Scarica qui il Quaderno GMEE no. 4

Autore
Sigfrido Leschiutta, già presidente dell’Istituto Elettrotecnico Nazionale “Galileo Ferraris” (IEN),
è membro dell’Accademia delle Scienze di Torino e docente di ruolo al Politecnico di Torino. È
nato nel 1933 e ha iniziato la sua carriera di scienziato nel 1963 all’IEN. Tra i tanti prestigiosi incarichi ricoperti in ambito nazionale ed europeo nel settore della ricerca spaziale e in particolare
per la realizzazione delle scale di tempo, spiccano: membro del Consiglio Scientifico dell’ASI dal
1989 al 1995 e presidente dal 1992 al 1994; delegato nazionale al Science Programme Committee di ESA dal 1994 al 1996 e membro del Solid Earth WG di ESA; presidente della Commissione internazionale per il Tempo e la Frequenza. È stato membro del Comitato Internazionale dei Pesi e delle Misure; nell’ambito delle attività connesse a tale organismo ha firmato, a
nome degli istituti metrologici primari italiani, l’Intesa di Mutuo Riconoscimento tra istituti primari
di metrologia di tutto il mondo. Amplissima la sua attività didattica, nell’università, anche come
coordinatore del Dottorato di Metrologia, nella Teledidattica per il Consorzio Universitario Nettuno e in molti altri ambiti. È autore di circa 200 pubblicazioni e di due libri. Come ben dimostra il
quaderno da lui scritto, molteplici sono i suoi interessi culturali che spaziano dalla storia alla
musica, dagli strumenti di misura antichi alla letteratura.
€ 14,00
ASSOCIAZIONE ITALIANA “GRUPPO MISURE ELETTRICHE ED ELETTRONICHE”
L’arte della misure viene presentata in quattro capitoli, ciascuno costituito da una
serie di brevi interventi, alcuni ironici, altri drammatici, sempre però scritti con grande vivacità, semplicità di linguaggio e immediatezza del messaggio che intendono
proporre. È il messaggio dell’universalità delle misure, nate “a misura d’uomo” ma
con valori che dal singolo si proiettano sull’umanità intera. La grande capacità di
Sigfrido Leschiutta consiste nell’affrontare con allegria temi difficili, riuscendo così
a farli apprezzare e comprendere. Mentre si legge con piacere la prosa scorrevole e i continui richiami ai nostri giorni e ai problemi che ci sono intorno, si apprende il cuore della storia della metrologia attraverso fatti e personaggi reali, che con
lo scorrere della pagine divengono amici con i quali piace confrontarsi.
Nel primo capitolo, “Gli orologi, i calendari e i satelliti”, otto quadretti storici, dalla
antica civiltà cinese ai giorni nostri, presentano le tecniche più curiose inventate
dall’uomo per misurare lo scorrere del tempo e per definire i riferimenti indispensabili per associare a un evento la sua collocazione nel passato. Il secondo capitolo, “La terra e le mele”, affronta in quattro quadri il tema della forma e delle
dimensione della Terra, presentando quattro problemi che hanno coinvolto alcuni
tra i più noti scienziati in dispute accanite e in misure geniali. Il terzo capitolo, “Personaggi”, è una gustosa galleria di figure vive, con le loro debolezze ed eroiche
convinzioni, immerse nel loro tempo ma capaci di testimonianze universali. Galileo, Franklin, Lagrange, Volta, Helmoltz e molti altri sfilano davanti al lettore con
tutta la loro umanità, portando ciascuno un tassello di nuova conoscenza da tramandare per costruire tutti insieme la scienza come essa è oggi. Nel quarto capitolo, “Paradigmi”, l’autore, che molti lettori già ben conoscono e apprezzano con
lo pseudonimo SILE, ha cercato di riassumere la sua grande esperienza nella
scienza e nella sua storia, proponendo sintetici quadri di alcuni tra gli accadimenti
che hanno contribuito a trasformare il modo stesso di concepire la scienza. La
lunga strada tracciata nel quaderno è arricchita da ricordi di momenti vissuti che
costituiscono una preziosa testimonianza del lento progredire di istituzioni e organismi, nella scienza e in particolare nella metrologia.
I QUADERNI DEL GMEE
N° 4
L’arte della misura del tempo
presso le cortigiane
e altre curiose storie sulle misure, le istituzioni
e i personaggi che hanno edificato
la moderna metrologia
E
G E
M
Sigfrido Leschiutta
Unità del GMEE di Torino
I QUADERNI DEL GMEE
N° 4
Sigfrido Leschiutta
L’ARTE DELLA MISURA DEL TEMPO
PRESSO LE CORTIGIANE
e altre curiose storie sulle misure, le istituzioni
e i personaggi che hanno edificato
la moderna metrologia
Unità GMEE di Torino
Quaderno n. 4 - GMEE
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I QUADERNI DEL GMEE N° 4
L’arte della misura del tempo presso le cortigiane
e altre curiose storie sulle misure, le istituzioni e i personaggi che hanno
edificato la moderna metrologia
Collana “I Quaderni del GMEE” - n° 4
a cura dell’Associazione Italiana
“Gruppo Misure Elettriche ed Elettroniche”
Con il gentile supporto di
Tutti i diritti di riproduzione, traduzione, adattamento anche parziale sono riservati a norma di legge e a norma delle convenzioni internazionali.
Videoimpaginazione: la fotocomposizione, Torino
Stampa: La Grafica Nuova, Torino
Finito di stampare nel mese di Ottobre 2008
ISBN 978-88-903149-4-0
A&T Affidabilità & Tecnologia
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1 - Il decibel e le unità logaritmiche assolute
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Prefazione
Imparare in allegria le misure.
Potrebbe essere il titolo di questo quaderno, da leggere in due serate, dimenticando una volta tanto mamma TV e i suoi indottrinamenti.
Ho raccolto nel quaderno articoli, in gran parte pubblicati sulla rivista Tutto_Misure, scritti per mostrare come la metrologia ben si sposi con la cultura umanistica, come seppero fare tanti dei personaggi che vi presento e che spero possano
diventare vostri amici.
Nel discorrere di chiodi e di mele, di scappatelle e giuramenti, di ingegneri e di
musicisti, ho cercato di far fluire, davanti agli occhi del lettore, i sacrifici, le lotte, i
compromessi che sono costati i progressi di quella regina delle scienze che è la metrologia.
Nel primo capitolo, “Gli orologi, i calendari e i satelliti”, otto quadretti storici,
dalla antica civiltà cinese ai giorni nostri, presentano le tecniche più curiose
inventate dall’uomo per misurare lo scorrere del tempo e per definire i riferimenti
indispensabili per associare a un evento la sua collocazione nel passato.
Il secondo capitolo, “La Terra e le mele”, affronta in quattro quadri il tema
della forma e delle dimensione della Terra, presentando quattro problemi che hanno
coinvolto alcuni tra i più noti scienziati in dispute accanite e in misure geniali.
Il terzo capitolo, “Personaggi”, è una galleria di figure, spero gustose e vive,
con le loro debolezze ed eroiche convinzioni, immerse nel loro tempo ma capaci di
testimonianze universali.
Nel quarto capitolo, “Paradigmi”, ho cercato di riassumere la mia esperienza
nella scienza e nella sua storia, offrendovi anche sintetici quadri di alcuni tra gli
accadimenti che hanno contribuito a trasformare il modo stesso di concepire la
scienza. Ho anche cercato di prendere in considerazione vari tipi di misure e, di
conseguenza, le grandezze che da esse vengono definite.
Senza le misure l’umanità appare perduta, incapace persino di riconoscere lo
scorrere del tempo nelle azioni più comuni, inevitabilmente schiava di superstizioni
e miti. Da questa constatazione, ossia che le misure sono, nei fatti, una normale ed
essenziale attività, parto per ragionare, sorridendo, sui perché, sulle storie, sui personaggi.
Continui sono, nei racconti, i riferimenti ai giorni nostri, alle esperienze quotidiane di ciascuno: ogni quadro vorrebbe così essere vivo, presente, avvincente. E
alla fine, senza che vi siate accorti d’aver letto un libro di scienza, forse scoprirete
d’aver camminato lungo lo stesso percorso che la mente dei singoli e la mente intera dell’umanità hanno compiuto per arrivare all’oggi. Quell’oggi che è incomprensibile senza il sapere di ieri, senza partecipare agli incidenti di percorso e ai drammi
interiori che è stato necessario superare per continuare il cammino.
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Quaderno n. 4 - GMEE
È questa capacità di tramandare alle generazioni successive le nuove conoscenze, e le difficoltà che si sono dovute superare per acquisirle, che ci distingue dagli
altri mammiferi.
Ecco perché leggere questo libretto mi auguro faccia sentire più liberi, più critici
di fronte a chi cerca di convincerci che il suo interesse è il nostro interesse, più
pronti a distinguere i paradigmi di moda dalle leggi della scienza, ma anche i limiti
di tali leggi, modelli culturali che dobbiamo essere pronti in ogni momento a verificare con le misure.
A voi lettori il decidere se sono riuscito a cogliere questi ambiziosi obiettivi
Sigfrido Leschiutta
L’Associazione Italiana GMEE ringrazia tre fra le migliori realtà culturali della
città di Torino per aver sostenuto con la propria sponsorizzazione di questo
Quaderno, con l’obiettivo di incrementare la diffusione della cultura metrologica nel nostro Paese
Accademia delle Scienze di Torino
Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica
Politecnico di Torino
Indice
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Indice
Pag.
Prefazione
1. Gli orologi, i calendari e i satelliti
L’arte della misura del tempo presso le cortigiane
Prostitute e avvocati usavano gli stessi orologi
Vieni a cena, quando l’ombra è di sei piedi
Tempo, calendario e carte da gioco
I cinque sensi e il “metro” cinese antico
Calendario e dintorni a Roma
Il giorno in cui vennero fermati gli orologi
Il Pprogetto Galileo: navigare con satelliti e orologi (con P. Tavella)
2. La Terra e le mele
Come è difficile misurare la terra
Ma la Terra è fatta come un’arancia o come un limone?
Sappiamo che la Terra è fatta come una mela schiacciata ai poli,
ma è una mela “normale” o una mela cotogna?
Sincronizzare orologi e misurare la distanza tra Palermo e Lecce,
guardando le stelle filanti
3. Personaggi
I nove strumenti scientifici di Galileo
Franklin e la Franklen: la stufa di Pennsylvania
Giuseppe Luigi Lagrange: grandissimo fisico-matematico,
ma anche grande metrologo
Il giuramento mai giurato di Galvani
La scappatella di Volta
La città di Milano dette ragione a Ohm
Quel matto di Wheatstone
Helmoltz, la moglie e il Kaiser
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Quaderno n. 4 - GMEE
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Pag.
4. Paradigmi
Il sistema metrico decimale è bello ma certamente scomodo
Gestazione, nascita e affermazione delle Leggi della Fisica
L’uso della rana come rivelatore elettrico ed elettromagnetico
Elettrotecnica, Elettronica e Telecomunicazioni:
breve storia dello sviluppo a Torino
La nascita difficile delle misure elettriche
Sei metri, tutti diversi ma tutti eguali
L’Istituto Elettrotecnico Nazionale “Galileo Ferraris” a Torino: la sua storia
Quale Metrologia per l’Italia?
La contesa tra negoziante e cliente è sempre stata vivace
Misurare l’impossibile
Indice dei nomi
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1 - Gli orologi, i calendari e i satelliti
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1 - Gli orologi, i calendari e i satelliti
L’arte della misura del tempo presso le cortigiane
Se c’è una professione per la quale vige e impera il proverbio inglese “time is
money” è appunto quella delle cortigiane e affini. Delle due accezioni del tempo (durata
e data) è la prima che fa testo, in quanto la seconda, pur legata a relazioni di fase, antifase o quadratura con le fasi della luna, è solitamente meno importante.
Restiamo pertanto al tempo come durata o intervallo. Dato il soggetto, sarebbe facile
scendere nel lubrico, ma la verecondia della pubblicazione, e del lettore medio, è certamente preservata dall’ancora maggiore verecondia dell’estensore della nota. Verrà seguito un rigoroso metodo storico. Ma prima di scendere a queste ben particolari tecniche
metrologiche, è opportuno premettere che, in un caso, si tratta di tecniche idrauliche e,
in tre, di tecniche ignee; verrà anche considerata una variante meccanico-elettrica di poco conto, considerata solo perché è la “recentiore” e perché, si presume, parte dei lettori
del quaderno siano di cultura meccanica, elettrica ed elettronica e, quindi, possano immaginare (e, se del caso, progettare e realizzare) i relativi circuiti.
Cominciamo con i Dialoghi delle Cortigiane di Luciano di Samosata. La Cortigiana,
o etera, era circondata da due pressioni tra loro contrastanti: da una parte la madre, che
vede la propria vecchiaia assicurata dal numero delle prestazioni della figlia, oltre che
dalla solvibilità del cliente; dall’altra parte la giovane servente che, distratta e sventata
come sono i giovani, avrebbe benissimo potuto dimenticarsi di ricaricare l’orologio usato per misurare la durata della prestazione. Su circa trenta Dialoghi che ci sono pervenuti, ben una decina considera questa ossessione della madre.
Veniamo all’orologio idraulico, che era un bacile metallico di forma emisferica,
munito di un forellino sul fondo. Quando l’etera si ritirava, la fanciulletta metteva il
bacile in un bacino più grande, colmo d’acqua, e si attendeva che il bacile andasse a
fondo. Questa semplice misurazione era diffusa nell’antichità. L’uso documentato più
recente fu osservato in Algeria, all’inizio del secolo scorso sulle montagne dell’Atlante, per regolare la durata dell’irrigazione nei vari prati. Questa è la tecnica idraulica. Di una variante truffaldina di questo metodo, largamente praticata a Roma,
si dirà in altra nota. Da quest’ultima applicazione è nata la locuzione, tuttora viva,
“intorbidare le acque”.
Passiamo alle tecniche ignee, fornendo quattro esempi, legati a Indocina, Cina (con
due varianti) e Giappone: tutte queste tecniche sono basate sulla lenta e uniforme combustione di segatura pressata o di una miccia tessile. Esistono anche liane che possono
essere usate come micce.
Prima che l’elettrotecnica, a solacio delle notti estive, popolate da moscerini, lucciole, falene e pappataci, intervenisse con le cosiddette “friggitrici” (nelle quali il volatile
viene attirato da intensi campi elettrici tra fili paralleli alimentati ad alta tensione), an-
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Quaderno n. 4 - GMEE
che in Italia si usavano, e a volte usiamo, gli “zampironi”, che assumono due forme tipiche: un tronco di piramide o una spirale di segatura, parte della quale è di piretro.
Spirali di segatura, dal diametro di alcune decine di centimetri, con segni colorati,
equidistanti in tempo, venivano usati alla bisogna in Indocina. Se non vi sono spifferi ad
attivare la combustione, si ottengono intervalli con incertezze di qualche percento. Comunque tutto finisce in cenere.
Molto più raffinate o brutali le tecniche cinesi. Nel primo caso, oltre a informazioni
di durata, venivano trasmessi, per via olfattiva, messaggi utili per l’armonia della famiglia. Infatti una delle arti insegnate alle ragazze in età da marito era la messa a punto
quotidiana dell’orologio domestico. Si iniziava preparando, con appositi attrezzi, un letto di cenere impalpabile, sul quale veniva calato, con una certa pressione, uno stampo
che portava un disegno continuo. Si creava così un solco continuo, che veniva riempito
di segatura di legno. Si comunicava del fuoco all’inizio del solco e il progredire della
brace dava il tempo trascorso. Ma ora viene il bello: a ogni legno, e quindi a ogni odore,
veniva abbinato un significato, così la sposa comunicava a chi di dovere le proprie condizioni fisiologiche o psicologiche.
Lo stesso tipo di orologio igneo veniva usato anche nelle fumerie d’oppio e in altri
ambienti disdicevoli. Particolarmente apprezzato, in questi casi, era un altro orologio
igneo, detto “il dragone musicale”, perché, oltre a informazioni visive e olfattive, forniva anche, alla fine dell’intervallo, un segnale acustico.
Secondo taluni autori, altra tecnica ignea, quella detta del soldato cinese, veniva praticata per regolare la durata di certi intrattenimenti. Non si sa se andare avanti nel descrivere le modalità d’uso, invero brutali, ma la sacra verità storica domanda questo e
altro. Comunque, la cosa è documentata in più libri, anche se in alcuni è definita come
“la sveglia del soldato della grande muraglia”. Il metodo, come si è detto, ha risvolti di
brutalità ma è indubbiamente efficace. Si prendeva una miccia a lenta combustione: a
un’estremità si praticavano due nodi ravvicinati e l’intervallo tra i due nodi veniva inserito tra l’alluce e il secondo dito. Provare per credere.
L’ultima e quarta tecnica ignea ci porta in Giappone e, nonostante il soggetto osceno,
ha un tocco di strana poesia. L’orologio usato come misuratore di intervallo di tempo era
costituito da una scatola rettangolare di legno piatta e oblunga, munita di un cassetto e
dotata sulla parete superiore di tanti forellini, ognuno corrispondente al nome di una delle
fanciulle ospiti della casa. Quando un cliente arrivava, dal cassetto veniva estratto uno
stelo di polvere di legno, essiccato e tenuto assieme da una colla: sono proprio quei bastoncini in vendita nelle fiere o nei negozi di prodotti off-beat e che fanno tanto India,
guru, spiritualità orientali, e così via. Lo stelo veniva inserito nella casella prescelta, se
libera, e acceso all’altra estremità. Anche in questo caso tutto finiva in cenere.
Uno si potrebbe domandare dove sia il tocco di poesia, che invece c’è, perché la cortesia giapponese voleva che non si domandasse mai brutalmente il costo della prestazione, ma ci si informasse, del tutto casualmente, sul costo del bastoncino di segatura.
Finito l’oriente, e con esso le tecniche ignee, torniamo all’occidente e all’impetuoso
ingresso dell’elettrotecnica in ogni attività umana, meretricio compreso. Si pensò e si
praticò, oltre a sistemi di campanelli e spie luminose e sempre per regolare la durata di
certe prestazioni, di usare misuratori di intervalli di tempo simili a quelli utilizzati nelle
partite di scacchi. Ma la cosa era meccanica, brutale e non regolabile: intervenne così
l’elettrotecnica. Il cliente che lo desiderasse poteva, agendo su una peretta, ottenere un
“reset” dell’orologio e così il conteggio del tempo e la tariffazione ricominciavano.
1 - Gli orologi, i calendari e i satelliti
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Prostitute e avvocati usavano gli stessi orologi
Già si è visto il particolare orologio idraulico usato dalle etere ateniesi: un vaso emisferico, con un forellino sul fondo. Quando l’etera si ritirava con il cliente, detto in greco fa più fino, εραστησ, la mamma, ansiosa che la prestazione venisse compiutamente
misurata in tempo e quindi fatturata, si accertava che la fanciulletta di servizio (in greco
fa ancora più fino, la νεανισκη) avviasse subito l’orologio, ponendo il bacile vuoto entro
una conca piena d’acqua. La prestazione durava, quindi, il tempo del riempimento del
bacile.
In altri casi, e qui veniamo agli avvocati di Roma, la durata dell’intervento corrispondeva allo svuotarsi di un recipiente emisferico. Nel foro romano esiste ancora il dispositivo con il foro di svuotamento, in basso sulla destra, andando verso il Colosseo.
Non si conosce la durata dell’intervento, in quanto all’autore di questa nota, che era
sceso alla bisogna nel foro con una tanica piena d’acqua e un orologio tarato sul tempo
universale, fu impedito di procedere alla misurazione da un troppo solerte guardiano. E
poi sarebbe rimasto il dubbio che, nei duemila anni trascorsi, il foro entro il foro non
fosse stato allargato. A badare ad un film di Totò, nel foro di Roma succedono cose
strane, tipo l’acquisto a rate del Colosseo.
Comunque la durata dell’intervento dell’avvocato difensore era fissata dallo svuotamento della conca.
Se l’avvocato riteneva che la causa fosse difficile, poteva chiedere (ma prima di iniziare l’intervento) di usare due unità di tempo, due svuotamenti della clessidra;
l’espressione giuridica relativa era “binas clepsidras petere”. Se l’intervento era giudicato comunque inefficace, gli astanti concludevano che egli aveva sprecato il suo tempo,
aveva perso la sua acqua e mormoravano tra di loro: “aquam suam perdidit”.
All’avvocato poco abile restava un rimedio: corrompere il cancelliere o chi per lui
fosse addetto al riempimento della clessidra. Per allungare il tempo di svuotamento bastava, infatti, non riempire la conca d’acqua a qualche vicina fontana (e sappiamo che
Roma è sempre stata ricca di acquedotti) ma andare, invece, ad attingere nel vicino e
fangoso Tevere. Sembra che da questa consuetudine sia nata l’espressione “intorbidare
le acque” tuttora circolante nella lingua italiana. L’altra possibile origine deriva dalla
consuetudine di taluni pescatori di “pasturare”, anche rimuovendo fango dal fondo, la
zona di pesca.
Anche le prediche dei pastori anglicani erano limitate in durata. Presso gli antiquari
inglesi, pregiatissime sono infatti le clessidre a sabbia “sermon sand-glasses”. Si deve
andare alla metà del ’600, all’epoca di Oliviero Cromwell, un tizio per molti versi strano: faceva bruciare spartiti di musica e strumenti musicali, ma poi, durante la Settimana
Santa, travestito, andava nella cappella dell’Ambasciata francese, ove era rimasto
l’unico organo funzionante di Londra. Altra sua mania era la durata delle prediche, che
non doveva superare circa sedici minuti. All’uopo aveva fatto istallare, sulla balaustra
del pulpito di tutte le chiese d’Inghilterra, una clessidra e il pastore, appena salito sul
pulpito, doveva girare la clessidra che era posta in bella vista ai fedeli. In fondo la clessidra che avevamo nelle case per misurare la durata delle interurbane aveva lo stesso
scopo.
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Quaderno n. 4 - GMEE
Vieni a cena, quando l’ombra è di sei piedi
L’uomo è misura, ma non solo in senso metaforico. C’è, anzi, un interessante filone
della metrologia, la scienza che si occupa delle misure, che assume proprio l’uomo, con
le sue dimensioni fisiche o le sue capacità muscolari, come base di un sistema di misura.
Antropometrici sono, infatti, gli antichi sistemi di misura per le lunghezze, ove troviamo la tesa (brachiatensa, le braccia tese), cubiti (l’avambraccio tra gomito ed estremità del dito medio), piedi, palmi, dita, pollici e così via.
Pure basate sull’uomo sono alcune misure di superficie, come il settore, diffuso sull’arco alpino, che è l’area che un montanaro medio riesce a falciare in un giorno.
Misurazione dell’ora
tramite la lunghezza dell’ombra
Più curioso il fatto che si sia usato il
corpo per la misura del tempo. Lo spunto
fu offerto dall’osservazione che esistono
certi rapporti “fissi” tra le lunghezze di
alcune parti del corpo umano, nel nostro
caso tra l’altezza di una persona e la lunghezza di un suo passo o di un suo piede.
Una persona, in piedi, all’aperto e in
una bella giornata, produce un’ombra la
cui lunghezza, misurata in “piedi” o in
passi della stessa persona, dipende certamente dall’ora.
Esistevano così tabelle che, in funzione della lunghezza dell’ombra, espressa in
piedi, consentivano una stima dell’ora.
È chiaro che queste tabelle, in pratica,
avrebbero dovuto variare con il luogo e
con le stagioni, dato che l’altezza del sole
sull’orizzonte varia durante l’anno e cambia con la latitudine.
Il metodo comunque andava bene quando, come accadeva ad Atene, l’ora veniva indicata con perifrasi del tipo: quanto si accendono le lucerne o quando la gente comincia
ad arrivare in piazza. Ci fu comunque chi, con un certo successo, calcolava e metteva in
commercio le tavole che davano la corrispondenza tra lunghezza dell’ombra di una persona, espressa in lunghezza del suo piede, e l’ora, come fece, verso la fine del ’500, Teodosio Rossi, a Roma, con il suo Horihomo.
Le notizie, dirette o indirette, sull’uso delle proporzioni del corpo umano per conoscere l’ora sono numerose. In una commedia di Aristofane, un parassita riesce finalmente a strappare un invito: vieni pure quando la tua ombra è di sei piedi, gli dice il padrone
di casa, pensando di vederselo comparire verso sera.
Invece l’affamato parassita, per installarsi comodamente, compare accompagnato da testimoni e giudici, di primo mattino, quando l’ombra del sole nascente è giusto di sei piedi.
1 - Gli orologi, i calendari e i satelliti
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Tempo, calendario e carte da gioco
La misura del tempo, nella sua forma di maggior uso, il calendario, sembra essere
presente nelle più inaspettate forme di vita umana.
Prendiamo un mazzo di carte: le carte sono in totale cinquantadue, quante le settimane dell’anno. Se poi contiamo le carte di ogni seme, ne troviamo tredici, quanti sono,
in media, i mesi lunari in un anno. E i semi sono quattro, quante sono le stagioni e gli
anni che separano un bisestile da un altro.
Tornando ai semi: se facciamo la somma dei valori delle carte, da uno a tredici, troviamo novantuno; moltiplicando per il numero dei semi si ha trecentosessantaquattro e,
aggiungendo la Matta, si arriva al numero dei giorni di un anno. Per tener conto dell’anno bisestile, alcuni tipi di mazzi, si dice, hanno due matte.
Ma, secondo i cabalisti delle carte, si può andare ben oltre: se è vero che il gioco delle carte è nato in Egitto, troviamo almeno due simboli legati alla misura del tempo.
Nell’antico calendario di quel paese, l’inizio dell’anno di ogni ciclo sotiaco era collegato al levare “eliaco” della stella Sirio, la più luminosa del cielo, cioè al sorgere quasi
contemporaneo di Sirio e del Sole. Questo evento coincideva con la massima piena del
Nilo: così vediamo il fante di bastoni (o fante di fiori), che reca in mano il bastone con il
quale ogni mattina si saggiava il livello delle acque.
Il fante di cuori ci porta
la notizia che la vita continua perché è tornata la primavera: infatti ha in mano
una foglia o un fiore.
Il fante di picche sembra
recare in mano una clessidra
a sabbia; questa almeno è
una delle interpretazioni. E
qui casca l’asino perché, se
è vero che gli egizi misuravano il tempo con le ombre
e con il fluire dell’acqua
(clessidra è l’oggetto che
“ruba” l’acqua), sembra asThe jack of heart: the life continues because spring is coming
sodato che quella a sabbia,
back.
nonostante l’abbondanza loThe jack of spade takes in his hands a sand-glass.
cale della materia prima,
fosse a loro completamente
sconosciuta.
Sarà tutto vero, ma la cosa più sicura e triste è proprio l’etimologia della parola clessidra, che ci ricorda che ogni orologio ci ruba la cosa più preziosa, il tempo.
