza Rapporti con la controparte Accordo transattivo Omesso avviso al collega Rapporti diretti di corrispondenza Illecito deontologico. Norme deontologiche – Rapporti con i colleghi – Dovere di segretezza – Comunicazione al collega inizio procedimento nei suoi confronti – Eccezione – Sussiste. Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante l’avvocato che, senza avvisare il collega difensore, contatti direttamente la controparte invitandola ad un incontro per la definizione della controversia, riceva la parte nel proprio studio senza la presenza del difensore non avvisi il collega dell’accordo transattivo raggiunto dalle parti stesse in sua presenza o che intrattenga rapporti diretti di corrispondenza con la controparte assistita da altro legale, senza indirizzare a quest’ultimo copia della stessa. La comunicazione al collega delliniziativa di sporgere querela e di iniziare un procedimento nei suoi confronti non si può considerare una violazione dellobbligo di segretezza, ma anzi la corretta informazione al collega perché possa discolparsi, ricorrere alla bonaria definizione della vertenza, e comunque tutelare i propri diritti. 20 Aprile 2012, n. 60 Norme deontologiche – Dovere di correttezza – Trattenimento somme – Trattenimento documenti – Illecito deontologico. Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante, perché lesivo della dignità e decoro dellintera classe forense, lavvocato che riscuota e trattenga oltre il tempo strettamente necessario le somme liquidate in sentenza in favore di quelle parti dalle quali non abbia ricevuto incarico e che trattenga ingiustificatamente a tal fine i documenti relativi alla pratica. 20 aprile 2012, n. 66 Norme deontologiche – Rapporti con la parte assistita – Divieto di conflitto di interessi – Art.51 comma 1 c.d.f. – Conflitto potenziale – Violazione – Natura interessi – Irrilevanza – Ratio della disposizione – Tutela dell’immagine della professione forense – Durata. Lart.51, canone I, c.d.f. fa espresso riferimento alla fattispecie in cui un avvocato, dopo aver assistito congiuntamente i coniugi in controversie famigliari, assuma successivamente il mandato in favore di uno di essi contro laltro, analoga esigenza di tutela è ravvisabile nellipotesi in cui lavvocato abbia prestato consulenza in vista di una separazione ad uno dei coniugi e, in seguito, abbia accettato il mandato dallaltro coniuge per assisterlo nella medesima separazione, con conseguente operatività, anche in tale ultima fattispecie, del medesimo obbligo di astensione dellavvocato, a prescindere dalla sussistenza di un conflitto di interessi effettivo o meramente potenziale. La ratio della disposizione deve essere individuata, infatti, nella tutela dellimmagine della professione forense, ritenendosi non decorso né opportuno che un avvocato muti troppo rapidamente cliente, passando, senza un adeguato intervallo temporale, di durata biennale, nel campo avverso. 30 aprile 2012, n. 76 Norme deontologiche Dovere di correttezza e probità Rapporti con i colleghi - Espressioni sconvenienti e offensive Illecito deontologico. LAvvocato deve porre ogni più rigoroso impegno nella difesa del proprio cliente, ma tale difesa non può mai travalicare i limiti della rigorosa osservanza delle norme disciplinari e del rispetto che deve essere sempre osservato nei confronti della controparte, del suo legale e dei terzi, in ossequio ai doveri di lealtà e correttezza e ai principi di colleganza. Ai sensi dellart. 20, ult. Parte, c.d.f., la ritorsione o la provocazione o la reciprocità delle offese non escludono linfrazione della regola deontologica posta nella prima parte del medesimo articolo. 30 aprile 2012, n. 88 Norme deontologiche –Illecito disciplinare – Sanzione – Misura. Norme deontologiche Dovere di correttezza e probità Rapporti con i colleghi Espressioni sconvenienti e offensive - Illecito deontologico. Norme deontologiche Principi generali Doveri di competenza e diligenza Attività priva di legittimazione Violazione. In tema di procedimento disciplinare, la sanzione è determinata sulla base dei fatti complessivamente valutati, e non già per effetto di un computo meramente matematico ovvero in base ai principi codicistici in tema di concorso di reati, per i quali la pena per il reato più grave andrebbe aumentata per effetto della continuazione formale ritenuta, cosicché si debba determinare quantitativamente laumento operato sulla pena base per ogni violazione. Va pertanto escluso lobbligo del C.d.O. di collegare le violazioni deontologiche a singole pene, dovendosi invece determinare la sanzione e la misura nel complesso idonea in base alla valutazione complessiva dei fatti, dei comportamenti, delle qualità e soprattutto del disvalore che gli stessi comportamenti determinano nella classe forense. L avvocato deve porre ogni più rigoroso impegno nella difesa del proprio cliente, ma tale difesa non può mai travalicare i limiti della rigorosa osservanza delle norme disciplinari e del rispetto che deve essere sempre osservato nei confronti della controparte, del suo legale e dei terzi, in ossequio ai doveri di lealtà e correttezza e ai principi di colleganza. Ai sensi dellart. 20, ult. Parte, c.d.f., la ritorsione o la provocazione o la reciprocità delle offese non escludono linfrazione della regola deontologica posta nella prima parte del medesimo articolo. Competenza e diligenza costituiscono presupposti impliciti dellattività professionale. Mentre la diligenza, espressamente richiamata anche dalle norme sul mandato, assicura la qualità della prestazione dovuta, la competenza tende ad affermare la legittimazione specifica dellattività professionale richiesta dalla parte assistita. E se lavvocato che svolge il mandato con incuria e mancanza di attenzione viola il principio fondamentale della deontologia forense, intesa come scienza del dovere ovvero come etica professionale, il riferimento alla adeguata competenza contenuto nellart. 12 del c.d.f. consente una valutazione della capacità sostanziale usata dal professionista nei confronti del cliente. Norme deontologiche Rapporti con i colleghi Dovere di riservatezza - Divieto di produzione in giudizio di missiva contenente proposta transattiva Eccezioni Inconfigurabilità. Il divieto di produrre in giudizio la corrispondenza tra i professionisti contenente proposte transattive assume la valenza di un principio invalicabile di affidabilità e lealtà nei rapporti interprofessionali indipendentemente dagli effetti processuali della produzione vietata in quanto la norma mira a tutelare la riservatezza del mittente e la credibilità del destinatario, nel senso che il primo quando scrive ad un collega di un proposito transattivo, non deve essere condizionato dal timore che il contenuto del documento possa essere valutato in giudizio contro le ragioni del suo cliente, mentre il secondo deve essere portatore di una indispensabile credibilità e lealtà che rappresenta la base del patrimonio di ogni avvocato. 20 luglio 2012, n. 100 Norme deontologiche Dovere di correttezza e probità Rapporti con i colleghi - Espressioni sconvenienti e offensive Illecito deontologico. Lavvocato deve porre ogni più rigoroso impegno nella difesa del proprio cliente, ma tale difesa non può mai travalicare i limiti della rigorosa osservanza delle norme disciplinari e del rispetto che deve essere sempre osservato nei confronti della controparte, del suo legale e dei terzi, in ossequio ai doveri di lealtà e correttezza e ai principi di colleganza.(Il Consiglio nazionale forense ha ritenuto di applicare al professionista responsabile di tale addebito la sanzione dellavvertimento in luogo della censura, in ragione considerazione dellassenza di precedenti di natura disciplinare). 20 luglio 2012, n. 105 Norme deontologiche – Rapporti con i colleghi – Violazione dell’obbligo di corrispondere con il collega – Avvertimento. Norme deontologiche –Rapporti con i colleghi –Illecito deontologico – Ipotesi di sussistenza. Procedimento disciplinare Procedimento davanti al C.d.O. Omessa audizione dei testi Validità della decisione. E obbligo deontologico, che discende dai principi generali di correttezza e lealtà verso i colleghi, non prendere accordi con la controparte né comunque partecipare ad accordi intervenuti con la stessa, quando sia assistita da un avvocato, senza che questultimo sia avvertito. Tale obbligo sussiste anche nellipotesi in cui la controparte si impegni ad avvertire il proprio difensore o, addirittura, affermi di averlo già avvertito. Pone in essere un comportamento contrario allobbligo nascente dallart.27 del codice deontologico, il professionista che faccia notificare copia semplice della sentenza che definisca il giudizio nel quale egli stesso è attore direttamente alle controparti costituite e non al Collega che le rappresenti. Invero, trattandosi di copia semplice 11 priva di ogni valenza giuridica processuale e/o negoziale, la notifica ha natura di normale comunicazione epistolare, che, come tale, deve essere indirizzata al Collega per lobbligo di cui al ridetto art. 27. Non determina nullità della decisione lomessa audizione dei testi indicati quando risulti che il consiglio abbia ritenuto le testimonianze insufficienti ai fini del giudizio, per essere il collegio già pervenuto allaccertamento completo dei fatti da giudicare attraverso la valutazione delle risultanze acquisite. nanza iniqua, trattandosi di affermazione che imputa al Magistrato la grave negligenza di aver assunto una decisione senza la previa valutazione degli argomenti risultanti dagli scritti difensivi, con il risultato parimenti imputatogli di aver danneggiato la parte. Va confermata la sanzione della censura comminata al professionista che, in un proprio scritto difensivo,abbia adoperato nei confronti del giudice espressioni di natura sconveniente ed inutilmente offensive. 22 settembre 2012 n. 131 ed offensive Art. 20 C.D.F. Applicabilità Limite. Norme deontologiche Rapporti con i colleghi Dovere di dignità e decoro. Norme deontologiche – Rapporti con i colleghi e con i magistrati – Espressioni sconvenienti ed offensive – Illecito deontologico. Norme deontologiche Rapporti con i colleghi Dovere di riservatezza Applicabilità Divieto di produzione in giudizio di missiva contenente clausola di riservatezza. Norme deontologiche – Principi generali – Dovere di correttezza – Rapporti con la controparte – Rapporti con i colleghi – Uso di espressioni sconvenienti ed offensive in scritti difensivi – Illecito deontologico – Sussiste. Norme deontologiche – Rapporti con i magistrati – Espressioni sconvenienti ed offensive – Illecito deontologico. Norme deontologiche - Rapporti con i magistrati – Espressioni sconvenienti ed offensive – Illecito deontologico. Norme deontologiche Illecito disciplinare Imputabilità Elemento soggettivo Consapevolezza illegittimità condotta Irrilevanza Volontarietà dellazione Sufficienza. Norme deontologiche Inflizione della pena Adeguatezza della sanzione - Questione di costituzionalità dellart. 