CULTURA GIORNALE DI BRESCIA DOMENICA 9 FEBBRAIO 2014 51 ELZEVIRO La tragedia attica nella visione di Wilamowitz di Gian Enrico Manzoni uello di Ulrich von Wilamowitz-Moellendorf è un nome familiare agli esperti o agli studenti universitari di filologia, ma non solo: può capitare di incontrarlo anche durante le lezioni di un buon liceo classico. Questo perché si occupò di questione omerica, che è oggetto di studio nel triennio liceale, ma soprattutto si interessò della tragedia attica, che si affronta nel penultimo anno e si legge in greco nell’anno della Maturità. Wilamowitz, com’è bene abbreviare il suo complicato nome, visse tra il 1848 e il 1931, e fu docente di varie università tedesche, tra le quali quella di Berlino: nella sua lunga e feconda carriera ebbe modo di polemizzare con l’archeologo dilettante Heinrich Schliemann, il fortunato scopritore dei siti archeologici di Micene e Troia; e anche per questo motivo lo ritroviamo nei testi scolastici. Nel 1889 Wilamowitz pubblicò un commento all’«Eracle» di Euripide, precedutoda un’introduzionegenerale alla tragediagreca:questa, scorporata come pubblicazione autonoma, appare ora tradotta in italianoecommentata da Gherardo Ugolini nella collana dei Saggi dell’Editrice La Scuola Ulrich von Wilamowitz (Ulrich von Wilamowitz-Moellendorf, «Cos’è una tragedia attica?», 160 pp., 13 €). Si tratta di una trattazione di ridotte dimensioni, che costituisce una sintesi delle riflessioni sulla natura della tragedia, sui generi letterari che l’hanno influenzata o che vi sono confluiti, sull’interpretazione che alcuni studiosi greci dell’antichità hanno espresso e sui pregiudizi moderni (cioè contemporanei a Wilamowitz), che ne hanno fuorviato la comprensione. Il tutto è preceduto da una «Introduzione» intitolata «Wilamowitz e i tragici greci», opera dello stesso Gherardo Ugolini, che i lettori di questo Giornale possono da tempo leggere e apprezzare sia come antichista sia come germanista, anche contemporaneo. Cos’è una tragedia attica? si chiede il titolo di questo saggio, che intende indirettamente rispondere a quanto il giovane filologo (e non ancora conosciuto filosofo) Friedrich Nietzsche aveva scritto nel 1872, pubblicando «La nascita della tragedia». Se per Nietzsche essa traeva origine dallo spirito della musica e si avvaleva soprattutto della componente dionisiaca, fatta di estasi, gioia e dolore come forma di eccesso della natura, Wilamowitz ridimensiona questo aspetto della sua origine e della sua natura, rivendicando per la filologia un compito diverso: quello di mostrarne gli elementi costituenti, senza giungere a formulare una teoria estetica. E così per il filologo di Berlino la tragedia è un episodio della leggenda eroica, in sé concluso, elaborato in uno stile elevato (che sarà detto anche tragico) in vista di una rappresentazione teatrale da parte di due e poi tre attori, destinato a far parte di una cerimonia pubblica legata al culto di Dioniso. Ecco perché ancor oggi alle pendici meridionali dell’acropoli di Atene troviamo i resti del teatro di Dioniso come luogo della rappresentazione delle tragedie attiche; ecco perché non senza emozione vi passiamo accanto e immaginiamo che un giorno lontano su quei seggi di marmo, sopravvissuti al trascorrere dei secoli, si sedettero prima Eschilo e poi Sofocle ed Euripide. Q S. Angela Merici: nuova luce da antiche carte Due volumi con documenti tratti dall’Archivio Segreto Vaticano l 23 gennaio 1758 nella chiesa di Sant’Orsola si apre il processo ordinario per la beatificazione della serva di Dio Angela Merici. Sono passati più di due secoli dal 27 gennaio 1540, giorno della sua morte, e a lei numerose comunità di «figlie» guardano da varie parti del mondo. L’iniziativa di avviare il percorso per un ufficiale riconoscimento di un culto così vivo e diffuso era stata lanciata quattro anni prima dalla superiora delle Orsolinedi Roma,madre Maria Luisa Schiantarelli, e l’avrebbe portata ad intessere una fitta trama di corrispondenza con i monasteri e le comunità d’Europa, del Canada, della Martinica, della Louisiana e del Brasile. Unica donna fino a tempi recenti ad assumere questo ruolo, la Schiantarelli fu nominata nel 1766 postulatrice della Causa. Nel 1768 il decreto apostolico di Clemente XIII avrebbe esteso il culto della «beata Angela» alla Chiesa universale. Alla canonizzazione si sarebbe arrivati con Papa Pio VII il 24 maggio 1807, a compimento di un altro processo per il riconoscimento delle virtù eroiche e dei miracoli attribuiti all’intercessione della beata originaria di Desenzano. Relativamente breve, per il lavoro assiduo dei giudici e l’entusiasmo I che aveva sollecitato l’iniziativa, fu il processo bresciano aperto e concluso nel 1758 per ordine del vescovo Giovanni Molino. Delle carte originali, depositate nell’Archivio vescovile, esistono ormai solo pochi fascicoli. Rifacendosi alla copia custodita nell’Archivio Segreto Vaticano, don Mario