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Quaderno n. 4 - GMEE
I cinque sensi e il “metro” cinese antico
L’uomo, aiutato dai suoi cinque sensi, fa in continuazione misurazioni e stime: può
essere lecito domandarsi con quale risoluzione (il minimo intervallo di una certa grandezza) e, in alcuni casi, con quale incertezza l’uomo, beninteso senza l’ausilio di strumenti, possa apprezzare qualche cosa che cada ovviamente sotto ai suoi sensi. Già Aristotele diceva che tutto il “traffico” tra il mondo del reale e la cittadella della conoscenza (dei modelli quantificabili, diremmo oggi) passava per le cinque porte dei sensi.
Naturalmente per la nostra indagine è necessario che l’oggetto della misurazione sia
a scala umana. Non ha senso infatti, in questa particolare ottica, ricercare la risoluzione
in una distanza di qualche decimo di millimetro o di qualche kilometro.
Con una certa sorpresa si perviene alla conclusione che il senso con la maggior risoluzione è l’udito. Scartiamo subito il gusto: una serie di valutazioni tra chimica, fisiologia e cultura, che tuttora sfugge a una misurazione. Scartiamo anche l’olfatto, altra
grandezza fisiologico-chimica, la cui percezione in taluni animali (molto meno nell’uomo) è straordinariamente sviluppata.
Restano tatto, vista e, appunto, udito.
Al tatto sono affidate determinazioni di distanza, di “rugosità” e anche di temperatura.
La sensibilità tattile (il minimo valore assoluto percepibile) varia molto nel corpo umano,
da qualche millimetro nella schiena a qualche decimo di millimetro nei polpastrelli.
Confondendo (non sempre è lecito e si pensi al tachimetro dell’automobile o al
tester in alternata) risoluzione con sensibilità e usando il solo tatto, la lunghezza di due
regoli, ad esempio la loro eguaglianza, può essere stimata entro 10-2 – 10-3, ovviamente
in unità relative e ricordando sempre che dobbiamo lavorare a scala umana.
Difficile parlare di sensibilità e risoluzione per la temperatura, perché il parametro
che domina la sensazione fisiologica è la conducibilità termica dell’oggetto toccato: fra
due materiali nominalmente alla stessa temperatura, il polistirolo sembrerà sempre più
caldo del ferro.
Meglio la vista: la risoluzione (insegnano geometri e astronomi, senza lenti o senza
calibri) è dell’ordine di qualche decimo di millimetro; i geometri dicono 0,2 mm. Questo vuol dire che l’eguaglianza di quei due regoli, anche se sono più lunghi di 1-2 metri,
può essere stimata con una risoluzione di qualche unità di 10-4. Naturalmente devono
essere assicurate adeguate condizioni di illuminamento e fisiologiche dell’operatore, che
a volte può vedere doppio.
Ma è per la differenza di due frequenze e, come vedremo, anche di due lunghezze
che il senso umano richiedente minori assunzioni è l’udito. Capita, a volte, di vedere un
accordatore che “tara” un pianoforte o udire un’orchestra che, prima di un’esecuzione,
accorda tutti gli strumenti sul “la” emesso dall’oboe. Incidentalmente si sceglie l’oboe e
non, ad esempio, il flauto, perché il suono del primo strumento è ricco di armonici sia
pari sia dispari, mentre il flauto emette una sinusoide, quasi sprovvista di armonici.
L’importanza degli armonici la vediamo subito.
Comunque accordatori o musicisti, sfruttando il fenomeno dei battimenti che nascono in un sistema non lineare, quale il sistema orecchio-cervello, sono in grado di apprezzare differenze di frequenza, da qualche centesimo a qualche decimo di hertz; per
lunghezze d’onda sempre a scala umana, cioè da qualche decimetro a qualche metro di
lunghezza d’onda.
1 - Gli orologi, i calendari e i satelliti
13
Flauto cinese
Il “la” usato per accordare ha una frequenza di 440 Hz, alla quale corrisponde una
lunghezza d’onda di circa 77 cm. La frequenza di battimento è data da fb= m·f1 ± n·f2,
dove f1 ed f2 sono le frequenze delle due note confrontate, essendo m e n l’ordine delle
armoniche.
Immaginiamo che un violinista accordi la nota la5, che risuona a 1760 Hz (per chi
non sa di musica, è la nota della seconda ottava che è a destra del buco della chiave del
pianoforte). In questo caso m (oboe) è 4 e n (violino) è 1. Se il violinista percepisce
fb = 0,05 Hz (prestazione comune in un buon musicista), la sua risoluzione nel misurare
la differenza di frequenza è:
Δf
0,05
0,05
5 ⋅ 10 −2
=
=
=
≈ 3 ⋅ 10 − 5
f
4 ⋅ 440 1760 1,76 ⋅ 103
Il che è stupefacente.
Questo spiega come mai i campioni di lunghezza dell’antica Cina fossero propagati
per via musicale. I campioni di lunghezza erano, infatti, costituiti da tubi vuoti, cioè da
canne che potevano essere suonate, una delle quali veniva portata alla lunghezza
dell’altra, appunto, imponendo che i battimenti relativi fossero “nominalmente” nulli.
Quindi dall’ipotetico Ufficio Centrale Metrico del Celeste Impero, i campioni di
lunghezza tutti “accordati” uscivano con incertezza relativa di 10-5.
14
Quaderno n. 4 - GMEE
Calendario e dintorni a Roma
E il pretore piantava un chiodo
Nella prima deca di Tito Livio, al libro VII, si legge di un curioso metodo usato nella Roma repubblicana e imperiale per tenere il computo degli anni. La cosa era iniziata
con Tarquinio il Superbo che, dalla nativa Etruria, aveva importato a Roma anche la
tradizione della quale oggi ci occupiamo. Al solstizio di autunno, la più alta autorità politica presente in Roma, o il pretore, andava con gran pompa sul Campidoglio ove, nel
fianco destro del Tempio di Giove, piantava un chiodo che veniva lasciato sporgere. Il
numero dei chiodi dava così un’indicazione del trascorrere del tempo. Quel giorno cadeva convenzionalmente alle Idi di settembre, cioè al giorno tredici, che era sacro a
Giove e nel quale veniva ricordata la dedicazione del suo tempio sul Campidoglio; secondo la tradizione popolare la festa coincideva con la partenza delle rondini.
Tito Livio si vergogna un po’ a raccontare questa storia e si profonde in scuse e spiegazioni non richieste: le persone colte e quelle che sapessero leggere e scrivere o far di
conto erano, in fondo, così poche a Roma e l’unico modo per contare gli anni trascorsi
era proprio quello di piantare sistematicamente un chiodo.
L’espressione “piantare un chiodo” è rimasta nella lingua italiana perché a Roma il
debitore piantava su una trave dello stipite della propria casa un chiodo, che poteva essere estratto solo da un creditore soddisfatto…
Se lo sterco è stato portato via, il pretore emetta pure la sua sentenza
Lo studio del calendario romano è fonte inesauribile di notizie, non tutte peregrine.
Ad esempio, le parole fasto e nefasto, usate anche oggi, ci arrivano direttamente dal calendario giudiziario romano.
C’erano infatti, nel corso dell’anno, circa sessanta giorni nei quali un giudice romano non poteva assolutamente pronunciare nessuna delle tre parole fatidiche “do, dico,
addico”, con una delle quali doveva iniziare qualsiasi sentenza. Addico, vuol dire attribuisco. Questi erano i giorni nefasti, la cui etimologia significa, appunto, che il giudice
“non deve parlare”.
Foro Romano:
“Base dei Decennali”, base
di colonna monumentale
per la celebrazione dei
vicennali dei Cesari
nella tetrarchia del 304.
1 - Gli orologi, i calendari e i satelliti
15
In altri quaranta giorni, quelli fasti, il giudice poteva invece ascoltare i litiganti ed
emettere la sentenza, pronunciando una delle tre parole.
Pertanto su tutti i calendari questi giorni venivano contraddistinti dalle lettere F e N
per indicare questa caratteristica “giudiziaria” che, a volte, era limitata solo a parte della
giornata. In questi giorni, che erano una cinquantina all’anno, il calendario recava ad
esempio N.P., abbreviazione di “Nefastus prima parte diei”, cioè nefasto prima di mezzogiorno.
C’erano anche particolari eventi che trasformavano il “tipo” di giorno. Il più curioso
cadeva il 17 prima delle calende di luglio, che sarebbe poi il 15 giugno. In quel giorno,
che era nettamente nefasto, il pretore poteva aprire bocca non appena fosse stato rimosso dal tempio di Vesta lo sterco che vi si era accumulato nell’anno precedente, lasciato
dagli animali condotti al sacrificio. Lo scrupoloso cronista aveva infatti scalpellato, per
quel giorno, sul calendario le quattro lettere Q.ST.D.F., che (non è necessaria la traduzione) volevano dire “Quando Stercus Delatum, Fas”.
Sembra che dal popolo romano venisse ritenuto di particolare buon auspicio il fatto
che l’animale condotto al sacrificio adempiesse a certe funzioni fisiologiche nel recinto
del tempio. Non altrimenti gioiscono oggi i senesi se il cavallo, portato nella chiesa del
quartiere la vigilia del Palio, vi lascia evidenti tracce del suo passaggio.
L’indizione romana
Chi si balocca con il Calendario o con cose più serie, quali il Periodo Giuliano, si
imbatte prima o poi nell’Indizione, un modo curioso di contare gli anni. Infatti tutte le
altre maniere di misurare il tempo hanno un significato o, almeno, un riferimento astronomico, mentre questa è nata unicamente per scopi fiscali.
L’Indizione era un periodo di quindici anni, in capo ai quali si rivedevano tutte le
tasse e si riscrivevano a ruolo, aggiornati, quelli che oggi chiamiamo i valori catastali.
L’Indizione, nel senso moderno della parola, è l’ordine di un anno entro questo ciclo di
quindici anni.
Resta da vedere chi abbia introdotto l’Indizione, quando e con quale significato; resta anche da cercare di spiegare la fortuna del suo uso per oltre quindici secoli, sino ai
nostri giorni. Gli storici non sono concordi sull’inizio; la data più probabile è per la prima parte del quarto secolo, il 22 settembre del 312 quando, essendo consoli Licinio e
Costantino, Massenzio venne sconfitto; secondo altri, il 24 settembre dell’anno 747 di
Roma, quando Augusto prese il potere.
16
Quaderno n. 4 - GMEE
Ci sono tre secoli di differenza, ma il
mese e la data praticamente coincidono:
infatti la forma più antica dell’anno romano iniziava al solstizio di autunno, che
cade nella seconda metà di settembre.
Di sicuro c’è che Giustiniano, nel
sesto secolo, al capo quarantasette delle
sue “Autentiche” prescrisse che ogni
atto pubblico, pena la nullità, dovesse
recare il giorno, il mese, il nome dei
consoli in carica, il nome dell’imperatore e, appunto, l’ordine dell’anno nel
ciclo delle indizioni.
Questa norma, con le ovvie modificazioni, fu seguita presso monasteri,
notai, cronisti e corti europee per almeno mille anni, per gli atti di una certa
importanza. Ad esempio, in talune regioni italiane i notai usarono l’Indizione sino all’inizio del secolo scorso.
Ecco, quindi, il motivo che giustifica l’interesse per l’Indizione, spesso
l’unico bandolo per districare problemi
di datazione altrimenti non risolvibili.
Dato che l’Indizione venne introdotta solo verso il quarto secolo, nulla ci possono
dire gli autori del periodo classico. E così cronisti medioevali si sono sbizzarriti nel proporre le più strampalate teorie e notizie.
Ad esempio la durata nasceva dal fatto che ogni quindici anni avvengono rilevanti
cambiamenti nella vita dell’uomo con la pubertà, la maturità e la cosiddetta terza età,
che evidentemente allora cominciava a quarantacinque anni. Immaginifico, l’Accursio 1,
quando racconta che per dar sollievo nel pagamento delle tasse alle stremate provincie,
nel primo lustro di ogni Indizione le nazioni tributarie pagavano le loro imposte in ferro,
nel secondo in argento e nel terzo in oro. Più vicino al vero l’Alciati 2, il quale sostiene
che l’Indizione era divisa in tre lustri, ognuno dei quali dedicato all’esazione delle tasse
in Africa, Asia ed Europa, e che ogni quindici anni tutti i conti dovevano essere chiusi.
Oggi l’Indizione, oltre che chiave insostituibile per la datazione sino alle soglie della
Rivoluzione francese, viene usata nei documenti ufficiali della Chiesa Cattolica ed è
uno degli ingredienti del periodo giuliano (conteggio decimale dei giorni, indipendente
dalle bizzarrie del nostro calendario, molto usato nella scienza e nella tecnica.
Per convenzione, ormai da alcuni secoli, gli storiografi hanno fissato l’origine fittizia del ciclo delle Indizioni a tre anni prima della nascita di Cristo; quindi, per trovare
l’Indizione di un anno della nostra Era cristiana, si aggiunge tre al numero dell’anno e si
divide per quindici. L’Indizione è il resto e vale quindici se il resto è zero. L’anno 2000
ha quindi Indizione otto.
1
2
Celebre giurista bolognese della prima metà del ’300.
Il massimo giurista italiano del Rinascimento e professore ad Avignone, Bologna e Pavia.
1 - Gli orologi, i calendari e i satelliti
17
Il giorno in cui vennero fermati gli orologi
Sembra proprio che l’uomo odierno non possa fare a meno dell’informazione del
tempo: lasciato a se stesso, senza informazioni “esterne” e aiutato solo dai propri ritmi
biologici, perde rapidamente la nozione del tempo trascorso. Dopo alcuni giorni, si possono commettere stime errate per oltre sei ore.
Esperimenti su questo fenomeno e sulle sue conseguenze o cause fisiologiche e psicologiche sono anche stimolati dai viaggi nello spazio, ove è assente quel potente meccanismo di sincronizzazione che è l’alternarsi del giorno e della notte. È noto che, durante questi viaggi, si comunica agli astronauti che è l’ora di andare a dormire, per poi
risvegliarsi a tempo debito.
Indagini del genere sono state effettuate un po’ dappertutto, ad esempio nelle grotte
del Cuneese; l’esperimento che ha coinvolto più persone è, forse, quello svoltosi circa
quaranta anni or sono nel paesello di North Conway, nello Stato americano del New
Hampshire.
L’organizzazione fu della NASA, l’ente spaziale statunitense, con la collaborazione
di una fabbrica di orologi che forse, oltre alla pubblicità, mirava a un incremento delle
vendite dopo l’esperimento.
Le cose furono fatte in grande e la cittadina di millecento persone accettò di fare a
meno di qualsiasi forma di indicazione del tempo per due giorni.
Furono mascherati gli orologi pubblici, fermati quelli dei campanili, bloccati o ritirati apparecchi radio e televisivi, impedito l’accesso telefonico al servizio dell’ora esatta,
e così via. Gli scout, intanto, avevano raccolto sveglie, pendole e orologi da polso, depositati in un unico luogo chiuso. Naturalmente era all’opera un congruo numero di medici, psichiatri o semplici osservatori, muniti tutti di orologio.
Il diciassette luglio del 1965, primo giorno tutto bene: si andò a scuola o al lavoro
con anticipi che arrivarono a un’ora; 238 su 240 bambini arrivarono a scuola prima del
dovuto, solo due in ritardo.
Alcuni cominciarono a regolarsi sul sole, altri sugli autobus o sulla distribuzione
della posta, ma anche questi mezzi partivano a discrezione del conducente. Alla sera le
madri erano felici perché i bambini, privi di orologi e televisori, si lasciarono convincere ad andare a letto subito dopo l’imbrunire. Mai vista tanta euforia, spirito di comprensione e di buon vicinato.
Le cose cominciarono a cambiare il secondo giorno: scomparve l’allegria generale,
aumentarono gli errori di valutazione e si notarono forme di “sincronizzazione” tra le
attività di case vicine. Con il passare delle ore, la gente cominciò a diventare inquieta o
nervosa, si alzarono proteste contro l’esperimento e a sera, almeno così si dice, il locale
“drugstore” aveva esaurito la scorta dei tranquillanti…
18
Quaderno n. 4 - GMEE
Il Progetto Galileo: navigare con satelliti e orologi
(scritto in collaborazione con Patrizia Tavella, Istituto Elettrotecnico Nazionale, ora INRiM)
La situazione
Da ormai oltre vent’anni si sono avviate le attività del sistema americano di navigazione tramite satellite GPS (Global Positioning System), il cui sviluppo ha comportato
una spesa di 5000 miliardi di lire, con un costo di esercizio annuo che supera il migliaio
di miliardi. Si tratta nominalmente di un sistema di 24 satelliti, posti in un’orbita MEO
(Middle Earth Orbit) a 20.000 km di altezza. Il metodo di navigazione è circolare a una
via. Va ricordato che esiste anche un analogo sistema russo, il GLONASS (Global Navigation Satellite System).
Circolare o sferico, significa che la posizione è individuata dall’intersezione di tre o
più sfere; a una via significa che i segnali vanno unicamente dal satellite all’utente, il
quale pertanto deve essere munito di un apposito ricevitore. Vantaggi essenziali dei sistemi a una via sono che gli utenti possono essere infiniti; il sistema, cioè, non si satura
e i singoli utenti non possono essere identificati né localizzati. Evidente è l’interesse di
questo approccio per le operazioni militari.
Le sfere vengono individuate dalla posizione istantanea del baricentro del satellite
(ogni satellite irradia l’equazione della propria orbita, la effemeride) e dal raggio di una
sfera. Questo raggio è fornito dal tempo di percorrenza di un codice di tempo dal satellite al ricevitore, opportunamente moltiplicato per la velocità della luce.
Ovviamente questa misura (la differenza di due date, quella di partenza meno quella
di arrivo) richiederebbe tre precondizioni: che l’orologio del ricevitore sia della stessa
classe di quello dei satellite; che sia a questo sincronizzato; che tutti gli orologi dei satelliti siano tra di loro sincronizzati.
Poiché il metodo dovrebbe assicurare un’incertezza nella posizione di alcuni metri,
si deduce immediatamente che tutti gli orologi del sistema dovrebbero essere sincronizzati tra loro entro qualche nanosecondo.
Tanto per fissare un ordine di grandezza, a un errore di 1 ns al giorno tra due orologi, dato che in un giorno ci sono circa 105 s, corrisponderebbe uno scarto massimo di
frequenza relativo tra i due orologi minore di 10-14, prestazione ottenibile solo usando
campioni atomici con fascio di cesio.
La soluzione è adottabile per i satelliti: essi usano, pertanto, orologi atomici e particolari tecniche di mutua sincronizzazione, tramite una stazione a terra. La soluzione è
chiaramente impossibile per l’orologio del ricevitore, il quale deve frequentemente essere portatile, funzionare con pile, non costare “troppo” e avere massa ridotta; è in commercio un orologio da polso alquanto ingombrante, ma con ricevitore GPS incorporato,
calcolatore e con una scelta di soluzioni di navigazione…
Si risolve il problema dell’orologio del ricevitore “aggiungendo” alla costellazione
altri satelliti, in modo che da ogni punto della terra ne siano visibili almeno quattro. Si
possono in questo modo scrivere quattro equazioni di posizione indipendenti, per poter
risolvere le quattro incognite, 3 di posizione e la quarta con l’errore dell’orologio del ricevitore. Il sistema è indubbiamente più costoso e sono già state stimate le spese necessarie, ma i requisiti di portatilità e di costo del ricevitore sono assicurati.
La qualità dell’orologio del ricevitore è irrilevante; l’errore di data può essere qualsiasi, è sufficiente che nel giro delle misure sui quattro satelliti (un secondo…) detto errore resti costante entro qualche nanosecondo. Gli orologi piezoelettrici, offerti come
1 - Gli orologi, i calendari e i satelliti
19
gadget nei fustini di detersivo o in omaggio a chi cambia l’olio della propria auto, sono
più che adeguati.
Ricevitori per il sistema GPS vengono prodotti in centinaia di migliaia di pezzi/anno, con costi che scendono a 100 euro caduno. Negli anni ’95, a parità di prestazioni, un ricevitore GPS costava da 10.000 a 30.000 euro.
Al sistema GPS e anche al GLONASS manca la funzione di “integrità”, cioè l’esistenza, entro il sistema stesso, di un servizio che avverta gli utenti, praticamente in tempo reale (al più in alcuni secondi), di un qualsiasi malfunzionamento della funzione di
navigazione. La non esistenza di questa prestazione impedisce l’uso del sistema GPS in
tutte le fasi della navigazione civile aerea. La versione differenziale del GPS consente,
infatti, solo l’atterraggio automatico dei velivoli.
Un sistema europeo
Nel febbraio 1999 la Commissione C.E. ha deciso la realizzazione, entro il 2008 3, di
un sistema europeo di navigazione chiamato GALILEO, che sia compatibile ma indipendente dal GPS e fornisca su scala globale anche il servizio di integrità. GALILEO,
come già avviene per GPS e GLONASS, è basato sull’uso di orologi atomici e di una o
più costellazione di satelliti.
Si tratterà di un sistema circolare a una via analogo al GPS, da realizzare, per quanto
possibile, con tecnologia europea, destinato a consentire all’industria europea l’accesso
a un mercato di proporzioni immani, al momento occupato dall’industria statunitense e
giapponese.
Le spese previste per il periodo 1999-2003 ammontano a 4000 miliardi di lire, in
buona parte già stanziati, nel senso che sono stati individuati i capitoli di spesa nel V°
programma quadro, nel Direttorato Trasporto della Comunità, nei fondi generali della
Comunità e nei bilanci dell’ESA. Comunque la sorgente principale dei finanziamenti
sarà la Comunità.
Si è sviluppata, nel 1999, un’intensissima attività di studio in tutta Europa, alla quale
partecipano più Consorzi di Ditte, uno dei quali guidato da ALENIA-SPAZIO. I programmi in corso, di varie dimensioni e finalità, sono numerosi. In tabella sono riportati
gli acronimi, l’Ente promotore, lo scopo, il capo commessa, quante ditte europee sono
coinvolte; nell’ultima colonna è indicato ove esiste, sia pure minima, una attività dell’IEN.
L’Istituto Elettrotecnico Nazionale, partecipa attivamente a quattro di questi studi,
che coinvolgono sia le sue competenze sia pregresse attività:
◊ progetto e costruzione di orologi atomici,
◊ costituzione e generazione di scale di tempo, sia a terra sia nello spazio,
◊ sincronizzazione di orologi a terra o nello spazio,
◊ conoscenza delle necessità scientifiche e industriali delle informazioni di tempo e di
frequenza.
Infatti GALILEO, per il proprio funzionamento, avrà bisogno di una rete numerosa,
almeno 24 di stazioni a Terra, ognuna munita di 2-3 orologi atomici, tre stazioni generali di controllo, dotate ognuna di 6-10 orologi atomici, oltre a una trentina di satelliti.
3
Ad oggi, anno 2008, la data di avvio è stata spostata al 2011. Sono in orbita oggi i primi due satelliti sperimentali di Galileo e attive alcune stazioni di terra.
20
Quaderno n. 4 - GMEE
Stazione di controllo GALILEO
Presso ognuna di queste stazioni e a bordo di ogni satellite sarà necessario costruire
una scala di tempo, che non è la mera media delle indicazioni degli orologi, ma rappresenta il risultato di complessi algoritmi, che devono tenere conto dei tipi di rumore di
frequenza e di fase dei quali sono affetti gli orologi atomici.
Pertanto, oltre gli aspetti legati a satelliti, vettori e comunicazioni, si tratterà di una
vastissima esercitazione di Metrologia del tempo e della frequenza, che è ai limiti delle
possibilità dei laboratori metrologici e richiederà il coordinato funzionamento di almeno
centocinquanta orologi atomici, sparsi per tutto il mondo. Lo scarto massimo tra le singole scale di tempo, ovunque si trovino, a Terra o nello spazio, dovrà essere contenuto
comunque entro due nanosecondi.
Cosa fare per prepararsi a Galileo
L’Italia contribuirà, direttamente o indirettamente, per quasi il 20% alla realizzazione
e all’esercizio di questo sistema. È necessario che Industrie, Università e Laboratori di ricerca si preparino a questo evento perché questi soldi, che comunque e certamente usciranno dall’Italia, vi ritornino almeno in parte. Altre nazioni europee, in particolare Francia e Germania, da anni stanno sviluppando una cultura e attività industriali in proposito.
Sistemi di navigazione tramite satelliti sono stati insegnati per anni presso il Politecnico di Torino, nell’ambito di un corso di Metrologia del Tempo e della Frequenza, poi
soppresso per insipienza ministeriale e universitaria. Altri corsi sono stati sviluppati
presso l’Istituto Universitario Navale di Napoli e cicli di lezioni sui sistemi di localizzazione per Geodesia vengono offerti in alcune università italiane, come quella di Padova.
Ricerche ed esperienze sui sistemi di navigazione basati su orologi sono state sviluppate presso il Politecnico di Torino e l’IEN a partire da 1965 (circa 30 pubblicazioni)
e sui sistemi satellitari dal 1980 (circa 60 pubblicazioni, molte delle quali sul GPS).
Corsi sul GPS sono offerti dal COREP (il Consorzio di Educazione Permanente del Politecnico di Torino), altri sono organizzati dall’IEN e un corso elementare sul GPS di
teledidattica verrà trasmesso dal Consorzio Nettuno. E chissà quante altre attività sono
in corso.
1 - Gli orologi, i calendari e i satelliti
21
Il Governo Italiano ha deciso, alla fine del 1998, la costituzione di un Comitato interministeriale dello Spazio, presso la presidenza del Consiglio dei Ministri, ed è in corso di formazione un “TEAM” italiano, di supporto al progetto GALILEO, promosso da
ASI ed ENAV (Ente Nazionale di Assistenza al volo), con il sostegno dei Ministeri interessati.
È anche necessario da parte delle Facoltà di Ingegneria uno sforzo di carattere culturale non indifferente: le complessità di questi sistemi, che includono competenze anche
in radiometeorologia, relatività, teoria dei codici, sono tutt’altro che banali.
Ma non basta: per creare una comunità vitale non sono sufficienti sforzi isolati. È
invece necessario un impegno corale, chiamando le varie competenze esistenti nel Paese
a lavorare assieme su un progetto. La Alenia Spazio, che rappresenta lo sforzo italiano
industriale nel settore della navigazione, ha chiamato a raccolta quanti sanno già qualche cosa di navigazione spaziale e vi hanno già lavorato, per preparare un progetto comune, attualmente in corso di esame presso l’Agenzia Spaziale Italiana. Il programma si
chiama NADIR: anche se il nadir è il punto diametralmente opposto allo zenith, chi sa
navigare sa bene dove è.
PROGETTI EUROPEI LEGATI A GALILEO
Progetto
Ente
Scopo
Capocomm.