40 r.d.l. 157/33 in relazione agli artt. 133 c.p. e 3 della Cost. Manifesta infondatezza. Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante l’avvocato che usi espressioni sconvenienti ed offensive nei confronti di terzi. Il limite di compatibilità delle esternazioni verbali o verbalizzate e/o dedotte nellatto difensivo dal difensore con le esigenze della dialettica processuale e delladempimento del mandato professionale,oltre il quale si prefigura la violazione dellart. 20 del c.d., va individuato nella intangibilità della persona del contraddittore, nel senso che quando la disputa abbia un contenuto oggettivo e riguardi le questioni processuali dedotte e le opposte tesi dibattute, può anche ammettersi crudezza di linguaggio e asperità dei toni, ma quando la diatriba trascende sul piano personale e soggettivo lesigenza di tutela del decoro e della dignità professionale forense impone di sanzionare i relativi comportamenti. Va confermata la responsabilità disciplinare, e con essa la sanzione della censura comminata dal C.O.A., del professionista che, nellambito di un tentativo di conciliazione dinanzi alla Direzione provinciale del lavoro ed in presenza di più persone, si rivolga ad alta voce e con tono aggressivo al Collega di controparte ed al suo assistito,così arrecando grave pregiudizio al decoro ed alla dignità dellavvocato. Pone in essere un comportamento disciplinarmente rilevante sotto il profilo della violazione degli artt.5-20 e 22 c.d.f. il professionista che nei confronti della Collega usi espressioni sconvenienti ed offensive le quali non trovino scriminante nella difesa che poteva essere esercitata negli atti di- Pone in essere un comportamento disciplinarmente rilevante lavvocato che usi, in scritti difensivi, espressioni gravemente offensive nei confronti del collega,a nulla rilevando leccezione per la quale lincolpato si sarebbe limitato soltanto a sottoscrivere latto incriminato, in quanto il professionista che sottoscrive atti predisposti da altri ne assume la piena paternità, tanto più che nella specie la reiterazione delle espressioni offensive appare risalire al comportamento dello stesso incolpato. Il diritto di critica nei confronti d i qualsiasi provvedimento giudiziario, fa parte delle facoltà inalienabili del difensore, entro il limite, tuttavia, al di là del quale tale facoltà lascia il posto allobbligo del rispetto della dignità dellinterlocutore. Lindividuazione di siffatta linea di discrimine costituisce il risultato di una valutazione di merito che va condotta caso per caso. Deve ritenersi disciplinarmente rilevante laffermazione del professionista contenuta nel verbale di un procedimento civile che inviti il Giudice a leggere le carte, prima di emettere ordi12 Ai fini della imputabilità dellinfrazione disciplinare non è necessaria la consapevolezza dellillegittimità dellazione, dolo generico e specifico,essendo sufficiente la volontarietà con la quale latto deontologicamente scorretto è stato compiuto. Nellordinamento forense le sanzioni sono previste con una gradualità tale che consente nellapplicazione concreta di tener conto dei criteri di intensità del dolo e della gradualità della colpa. Appare parzialmente fondata, pertanto, la pretesa di riforma in termini più favorevoli della sanzione irrogata alla luce del principio secondo il quale, pur essendo la consapevolezza dellatto sufficiente ad integrare lillecito, lintensità del dolo rileva nella misura della sanzione. 27 settembre 2012, n. 132 Norme deontologiche – Dovere di correttezza e probità Rapporti con i terzi Espressioni sconvenienti ed offensive Illecito deontologico. Norme deontologiche – Rapporti con i colleghi – Espressioni sconvenienti fensivi che le contengono. Il principio di riservatezza ex art. 28 c.d.f. sussiste prima e dopo il giudizio, anche in caso di cessazione e/o successione del mandato e non permette di sottoporre a riesame od interpretazione il contenuto della corrispondenza a fronte dell’apposizione della clausola di riservatezza. 29 novembre 2012 n. 159 Norme deontologiche- Richiesta onorario eccessivo - Violazione art. 43, sub Norme deontologiche – Richiesta onorario eccessivo –Violazione art. 43, sub II, C.D.F. Norme deontologiche Principi di lealtà, dignità,decoro Attività non professionale Violazione. Lavvocato che richieda un compenso manifestamente sproporzionato e comunque eccessivo rispetto allattività documentata,pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante perché lesivo del dovere di correttezza e probità, a nulla rilevando ai fini della responsabilità disciplinare, neanche leventualità che tra il professionista ed il cliente sia intervenuta la transazione della controversia. Lavvocato va considerato un collaboratore della giustizia e la sua condotta, come tale, deve in ogni caso conformarsi a criteri di correttezza, dignità e decoro, anche se il suo comportamento non ha alcuna relazione con lattività professionale. Deve pertanto ritenersi disciplinarmente rilevante la condotta dellavvocato che, avendo rilevanza esterna, incida negativamente sul prestigio, lattività e il decoro dellintera classe forense. 29 novembre 2012, n.160 Norme deontologiche – Rapporti con i colleghi – Dovere di riservatezza – Produzione in giudizio di missiva “ riservata” ricevuta dal collega di controparte – Illecito deontologico. La norma di cui allart. 28 c.d. mira a salvaguardare il corretto svolgimento dellattività professionale, con il fine di non consentire che leali rapporti tra colleghi possano dar luogo a conseguenze negative nello svolgimento della funzione defensionale, specie allorché le comunicazioni ovvero le missive contengano ammissioni o consapevolezze di torti ovvero proposte transattive. Ciò al fine di evitare la mortificazione dei principi di collaborazione. 29 novembre 2012, n. 161 Norme deontologiche Rapporti con i colleghi Espressioni sconvenienti ed offensive Art. 20 C.D.F. Animus iniuriandi Necessità. Va esclusa la violazione dell’art. 20 c.d.f. per carenza del necessario elemento soggettivo dell’animus iniuriandi quanto,come nella specie, non emerga alcun elemento indicativo della volontà dellincolpato di esprimere apprezzamenti negativi in ordine alla personalità ed al patrimonio morale dellesponente, essendosi il professionista limitato alla contestazione oggettiva di un fatto non vero e di un giudizio privo di fondamento. 29 novembre 2012, n.168 Norme deontologiche – Illecito disciplinare –Elemento soggettivo Imputabilità Consapevolezza illegittimità condotta Irrilevanza Volontarietà dellazione Sufficienza. Norme deontologiche Pubblicità attività professionale Limiti Accaparramento di clientela Nozione. Norme deontologiche – Rapporti con i terzi – Divieto di accaparramento di clientela – Illecito deontologico – Effettivo raggiungimento di vantaggi economici – Irrilevanza. Norme deontologiche – Principi generali – Divieto di accaparramento di clientela. Ai fini dellimputabilità dellinfrazione disciplinare non è necessaria la consapevolezza dellillegittimità della condotta (dolo o colpa), essendo sufficiente la volontarietà dellazione che ha dato luogo al compimento di un atto deontologicamente scor- retto, a prescindere dalleventuale finalità dellazione violativa della condotta. Lintroduzione nel nostro ordinamento della normativa nota come Bersani non ha consentito una pubblicità indiscriminata ma solo ed esclusivamente la diffusione di specifiche informazioni sullattività, sui contenuti, sui prezzi e le altre condizioni di offerta dei servizi professionali, al fine di orientare razionalmente le scelte di colui che ricerchi assistenza, nella libertà di fissazione del compenso e della modalità del suo calcolo. Tale libertà di informazione deve peraltro esplicarsi con modalità di diffusione che non si pongano in contrasto con la peculiarità e la specificità della professione forense, in virtù della sua funzione sociale, caratteristiche che impongono le limitazioni connesse alla dignità e al decoro delle professioni: ne consegue, come correttamente valutato nella delibera impugnata, che il disvalore deontologico risiede negli strumenti usati per l’acquisizione della clientela,che non devono essere alcuno di quelli tipizzati in via esemplicativa nei canoni complementari dellart. 19 c.d.f., non devono concretizzarsi nella intermediazione di terzi (agenzie o procacciatori) né, più genericamente, esplicarsi in modi non conformi alla correttezza e al decoro. Viola lart. 8 c.d.f.lavvocato presso il cui studio legale sia ubicata unAssociazione di categoria, così ponendo in essere le condizioni di potenziale accaparramento di clientela, indipendentemente dalla circostanza delleffettivo raggiungimento o di concreti vantaggi economici. Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante lavvocato che fissi un proprio recapito o la sede della sua attività professionale presso uffici di società, agenzie infortunistiche, agenzie di assicurazioni e servizi, società commerciali, associazioni di mutilati ed invalidi civili e comunque Enti o Associazioni che rappresentino categorie di lavoratori e/o professionisti, dei quali ne utilizzi i locali ricevendo anche clienti, usufruisca delle utenze telefoniche e ne indichi il recapito sulla propria carta intestata. Lincrocio, sia pure saltuario, dellattività professionale con le attività sindacali, che si concretizzi nella 13 presenza fisica e nellutilizzo, per fini professionali, dellintera struttura in cui opera ed agisce lassociazione, è sintomatico di un procacciamento di clientela scorretto perché incanalato attraverso mezzi non consentiti e che, quindi, vanno ritenuti deplorevoli, in violazione dei principi di lealtà, dignità e decoro della professione forense. 29 novembre 2012, n.170 Norme deontologiche- Doveri correttezza e lealtà Mandato ad agire penalmente contro collega Omessa verifica consistenza accuse Illecito deontologico Sussistenza. Viola i principi di correttezza e lealtà alla cui osservanza ciascun professionista è obbligato nei comportamenti fra colleghi, liscritto che, assunto un mandato ad agire penalmente contro taluni colleghi, ometta sia di verificare la consistenza delle accuse mosse a questi ultimi, sia di informare il C.O.A. sullattività intrapresa. Invero, se in linea generale il professionista deve sempre effettuare un attento controllo delle carte che gli vengono esibite dal cliente per verificare un effettivo fondamento sull’azione che si intende intentare, ancor maggiore, sempre nel rispetto del mandato affidatogli, deve essere l’approfondimento da svolgere dovendo agire contro dei colleghi. 29 novembre 2012, n. 171 Norme deontologiche –Rapporti con la parte assistita – Inadempimento al mandato – Mancata informazione. Viene meno ai doveri di diligenza, dignità, correttezza e decoro della professione forense lavvocato che non dia corso al mandato ricevuto e ometta di informare il cliente sullo stato della pratica. 