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16/11/2014
CONTUSU.IT
MEXINA DE S’OGU -
Prevenzione, rimedi e Brebus - vers. 1.3 | Staff Contusu.it
IL MALOCCHIO
Nella dimensione magica sarda rientrano i malefici, atti ad arrecare danno ad animali o
persone, influenzando, in certi casi, anche la sfera affettiva o economica di queste ultime.
Oltre alle fatture, chiamate in sardo “Mazzinas”, troviamo il malocchio, che in Sardegna
assume diverse denominazioni secondo la località, come ocru malu nel nuorese, ogru malu
nel logudorese e ogu malu nel Campidano. In altre zone prende il nome di Ogu leadu o liadu.
Esistono poi tutta una serie di espressioni dialettali utilizzate per designare l’avvenuto
maleficio: l’occhio che aggredisce è un occhio cattivo (ogu malu) oppure un occhio che si posa
(si ponidi) recando danno, oppure che prende d’occhio (pigai de ogu).
L’effetto deleterio viene causato dallo sguardo, mezzo attraverso il quale si esternano le forze
interiori.
Di norma il malocchio può essere lanciato da chiunque (ghettai ogu), donna o uomo, ma in
passato si ritenevano particolarmente temibili i preti, gli storpi, i guerci e gli orbi da un occhio.
Un’altra categoria è costituita da is Oghiadoris. Si tratta di persone di cui si conosce per certo
il loro potere di colpire con il malocchio con più frequenza ed efficacia di qualsiasi altra
persona normale, e tale potere si trasmette di genitore in figlio per generazioni.
Nonostante venga riconosciuto dal gruppo il loro influsso negativo, non subiscono
emarginazione in quanto il fenomeno del “pigai de ogu” è ritenuto un fatto dei loro occhi, di
cui essi in genere non sono responsabili.
Si tratta dunque di un fatto di sangue, congenito, non scelto dall’individuo, per tanto egli è, in
linea di massima, assolto dagli effetti negativi di quel potere.
Il motore che attiva il malocchio è il desiderio, l’ammirazione o l’invidia per le altrui cose.
Sentire il desiderio di qualcosa che si vede e che appartiene ad altri comporta
automaticamente il rischio che questo qualcosa venga colpito nelle sue peculiarità o venga
meno del tutto.
E questo rischio sussiste sia quando il desiderio viene esternato, sia quando esso rimane un
fatto intimo dell’individuo, o addirittura un fatto di cui il responsabile non ha piena
consapevolezza.
Uguale rischio comportano anche le più comuni espressioni di ammirazione verso persone,
animali o cose, soprattutto quando questa ammirazione è determinata da una particolare
bellezza dell’entità in questione: un bel bambino o un bel cavallo possono anche morire, una
bella pianta può seccarsi, se qualcuno esprime, o anche solo sente ammirazione nei loro
confronti e non si adoperano le terapie del caso.
PREVENZIONE
Il sistema di difesa preventivo era costituito da svariati oggetti, come gli amuleti, e da gesti
destinati ad annullare il possibile influsso negativo.
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Tra i più diffusi ricordiamo Sa sabegia (conosciuta come cocco in Barbagia, Pinnadellu in
Gallura e Logudoro, Pinnadeddu nell’Oristanese), una pietra nera tonda ( in giavazzo, onice,
ossidiana), incastonata in argento. Per funzionare da anti-malocchio l’amuleto doveva essere
abbrebau, cioè su di esso dovevano essere stati recitati is brebus le “parole”, formule
magico-religiose.
In alcune zone della Sardegna la pietra nera veniva sostituita dal corallo, cambiando il
nome in corradeddu ‘e s’ogu leau (corallino del malocchio).
Sa sabegia intendeva simboleggiare il globo oculare, nella fattispecie l’occhio buono che
si contrapponeva a quello cattivo, attirandone lo sguardo. La sua funzione consisteva
nell’assorbire gli influssi malefici arrivando a spaccarsi, assovendo così il suo compito e
salvando il portatore da morte certa.
Per proteggere i neonati veniva appeso alle culle, mentre ai bambini più grandicelli la si
faceva generalmente portare al polso, legata con un fiocchetto verde. Veniva loro
tradizionalmente regalata dalla nonna o dalla madrina di battesimo, mentre le donne la
portavano appesa al collo o al corsetto.