IEN
RACAL
Numero
Ditte
5
GEMINUS
CE
GALA
CE
INTEG
CE
SAGA
CE
GENESIS
CE
GALILEOSAT
ESA
GSSF
ESA
Definizione
dei servizi
Architettura
del sistema
Integrazione
con EGNOS
Supporto
alla normativa
Supporto tecnico
a CE
Definizione tecnica
del sistema
Simulazione
del sistema
ALCATEL
60
Si
ALCATEL
?
No
SEXTANT
?
No
4 agenzie
spaziali
ALENIA
SPAZIO
?
4
Si
50
Si
?
No
Si
GALA
GALILEO OVERALL ARCHITECTURE DEFINITION
GEMINUS GALILEO SERVICE DEFINITION
INTEG
EGNOS INTEGRATION INTO GALILEO
SAGA
SUPPORT to GALILEO STANDARDISATION
GENESIS
Galileo European Network of Experts to Support the European Commission
GSSF
GALILEO SYSTEM SIMULATION FACILITY
?
dato non noto o non ancora definito
EGNOS
EUROPEAN GLOBAL NAVIGATION OVERLAY SYSTEM: è il
sistema in corso di realizzazione in Europa, analogo al WAAS (Wide Area Augmentation System) americano; EGNOS dovrebbe fornire entro il 2004 l’informazione di “in-
22
Quaderno n. 4 - GMEE
tegrità” del GPS ai piloti in volo su Europa e zone circostanti. Anche EGNOS è basato
su misure di tempo e frequenza, che coinvolgeranno alcune decine di orologi atomici.
WAAS, che diverrà operativo alla fine del 2000, ha lo stesso scopo per gli Stati Uniti e
oceani circonvicini; anche in questo caso sono usate alcune decine di orologi atomici.
Orologio al cesio con fontana atomica
dell’Istituto Elettrotecnico Nazionale
“Galileo Ferraris” (IEN)
IEN - Sistema di controllo
e sincronizzazione degli orologi atomici che costituiscono il riferimento italiano
per le misure di tempo e frequenza
2 - La Terra e le mele
23
2 - La Terra e le mele
Come è difficile misurare la terra
Quando il sei settembre del 1522 la Victoria, la nave superstite della spedizione di
Magellano, con il vicentino Pigafetta a bordo, tornò a Sanlucar, l’Europa dei dotti si trovò un nuovo problema, inaspettato e misterioso. La Terra era molto più grossa – oltre un
terzo – del previsto. Pochi mesi dopo il portoghese Nuno Garcia de Torena preparò la
sua famosa carta, custodita ora a Torino, con una stima delle nuove dimensioni.
Pendente a forma di caravella.
Spagna, 1580-1590. Ermitage
Per mettere un po’ di ordine nelle longitudini, che
frequentemente risultavano errate per decine di gradi, la Spagna organizzò numerose e sistematiche osservazioni: la misurazione più spettacolare fu organizzata il 23 settembre 1577, in occasione di una eclisse di luna.
Alcuni istanti dell’eclisse furono usati come segnale
di tempo comune, in diverse località, per leggere
allo stesso momento gli orologi che erano stati regolati sul tempo solare locale.
Gli orologi da leggere erano stati portati, con viaggi
lunghi anche molti anni, in India, Africa, un paio di
località in Ispagna e al di là dell’Oceano in una località allora chiamata Santa Maria de Los Angeles in
Porziuncola (ora, sbrigativamente, Los Angeles).
La zona, allora, veniva chiamata Nuova Spagna o
Nuova Castiglia, e ora California. Fu trovata tra Los
Angeles e Toledo, in Ispagna, una distanza angolare
di circa 99°, mentre sono in realtà 114°. I conti non
tornavano ancora.
Per mettere un po’ di ordine nelle longitudini, che frequentemente risultavano errate
per decine di gradi, la Spagna organizzò numerose e sistematiche osservazioni: la misurazione più spettacolare fu organizzata il 23 settembre 1577, in occasione di un’eclisse
di luna. Alcuni istanti dell’eclisse furono usati come segnale di tempo comune, in diverse località, per leggere allo stesso momento gli orologi che erano stati regolati sul tempo
solare locale. Gli orologi da leggere erano stati portati, con viaggi lunghi anche molti
anni, in India, Africa, un paio di località in Ispagna e al di là dell’Oceano in una località
allora chiamata Santa Maria de Los Angeles in Porziuncola (ora, sbrigativamente, Los
Angeles). La zona, allora, veniva chiamata Nuova Spagna o Nuova Castiglia, e ora California. Fu trovata tra Los Angeles e Toledo, in Ispagna, una distanza angolare di circa
99°, mentre sono in realtà 114°. I conti non tornavano ancora.
24
Quaderno n. 4 - GMEE
Una nuova ed elegante stima fu tentata a Bologna, nella prima metà del ’600, da padre Riccioli, un gesuita ferrarese che usò un moderno criterio di congruenza: raccolse, a
migliaia, misurazioni di latitudine di numerosi luoghi e stime delle distanze tra quegli
stessi luoghi lungo la superficie terrestre. Si sono appositamente usate le parole misura e
stima; per determinare la latitudine di un luogo, infatti, è sufficiente piantare nel terreno
un bastone verticale di lunghezza nota, misurare la lunghezza dell’ombra quando è più
corta, a mezzogiorno, conoscere un po’ di astronomia, di trigonometria e la data del
giorno; si misura l’altezza del sole, quindi si ricava la latitudine. Si tratta di una vera e
propria misurazione e, sin da Tolomeo, erano note, con incertezze largamente inferiori
al grado, le latitudini di centinaia di località.
Tutt’altro discorso per le longitudini, ricavate con stime di tipo diverso. Nel Medioevo, tra Gibilterra da una parte e Roma, Gerusalemme e le foci del Gange dall’altra, erano stimati rispettivamente 45°, 90° e 180°, mentre sono 17°, 33° e 93°.
Nelle carte del ’700, ci sono frequentemente tre isole Trinidad, tutte rigorosamente a
11° Nord di latitudine, ma poste a 5-6 gradi ognuna dall’altra in longitudine.
Riccioli raccolse tutte le stime di distanza sulle quali riuscì a mettere le mani, fornite
da marinai, viaggiatori, cammellieri e, per quanto riguarda l’antico Egitto, dai “bematici”, i corrieri che, percorrendo saltellando gli itinerari o i confini dei campi, misuravano
le distanze. Con tutte queste misure e stime, Riccioli cercò di determinare il raggio di
una sfera che fosse congruente con quella congerie di dati e di stime tentando, in alcuni
casi, di attribuire ai dati pesi diversi in funzione della maggiore o minore attendibilità.
L’unità di misura usata fu il piede di Ferrara; facendo le conversioni necessarie, fu trovato per la circonferenza della Terra un valore di 43 944 km. Il valore in eccesso del
Riccioli, per quasi il 10%, fu usato anche da Newton e ritenuto il migliore per oltre un
secolo, sino alle grandi misure di triangolazione effettuate da metà del ’700 sino a tutto
l’800.
2 - La Terra e le mele
25
Ma la Terra è fatta come un’arancia o come un limone?
Sempre si trattava di agrumi, ma su questo quesito fior di scienziati si sbranò per un
secolo. Dalla parte del limone, troviamo Pascal e i Cassini, una dinastia di astronomi
italiani che “esportarono” in Francia l’Astronomia. Dalla parte dell’arancio, Newton,
Leibnitz e gli Enciclopedisti francesi.
Arancia e limoni e il calendario astronomico Maya (vedi pag.23)
Il problema, in altri termini, era formulato nel modo seguente: la lunghezza di un
grado di meridiano era la stessa andando dall’equatore al polo (come volevano i sostenitori della forma dell’arancia) o, invece, diminuiva oppure aumentava, secondo i fautori
della forma del limone? Non c’era che andare a far misure della lunghezza di un grado
attorno all’equatore e verso il Polo, e confrontarle con i dati trovati a metà strada, cioè
attorno a 45°. Nacque così (siamo alla fine della prima metà del ’700) una delle maggiori campagne di misura della Terra, organizzata dall’Accademia delle Scienze di Parigi.
Un gruppo di astronomi, guidato da Picard, aveva già misurato la lunghezza di un arco
di un meridiano che attraversa la Francia; Maupertuis fu inviato in Lapponia e un gruppo franco-spagnolo in Perù.
Comune il metodo: individuati due punti distanti tra di loro e idealmente posti sullo
stesso meridiano, si determinavano, con metodi astronomici, le latitudini, misurando ad
esempio le altezze di una stessa stella. Si misurava, poi, la distanza tra gli stessi due
punti, costruendo una rete di triangoli dei quali venivano misurati tutti gli angoli, la lunghezza del lato di uno dei triangoli e l’orientamento di quel lato. Con operazioni di trigonometria si ricavavano, poi, la distanza lungo la superficie terrestre e lungo un certo
meridiano tra i paralleli che passano per due punti. Si poteva, così, calcolare quanto fosse “lungo”, attorno a una certa latitudine, un grado di meridiano.
In questa operazione, chiamata triangolazione, si misurano pertanto la lunghezza e
l’orientamento di un lato e gli angoli interni di tutti i triangoli intermedi. Triangolazioni
sono state effettuate dall’inizio del ’500 sino agli anni ’70 del XX secolo.
26
Quaderno n. 4 - GMEE
Le vicende del gruppo dell’Accademia inviato al Nord si conclusero in un paio di
anni, senza vicende particolari, salvo il freddo patito lungo i fiumi e i laghi gelati della
Lapponia.
Tutta diversa e degna di un romanzo la vicenda del gruppo spedito in Perù. A parte
le difficoltà di operare a quote elevate e in zone senza collegamenti, a un certo punto
mancarono i soldi e il gruppo fu costretto a portare al Monte di Pietà di Lima il campione di lunghezza, la famosa “Tesa del Perù”, ora murata su una parete della cattedrale di
Quito. Scoppiò, poi, una delle tante guerre tra Francia e Spagna, con curiose conseguenze, quali il divieto di vendere oggetti con l’esenzione doganale, che era stata accordata
alla spedizione. Un vero e proprio romanzo: la misurazione durò oltre dieci anni e alla
fine, essendo scoppiata un’altra guerra, uno dei francesi cambiò cittadinanza e restò in
Perù. L’altro prese una decisione eroica: valicò le Ande e scese in canoa tutto il Rio delle Amazzoni, arrivando a Parigi, con un quadernetto nel quale erano raccolte le misure.
La terra era un’arancia e non aveva ai poli gli “umboni” predetti dai fautori del limone. Un grado all’equatore era un poco più lungo che nelle regioni temperate e ancora
più lungo che nelle regioni polari.
Quella malalingua del Voltaire non si lasciò sfuggire l’occasione e concluse:
“l’Accademie a aplati la Terre e les Cassinis”. Lo stesso Voltaire aveva già commentato
da par suo le fatiche di Maupertuis, il lapponico, con questo feroce couplet: “Dans des
lieux pleins d’ennui, il a découvert ce que Newton avait trouvé sans sortir de lui”.
La sonda Cassini,
intitolata a Giovanni
Domenico Cassini
(1625 - 1712),
astronomo italiano
che studiò Saturno.
La sonda fa parte
della missione
robotica
interplanetaria
congiunta
NASA/ESA/ASI,
lanciata il 15 ottobre
1997, denominata
Cassini–Huygens.
2 - La Terra e le mele
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Sappiamo che la Terra è fatta come una mela schiacciata ai
poli, ma è una mela “normale” o una mela cotogna..?
Verso la fine del ’700 era ormai assodato che la Terra assomigliasse a una mela; ma
nacque allora un altro quesito: i paralleli sono tutti delle circonferenze o la Terra è gibbuta, come una mela cotogna?
Mele cotogne a confronto con mele normali e con un mappamondo
Non restava che misurare se la lunghezza di un grado di parallelo fosse o meno la
stessa a longitudini diverse. La campagna durò in Europa una buona trentina di anni, a
cavallo delle guerre napoleoniche e dei primi moti che seguirono il Concilio di Vienna.
Come oggetto della misura fu prescelto il meridiano a 45° (quello che passa per Torino, città equidistante tra Polo ed equatore), che attraversa vaste regioni civilizzate.
Si decise così (la prima iniziativa fu dei Francesi) di misurare la lunghezza di varie
tratte di questo Meridiano tra le coste dell’Atlantico e quelle dell’Illiria.
Dati gli anni e gli eventi storici, la misura non fluì indisturbata: questa volta raccontiamo unicamente la particolare tecnica di sincronizzazione usata per attraversare le Alpi e la Pianura Padana, dal massiccio centrale francese sino a Fiume.
Incaricato della misura fu l’astronomo piemontese Giovanni Plana, che portò ad effetto la misura assieme all’astronomo Carlini di Brera, con la partecipazione di ufficiali
del genio piemontesi e austriaci (siamo ormai arrivati al 1824…), usando anche dati
raccolti da topografi dell’esercito francese tra il 1800 e il 1807, all’epoca della repubblica cisalpina e del Regno di Italia, quello di Napoleone.
Il metodo è semplice e classico: si tratta di misurare, nello stesso istante, l’ora indicata da due orologi, posti idealmente sullo stesso parallelo e alle estremità dell’arco da
misurare. I due orologi andavano precedentemente regolati sull’ora solare dei rispettivi
meridiani.
28
Quaderno n. 4 - GMEE
La differenza delle letture di ora, effettuate allo stesso istante, formano direttamente
la differenza di longitudine, tenendo presente che la Terra ruota con una velocità costante di circa 72,7 microradianti al secondo.
Il problema non era tanto di regolare gli orologi sul tempo locale (un buon astronomo o un topografo lo sanno fare impiegando pochi giorni), ma di sincronizzare gli istanti di lettura.
Il metodo usato dal Plana e da altri consisteva nel fare esplodere cariche di qualche
etto di polvere da sparo sulla cima di montagne e nell’usare il “lampo” come riferimento
temporale per la lettura degli orologi. La stazione “trasmittente” principale fu posta sulla cima del Rocciamelone, che si vede da Milano e Torino. Su un’altra montagna, il Tabor, ben noto agli alpinisti piemontesi, fu posta una stazione “ripetitrice”, sino al centro
della Francia.
La tecnica del “ponte-radio”, con una catena di stazioni ripetitrici che associamo alle
moderne telecomunicazioni, ha oltre tremila anni di vita: Eschilo descrive dettagliatamente un “ponte” di segnali luminosi tra Troia e Micene nel Peloponneso, coprendo la
distanza con una dozzina di ripetitori, attraverso e tutto attorno il Mare Egeo.
A distanza di quasi due secoli è ancora emozionante leggere le vicende delle misure
del Plana, che richiedevano una organizzazione impeccabile (il coordinamento di una
decina di gruppi di persone, sprovvisti di qualsiasi forma di comunicazione rapida) e
una dedizione a tutta prova. Ancora più emozionante leggere il riflesso degli eventi della storia maggiore, come la sospensione delle misure nel 1821, a causa dei moti nelle
caserme di Pinerolo con Santorre di Santarosa, o di quelli minuti, come l’improvvida
farfalla che, finendo dentro i meccanismi dell’orologio del posto ripetitore del Moncenisio, vanificò una notte di misure.
L’incertezza relativa delle misure di differenza di tempo del Plana era dell’ordine di
2·10-3, il che, sulla distanza Rocciamelone-Milano (circa 170 km) vuol dire circa 7 secondi d’arco, pari a circa 153 metri.
Con queste misure il Plana e altri scoprirono che si trattava di una mela cotogna,
perché c’erano delle “gibbosità”, le quali però furono determinate accuratamente solo
nei recenti anni ’70 del XX secolo, con misure doppler sui satelliti artificiali TRANSIT.
Uno dei satelliti della costellazione di 6 in orbita polare,
lanciati tra il 1960 e il 1988 dagli USA prevalentemente
per scopi militari di controllo del lancio dei missili balistici
dei sottomarini
2 - La Terra e le mele
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Sincronizzare orologi e misurare la distanza tra Palermo e
Lecce, guardando le stelle filanti
“... Io lo so perché tanto di stelle per l’aria tranquilla arde e cade ….”.
Certamente non pensavano alla cavallina storna, nelle notti di metà agosto del 1824,
decine di astronomi e astrofili meridionali, sdraiati a gruppi di 5-6 su Madonie, Peloritani, Nebrodi, Aspromonte, Sila (quella grande e quella piccola e quella greca), insomma su tutti rilievi tra Palermo e Lecce. Anche perché Giovannino Pascoli non aveva ancora cominciato a piangere e il telegrafo non era stato ancora inventato.
Ma cosa ci facevano quattro uomini sdraiati in un prato pianeggiante più uno in piedi davanti un orologio astronomico con pendolo? Per di più, quelli sdraiati avevano le
teste vicine e i piedi che puntavano ai quattro punti cardinali.
È certamente necessario fare un passo (anzi più passi) indietro, su distanze, longitudini, stelle filanti e assenza di telegrafo.
Risolto con il cronometro da marina il problema della longitudine in mare, che aveva impegnato ricercatori (Galileo compreso) e tecnologi per alcuni secoli (Voltaire sosteneva che il diavolo avesse inventato questo problema per affaticare e fare impazzire
gli uomini) restavano almeno altri due problemi, uno pratico e l’altro scientifico, tra loro
collegati: calcolare le distanze tra due posti e indagare se la Terra fosse un solido di rotazione o, invece, gibbuta come una mela cotogna.
Il telegrafo avrebbe risolto il problema, perché avrebbe consentito di leggere, praticamente nello stesso istante, due orologi regolati sull’ora locale di due luoghi remoti e
posti sullo stesso parallelo. La differenza delle letture avrebbe fornito direttamente la
differenza di longitudine, dato che la Terra gira a una velocità praticamente costante di
settantasei microradianti al secondo: a quattro minuti corrisponde un grado di longitudine. Ma il telegrafo non era ancora stato inventato, né tanto meno la radio.
E, allora, come comune istante di riferimento per la lettura degli orologi fu scelta
l’estinzione di una stella filante. L’idea era stata proposta nella seconda metà del Settecento, ma mai attuata sistematicamente, sino a quando un astronomo napoletano, Antonio Nobile, non la attuò su larga scala tra il 1830 e il 1850, per “collegare” astronomicamente da Ovest a Est il Regno delle due Sicilie, appunto da Palermo, nella Sicilia ulteriore, a Lecce, come allora si diceva, nella Sicilia citeriore. Lo stesso metodo venne
usato per determinare le differenze di longitudine tra Palermo, Napoli e Roma.
Come segnale di tempo per la lettura degli orologi, che erano stati regolati sull’ora
solare locale, vennero scelte le estinzioni delle stelle filanti: l’estinzione e non l’“accensione”, perché la prima è meglio definibile. L’occhio sta, infatti, seguendo la traccia luminosa, nel caso dell’estinzione, mentre nell’altro caso potrebbe essere rivolto verso
un’altra parte del cielo. I quattro osservatori sdraiati erano posti in modo da coprire tutto
il cielo e possedevano nozioni elementari di astronomia perché, dopo aver cacciato un
urlo, all’estinzione dovevano comunicare a chi teneva il registro delle osservazioni il
terminatore, cioè la direzione apparente di provenienza della meteora, indicando una
costellazione. Chi osservava l’orologio, regolato sul tempo siderale, annotava l’ora
dell’evento e il terminatore.
Tutti i dati di una notte venivano inviati a Napoli, dove il Nobile scartava le meteore
che non fossero state viste da almeno due stazioni contigue; le meteore bruciano ad altezze di 300-400 km ed è probabile che una stessa meteora, quindi la sua estinzione,
possa essere osservata in luoghi lontani tra loro.
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Quaderno n. 4 - GMEE
È legittimo trascurare il tempo di propagazione del segnale luminoso, certamente
dell’ordine, al più, del milllisecondo; a questo intervallo di tempo, largamente inferiore
alla soglie della sensibilità umana, corrisponde, per una luce o un’onda radioelettrica,
una distanza di 300 km. Come è ben noto, la risoluzione temporale delle reazioni fisiologiche umane, vista e udito, è intorno al decimo di secondo. Esistono, è vero, cronometristi che si piccano di apprezzare in maniera ripetitiva il centesimo di secondo, ma l’autore, vecchio del mestiere, non ne ha mai conosciuto uno. È mancato invece, da qualche
anno, Ernesto Angelotti, un tecnico del Galileo Ferraris che aveva una soglia ripetibile
di 40 ms nell’apprezzare le frazioni del secondo….(diverso il fenomeno degli accordatori di pianoforti e dei violinisti; in quest’ultimo caso, si tratta di battimenti tra segnali
presenti contemporaneamente, non della differenza temporale tra due segnali acustici,
come era il caso dell’Angelotti, o della contemporaneità tra sensazioni dell’occhio e
dell’orecchio).
Si può tranquillamente ammettere che i valori assoluti dei tempi di propagazione tra
la stella filante che si spegne e gli occhi degli osservatori, così come le differenze tra
questi tempi siano di gran lunga inferiori a un paio di millisecondi e quindi, per quanto
riguarda la fisiologia umana, gli eventi osservati (le estinzioni) possano essere ritenuti
contemporanei. Restano le incertezze nel leggere i due orologi, che possono essere stimate in ±100 ms per ogni stazione.
Dato che la grandezza che ci interessa è una differenza, un buona regola metrologica
vuole che l’incertezza assoluta del risultato sia la somma delle due incertezze assolute e,
quindi, è corretto fissare in ±200 ms l’incertezza di ogni misurazione. Alla latitudine di
39°N, intermedia tra quelle di Palermo e di Lecce, la lunghezza di un arco di parallelo
di un grado è di circa 85 km che il Sole copre in 4 min, cioè 240 s. Tra Palermo e Lecce
ci sono circa 4° 50’, quindi il sole passa per Lecce circa 1220 s dopo essere passato per
il meridiano di Palermo.
La lunghezza di questo arco, cioè la differenza di longitudine tra le due stazioni, poté così essere misurata, usando le stelle filanti, con una risoluzione dell’ordine di
0,2/1220 = 1,6·10-4; in altri termini, Nobile e colleghi riuscirono a determinare la distanza tra i due meridiani con un errore minore di circa 30 m. Per chi volesse trovare i dettagli di queste misure esiste, a proposito dei primi risultati del Nobile, una sua lettera ad
Arago del 18 febbraio 1840: Sur la déterminarion des différences de longitude par
l’observation des étoiles filantes”, che comparve nei “Comptes rendus hebdomadaires
des Séances de l’Académie des Sciences, 1er trimestre 1841, a pag. 426.
3 - Personaggi
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3 - Personaggi
I nove strumenti scientifici di Galileo
Galileo ingegnere e tecnologo
Il rilievo, tutto speciale, della figura dell’Uomo e del Fisico ci fa dimenticare che il
fiorentino fu anche solenne ingegnere e tecnologo e costruttore di strumenti di misura.
Innumerevoli le prove dei suoi interessi per la tecnologia, dall’attenzione ai problemi
realizzativi alla resistenza dei materiali sino alla curiosità che sfogava a Venezia, annotando le tecniche e la terminologia, gelosamente preservate dai “proti” dell’Arsenale.
Forse il metodo migliore per conoscere questi due aspetti meno noti di Galileo, è
quello di considerare singolarmente i nove strumenti scientifici e di misura, da lui inventati o perfezionati: il pulsilogio, la bilancetta “sincera”, le calamite armate, il termoscopio, il giovilabio, il compasso geometrico e militare, il telescopio, il microscopio,
l’orologio meccanico. Altri strumenti, come il piano inclinato, furono usati per individuare alcune leggi della Fisica.
Il pulsilogio
Cominciamo con il “pulsilogio”. Galileo, giovane, è a Pisa dove segue svogliatamente
i corsi di medicina. Notissimo è l’episodio di Galileo, febbricitante, seduto su un banco,
che osserva che le oscillazioni di un candelabro che pende nel transetto destro del Duomo:
le oscillazioni sono isocrone, cioè hanno la stessa durata; per la misurazione usa come riferimento di tempo il battito del suo cuore. In un’altra immagine, che si trova frequentemente, il giovane Galileo, questa volta in piedi, osserva le oscillazioni del lungo pendolo
costituito dal candelabro e, stupefatto per la rivelazione, lascia cadere il cappello.
È una delle tante pie leggende che accompagnano, da secoli, le sue vicende, compresa la caduta dei gravi dalla Torre pendente di Pisa; è stato, infatti, provato che il candelabro in oggetto fu installato quando Galileo aveva già lasciato Pisa…
Resta il fatto che Galileo osservò un fenomeno sino ad allora non noto e pensò subito di sfruttarlo a fini scientifici. Inventa così e usa il pulsilogio, un’asticciola di legno
con, avvolto a un’estremità, uno spago che fa capo a un peso: un pendolo, appunto. Lo
studente di medicina con la destra “tastava” il polso del paziente mentre faceva oscillare
il pendolo, la cui lunghezza veniva variata arrotolando più o meno lo spago sino a portare in sincronismo il battito del cuore del paziente con il periodo delle oscillazioni del
pendolo. Era così possibile misurare l’alterazione del ritmo del polso dovuta allo stato
febbrile e, soprattutto, avere una prova ripetibile delle variazioni dello stato febbrile del
paziente. Non risulta che il pulsilogio sia stato costruito sistematicamente; d’altra parte
era di agevole realizzazione. Esiste una tradizione che vuole che esemplari dello strumento siano stati distribuiti a colleghi medici pisani. Lo strumento fu usato anche altrove, in particolare da Santorio Santorio, a Padova, prima del 1625.
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Quaderno n. 4 - GMEE
La bilancetta “sincera”
Galileo vuole determinare la densità di alcuni corpi usando, come pratichiamo anche
oggi, la doppia pesata, con l’oggetto prima posto in aria e poi entro un liquido di densità
nota o di riferimento. Il problema risiedeva nella scarsa risoluzione e nella complicata
lettura delle bilance usate; per risoluzione si intende la minima variazione della grandezza in esame cui lo strumento è sensibile. Per migliorare questi due punti, Galileo avvolge attorno al braccio orizzontale della bilancia un filo sottile di ottone con le spire
bene adiacenti.
Lasciamo a lui descrivere, con perfetta padronanza della nostra lingua, l’operazione
di trovare le lunghezze tra il sostegno centrale e i punti ove risultavano appesi il corpo e
il peso. “Per numerargli con facilità, piglisi uno stiletto acutissimo, col quale si vada,
adagio adagio discorrendo sopra detti fili: ché così, parte mediante l’udito, parte mediante il ritrovar la mano ad ogni filo l’impedimento, verranno con facilità detti fili numerati.”
Questa bilancia era da lui chiamata “bilancetta sincera”. Vivente Galileo, il manoscritto (del 1586), che circolava per tutta Europa, non venne mai pubblicato; ne diede
una trascrizione a Palermo, nel 1644, un canonico di Ragusa Ibla, oggi un quartiere di
Ragusa ben noto perchè in esso sono ambientate le vicende del Commissario Montalbano.
