Concelebrazione

PIL – 2013/2014: M. Tymister
94156 – L’eucaristia: questioni particolari
1.
LA CONCELEBRAZIONE
1.1.
Introduzione
1.1.1.
Questioni terminologiche: celebrare - concelebrare1
1.1.1.1.
Celebrare
o La celebrazione dell’eucaristia è sacrificio della Chiesa, quindi celebrazione di tutto il corpo
mistico di Cristo. Tutti i fedeli (insieme a Cristo, capo del suo corpo mistico) sono, perciò, i
soggetti, che celebrano l’eucaristia.
o SC 7: “[…] nella liturgia, il culto pubblico integrale è esercitato dal corpo mistico di
Cristo, cioè dal capo e dalle sue membra.”
o Come viene esercitato questo culto pubblico integrale? Il culto pubblico è esercitato
appunto celebrando.
o L’espressione celebrare missam sin dall’antichità fino al sec. X (e qua e là anche
fino al sec. XIII) ha come soggetto sempre tutti i fedeli.2
o Ancora nel sec. XIII, Innocenzo III, nel De sacr. alt. myst. 3, VI, riferisce
l’espressione offrire al sacrificio a tutti i fedeli.
o Nella teologia medioevale e nel movimento anti-riformatorio si riserva celebrare all’azione
del sacerdote.
o E’ Pio XII, che nel 1947 (nell’enciclica Mediator Dei) allarga l’espressione di nuovo a tutti i
fedeli.
o L’istruzione Redemptionis sacramentum (al n. 42) nel 2004, esorta invece di utilizzare
l’espressione assemblea celebrante e simili soltanto con cautela, a causa di ambiguità
insorte negli anni precedenti.
1.1.1.2.
Concelebrare
o Conclusione ordinaria del prefazio nella liturgia romana: Per quem maiestatem tuam
laudant angeli, […] ac beata seraphim socia exsultatione concelebrant.
o Qui il termine concelebrare significa riunirsi per festeggiare, glorificare. Il prefisso
con significa un’intensificazione di celebrare. Celebrare è, in ogni modo, sempre
un’azione comunitaria.
o Solo nei sec. XII e XIII si arriva a riservare il termine concelebrare all’azione specifica del
sacerdote, cioè a ciò che al tempo era detto simul consecrare o simul conficere (quindi altro
di ciò che è inteso con concelebrare nella conclusione del prefazio.)
Cfr. B. DROSTE, “Celebrare” in der römischen Liturgiesprache. Eine liturgie-theologische Untersuchung (MThS.S
26), München 1963.
2
Tutti i riferimenti si trovano in J. M. HANSSENS, «La concelebrazione sacrificale della Messa», Div 2 (1958) 242 alla
nota 2.
1
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o Nel linguaggio ufficiale della Chiesa il sostantivo concelebratio non fu, però, mai usato per
indicare la parte dei fedeli nella celebrazione eucaristica. La parte dei fedeli era indicata
sempre con il sostantivo participatio.
1.1.2.
Una differenziazione discussa e difficile ma di grande portata: concelebrazione
sacramentale e cerimoniale
 In occasione del congresso eucaristico internazionale a Roma nel 1922, nella Chiesa Nuova,
aveva luogo una concelebrazione solenne di alcuni vescovi e presbiteri di chiese orientali
unite. Molti cristiani di rito romano rimanevano profondamente impressionati da questa
celebrazione.

In seguito, il professore della Gregoriana, J. M. Hanssens SJ, studia la concelebrazione nelle
chiese orientali.3

Hanssens stesso è profondamente impregnato da una teologia, che dal sec. XII aveva messo
al centro della considerazione della celebrazione eucaristica l’agire del sacerdote. Già S.
Tommaso, trattando la concelebrazione, aveva considerato quasi esclusivamente la potestà
consacratoria del sacerdote.4

Questo concetto teologico medioevale e occidentale serve al P. Hanssens come schema per
l’analisi delle liturgie orientali e, perciò, cerca di individuare nei diversi riti di
concelebrazione l’azione consacratoria dei concelebranti. L’impostazione non è solo
anacronistica ma anche applica alle liturgie orientali un concetto tipicamente occidentale.
Nelle sue ricerche, Hanssens arriva a distinguere due tipi di concelebrazione:
o concelebrazione sacramentale, in cui tutti i concelebranti consacrano, cioè recitano
insieme l’anafora e
o concelebrazione cerimoniale, in cui non c’è recita simultanea dell’anafora e, quindi,
secondo Hanssens non c’è consacrazione simultanea.
 Hanssens stesso afferma, che questa distinzione sarebbe solo descrittiva; ma suscitano
stupore i termini che egli sceglie per questa distinzione.
o Egli stesso specifica più tardi, che la concelebrazione sacramentale è legata alla
consacrazione fatta simultaneamente da tutti i concelebranti e, perciò, può essere
chiamata anche sacrificale.5 La concelebrazione sacrificale/sacramentale, per lui,
sembra avere un valore più alto di quella detta “[…] puramente cerimoniale […]” o
“[…] semplicemente cerimoniale […]”6 dato che solo nella concelebrazione
sacrificale tutti i concelebranti sono sacrificatori mentre tutti gli altri che non
concelebrano sacramentalmente sono soltanto “[…] oblatori della Vittima immolata
e sacrificata, non immolatori o sacrificatori di essa.”7
 Nell considerare la storia non si deve fare lo sbaglio – come lo fa Hanssens – di trasporre nel
passato quanto una teologia di un’epoca successiva è giunta a comprendere dei sacramenti e
del sacerdozio.
3
Cfr. J. M. HANSSENS, «De concelebratione eucharistica», Per 16 (1927) 143-154.181-210, 17 (1928) 93-127, 21
(1932) 193-216.
4
Cfr. S. Th. IIIa q. 82 a. 2; Super Sent. lib. 4 d. 13 q. 1 a. 2 qc. 2.
5
Cfr. J. M. HANSSENS, «La concelebrazione sacrificale della Messa», 244-245.
6
J. M. HANSSENS, «La concelebrazione sacrificale della Messa», 266.
7
J. M. HANSSENS, «La concelebrazione sacrificale della Messa», 245.
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o Quindi, con i termini dell’epoca e con quelli di una teologia orientale, non si può
affermare che la concelebrazione cerimoniale non avrebbe valore sacramentale. La
teologia del primo millennio e così anche molti teologi orientali mettono al centro
dell’attenzione il valore della celebrazione stessa. E’ quindi la celebrazione che ha
valore di sacrificio o sacramentale (quando presieduta da un vescovo o presbitero a
ciò delegato) e non l’agire del sacerdote in sé.
 Nonostante il suo evidente sbaglio metodologico, le ricerche di Hanssens e la sua
differenziazione discussa, avranno influsso notevole prima, durante e anche dopo il Concilio
Vaticano II.
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