Società partecipate da enti pubblici: criteri di

Società partecipate da enti pubblici: criteri di riparto
Di Ferruccio CAPALBO
Magistrato della Corte dei conti
1. Premessa; 2. Inquadramento della problematica; 3.orientamento attuale; 4.segue: revisione critica; 5. Tesi che prescinde dalla natura giuridica formale del patrimonio leso; 6. Interpositio legislatoris 1. Premessa
Nel predisporsi ad approfondire la tematica relativa ai criteri di riparto tra la giurisdizione della
corte dei conti e quella ordinaria in ordine alla responsabilità di amministratori e dipendenti delle
società partecipate da enti pubblici, può essere utile interrogarsi, seppur brevemente, sulla genesi
del fenomeno e sulla effettiva riuscita del progetto che vi era alla base.
Quanto alla genesi ed alle motivazioni che hanno indotto la pubblica amministrazione a ricorrere
allo strumento negoziale/imprenditoriale, le stesse vanno rinvenute nella convinzione che lo statuto
privatistico consentisse di raggiungere una maggiore efficienza gestionale rispetto a quello
pubblicistico, ritenuto troppo rigido. In proposito, può aiutare a meglio comprendere quello che si è
poi rilevato un drammatico errore di fondo, il rammentare quanto, l’allora Ministro dell’Interno,
Giolitti, affermava nel relazionare sui contenuti della L. 103/1903 in tema di municipalizzazione.
Nel motivare, in risposta alle ferme opposizioni della scuola degli economisti classici, la utilità e
presunta indubbia proficuità dell’intervento nell’economia della pubblica amministrazione locale
attraverso le aziende autonome, precisava che: “l’attaccamento dei cittadini al Comune, la
coscienza del vincolo fra interesse comunale ed individuale sono particolarmente spiccate in Italia.
Non è da temersi quindi che per difetto di interesse individuale, come molla della produzione,
l’industria pubblica sia mal condotta dal punto di vista finanziario tecnico. Questo è un concetto
prevalentemente dottrinale……Il Comune in certo modo è una grande società cooperativa: né v’è
alcuna ragione perché i suoi amministratori siano più inetti di amministratori di società
commerciali che non hanno spesso interesse nell’impresa”. 1
La storia ha clamorosamente smentito tali valutazioni. Il fenomeno, dopo una prima incertezza,
ha avuto una esplosione incontrollata negli anni novanta del XXI secolo, con la positivizzazione, ad
opera della L. 142/90, della possibilità di ricorrere allo strumento negoziale delle società di capitali.
L’analisi dei risultati cui si è pervenuto, condotta, da ultimo, dalla Sezione autonomie della Corte
dei conti con la pronuncia n. 15/SEZ AUT/2014/FRG, rappresenta un quadro davvero devastante
per la finanza pubblica, palesando un impiego di tali società con intenti sostanzialmente elusivi
della contabilità pubblica. Premesso che in una percentuale dei casi i comuni non hanno risposto ai
questionari inviati ai fini della rilevazione, ennesimo esempio dello scarso grado di percezione della
legalità che contraddistingue i tempi correnti, se ne riporta, in modo sintetico, il risultato.
Rilevano censiti 7.472 organismi, di cui 6.386 in attività. Di questi n. 5.258 sono organizzati
in forma di società, nella gran prevalenza partecipate dagli enti territoriali in misura totalitaria o
maggioritaria. Sotto lo specifico profilo dei risultati e dei flussi finanziari, è emerso che la maggiore
entità dei risultati negativi contraddistingue le società totalmente partecipate ove le perdite risultano
11
Da atti parlamentari – documenti – disegni di legge e relazioni 1 in larga misura superiori agli utili di esercizio, al netto delle imposte. In Campania ad esempio a
fronte di un utile netto pari ad euro 10.389.605 rilevano perdite per euro 24.277.869; in Puglia a
fronte di un utile netto pari ad euro 10.828.082 rilevano perdite per euro 30.080889; in Calabria a
fronte di un utile netto pari ad euro – 3.613.679 rilevano perdite per euro 9.748.755; in Sicilia a
fronte di un utile netto pari ad euro 3.054.513 rilevano perdite per euro 49.735.559 ( Cfr Tab 16
citata delibera Sez. Aut.). L’analisi di maggiore dettaglio, concentrata sul macroaggregato spese di
personale ha rilevato valori medi più elevati di incidenza della relativa spesa sul costo della
produzione, anche in tal caso per le società totalmente partecipate, palesando, tra l’altro, la scarsa o
nulla efficacia dei vincoli assunzionali , più in generale delle politiche di contenimento dei costi del
personale, estesi alle società partecipate con specifiche norma imperative di finanza pubblica.
Risultati assolutamente speculari sono emersi dalla analisi tratteggiata dal commissario
COTTARELLI in adempimento del mandato di cui all’art 23 del Decreto Legge 66 del 24 aprile
2014, per il quale si contano perdite pari a 1.200 mln di euro. 2 Il quadro offerto da tali
ricognizioni evidenzia, da un lato una perdita per la finanza pubblica che, specie nell’attuale
contesto storico, è da ritenersi inammissibile. Dall’altro l’evidente fallimento della idea sintetizzata
nelle parole sopra riportate di GIOLITTI e la riprova, invece, che l’interesse pubblico,
ogniqualvolta è immanente sotto forma di impiego delle relative risorse, impone, ove anche si
ricorra a strumenti di natura negoziale, la estensione di “pezzi” di regime speciale, tipici dello
statuto pubblicistico, idonei a meglio tutelare le relative ragioni, come appunto nel caso della
responsabilità contabile, attivata su impulso di un pubblico ministero. Trattasi, come vedremo
subito innanzi, non di una astratta valutazione di carattere metagiuridico, ma di una operazione
interpretativo/sistematica cui viene regolarmente fatto ricorso, più in generale, nell’ambito del
nostro ordinamento come anche in sede europea ogniqualvolta occorre assicurare tutela ad interessi
di rilevanza costituzionale e/o sovraordinamentale.
2. inquadramento della problematica
Le problematiche che accompagnano lo studio del fenomeno delle società partecipate da enti
pubblici rappresentano uno degli esempi più attuali delle sempre maggiori forme di intersecazione
tra diritto pubblico/amministrativo e diritto civile. Un connubio che, dal punto di vista storico, ha
vissuto alterne vicende, prevalendo l’uno o l’altro dei due ordinamenti, a seconda del contesto
politico, economico e sociale di riferimento.
Questa brevissima annotazione è utile per inquadrare fin d’ora nella giusta dimensione e valenza
uno degli argomenti maggiormente spesi per delimitare la giurisdizione della Corte dei conti, in
tema di responsabilità amministrativo/contabile, nei confronti di amministratori e dirigenti di
società partecipate da enti pubblici, relativo al principio, contenuto nella relazione del guardasigilli
al testo del codice civile del 1942, secondo cui allorquando lo Stato decida di ricorrere allo
strumento societario, si assoggetta integralmente alla relativa disciplina.
All’epoca, infatti, i disastri provocati dai due conflitti bellici mondiali, avevano, ormai,
definitivamente affrancato la dimensione prestazionale della attività dello Stato dai vincoli e dai
preconcetti che per lungo tempo l’avevano condizionata. La necessità impellente dell’intervento
della mano pubblica a tutela e garanzia delle esigenze sociali tipiche di un welfare, in rapida e
vertiginosa ascesa, aveva indotto anche uno sdoganarsi dalla interpretazione di tale attività nella
2
“Programma di razionalizzazione delle partecipate locali” del 07 agosto 2014 ad opera del commissario straordinario per la revisione della spesa Dott. Carlo COTTARELLI. 2 sola concezione pubblico/autoritativa, ammettendo l’inquadramento della stessa al di fuori degli
schemi tipici della “funzione autoritativa”. Ci si avvia verso un offuscarsi di quei confini tra diritto
pubblico e diritto privato, che fino ad allora erano stati così netti ed invalicabili rispetto ai quali i
tentativi della dottrina ( SANTI ROMANO e ZANOBINI) di reinquadrare i rapporti tipici del
servizio pubblico in termini negoziale erano stati vani e comunque limitati alla sola dimensione uti
singulus del rapporto tra utente e gestore ( si pensi in proposito all’anatema lanciato, nella seconda
metà del’ottocento, da OTTO MAYER nei confronti della possibilità per la pubblica
amministrazione di ricorrere allo strumento contrattuale per la gestione della funzione).