Sempre simboleggiante l’occhio troviamo “s’ogu de Santa Luxia”, l’opercolo di un
mollusco (astrea rugosa) cui si attribuiva il potere, oltre che di preservare dalla iettatura, di
“medicina preventiva” per gli occhi.
Un altro amuleto era su scrappollariu (scapolare), di varia forma, trattati con is brebus da
“is praticas”. Queste non dovevano prendere dei soldi per il rituale di benedizione e lo
consegnavano al richiedente dicendo “ti srebada po saludi” (ti serva per salute), a cui il
destinatario rispondeva “Deus ti du paghidi” (Dio ti ripaghi).
Oltre a sa sabeggia, poteva essere utilizzato un pendaglio conosciuto come “corru
abbrebau“, un pezzo di corno di cervo trattato con particolari brebus.
I piccoli, essendo i più esposti al malocchio, potevano essere protetti facendogli indossare
qualche indumento al rovescio, nascondendogli qualche foglia di prezzemolo nelle fasce o
legandogli al polso un nastrino verde. Se qualcuno pronunciava espressioni di ammirazione
nei confronti del bambino, si rimediava agli effetti di un possibile malocchio faccendoglielo
toccare immediatamente.
Talvolta proprio chi faceva il complimento, conscio del fatto che involontariamente poteva
“ghettai s’ogu”, toccava la persona dicendo “po non ti ghettai ogu” (per non colpirti di
malocchio) oppure “chi Deus du conservidi” (che dio lo conservi).
Tra gli scongiuri rivolti al possibile portatore di malocchio ricordiamo anche l’uso di
sputare per allontanare il male, attestato in Sardegna da un manoscritto anonimo del
settecento, toccare un oggetto di ferro, di corno o le parti genitali, bestemmiare al suo
passaggio, tirar fuori velocemente la punta della lingua per tre volte, oppure fare le fiche al
suo indirizzo “a fura” (di nascosto), ecc. Il fare sas ficas è usanza diffusa sia fra gli uomini che
fra le donne, tale uso era certamente noto anche a Cagliari.
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Altri metodi utili a tener lontane le influenze nefaste del malocchio richiedevano di portare
in tasca o negli indumenti intimi, a diretto contatto con la pelle, un ramoscello di lentischio o
d’ulivo. Per proteggere gli animali si appendeva una foglia di fico d’India sul recinto o
all’ingresso della stalla, così pure per proteggere le coltivazioni.
RIMEDI
Le cure per il malocchio rientrano nella medicina popolare sarda, anche se fanno parte
delle casistiche che sconfinano nel magico. Tali cure eliminano le influenze nefaste riportando
il soggetto nello stato psicofisico precedente a “sa pighada de ogu”.
Per quanto riguarda la preparazione della medicina, esistono diverse procedure che
variano non solo da paese a paese ma anche da un operatore all’altro all’interno dello stesso
paese.
Sostanzialmente nel rituale si riscontra la presenza, diversamente combinata, dei seguenti
elementi: i “brebus”, preghiere quali il Padre Nostro, l’Ave Maria, la recitazione del Credo,
spesso assieme all’uso di grano, acqua, sale, olio, orzo, riso, pietre, corno di muflone, di cervo o
di bue, l’occhio di Santa Lucia, il carbone, carta, anelli.
In passato, ma probabilmente anche ora, vi era una componente di segretezza necessaria
in quanto tali pratiche venivano condannate dalla curia, anche se questo non vietava alla
popolazione di farvi ricorso all’occorrenza.
Le vittime maggiormente colpite erano (sono) i bambini ed i sintomi più comuni vengono
descritti come svenimenti, un forte mal di testa o febbre alta, vomiti e capogiri, anche se
diverse testimonianze raccontano di come s’ogu pigau possa condurre alla morte.
Secondo Max Leopold Wagner, studioso di lingua e tradizioni di Sardegna, l’influenza
nefasta del malocchio può essere rilevata scorgendo nell’occhio della persona o dell’animale
colpito, un punto luccicante, riflesso dell’occhio iettatore.