29 novembre 2012, n.172 Norme deontologiche Rapporti con la parte assistita Gestione di somme Indebito trattenimento Compensazione- Ipotesi autorizzate Necessità. 14 Lart. 44 del Codice deontologico forense individua i casi in cui il professionista è autorizzato ad operare la compensazione fra le somme che gli siano pervenute in occasione del mandato e i propri crediti professionali. Ove, pertanto, non sussista alcuna delle ipotesi previste, il comportamento tenuto dal ricorrente risulta deontologicamente rilevante anche ai sensi dellart. 41 c.d.f.. 29 novembre 2012, n. 173 Norme deontologiche Dovere di lealtà Autenticazione firma apposta ad altro soggetto Illecito deontologico Sussiste. Vien meno al dovere di lealtà, il professionista che autentichi la firma del cliente sapendola apposta da altro soggetto. 29 novembre 2012, n. 176 Norme deontologiche Dovere di correttezza e probità Rapporti con i colleghi Espressioni sconvenienti e offensive Illecito deontologico. Ai sensi dellart. 20, ult. parte, c.d.f., la ritorsione o la provocazione o la reciprocità delle offese non escludono linfrazione della regola deontologica posta nella prima parte del medesimo articolo. 29 novembre 2012, n. 178 Norme deontologiche – Dovere di diligenza – Remissione querela – Mancato conferimento dell’incarico – Violazione – Sussistenza. Integra la violazione del dovere di diligenza di cui allart. 8 c.d.f. il comportamento dellAvvocato che dichiara di rimettere una querela nellinteresse di un soggetto, affermando contrariamente al vero,dessere munito dei relativi poteri. Laver agito il ricorrente nel sostanziale interesse dellesponente, infatti, perseguendo una transazione risarcitoria in prossimità della prescrizione del reato, non manda esente lo stesso dalla responsabilità disciplinare. 20 dicembre 2012, n. 184 Norme deontologiche – Rapporti con i magistrati – Espressioni sconvenienti ed offensive – Scriminante diritto di critica – Limiti. Norme deontologiche Illecito disciplinare Elemento psicologico Suità della condotta Sufficienza. Ancorché il diritto di critica nei confronti di qualsiasi provvedimento giudiziario costituisca facoltà inalienabile del difensore, tale diritto deve essere sempre esercitato, in primo luogo, nelle modalità e con gli strumenti previsti dallorientamento processuale e mai può travalicare i limiti del rispetto della funzione giudicante, riconosciuta dallordinamento con norme di rango costituzionale nellinteresse pubblico, con pari dignità rispetto alla funzione della difesa .Proprio la giusta pretesa di vedere riconosciuta a tutti i livelli una pari dignità dellavvocato rispetto al magistrato impone, nei reciproci rapporti, un approccio improntato sempre allo stile e al decoro, oltre che, ove possibile, alleleganza,mai al linguaggio offensivo o anche al mero dileggio.Lavvocato, nellambito della propria attività difensiva, può e deve esporre con vigore le ragioni del proprio assistito, utilizzando tutti gli strumenti processuali di cui dispone. A tale ampiezza dei mezzi difensivi si contrappone tuttavia, quale limite invalicabile, il divieto di assumere atteggiamenti o comportamenti sconvenienti e in violazione del codice deontologico forense, che impone al professionista di mantenere con il Giudice un rapporto improntato alla dignità e al rispetto sia della persona del giudicante che del suo operato. Al fine di integrare lillecito disciplinare sotto il profilo soggettivo è sufficiente lelemento della suitas della condotta, inteso come volontà consapevole dellatto che si compie; il dolo, invece, denotando una più intensa volontà di trasgressione del comando deontologico, rileva nella determinazione della misura della sanzione. 27 dicembre 2012, n. 193 Decreto Tribunale di Milano Spese straordinarie – mensa scolastica – assegno di mantenimento – comprese E’ pacifico che la mensa scolastica non riveste alcuna connotazione straordinaria, essendo solo una modalità sostitutiva della voce “vitto” domestico già compresa in qualsiasi assegno mensile. formulate plurime ipotesi e ciò anche per essere emerso nel corso della discussione l’intendimento di promuovere a breve procedimento per la declaratoria di divorzio; premesso, in fatto, che: - con ricorso depositato il __________ ha chiesto a questo Tribunale, in parziale modifica del regime vigente per effetto di precedente separazione consensuale sottoscritta nel luglio 2010 di 1) elevare il contributo dovuto dal padre a favore dei due figli minori da Euro 1.500,00 mensili a 3.500,00 a far Repubblica Italiana tempo dall’assunzione del suo nuovo inIn nome del popolo italiano carico professionale presso la ossia dal mese di Settembre 2011 TRIBUNALE DI MILANO con conseguente obbligo di conguaglio, Sezione IX Civile 2) specificare che l’anzidetto assegno include tutte, e solo, le spese ordinaIl Tribunale, riunito in Camera di Consiglio rie inerenti ai bisogni quotidiani dei finelle persone dei magistrati: gli, con esclusione dunque delle spese Dott. Gloria Servetti Presidente rel. “straordinarie” quali quelle scolastiche Dott. Olindo Canali giudice e d’istruzione, sportive, artistiche e riDott. Paola Ortolan giudice creative, baby sitter ove necessaria, spese tutte da accollarsi integralmente Nel procedimento promosso ex art. 710 al padre, previo accordo, 3) condannare c.p.c. con ricorso depositato il ____2013 il convenuto al versamento in proprio fada ____ rappresentata e difesa per delega vore di un contribuito di mantenimento dall’Avv. _____del Foro di Milano, nonché pari ad euro 1.500,00 mensili, sempre a presso il di lei studio in Milano _______ decorrere dal settembre 2011, 4) elimielettivamente domiciliata nare talune condizioni previste in ordine al regime di affidamento dei figli minori, RICORRENTE siccome non più attuali, 5) disporre CTU nei confronti di _____ di carattere contabile al fine di accertare rappresentata e difesa per delega dall’Avv. l’effettiva posizione reddituale dell’ ob_____del Foro di Milano, nonché presso il bligato, ove la stessa non fosse risultata di lei studio in Milano _____________ sufficientemente chiara in ragione delle elettivamente domiciliata produzioni documentali di carattere fi RESISTENTE scale. Al’udienza tenutasi in camera di consiglio - a sostegno delle proprie istanze la ricoril 27 novembre 2013 ha pronunciato il serente, dopo aver illustrato i motivi per guente i quali si era a suo tempo determinata DECRETO ad accettare condizioni di separazione Sciogliendo la riserva assunta all’esito rivelatesi poi non adeguate nell’interesdell’udienza tenutasi in data odierna; se proprio e dei due figli minori rispetletti gli atti ed esaminata la prodotta docutivamente nati nel 2003 e 2006, ha dementazione; dotto che il marito avrebbe conseguito dato atto che i coniugi non sono riusciti un sensibile incremento della propria in data odierna a pervenire all’auspicata condizione economica per avere nel soluzione conciliativa della controversia settembre 2011 assunto la carica di prenonostante siano state loro dal Collegio sidente del c.d.a. e co-ammministratore delegato “nell’ambito di una delle più importanti aziende a livello mondiale, di produzione e manutenzione di impianti di depurazione e disinquinamento” con una retribuzione lorda annuale di almeno Euro 200.000,00, oltre a vari benefici, rimborsi e stock options, nettamente superiore a quella valutata al momento del perfezionamento degli accordi separativi; - ritualmente notificato l’atto introduttivo, il resistente si è costituito con memoria depositata il 15 novembre disconoscendo la sussistenza di circostanze dotate di valenza innovativa e illustrando le varie voci incidenti sulla sua retribuzione, più consistenti rispetto al passato tali da pressoché compensare l’incremento sottolineato dalla ricorrente; - ha pertanto il _____invocato la conferma della vigente regolamentazione economica e la sola parziale modificazione di taluni profili inerenti alle sue frequentazioni con la prole. Ritenuto in diritto, che: - deve preliminarmente essere rilevata l’inammissibilità delle domande attrici quanto all’invocata decorrenza di ogni provvedimento modificativo da data anteriore alla proposizione del presente ricorso nella specie settembre 2011 laddove l’atto introduttivo è stato depositato nel giugno 2013, atteso che il procedimento volto alla revisione della precedente regolamentazione sia di separazione che di divorzio non può per sua stessa natura operare altro che per il futuro e non è quindi idoneo a modificare un titolo esecutivo già perfetto e operativo medio tempore, così che deve essere esclusa l’insorgenza di eventuali pretese creditorie inerenti al tempo precedente alla pendenza del giudizio; - ciò premesso, la ricorrente ha con dovizia di particolari ripercorso le ragioni in forza delle quali i coniugi pervennero alla stipula delle condizioni necessarie alla separazione consensuale risalente al 2010, ma tale rivisitazione appare 15 del tutto fuor di luogo in questa sede, atteso che il procedimento di modifica ex art. 710 c.p.c. così come quello previsto dall’art. 9 legge n. 898 1970 e successive modificazioni è per sua stessa natura funzionale solo alla verifica della sopravvenienza o meno di elementi di novità rispetto alla precedente regolamentazione, si da consentire al tribunale di procedere a nuove statuizioni volte a ripristinare l’equilibrio per effetto delle stesse venuto meno; - le argomentazioni svolte dalla impongono, ciò nondimeno, di ricordare il contenuto di dette anteriori pattuizioni e di segnalare che a) con la cancellazione sub. 4) i coniugi ebbero a dichiararsi dotati di redditi autonomi, si che “nessun contributo per assegno alimentare o di mantenimento è da loro reciprocamente dovuto”; b) l’assegno per i figli, determinato in Euro 1.500,00 mensili, era espressamente previsto come “comprensivo di tutte le spese ordinarie per il mantenimento dei figli (ad es. spese scolastiche, educative, formative ecc), mentre le parti concordavano sulla suddivisione al 50% delle spese mediche straordinarie non contemplate dalla copertura assicurativa del sig. ____(all’epoca FASI); c) la casa coniugale, di proprietà esclusiva del marito, veniva assegnata in godimento alla moglie in quanto collocataria dei figli minori, ma al punto 9) il marito “prende atto della volontà della signora ____ di voler cambiare abitazione e spostare la casa coniugale presso la residenza di uno degli immobili di proprietà della famiglia della signora ____ nel volgere di circa quattro, cinque anni” con l’effetto che (condizione sub. 11) “una volta eseguito il trasferimento … l’immobile costituente l’attuale casa coniugale sito in Milano ___ tornerà nella piena ed esclusiva disponibilità e godimento del signor ____ ; - tanto premesso, del tutto infondate risultano le doglianze della ricorrente (pag. 