Le calamite armate
Vengono poi le “calamite armate”. Le calamite suscitavano grande curiosità
nell’Europa colta dell’epoca. Ce n’erano alcune in grado di sollevavare una massa metallica analoga al proprio peso. Galileo compra in Germania pezzi di magnetite, la calamita naturale, e scopre, ragionando, un metodo per aumentare il peso sostenuto; lo pratica, con l’aiuto del fido meccanico padovano Mazzoleni, e vende le calamite modificate
a principi e patroni. Più che il metodo seguito, interessante è il fatto che, con queste calamite, Galileo inventa la nomenclatura che ancora oggi usiamo parlando di magneti e
di elettromagneti. La calamita era “armata”, per renderla più efficiente, e ancora oggi
usiamo questa parola per indicare la parte esterna dei magneti e delle macchine.
L’armatura era ottenuta infilando la calamita in una “scarpa” metallica (altra parola usata correntemente dagli ingegneri) e la calamita, così modificata, attirava l’“ancora” o
“ancoretta”, un oggetto che troviamo, ad esempio, nei campanelli elettrici delle nostre
case. Galileo è particolarmente orgoglioso di questa parola e dell’analogia con l’ancora
che tiene ferma la nave.
Il termoscopio
Viviani, nella Vita di Galileo, afferma che il “termoscopio” fu ideato dallo scienziato nel 1597. La sua testimonianza è confermata da Benedetto Castelli in una lettera al
Cesarini del 20 settembre 1638, nella quale descrive l’uso dello strumento. Esso è costituito da una caraffa di vetro, della grandezza di un uovo, con un lungo collo, pure di vetro (Fig.1).
Questa caraffa viene riscaldata con le mani e poi rovesciata in un vaso sottostante,
contenente del liquido; liberata la caraffa dal calore delle mani, il liquido sale subito nel
collo e supera il livello dell’acqua contenuta nel vaso.
3 - Personaggi
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Uno strumento analogo era stato costruito a Venezia dal Santorio nel 1612. Galileo, informato dal Sagredo dello strumento messo a punto dal Santorio, si
risentì, sospettando di essere stato defraudato dell’invenzione.
Termoscopio di Galileo. Copia
dello strumento per misurare il
caldo e il freddo ideato da Galileo durante il periodo padovano. Riproduz. sec. XIX. Vetro.
Altezza mm 460
È suggestivo il ricordo lasciatoci da Benedetto Castelli nel 1638: “Mi sovvenne un’esperienza fattami vedere, già più di trentacinque anni or sono, dal nostro
signor Galileo; la quale fu che, presa una caraffella
di vetro di grandezza di un piccolo uovo di gallina
col collo lungo due palmi in circa e sottile quanto un
gambo di pianta di grano, e riscaldata bene colle
palme delle mani la detta caraffella e poi rivoltando
la bocca di essa in vaso sottoposto, nel quale era un
po’ d’acqua, lasciando libera dal calor delle mani la
caraffella subito l’acqua cominciò a salire nel collo e
sormontò sopra il livello dell’acqua del vaso più di un
palmo: del quale effetto poi il medesimo signor Galileo si era servito per fabbricare un istrumento da esaminare i gradi del caldo e del freddo”.
Il giovilabio
Se c’è un libro di Galileo che scosse anche il cosiddetto cittadino medio, questo fu il
Sidereus Nuncius, il messaggero delle cose nuove che si vedevano in cielo con il cannocchiale. Osservando da Padova scopre i pianeti Medicei, ne determina le periodicità e
pensa subito a una utilizzazione pratica: usarne la regolarità dei moti come riferimenti di
tempo per risolvere il problema della longitudine, che affannò marinai e scienziati per
almeno venticinque secoli. Galileo era morto da oltre un secolo quando Voltaire decretò
che il problema della longitudine era stato inventato dal diavolo per tentare e scornare
l’umanità….
Galileo non lo risolse ma ne tentò tre soluzioni. Per usare i pianeti medicei era necessario dare al marinaio uno strumento semplice, con le informazioni sui loro moti: appunto il “giovilabio”, un regolo calcolatore analogico di facile uso.
Il compasso geometrico e militare
Il regolo calcolatore di Galileo che ebbe maggior successo fu il “compasso geometrico e militare” (1597); il nostro diceva di averne fabbricati, e in parte venduti, un centinaio in tutta Europa. Galileo teneva a dozzina, nella sua casa di Padova, numerosi studenti e alcuni di questi seguivano un corso sull’uso dell’oggetto e se lo portavano oltralpe. Questo compasso di proporzione non era una novità, ma dal Galileo fu arricchito
di funzioni e reso più versatile. Lungo l’elenco delle prestazioni: radici quadrate e cubiche, proporzioni, masse di corpi di vari metalli, calcolo del volume e delle dimensioni di
un solido che sia la differenza di altri due solidi, determinazione a distanza dell’altezza
di un edificio, calcolo di alzo e puntata di un cannone, e così via.
34
Quaderno n. 4 - GMEE
Il telescopio e il microscopio
Per il telescopio, le vicende sono note: Galileo non lo ha inventato, ma solo perfezionato. Sfogliando le sue lettere e appunti si nota che la ricerca di vetri senza “puleghe”, cioè soffiature interne che assomigliavano a festuche di paglia, e di abili tornitori
di lenti fu un continuo suo cruccio e rovello, per alcune decine di anni. Lo stesso per il
microscopio.
Una nota di colore interessante risiede nel fatto che la prima descrizione a stampa
del telescopio comparve a Pechino nel 1624, a cura del gesuita Padre Schreck, che era
stato allievo di Galileo; mentre la prima descrizione a stampa europea è del 1663. Cosa
abbia fatto e ottenuto Galileo puntando il nuovo strumento verso il cielo è cosa nota,
avendo dimostrato che la Fisica a Terra era la stessa Fisica che vige nello spazio (le ombre delle montagne della luna), le fasi di Venere, i pianeti di Giove, il moto della Terra e
la demolizione della fisica aristotelica.
L’orologio
Resta l’orologio, un misuratore meccanico di intervallo di tempo. Questa è una iniziativa degli ultimissimi anni, che probabilmente non si concluse mentre lui era ancora
in vita. I disegni e i pezzi furono confidati al figlio Vincenzio. Per fortuna il Granduca
di Toscana, messo in allarme da rivendicazioni d’oltralpe che contestavano la priorità di
Galileo, incaricò Vincenzo Viviani di preparare una relazione, completa di un disegno,
che ci è pervenuta ed è stata più volte usata per delle ricostruzioni. Analoghi strumenti,
morto Galileo, furono costruiti dall’Accademia del Cimento per i suoi esperimenti.
Spirito imprenditoriale
Galileo, quindi, costruì e usò tutta una serie di strumenti per usi sia scientifici sia
pratici.
Potremmo chiudere questa rapida panoramica con due osservazioni, la prima sul linguaggio tecnico e scientifico, la seconda sul suo spirito imprenditoriale.
Già si è detto delle parole “magnetiche” tuttora vive nel linguaggio degli ingegneri;
a proposito del Magnetismo, altri termini hanno progenitori illustri, come “polo magnetico” (Gilbert) e “permeabilità magnetica” (Pascal). Galileo, scrivendo frequentemente
in italiano, si pose chiaramente il problema della lingua da usare e dei termini: alcuni ne
inventa, ma sempre avvicina il termine corrente veneto o toscano, con particolare attenzione alla nomenclatura usata nell’Arsenale di Venezia.
Galileo fu anche imprenditore: costruiva e smerciava bussole, cannocchiali, bilance,
compassi; la richiesta era tale da non essere compatibile con gli impegni didattici e così
fu costretto a impiantare un’officina meccanica nella sua casa padovana, oltre a ricorrere ad artigiani di Firenze, Urbino, Venezia e anche della Germania.
L’officina padovana era condotta da Marc’Antonio Mazzoleni, un fabbro
dell’arsenale che Galileo aveva conosciuto a Venezia.
Interessanti i termini dell’accordo. Mazzoleni si trasferì a Padova con la famiglia,
occupando una parte della casa di Galileo. Fu installata una officina: attrezzi e materiale
erano pagati direttamente da Galileo e Mazzoleni riceveva una determinata cifra per ogni strumento prodotto. Galileo pagava, inoltre, le spese di vitto per Mazzoleni, la moglie e i cinque bambini, più uno stipendio annuale di 6 ducati.
3 - Personaggi
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Franklin e la Franklen: la stufa di Pennsylvania
Il nome di Beniamino Franklin evoca nei più il parafulmine, che i nostri vecchi
chiamavano appunto asta frankliniana. Ma Franklin è stato anche ben altro: letterato,
statista, diplomatico, tipografo, editore e, perché no, musico, bon viveur e ghiottone.
Ancora meno note e inaspettate le curiose e, almeno in un caso, lunghe e intense relazioni con Torino e con il Piemonte, in particolare con il suo principale corrispondente
torinese, Padre Beccaria, che a buon diritto può essere considerato come il padre della
Fisica a Torino e il padre dell’Elettricismo in Italia.
Beniamino, poderoso autodidatta e uomo estremamente avveduto e intraprendente, a
quarant’anni fu in condizione di andare in pensione, ma il suo fu un “ritiro” estremamente attivo. Mandato a Londra, e poi a Parigi, come ambasciatore, prima delle province della Pennsylvania e poi della neonata Repubblica americana, riuscì a farsi conoscere
e soprattutto rispettare dalla diplomazia europea, arrivando a concludere un trattato di
pace con l’Inghilterra. Prima di darsi alla carriera diplomatica, si era accostato alla nuova scienza elettrica.
Munito di perspicacia ma, nello stesso tempo, sprovvisto di concezioni e pregiudizi
accademici, riuscì a battere nuove strade e a proporre un’originale teoria elettrica, che
però non sarebbe mai riuscita a imporsi nel contesto accademico perché, pur essendosi
messo Franklin a studiare il latino, il suo linguaggio e, soprattutto, il suo modo di esprimersi non erano quelli dei dotti.
In sua difesa scese Giovanbatista (con una t sola) Beccaria, insigne scolopio monregalese, che pubblicò a Torino un paio di libri sull’Elettricismo. Questi libri e numerose
lettere valsero al Beccaria, da una parte, rinomanza mondiale e, dall’altra, introdussero
nel mondo dei dotti, con dimostrazioni logiche e accurati esperimenti, le teorie dell’uomo di Filadelfia (il quale voleva che ci fosse un solo fluido elettrico e non due, come era
l’opinione corrente) e le fecero infine accettare.
Intensissima fu questa relazione di carattere culturale, proficua per entrambi, che rimase sempre epistolare. Da questa corrispondenza si ricava qualche altra notizia sui legami con l’Italia, che vanno dalla gastronomia alla letteratura e sociologia, passando per
la musica e, soprattutto, per una forma di artigianato, derivata direttamente dalle proteiformi attività del nostro. Di questo artigianato qualcosa è ancora vivo nel lessico e nelle
industrie del Piemonte: ad esempio, le stufe di Castellamonte, una cui variante ripete, a
duecentocinquanta anni di distanza, la stufa di Pennsylvania, ideata dal Franklin nel
1744.
In Lomellina, in Piemonte e in Emilia, questo tipo di stufa, chiamata colloquialmente “franklen”, fu correntemente usata sino all’immediato dopoguerra, cinquant’anni or
sono.
36
Quaderno n. 4 - GMEE
La stufa di Pennsylvania
La figura è ricavata da un opuscolo di Franklin; l’aria da riscaldare veniva prelevata
dalla cantina tramite il canale I (perché d’inverno l’aria delle cantine è sempre più calda
dell’aria ambiente o esterna). L’aria si preriscaldava passando sotto la piastra metallica
H sulla quale, in A, veniva acceso il fuoco. L’aria, preriscaldata, veniva immessa, tramite l’apertura G, in un vano, chiuso superiormente e anch’esso metallico. La parete anteriore del vano riceveva l’irraggiamento della fiamma e si riscaldava per convezione
tramite i fumi che lambivano anche la parete posteriore. I fumi così dovevano prima
“salire” e poi “scendere”, sino in P, da dove potevano infine raggiungere il camino C.
L’aria si scaldava nel vano metallico e veniva versata nell’ambiente tramite le aperture
K, praticate ai lati della stufa. Una piastra metallica T (sulla quale si poteva anche cucinare) chiudeva superiormente la stufa. La stufa di Pennsylvania abbinava così all’irraggiamento anteriore della fiamma il ben più efficace meccanismo di convezione dovuto
all’aria calda; in fondo era una stufa ad aria calda.
La franklen divenne popolarissima già ai suoi tempi: i fratelli Verri ne comprarono
alcuni esemplari, altri il Granduca di Toscana. Foscolo, tremante di freddo a Pavia, nel
dicembre 1808, mentre prepara la famosa prolusione “Dell’origine e dell’Uffizio della
Letteratura”, prorompe: “Sospiro una franklin”…..
3 - Personaggi
37
Giuseppe Luigi Lagrange: grandissimo fisico-matematico,
ma anche grande metrologo
Secondo taluni, i contributi di Lagrange alla scienza sono secondi solo rispetto a
quelli di Newton. Lasciando risolvere la questione a quanti si dilettano in statistiche o in
campionati, il fisico-matematico torinese (Torino, 1738 - Parigi, 1813) occupa, a quasi
due secoli dalla morte, un ruolo notevole: dal lagrangiano ai punti lagrangiani, attorno ai
quali possono ruotare dei satelliti, oltre all’impostazione rigorosa, astratta ma efficace,
da lui data alla Meccanica Razionale.
Meno noti sono i ruoli metrologici, che culminarono, con un contributo diretto ed
essenziale, con la creazione del Sistema Metrico Decimale. Questa nota vuole appunto
gettare un po’ di luce su questo aspetto meno conosciuto, ma non meno importante, del
Nostro.
Le prime attività che attirarono sul giovane Lagrange l’attenzione dei matematici
d’Europa furono lo studio dei massimi e dei minimi e la teoria dei minimi quadrati, che
comparvero nelle Miscellanee, le Memorie dell’Accademia delle Scienze di Torino,
fondata tra l’altro anche da Lagrange. L’astronomo francese Lalande così si esprime 4:
“Les géometres furent étonneés, quand le prémier volume de ces mémoires parut, d’y
voir des recherches sur le calcul intégral, sur les suites recurrentes, sue les questions de
Maximis & Minimis, sur la nature & la propagation du son, faites de main de maitre,
par une personne dont le nom avoit été husqu’alors inconnu; c’étoit M. de la Grange.
Son premir début le mis de pair avec les cinq ou six premiers géometres de l’Europe; on
lui voyot manier l’analyse la plus profonde avec une facilité & une élégance dont les
plus célebres se seroient fait honneur, ... ... & doit etre regardé comme un de plus illustres Piémontois”.
Se le tecniche di ricerca dei massimi e dei minimi di una funzione sono d’interesse
generale di tutta la fisica-matematica, il metodo dei minimi quadrati è uno degli attrezzi
fondamentali, anche nelle sue varianti più recenti, come le tecniche di regressione, per
individuare il valore più probabile di una variabile, contaminato da rumore o da altre
forme di incertezza. Lagrange affronta da par suo questo metodo, lo generalizza, suscitando ammirazione e invidia in Eulero. Considera, poi, le proprietà della media e in una
nota 5, comparsa nel secondo volume della Miscellanea, spiega perché la media consenta la migliore “exactitude” (noi diremmo la minima incertezza) nella stima dei risultati
di un’esperienza
Ma il contributo essenziale, anche se non molto conosciuto, del Lagrange alla Metrologia avvenne durante il soggiorno parigino. Egli arrivò a Parigi, provenendo da Berlino nel 1787, e già nel 1790 fu coinvolto nelle attività metrologiche dell’Accademia
delle Scienze, dalle quali nacque, come è ben noto, il sistema Metrico Decimale, poi
impostosi in tutto il mondo.
4
DE LALANDE: Voyage en Italie, sette volumi, Yverdon, 1787. La citazione è a pag. 142-143 del vol. 1.
G.L.LAGRANGE: Memoire: Sur l’utilitè de la méthode de prendre le milieu entre les résultats de plusieures
observations; Par M. de la Grange, p.167, Mèlanges de Philosophie et de Mathematique de la Société Royale
de Turin., 1779-1773.
5
Quaderno n. 4 - GMEE
38
Le attività di studio, ricerca e costruzione, sia del sistema (definizioni, nomi, multipli, relazioni logiche) sia dei prototipi, furono affidate prima dall’Assemblea Nazionale,
poi dal Direttorio, infine dalla Convenzione, a una serie di undici commissioni 6 che operarono tra il 1791 e il 1799. Queste commissioni agirono con grande rapidità, anche
per una precisa scelta politica degli ispiratori della Rivoluzione, che vedevano essenziale rimuovere ogni traccia dei precedenti metodi, convenzioni e tradizioni e, correttamente, avevano individuato un forte segno di cambiamento in un mutamento radicale del
sistema metrico, da imporre rapidamente a tutti i cittadini. L’urgenza della cosa fu massima: poiché sembrava che le attività delle Commissioni procedessero lentamente,
l’Assemblea Nazionale impose, nel 1793, l’adozione di un sistema provvisorio di unità.
La tabella elenca cronologicamente queste commissioni: la prima, mista anglofrancese, proposta dal Talleyrand, non si riunì mai al completo, ma tutte le altre lavorarono con efficacia; due sole persone, Laplace e appunto Lagrange, furono membri di tutte le
commissioni e, quindi, garantirono la continuità e coerenza delle numerose decisioni.
N
Anno
Ente
Scopo della Commissione
Numero
dei membri
1
1790
AN
Comm. mista per il campione di lunghezza 8 membri (4 Acc. Scienze
Parigi; 4 Royal Society)
Comm. sistema numerazione - Riforma 7 membri
2
AN
monetaria
3
AN
Comm. sistema di misura
4 membri
(Poids et Mesures)
4
1791
AN
Comm. campione di lunghezza
5 membri
5
1792
AL
Comm. pesi e misure
4 membri
6
AL
Comm. internazionale di verifica
24 membri
Comm. temporanea pesi e
7
1793
CN
5 membri
misure repubblicani
8
1795
CN
Agenzia temporanea pesi e misure
5 membri
9
1795
CN
Ufficio per le longitudini
6 membri
10
1796
CN
Comm. pesi e misure dell’Istituto
5 membri
11 1798-99
CN
Comm. generale pèsi e misure
24 membri
Legenda: AN = Assemblea Nazionale; AL = Assemblea Legislativa; CN = Convenzione Nazionale
Alcuni membri o collaboratori come Condorcet, Lavoisier, Fabre d’Eglantine 7 o
Romme 8, furono persi per strada, ghigliottinati o suicidi (per non essere ghigliottinati...).
Lo spirito che uniformò i lavori della settima commissione ben traspare in un libro
scritto dai membri (il filosofo Condorcet, il fisico-geodeta Borda, l’astronomo Laplace,
il fisico-matematico Lagrange e il geometra Monge) nell’anno terzo della Repubblica e
che comparve anonimo, come volevano le consuetudini repubblicane. Leggiamone assieme un passo 9. La Commissione parla di se stessa:
6
S.Leschiutta, M.Rolando Leschiutta : J.L.Lagrande and the Metric System, IEN rapporto tecnico 545, 1998.
Fabre d’Eglantine era lo pseudonimo di un abate di Tolosa, cui sono dovuti i nomi dei calendario repubblicano.
8
Gilberto Romme (1750-1795), deputato e principale propugnatore della riforma metrologica.
9
Opera anonima: Instructions sur les mesures déduites de la grandeur de la Terre, uniformes dans toute la
Republique …par la Commission Temporaire des Poids et Mésures répubblicanes, en execution des Décrets
de la Convention Nationale, De Briot, Besancon, 3ème année republicane.
7
3 - Personaggi
39
“Et ce que surprendroit encore davantage chez toute autre nation, c’est de voir les
citoyens chargèe de cette operation importante (la costruzione del nuovo sistema metrico) qui sembleroit exiger tout la calme des temps pacifiques, la conduire avec succès
vers son terme, au milieu des combats et des agitations de la libertè naissante”…
La continuità del processo logico e del progresso sperimentale che portò al sistema
metrico è unanimemente attribuita all’azione congiunta di Laplace e di Lagrange, a
quest’ultimo in particolare, per il rigore e la coerenza dimostrata. Incidentalmente, furono proprio il rigore e la coerenza del torinese che imposero, oltre al calendario repubblicano, anche la divisione decimale dell’ora. Questa innovazione fu l’unica che venne
immediatamente respinta a furor di popolo anche in Francia, mentre il calendario repubblicano restò in vigore 10 una decina di anni.
Quindi il Lagrange, allora Presidente Onorario dell’Accademia delle Scienze di Torino, non fu solo fisico-matematico eccelso, ma ebbe un ruolo di primo piano anche nella costruzione del Sistema Metrico Decimale.
Luigi Lagrange da un busto nella
Biblioteca dell’Istituto di Francia (da F.Burzio:
“Lagrange”, UTET, Torino 1993, tav. III pag.56)
10
In Italia il calendario repubblicano francese venne introdotto nelle varie regioni del Nord della penisola,
Veneto escluso, tra il 1791 ed il 1802; fu soppresso con l’inizio del 1806.
40
Quaderno n. 4 - GMEE
Il giuramento mai giurato di Galvani
Dittature e giuramenti
Alcuni anni or sono fu giustamente ricordata sui giornali italiani la scelta fatta da
una ventina di professori ordinari italiani, che abbandonarono la carriera piuttosto di
prestare un giuramento di fedeltà al Fascismo. Curiosamente non si è mai ricordata
l’analoga scelta fatta da numerosi assistenti ordinari italiani pur di non iscriversi al Partito Nazionale Fascista.
Chiedere ai docenti universitari di giurare fedeltà a qualcosa o a qualcuno è una caratteristica tipica e ricorrente delle Dittature. In alcuni casi, come avvenne per una trentina d’anni in Unione Sovietica, ai “renitenti” non si concedeva il passaporto e, in ogni
modo, essi non ricevevano soldi e non facevano carriera.
La comunità scientifica internazionale, a volte, riesce a limitare o a contenere le manifestazioni più illiberali, ma a fatica e non sempre. In alcuni casi, a un ricercatore o un
professore che incontrava problemi con le proprie autorità nazionali, veniva assegnato o
confermato un prestigioso incarico internazionale, allo scopo di “proteggerlo” dai propri
connazionali, o si escogitavano artifizi vari per dargli, ad esempio, la mobilità al di fuori
del suo Paese.
Noi italiani abbiamo un classico esempio, quello del professor Vito Volterra (già
Rettore del Politecnico di Torino, Senatore, Presidente dell’Accademia dei Lincei, fondatore del CNR), presidente del Comitato Internazionale Pesi e Misure, ove venne appositamente e ripetutamente confermato dalla Conferenza Generale Pesi e Misure, pur
meritandoselo ampiamente, per proteggerlo in qualche modo dalle angherie cui era sottoposto.
Quando un funzionario del CRN andò a Bruxelles, presso la Federazione delle Unioni Scientifiche Internazionali, per comunicare che il prof. Volterra non rappresentava
più l’Italia e quando, mediante uno stratagemma, gli fu ritirato il passaporto, la Pontificia Accademia delle Scienze fece avere a Volterra un passaporto del Vaticano, perché
potesse avere la necessaria mobilità.
Volterra, uno dei venti, era ovviamente ebreo.
Drammi individuali
In queste occasioni saltano fuori il coraggio e la dignità dell’uomo, ma non tutti possono permetterselo. Sono, infatti, decisioni durissime; così fu, ad esempio, per un assistente universitario con moglie incinta del secondo figlio (che fu poi una figlia, di nome
Lilia, sorella e madre di due membri del GMEE) e avente lo stipendio come unica forma
di sussistenza.
Questi drammi di coscienza non sono tipici delle numerose dittature del XX° secolo;
sono sempre avvenuti e ce lo conferma la toccante vicenda di Luigi Galvani (1737-1798).
Galvani era professore presso l’Università di Bologna dal 1760; sono note le vicende
politiche dell’Italia tutta negli ultimi anni di quel secolo, con le varie repubbliche che
sorgevano al passaggio dell’esercito francese, mentre nelle varie città era rizzato l’albero della libertà.
Come succede in tutti i cambiamenti, si scatenano inizialmente le componenti più
radicali e le antipatie o le vendette personali. Un fuoco che dura alcuni anni, al quale
segue di regola, prima o poi, una restaurazione; ma il fuoco dei primi anni è sempre oltremodo e irragionevolmente vivace.
3 - Personaggi
41
I Giacobini bolognesi pensarono di mettere in regola i colleghi sospettabili di posizioni conservatrici e imposero ai professori del glorioso Ateneo il seguente giuramento,
pena la decadenza immediata dalla carica:
“Giuro inviolabile osservanza alla Costituzione, odio eterno al governo degli aristocratici ed oligarchi e prometto di non soffrire giammai alcun giogo straniero e
di contribuire con tutte le mie forze al sostegno della Libertà ed eguaglianza, ed
alla conservazione e prosperità della Repubblica”.
Galvani, che aveva a quel momento 61 anni, era malfermo in salute, rimasto da poco
vedovo e viveva unicamente della sua retribuzione universitaria, rifiutò di giurare e motivò la sua posizione con nobili parole.
Luigi perse immediatamente il posto e l’assegno, che gli furono restituiti solo poco
prima della morte.
Il problema non fu vissuto nel Veneto, che viveva gli ultimissimi anni della Repubblica di San Marco, e nella saggia Toscana, mentre si presentò, sia pure in forme diverse, in Piemonte, che era stato nel frattempo annesso alla Francia, e nel resto della Repubblica cisalpina. Se taluni, come il Parini, presero posizioni simili a quelle di Galvani
(Il cittadino Parini non entra, se qui non entra il cittadino Cristo), altri professori
risolsero il problema all’italiana, rivolgendosi ad avvocati ed esperti di casuistica, cioè
la materia nella quale devono essere esperti i confessori, che consente di valutare la liceità dei comportamenti, considerati e studiati i vari casi possibili (da qui il nome di casuistica).
La risposta congiunta fu quella che i professori si aspettavano: giurate pure, perché
siete costretti, ma con la riserva mentale di non sentirvi impegnati.
Quel mattacchione d’Alessandro Volta risolse da par suo il problema: partecipò alle
discussioni, decise di firmare ma, al momento fatidico, approfittando della confusione
che regnava nella sala ove erano riuniti i professori pavesi per la cerimonia del giuramento, trovò modo di svignarsela.
Chi fosse interessato ai particolari, può consultare Giorgio Tabarroni: Il mancato
giuramento di Luigi Galvani, Atti della Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna, Classe di Scienze Fisiche, anno 286°, Bologna, 1999.
Quaderno n. 4 - GMEE
42
La scappatella di Volta
Anche lo scienziato è fatto di carne
Secondo uno stereotipo comune, il grande scienziato, tutto teso alla sua scoperta, vive estraniato dalla società e anche dalla sua condizione umana: la sua vita privata non
esiste o non è ricordata. Quell’essere deve essere una specie di monaco o di vestale.