Nel caso in cui il malocchio abbia già fatto effetto, le cure possono essere molteplici. La più
diffusa è conosciuta con diversi nomi: s’aqua de s’ogu, aqua licornia, aqua medallia o
semplicemente mexina de s’ogu (medicina dell’occhio), l’unica definizione che si riscontri
presente in tutta la Sardegna.
Tra le tante varianti, si pone dell’acqua in un bicchiere entro il quale vengono gettati 5
chicchi di grano, e dopo aver chiesto il nome della persona colpita, la guaritrice recita il Credo
o is brebus che normalmente utilizza.
Se la persona è stata effettivamente presa d’occhio, il chicco di grano “si ndi pèsara“, si
solleva verticalmente, si formano delle bollicine sulla sua superficie e si mette a girare.
Se il malocchio è molto forte le bollicine “zaccanta“, scoppiano.
Terminate le pratiche, la guaritrice chiede “de da torrai sa sceda sia in beni sia in mabi”
, ossia di essere informata sullo stato della persona malata sia che sia guarita sia che non lo
sia.
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In quest’ultimo caso, dovuto al fatto che il malocchio è troppo forte o di vecchia data, è
necessario ripetere il rito.
Dal paese di San Sperate ci viene segnalato l’utilizzo di nove chicchi di grano (della
migliore qualità e compatto) e nove cristalli di sale grosso, preventivamente divisi a gruppi di
tre.
La “fase preparatoria” è accompagnata da un preciso rituale: il segno della croce ripetuto nel
formare ognuno dei tre mucchietti di grano e sale (sei volte in totale), la recita del Credo e di
seguito la litania:
“Susanna ha fattu Anna, Anna ha fattu Maria, Maria ha fattu Gesusu, sogu pigau non ci
siada prusu” (nota anche nella variante: “Susanna è mamma de Sant’Anna, Sant’Anna è
mamma de Maria,s’ogu pigau non ci siada prusu”).
Terminata la formula di benedizione, vengono gettati dapprima i tre gruppi di chicchi di
grano (con i quali si sarà provveduto a comporre il segno della croce) e successivamente
quelli di sale, sempre accompagnati dal simbolo trinitario.
Anche in questo caso, per verificare la presenza nefasta del malocchio, occorre osservare le
eventuali bollicine formatesi sopra i chicchi di grano, con una variante rispetto alla posizione
delle bolliccine : la posizione (parte superiore o centrale) indicherà la patologia del “malato”,
mal di testa o di mal di pancia, mentre il numero dei grani interessati alla formazione delle
bolle rivelerà invece la cifra dei responsabili de sa pigadura de ogu. Qualora però al termine
del rito le bollicine non fossero scomparse, si renderà necessario la ripetizione della pratica,
fino ad un massimo di tre volte, superate le quali si dovrà attendere il giorno successivo
oppure rivolgersi ad altre due persone che ne completino la funzione salutare con
l’adempimento del rituale.
Tra le prescrizioni più importanti perché la cura sia valida c’è quella de no sattai su
giobia (non saltare il giovedì), la disattesa di questa condizione potrebbe avere infatti
conseguenze nefaste, addirittura la morte per infarto (crepai su coru) soprattutto se si tratta
di animali.
Altre operatrici che utilizzano il grano dalle bolle d’aria prodotte nell’acqua, o dalla
posizione dei chicchi di grano, l’operatore riesce a capire se “s’oghiadori” è una donna o un
uomo.
Se il grano resta orizzontale si ritiene sia stato fatto da una donna, mentre se il grano resta
con la punta in alto si ritiene sia stato fatto da un uomo. In quest’ultimo caso, in alcune zone si
ritiene che la medicina debba essere fatta da un’uomo.
L’acqua trattata in tale modo viene poi utilizzata per bagnare le giunture del corpo del
malato con il segno della croce, oppure gliene si fa bere qualche sorso. L’eventuale acqua
rimanente viene gettata in un vaso.
Uno dei rituali fa uso di un piatto colmo d’acqua e dell’olio.
Il procedimento, con qualche variante da zona a zona, è il seguente: si prende il piatto colmo
d’acqua sul quale si fa una croce con la mano destra, mentre si recitano is brebus (li parauli
in gallurese), si lasciano cadere tre grani di sale e tre gocce d’olio d’oliva, dopo aver fatto su
questi un segno di croce sempre con la mano destra.