La capacità negoziale della pubblica amministrazione viene, in tal modo, ampliata nei suoi
ambiti ed intesa come sostanzialmente sovrapponibile a quella del privato. Al volto monolitico della
pubblica amministrazione dell’800, in grado di esprimersi solo attraverso atti amministrativi
unilaterali ed imperativi, si sostituisce quello proteiforme della amministrazione del novecento, in
grado di ricorrere anche allo strumento negoziale per realizzare l’interesse istituzionale.
In tale contesto storico/economico si colloca l’assunto di cui alla suddetta relazione di
accompagnamento al codice civile del ’42. E’ noto come quel determinato contesto, anche e
soprattutto a causa della grave crisi economica che dal 2008 imperversa, abbia subito una ennesima
e radicale mutazione, trasformandosi ancora una volta le modalità dell’agire della pubblica
amministrazione. La necessità di riavviare una economia stagnante, dando spazio alla liberta di
iniziativa economica, ha inciso sulla essenza stessa dello statuto pubblicistico e sulle modalità di
intervento. Negli ambiti in cui non si è giunti addirittura ad eliminare totalmente l’intervento
pubblico ( liberalizzazione), il regime amministrativo, fortemente semplificato, si manifesta non più
con il classico schema della autorizzazione preventiva, bensì attraverso moduli di intervento della
pubblica autorità meno incisivi quali il silenzio assenso o la SCIA, potere inibitorio, configurabile a
valle della attività privata, con la sola finalità di verifica, a posteriori, del rispetto delle prescrizioni
normative. Fanno eccezione a tale semplificazione, con permanenza del classico regime
amministrativo, i soli casi in cui rilevino motivi di interesse generale, tra i quali figura anche la
tutela dei diritti fondamentali. In tale ambito, dunque, il diritto amministrativo diviene strumento
di tutela dei diritti fondamentali costituzionalmente rilevanti, sancendo una rettifica
dell’affermazione tradizionale secondo la quale il diritto soggettivo non dialoga con il potere. I
diritti fondamentali costituzionalmente rilevanti, nell’ambito della programmazione
economica, rappresentano, addirittura, il presupposto per la sussistenza del regime
amministrativo, previsto a tutela degli stessi.
Trattasi, ovviamente, dei diritti fondamentali di seconda generazione, che si differenziano da
quelli innati ed universali, cd. di prima generazione, che non ammettono alcuna ingerenza limitativa
da parte del potere pubblico e rimangono ascritti alla giurisdizione del g.o. I diritti di seconda
generazione sono, invece, quelli che, pur trovando riconoscimento in norme fondamentali della
Costituzione e delle fonti sovranazionali, non sono a “soddisfazione necessariamente garantita”,
ammettendosi la possibilità di una relativa incisione da parte dei pubblici poteri, nell’ambito di un
bilanciamento con altri interesse parimenti rilevanti a livello costituzionale.
Lo statuto pubblicistico ed il relativo regime, dunque, viene reinterpretato nella funzione attuale
di strumento di tutela di tali diritti 3 .
3
Manuale diritto amministrativo, II edizione di Roberto Chieppa e Roberto GIOVAGNOLI , Giuffrè Editore, pag 522. 3 Analoga evoluzione epocale ha subito anche la nozione di “contabilità pubblica”, non più
intesa come il mero “dare conto”, compendiantesi nelle sole regole sterili di procedimentalizzazione
della entrata e della spesa e di modalità di redazione dei bilanci pubblici, bensì estesa a disciplinare,
più in generale, criteri e modalità di gestione del complesso delle risorse pubbliche, da chiunque
impiegate, a prescindere dalla natura formale dei soggetti agenti ed in un ambito ormai non più di
sovranità esclusiva ma ceduto alle fonti sovranazionali europee. Gli obblighi discendenti dal patto
di stabilità e crescita e, più in generale, dall’art 119 TFUE, che impone una gestione efficiente della
finanza pubblica, valgono ad ampliare nel senso indicato i contenuti propri della nozione di
“contabilità pubblica”.
Conferma del rinnovato contenuto è anche la riformulazione degli artt. 81 e 97 Cost ad opera
della L. costituzionale n. 1/12, secondo la quale lo Stato e le pubbliche amministrazioni tutte, sono
tenuti a garantire, in coerenza con il richiamato ordinamento della unione europea, l’equilibrio di
bilancio e la sostenibilità del debito pubblico. Trattasi, dunque, di interessi che hanno acquisito una
valenza direttamente costituzionale che, in quanto tale, può condurre anche al prevalere delle
suddette ragioni di bilancio e di finanza pubblica nel bilanciamento con altri interessi di pari dignità
costituzionale. Ci si affaccia in tal modo ad altra problematica attualissima, qui solo enunciata in
quanto valicante i confini del presente scritto, relativa all’inquadramento dei diritti sociali come
“diritti finanziariamente condizionati” 4 .
Nell’ambito applicativo, dunque, della attuale nozione di “contabilità pubblica”, quale insieme di
norme di finanza pubblica dettate al fine precipuo di garantire la sostenibilità del debito pubblico ed
il rispetto dei parametri imposti dal trattato di Maastricht, vanno di certo ricompresi anche soggetti,
che, seppure di natura privata, hanno la titolarità, comunque, della gestione di risorse pubbliche
idonee ad incidere sul rispetto dei relativi saldi finali.
Alla luce del quadro sinteticamente riportato, nel passare all’approfondimento della problematica
connessa ai limiti entro cui riconoscere la giurisdizione della Corte dei conti in tema di
responsabilità erariale nei confronti di amministratori e dirigenti di società partecipate da enti
pubblici, può approcciarsi la stessa sostenendosi non il mutamento della relativa natura giuridica, da
privata a pubblica, in virtù della sola presenza di un socio pubblico. Bensì, valutare il profilo degli
effetti della “contaminazione” di istituti tipici del diritto privato da parte di interessi di natura
pubblica, sotto il profilo del solo regime giuridico, comportando, a tutela degli stessi, la inserzione
di parti di disciplina speciale, tipica dello statuto pubblicistico. Tutto ciò, ferma restando la natura
privata dei soggetti interessati.
3. Orientamento attuale.
E’ necessario premettere che la posizione attuale delle sezioni unite della cassazione riformula,
in senso restrittivo, l’orientamento che risultava ormai acquisito in ordine ai criteri di riparto cui
fare riferimento al fine di radicare la giurisdizione della corte dei conti. Preso atto della linea di
demarcazione sempre meno netta tra il campo di azione del diritto pubblico e quello del diritto
privato, si è inteso superare gli orientamenti classici, giungendo a radicare la predetta giurisdizione
allorquando, a prescindere dalla natura del soggetto agente e dello strumento cui si faccia ricorso, se
contratto o provvedimento amministrativo, si sia in presenza, sostanzialmente, di un danno arrecato
alle pubbliche finanze.
4
Manuale di “diritto pubblico” di Roberto BIN e Giovanni PETRUZZELLA ed. 2012 GIAPPICHELLI Editore, pag. 48. 4 Nel caso specifico delle società partecipate, seguendo una rigida declinazione del suddetto
orientamento e tradendone lo spirito improntato al superamento della forma per raggiungere la
sostanza, il recente orientamento delle Sezioni unite della Cassazione ha riconosciuto la
giurisdizione della Corte dei conti in tema di responsabilità nei confronti di amministratori e
personale delle società partecipate solo in presenza di “danno diretto” al patrimonio del socio
pubblico. In tutti i casi, invece, di danno “diretto” al patrimonio della società, in quanto autonomo e
di natura privata, difetterebbe uno dei requisiti tipici per radicare la suddetta giurisdizione,
rappresentato dal configurarsi di un danno ad un patrimonio che sia qualificabile come pubblico,
confermandosi, pertanto, la giurisdizione del giudice ordinario. Si precisa, infatti, in proposito che,
perché possa riconoscersi la natura “pubblica” di tali società, non basta la mera partecipazione, pur
totalitaria, del socio pubblico, occorrendo, viceversa, alla luce del disposto di cui all’art 4 della L. n.
70/1975, una esplicita previsione di legge che, nel costituire la società stessa, la qualifichi
espressamente quale ente pubblico, oppure, in mancanza, la presenza, comunque, di un quadro
normativo coerente ed inequivoco dal quale poterla agevolmente desumere. Condizioni queste, che
nell’attuale panorama giuridico normativo non ritiene siano rinvenibili. 5
Stante quanto sopra ed attesa la oggettiva complessità del tratteggiare una demarcazione chiara
tra le ipotesi di danno “diretto” ed “indiretto”, gli ambiti della giurisdizione della corte dei conti
rimangono fortemente limitati ed incerti. A titolo di esempio può ascriversi alle fattispecie di danno
diretto, la eventuale lesione arrecata agli interessi del socio pubblico nella gestione di un servizio
pubblico di cui la società stessa sia affidataria. Classico è il caso della concessione del servizio di
riscossione delle entrate tributarie dell’ente o ancora del servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani.