7 dell’atto introduttivo) in ordine al fatto che il padre non abbia mai ritenuto di pagare le rette per le scuole private dei figli né i buoni pasto, atteso che nessun dubbio può esservi sul carattere ordinario di dette spese e sulla loro inclusione nel concordato ammontare dell’assegno periodico già al tem16 po, infatti, i figli erano inseriti in istituto privato, almeno non risulta che così non fosse e cha ragioni eccezionali e sopravvenute abbiano consigliato questa scelta dopo il 2010 mentre è pacifico, anche per costante orientamento giurisprudenziale, che la mensa scolastica non riveste alcuna connotazione straordinaria, essendo solo una modalità sostitutiva della voce “vitto” domestico già compresa in qualsiasi assegno mensile; - ma ancor di più, e nel corso dell’odierna udienza emerso in termini incontroversi il fatto che il resistente ha sostenuto esborsi che affatto gli competevano in base al titolo separativo facendosi spontaneamente carico delle spese condominiali anche ordinarie della casa coniugale quantunque assegnata alla moglie e stipulando una polizza assicurativa sanitaria per moglie e figli dopo essersi visto privare della copertura FASI, con ciò mostrando non solo attenzione ai bisogni della famiglia ma anche un’accorta gestione economica di questi ultimi; - venendo ora all’esame delle emergenze documentali destinate nella stessa prospettazione di parte attrice a confermare la circostanza innovativa rappresentata dall’incremento reddituale dell’obbligato, il Mod. 730/2011 attesta per l’anno d’imposta 2010 un reddito complessivo del ___ pari Euro 159.226,00 gravato da una corrispondente imposta netta da Euro 60.116,00 mentre il modello 730/2013 riporta per il 2012 un complessivo di Euro 175.053,00 (con imposta netta di Euro 67.520,00) si che il reddito netto dell’anno della separazione risulta pari ad Euro 99.110,00 mentre quello più recente ammonta a Euro 107.553,00 con un incremento dunque pari ad Euro 8.423,00 (docc. in atti); - a ciò si aggiunga, a prescindere dai rilievi esposti da commercialisti dell’una e dell’altra parte attraverso dettagli che non vengono di norma considerati ai fini qui in discussione, l’elemento non contestato della perdita da parte dell’obbligato dell’assistenza FASI e della conseguente necessità di stipula di polizza assicurativa il cui costo è stato esposto in Euro 3.361,00 annuali mentre i fringe benefits, pure rappresentando un risparmio di spesa piuttosto che un incremento di reddito spendibile, non assurgono - - - - - a livello realmente significativo (Euro 2.112,00); alla luce di tali elementi obiettivi e documentali non è, dunque, dato comprendere come possa la ricorrente fondare la proposta pretesa di modifica del regime vigente volta all’innovativa attribuzione di un assegno per sé di Euro 1.500,00 e a oltre la duplicazione di quello di pertinenza dei figli minori, così pervenendo ad un fisso mensile di Euro 5.000,00 cui aggiungere la totalità delle spese per i minori su quello che ha definito un eccezionale incremento della capacità reddituale del marito mentre è appena il caso di sin da ora sottolineare che quest’ultimo diventa nel gennaio prossimo padre di un altro figlio e sarà dunque tenuto a concorrere anche al suo mantenimento con indubbio aggravio di oneri ed esborsi; e ancora il dichiarato intendimento della ____ di procedere al futuro rilascio della casa coniugale di esclusiva proprietà del coniuge non ha ancora trovato attuazione così che pur non essendo a tutt’oggi decorso l’integrale termine indicato, permane il convenuto nella situazione di indisponibilità dell’unico immobile di sua pertinenza; il ricorso non potrà quindi, sul punto, che essere integralmente respinto; per quanto attiene ai profili relativi al regime di frequentazione tra il padre e i minori è solo necessario escludere la già in precedenza riconosciuta possibilità del ____ di trattenersi presso la casa coniugale, in occasione dei week end di sua spettanza, essendo venute meno le ragioni contingenti che avevano suggerito l’adozione di detto inusuale accordo, mentre qualsiasi ulteriore modifica non risulta confortata da elementi probatori di qualsivoglia spessore e non trova pertanto il Collegio ragioni per intervenire sul contenuto delle originarie pattuizioni; l’integrale soccombenza della ricorrente che non ha peraltro esitato a introdurre anche domanda inammissibile in rito quanto alla decorrenza delle pretese economiche, comporta la sua condanna alla rifusione in favore del convenuto delle spese processuali liquidate secondo criteri dettati dal D.M. n. 140 / 2012 in Euro 1.8000,00 per compensi, oltre accessori di Legge; -si aggiunga che l’iniziativa processuale assunta dalla ____ , basata su un elemento giudicato innovativo ma contraddetto da documenti facilmente acquisibili, finisce con il rivestire finalità esplorativa e così integra una censurabile forma di abuso del processo assumendo una connotazione quantomeno colposa da valere ai sensi e per gli effetti dell’Art. 96 c.p.c.: si noti come affatto isolata giurisprudenza di merito (Trib. Monza sezione III Civile sentenza 19 giugno 2012) abbia ritenuto che “il causare la proliferazione di giudizi che si sarebbero potuti evitare costituisce abuso dello strumento processuale in contrasto con l’inderogabile dovere di solidarietà sociale che osta all’esercizio di un diritto con modalità tali da arrecare un danno ad altri soggetti che non sia inevitabile conseguenza di un interesse degno di tutela dell’agente” e l’abuso debba essere sanzionato con condanna ex art. 96 comma III c.p.c.; - all’indicato titolo reputa il Collegio che la ricorrente debba qui essere condannata al versamento in favore del dell’ulteriore importo di Euro 800,00 in via equitativa determinato. P.Q.M. Il Tribunale definitivamente pronunciando nel contraddittorio delle parti, provvede: 1)Respingere le domande avanzata da _______ 2)In parziale modifica del regime vigente esclude la possibilità che i fine settimana di pertinenza del padre siano da lui trascorsi con i minori nella casa coniugale; 3)Rigetta ogni altra domanda e/o istanza delle parti; 4) Condanna la ricorrente a rifondere il resistente delle spese di lite, liquidate in Euro 1.8000,00 per compensi, oltre ad accessori di legge; 5)Condanna la ricorrente ex art. 96 III comma c.p.c. al versamento in favore del dell’importo di Euro 800,00; 6)Decreto immediatamente efficace ex lege; Così deciso in Milano, in camera di consiglio, il 27 novembre 2013 Si comunichi Il Presidente Dott. Servetti Sanzionato l’avvocato che usa in giudizio contro l’ex cliente le notizie apprese nella vecchia causa Repubblica Italiana In nome del popolo italiano La Corte Suprema di Cassazione Sezione Unite Civili Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. Francesco Trifone – Primo Presidente Dott. Renato Rordorf – Presidente di sezione Dott. Fabrizio Forte - Consigliere Dott. Ettore Bucciante - Consigliere Dott. Antonio Ianniello - Consigliere Dott. Angelo Spirito - Consigliere Dott. Paolo D’Alessandro - Consigliere Dott. Giacomo Travaglino- Consigliere Dott. Stefano Petitti – Consigliere Rel. ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: T.R., rappresentato e difeso da se medesimo, elettivamente domiciliato in Roma, via Udine n. 6, presso lo studio dell’Avvocato Giorgio Luceri; ricorrente contro Consiglio Nazionale Forense, in persona del legale rappresentante pro tempore; Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Bergamo, in persona del Presidente pro tempore; Procuratore Generale presso la Corte Suprema di Cassazione; intimati per la cassazione della Decisione del Consiglio Nazionale Forense, depositata in data 17 settembre 2012 udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28 maggio 2013 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti; sentito l’Avvocato R.T. sentito il P.M., in persona dell’Avvocato Generale Dott. Pasquale Paolo Maria Ciccolo, che ha concluso per il rigetto del ricorso. Svolgimento del processo Con esposto al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Bergamo in data 16 marzo 2007, il dott. G.C. narrava di essere stato assistito nel 2002 dall’Avvocato R.T. in una causa di lavoro contro le cartiere P., avente ad oggetto il suo licenziamento. Riferiva, quindi che, dopo avere assunto la qualifica di direttore della Cassa Edile di … e a seguito di fatti accaduti sul luogo di lavoro, egli era stato querelato da V.A., poi licenziato, il quale, nel corso del conseguente procedimento penale, era stato assistito dall’Avvocato R.T.; che durante il dibattimento dinanzi al Giudice di pace di Bergamo, nel quale egli aveva assunto la qualità di imputato, l’Avvocato R.T. gli aveva rivolto una domanda sui fatti relativi alla causa dell’anno 2002, nella quale il medesimo Avvocato lo aveva assistito; che il suo Avvocato si era opposto alla domanda e il Giudice di pace aveva accolto l’opposizione, in quanto la domanda non appariva conferente con l’oggetto del procedimento. Tanto esposto, il G.C. chiedeva al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati se tale condotta dell’Avvocato T.R. integrasse o meno l’illecito disciplinare di assunzione di incarichi contro ex clienti, previsto dall’art. 51 del codice deontologico forense. L’Avvocato R.T. richiesto di chiarimenti dal Consiglio dell’Ordine, con memoria scritta depositata in data 5 aprile 2007, eccepiva, in primo luogo, che nel 2002 egli aveva svolto attività defensionale a favore del dott. C.G. in due cause e che tale assi17 stenza, in concreto, si era sostanziata nel ruolo di codifensore domiciliatario in entrambe le controversie. Rilevava, poi, che il procedimento penale a carico del C.G. era stato instaurato oltre tre anni dopo le cause in cui egli aveva prestato attività defensionale a favore del C.G. e quindi oltre il termine di anni due previsto dall’art. 51 del codice deontologico forense. Infine, l’Avvocato R.T. eccepiva l’indeterminatezza dell’addebito mossogli, così come formulato tanto in sede di esposizione da parte del C.G. quanto al momento della richiesta di chiarimenti da parte del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, dal quale egli non avrebbe potuto, perciò, adeguatamente difendersi. Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Bergamo, con delibera del 13 giugno 2007, instaurava procedimento disciplinare a carico del T.R., incolpandolo degli illeciti previsti dagli artt. 9, comma primo, canone 1, e 51 codice deontologico forense, per avere utilizzato nel procedimento penale in cui prestava la sua attività di difensore a favore del querelante, sig. V.A. notizie acquisite in ragione di precedente incarico svolto a favore del dott. C.G., proprio nei confronti di quest’ultimo, imputato nel medesimo procedimento penale. Con decisione del 7 ottobre 2009, il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Bergamo, riconosciuto l’Avvocato R.T. responsabile degli illeciti a lui ascritti, applicava la sanzione della censura. Il Consiglio dell’Ordine riteneva che la circostanza del precedente licenziamento subito dal C.G., fosse nota all’incolpato in virtù dell’attività defensionale da lui svolta nel 2002, e che la domanda rivoltagli durante il processo penale fosse stata fatta allo scopo di denigrare il proprio ex cliente, utilizzando fatti conosciuti a causa della difesa precedentemente svolta, e violando gli obblighi di segretezza, riservatezza, correttezza e fedeltà posti alla base della professione forense. Avverso detta decisione, l’Avvocato T.R. ha proposto gravame al Consiglio Nazionale Forense, deducendo la nullità della decisione per indeterminatezza del capo di incolpazione; l’infondatezza della incolpazione, nella parte in cui era incentrata sulla questione del licenziamento disciplinare, non conosciuta né conoscibile da parte sua, avendo la causa del 2002 ad oggetto 18 un licenziamento per motivo oggettivo; l’insussistenza di condotte disciplinarmente rilevanti, atteso che i fatti del 2002 erano stati divulgati da organi di stampa, senza che, quindi, alcuna violazione degli obblighi di segretezza e riservatezza potesse essere a lui ascritta; l’eccessività della sanzione: quand’anche lo si fosse ritenuto responsabile, le caratteristiche del fatto imponevano un contenimento nel minimo della sanzione da irrogare. Il Consiglio Nazionale Forense, con decisione depositata in data 17 settembre 2012 e notificata in data 15 novembre 2012, rigettava i primi tre motivi di gravame e accoglieva il quarto. Il Consiglio Nazionale Forense riteneva innanzitutto infondato il primo motivo, dal momento che l’incolpazione, così come formulata dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Bergamo, rispondesse ai requisiti indicati dall’art. 47 r.d. n. 37 del 1934, essendo chiaro al destinatario il contenuto della stessa, dalla quale egli, comunque, era stato in grado di difendersi, evidentemente perché la formulazione dell’addebito lo aveva messo in grado di conoscere le accuse mossegli. Il CNF riteneva poi infondato il secondo motivo perché lo stesso Avvocato T.R. negli atti del dibattimento, aveva fatto riferimento al fatto che la causa del 2002 aveva ad oggetto un licenziamento disciplinare, sicchè la natura disciplinare del licenziamento doveva ritenersi provata sulla base non solo degli atti, ma anche delle stesse ammissioni dell’incolpato. Quanto al terzo motivo, il CNF rilevava che la circostanza che anche la stampa avesse dato notizia dei fatti riferiti alla causa del 2002, se valeva a ridurre la gravità dell’illecito disciplinare, non valeva ad escludere la sussistenza di perduranti obblighi di segretezza e riservatezza che, comunque, l’Avvocato T.R. aveva violato. Il CNF accoglieva infine il quarto motivo, sostituendo la sanzione della censura con quella meno grave dell’avvertimento, sulla base del rilievo che la diffusione della notizia del licenziamento a mezzo stampa aveva determinato una riduzione della offensività della condotta. Per la cassazione della decisione indicata in epigrafe, l’Avvocato R.T. ha proposto ricorso sulla base di tre motivi. Gli intimati non hanno svolto attività difensiva. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Con il primo motivo di ricorso, l’Avvocato R.T. deduce violazione dell’art. 47 r.d. n. 37 del 1934, insufficienza della motivazione e violazione degli articoli 112 cod. proc. Civ. e 24 Cost., per l’indeterminatezza del capo di incolpazione, che ha determinato una lesione del diritto di difesa nel procedimento disciplinare a suo carico, nonché per l’insufficiente motivazione con cui il Consiglio Nazionale Forense ha confermato la decisione del Consiglio dell’Ordine, sul punto relativo alla eccezione, tempestivamente formulata in primo grado, di indeterminatezza del capo di incolpazione. In particolare, il ricorrente si duole per la genericità del capo di incolpazione perché in esso si faceva riferimento ai fatti del 2002, mentre in quell’anno egli aveva prestato la propria attività defensionale a favore del dott. C.G. in due cause e nessuna delle due aveva ad oggetto un licenziamento disciplinare. 1.1 Il primo motivo di ricorso è infondato. Premesso che “nel procedimento disciplinare a carico degli esercenti la professione forense, la contestazione degli addebiti non esige una minuta, completa e particolareggiata esposizione dei fatti che integrano l’illecito, essendo, invece, sufficiente che l’incolpato, con la lettura dell’imputazione, sia posto in grado di approntare la propria difesa in modo efficace, senza rischi di essere condannato per fatti diversi da quelli ascrittigli” (Cass., S.U., n. 21585 del 2011), e che “l’indagine volta ad accertare la correlazione tra addebito contestato e decisione disciplinare non deve essere effettuata alla stregua di un confronto meramente formale perché, vertendosi in tema di garanzie e di difesa, la violazione di detto principio non sussiste allorché l’incolpato, attraverso l’iter processuale, abbia avuto conoscenza dell’addebito e sia stato posto in condizione di difendersi” (Cass., S.U., n. 10014 del 2001; Cass., S.U., n. 5038 del 2004), deve rilevarsi che la decisione impugnata si è attenuta, con valutazione in fatto adeguatamente motivata, e perciò insindacabile in questa sede, all’indicato principio. Il Consiglio Nazionale Forense ha infatti rilevato che: a) nell’esposto del C.G., comunicato all’Avvocato R.T., si faceva riferimento a “fatti riferiti nella causa del 2002”; b) nel capo di incolpazione si faceva riferimento all’utilizzo di notizie acquisite in ragione del precedente rapporto professionale, indicato come “una questione di lavoro conclusasi nel 2002”; c) l’incolpato aveva potuto agevolmente difendersi nel merito, essendosi sin dall’inizio della vicenda intrattenuto su una domanda non ammessa dal giudice del dibattimento penale contro il C.G. dapprima affermando che essa non aveva alcuna relazione con i fatti conosciuti nella qualità di difensore (nota del 3 aprile 2007), poi sostenendo che le notizie relative al licenziamento del C.G. erano di pubblico dominio e, infine, al dibattimento, confermando, dopo che il teste G. aveva riferito che il medesimo Avvocato R.T. aveva chiesto all’imputato “se ricordo bene se fosse stato fatto oggetto di provvedimenti disciplinari”, di avere chiesto se il C.G. “avesse avuto dei procedimenti disciplinari a suo carico”, con la precisazione che la domanda “era intesa a valutare le circostanze di cui all’art. 133 c.p.”. Orbene, a fronte di una così articolata motivazione in ordine al fatto che l’incolpato aveva avuto modo di comprendere i fatti oggetto della contestazione e di difendersi nel merito dalla stessa, il ricorrente ribadisce l’eccezione di indeterminatezza della formulazione del capo di incolpazione. In particolare, la censura di indeterminatezza si appunta sul rilievo che nell’anno 2002 egli aveva assistito il C.G. in due cause, sicchè il riferimento alla causa del 2002 non sarebbe stato idoneo a evidenziare il fatto oggetto della contestazione. Ma a tale censura è agevole replicare che, come già rilevato, nella decisione impugnata si è evidenziato come nel capo di incolpazione si facesse riferimento all’oggetto della causa del C.G. come relativa ad un “rapporto di lavoro concluso nel 2002”, sicchè deve escludersi la denunciata incertezza, essendo chiaramente conoscibile, per l’incolpato, quale delle due cause fosse oggetto di contestazio- ne. Del resto, lo stesso ricorrente (pag. 3 del ricorso, punto 1), riferisce che nella sua nota in risposta all’esposto presentato contro di lui ebbe a affermare “di avere assistito C.G. in due cause, una di lavoro e una civile intraprese dal predetto contro la società di cui era stato dipendente”, con il che sostanzialmente riconoscendo che non poteva essere dubbio a quale delle due controversie l’esponente di riferisse. 2. Con il secondo motivo il ricorrente censura il provvedimento impugnato per omessa e insufficiente motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia, nonché per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per avere il Consiglio Nazionale Forense ritenuto provata la natura “sostanzialmente disciplinare” del licenziamento di cui in causa, in presenza di un dato oggettivo contrario, ovvero la natura non disciplinare del licenziamento, avvenuto per giustificato motivo oggettivo. In particolare, il Consiglio Nazionale Forense, con motivazione lacunosa e contraddittoria, avrebbe ritenuto provato un fatto pur in presenza di elementi che dimostravano il contrario, con ciò contravvenendo anche all’art. 112 cod. proc. civ., risultando la decisione viziata da ultrapetizione, rispetto al carattere disciplinare del licenziamento, in ordine al quale il Consiglio Nazionale Forense non poteva e non doveva pronunziarsi. 2.1. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato. La motivazione addotta dal Consiglio Nazionale Forense per rigettare il secondo motivo di gravame, rispetto al quale il secondo motivo di ricorso per Cassazione si pone in linea di continuità per le questioni affrontate, fa riferimento alla natura “sostanzialmente disciplinare” del licenziamento del C.G.. Il ricorrente censura la logicità di questo punto della motivazione, relativamente all’avverbio “sostanzialmente”: un licenziamento come quello del C.G. non potrebbe essere “sostanzialmente” disciplinare, semplicemente perché non era stato un licenziamento disciplinare, ma fondato su motivi oggettivi. In proposito, si deve rilevare che, contrariamente a quanto affermato dal ricor- rente, il quale sostiene che la causa di lavoro di cui era stato parte il C.G. aveva ad oggetto un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, dal provvedimento impugnato emerge che il detto licenziamento era stato “in tronco”. Si legge, infatti, a pag. 3 della decisione del Consiglio Nazionale Forense, che nella nota in data 25 settembre 2007, l’Avvocato R.T. aveva riferito che “le notizie del licenziamento in tronco dell’esponente ad opera di Cartiere P. s.p.a. erano di pubblico dominio tra i dipendenti della Cassa Edile e che comunque ne avevano parlato i giornali”. Orbene, deve escludersi che il Consiglio Nazionale Forense sia incorso nel denunciato vizio, atteso che il riferimento al licenziamento in tronco evoca il concetto di giusta causa, e cioè l’esistenza di una condotta del lavoratore tale da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro. Si afferma, infatti, nella giurisprudenza di questa Corte che “la giusta causa di licenziamento deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e, in particolare, dell’elemento fiduciario, dovendo il giudice valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi e all’intensità del profilo intenzionale, dall’altro, la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, per stabilire se la lesione dell’elemento fiduciario, su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro, sia tale, in concreto, da giustificare la massima sanzione disciplinare” (di recente, Cass. n. 15654 del 2012). In tale contesto, l’affermazione contenuta nel provvedimento impugnato, secondo cui la domanda rivolta dall’Avvocato T.R. al suo ex assistito in ordine alla esistenza di provvedimenti disciplinari a suo carico doveva intendersi come riferita alla vicenda di lavoro nella quale il T.R. aveva svolto il ruolo di difensore, sicchè questi aveva una soggettiva convinzione che si trattasse di un licenziamento disciplinare, non risulta né illogica né contraddittoria. Del resto, e la circostanza non risulta avere formato oggetto di specifica contestazione da parte del ri19 corrente, nel provvedimento impugnato si trae argomento circa la consapevolezza del ricorrente che il licenziamento oggetto dell’unica causa di lavoro del 2002 fosse sostanzialmente di natura disciplinare dal rilievo che “dal verbale dell’udienza dibattimentale dinanzi al Consiglio dell’Ordine (…) l’incolpato ha appunto dichiarato che la causa di lavoro riguardava il licenziamento di natura disciplinare”. 