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Se le tre gocce d’olio rimangono separate e piccole, cioè senza spandersi o unirsi, non c’è
malocchio; se al contrario si spandono o si uniscono, allora c’è l’influsso negativo. In questo
caso occorre recitare le formule opportune per debellarlo.
Se entro le prime tre volte in cui si applica tale rimedio le gocce d’olio non rimangono
separate e ridotte, si può cambiare operatore oppure aspettare il giorno dopo fintanto che il
malocchio non viene debellato.
Se il problema persiste si possono prendere dal focolare tre carboni ardenti e, dopo aver
fatto su di questi il segno della croce sempre con la mano destra, gli si assegna il nome di tre
persone sospettate di essere i fautori del maleficio.
Si buttano questi tre carboni nella ciotola contenente l’acqua, recitando per tre volte uno
scongiuro particolare e nel caso in cui il rituale va a buon fine, il carbone a cui è stato dato il
nome della persona colpevole va a fondo e le gocce d’olio assumono la forma corretta.
Altre testimonianze riportano alcune differenze sull’uso dei carboni: si dispongono tre
carboni ardenti dentro un bicchiere d’acqua fredda e si recita l’Ave Maria, se almeno uno di
essi va a fondo significa che si è colpiti dal malocchio in forma leggera, se vanno a fondo tutti e
tre si è colpiti in forma molto grave.
Una volta che l’operatore ritiene debellato il malocchio, può far bere alla persona colpita
qualche sorso d’acqua (s’aqua medalla) dalla ciotola nella quale sono stati fatti cadere i
carboni quindi si deve necessariamente buttare la rimanente acqua in un vaso o comunque in
un punto che non può essere calpestato da persone o animali.
In alcune zone si ritiene che il rito vada ripetuto da un minimo di tre ad un massimo di
nove volte. Per la risoluzione dei casi più gravi in genere è previsto l’intervento di tre diversi
operatori.
E’ bene precisare che in origine l’acqua da utilizzare doveva essere benedetta, e
generalmente veniva presa in chiesa, motivo per il quale alcuni parroci evitavano di benedire
l’acqua presente nell’acquasantiera. Ci si è adattati utilizzando la normale acqua con il
medesimo risultato.
Altri elementi usati, a seconda dell’operatore e della zona, sono: grano, olio, sale, un
medaglione, le licornias (amuleti). Questi consistono in due pezzi di corno, la punta e una
sezione centrale, tenuti separatamente ciascuno con uno spago in modo da poterli immergere
nell’acqua durante l’esecuzione del rito.
Nicolino Cucciari, nel suo “Magia e superstizione tra i pastori della Bassa Gallura”
descrive il seguente rituale: “Prima fare il segno di croce, poi, prendere una scodella o un piatto
colmo di acqua, fare su questa una croce con la mano destra e poi posarla su una qualsiasi parte
del corpo di chi è stato colpito dal malocchio; infine, mentre si dà inizio alla recita di li parauli,
lasciar cadere nell’acqua, tre grani di sale e tre gocce d’olio d’oliva dopo aver fatto sul sale e
sull’olio, sempre con la mano destra, un segno di croce.
Se le tre gocce restano separate e ridotte, cioè senza spandersi o unirsi, il male non è causato dal
malocchio; al contrario se si spandono anche restando separate (sfattu) oppure si uniscono, il
malocchio c’è ed allora si recita:
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Ghjiésù Cristu Nazarè,
cantu beddhu mi parè,
cantu beddhu mi paristi,
candu a lu mundu inisti,
cu una candéla lucendi,
e un agnulu in paradisu.
Santu Silvestru médicu lestru;
Santu Damianu medicu sanu;
Santu Pantalléu
è ca middhurési a Déu;
cussì middhória
ca pongu li mani éu.
Scrive ancora il Cucciari: Se qualcuno recita li parauli ad un paziente per alcuni giorni di
seguito, nell’intervallo di tempo tra la prima e l’ultima recita, non deve, nella maniera più
assoluta, recitarle ad altro paziente.