Alessandro Volta nel suo laboratorio, quadro di A. Rinaldi al Tempio Voltiano di Como.
Foto L. Pizzi. Tratto da “Scienziati e tecnologi”, A.Mondadori Ed., vol.III, Milano 1975.
Le cose non stanno così perché tutti, scienziati compresi, hanno preso carne e sono
soggetti alle pulsioni tipiche e necessarie della razza umana. Non è necessario scomodare Galois, che sfidò a duello, rimettendoci la vita, un collega che aveva fatto allusioni
alla moralità della sua fidanzata, ahilui fanciulla di facillimi costumi.
Possiamo restare a casa nostra e raccontare una storia legata al lungo soggiorno pavese, trent’anni, di Alessandro Volta.
Volta e Napoleone
Volta era un allegro compagnone, giocava a carte, apprezzava il buon vino e gli inviti a cena 11, faceva vita di società, andava a teatro, era proficiente nella danza e, per
quanto riguardava l’attività accademica, teneva le sue lezioni senza eccessivo accanimento e, soprattutto, appena trovava una scusa possibile, scappava a casa sua, a Como.
A questo proposito c’è un sviluppo storico. Napoleone, dopo la dimostrazione della
pila, esibitagli a Parigi nel 1802, aveva preso a benvolere Volta, ne apprezzava la conversazione e la prontezza di spirito e, munitosi di un temperino, aveva grattato via, nella
sede della Accademia delle Scienze di Parigi, le ultime tre lettere di una iscrizione lau11
Nel suo soggiorno parigino del 1801, gli inviti furono 37.
3 - Personaggi
43
dativa su Voltaire. In ogni modo, Volta era destinato a disilludere Napoleone: quest’ultimo, infatti, un paio di volte, di passaggio per Pavia o per Milano, avendo chiesto di
vedere Volta, si sentì rispondere che il comasco si trovava a Como. La seconda volta
che non trovò Volta sul posto di lavoro, gli fece ricordare che un buon professore deve
sempre vivere e, se necessario, morire insieme ai suoi studenti, proprio come deve fare
un generale con i suoi soldati.
Alessandro e Marianna
Si diceva che Alessandro fosse un “bon viveur”, che così descriveva se stesso nelle
sue relazioni con l’eterno femminino; affermava, infatti, di appartenere alla congrega
dei cavalieri erranti:
“Erranti, io dico quelli che fan corteggio
a questa ed a quella e ne han sempre una nuova”
e, inoltre, sosteneva di mai fidarsi delle donne:
....”Chi sian le donne dunque ancora non sai:
non sai che sempre fu sano consiglio
di donna alcuna non fidarsi mai”.
Ma mal gliene incolse, perché alla tenera età di quarantatre anni si prese una cotta
solenne: lei si chiamava Marianna Paris, romana o di Viterbo, virtuosa, cioè cantante di
teatro, una soprano che andava per la maggiore nell’esecuzione delle operine di Paisiello, Cimarosa e altri. Eccelleva, sembra, ed era un triste doppio presagio, nella “Bella
Molinara, ossia l’amore contrastato” di Paisiello, e nel “Matrimonio segreto” di Cimarosa.
In ogni modo, Alessandro si invaghì perdutamente di lei e la cosa durò quattro anni.
Le attrici di teatro non godevano di buona stampa, un poco perché per avere successo,
oltre ad essere brave, dovevano esibire generosamente le loro grazie, erano circondate
da spasimanti e “filarini” e, girando in continuazione di città in città, erano più esposte a
tentazioni. È vero che, in genere, erano accompagnate da un genitore o da un “protettore”; a volte erano sposate con il capo comico che frequentemente chiudeva uno o tutti e
due gli occhi. Ma tant’è, la situazione era considerata mal conciliabile con altri doveri o
sentimenti.
Un professore universitario che si sposasse era tenuto, come tuttora i Carabinieri e,
forse, gli Ufficiali di Marina, a comunicare la sua intenzione e il nome della sposa, per
ottenere una specie di consenso. Ottenere tale consenso era difficilissimo, per non dire
impossibile, se la sposa era un’attrice; il nostro Alessandro dovette, quindi, iniziare una
battaglia con la propria famiglia, oltre che con l’Ateneo.
La famiglia Volta, che apparteneva alla piccola nobiltà lombarda, era numerosa: alcune zie suore, due fratelli sacerdoti, uno dei quali, Luigi, arciprete a Como 12. Un suo
collega all’Università, sacerdote e canonico ma un po’ giansenista, alla fine si dimostrò
il più comprensivo. E così Volta fu costretto a iniziare una serie di passi defatiganti e
umilianti con la famiglia, l’Ateneo e il Governo austriaco, sedente in Milano, dal quale
dipendeva la Università. Volta non riuscì a trovare un accomodamento e chiedeva solo
di sposarsi con la sua Marianna; allora scrisse direttamente a Vienna, rivolgendosi
all’imperatore Leopoldo II. Questa la proposta: rinuncio all’incarico come professore
12
Alessandro era l’unico che avrebbe potuto assicurare una discendenza della famiglia.
44
Quaderno n. 4 - GMEE
universitario a Pavia, in cambio di un posto d’insegnante di Ginnasio, a Milano “città
grande, ove niuno bada a simili cose” 13.
In un ricorso all’Imperatore, Alessandro ammette che “il Governo non potea vedere
con indifferenza che un Professore della Università condursi in Moglie una cantante di
teatro; la qual cosa…sarebbe di poco buon esempio, e di pregiudizio alla disciplina, e
costumatezza negli Studenti, ai quali si raccomanda di non praticare le Virtuose”….
Lo scandalo sarebbe stato minore per un professore di Ginnasio, in una città grande
come Milano.
Volta era cosciente delle difficoltà e dei pregiudizi; alla famiglia scrive “...Ella professa un’arte poco onorata per non dire peggio, pericolosa all’estremo; e lo fa contro suo
genio, per necessità (che in lei diviene veramente virtù), non avendo altro mezzo per sostenere i suoi poveri genitori. Io dunque desidero, quanto essa, di levarla dal teatro…”.
A distanza di due secoli, ci risulta difficile seguire e, soprattutto, capire questa vicenda, che si complicò perché, dopo una formale promessa di matrimonio da parte di
Alessandro, i due avevano di nascosto cominciato a convivere e la cosa era stata risaputa, in una città piccola e forse pettegola come Pavia. La vicenda, che si sviluppò per
quattro anni, finì male, nel senso che un intermediario raggiunse una transazione economica con il padre di Marianna, la quale accettò di uscire dalla vita di Volta. Sembra
che Marianna si sia comportata con molta dignità, a differenza del padre e della famiglia, che negoziò, oltre a una somma in contanti, un vitalizio mensile, che risulta essere
stato versato regolarmente sino al 1817.
Infine Teresa, moglie devota
Dopo questa scappata, la famiglia riprese il controllo della cosa; fu trovato a Como
un adatto partito, Teresa Peregrini, non giovanissima, nobildonna, d’esemplari costumi
anche se non molto ricca e, si dice, anche bruttina. Volta la sposò nel 1794, quando aveva in pratica cinquant’anni, due anni dopo aver lasciato Marianna. Fu tutto sommato un
matrimonio felice 14: Teresa dette ad Alessandro tre figli, nati nel 1795, 1796 e 1798, dei
quali egli fu padre amorosissimo, curandone direttamente l’educazione, trasferendo la
famiglia prima a Milano, per la frequenza a un ginnasio, e poi a Pavia, per la Laurea.
Teresa gli procurò, insomma, una felice e lunga vecchiaia.
E, per concludere, due osservazioni: non dispiaccia di aver scrutato tra le segrete
carte d’Alessandro, perché questa curiosità ci restituisce l’immagine di una personalità a
tutto tondo e di un vero uomo, con trasporti affettivi e la difficile gestione di una vicenda complicata. E gli anni dedicati a Mariannina, compresi tra la scoperta dell’elettroforo
e quella della pila, sono gli anni d’ammissione alla Royal Society di Londra e all’Accademia delle Scienze di Torino, nei quali stava maturando la polemica con Galvani, che
lo portò alla pila e, quindi, alla nascita dell’Elettrotecnica che conosciamo.
Questa nota è dedotta da un esame dell’Epistolario e, in particolare, dei testi di Felice Scolari: Alessandro Volta-guida bibliografica, Fondazione Leonardo, Roma. 1927; Accademia Galileiana di Scienze, Lettere ed Arti: Alessandro Volta nel 250° anniversario della Nascita, CEDAM,
Padova, 1998 e G.Bonera - P.Vanzan: Alessandro Volta, l’uomo, lo scienziato, il credente, CdG,
Pavia, 1999.
13
Volta: Epistolario III, p.108-111, 27 maggio 1701.
Sarebbe forse opportuno uno studio psicologico sul perché molti matrimoni combinati da sensali o parenti
siano poi riusciti felici…
14
3 - Personaggi
45
La città di Milano dette ragione a Ohm
A quell’epoca, siamo nel 1844, nel Lambro prosperavano i gamberi: oggi l’esperienza della quale parliamo non sarebbe probabilmente possibile, per rapida corrosione degli
elettrodi.
Ma andiamo con ordine: è noto che la legge di Ohm, che diamo per scontata e del
tutto ovvia, stentò molto (una buona ventina d’anni) ad essere accettata nel mondo accademico. Il libro di Giorgio Simeone Ohm (1789-1854) – il circuito elettrico trattato
matematicamente – era stato pubblicato a spese dell’autore nel 1827 e gli era valso, assieme a scritti precedenti, il bando dall’Università. Ohm stesso, di carattere scontroso,
era stato definito un pazzo furioso perché pretendeva che in un circuito elettrico, formato da numerosi conduttori di tipo diverso e disposti in serie, ci fosse qualche cosa (che
oggi chiamiamo corrente) che si “conservasse” e fosse eguale in tutti i conduttori.
Ohm perse il posto e a riabilitarlo fummo soprattutto noi italiani, l’Accademia delle
Scienze di Torino, che nel 1841 lo volle socio, e appunto la Città di Milano.
Milano, all’epoca, faceva parte del Regno Lombardo-Veneto; il governo austriaco,
dopo mille esitazioni, aveva consentito che vi venisse convocata una “Riunione degli
Scienziati Italiani”.
La città deliberò, a sua volta, di contribuire all’evento anche istituendo un premio di
10.000 lire austriache, al fine di assegnare un riconoscimento o per compiere
un’esperienza importante di Fisica. Su pressione di Giovanni Alessandro Maiocchi
(1795-1854), docente di Fisica del Liceo di Porta Venezia, si decise di verificare appunto la legge di Ohm, sotto la sorveglianza di una commissione internazionale.
Questo il circuito: da Milano, dove era installata una batteria di pile, si usava la linea
telegrafica lungo la ferrovia di Milano-Monza. Da Monza, un filo elettrico collegava la
linea telegrafica con una piastra di rame, immersa nelle acque del Lambro, che costituiva il “conduttore” di ritorno, sino a un’altra piastra, immersa a Milano, che era a sua
volta allegata alla pila che alimentava tutto il circuito. Quattro “amperometri” erano inseriti: uno tra pila e filo telegrafico, un secondo lungo questo conduttore, un terzo tra
filo e Lambro, l’ultimo tra la piastra milanese nel Lambro e la pila.
I quattro strumenti usati erano stati inventati pochi anni prima, nel 1825, da Luigi
Nobili (1784-1835), fisico attivo tra Emilia e Toscana ove trasmigrò per motivi politici,
ed erano dei “galvanometri astatici”, nei quali due aghi magnetici “eguali”, rigidamente
collegati tra loro ma controversi e sospesi a un filo di torsione, erano immersi ambedue
nel campo magnetico terrestre ma uno solo nel campo generato da una bobina nella quale circolava la corrente da misurare.
Ci sono pervenuti i verbali della Commissione i cui membri, salvo uno svizzero e un
tedesco, erano tutti italiani, ma di cittadinanza diversa: il presidente era Giovanni Plana,
(1781-1864), celeberrimo e scontrosissimo astronomo di Torino, cittadino del Regno di
Sardegna.
Gli strumenti, entro gli errori sperimentali, dettero tutti la stessa indicazione e quindi
la legge risultò confermata, a spese della Città di Milano.
Monza - Villa Mirabello sul Lambro - Incisione del 1827
46
Quaderno n. 4 - GMEE
Quel matto di Wheatstone
Quando Braccio di ferro non deve difendere Olivia dalle attenzioni di Bruto, tra una
scatoletta di spinaci e l’altra, suona la concertina, una specie di fisarmonica, inventata (e
brevettata) da Wheatstone.
L’accoppiata invenzione-brevetto è una delle caratteristiche del Nostro, che, come
vedremo, spaziò in una decina di campi diversi, dagli strumenti musicali, elettrici od
ottici, alla fisiologia.
Gli oggetti che portano il suo nome sono infatti una decina: un orologio solare, uno
meccanico, uno stereoscopio, un fotometro, un telegrafo elettrico, un cronometro, il soccorritore (un relè posto alla fine di una lunga linea telegrafica per azionare la macchina
ricevente), ed ovviamente il ponte usato da noi elettricisti.
C. Wheatstone, conosciuto per il suo
“ponte elettrico”, in un ritratto a matita di
S. Laurence (National Portrait Gallery, Londra)
Charles Wheatstone (1802-1875) è
un fisico-ingegnere inglese, realmente proteiforme, abilissimo a volte ad annusare quanto di nuovo ci
fosse nelle idee di un altro, a prendere un brevetto e a costruire un dispositivo da vendere.
Comunque a questa caratteristica accoppiava una fantasia ragguardevole, un attentissimo spirito di
osservazione e una vera maestria
tecnologica, non disgiunta da una
operosità ragguardevole.
Descriviamo solo alcune delle sue
invenzioni, lasciando da parte
l’ipernoto ponte, salvo ad annotare
che il ponte di Wheatstone non fu
da lui inventato, ma solo costruito e
diffuso. Onestà vuole comunque
sottolineare che mai egli abbia preteso o lasciato credere che lo strumento fosse di sua invenzione.
3 - Personaggi
47
Il fotometro
Un esempio di fantasia è il suo fotometro, utile per paragonare rapidamente le intensità di due sorgenti luminose, una delle quali anche lontana e inaccessibile, ad esempio
dei becchi con gas.
In una scatola cilindrica, un movimento di
orologio faceva ruotare un braccio che
portava alla sua estremità una ruota dentata ingranante con una corona dentata
con i denti all’interno. Questa ruota dentata, posta in rapida rotazione, portava un
dischetto di sughero annerito, sul quale
era posta una sferetta di acciaio lucido, in
posizione eccentrica. La sferetta descriveva così un ipocicloide.
Le due sorgenti luminose da confrontare si riflettevano sulla sferetta formando, per la persistenza delle immagini sulla
retina, due epicicloidi luminose. La scatola veniva spostata sino a quando le due
Il ponte di Wheatstone come descritto da
curve apparivano egualmente luminose. A
James Clerk Maxwell, M.A., nel libro
metà dell’Ottocento, furono ideati nume“A treatise on electricity and magnetism”, Oxrosi fotometri: di Bunsen, Burel, Barbiford at the Clarendon Press 1904,
net, Brodhium, Lummer e, appunto, di
III edition
Wheatstone.
Ci si potrebbe domandare quali siano le ragioni di una tale prolificità. Il motivo risiede nella diffusione del gas illuminante, il cui contenuto energetico era misurato unicamente tramite metodi fotometrici. Le principali città europee si dotarono, a tal fine, di
un laboratorio di fotometria e di illuminotecnica. Joule e Ferraris non avevano ancora
imposto i metodi calorimetrici: lo stesso Ferraris, più volte, tra il 1872 e il 1884, propose la costituzione in Italia di un Laboratorio nazionale di fotometria, iniziativa che realizzò in parte presso il Regio Museo Industriale.
Un cannone
Un esempio di ingegnosità era un cannoncino che sparava un colpo quando il sole
transitava al meridiano o a un intervallo di tempo noto, prima o dopo il mezzogiorno.
L’oggetto era installato nella villa di Wheatstone e non meritò una descrizione: un cannocchiale, orientato tramite un meccanismo a orologeria in azimut e in elevazione, concentrava la luce del sole.
Il telegrafo
Il telegrafo elettro-magnetico di Wheatstone, adottato da Poste e Ferrovie inglesi,
consentiva la trasmissione delle lettere dell’alfabeto, tramite gli aghi magnetici di due
galvanometri posti in un piano verticale.
Gli aghi, a riposo, hanno una posizione verticale mentre, attivati, compiono oscillazioni verso destra o sinistra. Le posizioni combinate delle due lancette e il numero delle
oscillazioni forniscono le lettere dell’alfabeto. Ad esempio, la lettera E è rappresentata
da un’oscillazione verso sinistra dell’ago di sinistra e da due, sempre verso sinistra, di
quello di destra.
48
Quaderno n. 4 - GMEE
Il sistema è indubbiamente macchinoso e complesso, ma notevolmente più veloce
del Codice Morse, nel quale si ha una distribuzione nel tempo, sia per la lunghezza del
singolo elemento (punto o linea) sia per il numero e la distribuzione degli elementi, che
sono sino a cinque per lettere e numeri ma salgono a otto per i segni convenzionali.
Una coppia di allenati telegrafisti, usando il codice Morse, riusciva a trasmettere al
più 400-450 parole all’ora.
La concertina
Veniamo alla concertina, che è in fondo una fisarmonica a bottoni, analoga nel funzionamento all’armonica “due botti”, cara alla tradizione del folclore italiano.
Due telai esagonali, tra i quali si apre e si chiude il mantice, recano all’interno delle
lamelle, poste in oscillazione da flussi d’aria, attivati premendo dei bottoni.
È uno strumento certo non adatto per esprimere sentimenti, ma per accompagnare
gagliarde canzoni e altrettanto, se non più, gagliardi ritmi di danza. Lo strumento si diffuse nell’Europa del Nord, in particolare nelle bettole dei porti e sulle navi.
Lo strumento richiede anche un certo sforzo fisico, dato che l viene retto tra le mani,
e questo giustifica l’attitudine verso la concertina di Braccio di Ferro, uomo provvisto di
poderosi bicipiti.
Per SILE, redattore di questa nota e dilettante di concertina, alquanto misteriosi restano i criteri di scelta delle posizioni delle singole note.
Wheatstone, attento come era stato alla tabella delle frequenze delle singole lettere
nella lingua inglese quando aveva ideato il suo codice telegrafico, fissa ora le posizioni
delle note, in modo da facilitarne sia gli intervalli sia gli accompagnamenti nelle poche
tonalità consentite dallo strumento. Qui bisognerebbe conoscere la musica, ma si può
constatare che Wheatstone cercò di fissare le posizioni delle note con una certa razionalità, sia per la melodia sia per l’armonia, disponendo i tasti in maniera opportuna.
L’uomo
Abbiamo descritto sommariamente quattro strumenti e resterebbe da parlare sull’uomo, ma ciò richiederebbe diverse pagine.
Charles Wheatstone, tutto proteso all’ideazione e realizzazione di oggetti nuovi, era
scrittore pochissimo prolifico riguardo ai suoi strumenti, molti dei quali non furono da
lui descritti: ad esempio, egli non scrisse una riga sul suo fotometro, che fu usato per oltre cinquant’anni, mentre dedicò tre articoli nell’arco di quindici anni allo stereoscopio,
un oggetto che ebbe larghissima diffusione e, insieme all’analogo strumento di Duddel,
fu riprodotto in centinaia di migliaia di esemplari in tutta Europa.
3 - Personaggi
49
Helmoltz, la moglie e il Kaiser
Caro Imperatore, la presenza di mia moglie è indispensabile per la mia tranquillità spirituale.
Tuo Ermanno Helmoltz
Se Herr Professor Helmoltz dice così, pagate pure il biglietto anche per la moglie.
Il Kaiser
Questa, in soldoni, la conclusione di una diatriba che si accese, indirettamente, tra il
Kaiser Guglielmo II e Herman Ludwig F. von Helmoltz (1821-1894), allora presidente
del PTB (oggi, come allora, istituto metrologico nazionale in Germania), fondato nel
1887 da lui e da Siemens.
Vediamone le vicende, che travalicano certamente la mera materia del contendere:
in pratica, l’inclusione della signora Anna von Mohl negli Helmoltz (1834-1899) nel
seno della delegazione germanica a un Congresso di Elettricità che si svolgeva negli
Stati Uniti, con diritto quindi al rimborso totale delle spese.
Il decorso della vicenda, infatti, da una parte, ci dà un’idea dell’alto senso di dignità
che Hermann aveva per se stesso e del quale si era ed era circondato e, dall’altra, dal
rispetto del quale godeva, al punto di far violare le certamente rigorose normative prussiane che regolavano i viaggi dei funzionari pubblici.
L’occasione fu rappresentata dal Congresso Internazionale d’Elettricità 15, che si
svolse a Chicago nel 1893, al quale parteciparono per l’Italia anche il prof. Galileo Ferraris del Regio Museo Industriale di Torino e un giovane ingegnere d’Ivrea, Camillo
Olivetti.
Incidentalmente quel Congresso 16, presieduto da Helmoltz, fu di gran rilievo per tutta l’Elettrotecnica. Ad esempio:
‰ Galileo Ferraris precisò il concetto d’induttanza, con tutti i legami con le altre
grandezze, elettriche e non;
‰ per l’unità di questa grandezza fu adottato il nome di Henry, in luogo di “quadrante”, anche in omaggio alla nazione che ospitava la conferenza;
‰ furono definiti e accettati universalmente il volt, l’ohm e l’ampere “internazionali”;
15
I Congressi Internazionali di Elettricità, otto in tutto (il primo a Parigi, nel 1881, l’ultimo a Torino, nel
1908), furono di grande rilievo per lo sviluppo dell’elettrotecnica. Purtroppo erano congressi internazionali a
livello diplomatico, con delegazioni nazionali nominate dai vari governi, con il risultato che il capo delegazione, unico ad avere diritto al voto, frequentemente era un alto funzionario ministeriale o ambasciatore a Parigi.
Nella singole commissioni sedevano, invece, gli scienziati e i tecnici, con gli inevitabili problemi di comunicazione.
16
La Commissione di Elettricità, di tutto rispetto, era così composta: Ayrton prof. W.E.(UK); Budde dr. E.
(DE)¸ Chavez A.M.(Messico); Carhert prof. H.S. (USA); Ferraris prof. G. (I); Helmoltz prof. H von (DE);
Higman prof. A. (Canada); Hospitalier prof. E. (FR); Leduc dr. S. (FR); Lunner dr. O. (DE); Mascart prof.
E.E.N. (FR); Nichols prof. E.L (USA); Palaz dr. A. (SW); Preece W.H. (UK); Rowland prof. H.A. (USA);
Sahaulka dr. J. (Austria); Schaered H. (DE); Siemens A. (UK); Thompson prof. S.P. (UK); Tomson prof. E.
(USA); Thury prof. R. (SW); Touan M. de la (FR); Violle M. (FR); Voigt prof K. (DE); Weber C.E. (UK);
Weber prof R. (SW); Wennmann (Svezia). Chi conosca un po’ di storia dell’Elettricismo riconoscerà i nomi
dei padri fondatori dell’elettrotecnica e della strumentazione elettrotecnica. Volendo, tra i membri, si può individuare anche l’uomo che contribuì alla nascita della Radiotecnica: Greaves, Direttore del Post Office inglese, che finanziò gli esperimenti di Marconi e dette l’avallo della sua organizzazione ai risultati.
50
Quaderno n. 4 - GMEE
‰
iniziarono i colloqui, ripresi a Parigi nel 1900 e conclusi a Saint Louis nel 1904, che
portarono alla nascita della Commissione Elettrotecnica Internazionale 17, la IEC
(ente nazionale di normazione in campo elettrico, tuttora esistente).
Prima di tornare alla vicenda della moglie di Helmoltz, è opportuno cercare di
spiegare, a chi non li conoscesse, i motivi della statura dello studioso tedesco e
dell’universale riconoscimento e prestigio del quale era circondato.
Helmoltz può forse essere considerato come l’ultimo degli
scienziati umanisti 18; di formazione iniziale era un medico fisiologo, ma padroneggiava la
matematica e la fisica come pochi del suo tempo.
Usava, ad esempio, sistematicamente la serie di Fourier, che
era guardata ancora con sospetto
in taluni ambienti accademici.
Pochi sono i settori dello scibile
nei quali non esistano sue zampate, alcune delle quali vengono
discusse e studiate ancora oggi.
Herman Ludwig F. von Helmholtz
Precisò il concetto e il significa(Potsdam 1821- Berlino 1894). Tratta da “Scienziati e
to di energia, postulando un sotecnologi”, A.Mondadori Ed., vol.III, Milano 1975.
lido principio generale della
conservazione dell’energia, che era stato intuito da Mayer (incidentalmente anche lui un
medico) in quei mirabili anni tra il 1830 e il 1845 quando, per opera di Mayer, Joule e
appunto Helmoltz, si riconobbe la conversione e l’intercambiabilità tra lavoro, calore,
energia.
Non meno rilevanti i contributi nella fisiologia della visione e dell’udito; nel primo
settore inventò l’oftalmoscopio, tuttora usato in clinica medica, e nel secondo costruì un
analizzatore di spettro acustico e un simulatore di voce umana, usando risonatori a cavità.
Sulla sua teoria della consonanza, entrando nel campo musicale, si discute ancora oggi
e SILE ricorda la stupefatta ammirazione che lo colse nei primi anni sessanta quando, nel
trattato di acustica fisica e fisiologica, trovò il modello e la semplice dimostrazione matematica del perché, nella tradizione musicale europea, il martello del pianoforte “deve”
percuotere la corda a un settimo della lunghezza e perché l’altezza e lo stato del feltro che
riveste il martello abbiano una diretta influenza sul timbro del suono 19.
Helmoltz era anche una persona colta, soprattutto in lettere e musica: studiò a lungo
Goethe, del quale divenne il miglior interprete, e suonava, più che da semplice dilettan17
La IEC, tuttora attivissima con i suoi rami nazionali (in Italia con la Commissione Elettrotecnica Italiana,
C.E.I.), è un’organizzazione volontaria, non governativa, con prevalenti funzioni di coordinamento internazionale, a livello industriale ma con robusti collegamenti scientifici.
18
La sua tesi e alcuni scritti scientifici erano redatti in latino.
19
È impossibile la formazione di un’armonica la cui lunghezza sulla corda sia eguale o inferiore alla lunghezza del feltro che ricopre il martello.
3 - Personaggi
51
te, pianoforte e armonium. Si era fatto costruire uno speciale armonium nel quale, per
esemplificare la sua teoria della consonanza, l’ottava era divisa in 24 parti.
Ma per noi, misuristi, elettrotecnici e anche metrologi, la figura di Hermann Helmoltz si staglia per almeno tre elementi.