Si riproduce, in definitiva, la dinamica propria dei rapporti di concessione in generale.
Rappresentano, invece, casi di maggiore frequenza ed impatto per la tutela delle risorse
pubbliche investite, le ipotesi di danno diretto al patrimonio della società. In tale ambito, fermo
restando il radicarsi della giurisdizione del giudice ordinario, il pubblico ministero contabile potrà
trovare un residuo ed ipotetico spazio, nei confronti pur sempre del socio pubblico e non dei
dipendenti della società stessa, nelle seguenti ipotesi: - nel caso in cui il predetto socio pubblico,
ove sia configurabile una condizione di direzione e coordinamento della società ai sensi dell’art
2497 e 2497 sexies cc, abbia agito nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei
principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale, arrecando pregiudizio alla redditività ed
al valore della partecipazione sociale; - nel caso in cui, ove ne ricorrano i presupposti, ometta di
attivare le azioni di responsabilità ai danni del managment societario, disciplinate dalla normativa
codicistica. Deve in proposito precisarsi che trattasi di spazi davvero esigui, oltre che di non facile
configurazione. Nella prima delle ipotesi segnalate, occorre considerare che la norma stessa dispone
non esservi, comunque, responsabilità, ove il danno risulti mancante alla luce del risultato
complessivo della attività di direzione e coordinamento ovvero integralmente eliso anche a seguito
di operazioni a ciò dirette 6 . Nella seconda, oltre alla necessità di dovere attendere il maturare del
5
Cassazione civile Sez. Unite 25 novembre 2013 n. 26283 6
Le sezioni Unite della Cassazione con la sentenza cui si fa riferimento nel negare in radice che il fenomeno delle società in house providing possa essere ricondotto allo schema tipico delle società di capitali, non ne rivengono una possibile configurazione neppure nella ipotesi della eterodirezione che trova una esplicita disciplina nell’art 2497 cc. A tal proposito specifica che “Si potrebbe obiettare che il fenomeno della eterodirezione di società non è certo sconosciuto al diritto societario, e che anzi, dopo la riforma attuata col dlgs. n. 6 del 2003, esso ha trovato esplicito riconoscimento negli artt. 2497 e segg. c.c. Ma non è la stessa cosa. Nei gruppi societari il potere di direzione e coordinamento spettante all'ente capogruppo 5 termine quinquennale di prescrizione entro cui potere attivare la azione di responsabilità civilistica,
sulla felice riuscita del giudizio di responsabilità contabile a tal punto incardinato, pesa, ai fini della
effettiva configurabilità della antigiuridicità della condotta, il giudizio ipotetico sul verosimile esito
positivo della azione ordinaria. Gravi vuoti di tutela che, come vedremo, potrebbero colmarsi ove si
aderisse alla tesi che, prescindendo da ogni indagine sulla natura giuridica del soggetto societario da
ritenersi invariata, consente, analogamente a quanto già accade in altri settori dell’ordinamento, la
attivazione anche di inserti di disciplina speciale, propria dello statuto pubblicistico, a tutela degli
immanenti interessi della collettività.
Da ultimo, la Cassazione 7 ha leggermente ampliato gli ambiti della giurisdizione contabile in
materia, ammettendone, nel solo caso della società in house providing, il radicarsi anche in presenza
di danni arrecati direttamente al patrimonio societario. Prendendo le mosse dalla configurazione
della società in house quale mera articolazione organizzativa dell’ente socio, priva una reale alterità
soggettiva rispetto allo stesso, ha ritenuto che il relativo patrimonio non sia autonomo, bensì
meramente separato. Il velo che normalmente nasconde li socio dietro la società, secondo l’assunto
delle sezioni unite, è dunque “squarciato”. L’uso del vocabolo società, per le sezioni unite, in tal
caso “serve solo a significare che ove manchino più specifiche disposizioni di segno contrario, il
paradigma organizzativo va desunto dal modello societario; ma di società di capitali, intesa quale
persona giuridica autonoma cui corrisponda un autonomo centro decisionale e di cui sia possibile
individuare un interesse suo proprio, non è più possibile parlare”.
4. Segue: revisione critica.
L’orientamento di cui si è appena dato conto non appare, però, univoco, avendo, le medesime
sezioni unite, mostrato incertezza, abbracciando, in altre pronunce, una differente impostazione. Si
attiene alla individuazione delle linee strategiche dell'attività d'impresa senza mai annullare del tutto l'autonomia gestionale della società controllata. Gli amministratori di quest'ultima sono perciò tenuti ad adeguarsi alle direttive loro impartite, ma conservano nondimeno una propria sfera di autonomia decisionale (giacché, pur con gli adattamenti resi necessari dall'esser parte di un gruppo imprenditoriale più vasto, continua ad applicarsi alla singola società il disposto dell'art. 2380‐bis, comma 1, c.c.) né, soprattutto, essi possono prescindere dal valutare se ed in qual misura quelle direttive eventualmente comprimano in modo indebito l'interesse della stessa società controllata: interesse di cui sono garanti ed in virtù dei quale hanno il dovere, se del caso, di discostarsi da direttive illegittime. La disciplina della direzione e del coordinamento dettata dai citati artt. 2497 e seggi, insomma, è volta a coniugare l'unitarietà imprenditoriale della grande impresa con la perdurante autonomia giuridica delle singole società agglomerate nel gruppo, che restano comunque entità giuridiche e centri d'interesse distinti l'una dalle altre. Altrettanto non sembra potersi dire invece per la società in house, sia per la già ricordata subordinazione dei suoi gestori all'ente pubblico partecipante, nel quadro di un rapporto gerarchico che non lascia spazio a possibili aree di autonomia e di eventuale motivato dissenso, sia per l'impossibilità stessa d'individuare nella società un centro di interessi davvero distinto rispetto all’ente pubblico che la ha costituita e per il quale essa opera”. Per una revisione critica di tale orientamento si veda Prof. F. FIMMANO, articolo di commento alla sentenza in parola pubblicato sulla rivista “ Le società” n. 1/14. 7
Cass. Sez. Unite 25/11/2013 cit. 6 è, difatti, ritenuto di poter operare la interversione della natura giuridica da privata a pubblica anche
sulla base del solo elemento rappresentato dalla partecipazione totale da parte del socio pubblico.8
In disparte quanto sopra, un profilo di contraddittorietà emerge, poi, anche nell’ambito del
medesimo orientamento in esame. Il riconosciuto radicarsi della giurisdizione contabile in caso di
società in house non è avvenuto, infatti, come viceversa preteso in tutte le altre ipotesi di società
partecipate, previa individuazione di una normativa ad hoc che le abbia costituite ed espressamente
qualificate come di natura pubblica. La figura della società in house è, come noto, una ricostruzione
di carattere giurisprudenziale afferente società ordinariamente costituite nell’esercizio della
autonomia negoziale.
Quanto, poi, ai requisiti richiesti per il configurarsi di un rapporto classificabile come in “house
providing”, con specifico riferimento alla condizione del controllo analogo, emerge una netta
contraddizione rispetto a quanto sostenuto in merito sia dalla giurisprudenza della corte di giustizia
e sia dalle direttive europee in tema di appalti recentemente approvate, 2014/24/UE per i settori
ordinari; 2014/25/UE per i settori speciali e 2014/23/UE in tema di aggiudicazione dei contratti di
concessione.