Se non si attiene al divieto, perderanno ogni efficacia per tutti.
Se dopo la prima, seconda o terza recita, le gocce non restano separate e ridotte, ma
allargate, è necessario rivolgersi ad altra persona, cambià mani, oppure se si ha fiducia nella
stessa persona, questa farà la recita il giorno dopo e fintanto che l’ ociu no torra; se questo non
avviene si possono prendere dal focolare tre carboni ardenti, e, dopo aver fatto sugli stessi con la
mano destra una croce, si da il nome di una persona che si presume sia quella che ha colpito con
il malocchio, si buttano nella scodella che contiene l’acqua e si recita per tre volte:
Santu Damianu médicu sanu;
Santu Silvestru médicu lestru;
Santu Pantalléu
ha midicatu a Déu;
Cussì middhória
ca pongu li mani éu.
Mentre gli altri due carboni, durante la recita, resteranno a galla, quello al quale è stato dato
il nome che ha lanciato il maleficio, andrà a fondo.
Se durante la prima, seconda o terza recita, o durante la recita con i carboni accesi, le gocce
riprenderanno la forma solita, si dice l’óciu è turratu.
Se non si riesce a vincere il malocchio cu li parauli si ricorre allora a “li 12 parauli” dette
anche “li parauli di Santu Maltinu” e l’olio senz’altro si normalizzerà.
Per recitare li parauli contro il malocchio non è necessaria la presenza dell’interessato, è
sufficiente che chi fa la cerimonia dell’imposizione delle mani, abbia una ciocca di capelli, o di un
indumento personale del colpito.
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I capelli, dopo aver fatto l’óciu, si restituiscono all’ammalato che deve tenerli addosso per
almeno tre ore, poi deve bruciarli, mentre l’indumento personale deve essere indossato per
almeno una notte.
L’olio non si normalizzerà e il malocchio non scomparrirà se chi recita li parauli,
inavvertitamente, dovesse sbagliare o passare al recchieme tenna (requiem aeternam).
Ciò significa che il paziente è di moltu, morirà subito a causa del malocchio perchè l’óciu è
stato fatto con ritardo. Infine non si deve mai buttare l’acqua col sale e l’olio in un punto dove
può essere calpestata, ma si deve buttare in mezzo ad un cespuglio o in una pelchjia (un
anfratto), un luogo, insomma, che non sia trafficato da persone o animali.
A volte alla persona colpita si fa bere, a piccoli sorsi, l’acqua con la quale è stato fatto l’óciu e
nella quale sono stati lasciati cadere i carboni. Subito l’olio si normalizza: questo sistema si
chiama fa turrà l’óciu cu lu fócu.
Il Cucciari scrive che è necessario, prima della cerimonia, fare un segno di croce con la
mano destra sia sull’acqua contenuta nella scodella o nel piatto, sia sul sale, sull’olio, sui
carboni ardenti, o su qualsiasi altro elemento usato anche in altri tipi di parauli per annullare
il malocchio. Segnarsi, poi attingere l’olio col dito da un cucchiaino. Il rituale è come il
precedente:
Santu Gosimu
e Santu Dumianu
unu medicu
e l’altu solgianu;
Santu Silvestru etc.
oppure:
Santu Petru e Ghjesù Cristu
si fesini cumpagnia.
Santu Petru li dicia:
Magistru palchì no piddhi
lu mali di chistu
pal mezu di la ‘iglini Maria?
Si li mani no li pongu bè éu,
ti li ponghia bè Déu.
Dómine Patri.
Alcuni rituali, come riportato da Luigi Cecchini e Franco Fresi, richiedono l’imposizione
delle mani da parte dell’officiante il rito. Si inizia facendo il segno della croce e prendendo un
piatto con dell’acqua che viene posto sulla testa del paziente, oppure sopra una ciocca tagliata
dai suoi capelli. Per tre volte si getta nell’acqua un grano di sale ripetendo:
Eu ti pongu li mani in onóri e gloria di Déu,
in suffragghjiu di
l’ animi di lu Pulgatóriu;
pà fà bè è chi ti pongu
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li mani éu.
Cristu Beddhu è andatu
cu’ un bóiu smisuratu
suttu rigóri malignu,
Paradignu d’occhji
di la Santa Trinitai. Ammè.