Trebeschi restituisce alla Diocesi una fonte che le apparteneva e, attraverso la lettura delle testimonianze, dà modo di avvicinarsi con più autentica consapevolezza alla spiritualità di Sant’Angela. La presentazione dei due corposi volumi, ieri mattina nella sede del Centro Mericiano di Brescia che ne ha curato l’edizione, ha riunito un numeroso uditorio di seguaci e di storici. Il percorso compiuto è stato richiamato inizialmente dal vescovo ausiliare emerito, monsignor Mario Vigilio Olmi, con l’elogio per il «lavoro certosino», che ha portato alla pubblicazione degli Atti del Processo Ordinario di Brescia per la Beatificazione della Serva di Dio Angela Merici. Si tratta - ha spiegato l’autore - di un testo di stile notarile, con parti in latino, in italiano e in francese. La trascrizione è preceduta da una nota critica introduttiva, che dà spiegazioni sulla procedura del processo canonico di beatificazione, sui testimoni e sulle va- Al «Mericiano» ■ S. Angela Merici e il pubblico ieri alla presentazione dei due volumi. In alto: mons. Mario Vigilio Olmi e (sotto) don Mario Trebeschi rie sessioni. Brevi didascalieaccompagnano il testo, per un più facile orientamento nella lettura. Angela Merici fu subito onorata come beata e come santa dopo la sua morte: con preghiere alla tomba nella chiesa di Sant’Afra, oggi santuario a lei dedicato; con il ricordo e pratiche devozionali nel giorno della sua morte; con la sua immagine riprodotta dagli artisti ed esposta nelle chiese. Bisognava raccogliere testimonianze, per constatare la fama di santità della Merici. Nelle 45 sessioni del processo bresciano presieduto dall’arciprete della Cattedrale, don Camillo Martinengo, si ebbero davanti ai tre giudici le deposizioni di dieci testimoni: quattro laici, altrettanti sacerdoti e due orsoline. Gli atti dovevano essere verbalizzati da notai approvati dalla Curia, trascritti, corretti, riletti. Garante della procedura canonica fu don Carlo Doneda, autore, in seguito, di una biografia. Nella sentenza si riconobbe come legittimo il culto, a Brescia e in altri luoghi della Diocesi. L’incartamento fu inviato nell’ottobre 1758 alla Sacra Congregazione dei Riti, che lo approvò. In certe parti - osserva don Trebeschi - il processo va oltre gli aspetti di tipo religioso e canonico in senso stretto e contiene rilievi di carattere artistico e culturale: una descrizione della chiesa di Sant’Afra e dei quadri di Pompeo Ghitti, deposizioni sul lavoro compiuto da vari artisti bresciani e veronesi. La visione della Compagnia, così come dipinta dal Ghitti in stretto rapporto tra cielo e terra, contemplazione e azione, è stata richiamata da Giusy Pelucchi del Centro internazionale di studi mericiani nella sua relazione sulla modernità della proposta di Sant’Angela, che, rifacendosi al ruolo attivo delle donnenell’evangelizzazione dellaChiesaprimitiva, sollecita a tenere gli occhi aperti sul mondo, con interiore adesione ai suggerimenti dello Spirito Santo, per fare «vita nova». Elisabetta Nicoli Osservatorio politico, la voglia di riflettere sul futuro Un anno fa la rivista «Studium» varava la rubrica curata dallo storico Paolo Carusi esteggia un anno di presenza e attività, sulla rivista Studium, la rubrica di riflessione e dibattito «Osservatorio Politico». Sebbene curata da uno storico (Paolo Carusi, docente di Storia contemporanea a Roma Tre), ha ospitato e ospita interventi di varia provenienza: nella prima annata, ad esempio, insieme ad un numero monografico di taglio storico-politico sulle elezioni nella storia d’Italia, sono stati proposti saggi F Lo storico Paolo Carusi, docente a Roma Tre Bu4jXzuIIy7WA2CFD5Z+IDXOOYrH3+9NqNEvo0omXb0= sul linguaggio politico, sull’istituto provinciale e sul debito pubblico. Come affermava il curatore nel numero introduttivo, la rubrica intende essere «una sorta di tavolo di discussione intorno al quale idealmente riunirsi, ogni due mesi, per ragionare sul nostro sistema politico. L’obiettivo che la rubrica si pone, dunque, non è quello di fornire un commento all’attualità, ma quello di individuare le tendenze ed i cambiamenti in corso nell’odierno scenario politico». La linea di fondo è quella di leggere il presente attraverso un confronto analitico con il passato e tramite un approccio multidisciplinare. Con questa iniziativa, Studium sembra voler riprendere le orme lasciate, tra la fine della seconda guerra mondiale ed i primi anni ’50, quando - sotto la direzione di Aldo Moro - decideva di af- frontare più direttamente i temi della critica e del dibattito politico, divenendo in breve tempo un solido punto di riferimento culturale per tanti giovani intellettuali ansiosi di dare il proprio contributo ad una società e ad un sistema politico da ricostruire dopo la fine del regime fascista. Iniziative come questa rappresentano il sintomo della volontà di tornare ad interrogarsi criticamente sul nostro passato e sul nostro futuro.
© Copyright 2024 Paperzz