8
“Ai fini del riconoscimento della giurisdizione della Corte dei Conti per danno erariale nei confronti di amministratori e dipendenti per fatti commessi dopo l'entrata in vigore della L. n. 20 del 1994, in ragione del sempre più frequente operare dell'amministrazione al di fuori degli schemi del regolamento di contabilità dello Stato e tramite soggetti non organicamente inseriti è irrilevante il titolo in base al quale la gestione del pubblico danaro è svolta, potendo consistere in un rapporto di pubblico impiego o di servizio, ma anche in una concessione o in un contratto di diritto privato: il baricentro per discriminare la giurisdizione contabile da quella ordinaria si è, infatti, spostato dalla qualità del soggetto, che può essere un privato o un ente pubblico non economico, alla natura del danno e degli scopi perseguiti (Sez. Un. n. 19815 e n. 11654 del 2008, n. 14101 del 2006, n 10073 del 2005). L'attività svolta da una società avente ad oggetto interventi in settori di rilevanza pubblica determina l'inserimento della società nell'apparato organizzativo della p.a., dando luogo ad un rapporto di servizio, configurabile non più soltanto nell'ambito del rapporto organico o di impiego pubblico, pienamente idoneo a giustificare l'esercizio della giurisdizione contabile di responsabilità (Sez. Un. n. 24002 del 2007). Presupposto per la responsabilità amministrativa è l'esistenza di una relazione funzionale tra l'autore dell'illecito causativo di un danno patrimoniale e l'ente che subisce tale danno, la quale configurabile, non solo quando intercorra un rapporto di impiego in senso stretto, ma anche quando sia ravvisabile comunque un rapporto di servizio in senso lato, in quanto il soggetto, pur se estraneo alla p.a., venga investito, anche di fatto, dello svolgimento in modo continuativo di una data attività in favore della p.a. (Sez. Un. n. 22652 del 2008). Dall'applicazione di tali principi alla fattispecie in esame,consegue che spetta alla Corte dei Conti il potere di decidere sulla domanda di risarcimento del danno erariale avanzata dal Procuratore regionale contro un soggetto legato da un rapporto giuridico con una s.p.a. a totale capitale pubblico che svolge in servizio pubblico e le cui perdite patrimoniali sono destinate a risolversi in danno degli enti pubblici azionisti e quindi in danno erariale, quando si deduce, a fondamento dell'azione, che tale rapporto, indipendentemente dalla sua natura giuridica, ha costituito l'occasione per comportamenti fraudolenti in danno dell'ente, posti in atto dal soggetto in questione con il concorso doloso o colposo di agenti interni all'ente pubblico e con l'esercizio di poteri di fatti tali da consentirgli di interferire sulle modalità di esecuzione di prestazioni strumentali all'attività dell'ente e sulle procedure di liquidazione dei compensi allo scopo di trame illecito profitto……... Va in proposito evidenziato che il dato essenziale che radica la giurisdizione contabile è rappresentato essenzialmente dall'evento dannoso verificatosi a carico di un p.a. e non dal quadro di riferimento pubblico o privato nel quale si colloca la condotta produttiva del danno: la detta giurisdizione sussiste quindi anche con riguardo a fatti posti in essere da privati. Per incardinare la giurisdizione della Corte dei Conti è necessaria e sufficiente l'allegazione di una fattispecie oggettivamente riconducibile allo schema indicato” (Cass. SU 24672/2009). 7 Secondo l’orientamento in parola, infatti, perché possa parlarsi di controllo analogo e quindi di
società ascrivibile al genus in house providing, è necessario che lo statuto della società interessata
inibisca in modo assoluto la possibilità della cessione ai privati delle partecipazioni societarie
Viceversa, secondo gli orientamenti in proposito della Corte di Giustizia della Unione europea,
tale condizione è sussistente anche quando, pur se espressamente prevista, nello statuto societario,
la possibilità di ingresso di capitali privati, non ne venga, però, dato effettivo corso.
Sul punto, così si pronuncia il Giudice comunitario: “ ……..certamente, non può escludersi che
le quote di una società vengano vendute a terzi in qualunque momento. Tuttavia, il fatto di
ammettere che questa mera possibilità possa sospendere indefinitamente la valutazione sul
carattere pubblico o meno del capitale di una società aggiudicataria di un appalto pubblico non
sarebbe conforme al principio di certezza del diritto.
50
Se il capitale di una società è interamente detenuto dall’amministrazione aggiudicatrice,
da sola o con altre autorità pubbliche, al momento in cui l’appalto in oggetto è assegnato a tale
società, l’apertura del capitale di quest’ultima ad investitori privati può essere presa in
considerazione solo se in quel momento esiste una prospettiva concreta e a breve termine di una
siffatta apertura.
51
Ne risulta che in una situazione come quella di cui trattasi nella causa principale, in cui il
capitale della società aggiudicataria è interamente pubblico e in cui non vi è alcun indizio concreto
di una futura apertura del capitale di tale società ad investitori privati, la mera possibilità per i
privati di partecipare al capitale di detta società non è sufficiente per concludere che la
condizione relativa al controllo dell’autorità pubblica non è soddisfatta” ( Corte di Giustizia
sentenza c-573/07).
Ancor più esplicita in tal senso è anche la sentenza della Corte di Giustizia, C-371/05, secondo la
quale “….Per quanto riguarda il secondo argomento esposto dalla Commissione, si deve rilevare
che la possibilità per i privati di partecipare al capitale della società aggiudicataria, in
considerazione in particolare della forma societaria di quest’ultima, non è sufficiente, in assenza
di una loro effettiva partecipazione al momento della stipula di una convenzione come quella di
cui trattasi nella presente causa, per concludere che la prima condizione, relativa al controllo
dell’autorità pubblica, non sia soddisfatta. Infatti, per ragioni di certezza del diritto, l’eventuale
obbligo per l’amministrazione aggiudicatrice di procedere ad una gara d’appalto dev’essere
valutato, in via di principio, alla luce delle condizioni esistenti alla data dell’aggiudicazione
dell’appalto pubblico di cui trattasi (v., in tal senso, sentenza 10 novembre 2005, causa C 29/04,
Commissione/Austria, Racc. pag. I 9705, punto 38)”.
La mera previsione, in statuto, della futura ed ipotetica possibilità di un ingresso di capitali
privati, non vale, dunque, secondo l’attuale orientamento della Corte di Giustizia, a fare venire
meno il controllo analogo, finchè, tale possibilità, non venga, poi, effettivamente concretizzata.
Tale precisazione trova oggi riscontro diretto, come si diceva, anche nelle suddette direttive, più
precisamente nell’art. 12 della direttiva appalti (2014/24/UE), nell’art. 28 della direttiva settori
speciali (2014/25/UE) e nell’art. 17 della direttiva concessioni (2014/23/UE). Si fà riferimento alle
ipotesi di appalti e concessioni tra enti nell’ambito del settore pubblico, o agli appalti tra
amministrazioni aggiudicatrici (per i settori speciali), aggiudicati a una “persona giuridica di diritto
pubblico o di diritto privato”; escludendoli dall’ambito di applicazione delle direttive. Nel
confermare tutto quanto fino ad oggi sostenuto dalla giurisprudenza della Corte di giustizia in tema
di in house providing e relativi elementi costitutivi, con specifico riferimento al requisito della
totale partecipazione pubblica, viene configurata una relazione in house anche in presenza di forme
di partecipazione di capitali privati, prescritte dalle disposizioni legislative nazionali in conformità
8 dei trattati, che non comportano controllo o potere di veto, attraverso le quali non possa essere
esercitata alcuna influenza determinante sul soggetto affidatario in house. 9
Ulteriore profilo di contraddizione, insito al suddetto orientamento delle sezioni unite della
Cassazione, concerne anche la mancata estensione della giurisdizione contabile alle cd società
strumentali. Trattasi, più in particolare, delle società, a capitale interamente pubblico o misto,
costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali che hanno ad oggetto non
la gestione dei servizi pubblici locali, bensì la produzione di beni e servizi strumentali all'attività
degli enti soci, in funzione della loro attività. Ai sensi dall’art 13 del DL 223/2006 le stesse sono
tenute ad avere un oggetto esclusivo e ad operare solo con gli enti costituenti o partecipanti o
affidanti 10 . E’, infatti, posto il divieto di svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o
privati, nè in affidamento diretto nè con gara, di partecipare ad altre società o enti aventi sede nel
territorio nazionale. Appare evidente, in tali casi, di trovarsi in presenza di un capitale
esclusivamente di natura pubblica che, in quanto precluso al mercato, non è remunerato in alcun
modo da finanziamenti di natura privata, né soggetto ad alcun rischio di impresa, con conseguente
sovrapponibilità economica dei due patrimoni. Il nesso strumentale, poi, vale a richiamare alla
mente altra figura analoga a quella in esame, rappresentata dalla azienda speciale. Ai sensi dell’art
114 del TUEL, trattasi di un ente pubblico economico che, oltre ad essere strumentale rispetto
all’ente locale, è dotato di personalità giuridica, di autonomia imprenditoriale e di proprio statuto.