Fatto questo si intinge più volte un dito in un vasetto di olio d’oliva, lasciando cadere delle
gocce nell’acqua del piatto dicendo:
Ghjiesu Cristu Nazzarè etc.
A questo punto si attende un pò e si recitano per le anime del purgatorio tre Ave Maria, sei
Requiem Aeternam e si fa per sei volte un segno di croce toccando quattro punti esterni del
piatto, a croce. Infine l’officiante osserva l’olio: se si è riunito in una sola chiazza l’influsso
maligno è stato vinto e il rito è finito.
Se invece l’olio è rimasto sparso in tante goccioline il malocchio perdura ed il rito deve
continuare. Si prende un pezzo di carta che viene attorcigliato e acceso, avvicinandolo subito
dopo all’acqua del piatto in cui viene immerso. Il rito viene ripetuto fino alla buona riuscita
dello scongiuro. In caso contrario la donna esclama “E’ troppu presu”.
Il rito deve essere ripetuto in un altro giorno oppure se la donna esperta dichiara la sua
impotenza dicendo Chici nò c’ ha fattu meu (non è cosa per me), si ricorre ad un’altra
persona.
Spesso abbiamo sentito dire che sa mexina de s’ogu ha effetto anche a distanza, in assenza
quindi della persona colpita.
In questo caso pare sia necessario portare alla guaritrice, se questa non conosce
personalmente la persona da trattare, qualcosa che appartenga al malato. In casi simili pare
che is brebus da utilizzare debbano essere recitati rivolgendosi nella direzione in cui vive la
persona da curare.
Una testimonianza, risalente al 1718 e riportata negli archivi relativi ai processi
inquisitoriali, indica l'utilizzo di una palma benedetta, immersa in una scodella di terracotta
contentente acqua limpida, briciole di pane e un cagliarese. L'operatrice recitava alcuni
brebus quindi metteva la scodella sopra la testa del malato e quindi sul collo e le altre
giunture del corpo.
Il malocchio può essere esercitato su tutto ciò che è vivo, quindi non solo esseri umani ma
anche sugli animali, sulle piante, sulla frutta, sugli ortaggi; in questi casi spesso ciò che è
colpito “si scorara”, ossia perde qualunque forza e muore. Alcuni ritengono addirittura che il
malocchio possa colpire il cibo nel senso che la sua preparazione può andare a male: torte o
pane che non lievitano, crema che impazzisce, conserve che ammuffiscono.
Anche per gli animali si ricorreva ai rimedi tradizionali, con l’utilizzo delle erbe e dei
“brebus“. Una delle cure consisteva nell’utilizzare l’acqua benedetta, spruzzandola
sull’animale o facendogliene bere alcuni sorsi.
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IS BREBUS
Come abbiamo avuto modo di specificare, ogni operatore aveva il suo metodo e i suoi Brebus.
Abbiamo trovato i seguenti:
1 – S.Luxia de Milis
Santa Luxia de Arrabi
Santa Luxia de Aristanis
Circanta Sant’Antiogu
Po sanai custa ferid’i ogu.
S.Luxia de Arrabi,
Santa Luxia de Aristanis
S.Luxia de Casteddu,
Santi Mracu e Sant’Antiogu,
Custu mabi bogaindeddu,
cun sa mexina de s’ogu.
Santu Nigola,Santi Sisineri,
Deus t’appada a torrai,
Forza e poderi.
2 – Da Villamar
Santa Trisanna fiat sa mamma de Santa Susanna,
Santa Susanna fiat sa mamma de Sant’Anna,
Sant’Anna fiat sa mamma de Maria
CUST’OGU PIGAU SPARIU SIAT.
Santa Trisanna fiat sa mamma de Santa Susanna,
Santa Susanna fiat sa mamma de Sant’Anna,
Sant’Anna fiat sa mamma de Maria,
Maria fiat sa mamma de Gesus
CUST’OGUPIGAU NON SI BIAT PRUS.