3. Con il terzo motivo l’Avvocato R.T. deduce violazione degli articoli 9 e 51 codice deontologico forense, nonché vizio di motivazione, per avere il Consiglio Nazionale Forense ritenuto la sua condotta lesiva dei beni giuridici tutelati dalle dette norme, nonostante la diffusione delle notizie relative ai fatti di causa a mezzo stampa avesse impedito qualsivoglia pregiudizio alla segretezza e alla riservatezza. 3.1. Il motivo di ricorso è inammissibile. Il ricorrente non svolge alcun riferimento alla motivazione con cui il Consiglio Nazionale Forense ha rigettato il terzo motivo di appello, ma si limita a riba- dire il proprio convincimento della non configurabilità dell’illecito contestato in una situazione in cui il professionista divulghi una notizia relativa ad un proprio assistito ove tale notizia sia già stata diffusa dalla stampa. In realtà, il Consiglio Nazionale Forense ha avuto modo di precisare che l’art. 51 codice deontologico forense tutela un bene giuridico ulteriore rispetto alla mera esigenza di non far conoscere all’esterno fatti personali, che l’avvocato difensore apprenda per ragioni legate all’esercizio della sua professione. L’art. 51 citato pone, infatti, anche un “irrinunciabile presidio” al rapporto che intercorre tra avvocato ed assistito, tale da impedire all’avvocato di divulgare e/o comunque adoperare in maniera scorretta informazioni che, a prescindere dal fatto che siano o no ancora sconosciute all’opinione pubblica, comunque non possono essere rivelate da chi, per doveri inerenti alla professione svolta, non può comunque rivelarle. In ogni caso, il Consiglio Nazionale Forense ha ritenuto altresì che il riferimento alla natura sostanzialmente disciplinare del licenziamento doveva ritenersi escluso dall’ambito della diffusione della notizia inerente il licenziamento stesso. La censura, quindi, è inammissibile perché il ricorrente, nel riproporre una censura già formulata con i motivi di appello, non ha preso in esame la motivazione della decisione impugnata, nella parte in cui segnatamente, il Consiglio Nazionale Forense ha provveduto a rigettare detta censura con la richiamata motivazione. 4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Non vi è luogo a provvedere sulle spese non avendo l’intimato Consiglio dell’Ordine svolto attività difensiva. dal dubbio che invece molti di noi, oltre che avvertire in proprio i morsi della recessione, si sforzano di ricondurre a ragionevolezza i contendenti, convincendoli come sia investimento del tutto sbagliato l’affrontare i costi di un giudizio, specie se lungo e tormentato. E’ lecito peraltro il domandarsi da dove derivi l’ opinione in senso diametralmente opposto, tanto pervicace, quanto diffusa. Indubbiamente da un retaggio del passato, per molti versi superficiale e qualunquistico. Esiste infatti un antico proverbio in dialetto di Lecco e dintorni che, facendo leva sulla quasi comune desinenza tra i sostantivi “topo” (ratt) e “avvocato” (avucatt), afferma come, in definitiva, si trovi meglio un topo in bocca al gatto rispetto ad un uomo nelle grinfie di un avvocato. Si può sradicare questo pregiudizio? Non è facile, ma per raggiungere lo “scopo” esiste, secondo me, un unico cammino e cioè quello del costante comportamento, da parte di tutti noi, rigorosamente ispirato ai canoni deontologici e, mi vien da dire, di solidarietà umana. Si potrà obiettare che trattasi di una ricetta scontata, quasi retorica. Benissimo: si dica allora, per favore, quale debba essere la strada alternativa, idonea al raggiungimento del “risultato”. A proposito: quando parlo di “scopo” o di “risultato” intendo quello di persuadere definitivamente i non addetti ai lavori che la sorte del roditore tra le fauci del felino, anche se domestico, è ben più misera e tragicamente segnata di quella di coloro che entrino … in uno studio legale. PER QUESTI MOTIVI La Corte, pronunciando a Sezioni Unite, rigetta il ricorso. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte suprema di cassazione, il 28 maggio 2013. Per Voi... “Per voi va sempre bene!” A quale legale non è capitato, in questo periodo di crisi, dura e interminabile, il sentirsi pronunciare, da parte di amici o conoscenti, la frase sopra virgolettata o altra di simile contenuto? Le parole, si sa, sono sempre o quasi l’espressione di un convincimento interiore, in questo caso quello per cui gli avvocati prosperano, quando le difficoltà economiche esacerbano gli animi e rendono quindi le persone più intransigenti e litigiose. Insomma saremmo sciacalli o avvoltoi, per non dire iene. Il cosiddetto “uomo della strada” mostra dunque di nutrire ben poca fiducia e stima della nostra categoria, se ritiene veramente che possa arricchirsi sulle disgrazie altrui. Chi pensa così, non è sfiorato neppure 20 Enrico Rigamonti Lettera idealmente indirizzata all’Avv. Andrea Durastante Ciao Andrea, lo scriverti, sia pure idealmente, mi costa molto in termini di impegno emotivo, sia per la repentinità della tua scomparsa, sia per la più che probabile complessità della vicenda umana che, in definitiva, l’ha determinata. Sei stato tra di noi colleghi per non molto tempo e, pertanto è pressoché impossibile, almeno per me, riportare episodi significativi di vita professionale, aneddoti o angolature del tuo carattere o del porsi nel Foro da parte tua. Ti ho però avuto come avversario in qualche occasione e non indulgo ora a cerimonie, se ti riconosco rigore, impegno e competenza. La tua storia mi fa tuttavia rammentare un concetto scontato, banale, si potrebbe persino dire, ma, a mio avviso, troppo spesso dimenticato. Non si considera cioè a sufficienza che, dietro ogni figura o mestiere, comunque atteggiati, v’è un uomo o una donna con le proprie gioie, dolori, ansie e tormenti . Quando un nostro simile che ci è stato vicino, magari proprio nella quotidianità del lavoro, se ne va tragicamente, è normale e giusto chiedersi se avremmo potuto aiutarlo e se il non averlo fatto debba essere adesso fonte di rimorso o di auto rimprovero per chi resta. V’è però un’altra domanda di fondo, parimenti legittima e purtroppo, credo, senza risposta: come si sarebbe potuto fare? Come aiutare cioè, come scuotere chi si Viaggio nella storia della musica Storia di un Re: l’organo la parola organum. In ogni caso l’immagine è per noi un’importante fonte d’informazioni. Si distinguono chiaramente le canne metalliche a forma d’imbuto, le loro bocche e le manopole dei tiranti corrispondenti alle note e posizionate sotto la canna stessa. Lo strumento sembra a due registri di otto note e, alle estremità, sono presenti dei bordoni, vale adire canne che suonano continuamente. Un personaggio riccamente abbigliato cerca di appendere un organo a un albero. Questa miniatura illustra l’ingenua interpretazione del salmo 137: “In salicibus in medio eius suspendimus organa nostra”. È doveroso spiegare che nel Medioevo la parola organo viene usata in vari sensi. Per questo gli scritti non sono sempre perfettamente chiari per quanto concerne Nell’articolo precedente abbiamo visto come la fine dell’Impero Romano coincise con la fine dell’utilizzo dell’organo nel mondo occidentale, mentre questo strumento proseguiva la sua evoluzione presso l’Impero d’Oriente. L’organo bizantino divenne presto uno dei simboli della Corte imperiale. Ciò si deve al fatto che la maggior parte degli dibatte nell’angoscia e sta esserne sopraffatto, se non si conosce a fondo il motivo di ciò, perché relegato e conchiuso nelle pieghe del suo animo? Dove sta dunque - ci deve interrogare a corollario - il confine tra una giusta ingerenza nella vita di chi si stia facendo del male ed il rispetto della sua individualità e delle sue libere scelte? Questioni difficili, ma autentiche: non quindi pomposi artifici retorici, attraverso cui celare la propria inettitudine o una colpevole inazione. Me le pongo, ti confesso, quando, ogni tanto, mi fermo sulla tua tomba. Nella foto sorridi sereno e probabilmente- lo spero, anzi lo credo, sia pure con grande rispetto e pudore - non si tratta solo dell’istantanea di un momento isolato nel tuo percorso terreno, bensì la rappresentazione di uno stato che ora vivi … in perpetuo. Enrico imperatori era amante dell’arte e, in particolare, della musica, secondo una ben nota vocazione ellenistica che caratterizzò per quasi un millennio l’Impero Bizantino. Diverse sono le testimonianze che ci sono pervenute riguardo all’impiego dell’organo in Oriente. Giuliano L’Apostata1 (361 – 363) compose un epigramma sull’organo, mentre si racconta che la follia di Giustiniano II (565 – 578) sarebbe stata combattuta con successo dall’organo, di cui egli ascoltava i suoni giorno e notte. Teofilo (839 – 842) fece costruire due nuovi organi in oro, 1. Giuliano (lat. Flavius Claudius Iulianus) l’Apostata. Imperatore romano (Costantinopoli 331 d. C. - Maranga, presso Ctesifonte, Persia, 363), figlio di Giulio Costanzo e di Basilina. Scampato insieme al fratellastro Costanzo Gallo alle stragi di Costantinopoli del 337, di cui furono vittime il padre e la maggior parte dei parenti, G. fu educato a Nicomedia sotto la guida del vescovo Eusebio, e poi, insieme al fratellastro Gallo, nella villa imperiale di Macellum in Cappadocia, dove passò sei anni sotto una severissima vigilanza: studiò filosofia e retorica e fu educato alla fede cristiana. Ritornato alla corte di Costantinopoli, subì l’influenza di Libanio e specialmente di Massimo, un neoplatonico taumaturgo; si allontanò quindi dal cristianesimo, maturando una concezione religiosa ispirata all’antico politeismo e al misticismo neoplatonico. 