Rileva, quindi, una forte analogia sostanziale con le società strumentali di cui sopra, anch’esse
connotate, oltre che dal vincolo della strumentalità, anche dalla personalità giuridica autonoma ed,
inoltre, dalla esclusività dell’oggetto. Si consideri, tra l’altro, che gli orientamenti maggioritari
escludono che le predette società strumentali possano cumulare attività strumentali e servizi
pubblici locali. La mera differenza formale di “etichetta” rappresentata dal fatto che l’una, l’azienda
speciale, è un ente pubblico economico, mentre l’altra è una società di capitali privata, non vale
9
In proposito si è pronunciata la sezione di controllo per la Liguria della Corte dei conti con la pronuncia n. 24/2014, secondo la quale:” Le condizioni individuate dalla giurisprudenza sono le seguenti: a) presenza di capitale interamente pubblico; b) svolgimento dell'attività prevalentemente con i soci pubblici affidanti; c) esercizio da parte dei soci, nei confronti del soggetto stesso, di un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi. Tali condizioni sono state ribadite e tradotte in norma con alcune novità dall’art.12 della Direttiva 2014/24/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 sugli appalti pubblici (che abroga la direttiva 2004/18/CE), che ha stabilito che non rientra nell'ambito di applicazione del nuovo corpus di regole per gli appalti un affidamento di servizio tra un'amministrazione aggiudicatrice e una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato nei seguenti casi: a) quando la prima eserciti sulla seconda un controllo analogo a quello da essa esercitato sui propri servizi; b) in caso di attività prevalente che si concretizza allorquando oltre l'80% delle attività della persona giuridica controllata sono effettuate nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall'amministrazione aggiudicatrice controllante o da altre persone giuridiche controllate dall'amministrazione aggiudicatrice di cui trattasi. Importante novità rispetto agli orientamenti giurisprudenziali consolidati è data dalla previsione di un terzo elemento necessario per la definizione del rapporto interorganico, quale l'assenza nella persona giuridica controllata di partecipazioni dirette di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto, prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei Trattati, che non esercitano un'influenza determinante sulla persona giuridica controllata. Pertanto sarà cura dell’Ente valutare se nel caso di specie ricorrano tali condizioni ed in caso positivo il Comune potrà ricorrere all’affidamento del servizio di accertamento e riscossione dei tributi locali alla società strumentale”. 10
Si veda in proposito sezione di controllo per la regione Valle d’Aosta della Corte dei Conti pronuncia n. 13/14. 9 quindi a ragionevolmente giustificare il radicarsi della giurisdizione contabile nel caso di danni al
patrimonio della prima, come unanimamente riconosciuto (ex multis Corte dei conti Sez. Giur.
Molise n. 74/13) e negarla, invece, nel caso delle società strumentali. Specie ove si tratti di società
partecipate da enti pubblici in misura totalitaria, rilevano tutti gli elementi per qualificare il relativo
patrimonio come sostanzialmente pubblica, pur se non dovesse essere possibile inquadrala anche
come in house 11 .
Altro argomento di critica all’orientamento in esame emerge, infine, dalla disamina della recente
normativa di cui alla L 147/2013. Come ampiamente evidenziato, la radicata giurisdizione contabile
in caso di danno al patrimonio delle società in house, si fonda sulla assenza di una reale
configurabilità di un patrimonio autonomo, sostenendosi in proposito che “il velo che normalmente
nasconde il socio dietro la società è dunque squarciato”.
L’art. 1 comma 551, della suddetta L. 147/13, seppure con riferimento alle sole società
partecipate dalle pubbliche amministrazioni locali indicate nell'elenco di cui all'articolo 1, comma 3,
della legge 31 dicembre 2009, n. 196 ( ISTAT) 12 , dispone che, in caso di risultato di esercizio o
saldo finanziario negativo, le predette pubbliche amministrazioni debbono accantonare nell'anno
successivo in apposito fondo vincolato un importo pari al risultato negativo non immediatamente
ripianato, in misura proporzionale alla quota di partecipazione. Seppure venga subito dopo
precisato, al capoverso successivo della medesima norma, che l’importo accantonato è reso
disponibile in misura proporzionale alla quota di partecipazione nel caso in cui l'ente partecipante
ripiani la perdita di esercizio o dismetta la partecipazione o il soggetto partecipato sia posto in
liquidazione, ciò che rileva ai fini del presente lavoro è che viene in tal modo acclarato che la
gestione antieconomica incide comunque in modo diretto sulle finanze dell’ente socio. Il fatto che
questi sia tenuto ad accantonare in un fondo “vincolato” una somma pari al risultato negativo non
immediatamente ripianato, vale a sottrarre, infatti, alle esigenze della collettività ed alle finalità
istituzionali cui l’ente locale è preposto quota parte dei fondi di bilancio a causa della mala gestio
del patrimonio societario. Disciplina questa che non esiste nell’ambito del regime proprio delle
società di capitali connotate, invece, da una autonomia patrimoniale. Viene in tal modo cancellato il
predetto effetto tipico della autonomia tra i patrimoni, disponendosi, ex lege, uno squarcio tra gli
11
Si veda la pronuncia della Sezione Autonomie della Corte dei conti, pronuncia n. 2/14 con la quale si è ammessa la trasformazione eterogenea di una spa in azienda speciale sulla base delle seguenti considerazioni: “In effetti, l’azienda speciale che risulterebbe dalla trasformazione della società per azioni a totale partecipazione pubblica è dotata di un patrimonio separato a garanzia dei terzi e dei creditori, fermo restando che, sia nell’organismo di partenza che in quello di arrivo, esistono i necessari raccordi con gli enti pubblici di riferimento. Da un lato, sussiste una società per azioni interamente partecipata da enti territoriali, presumibilmente dotata delle caratteristiche dell’in house providing e, quindi, da intendersi come una longa manus degli enti soci (cfr. C. cost., 20 marzo 2013, n. 46); dall’altro, un’azienda speciale consortile di diritto pubblico, come tale inserita nel sistema amministrativo dell’ente locale. La conclusione che si potrebbe trarre è nel senso della compatibilità della prospettata operazione, alla luce dell’interpretazione sistematica delle disposizioni di cui all’art. 2500‐septies c.c. e, in particolare, del principio di continuità (art. 2498 c.c.) applicabile a tutte le ipotesi di trasformazione societaria, tenuto conto della natura degli organismi oggetto di trasformazione”. 12
Vedi elenco da ultimo pubblicato sulla G.U. del 10.09.2014 10 stessi, con una incidenza immediata e diretta dei risultati negativi della gestione della società
partecipata sul patrimonio dell’ente socio 13 .
5. tesi che prescinde dalla natura giuridica formale del patrimonio leso.
La assenza di univocità di opinioni nell’ambito delle medesime sezioni unite della Cassazione
rispetto alla esatta delimitazione della giurisdizione della Corte dei Conti in tema di responsabilità
di amministratori e dipendenti delle società partecipate da enti pubblici e le contraddittorietà
evidenziate in seno all’orientamento più recente, incoraggiano ulteriori approfondimenti in
proposito.
Le difficoltà di carattere sistematico avvertite nel radicare la giurisdizione contabile anche in
caso di danni arrecati in via “diretta” al patrimonio delle stesse, nascono tutte, come si diceva, dalla
relativa natura privata e dalla impossibilità di ravvisarne la riqualificazione, in sede interpretativa,
come pubblico.
Il problema, in realtà, può, invece, essere affrontato prescindendo dalla riqualificazione della
natura giuridica ed assumendo, invece, in considerazione, da un lato i contenuti innovativi della
moderna nozione di contabilità pubblica e dall’altro la valenza peculiare degli interessi che
indubbiamente permeano le società totalmente partecipate o sottoposte al controllo di enti pubblici.
La attuale nozione di contabilità pubblica si estende, come si diceva, a ricomprendere l’intero
complesso della finanza pubblica e di tutte le misure necessarie a garantire il rispetto dei vincoli
imposti dalla sovraordinata Unione Europea in tema di sana gestione delle finanze pubbliche e
divieto di disavanzi pubblici eccessivi, anche al fine di garantire la solidarietà tra le generazioni (
TUE art. 3; TFUE art 119, 126). Rilevano, pertanto, interessi che hanno una matrice diretta, non
solo in fonti sovraordinate europee, ma anche nella nostra stessa Costituzione, a seguito, tra l’altro,
della recente modifica degli art. 81 e 97 ad opera della L. Cost. 1/12. L’equilibrio tra le entrate e le
spese dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico è, infatti, divenuto principio costituzionale
precettivo, rivolto allo Stato e a tutte le pubbliche amministrazioni. E’, in proposito, concetto ormai
assodato anche nella giurisprudenza della Corte costituzionale, quello secondo cui in un tale ambito
sono da farsi rientrare anche soggetti che, seppure formalmente privati, gestiscono, in sostanza,
risorse della collettività ed incidono, quindi, sui saldi di finanza pubblica ( ex multis Corte Cost.