Santa Trisanna fiat sa mamma de Santa Susanna,
Santa Susanna fiat sa mamma de Sant’Anna,
Sant’Anna fiat sa mamma de Maria,
Maria fiat sa mamma de Gesus,
dd’at fattu po sa potenzia de su Babbu e po opera de su Spiritu Santu,
CUST’OGU PIGAU SI ND’ANDIT INCANTUS PO IS SATTUS E PE IN MONTIS E NISCIUNA ANIMA
BATTIADA DDU INCONTRIT E DE DOGNA ANIMA BATTIADA SIAT SPARIU
Gesù Cristu è mortu e resuscitau su sanguini ti torrit chi ti ndi dd’at pigau
Gesù Cristu è mortu in sa lettiera,
su sanguini ti torrit a sa vena.
Gesù Cristu è mortu in sa gruxi,
su sanguini ti torrit a luxi.
Cristus vincit, Cristus regnat de dogna mali ti difendat.
3 – Santa lughia,
de oju majia,
santu damianu torramilu sanu,
custa no est sa manu mia: est sa manu e maria,
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no est sa manu mia pius :est sa manu ‘e gesus.
santa lughia ( 3 volte)
liberanos de oju e de majia
4 – Da San Sperate
Deusu e Santu Antiogu
e deusu ti torri s’ogu
e Santu Patriaccu ti torridi sacra,
e Sant’Anni Battista
e Santu Liberau sogu ti sia torrau..
5 – Da Serramanna
Gesu Cristu Santu adi nau una cosa,
chi ti pongiu una manu in fronti,
manu in fronti e in conca,
po chi no timmasta custa notti,
ca andausu de Santu Juanni,
e du narada Deusu, ca su mellusu seu deu,
su mellusu battiau,
a s’ogu sa luxi torridi
Custa mexina de s’ogu d’happu fatta po (e si narada su nomini)
6 - Gallura
Féli e invidia cosa fai
chi pulpa e ossu vói chilivrà?
Anda a l’azza di lu mari
e sulivrigghjia chi sali
e chistu lassalu sta.
Maria cu la Trinitai
ti ponghia li mani.
Santu Gosimu
e Santu Dumianu
unu médicu
e l’altu sulgianu;
Santu Silvestru médicu lestru
Santu Pantalléu
midichési a Déu.
Cussì midichigghjia
e middhória
ca pongu li mani éu.
Fiele e invidia cosa fai
che polpa e osso vuoi frantumare?
Vai vicino al mare
e squagliati come il sale
e questo lascialo stare.
Maria con la Trinità
ti metta le mani.
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San Cosimo
e San Damiano
uno medico
e l'altro sulgianu (?)
San Silvestro medico svelto
San Pantaleo medicò a Dio.
Così che possa medicare
e migliorare
a chi metto le mani io.
7 - Da Vallermosa, 1725, recitata da Barbara Lochy davanti al commissario del S.Ufficio.
Maria Madaleny girada e su fillu laudada
e a su fillu laudendi e Cristus numenendi e a Cristus laudada.
Adoramus te Cristhe, ogu malu t'a bistu,
ogu malu no ballada ni tengiada,
Jesu Cristu du mantengiada
COME SI TRASMETTE E CHI PUO’ PRATICARE LA MEDICINA DELL’OCCHIO
Su questo aspetto della pratica sciamanica sarda ci sono diverse correnti di pensiero.
Riportiamo quelle da noi raccolte:
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Solo chi ha entrambi i genitori in vita può curare il malocchio.
Si ha l’obbligo di non insegnare la medicina ad una persona più anziana.
Si deve obbligatoriamente mantenere segreti “is brebus”, le formule che
accompagnano il rito.
Solo le donne possono praticare la medicina;
Si può apprendere sia da un familiare che da estranei;
Deve essere trasmessa la notte di Natale;
Una volta che il rituale viene passato, chi lo trasmette non può più ripeterlo;
Deve essere fatta prima che il sole tramonti;
Si può insegnare solo a tre persone;
BIBLIOGRAFIA
“Magia e superstizione tra i pastori della Bassa Gallura” - Nicolino Cucciari - Ed.
Chiarella, 1985 - 279 pagine
"Streghe, esorcisti e cercatori di tesori" - Salvatore Loi - Ed. AM&D - 306 pagine
“Medicina popolare in Sardegna” – nando Cossu – Ed. Carlo Delfino – 366 pagine
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