Assieme a Siemens, egli si fece promotore, nel 1887, della costituzione in Germania
del Physikalische Technische Reich-anstalt (PTR), il laboratorio metrologico tedesco,
oggi noto come PTB (Bundesanstalt), una delle Mecche della Metrologia.
Il capo del laboratorio sperimentale era Kohlrausch (i colleghi anziani ricorderanno
certamente il suo ponte), che avviò tutta una serie d’attività sperimentali di misura. Il
testo di misurazioni fisiche del PTR, dovuto appunto a Kohlrausch, che i ricercatori dovevano conoscere a menadito, è divenuto in Germania una specie del manuale del Colombo: è stato più volte aggiornato e l’ultima edizione 20, la ventiquattresima, è del 1996.
Arrivati a questo punto, ci si potrebbe domandare cosa c’entri la moglie con questo
profilo di Helmoltz.
C’entra, e per due versi: da una parte, come è stato ricordato ai margini della riunione del GMEE 21 tenuta a Villasimius nel 2003, dietro un grande ricercatore c’è sempre
una grande donna o, almeno, una donna innamorata. Dall’altra, solo illustrando i meriti
scientifici dell’uomo e la sua fama si può capire la resa del Kaiser.
La vicenda è, in fondo, semplice. Helmoltz aveva chiesto che il PTR pagasse anche
la spesa di missione della moglie, ma gli fu risposto ripetutamente di no. Lui, teutonico,
a ogni diniego ripresentava la domanda, chiedendo ogni volta che venisse esaminata da
un’autorità gerarchicamente superiore rispetto a quella che aveva emesso il precedente
diniego. La domanda andò così su e giù più volte per tutti i gradini della burocrazia, ogni volta salendo di un gradino, finché il primo ministro, disperato, la fece recapitare al
Kaiser. Il Kaiser non disse di no, ma chiese che Helmoltz motivasse la sua richiesta: “La
presenza di mia moglie è indispensabile per la mia tranquillità spirituale”.
Il Kaiser si arrese: Se Helmoltz dice così, pagate pure il biglietto per la moglie.
20
"Kohlrausch-Praktische Physik" a cura di V. Kose e S. Wagner, Teubner-Verlag, Stuttgart.
GMEE- Gruppo Misure Elettriche ed Elettroniche, che raggruppa i docenti e i ricercatori italiani del settore
delle misure.
21
52
Quaderno n. 4 - GMEE
4 - Paradigmi
Il sistema metrico decimale è bello ma certamente scomodo:
pensamenti e ripensamenti metrici in Francia, tra il 1802 e il 1840
Mettere le mani a un sistema di misura è sempre cosa delicata e difficile. Immaginiamo, poi, di introdurre un sistema eversivo, come quello metrico decimale, che cambiava tutto, campioni, grandezze, la logica stessa del sistema (prima superfici e volumi
non erano collegati alla lunghezza), nomenclatura e, soprattutto, usava scale decimali in
popoli che per millenni avevano diviso e moltiplicato per due, tre, sei e dodici.
In Francia la Convenzione, nel 1793, con una legge del primo agosto per accelerare
la riforma, aveva introdotto Misure provvisorie, con l’adozione di una scala decimale, il
collegamento tra le misure di massa e quelle di lunghezza e una prima nomenclatura
delle unità, con nomi che, ad eccezione di metro e relativi sottomultipli, si trovano ormai solo nei trattati di storia della Metrologia.
I primi campioni metrici di Metro, Pinta e Grave (che diverranno metro, litro e kilogrammo) furono presentati alla Convenzione nell’Ottobre 1793; la Convenzione, nel
mese seguente, ordinò la costruzione di campioni prototipi per tutta la Francia.
I primi ripensamenti sono posteriori solo di un paio di mesi, perché un decreto del
gennaio 1794 cambiò il nome della pinta con quello di cadil. Di maggiore importanza il
ripensamento della legge del 18 germinale dell’anno 3 (7 aprile 1795), che introdusse
modifiche nella terminologia, che durano tuttora a distanza di due secoli.
Il cadil fu sostituito da litro, il gravet da grammo (in lingua italiana gramma) e il
grave, che era il peso di mille grammi, divenne il kilogrammo (in italiano dell’epoca, il
chilogramma). Venne cosi introdotta una delle maggiori e persistenti storture del Sistema Metrico Decimale, ora SI, che consiste nell’uso, nel nome di un’unità (il kilogrammo), di un prefisso moltiplicativo.
Come conseguenza della stessa legge venne deciso di accelerare la misura di un arco
del meridiano che passa nei dintorni della Cupola del Pantheon. La misurazione, necessaria per ricavare la lunghezza del metro, richiese alcuni anni, tra il 1791 e il 1798, negli
anni dell’acme del processo rivoluzionario e del terrore. La storia di questa misura e,
soprattutto, degli uomini che dedicarono la loro vita all’impresa potrebbe costituire la
trama di un romanzo d’avventure 22.
Venne istituita una Commissione internazionale, costituita da otto francesi (tra i quali Lagrange, che francese ancora non era) e da delegati da: Repubblica Batava (l’Olan22
Ai due astronomi Delambre e Méchain fu affidato il compito di misurare la lunghezza dell’arco di meridiano tra Dunkerque e Barcellona. Essi usarono un teodolite, elaborato da un ufficiale di marina, tal Borda, detto
“teodolite quarto di cerchio”. L’impresa durò oltre sei anni e fu irta di difficoltà perché il periodo era denso di
scossoni; non di rado le aste usate per le triangolazioni furono scambiate per insegne militari, con drammatiche conseguenze.
4 - Paradigmi
53
da), Danimarca, Repubblica Elvetica, Sardegna, Toscana, Repubblica Ligure, Repubblica Romana e Repubblica Cisalpina. Questa Commissione tenne le sue sedute a Parigi,
tra Aprile e Maggio del 1799. Il quattro messidoro dell’anno 7 (22 giugno) i campioni
furono solennemente presentati al Consiglio dei Cinquecento e al Consiglio degli Anziani, per essere affidati, lo stesso giorno, in custodia agli Archivi della Repubblica.
Nel dicembre dello stesso anno 1799, il 19 frimaio dell’anno otto, venne infine emessa la legge metrologica francese, che reca questa frase:
« Le mètre et le kilogramme en platine, déposes le 4 messidor dernier au corp législatif par l’institut national des sciences et des arts, sont les étalons définitifs des mesures de longueur et de poids dans toute la France ».
Poche settimane dopo, il decreto del 13 brumaio dell’anno 9 (4 novembre 1800) stabiliva che il nuovo sistema metrico decimale sarebbe entrato in vigore definitivamente il
1 vendemmiaio dell’anno 10 (23 settembre 1801).
In questo stesso decreto si comincia a temperare le prescrizioni precedenti e si inizia
quindi, a pochi mesi dalla legge metrologica, un processo di vera e propria restaurazione
metrologica, nel senso che per facilitare l’introduzione del nuovo sistema si ammetteva,
in parallelo alla nomenclatura ufficiale (chiamata sistematica), l’uso dei nomi antichi;
alcuni esempi sono proposti nella seguente tabella:
Nome sistematico
Nome tradizionale ammesso
miriametro
lega
kilometro
miglio
decametro
pertica
metro
metro
decimetro
palmo
centimetro
dito
millimetro
tratto
litro
pinta
kilogrammo
libbra
Con il senno del poi questo decreto, che consentiva l’uso di entrambe le nomenclature all’interno di qualsiasi transazione o documento, pur conservando i rapporti decimali
per le unità, creò problemi peggiori; ad esempio, una libbra era la massa di un oggetto di
489 grammi o uno di 1000? Ambedue le definizioni avevano valore legale.
Pochi anni dopo ci si cominciò a domandare se i rapporti decimali, che certamente
erano la migliore, se non l’unica, scelta per i calcoli scientifici, lo fossero anche per i
bisogni del popolo. Quest’idea si fece strada e fu tradotta da decreti e circolari del 1812,
con Napoleone imperatore, nei quali non solo si autorizzavano tutti i nomi antichi ma si
54
Quaderno n. 4 - GMEE
consentiva l’abbandono della scala decimale con il ritorno alle suddivisioni precedenti,
perché erano “accomodées au besoins du peuple”.
Segui l’anarchia più completa tra il 1812 e il 1839; ad esempio, l’antica misura della
tesa (la tesa – toise – era la “brachia tensa”, cioè la mitica estensione da punta di indice
a punta di indice di Carlomagno con le braccia tese), che conservava il vecchio nome
ma, con una lunghezza portata a 2 m, si divideva ora in sei piedi. Il piede valeva esattamente un terzo di metro e si divideva in dodici pollici e il pollice in dodici linee. Quindi
tutta la fatica e la tensione morale che aveva portato al metro come quarantamilionesima
parte del meridiano terrestre, si riduceva alla costruzione di un campione di lavoro, il
metro, che praticamente non aveva cittadinanza ed era necessario unicamente per trovare, tramite una comodissima divisione per tre, la lunghezza del piede.
Opuscolo sul sistema metrico scritto
probabilmente da Don Giovanni Bosco
(Fratello delle scuole Cristiane),
pubblicato nel 1849
La situazione venne finalmente risolta
da una legge di Luigi Filippo, Re dei francesi, che in data 3 luglio 1837 stabilì che
le leggi del 1812 venivano abrogate, veniva concesso un periodo di meno di tre anni
per l’uso di misure e strumenti di misura
antichi e, con il primo gennaio 1840, avrebbero avuto valore legale unicamente
le leggi dell’anno 8: l’uso di altre unità
sarebbe stato punito come infrazione al
codice penale, quindi non solo sanzioni
amministrative ma anche la prigione. Così, per opera di un Re, la rivoluzione metrologica della Repubblica venne realizzata in pieno e nella sua purezza e razionalità, dopo quasi mezzo secolo di travagli,
pensamenti e ripensamenti.
Non si vuole certamente irridere le titubanze e i tentennamenti della Metrologia
francese, ma unicamente mettere in evidenza quanto sia delicato mettere mano a
un sistema di Misura e quanto il processo
sia lento: tipicamente sono necessarie almeno due generazioni, come per ogni processo di adattamento culturale.
Sant’Agostino sostiene che una generazione dura venti anni e tra il 1799 e il
1840 erano giusto appunto passate le due
generazioni necessarie per un cambio culturale.
4 - Paradigmi
55
Gestazione, nascita e affermazione delle Leggi della Fisica
Una legge della Fisica, una ipotesi o uno strumento, specie se di carattere innovativo, passano attraverso tre fasi: la gestazione nella mente di un uomo, la formulazione,
cioè la nascita, e infine la sua accettazione nel mondo della Scienza. Questa nota riguarda in particolare il terzo punto che a volte si estende per decenni e, almeno in un caso
anche per un paio di secoli 23, prima che la nuova idea sia compresa, accettata, diventi
parte della descrizione del mondo e quindi del corpo delle nozioni che la scuola trasmette.
Si considereranno comunque e in maniera estremamente sommaria la gestazione
della idea; ma prima di passare a nascita e affermazione, sarà opportuno introdurre il
concetto di paradigma, come attualmente inteso per questo tipo di problemi.
Così l’ultima parte può essere dedicata sia a “nascita” sia ad affermazione, perché
queste fasi sono intimamente collegate tra di loro e richiedono che le conclusioni che
verranno presentate anche con esempi, e cioè l’importanza di un paradigma, sia pure
entro determinati limiti di validità, siano state accettate.
La nascita di una nuova legge.
Nell’ideazione di una nuova legge o di una ipotesi, numerosi sono i processi mentali
che di volta in volta presiedono alla “gestazione” dell’idea:
• intuizione,
• pensiero “ellittico” 24,
• attese esistenti,
• principio generale o “conservazione” di una grandezza, come
- massa,
- energia minima,
- minimo tempo di viaggio,
• simmetria,
• concettuale eleganza,
• semplicità25,
• maturità della idea,
• tenacia o cocciutaggine,
• colpo di fortuna (perché no?).
Dietro ognuno di questi processi esiste il nome di un Fisico o di una scoperta.
Per alcuni di questa decina di processi, sono opportune osservazioni o complementi;
per il processo “principio generale” o “conservazione” di una grandezza”, Piaget ha
dimostrato che il bambino tra i due e tre anni parte con l’ipotesi della “conservazione”
di qualche grandezza, attorno alla quale, poi, costruisce la propria fisica. Analogamente,
23
Si pensi al caso del barometro e del concetto di pressione, da una parte, e del termometro e della temperatura, dall’altro. Concetti e strumenti nati ambedue a Firenze, all’inizio della seconda metà del Seicento. Per il
primo strumento e concetto, non ci furono problemi; per la seconda coppia, furono necessari quasi tre secoli
per capire cosa veramente misurasse il termometro. Su questo caso emblematico si tornerà più avanti.
24
Per pensiero ellittico si intende un modo di ragionare nel quale alcuni passaggi logici sono “saltati”; la correttezza del tragitto logico è giustificata a posteriori.
25
Torna il rasoio di Occam…
56
Quaderno n. 4 - GMEE
come è ben noto, molte delle leggi della Fisica maggiore sono nate ipotizzando la “conservazione di qualche cosa”, come massa, quantità di moto, energia.
Per il processo “simmetria ed eleganza concettuale” si ricordi il caso di Maxwell
che arrivò alle sue equazioni, inizialmente non dimostrate, seguendo concetti di simmetria ed eleganza, fatto che non gli fu perdonato per quasi mezzo secolo da alcune scuole
rigorose, come la Fisica francese e la ridottissima schiera dei fisici teorici italiani 26 del
momento.
Per “maturità di una idea” si può proporre un esempio, tratto dalla storia dell’Elettronica, che dimostra che quando una idea è matura ed esistono i necessari stimoli,
l’innovazione nasce contemporaneamente in più luoghi e in più persone. L’equazione
del tubo elettronico (che in Italia viene chiamata del Vallauri, in Francia del Ferrié, in
Germania del Barkhausen, in Inghilterra di Thompson, negli Stati Uniti del Langmuir)
nacque nel 1917, in un momento nel quale le comunicazioni tra i ricercatori non erano
facili, anzi impossibili. È ovvio lo stimolo impellente di capire in qualche modo come
progettare razionalmente un circuito con un nuovo componente. Lo stesso avvenne per
un “impensabile” circuito che era basato sempre sul tubo, il multivibratore, la cui “scoperta” avvenne nell’agosto del 1917 in Francia e in Germania e fu coperta, in tutti e due
i casi, da segreto militare 27. Lo stesso avvenne per un apparato, il sintetizzatore di frequenza, ideato, sia pure con principi differenti, intorno al 1939 in Germania, ad opera
dello Schomandl 28, e in Italia, per opera del Boella.
Il “colpo di fortuna” esiste certamente ma è stato più volte osservato che questo
“processo”, per avere effetto, richiede una mente pronta, aperta e allenata a riconoscere
e cogliere il nuovo.
Paradigmi e comunità scientifiche
Negli anni tra il 1930 e il 1960 cominciarono a emergere, per opera di Carnap, Popper [1] e Kuhn, nuove idee nel vasto campo tra Filosofia, Sociologia, Fisica e Storia delle Scienze, con originali punti di vista anche su nascita e sviluppo delle leggi della Fisica.
I contributi che più interessano sono quelli che Kuhn espose in un libro del 1962, intitolato The Structure of Scientific Revolutions [2, 3], nel quale vengono esposti, tra
l’altro, due concetti, quello dei paradigmi e quello di comunità scientifica.
Una delle tesi di questo Autore è che gli scienziati, come tutto il resto dell’umanità,
operino rimanendo entro (e, quindi, essendone limitati) una complessa struttura di assunzioni a proposito della natura del problema, del tipo di soluzioni e dei metodi e modi
che devono essere seguiti; tutti questi elementi costituiscono il paradigma.
26
Maxwell trovò, invece, precoce cittadinanza tra gli ingegneri elettrici italiani, a partire dal 1880, prima a
Torino con Ferraris, poi a Milano con Colombo; inoltre i fisici italiani degli ultimi due decenni dell’Ottocento
erano prevalentemente sperimentali o rivolti alla Fisica terrestre. In pratica la Fisica Matematica, come insegnamento ufficiale, cominciò con il Prof. Persico alla fine degli anni venti.
27
Per quanti amano la storia della tecnologia, i francesi Abraham e Bloch descrissero il circuito in un rapporto
interno nel luglio del 1917, mentre Barkhausen, che progettava e costruiva sistemi per intercettare comunicazioni su linee telefoniche campali, era indaffarato a scoprire e a descrivere la fisica del rumore, che da lui ha
preso il nome.
28
Schomandl inventò la tecnica degli oscillatori agganciati in fase su subarmoniche; è invece frutto del lavoro
di Boella la sintesi decadica, sulla quale sono basati gli strumenti commerciali costruiti dagli anni ’60 in poi.
Alcuni apparati industriali presentano lo stesso schema a blocchi e i valori numerici di uno degli strumenti
costruiti dal Boella.
4 - Paradigmi
57
Questo insieme di concetti e analisi basate sui “paradigmi” ha sollevato innumerevoli controversie e discussioni, soprattutto sull’applicabilità a qualsiasi contesto nel quale
si articolino le attività umane, ma anche i detrattori ne ammettono l’utilità.
In maniera molto grossolana, ma seguendo una schematizzazione proposta [4, 5]
dallo stesso Kuhn, si arriva a un ragionamento circolare, nel quale il concetto di paradigma è strettamente collegato a quello di comunità scientifica.
Un paradigma è un insieme di regole , tradizioni, usi, abitudini, ecc., che i membri
di un comunità scientifica, ma solo i membri di quella comunità, hanno in comune.
Reciprocamente, è proprio l’adozione di un comune paradigma che trasforma un
gruppo di persone, per altri versi dissimili, in una comunità scientifica.
Il concetto e il termine paradigma (beninteso in questa connotazione, cioè di regola
per trattare casi differenti ma analoghi) vennero introdotti inizialmente da Kuhn, appunto per studiare, da un punto di vista generale, gli eventi peculiari che si verificano nella
Storia delle Scienze fisiche in corrispondenza delle cosiddette “rivoluzioni scientifiche”
o nelle “unificazioni” 29 di capitoli della Fisica [6].
La storia della Scienza è, infatti, una collezione di casi nei quali l’esistenza di un paradigma riconosciuto, anche in un altro settore dello scibile, è stata utile per far superare
le difficoltà di accettazione o la sua assenza ha impedito (o quantomeno rallentato) il
riconoscimento di una validità della nuova idea.
Con una certa approssimazione e schematismo, gli sviluppi sono i seguenti:
ƒ
la nuova idea può essere inquadrata in un paradigma già esistente 30, e allora
viene accettata,
ƒ
la nuova idea non può essere inquadrata, e allora si hanno due conseguenze:
¾ la nuova idea è soppressa perché non è scienza,
¾ nasce faticosamente una nuova scienza.
I membri di una certa specialità che formano una comunità scientifica:
ƒ
hanno elementi comuni nella loro educazione e allenamento,
ƒ
pensano di essere gli attori del progresso nel loro campo,
ƒ
sono considerati, dall’esterno della loro comunità, come i responsabili di un
certo obbiettivo,
ƒ
sentono la responsabilità di allevare dei successori, per poter assicurare la autoperpetuazione della comunità stessa.
Le comunità scientifiche riconosciute hanno, al loro interno, una rete efficace di comunicazioni, che diventa molto debole per le comunicazioni con le altre comunità.
Tentativi di comunicare con l’estero portano a incomprensioni, sospetti, quando non
ad acerbi disaccordi. Una regola non scritta è quella di “non andare a zappare negli orti
altrui”, proprio per evitare di dover ammettere, per reciprocità, incursioni “esterne”.
Inoltre i membri di una comunità frequentano la stessa “letteratura”, cioè leggono le
stesse riviste, vanno agli stessi congressi, presentano reazioni comuni e apprezzano
gruppi di valori simili.
I “dilettanti” o gli estranei, anche se si riconosce loro una certa abilità, vengono respinti e il “giovane” resta al di fuori della comunità fino a quando non riceva un ricono29
Un classico esempio di unificazione è quanto avvenne verso il 1820 quando, per opera di Oersted e di Ampère, si prese atto che magnetismo ed elettricismo erano solo due diversi aspetti di un unico fenomeno: altra
unificazione fu quella dovuta a Maxwell tra luce e onde elettromagnetiche.
30
Non importa se il paradigma alligni in un altro campo dello scibile; l’importante è che alligni e sia, quindi,
accettato e praticato.
58
Quaderno n. 4 - GMEE
scimento internazionale o manifestazioni di stima da parte di un’altra comunità oppure
venga cooptato da un riconosciuto membro della Comunità stessa. Questi aspetti di
chiusura di una comunità verso il nuovo o il diverso sono compensati, almeno in parte,
dalla necessità di proteggere e allevare i giovani adepti.
Comunque il primo passo, per entrare in una data comunità scientifica, è un’adozione acritica del paradigma base, compreso il corpo di regole, comportamenti o regole e
postulati da seguire. Questa forma di comunità come custode del paradigma è in fondo
una forma di conservazione che potrebbe, in certe condizioni, impedire o rallentare il
progresso della Scienza, a volte solo perché il postulato corrente è del tutto errato o sorpassato.
Ad esempio, un paradigma di carattere generale, che era indubbiamente valido in determinate condizioni storiche o ambientali o sperimentali, può ridursi con il tempo ad
essere solo un caso particolare 31.
La storia della Scienza è tutta una raccolta di casi nei quali l’inesistenza di un paradigma o un paradigma non valido, la non appartenenza a una comunità o il credere a “idee” non accettate dalla comunità nella quale si vorrebbe entrare od operare, ha avuto
conseguenze nefaste. Alcuni esempi, da Ohm (1789-1854) a Essen (1908-1997) passando per Wegener (1880-1930) e Giorgi (1871-1950), vengono accennati nelle prossime
pagine.
Dato il carattere discorsivo di questa nota, non esiste lo spazio necessario per illustrare correttamente i termini delle diatribe e delle contese (per le quali si fornirà, ove
possibile, riferimenti bibliografici) e ci si limiterà ad alcuni aspetti esterni, anche umani.
Un’avvertenza: l’uso del criterio del paradigma, o meglio il suo abuso, può essere
non corretto o addirittura pericoloso, perché porta a semplificazioni e schematizzazioni che possono indurre a giudizi aprioristici o a troppo facili generalizzazioni,
tipo “nemo propheta in patria”, il “genio” è sempre incompreso, esistono i baroni ...
Alcuni casi celebri, vecchi e nuovi: paradigma “sbagliato” o inesistente
È opportuno osservare, come premessa a questa sezione, che l’uso dei paradigmi è
solo uno dei metodi per la valutazione di eventi complessi; la realtà ha numerose componenti, soprattutto quelle caratteriali, che sfuggono a una valutazione meccanica e analitica.
Quanto esposto in questa sezione venga pertanto ritenuto solo come una possibile, e
non unica, descrizione e interpretazione di vicende umane e scientifiche, che hanno ben
più complesse motivazioni.
Giorgio Simeone Ohm (1789-1854)
Un paradigma corrente intorno al 1820 voleva che l’elettricità fosse unicamente un
fatto superficiale; tutti gli esperimenti svolti erano di tipo elettrostatico, anche se era già
stata inventata e usata la pila.
Ohm, seguendo invece il modello di propagazione del calore entro un corpo che era
stato proposto dal Fourier, riteneva invece che tutta la sezione del corpo, non solo la sua
31
Si consideri il caso di Ohm, esposto nel precedente capitolo.
4 - Paradigmi
59
natura o forma della superficie, avesse importanza. All’epoca i concetti di tensione e di
corrente non erano ancora precisati, gli strumenti per misurare il passaggio e la quantità
del “fluido” sarebbero arrivati verso il 1830-1840 e gli Elettricisti conoscevano bene la
sola Elettrostatica. In queste condizioni Ohm dovette affrontare un paradigma errato,
con tutta una serie di conseguenze:
ƒ
la sua legge, che poi divenne una delle basi della Elettrotecnica, non venne accettata,
ƒ
fu costretto a pubblicare il suo libro a sue spese,
ƒ
venne dichiarato per iscritto “pazzo furioso”, anche perché aveva un carattere
difficile,
ƒ
venne espulso del sistema universitario e campò dando lezioni di Fisica, girando ramingo per la Germania, inseguito dalla voce di essere pazzo e inaffidabile.
G.S. Ohm. Le sue ricerche sulla conducibilità
dei diversi materiali lo portarono a stabilire la
legge fondamentale che collega la tensione, la
resistenza e la corrente in un circuito elettrico,
cioè quella universalmente nota come “legge
di Ohm” (Deutsches Museum, Monaco)
Solo dopo alcuni riconoscimenti internazionali (come una medaglia dalla Royal
Society e la chiamata all’Accademia delle Scienze di Torino, avvenuta nel 1841), ebbe
l’agognata cattedra all’Università di Monaco, un paio di anni prima della morte.
Nel caso di Ohm il problema nacque dal fatto che il paradigma imperante era quello
elettrostatico. La classe accademica non era pronta ad accettare l’elettrotecnica, come si
constatò per una cinquantina di anni, sino al 1870 circa, con un divario sempre più ampio tra la nuova industria elettrotecnica, che mieteva successi su scala globale (con il
telegrafo, la generazione e il trasporto di energia) e l’Accademia che, salvo alcune eccezioni, non era in grado di spiegare i fenomeni e i fatti industriali.
Solo dopo il 1870, per opera di fisici o ingegneri come Heaviside, Maxwell, Kelvin,
Helmoltz, Mascart, Ferraris, Preece e di industriali accorti e collegati con la ricerca,
come i fratelli Siemens [7], Wheatstone, Ayrton, si cominciò a colmare lo spazio che si
era venuto a creare tra le realizzazioni dell’elettrotecnica e il supporto teorico 32 necessario per poter progettare razionalmente i nuovi oggetti. Corollario indispensabile fu,
32
Classico esempio è il trasformatore, la macchina statica e con rendimenti elevatissimi sulla quale si basa la
distribuzione odierna dell’energia elettrica alternata. La macchina esisteva e veniva venduta con il nome di
“generatore secondario”, prima che Galileo Ferraris, nel 1884, ne scrivesse le equazioni, indispensabili per un
progetto razionale, e ne determinasse, con un elegante metodo calorimetrico, il rendimento.
60
Quaderno n. 4 - GMEE
sempre in quegli anni, la nascita della Metrologia elettrica, spinta inizialmente dall’industria dei telegrafi 33 che stava diventando globale, in particolare per opera dei Siemens. Lo sviluppo e il ruolo del telegrafo, negli anni 1860-1895, fu tale da valergli oggi
in nome di “victorian internet” 34.
James Clerk Maxwell (1831-1879)
Un caso invero curioso è quello di Maxwell, che per la portata e le conseguenze attuali del suo elettromagnetismo meriterebbe una migliore fama e conoscenza, anche
presso l’uomo della strada.