466/1993).
13
L. 147/13, art 1 comma 551. Nel caso in cui i soggetti di cui al comma 550 presentino un risultato di esercizio o saldo finanziario negativo, le pubbliche amministrazioni locali partecipanti accantonano nell'anno successivo in apposito fondo vincolato un importo pari al risultato negativo non immediatamente ripianato, in misura proporzionale alla quota di partecipazione. Per le società che redigono il bilancio consolidato, il risultato di esercizio è quello relativo a tale bilancio. Limitatamente alle società che svolgono servizi pubblici a rete di rilevanza economica, compresa la gestione dei rifiuti, per risultato si intende la differenza tra valore e costi della produzione ai sensi dell'articolo 2425 del codice civile. L'importo accantonato è reso disponibile in misura proporzionale alla quota di partecipazione nel caso in cui l'ente partecipante ripiani la perdita di esercizio o dismetta la partecipazione o il soggetto partecipato sia posto in liquidazione. Nel caso in cui i soggetti partecipati ripianino in tutto o in parte le perdite conseguite negli esercizi precedenti l'importo accantonato viene reso disponibile agli enti partecipanti in misura corrispondente e proporzionale alla quota di partecipazione. 11 Posto, dunque, che ove ci si trovi a gestire risorse di natura pubblica, nel perseguimento di
finalità proprie della pubblica amministrazione, pur se connotati dall’essere soggetti di diritto
privato, si è pienamente coinvolti dalla portata precettiva dei richiamati principi costituzionali,
rappresenta conseguenza ormai invalsa nel nostro ordinamento quello della estensione dello
speciale regime rinforzato di tutela degli stessi. Gli esempi, più in generale, di una tale
contaminazione degli privatistici da parte del regime tipico dello statuto pubblicistico ogniqualvolta
gestiscono interessi sopraindividuali, sono ormai molteplici. Rileva innanzitutto il settore della
contrattualistica pubblica. Anche in tale ambito si è assistito ad una evoluzione dei contenuti di un
concetto tradizionale, quale quello della “evidenza pubblica”. Da una originaria e restrittiva
accezione “contabilistica”, che finalizzava il relativo procedimento al solo scopo di garantire alla
pubblica amministrazione operante la scelta della offerta migliore, si è giunti, per influsso della
normativa europea, ad una differente e più ampia accezione ( Cost. 401/07). Rimasta solo sullo
sfondo la finalità di origine, l’evidenza pubblica è oggi orientata a tutelare soprattutto le ragioni
della concorrenza e del mercato, quali interessi di competenza propria della comunità europea e di
portata, quindi, sovranazionale. In questa ottica se ne esteso l’ambito applicativo fino a raggiungere
chiunque, pur se soggetto di diritto privato, sia in grado, per anomali aiuti e privilegi ricevuti da una
pubblica amministrazione, di turbare l’equilibrio del mercato garantito dalla libera concorrenza. Di
qui si è giunti a coniare la figura dell’organismo di diritto pubblico e della impresa pubblica, ma al
solo ed esclusivo fine di individuare i soggetti che, seppure di diritto privato, immutata
rimanendone la natura giuridica, sono comunque tenuti ad applicare il procedimento della evidenza
pubblica, tipico dell’agire contrattuale delle pubbliche amministrazioni (cfr. Cons. Stato 30 gennaio
2013, n. 570) 14 . Tutti gli altri attori del mercato, ove trattasi di ordinari soggetti di diritto privato,
non connotati da alcun contatto con pubbliche amministrazioni, non sono certo tenuti ad osservare il
regime della evidenza pubblica nell’esercizio della propria attività contrattuale.
Se, allora, si è ritenuto possibile, al fine di salvaguardare il sovraordinato principio della libera
concorrenza, estendere il regime tipico della evidenza pubblica anche nei confronti di soggetti di
diritto privato, contaminati dallo statuto pubblico dal quale risultano suscettibili di riceve privilegi,
analogamente, a tutela di interesse di pari rilevanza costituzionale ed europea, quale, appunto, la
sana gestione della finanza pubblica e la tenuta dei relativi saldi entro i limiti propri del patto di
stabilità e crescita, dovrà estendersi lo speciale regime di responsabilità contabile, attivabile su
iniziativa del pubblico ministero contabile, in aggiunta e non in sostituzione dell’ordinario regime di
tutela disciplinato dal codice civile. Il tutto senza minimamente incidere sulla natura giuridica dei
predetti soggetti, che rimarrà di diritto privato. Gli esempi non finiscono qui. Da ultimo, il Decreto
Legge 24 giugno 2014 n. 90, con la norma di cui all’art 32, sempre nell’ambito della
contrattualistica pubblica, ha disciplinato una ulteriore ipotesi di contaminazione della fase della
14
Nella vicenda di cui alla richiamata sentenza, il Consiglio di Stato, pur riconoscendo la natura di organismo di diritto pubblico alla società Tivoli Forma s.r.l., interamente partecipata dal comune di Tivoli, ha però escluso la radicabilità della giurisdizione del GA ai sensi dell’art 63, comma 4, d.lgs. n. 165/2001 in merito ad una controversia inerente una procedura concorsuale di assunzione di personale. Sostenendone, infatti, la natura giuridica comunque di diritto privato, pur se annoverabile tra gli organismi di diritto pubblico, ha riconosciuto, nel caso di specie, rilevare un rapporto di impiego di natura privata, con assenza di esercizio di poteri pubblici. Si è, altresì, negato ogni rilievo in proposito all’art 18, comma 2, del d.l. n. 112/2008 ( a tenore del quale le società a partecipazione pubblica totale o di controllo debbono adeguarsi, ai fini del reclutamento del personale e del conferimento delle consulenze, ai principi di cui al d.lgs. n. 165/2001) inserendosi in ogni caso nell’agire iure privatorum delle società senza comportare necessariamente esercizio di pubbliche potestà ed incidere direttamente sulla giurisdizione 12 esecuzione del contratto, ordinariamente ascritta alla esclusiva sfera privatistica, prevedendo un
regime speciale a tutela degli immanenti interessi pubblici. Si è, infatti previsto che, ove un'impresa
aggiudicataria di un appalto per la realizzazione di opere pubbliche, servizi o forniture ovvero un
concessionario di lavori pubblici o un contraente generale risulti destinatario di un procedimento
penale attivato per talune tipologie di reati dalla norma stessa elencate oppure vengano meramente
rilevate situazioni anomale e comunque sintomatiche di condotte illecite o eventi criminali
attribuibili ai predetti, il prefetto competente può giungere fino ad ordinare la rinnovazione degli
organi sociali mediante la sostituzione del soggetto coinvolto o, addirittura, provvedere direttamente
alla straordinaria e temporanea gestione dell'impresa appaltatrice limitatamente alla completa
esecuzione del contratto di appalto o della concessione. L'attività di temporanea e straordinaria
gestione dell'impresa viene considerata di pubblica utilità ad ogni effetto e gli amministratori
possono rispondere delle eventuali diseconomie dei risultati solo nei casi di dolo o colpa grave.
Evidente è la marcata penetrazione del regime tipico pubblicistico, a tutela dei relativi interessi, in
una fase negoziale che, come si diceva, è unanimamente ascritta al diritto privato. In tal senso si è
pronunciata anche la corte costituzionale con la sentenza 160/09, laddove, nel definire l’attività
contrattuale della pubblica amministrazione, ha affermato che nella fase della esecuzione del
contratto l’amministrazione si “pone in una posizione di tendenziale parità con la controparte”,
sottintendendo che l’interesse pubblico rimane sullo sfondo, ma non si annulla totalmente, pronto a
riemergere a tutela dei sovraordinati interessi della collettività, per conto dei quali si agisce e
gestisce. Classico esempio ne è anche la fattispecie di cui all’art 11 DPR 252/98. Il potere di
recesso, ivi disciplinato, conseguente alla informativa prefettizia di cui al Dlgs 490/04, in quanto
espressione dell’esercizio di una potestà pubblicistica e non connesso ad un inadempimento
contrattuale, pur inerente la fase della esecuzione del rapporto contrattuale, è rimesso alla
giurisdizione del GA e non del GO.
Fermo restando quanto sopra, la disamina può essere, a tal punto, concentrata sullo specifico
mondo delle società partecipate, ove la interessenza pubblica dominante ed idonea, in quanto tale,
ad attrarre il regime speciale posto a tutela della finanza pubblica, non è semplicemente rimesso alla
attività ermeneutica dell’interprete, ma è confermato dal medesimo legislatore con la alluvionale
produzione di norme con le quali si è esteso alle predette società partecipate il tipico regime
vincolistico previsto per le amministrazioni a presidio dei saldi di finanza pubblica.