21 sontuosamente ornati con pietre preziose, “come alberi d’orati che portano uccelli cantori nelle loro fronde”. Suo figlio Michele III (843 – 867) figura alquanto grottesca tanto da essere soprannominato l’ubriaco, dopo aver dilapidato l’eredità paterna fece fondere gli organi d’oro per battere moneta. Basilio I (867 – 886) divenuto reggente nell’866 e, più tardi, dopo l’assassinio di Michele III, Imperatore, fece ricostruire immediatamente questi organi come prima manifestazione della sua potenza imperiale e suo simbolo. Nel Natale dello stesso anno fece suonare l’organo durante un banchetto offerto ai suoi prigionieri di guerra arabi. Uno di loro, Harun Ben Jahja descrive l’avvenimento: “Si fanno entrare i Musulmani. Vivande calde e fredde a profusione fanno bella mostra di sé sulla tavole. Allora l’araldo annuncia: “Sulla testa dell’Imperatore giuriamo che nessuna di queste vivande contiene carne di porco”. Il pranzo viene servito su piatti d’oro e d’argento. Poi viene portata una cosa, essa si chiama al urgana. È formata da una cassa quadrata di legno, simile a una pressa per l’olio, coperta da una solida pelle. Vi sono canne di rame le cui punte [testo mancante…] Queste canne sono ricoperte di cuoio dorato in modo che non si possa distinguere quasi nulla. Ogni canna è un po’ più lunga di quella vicina e sul lato di questa cassa è stato praticato un foro al quale è stato adattato un mantice simile a quello dei fabbri 2. Arrivano quindi due uomini che azionano il mantice, mentre il maestro si alza e suona lo strumento. Ogni canna canta una lode all’Imperatore, mentre gli invitati sono seduti e mangiano”. La descrizione di Harun Ben Jahja m’induce a descrivere, brevemente, l’impiego dell’organo presso i paesi arabi. Nel 450, Isacco d’Antiochia si lamentava, in un poema in siriaco, del rumore spaventoso che la notte regnava in città. Davanti alle case signorili risuonavano le cetre, le lire e gli hydraulos che dominavano di gran lunga tutti gli altri strumenti e il canto. L’hydraulos, malgrado il nome, era però ormai quasi esclusivamente alimentato da mantici e non dall’acqua. Ritroviamo l’organo in Siria, molto diffuso soprattutto come strumento da strada. Successivamente, da questo paese di cultura ellenistica, si diffuse nei paesi musulmani, in particolare nei 22 califfati di Cordova, del Cairo e di Bagdad. La corte di Bagdad conobbe il suo apogeo a cavallo tra l’VIII e il IX secolo. Di quest’epoca ci sono pervenute le traduzioni, in arabo, di diversi testi greci, ad esempio proprio gli Pneumatica di Erone, di cui il testo originale greco è andato perduto. Molti dizionari arabi menzionano l’hydraulos e da queste informazioni possiamo dedurre che: 1) Esisteva un organo detto “ordinario”, simile a quello bizantino, adibito all’uso nelle corti principesche. Nel 1260 Shin Tzu, imperatore di Cina, ricevette un organo dai reami musulmani di Bagdad. Un cronista cinese riferisce che lo strumento, alto 150 cm e largo 100, era provvisto di 90 canne divise in 6 registri accordate secondo la gamma3 araba. I cinesi lo riaccordarono però secondo la loro gamma. 2) Nel 960 il siriano Josna bar-Bahbul distingueva due specie d’organo: uno simile a quello di Bisanzio e l’altro mol- Fig. a: Un organo bizantino, tratto dall’obelisco di Teodosio del IV secolo d. C.. Due uomini sono addetti alle canne e due ai manlici. Fig. b: Un organo idraulico del VI secolo raffigurato nel salterio di Utrecht. Quest‘organo funzionava su principio simile a quello ideato da Ctesidio 800 anni prima. to diverso il cui suono era maggiore. Quest’ultimo fu descritto anche da un certo Muritos4. Il libro dello strumento che si ode a sessanta miglia descrive un apparecchio enorme che poteva produrre il suono del corno. Era utilizzato per scopi militari e si serviva, in questo caso, del potente mantice idraulico di Ctesibio. La sua enorme pressione alimentava canne alte nove metri5. 3) Si parla spesso del Magrepha, uno strumento leggendario, che sembra avere un’origine comune con l’organo di Muristos. È citato nel Talmud di Babilonia6. 4) Come Bisanzio anche Bagdad conosceva gli alberi degli uccelli cantori. Nel 917 la corte di Bagdad ricevette un’ambasceria dell’Imperatore di Bisanzio e 2. Evidentemente non si tratta più della macchina idraulica descritta da Erone e da Vitruvio perché ora lo strumento è alimentato da mantici. 3. Gamma è qui sinonimo di scala, la lettera “G” nella musica della Grecia antica indicava il suono di partenza della scala musicale. 4. Questo nome è citato per la prima volta nell’850 e le sue opere ci sono pervenute attraverso Ibn al Nadi (988). Muristos avrebbe costruito un organo per un “re dei Franchi degli interni” che non è possibile identificare. 5. Fino al XIII secolo i testi parlano di questo enorme strumento “che si ode a sessanta miglia”. 6. Il Talmud babilonese detto anche Talmud Bavlì, è stato scritto nelle accademie rabbiniche della Mesopotamia tra il III e il V secolo d.C. Per quanto concerne il Magrepha si è sempre sostenuto si trattasse di un organo usato anticamente nel Tempio di Gerusalemme. Chi sostiene questa ipotesi dice che questo strumento si udiva dal Monte degli Ulivi e addirittura da Gerico. Niente però prova questa supposizione. quest’avvenimento fu riferito nei particolari: un albero d’argento di 500.000 dirhams (circa 1400 kg) si erge in mezzo allo stagno e si ripartisce in diciotto rami multicolori. Uccelli d’oro e d’argento si muovono e cantano musiche meravigliose. Questa macchina prodigiosa è ancora celebrata da un poeta francese del XII secolo. A Bagdad e a Damasco l’organo di palazzo divenne presto un automa da musica, un orologio a carillon. Questi strumenti funzionavano grazie al mantice di Ctesibio e non erano per nulla sconosciuti in Occidente7; erano tuttavia strumenti da “Mille e una notte” e stupivano i nostri antenati come l’organo bizantino stupiva gli Arabi. Il saggio Abu’l-Faraj al-Isfahani, morto nel 967, descrive, nel suo trattato di canto, una scena che si è svolta tra l’813 e l’825. «“Un giorno, Isma’il ibn al-Hadi si presentò da AlMa’mun, perché una musica aveva attirato la sua attenzione. Al-Ma’mun gli domandò: “Cosa volete?”. Quello rispose: “Ho udito qualcosa che mi ha sconvolto. Fino ad ora ho combattuto all’idea che l’organo bizantino (Urgan al-rumi) possa far morire di voluttà. Oggi invece posso testimoniare che ciò è vero”.» Iniziale del salmo “Beatus vir…” nel Codice IV ms. 24 (=Cim 15) fol. 2r, Biblioteca dell’Universita di Monaco. Vi sono rappresentati quasi tutti gli strumenti del XIII secolo. I più importanti tra essi sono la ghirlanda, il salterio e il flauto traversiere (nell’anello superiore della B, l’organo e i campanelli (nell’anello inferiore). L’accostamento di questi ultimi è molto frequente nelle illustrazioni del medioevo. Tre portavento vanno dal conflatorum (serbatoio che i mantici riempiono) al somiere; essi alimentano rispettivamente i bassi, il medio registro e gli acuti. Due monaci si occupano dei tiranti che fanno suonare le canne. Ma torniamo all’Impero Bizantino. Sotto Costantino VII (944 – 959) non c’erano meno di quattro organi alla corte di Costantinopoli. Due, decorati in oro, erano riservati all’Imperatore, mentre almeno altri due, meno sontuosi ma decorati comunque in argento, erano per gli Azzurri e per i Verdi, i due partiti politici nati in seno alle tifoserie dell’Ippodromo. Nel 946, durante un pranzo in onore di un’ambasceria saracena, cantori nascosti da tende rallegravano gli ospiti mentre alla presentazione di ogni nuovo piatto risuonava una fanfara d’organo. Costantino, molto attivo in campo culturale e autore di diversi trattati, scrisse un libro anche sulle cerimonie presso la corte bizantina da cui noi possiamo attingere numerose notizie sull’organo e sul suo utilizzo, non solo presso la corte imperiale. Ad esempio sappiamo che la Chiesa non ha mai gradito l’organo durante la Liturgia e, in effetti, anche oggi, nel Rito Ortodosso, non è permesso l’uso di alcuno strumento musicale. A questo proposito è doveroso ricordare che San Giustino (103 – 168) bandì dalla Liturgia tutti gli strumenti musicali perché, come molti dei padri della Chiesa, li riteneva nefasti. Ciò nonostante Origene d’Alessandria8 (185 – 253) ebbe una visione simbolica di questo strumento musicale e, nel suo commento al salmo 150, paragonò la Chiesa di Dio a un grande organo: “Essa raduna in sé tutti gli elementi tanto contemplativi quanto stimolanti come in un organo si accordano tra loro i vari registri”. In pratica, malgrado il generale rifiuto di introdurre lo strumento nella Chiesa, qualcuno iniziava a provare interesse per quest’oggetto misterioso e complesso, che sebbene sia formato da elementi così diversi tra loro, si presenta come un insieme estremamente armonico. Tanto è vero che, più tardi, papa Gregorio Magno ritenne di elevare l’organo a simbolo della sancta praedicatio. Il Pontefice riconobbe in questo strumento la particolare propensione a innalzare e l’animo dei fedeli e la loro lode a Dio. Vetrata dell’antico convento di Königsfelden, in Svizzera. L’angelo di destra suona un organo portativo. Due torri merlate laterali sostengono la fila di canne. questo modello sarà ripreso in seguito per la costruzione delle bellissime canne rinascimentali. Nel 751 Pipino il Breve fu incoronato re dei Franchi dall’arcivescovo Bonifacio per volontà di papa Zaccaria (741 – 752). Il motivo di questo gesto è prima di tutto di ordine politico: il Papa, che vedeva i suoi territori minacciati dai Longobardi, intendeva consolidare i legami tra i Franchi e la Chiesa di Roma, mentre il giovane re dei Franchi era preoccupato di legittimare un potere conquistato con la forza. Ed ecco che Pipino il Breve s’impegna a proteggere i territori pontifici, mentre il papa, che ‘stavolta è Stefano II (752 – 757), arriva in Francia con tutta la sua corte, rinnova la consacrazione del re (754) e soggiorna per molto tempo presso l’abbazia di San Dionigi. È necessario capire bene come una serie di circostanze permetterà al nuovo sovrano di apprezzare gli usi liturgici romani, per questo chiedo al lettore la bontà di seguirmi nelle lontane terre dell’Europa dell’VIII secolo. Gli storici sono concordi nell’affermare che Pipino il Breve vede in essi, soprattutto, un modo efficace per garantire l’unità religiosa dei suoi territori e, quindi, anche l’unità politica. Personalmente sono convinto che quest’uomo, e con lui il figlio 7. Tivoli nel XVI secolo, Castello di Saint-Germain sotto Luigi XIII) 8. È considerato uno tra i principali scrittori e teologi cristiani dei primi tre secoli. Di famiglia greca, fu direttore della «scuola catechetica» di Alessandria d’Egitto (Didaskaleion). Interpretò il trapasso dalla filosofia pagana al cristianesimo e fu l’ideatore del primo grande sistema di filosofia cristiana. 