La descrizione elettromagnetica del mondo, l’unificazione tra luce, calore e onde elettromagnetiche, il coronamento e completamento dell’unificazione tra magnetismo ed
elettricità, avviata da Oersted e Ampere, i contributi alla Metrologia sono tali che dovrebbero comportare una notorietà e rinomanza dell’ordine di quella di cui sono circondati Galileo e Newton. Una recente indagine tra studenti di ingegneria ha portato, invece, alla constatazione che l’opera di Maxwell è in buona parte ignota, salvo che agli studenti di ingegneria elettronica.
Nella seconda metà dell’Ottocento, mentre i contributi di Maxwell metrologo erano
ben noti tra i colleghi europei, il suo Trattato di Elettromagnetismo non era parimenti
noto e apprezzato tra i Fisici delle altre Nazioni.
Questa resistenza era dovuta al fatto che, in particolare nella Francia di cultura cartesiana, l’approccio di Maxwell era considerato dionisiaco e la presentazione delle equazioni, senza una dimostrazione formale ma seguendo criteri di bellezza e simmetria, era
considerata un approccio assurdo e non degno di un Fisico. Il giudizio non migliorava
quando si scopriva che il Nostro scriveva poesie e traduceva in inglese i classici latini,
in particolare Orazio 35. Disturbava, inoltre, la sua profonda religiosità quando sosteneva
che, da una parte, le molecole e, dall’altra, l’accuratezza nella misurazione, la verità degli enunciati e la giustizia nell’agire, sono “costituenti essenziali dell’immagine di Colui
che all’inizio creò non solo il cielo e la terra ma anche tutti i materiali di cui cielo e
terra sono costituiti” 36.
Le sue equazioni descrivevano una realtà possibile, funzionavano, ma non erano state dimostrate. Analoghe le reazioni tra i Fisici italiani, nel senso che per alcuni decenni
le equazioni, con il loro formalismo e, soprattutto, con le loro implicazioni, non vennero
insegnate. Contraria fu l’accoglienza degli ingegneri italiani, in particolare per l’opera
di Galileo Ferraris; semplici derivazioni delle equazioni di Maxwell si trovano nel progetto di dinamo e motori.
33
Nel 1875, quando nacque l’Unione Internazionale di Telegrafia (ora UIT, Unione Internazionale delle Telecomunicazioni) con sede a Berna, si contavano non meno di 32 diverse unità di resistenza elettrica, grandezza
necessaria per il progetto delle linee telegrafiche, che in quegli anni coprirono letteralmente il mondo e attraversarono gli oceani.
34
Uno studio comparato tra lo sviluppo del telegrafo e quello di internet sarebbe pieno di sorprese, nel senso
che i fenomeni che accompagnarono questi due sviluppi, distanti di loro almeno un secolo e mezzo, sono
spesso analoghi.
35
Gli aspri critici francesi ignoravano, probabilmente, la vena poetica di Ampère e la sua ottima e vasta cultura, come quella dei fisici Biot e Savart.
36
J.Maxwell: A discorse on molecules, Philosophical Magazine, n. 46, p. 456-459, 1871.
4 - Paradigmi
61
Il mancato riconoscimento di Maxwell in Europa, che comunque avvenne nel suo
Paese37,38, è dovuto al fatto che vigeva il paradigma che richiedeva una rigorosa derivazione fisico-matematica, al limite senza esercizi o disegni a titolo di esempio39, per ogni
dimostrazione e derivazione analitica, abolendo ragionamenti di similitudini e analogie.
I passi dovevano essere: equazione di un modello fisico, sviluppo analitico e risultato.
James Prescott Joule (1818-1889)
La vicenda di Joule non ha spunti particolari, salvo la continua e impellente tensione
di misurare il rendimento di alcune semplici macchine elettriche, come gli elettromagneti 40. Noto è il suo metodo: da una parte misurare il lavoro prodotto, misurando la
massa sollevata da un elettromagnete, la corsa e il tempo, far funzionare l’elettromagnete entro un calorimetro ad acqua, valutare il rendimento dei calorimetri ad acqua,
tarati dissipando nel loro interno un lavoro noto (tramite la discesa, in un certo intervallo di tempo, di un peso che azionava un agitatore con delle palette entro l’acqua del calorimetro) e valutando, infine, l’energia elettrica consumata dalla diminuzione di peso
degli elettrodi delle pile usate per alimentare gli elettromagneti. Joule non disponeva di
amperometri, che furono inventati e resi pratici vent’anni dopo, e nemmeno di voltmetri. La sua determinazione dell’equivalente meccanico della caloria ha del meraviglioso.
Joule operava all’esterno di ambienti accademici e di ricerca e la sua opera, pur ripetutamente presentata nell’ambito di riunioni, rimase in pratica inosservata per una decina di anni, finché Maxwell, convinto sia del metodo e ancor più dall’accuratezza delle
investigazioni, agì da manlevatore, garantendo in qualche modo che Joule era una persona seria. Quindi l’“anticamera” di Joule durò una decina di anni.
Il caso di Joule si inquadra in una delle modalità viste, che vogliono che chi operi al
di fuori della comunità di pertinenza di una disciplina e sia un “dilettante” non venga riconosciuto e “ammesso”, se non abbia conseguito importanti risultati, valutati positivamente da altre comunità o da un riconosciuto “esperto” della Comunità (nella fattispecie
da Maxwell), i cui meriti e capacità fossero ampiamente noti.
Ludwig E. Boltzmann (1844-1906)
Esistono un paio di recenti libri [8, 9] del Prof. Cercignani del Politecnico di Milano, nei
quali le vicende scientifiche e umane di Boltzmann vengono considerate nell’ambito della
Fisica al giro del secolo e sono anche trattate con una simpatia personale, che Boltzmann si
merita.
Nessuno, oggi, mette in dubbio l’importanza che Boltzmann ebbe nel passaggio dalla Fisica classica a quella moderna, con nuove quantità e concetti che si affollavano,
come atomo, elettrone, entropia, meccanica statistica. Di questa opinione non erano i
Fisici ufficiali coevi, che non si spinsero oltre un apprezzamento formale per le attività
innovatrici di Boltzmann e per il suo impegno di didatta e ricercatore.
37
Nel 1871, mentre aveva 40 anni ed era già in pensione, venne chiamato a Cambridge e gli fu affidata la costituzione del Cavendish Laboratory.
Maxwell, come Galileo Ferraris, mancò a meno di 50 anni.
39
Un caso classico di questo rigore è il torinese Lagrange che osserva, nella prefazione del suo libro: “Qualcheduno avrà notato (si tratta di un testo di Meccanica Razionale) che in questo libro non ci sono disegni…”.
40
Inizialmente aveva cercato di misurare il rendimento di motori in corrente continua, costituiti da dinamo
alimentate da altre dinamo, ma le difficoltà sperimentali lo costrinsero a ripiegare sugli elettromagneti.
38
62
Quaderno n. 4 - GMEE
Di questo mancato riconoscimento si fece un cruccio il fisico austriaco, che invece
era ben cosciente della portata delle sue idee e metodi, e questo lo portò a isolarsi sempre più e, forse, contribuì alla tragica decisione di togliersi la vita durante una vacanza a
Duino, vicino a Trieste, nel 1906.
Nel caso di Boltzmann, ci troviamo ancora dinanzi a un conflitto tra modi diversi di
concepire la Fisica, con la maggioranza dei Fisici non ancora pronta ad accettare
l’esistenza dell’atomo, usato al più come interessante modello, mentre egli vi credeva
fortemente e ne percepiva non solo la presenza: nel suo spirito si imponevano le nuove
relazioni tra atomi, temperatura, energia, statistica, probabilità, tutti concetti e quantità
che non esistevano ancora nei paradigmi della maggioranza dei fisici suoi contemporanei.
Alfred Wegener (1880-1930)
Wegener era un rispettato meteorologo tedesco che, negli anni ’20, cominciò a far
circolare la sua idea di una pangea, un unico continente primordiale 41 dal quale si erano
staccate delle zolle che, galleggiando sugli strati pastosi, ma sempre liquidi, esistenti
nell’interno della Terra, avevano cominciato a migrare come macro zolle continentali.
Wegener si basava sulla conformazione dei continenti, con la parte meridionale del
continente americano che si adatta nel golfo di Guinea e con la continuità della litologia
e delle conformazioni rocciose sulle due zolle, ora separate da oceani, con l’esistenza di
reperti di carattere botanico (miniere di carbone) in zone artiche, ecc. L’ipotesi, che
spiegava anche i corrugamenti della crosta (cioè le montagne) e i fenomeni vulcanici,
venne rigettata per una trentina d’anni 42, mentre si chiedevano delle verifiche sperimentali, poi giunte in abbondanza in paleoclimatologia, geofisica e geologia.
La deriva dei continenti, oggi, non è solo accettata ma oggetto di verifiche sperimentali e di misurazioni che danno il vettore velocità relativa di una zolla continentale rispetto a un’altra, con risoluzione angolare di qualche grado per la direzione e con incertezza di qualche millimetro all’anno per il modulo. Non solo: nel punto di unione, sotto
il mare, tra due zolle che si allontanano compare lava in ebollizione.
La velocità relativa dei continenti è misurata da trent’anni con mezzi radioelettrici,
impiegando quattro metodologie diverse, ma tutte basate su orologi atomici. Inizialmente si usarono determinazioni della posizione di punti a terra, con un metodo basato sull’intersezione di tre o più iperboloidi, individuati da posizioni successive dei satelliti
americani TRANSIT o TSIKADA russi, in orbita polare. L’incertezza era di 4-5 centimetri. Si usarono, poi, altri due metodi: uno di un localizzazione sferica 43, basato su sa41
La Pangea era costituita da masse praticamente granitiche (Sial: Silicio-Alluminio) che galleggiavano su un
involucro basaltico (Sima: Silicio-Magnesio). L’unica massa iniziale si era disgregata e i frammenti avevano
cominciato a migrare.
42
Ad esempio, il suo testo fondamentale Die Enstebung der Continente und Ozeane del 1915 venne tradotto
in italiano come “La formazione dei continenti e degli oceani” solo nel 1964.
43
Le coordinate del punto sono ottenute come l’intersezione di tre sfere aventi il centro nel baricentro istantaneo di un satellite e raggio determinato come tempo di propagazione di un segnale di tempo tra un orologio
atomico posto sul satellite e un altro orologio posto a Terra. Nella realizzazione sperimentale, ormai diffusissima (alcuni milioni di ricevitori all’anno), per evitare di dotare ogni ricevitore di un orologio atomico e di
adeguati sistemi di sincronizzazione si usano quattro satelliti, che devono essere tutti visibili dal ricevitore.
Con un semplicissimo algoritmo (il teorema di Pitagora) ma con una complicatissima tecnica elettronica (oggi
disponibile in un chip) si sincronizza un orologio piezoelettrico, che può essere di infima qualità, contenuto
entro il ricevitore, in modo da misurare il tempo di propagazione. Gli orologi di tutti i satelliti devono essere
mantenuti sincronizzati tra loro, con scarti dell’ordine di pochi nanosecondi.
4 - Paradigmi
63
telliti tipo GPS, e l’altro interferometrico 44, basato sui segnali di radiostelle, con incertezze residue del centimetro. Il quarto metodo richiede la disponibilità di speciali satelliti 45, muniti di retroriflettori, interrogati da Terra da stazioni laser poste in punti stabili.
In questo caso la risoluzione nella velocità dei continenti scende al millimetro all’anno.
Wegener morì incidentalmente nel 1930, durante la sua terza attraversata con gli sci
della Groenlandia, ove si era recato per raccogliere dati meteorologici; il suo corpo fu
ritrovato nel 1931.
Il caso di Wegener è imputabile alla difficile intercomunicabilità tra comunità scientifiche diverse e a diffidenze reciproche, quindi al fatto che un meteorologo osasse pronunciarsi su problemi di orogenesi e di geofisica: cosa volete che ne capisca uno che ha,
per definizione, la testa nelle nuvole?
Giovanni Giorgi (1871-1950)
Giovanni Giorgi era un giovane ingegnere elettrotecnico di Roma quando iniziò una
critica sistematica al sistema di misura cgs (centimetro-grammo-secondo), sostenendone
non l’impossibilità, ma la macchinosità e le numerose incongruenze che i due sistemi
cgs in vigore, quello elettrostatico e quello numerico, comportavano nell’Elettrotecnica.
Giorgi propose sino dal 1897, anche in sede internazionale, il ritorno alle unità del
sistema metrico decimale, metro-kilogrammo-secondo, con l’inserimento di una quarta
grandezza fondamentale di tipo elettrico (non importava quale) e usando come punto di
unione tra i due mondi, quello meccanico e quello elettrico, il concetto e la misurazione di una potenza o di un lavoro. La potenza generata o assorbita in un processo doveva essere la stessa, usando unità elettriche o meccaniche.
L’opposizione alla proposta fu vivacissima, in particolare in Inghilterra, e durò in
pratica mezzo secolo, sino all’adozione della proposta di Giorgi, nel 1938, da parte della
International Electrotechnical Commission e, nel 1950, da parte della Conferenza Generale dei Pesi e delle Misure.
Su questa vicenda esiste un’ampia e recente documentazione, con gli Atti di un convegno del 1988, tenuto presso il Politecnico di Torino e organizzato da C. Egidi [10],
una nota [11], gli Atti di un convegno organizzato presso l’Istituto della Enciclopedia
italiana da Salvo d’Agostino e Arcangelo Rossi, nel 2001, sulla “Figura di Giovanni
Giorgi Ingegnere e Scienziato” e gli Atti di un convegno [12] organizzato da L. Callegaro presso l’Istituto Elettrotecnico Nazionale, nel 2001.
Nel caso di Giorgi, si tratta prevalentemente di un problema di resistenze mentali e,
in particolare, della difficoltà di abbandonare un paradigma, che era onusto di glorie,
dalla fisica dell’universo alla motrice a vapore, ma voleva che per interpretare e modellizzare qualsiasi fenomeno, compreso l’elettromagnetismo applicato, fosse sufficiente la
sola descrizione meccanica.
44
Il metodo, chiamato VLBI, Very Large Base Interpherometry, si basa sulla misura, in due punti fissi a Terra, della differenza tra i tempi di arrivo di uno stesso impulso del rumore radioelettrico proveniente dalla radiostella. Sono necessari orologi atomici, con stabilità dell’ordine di 10-15/ ora.
45
I satelliti sono di tipo passivo, di forma sferica e costellati di catadiottri (da decine a centinaia), che riflettono l’impulso luminoso ricevuto nella direzione di provenienza. Con un orologio atomico si determina il tempo
totale di volo e, di conseguenza, la distanza satellite-stazione. Satelliti di questo tipo sono il francese STARLETTE, con 22 cm di diametro, e circa 40 retroriflettori, o il LAGEOS2 (LAser GEOdetic Satellite, costruito
a Torino, con un diametro alquanto inferiore a mezzo metro, massa di circa 400 kg e costellato da 428 retroriflettori).
64
Quaderno n. 4 - GMEE
Louis Essen (1908-1997)
Louis Essen era un brillante fisico inglese sperimentale, che svolse tutta la sua attività di ricerca presso il National Physical Laboratory, il laboratorio metrologico inglese.
A lui è dovuta la misura della velocità della luce, effettuata con metodi radioelettrici
(frequenza di risonanza di cavità e interferometria in microonda); il valore numerico da
lui trovato si è oggi trasformato in una costante fondamentale.
Infatti c = 299 792 458,000… m/s è divenuto nel 1983 una costante fondamentale 46.
Essen, poi, costruì il primo orologio atomico, basato su una risonanza dell’atomo di
cesio e, in particolare, sulla differenza di energia tra due determinati livelli iperfini del
Cesio 133. Essen riuscì, con una serie di brillanti esperimenti, a determinare la frequenza di 9 192 631 770 Hz, esprimendo con dieci cifre la frequenza dell’onda elettromagnetica irradiata. Essen, d’altra parte, pur rispettando le conclusioni della Relatività Generale, riteneva superfluo scomodare la relatività ristretta per numerosi fenomeni della
Fisica, come l’effetto Sagnac o il paradosso dei gemelli. Questa posizione, che alcuni
fisici contemporanei condividono, era conclamata a viva voce da Essen, che venne formalmente redarguito dalla Royal Society e, soprattutto, dal suo Ente, sulla cui pagina 47
si legge testualmente: “He retired in 1972 after being quietly warned not to continue
contradiction of Einstein’s law of relativity”
Nel caso di Essen non bastarono i risultati scientifici e i riconoscimenti internazionali; aveva messo in dubbio una teoria universalmente accettata e, quindi, era in errore.
Il caso dei nuovi strumenti
Anche per la nascita di nuovi strumenti è opportuna, se non necessaria, l’esistenza di
un paradigma. Notevole è il caso, già visto in una nota, del barometro e del termometro.
I due strumenti:
ƒ
sono nati nella stessa città (Firenze),
ƒ
sono comparsi insieme (circa nel 1650 -1660),
ƒ
furono costruiti, usati e descritti dallo stesso gruppo di persone (Borelli, Torricelli, Viviani, gli ultimi collaboratori di Galilei),
ƒ
furono materialmente “soffiati” dallo stesso vetraio (opportunamente soprannominato “il gonfia”).
Il Barometro fu compreso e usato subito correttamente. Il paradigma fu offerto da
Torricelli: lo strumento misura il peso dell’aria sul fondo del grande oceano d’aria nel
quale viviamo; se andiamo in montagna, la colonnina deve scendere.
Per il Termometro non esisteva un paradigma al quale riferirsi e fu necessario almeno un quarto di millennio per comprendere appieno il significato delle sue indicazioni, con la morte del calorico, descritto come un fluido impalpabile e presente in certi
testi di Fisica per Istituti Superiori sino al 1920.
In numerosi casi, non tanto per l’ideazione e la formulazione di nuove leggi fisiche
ma per il terzo ruolo, l’ affermazione di una legge o di un principio, essenziale è il contributo degli strumenti, perché solo loro:
46
Non sembri una pignoleria da metrologhi, ma la assunzione di c a costante fondamentale comporta che c sia
un valore “esatto” e quindi si debba pensare che a destra della virgola il numero degli zeri sia infinito.
http://www.npl.co.uk/about/famous_names/louis_essen.html
47
4 - Paradigmi
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
ƒ
65
consentono di ideare un modello del fenomeno,
aiutano a ideare metodi di verifica,
consentono di progettare strumenti, dei quali aiutano a redigere il bilancio degli
errori,
permettono di convalidare nuove teorie, mettendo in evidenza effetti collaterali, facendo scoprire altri fenomeni,
cambiano di ruolo, seguendo gli sviluppi o le necessità della Fisica 48.
Ringraziamenti
Questo articolo è stato pubblicato sul “Giornale di Fisica”, pubblicazione della Società Italiana di Fisica (SIF). L’editore ringrazia la SIF e, in particolare, Carmen Vasini,
che ha aiutato a realizzare l’iniziativa di divulgazione del testo tra le aziende tramite la
rivista “Tutto_Misure”, per avere autorizzato la ristampa.
Riferimenti bibliografici
[1] Popper K.R.: The Logic of Scientific Discovery, Hutchinson, London, 1959 e
Scienza e Filosofia, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1991. Questo libro del Popper è del
1969.
[2] Kuhn T.S.: The Structure of Scientific Revolutions, University of Chicago Press,
Chicago, 1977; questo libro è disponibile anche in italiano (La struttura delle rivoluzioni
scientifiche, Einaudi, Torino, 1969).
[3] Kuhn T.S.: The Copernican Revolution, Harvard University Press, Cambridge,
1957; il libro è disponibile in italiano (La rivoluzione Copernicana, Einaudi, Torino,
1972).
[4] Kuhn T.S.: The essential tension, University of Chicago Press, Chicago, 1977.
[5] Kuhn T.S., Layton J.T. e Weinga P.: The Dynamics of Science and Technology,
Reidel, Dordrecht, 1978.
[6] Casti J. L.: Paradigms lost, Avon Books, New York, 1989.
[7[ Feldenkirchen W.: Werner von Siemens, Ohio State University Press. Columbus,
1994.
[8] Cercignani C.: Ludwig Boltzmann, the Man who Trusted Atoms, Oxford University Press, Oxford, 1998.
[9] Cercignani C.: Ludwig Boltzmann e la Meccanica Statistica, La Goliardica, Pavia, 1999.
[10] Egidi C. (a cura di): Atti del convegno “Giovanni Giorgi and his contribution to
Electrical Metrology, Politecnico di Torino, 1988.
[11] Leschiutta S.: Giovanni Giorgi metrologo nel dibattito metrologico internazionale. Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2005, da pag. 371 a pag. 386 degli Atti di un
convegno organizzato su Giorgi da quell’Istituto.
[12] Callegaro L. (a cura di): 1901-2002 – Giovanni Giorgi: Verso l’Elettrotecnica Moderna, Clut, Torino, 2003.
48
La misurazione della velocità del suono è un interessante caso; dopo la misura di una proprietà della Fisica,
è stato necessario un “attrezzo” per capire la differenza tra i calori specifici a volume costante e a pressione
costante; ora la misurazione viene usata per la determinazione di R, la costante dei gas.
66
Quaderno n. 4 - GMEE
L’uso della rana come rivelatore elettrico ed elettromagnetico
Ecatombe di rane
In Europa ci fu una vera ecatombe di rane, per scopi non culinari ma scientifici, per
oltre un secolo, dal 1780 sino verso il 1920, quando si verificarono gli ultimi usi documentati di rane come rivelatori di grandezze elettriche.
Ecatombi per scopi culinari si svolgono ancora imperterrite, al punto che si trovano
sacchetti di rane preparate e surgelate nel supermercati. SILE, memore degli alti ruoli
avuti dalla rana per la nascita dell’elettricismo, si è sempre rifiutato di cibarsene.
Una rana, di fresco preparata, come raccomandava Alessandro Volta, è infatti un rivelatore di cariche elettriche e di campi sia elettrici sia elettromagnetici di spettacolosa
sensibilità. Questa nota, a cavallo tra fisiologia, elettrotecnica e radiotecnica, coprirà
due punti: quale è la sensibilità media di una rana, espressa in microcoulomb o in nanojoules; un uso documentato della rana come rivelatore di segnali elettromagnetici, nella
fattispecie i segnali di tempo campione emessi dalla stazione inglese a onda miriametrica GBR, a 16 kHz 49, posta a Rugby e da un radiotrasmettitore francese la cui antenna
faceva capo alla cima delle Torre Eiffel.
Preparare la rana
Per la preparazione della rana, sarebbe d’obbligo ricorrere a Luigi Galvani e Alessandro Volta, ma non si vuole turbare verdi e animalisti, ghiotti magari di risotto alle
rane. Esiste comunque una tecnica, tuttora ampiamente usata in fisiologia, che consente
di preparare una rana agli usi elettrici, senza farla (troppo) soffrire.
La rana viene preferita ad altri animali, per la facile reperibilità, il costo ridottissimo
e il fatto che, essendo un animale a sangue freddo, resta a lungo reattiva, pur essendo
clinicamente morta.
La sensibilità della rana, chiamando in questo modo la manifestazione di contrazioni
percepibili, diminuisce con il tempo trascorso dalla morte dell’animale e con il numero
di eccitazioni, ma comunque è possibile effettuare esperimenti su di essa per alcune ore.
Ecco perché Volta raccomanda che la rana sia “di fresco preparata”.
Sensibilità della rana
Per valutare la sensibilità della rana, come rivelatore di cariche elettriche, si possono
seguire due strade: una sperimentale, scaricando un condensatore di capacità nota e caricato a una certa tensione e verificando le contrazioni indotte; l’altra di carattere elettrofisiologico. Altra variabile importante sono i “morsetti di entrata”, cioè i punti attraverso i quali si fa passare la corrente o si applica la scarica, in particolare se attraverso
un nervo o un muscolo. I valori indicati non dipendono tanto dalle dimensioni e dal tipo
di animale, perché l’ordine di grandezza è lo stesso sia in un uomo, in una cavia o nel
nostro batrace, dato che dipende dalla fisiologia della cellula.
Per ottenere contrazioni notevoli, una corrente dell’ordine di circa 10-20 mA deve
essere applicata per 100-300 μs, su un tronco nervoso, il che comporta trasferire una carica dell’ordine di 200 picocoulomb (simbolo pC). Se la carica è iniettata, invece, su una
fibra muscolosa, sono necessari 1-2 μC; tutti i lettori di questo quaderno sanno che una
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Questi segnali sono tuttora emessi, alle ore 00, 03, 06, ecc. di Tempo Universale. L’intensità di campo a
Torino, misurata da SILE usando un’antenna a telaio campione, è ragguardevole, dell’ordine di 1,2 mV/m.
4 - Paradigmi
67
carica di 200 pC è quella immagazzinata in un condensatore da 100 pF caricato con una
tensione di un paio di volt.
Il confronto della sensibilità della rana rispetto a quella degli strumenti misuratori di
corrente preoccupò gli elettricisti-fisiologi alla fine della prima metà dell’Ottocento. In
particolare Carlo Matteucci, un bravo fisico risorgimentale, molto stimato da Faraday,
istituì un confronto sistematico tra i due rivelatori, la rana e il galvanometro astatico del
Nobili, quello che fu usato a Milano dal prof. Magrini, nel 1844, per validare la legge di
Ohm.
La rana in radiotecnica
Per usare la rana come rivelatore in radioricevitori per segnali telegrafici, vennero
compiuti esperimenti in Inghilterra e in Francia, debitamente descritti in letteratura, in
particolare in un libro 50 comparso nel 1980.
La sensibilità della rana, come per gli altri tipi di rivelatori usati nei primi due decenni della radiotecnica, veniva data come l’energia necessaria all’animale per rilevare
un punto del codice Morse. Usando questo criterio di misura, per i dispositivi usati sino
agli anni trenta, in letteratura si trovano i seguenti valori:
Tipo di rivelatore
Coesore di Calzecchi-Onesti e varianti
Elettrochimico-elettrolitico
Rana
Silicio
Rivelatore con isteresi magnetica (Marconi)
Barretta (bolometro con filo caldo)
Carborundum
“Sensibilità”
Energia/ punto (codice morse)
circa 20 nJ
da 40 a 300 nJ
attorno 100 nJ
da 40 a 400 pJ
circa 10 nJ
circa 10 nJ
da 900 pJ a 15 nJ
I valori in tabella siano valutati unicamente come indicativi, perché frutto di conversioni e di valutazioni comparative; essi, comunque, rispecchiano la situazione di un secolo or sono.
50
V.J. Phillips: Early Radio Wave Detectors, Peter Peregrinus Ltd Stevenhave, UK. Il libro appartiene alla
serie History of Technology, promossa dalla Institution of Electrical Engineers inglese.