Denegando ogni incisione diretta sui bilanci pubblici della gestione delle società partecipate,
quantomeno di quelle ascritte alla tipologia considerata a tal fine dal legislatore e cioè le società
totalmente partecipate e le società sottoposte al controllo di enti pubblici, si priverebbe di ogni
ragion d’essere tutta la normativa cui si faceva riferimento. Se, infatti, la ragione storica del
consentire alle pubbliche amministrazioni di ricorrere allo strumento societario per la gestione dei
servizi pubblici locali era stata individuata nella maggiore libertà di manovra garantita dal relativo
regime, tale normativa vincolistica e costrittiva proprio nei confronti della predetta libertà di
manovra, dettata a tutela della finanza pubblica risulterebbe schizofrenica ed irrazionale per due
semplici motivi: primo perché verrebbe di netto a contraddire la ragione stessa per la quale si è,
viceversa, consentito il ricorso allo strumento societario; secondo perché avviene al fine di tutelare
una finanza pubblica che si asserisce, invece, non essere intaccata trattandosi di patrimoni di diritto
privato 15 .
15
Negare la giurisdizione della Corte dei conti in caso di danno diretto al patrimonio societario provocherebbe, tra l’altro, dei gravissimi vuoti di tutela giurisdizionale. Renderebbe ad esempio come inutiliter datae le norme imperative di finanza pubblica che impongono, per il conferimento degli incarichi, il ricorso a selezioni pubbliche nel rispetto del principi di cui all’art 35 D.lgs 165/01 ( art 18 comma 1 e 2 Dl 112/08). La violazione di un tale disposto, infatti, pur 13 Solo per accennare agli ultimi interventi normativi in proposito, rileva il dlgs 126/14 in tema di
armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle regioni, degli enti locali e dei
loro organismi, con il quale si è modificato ed integrato il previgente dlgs 118/11. A conferma,
infatti, della più volte enunciata incidenza diretta della gestione delle predette società sulle
pubbliche finanze e della necessità di procedere alla suddetta contaminazione con istituti tipici del
diritto pubblico, si è sancito l’obbligo per le pubbliche amministrazioni locali di consolidare il
proprio bilancio, tra l’altro, con le società partecipate e controllate ( art 11 bis e ss). A tal ultimo
proposito si è anche precisato che consolida, ex lege, l’esercizio della influenza dominante da parte
del socio pubblico l’avere stipulato un contratto di servizio o una concessione con le società che
svolgono prevalentemente l’attività oggetto degli stessi 16 . Non è irrilevante la considerazione che le
suddette società vengono, a tal fine, disciplinate nella stessa maniera nella quale sono disciplinate la
istituzione, l’azienda speciale e gli altri enti strumentali delle pubbliche amministrazione locali,
indirettamente confermando che hanno la identica valenza sotto il profilo della incidenza sui bilanci
pubblici. In quei casi, come noto, la giurisdizione della corte dei conti è ampiamente riconosciuta
anche in caso di danno diretto al patrimonio dell’ente. Riprova inconfutabile della predetta
incidenza diretta è il disposto di cui all’art 2 DL 52/12, a tenore del quale, proprio ai fini della
razionalizzazione della spesa pubblica e del coordinamento della finanza pubblica, le società a
totale partecipazione pubblica diretta e indiretta sono da ritenersi incluse tra e pubbliche
amministrazioni. Addirittura, ai sensi del combinato disposto
Se, dunque, tale quadro normativo non può valere ad incidere sulla natura giuridica di tali
soggetti, intervertendone la natura da privata a pubblica, vale, senza ombra di dubbio, a
dando vita ad una grave condotta antigiuridica, in violazione del principio costituzionale di cui all’art. 97 Cost, non troverebbe efficace sanzione. Non si radica in proposito la giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto si è in presenza di soggetti integralmente privati., né quella del giudice contabile, in virtù dell’orientamento delle sezioni unite di cui sopra. Quanto alla giurisdizione del giudice ordinario, fermo restando che è rimessa alla iniziativa del socio, fino ad oggi di rara attivazione, nel merito non condurrebbe ad esiti di condanna ove comunque dovesse risultare che il managment ha ottenuto, nel complesso, risultati positivi. Prevale, ovviamente, l’interesse imprenditoriale e del lucro, essenza stessa dello strumento societario. Ciononostante quella disposizione, ascritta anche dalla corte costituzionale tra le norme imperative di finanza pubblica, dettate nell’ottica di una riduzione della spesa, rimarrebbe, come si diceva, priva di ogni forma tutela pur nel caso in cui sia comprovabile che l’incarico consulenziale era “inutile” essendovi all’interno dell’ente professionalità idonee a svolgere le medesime mansioni, con un conseguente spreco di risorse sostanzialmente pubbliche. Appare in definitiva evidente quanto la soluzione alla problematica di giurisdizione in esame oltre che ad esigenze di diritto risponda anche, più in generale, ad esigenze di legalità. 16
La biunivoca corrispondenza ed incidenza sui rispettivi patrimoni delle vicende interessanti società partecipata ed ente socio emergono anche da Corte dei conti Sez.Controllo per la Lombardia decisione 447/2013.Si è chiarito che in caso di violazione del patto di stabilità interno da parte dell’ente locale socio, il divieto di assunzione di personale a qualsiasi titolo disposto dall’art 76, comma 4,dl 112/08 si estende anche alla società partecipata in virtù del disposto normativo, di cui all’art. 18 comma 2 bis dl 112/08 e dl 138/11 art 3bis comma 6. Pur essendo stata modificata, dalla successiva L. 147/13 e dl 66/14, la disciplina di cui ai predetti articoli rispetto al disposto vigente alla data di redazione della decisione citata, permane ad oggi la estensione alle società partecipate dei vincoli assunzionali propri dell’ente socio. A differenza del disposto allora vigente, ad oggi la disciplina in parola richiede la intermediazione della società stessa che è tenuta ad adeguarsi attraverso l’adozione di un proprio atto e nel rispetto delle direttive fornite dal socio. Pur non essendovi più la estensione diretta ex lege, rimane comunque disposto l’obbligo di agire in tal senso, con possibilità di configurare una responsabilità per danno all’erario in capo all’ente socio che ometta di fornire le direttive o, seppur fornite, di monitorare, poi, che la società effettivamente si adegui. 14 certificarne e comprovarne la diretta incidenza sui saldi di finanza pubblica 17 . Tanto basta, nel
rispetto dell’ormai invalso orientamento della Cassazione, cui si faceva sopra cenno, che fonda il
radicarsi della giurisdizione del giudice contabile sulla sostanziale invendibilità di una lesione alle
finanze pubbliche 18 , a rendere lecita l’estensione dello speciale regime di responsabilità posto a
tutela della gestione delle risorse pubbliche e dell’interesse, costituzionalmente rilevante,
all’equilibrio dei bilanci e alla sostenibilità del debito pubblico. Estensione che, a tal punto, non
incidendo sulla natura giuridica dei soggetti in parola, non solleva più alcuna problematica di
carattere sistematico, permanendo intatto ed inalterato il regime proprio codicistico.