23 Carlo Magno, era mosso prima di tutto da profonde convinzioni religiose che lo videro sempre in prima fila nel difendere il cristianesimo, anche se ciò comportava il rischio concreto di perdere la vita in sanguinose battaglie. Pipino il Breve decreta perciò l’adozione nel suo regno della liturgia romana, misura che sarà energicamente ripresa da Carlo Magno, iniziando così un processo di unificazione europea che vedrà la scomparsa, quasi immediata, di una miriade di liturgie e di tradizioni locali9. Nel panorama politico europeo dell’Alto Medioevo buona parte del territorio italiano che Giustiniano I (527 – 565) aveva ripreso ai Germani era caduto sotto la dominazione longobarda. Così, nell’VIII secolo, l’imperatore d’Oriente Costantino V si era ritrovato con soli due possedimenti in Occidente: il ducato di Roma e la circoscrizione di Ravenna. Per complicare ulteriormente le cose aggiungo che in quel momento, Astolfo re dei Longobardi (749 – 756) che nel 751 si era già impadronito dell’esarcato di Ravenna e minacciava seriamente Roma. Fu allora che Stefano II, preoccupato, si rivolse all’imperatore di Bisanzio, Costantino V, già proprietario di quelle terre; ma il sovrano, dal canto suo, era troppo impegnato a risolvere la complicata “lite iconoclasta” per dedicarsi ad altre faccende politiche. Pipino il Breve si fece avanti accordando al papa l’aiuto necessario; salvò Roma e riconquistò Ravenna; ma anziché restituire i territori al primo proprietario, Costantino, li offrì al papa, provocando una sorprendente reazione dell’Imperatore d’Oriente che inviò tre ambascerie al re dei Franchi con il compito di convertirlo alla sua causa nella “lite iconoclasta”. Gli inviati portarono a Pipino il Breve doni senza pari per regalità e bellezza, tra i quali, nel 757, proprio un organo. Costantino, naturalmente, non ottenne quanto voleva, ma il dono fu molto apprezzato. Più di venti cronisti dell’epoca citarono l’arrivo dell’organo alla corte dei Franchi come l’evento più importante di quell’anno. La maggior parte di essi precisa che l’organo era pressoché sconosciuto in Francia, a conferma che l’antico strumento degli anfiteatri era caduto in oblio. Noi dobbiamo però considerare questo dono secondo la visione del tempo: Costantino offriva un organo, simbolo di splendore e 24 conobbe, di cui il fiero Imperatore greco s’inorgogliva oltremodo, e per il quale Costantinopoli pensava di aver brillato più di te, Cesare il palazzo d’Aix possiede ora. Forse per loriente è segno che esso debba sottomettersi ai Franchi, giacchè ora ha perduto questo straordinario ornamento.» potenza imperiale. Gli organi d’oro, gli uccelli cantori e molti altri oggetti d’arte di cui era possibile ammirare una perfezione tecnica senza pari, erano la gloria dell’Impero d’Oriente. Giovanni Zonaras, un teologo e cronista bizantino attivo a Costantinopoli nel XII secolo, riferisce che queste meraviglie erano importantissime nella politica intimidatoria che l’Impero bizantino usava contro i Barbari. Ermoldus Nigellus, seppur indirettamente, dà prova che l’organo aveva un ruolo importantissimo nel simboleggiare la potenza imperiale. Nel suo poema in lode di Lodovico il Pio, figlio di Carlo Magno (814 – 840), si trovano i seguenti versi riferiti all’organo del palazzo d’Aix-la-Chapelle: «Organa quin etiam quae numquam Francia crevit Unde Pelasga tument regna superba nimis Et qui te solis, Caesar, superasse putabat Constantinopolis, nunc Aquis aula tenet. Fors enim indicium, quod Francis colla remittant, Cum sibi praecipuum tollitur inde decus.» «Anche l’organo, che mai la Francia Poco si sa sull’organo donato a Pipino il Breve, ma è lecito pensare che esso avesse le fattezze dell’organo custodito nel palazzo imperiale d’Oriente, quindi alimentato da mantici, ornato doro dargento e di pietre preziose. Purtroppo non sono note le circostanze in cui questo strumento importantissimo andò perduto, ma sappiamo che Lodovico il Pio, nell826, fece appello per costruire un organo e, a tale scopo, mise a disposizione tutto il materiale occorrente. Si fece avanti un tale Giorgio da Venezia, un sacerdote. Di questa figura abbiamo pochissimi particolari, sappiamo che promise di costruire un organo alla maniera dei Greci (organum more Graecorum). In effetti, considerando le eccellenti relazioni commerciali tra Venezia e Costantinopoli, siamo in grado di ipotizzare che Giorgio abbia appreso l’arte di costruire gli organi a Costantinopoli. Rimane che a Aix-la-Chapelle vide la luce il primo organo costruito in Occidente dopo almeno quattro secoli strappando, di fatto, a Costantinopoli quella che fino a quel momento era ancora una peculiarità impenetrabile. Possiamo anche affermare con certezza che questi strumenti, a quellepoca, servirono esclusivamente le fastosità profane nei palazzi e mai lo strumento fu impiegato per un servizio religioso. Nella prossima puntata vedremo come, bruscamente, siniziò a parlare soltanto di organi da chiesa, al punto che nei tre secoli seguenti non abbiamo più notizie di organi profani. Alessandro Milesi 9. Nello stesso tempo assistiamo alla nascita di un repertorio liturgico del tutto nuovo, effetto della fusione tra il Rito gallicano e quello romano. Naturalmente l’imposizione del nuovo repertorio trova molte resistenze, soprattutto in Gallia, a Milano, a Roma, e in Spagna. È solo grazie all’invenzione di un procedimento che permetterà la notazione della melodia, fatto che costituisce una svolta decisiva nella storia della musica, e l’attribuzione del nuovo repertorio a uno dei personaggi più illustri dell’antichità cristiana, vale a dire il papa Gregorio Magno, che l’intera operazione avrà successo. Ciò nondimeno, con l’avvento del Canto gregoriano, andrà perduto, e per sempre, un intero patrimonio di antiche liturgie; l’unica a essere sopravvissuta è quella ambrosiana, che sarebbe più opportuno chiamare milanese. Cerco/Offro Recensione Il Dott. Damiano Spera, apprezzato magistrato negli scorsi anni del nostro Tribunale di Lecco, ha pubblicato nella collana Diritto/Prospettive la monografia “Tecniche di Case Management. E’ possibile un processo civile più rapido, senza maggiori costi, incrementi di personale e riforme legislative?” di cui riportiamo la presentazione della quarta pagina di copertina. L’inefficienza del processo civile nel nostro paese ha raggiunto livelli tali da costituire non più solo un intollerabile disservizio nei confronti dei cittadini, ma anche un serio ostacolo allo sviluppo dell’economia. Tuttavia, mentre all’estero le tecniche di gestione del processo (il c.d. Case Management) sono studiate in modo approfondito e quasi scientifico dagli operatori del diritto – con ampia produzione di scritti e studi in proposito –, in Italia il problema è affrontato individualmente e artigianalmente da ogni singolo giudice, senza che vi sia una sistematica e razionale formazione in proposito. Il libro è diretto innanzitutto a operatori del processo, in primo luogo ai giudici – togati, giudici di pace e giudici onorari (GOT) – e ai molti avvocati realmente interessati al miglioramento del processo civile. È altresì rivolto a uditori giudiziari e studenti delle scuole di preparazione per le professioni legali. È poi di interesse per professori e studiosi di procedura civile. Ma la prima parte, meno tecnica, rende l’opera adatta anche a un pubblico più vasto, in generale a tutti coloro che intendano approfondire il tema dell’(in)efficienza del processo civile in Italia. Il libro è scritto sulla base delle esperienze acquisite dall’autore in quasi 7 anni di servizio all’estero quale giudice internazionale, oltre ai 13 trascorsi in patria come giudice civile. Esso parte dalla constatazione che in Italia il problema della lentezza e dell’inefficienza del processo civile è normalmente affrontato dal punto di vista delle riforme processuali, delle revisioni degli organici, delle innovazioni informatiche – o, al limite, sotto il profilo disciplinare, della valutazione professionale o della responsabilità civile dei magistrati – ma quasi mai da quello delle efficaci tecniche di gestione del processo. Ciò in contrasto con quanto avviene invece da tempo in altri paesi europei e soprattutto negli USA. Affittasi Studio in Lecco, Piazza XX settembre n. 7. Avv. Pino Pozzoli Tel. 0341-360959 email: [email protected] Affittasi locale uso ufficio nel contesto di studio legale in Merate. Avv. Silvia Castellaneta Tel. 349 5433537 ❖❖❖ ❖❖❖ Affittasi/Vendesi – Lecco Via dell’Isola n. 1/A Ufficio 4 Locali + Box + Cantina Avv. 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Museo del Novecento Il Museo del Novecento, aperto nel Dicembre 2010, intende presentare al pubblico, in veste permanente, un percorso dedicato alla pittura ed alla scultura italiana del XX secolo. Il Museo restituisce ai cittadini le proprie collezioni e conferisce il giusto riconoscimento a quei collezionisti, galleristi ed istituzioni che nel corso di più di un secolo hanno collaborato a formare una delle più importanti raccolte di arte italiana del XX secolo, testimone del periodo forse più creativo e fertile della città di Milano. Il Museo ha sede presso il Palazzo dell’Arengario e mostra al pubblico circa quattrocento opere selezionate tra le quasi quattromila dedicate all’arte italiana del XX secolo di proprietà delle Civiche Raccolte d’Arte Milanesi. Museo del Novecento - Palazzo dell’Arengario Via Marconi, 1 Milano Orari: Lunedì dalle ore 14.30 alle ore 19.30 (ultimo ingresso alle ore 18.30). Martedì / Mercoledì / Venerdì e Domenica dalle ore 9.30 alle ore 19.30 (ultimo ingresso alle ore 18.30). Giovedì e Sabato dalle ore 9.30 alle ore 22.30 (ultimo ingresso alle ore 21.30). Tariffe: Biglietto intero Euro 5,00 Biglietto ridotto Euro 3,00 Venerdì Ingresso gratuito Gallerie D’Italia Le Gallerie, poste in Piazza Scala, hanno l’ambizioso progetto di tutela, valorizzazione, pubblica fruizione e diffusione della conoscenza dei beni artistici e culturali che costruiscono la base del progetto cultura di un Gruppo Bancario che, con le sue collezioni, crea una rete di poli museali e culturali. Il polo museale milanese di Piazza Scala si compone di quattro edifici storici, simboli della città di Milano, che si trovano tra Piazza della Scala, Via Manzoni e Via Moroni e rappresentano lo sviluppo urbano e architettonico di Milano tra la fine del Settecento ed i primi decenni del secolo scorso. Vi si trovano esposte circa duecento opere dell’Ottocento Lombardo, altrettante le opere dedicate al Novecento suddivise, queste, in dodici sezioni tematiche. Galleria d’Italia – Piazza Scala, 6 Milano Orari: Martedì / Domenica dalle ore 9.30 alle ore 19.30 (ultimo ingresso alle ore 18.30). Giovedì dalle ore 9.30 alle ore 22.30 (ultimo ingresso alle ore 21.30). Lunedì chiuso. Ingresso gratuito R.C. Anteprima... EGON SCHIELE HANS MEMLING GERHARD RICHTER ROMA ROMA VIENNA Scuderie del Quirinale Palazzo delle Esposizioni dal 21 Marzo al 1 Settembre 2014 dal 25 Settembre 2014 all’11 Gennaio 2015 dal 15 Ottobre 2014 al 10 Gennaio 2015 info: www.leopoldmuseum.org info: www.scuderiequirinale.it info: www.palazzoesposizioni.it Museo Leopold 27
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