D’altronde la coesistenza dello speciale regime di responsabilità per danno all’erario con
altri differenti regimi, propri del diritto civile, non è affatto una novità. Ciò accade, ad esempio,
laddove la pubblica amministrazione paghi un indebito. In tal caso, pur potendo quest’ultima agire
innanzi al giudice ordinario per il recupero del predetto indebito, non è impedito al pubblico
ministero contabile di attivare nel contempo la azione di responsabilità nei confronti degli autori
materiali del pagamento. Ove, poi, nel corso del giudizio dovesse essere integralmente recuperata la
17
Tribunale di Napoli sezione settima fallimentare, sentenza n. 188/2014, nel dichiarare il fallimento della società di trasformazione urbana (STU) Bagnoli Futura, società totalmente partecipata da enti pubblici, conferma la diretta incisione della gestione di tali società sui bilanci pubblici laddove afferma: “ Non va nemmeno taciuto che Bagnolifutura è una società collegata al Comune di Napoli anche dal punto di vista del bilancio dello stesso e non possono tacersi le ripercussioni che potrebbe avere sullo stesso la dichiarazione di fallimento della STU”. 18
Si veda in proposito recentissima sentenza Cass. Sez. Unite 19891/14, secondo la quale:” L'art. 52 del r.d. 12 luglio 2934, n. 1214, applicabile agli amministratori e al personale degli enti locali in forza dell'art. 58 legge 8 giugno 1990, n. 142, a sua volta trasfuso nell'art. 93 del d.lgs. 15 maggio 2000, n. 127, manifesta il trasparente intento di non limitare la categoria dei destinatari delle norme in materia di responsabilità amministrativa ai soli soggetti" che abbiano instaurato con lo Stato o con altro ente pubblico un rapporto di impiego vero e proprio, dato che menziona, oltre agli impiegati, i funzionari e gli agenti, civili e militari, tout court, siano essi dipendenti ovvero comunque retribuiti da amministrazioni, aziende e gestioni pubbliche. In tale contesto la più qualificata dottrina e la giurisprudenza di legittimità, al fine di individuare l'ambito di estensione della giurisdizione della Corte dei conti in relazione alla posizione dell'autore della condotta, pretesamente responsabile di danno erariale, si sono avvalse anzitutto del criterio c.d. dell'appartenenza, andando a scrutinare se, in relazione alle connot2zione che, in concreto, ha assunto il singolo rapporto, il soggetto possa considerarsi parte integrante (e costitutiva) di una pubblica amministrazione. Ne è derivata l'elaborazione di una nozione di rapporto di servizio, come rapporto che è configurabile tutte le volte in cui il soggetto, persona fisica o giuridica, benché estraneo all'ente, si trovi investito, anche di fatto, dello svolgimento, in modo continuativo, di una determinata attività in favore dello stesso, venendo conseguentemente a inserirsi nella sua organizzazione e ad assumere particolari vincoli ed obblighi funzionali ad assicurare il perseguimento delle esigenze generali, cui l'attività medesima, nel suo complesso, è preordinata (Cass. civ. sez. un. 9 febbraio 2011, n. 3165; Cass. civ. sez. un. 3 luglio 2009, n. 15599; Cass. civ. 9 settembre 2008, n. 22652). Sul piano sistematico, l'ampliamento della responsabilità erariale a soggetti non ricompresi nell'apparato amministrativo è dunque avvenuto attraverso il cavallo di troia del rapporto di servizio in senso ampio, applicabile, tra l'altro, al professionista esterno chiamato a svolgere una certa attività in favore dell'ente pubblico e a quel punto soggetto anche ai vincoli connessi alla funzione alla quale ogni attività amministrativa è, per definizione, orientata”. Ha ulteriormente precisato che “che interpretazioni restrittive delle disposizioni che fissano l'ambito della giurisdizione del giudice contabile appaiono tanto meno giustificabili quanto più siano suscettibili di risolversi nella restrizione del numero degli obbligati a risarcire il danno in definitiva provocato dall'agente all'intera comunità, talvolta addirittura per scopi criminosi (confi‐. Cass. sez. un. 4 gennaio 2012, n. 11; Cass., sez. un., 4 novembre 2009, n. n. 23332”). 15 somma, se non rimane alcuna posta di danno erariale contestata insoddisfatta, si avrà la cessazione
della materia del contendere.
La predetta innervatura del regime di responsabilità in parola si è, tra l’altro, già avuta ad opera
della medesima cassazione a sezioni unite nel caso della RAI 19 . Il fatto che si tratti di una società
legale, costituita, cioè, per legge, non ha alcuna valenza rispetto alla ricostruzione ivi condotta.
Trattasi di una peculiarità messa in risalto dalla Cassazione al fine di valutare la assimilabilità della
stessa ad un ente pubblico. Prescindendo, invece, da tale aspetto e considerando che, comunque, la
suddetta Cassazione non è giunta a riqualificarne la natura giuridica, deve concludersi che ha
ammesso la estensione ad un soggetto di diritto privato del regime tipico della responsabilità per
danno all’erario con il radicarsi della giurisdizione della Corte dei conti, in ragione della peculiarità
del regime conformato e degli interessi pubblico-finanziari sottesi. In tali casi, dunque, in disparte
ogni disquisizione sulla natura giuridica delle società partecipate in esame, le stesse, ove anche si
concluda l’indagine ermeneutica del caso concreto per il permanere della natura privata, saranno
soggette da un lato, integralmente al regime giuridico proprio del codice civile e, nel contempo,
dall’altro, per taluni limitati aspetti tra i quali il regime di responsabilità contabile, a quello proprio
dello statuto pubblico. 20 Ciò vale anche a garantire il principio della certezza del diritto in quanto,
pur in presenza di una società eventualmente classificabile come in house, non vi sarà dubbio che
possa fallire, non sobbarcando, ad esempio, il terzo creditore all’oneroso compito di procedere egli
stesso ad una analisi, caso per caso, se lo statuto dell’ente societario con il quale sta entrando in
contatto possa qualificarsi o meno come effettivamente in house. Nel contempo, gli amministratori
e dipendenti, in quanto gestori di risorse pubbliche, saranno ben consapevoli del regime peculiare di
responsabilità contabile che si affiancherà ( e non sostituirà) quello tipico codicistico e della
conseguente necessità di tenere in debito conto delle numerose norme di finanza pubblica che
connotano l’agire di tali soggetti di diritto.
6. Interposititio legislatoris
Alla luce dell’articolato quadro normativo esistente, del quale si è, solo in minima parte, dato
conto sopra, deve allora concludersi che per la tipologia di società partecipate dal legislatore prese
in considerazione, rilevi comprovata la incidenza diretta della relativa gestione sui bilanci pubblici e
la conseguente possibilità, in virtù degli orientamenti vigenti in tema di delimitazione degli ambiti
della giurisdizione della corte dei conti, di estendere il regime speciale di responsabilità per danno
erariale e radicare la giurisdizione contabile. La circostanza rappresentata dal fatto che l’interesse
del socio pubblico, secondo quanto sostenuto dalla Cassazione, sia da ritenersi “esterno” alla
società, non significa negare che, seppure non ai fini del comportarne il mutamento della natura
giuridica, possa comunque avere un rilievo nel senso prospettato.
L’interesse pubblico, di diretta matrice costituzionale, alla corretta gestione delle risorse della
collettività onde garantire il rispetto dei saldi di finanza pubblica imposti dagli obiettivi di cui al
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Cass. Civile Sez. Unite n. 28329/11 20
Cit. Trib. di Napoli, Sez. settima Civile Fallimentare, sentenza 188/2014, non aderendo all’orientamento della sentenza della Cassazione civile Sez. Unite 26283/13, ha tenuto nettamente distinta la eventuale qualifica della società stessa come in house providing rispetto alla problematica della relativa fallibilità o meno. Si è sostenuto in proposito che ciò che rileva a tal ultimo fine è il criterio “tipologico”. Ove si sia in presenza di società di diritto comune, queste sono assoggettabili al fallimento, pur se annoverabili nella predetta categoria delle in house . Irrilevante, infatti, è la natura del rapporto funzionale con l’ente proprietario. In tal senso anche Tribunale di Pescara decreto del 14.01.2014. 16 patto di stabilità e crescita, permane, infatti, immanente e non annullato dalla veste di natura privata
assunta dal soggetto di diritto costituito per la gestione di servizi o, addirittura, di funzioni
pubbliche. Trattasi in definitiva di un bilanciamento di interessi rimesso alla discrezionalità propria
del legislatore, chiamato a valutare le situazioni nelle quali l’interesse alla tutela delle finanze
pubbliche coinvolte è tale da attivare la inserzione di regimi propri della responsabilità contabile a
tutela delle stesse, superando il profilo della mera forma. Come facilmente evincibile dalla semplice
lettura dell’attuale quadro normativo sopra richiamato, le società per le quali il legislatore stesso ha
ritenuto che il suddetto interesse pubblico è idoneo ad attrarre il predetto regime sono le società in
house, le società strumentali, le società totalmente partecipate e quelle sottoposte al controllo
dell’ente pubblico. Quadro normativo che vale, altresì, a colmare lo spazio interpretativo lasciato
vuoto, secondo l’assunto della cassazione, dal disposto di cui al richiamato art 16 bis L. 31/08.
Ferma restando la giurisdizione ordinaria in tema di azioni di responsabilità nei confronti di
dipendenti ed amministratori delle società che, quotate nei mercati regolamentati, sono partecipate
dagli enti pubblici in misura inferiore al 50%, per tutte le altre società non quotate, oggetto di
esplicita menzione nell’ambito del quadro normativo di cui sopra, rileva la giurisdizione della corte
dei conti, pur in coabitazione con quella ordinaria. L’avere infatti espressamente individuato
quest’ultima per le sole società quotate con partecipazione pubblica inferiore al 50% non vuol dire
necessariamente averla esclusa nelle altre ipotesi.
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