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Quaderno n. 4 - GMEE
Elettrotecnica, Elettronica e Telecomunicazioni:
breve storia dello sviluppo a Torino
Condizioni per lo sviluppo
Un armonioso sviluppo di una scienza e di una tecnologia, specie se “nuove” o semplicemente non ancora esistenti in un luogo, comporta la necessaria presenza e sinergia
di numerose componenti: uno stimolo “esterno”, interessi industriali, disponibilità di
manodopera esperta o almeno volonterosa, disponibilità di energia, condizioni favorevoli di mercato, laboratori qualificati per ricerche e prove, sistema scolastico adeguato e
flessibile, intese e accordi tra le varie componenti di una società tendenti a un unico fine
e, quindi, una presenza o imposizione di pace sociale. Altra condizione necessaria è
l’esistenza di una classe politica illuminata.
Ove queste condizioni non sussistano o non vengano perseguite, le cose non funzionano. Le storie della tecnologia e dello sviluppo, anche sociale, sono piene di fallimenti:
è inutile importare una nuova tecnologia, che funziona benissimo altrove, ove non esista
in sede un coacervo di disponibilità e, soprattutto, non siano disponibili uomini capaci e
responsabili nei vari settori, pienamente convinti di dover cooperare.
Questo insieme di condizioni si verificò a Torino, in alcune occasioni e segnatamente per la meccanica, l’elettrotecnica, l’elettronica e le telecomunicazioni.
Le tre parole elettriche
Definiamo innanzi tutto, ed è forse opportuno, le tre parole “elettriche”.
L’Elettrotecnica raccoglie in sé tutte le innumerevoli applicazioni dell’Elettricità,
condotta e costretta a operare da un filo elettrico. Il motorino d’avviamento di
un’automobile, un phon, una lavastoviglie, l’apriporta, una lampadina, un tramway o la
locomotiva di un elettrotreno sono tutte applicazioni dell’elettrotecnica, progettate da
ingegneri elettrotecnici che devono disporre di adeguati laboratori, completi di sistemi
di misura.
In molte altre applicazioni, come un calcolatore elettronico, il registratore magnetico, un videocitofono o l’amplificatore ad alta fedeltà, gli elettroni, le cariche elementari
dell’elettricità non fluiscono lungo dei fili ma si propagano entro un materiale, il semiconduttore, o lo spazio vuoto di taluni dispositivi, come le vecchie valvole o i tubi che
equipaggiavano un calcolatore o un televisore. Abbiamo ora l’elettronica e qui per il
progetto sono necessari gli ingegneri elettronici.
Nelle telecomunicazioni la grandezza che viaggia non è l’energia elettrica, o gli elettroni, ma direttamente un’informazione, di qualunque tipo: un suono, un numero, un orogramma di calcolo, una immagine. Il passaggio è sottile ma ha conseguenze e applicazioni rivoluzionarie: il cosiddetto “telefonino”, il telefax, il commercio elettronico con
le carte di credito, internet, sono tutte applicazioni delle telecomunicazioni e dell’informatica.
Naturalmente non esistono separazioni nette, perché molti oggetti, che troviamo nella vita quotidiana, sono a un tempo elettromeccanici, elettronici e informatici. Un primo
esempio: i moderni frigoriferi domestici, per fare freddo, hanno bisogno di motori elettrici; le nozioni di temperatura, l’umidità e il peso, la quantità e qualità di talune derrate
4 - Paradigmi
69
si basano su sensori elettronici o lettori di etichette (i codici a barre, che vediamo nei
supermercati) e la macchina può essere collegata a un deposito per i necessari rifornimenti. Altro esempio è quello dei distributori di carburante, con motori che pompano il
fluido, calcolatori per ricavare il costo, un lettore di carte magnetiche e una connessione
informatica di telecomunicazioni con il gestore dell’impianto o con una banca posta in
un altro luogo.
Sono stati sviluppati questi due esempi per far capire: la pervasività delle applicazioni dell’elettricità; la varietà delle tecnologie coinvolte e, quindi, delle competenze
necessarie; l’imprescindibile disponibilità di centri di ricerca e di un sistema scolastico
flessibile e aggiornato nonché di persone di riconosciute competenze e onestà.
Non guasta l’incombenza di un problema comune da risolvere, intorno al quale si
crei una “cospirazione” di intenti.
La “cospirazione” a Torino
Esempio “elettrotecnico” torinese: l’esperto di fama mondiale è Galileo Ferraris; il
periodo è 1870-1910; lo stimolo comune era come superare il trauma della perdita del
ruolo di capitale; la scuola d’elettrotecnica e il laboratorio erano presso il Regio Museo
Industriale. Esistevano due percezioni diffuse: la disponibilità d’energia, necessaria per
favorire lo sviluppo industriale, orientata verso fonti d’energia “piccole” e modulabili
per azionare la piccola macchina utensile dell’artigiano (la fabbrica comprava una motrice a vapore o si trasferiva allo sbocco delle valli alpine, per cercare energia idraulica).
Altro problema da risolvere era l’illuminazione della città: per fortuna esistevano sindaci illuminati e una certa disponibilità economica lasciata alla città dal governo come indennizzo, poiché si trasferiva con tutti gli impiegati statali.
Non era tutto rose e concordia: furono commessi degli errori (il canale fallito della
Ceronda, la pazzia di sollevare con pompe a vapore l’acqua del Po per alimentare i canali, la scelta dei tram alimentati con accumulatori, nonostante gli avvertimenti del Ferraris, assessore comunale…), ma esisteva una cospirazione generale e una volontà di
voler risolvere i problemi.
Un secondo esempio, con l’elettrotecnica ormai adulta e l’elettronica che nasce.
L’esperto, in questo caso, è Giancarlo Vallauri e lo stimolo era la nascita e l’affermarsi
delle applicazioni chiamate delle correnti deboli, come la telefonia a distanza, la radiotecnica, la radiofonia che diventa un fatto sociale, le radiocomunicazioni e i primi strumenti elettronici. Gli anni sono il periodo 1930-1960; gli Istituti di ricerca sono
l’Istituto Elettrotecnico Nazionale (IEN) Galileo Ferraris, che nasce nel 1934, e il Centro di Ricerca della RAI, nato attorno al 1950. Gli insegnamenti specializzati erano offerti dai corsi di perfezionamento svolti dal Politecnico e dall’IEN, seguiti sino al 1980
da tutti i tecnici delle società telefoniche italiane.
Le risorse erano assicurate, nel periodo prebellico, da una tassa di un centesimo di lira per ogni kilowattora d’energia elettrica consumata; le sinergie tra la varie componenti, accademica, industriale e istituzionale, erano assicurate dal Vallauri, che fu a un tempo presidente dell’EIAR-Ente Italiano Audizioni Radiofoniche, presidente della SIPSocietà Idroelettrica Piemonte, presidente dell’IEN e, per un certo periodo, presidente
del Consiglio Nazionale delle Ricerche, nonché Ammiraglio della Marina e Direttore
del Politecnico.
70
Quaderno n. 4 - GMEE
Vallauri, tra l’altro, riuscì a raccogliere a Torino, presso il Politecnico e l’IEN, i migliori ricercatori elettrici italiani del momento, come Fubini (che poi divenne vicepresidente dell’IBM e consigliere scientifico di Kennedy), Sacerdote (un mago dell’Acustica), Pestarini (l’inventore della “metadinamo”, una macchina per la trazione elettrica,
tuttora usata nella metropolitana di Londra) e tanti altri. I tempi consentivano, infatti, di
chiamare e attirare i talenti disponibili e trattenerli con contratti a termine di breve durata, che venivano rinegoziati alla scadenza, anche dopo solo tre mesi. Una prassi del genere sarebbe oggi inconcepibile.
Un esempio, infine, per telecomunicazioni e informatica. In questo caso si possono fare solo due nomi, perché molti protagonisti sono tuttora attivi. I nomi sono quelli di
Mario Boella e Rinaldo Sartori, entrambi professori del Politecnico e attivi presso
l’IEN, dal quale Sartori fu Direttore e Presidente. Boella curò l’elettromagnetismo sia
come disciplina sia come applicazioni; Sartori l’impostazione teorica dell’informatica e
la disciplina dei calcolatori.
Le sfide di questo periodo, che va dal 1960 alla fine del secolo scorso, sono numerose: da una parte, lo sviluppo del radar, della televisione e del calcolatore elettronico;
dall’altra, la nascita dei semiconduttori e della microelettronica, con i circuiti integrati e
le applicazioni di massa dell’elettronica. Una delle forme d’azione degli Enti di ricerca
torinesi e del Politecnico è stata quella di supporto scientifico a Ditte impegnate nei calcolatori elettronici, come la Olivetti.
Alcune applicazioni lasciarono Torino nell’immediato dopoguerra, come la telefonia, che si trasferì a Roma, come fondazione Bordoni: con essa se ne andò una forma
automatica di finanziamento delle ricerche telefoniche, legata al numero delle telefonate
fatte in Italia.
Al Politecnico rimase il compito di inventare e praticare profili formativi innovativi
per i nuovi tipi d’ingegneri informatici e delle telecomunicazioni creando, in alcuni casi,
percorsi interdisciplinari.
Alcune forme della cultura “elettrica” rimasero affidate all’IEN e a un nuovo laboratorio di ricerca, lo CSELT, il Centro Studi ed Esperienze per le Telecomunicazioni;
l’IEN, nel nuovo contesto, non poteva coprire tutte le discipline elettriche, come avveniva attorno alla metà del secolo, e fu costretto a presidiare alcune aree, come le misure
elettriche e i materiali speciali per l’Elettrotecnica; anche il Centro di Ricerche della
RAI ha visto ridimensionate le sue attività.
Oggi e domani in Torino
Alla fine del secolo, la situazione è ancora cambiata e forse più difficile, perché
CSELT, Centro Ricerche RAI e Olivetti hanno mutato struttura e compiti.
Una possibile risposta viene dall’acuta e diffusa consapevolezza che il declino della
città di Torino, non più sostenuta da attività manifatturiere di massa e ormai inserita in
un momento di forte competizione scientifica e tecnologica su scala globale, non possa
essere contrastato senza una forte innovazione scientifica e tecnologica, come invece
avvenne nel 1870 quando il Municipio di Torino comprava negli Stati Uniti la moderna
strumentazione elettrica da usare nel laboratorio di Galileo Ferraris per creare “buoni”
ingegneri elettrotecnici.
In questa linea stanno nascendo, con il concorso del Politecnico di Torino e delle
Fondazioni bancarie cittadine e con il sostegno del Governo Nazionale e Regionale, ini-
4 - Paradigmi
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ziative di stimolo, come Torino International, l’Istituto Superiore Mario Boella e
l’Internazional Communication Technology. Altra forma di rilancio e d’ammodernamento scientifico, perseguita da IEN e Politecnico, consiste nella partecipazione a gare
comunitarie, molto competitive ma altrettanto qualificanti, in particolare nel settore spaziale.
Dal dicembre 2003 l’Istituto Boella
ha sede nelle ex Tornerie ferroviarie di Torino
ristrutturate, con una superficie di 4000 m²
destinata a laboratori e uffici.
Il Governo, infine, ha voluto unificare, nell’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica (INRIM), l’IEN e l’Istituto di Metrologia “G. Colonnetti” del CNR, entrambi già con
sede (confinante) in Torino: è un atto di grande interesse nazionale e un’opportunità di
crescita che non deve andare perduta.
72
Quaderno n. 4 - GMEE
La nascita difficile delle misure elettriche
È nozione comune che, quando nasce una Scienza (e così avvenne anche per
l’Elettricità, tra fine ’700 e inizio ’800), le Misure sono necessarie per sceverare la teoria che consentirà comprensione e applicazioni tra tutte le varie teorie concorrenti. Il
passo è difficile, complicato e oscuro, in particolare quando non si conosca ancora cosa
e perché misurare, pur sapendo che c’è certamente qualche cosa da scoprire.
Esiste, nella storia delle misure, un interessante esempio: quello del termometro, il
cui travaglio fu doloroso e durò due secoli e mezzo. Gli elettricisti non devono troppo
lamentarsi, perché l’analogo travaglio (cosa misurasse l’elettrometro) durò solo un secolo.
Quando si scopre un nuovo strumento o una nuova grandezza, le cose vanno subito
bene se esiste un paradigma ideale, una serie di regole nel quale incasellare le misure.
Altrimenti sono dolori.
Consideriamo allora due strumenti, barometro e termometro, nati negli stessi anni,
attorno al 1650, nella stessa città, Firenze, ad opera delle stesse persone, gli accademici
del Cimento.
Il primo venne usato subito con profitto. Torricelli fornì il paradigma d’uso: lo strumento misura il peso dell’aria in fondo al grande oceano dell’atmosfera. Il barometro
fece scalpore e pose problemi filosofici non indifferenti, come l’horror vacui (l’orrore
del vuoto), ma fu usato subito correttamente. Esso, ad esempio, spiegò la massima quota
alla quale una pompa meccanica a pistone potesse sollevare l’aria.
Diversa la vicenda dell’altro strumento coevo: cosa misurasse il “termometro” fiorentino non era noto e ci vollero praticamente due secoli e mezzo per capire le due facce
del “calorico”, temperatura e quantità di calore. All’inizio di questo secolo, duecentocinquant’anni dopo l’invenzione dello strumento, testi universitari dribblavano il problema, seguitando a parlare del calorico, come di un fluido…
Mancava un paradigma. Del tutto eguale il caso dell’elettrometro, usato praticamente per oltre un secolo, a volte anche con successo, senza mai capire o sapere che cosa
misurasse. Le indicazioni dello strumento, basate sulla forza di repulsione tra due corpi
carichi, erano legate, come oggi sappiamo, all’effetto congiunto di carica, capacità, tensione, massa, sotto l’impero assoluto dell’igrometria dell’aria nella stanza ove si operava. All’epoca si operava solo con l’elettrostatica…
Chi riassunse bene la situazione fu l’abate Nollet, detto l’elettricista dei Re, che insegnò per un anno a Torino ed espresse chiaramente la necessità di uno strumento “elettrico” e di capire cosa misurasse.
Così scrive, nel suo libro “Lezioni di Fisica Sperimentale”, pubblicato a Venezia nel
1772: “Ben sarebbe da desiderarsi, che avessimo qualche altro strumento, non solamente a indicarci se un corpo sia elettrico, ma quanto sia più di un altro, o più di quel
che sia stato egli stesso in un altro tempo, o in circostanze differenti; questo sarebbe
veramente l’Eletrometro (sic), che cerchiamo da molto tempo, e che taluni si sono lusingati di averlo trovato, ma che niun possiede, per dire le cose come sono. Quanto ci
hanno messo in vista per misurare l’Elettricità, non vale meglio dei due capi di filo, che
si lasciano pendere…”.
4 - Paradigmi
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I perché delle parole tecniche
Perché la permeabilità si chiama permeabilità? E perché il condensatore si chiama
condensatore? E perché il morsetto dipinto di rosso di una pila si chiama positivo?
Nel linguaggio tecnico di tutti i giorni, adoperiamo, per individuare concetti o
proprietà ben definite, parole delle quali ci siamo dimenticati le origini e, a volte, il
significato e i motivi che le hanno fatte scegliere. Vediamone alcune.
Cominciano con l’indiscusso padre della terminologia scientifica e tecnica italiana:
Galileo Galilei. Si potrà obbiettare che Galileo non conoscesse i fenomeni elettrici, ma
egli ben conosceva quelli magnetici, anzi, almeno in parte, ci campava. Si trattava di
una delle sue fonti di entrata: infatti, oltre a vendere il compasso geometrico-militare ai
suoi allievi (una specie di regolo analogico per calcolare proporzioni e densità), Galileo
smerciava a caro prezzo calamite naturali (pezzi di magnetite che faceva arrivare dalla
Germania), da lui preparate in modo da rendere maggiori la forza di attrazione e, soprattutto, la capacità di sostenere pesi o se stesse. Questo era ottenuto mediante una scarpa
metallica, che circondava parte del minerale (riconosciamo le scarpe polari, che individuano i magneti induttori o indotti nelle macchine elettriche). L’insieme delle scarpe,
delle quali veniva provvista la calamita, era da lui chiamato l’armatura, perché armavano e rendevano più forte l’azione della calamita. La calamita, così armata, si sospendeva
a una sbarra metallica, chiamata da Galileo, appunto ancoretta o ancora. Galileo è tutto
contento di questo nome e lo scrive ad amici e conoscenti, perché è all’ancora che una
nave si attacca. Quindi le tre parole, scarpa polare, armatura, ancoretta, sono state inventate a Padova, da Galileo.
I miei bambini, quando avevano tre anni, e con loro tutti i bambini di quella età avevano già una solida familiarità del concetto di polarità di una pila e mai che sbagliassero
il verso di inserimento nei giocattoli. Anche noi stiamo attenti a non invertire una pila.
Ma quale è l’origine delle parole “positivo”, “negativo”, “più” e “meno”?
Questa volte dobbiamo attraversare l’Atlantico e recarci a Filadelfia dove, attorno al
1745, Beniamino Franklin elabora le sue teorie elettriche. Uno o due fluidi? Il discorso è
un po’ lungo, ma lo faremo un’altra volta.
Per spiegare la parola permeabilità si deve ricorrere a Pascal e alle sue teorie magnetiche. Numerosi, e non da poco, i quesiti che la Fisica dovette affrontare dal 1200 al
1650; mettiamoli in tabella:
• Perché, se si spezza una calamita, nascono nuovi poli e si formano nuove calamite?
• Perché, allineando due calamite, a volte si attraggono e a volte si respingono?
• Perché, in questi casi, le calamite tendono a ruotare con grande violenza nel piano
che le sostiene?
• Perché, lasciando fermo, orizzontale e orientato per il meridiano locale un pezzo di
ferro, esso si magnetizza?
• Perché un pezzo di ferro, tenuto verticalmente e percosso con energia, si magnetizza?
• Perché andando a Nord, l’ago della bussola progressivamente si inclina verso quel
punto cardinale?
• Perché certi materiali, come il ferro, sono più permeabili del legno?
A molti di questi quesiti rispose Pietro Peregrino, mentre combatteva gli arabi in
Puglia, nel lungo assedio di Lucera, iniziato nel 1267; ad altri si dedicò William Gilbert,
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Quaderno n. 4 - GMEE
il medico della Regina Elisabetta, nell’anno 1600, nel suo libro “De Magnete”; ai quesiti più sottili rivolsero la loro attenzione Pascal e Cartesio.
Secondo la loro teoria, quello che noi chiamiamo campo magnetico è un fluido “sottilissimo”, impalpabile, capace di penetrare i pori, di scorrere in fessure, anch’esse “sottilissime” e invisibili, chiamate latinamente meati, dei quali tutti i corpi, chi più chi meno, sono dotati. Questo fluido entra in un corpo e vi scorre dentro attraverso i meati, in
latino per meata, e da qui la maggiore o minore proprietà che ha un corpo di lasciarsi
attraversare dal fluido magnetico venne, ed è tuttora chiamata, la permeabilità.
Quanto al fatto che un pezzo di ferro, lasciato fermo, potesse diventare una calamita,
la spiegazione era semplice. La Terra era un’immane calamita, con i poli magnetici dove ci sono i poli geografici (ecco l’origine delle parole polo e polarità). Il flusso magnetico, che usciva da un polo per rientrare nell’altro, attraversava tramite i suoi meati un
corpo posto opportunamente e lo magnetizzava. Questo modello forniva anche una
spiegazione (anticipata da Gilbert) al fatto che, andando verso Nord, l’ago della bussola
si inclinasse progressivamente. Gilbert aveva predetto e verificato (con la sua terrella,
un pezzo di magnetite sagomata a sfera) che al polo Nord la lancetta si sarebbe disposta
verticalmente.
Restava a Cartesio il problema di spiegare la violenta attrazione e rotazione di due
calamite, ma questo richiederebbe qualche nozione sulla sua teoria dei vortici e sul moto
del cavatappi. I vecchi elettrotecnici annusano certamente la regola del cavatappi, utile
per ricavare l’andamento del campo magnetico dovuto a una corrente…
I nomi dell’elettricità
Già si è visto che i nomi della elettricità hanno a volte un lignaggio altissimo, che
con il tempo si è consunto o è stato dimenticato.
Molti nomi del magnetismo o delle macchine elettriche li dobbiamo, come si è detto,
a Galileo, come “armatura”, “espansione polare”, “scarpa polare”, “ancoretta”.
A Gilbert, medico della Regina Elisabetta e contemporaneo di Galileo, si deve invece la diffusione della espressione polo. Gilbert introdusse l’idea che la Terra fosse una
grande calamita e, per provarlo, prese un pezzo di magnetite, lo fece sagomare come
una sfera (che chiamò “terrella”) e inventò uno strumentino semplicissimo, che denomino “versorio”. Era un ago magnetico o di ferro, incernierato in mezzo. Mettendo il versorio (la parola vuol dire, latinamente, chi dà la direzione, il verso) in vari punti attorno
alla terrella, constatò che attorno a due punti della sfera (che chiamò poli, in analogia ai
due poli geografici) il versorio si disponeva “verticale”, puntando al centro della terrella. A metà strada, verso l’equatore, il versorio se ne stava “orizzontale”, vale a dire in
una direzione tangente alla sfera e in un piano che passava per i poli.
La parola “calamita” solleva problemi immani, tanto complessi che li dovremo considerare un’altra volta. Anticipiamo solo che questa parola è adesso usata solo nella lingua italiana: anticamente era anche utilizzata nelle Baleari e, nell’alto medioevo, in Catalogna. C’è un’altra parola “magnetica” che è usata solo in italiano: “bussola”.
Restiamo al magnetismo e alla parola “permeabilità”, termine elegantissimo che fu
introdotto nella cerchia di Pascal, nel ’600. Il problema da spiegare era quello della
progressiva magnetizzazione di una barra di ferro lasciata ferma, orizzontale (tangente
al piano dell’orizzonte locale) e giacente lungo un meridiano. Non si sapeva, a quell’epoca, che il meridiano magnetico ha solitamente direzione diversa da quella del me-
4 - Paradigmi
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ridiano geografico. Pascal accettava l’ipotesi di Gilbert e ammetteva che ci fosse un
flusso di una sostanza impalpabile che usciva da un polo e si dirigeva all’altro polo,
lambendo la Terra. Pascal ammetteva ancora che tutti i corpi, chi più chi meno, avessero delle fessure, meglio dei tubicini invisibili nella parte interna, che latinamente chiamò meati; la parola è tuttora usata in italiano, in particolare in medicina, ove si parla
correntemente, ad esempio di un meato urinario.
Il fluido attraversava il corpo per i meati, e così nacque la parola permeabilità, che,
come sappiamo, è una caratteristica di ogni singolo materiale e denota la sua attitudine a
magnetizzarsi se immerso in un campo magnetico.
Il fluido “magnetico”, costretto a passare nei tubicini, lasciava una parte di se stesso
nell’oggetto, che così si magnetizzava.
Questa interpretazione offriva una spiegazione anche per il violento moto di rotazione che manifesta una calamita, quando è posta a casaccio nei dintorni di un’altra calamita o costretta ad assumere una posizione diversa dalla direzione del campo magnetico
locale. Il fluido doveva raggiungere l’altro polo con il minimo di perdite e così la calamita si orientava da sola lungo il meridiano, appunto per ridurre il percorso e, quindi, le
perdite.
Per spiegare bene le parole positivo o negativo, o polo più e polo meno, bisognerebbe ripercorrere una vicenda complicata e considerare da vicino la diatriba che dilaniò i
fisici europei per tutto il Settecento: l’elettricità, o meglio l’elettricismo, era dovuto a un
solo fluido o a due fluidi diversi?
Adesso (ma sono passati due secoli...) la questione fa sorridere; allora era completamente aperta e molto controversa. L’elettricità era una cosa strana, non percepita dai
sensi, diversa all’esterno e all’interno dei corpi, che poteva essere facilmente schermata
e dava luogo a fenomeni diversi, di caratteristiche opposte e senza alcune spiegazione.
Si pensi all’attrazione tra due corpi che, appena si toccano, diventa repulsione. Quello
che imbestialiva i Fisici sperimentatori era l’estrema volubilità dei fenomeni: certe stesse azioni, che avevano conseguenze clamorose (come scintille, bagliori, scosse, rumori,
forze, odori), in altri momenti non avevano conseguenza alcuna. Oggi sappiamo tutto
sulle relazioni tra umidità ambientale e fenomeni elettrostatici.
La diversità dei fenomeni portò alla teoria dei due fluidi diversi, dal cui bilancio entro un corpo dipendeva, oggi diciamo, la polarità della carica. Dietro questa teoria troviamo Pascal, Nollet, Priestley. L’altra teoria, quella dell’unicità del fluido, proposta da
Franklin, fu dimostrata dallo scolopio torinese, padre Giambatista Beccaria. La carica
(la parola è moderna) dipende da un eccesso o un difetto dell’unico fluido; se è eccesso,
i nomi da usare sono “più” o “positivo”; se si tratta di difetto, “meno” o “negativo”. E
così, per convenzione, già all’epoca di Franklin si cominciò a dipingere di rosso il polo
più; e il concetto che una pila abbia due poli, uno positivo e uno negativo, marchiate con
un segno più e uno meno, divenne e restò patrimonio comune. I nostri bambini, a quattro anni, non sbagliano nell’inserire le pile dentro un giocattolo.
Altri due concetti e nomi, quelli di “tensione” e di “corrente”, provocarono dei problemi, dovuti al fatto che lo studio dell’elettricità fu intrapreso per l’unica via allora conosciuta, l’Elettrostatica, irta di difficoltà concettuali e sperimentali. Sino all’invenzione
della pila (una pila o colonna di dischi) non esisteva una sorgente di corrente uniforme;
si avevano scariche violente e incontrollabili di questo fluido di natura ignota. Il fluido
si scaricava con grande rapidità e impeto; e così, in particolare a Bologna, il fenomeno
fu chiamato “il torrente” o “la torrente”, per diventare e restare “corrente”. Sempre si
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Quaderno n. 4 - GMEE
tratta di termini idraulici, dal regime torrentizio a quello fluviale, con la corrente del
fiume che scorre lenta e uniforme. Confondendo effetto con causa, quello che noi chiamiamo “tensione” era designato come forza elettrica. Infatti si era capito che la forza
meccanica che agiva su un corpo (su questo fenomeno era basato l’unico strumento disponibile, l’elettrometro) era proporzionale al “grado” di elettrizzazione di un corpo.
A questo proposito, quello che noi individuiamo come campo elettrico, come una
modificazione dello spazio attorno a un corpo elettrico, era chiamata “aura elettrica”.
Pochi sanno che chi introdusse e sperimentò il concetto era l’avvocato Avogadro, incidentalmente l’unico italiano che abbia dato il suo nome a una costante fondamentale
della Fisica.
Per chiudere con queste nomenclature elettriche antiche, un corpo conduttore era
chiamato “deferente” e “grado di deferenza” era molto vicino al concetto di inverso di
una resistenza, cioè di una conduttanza. Chi sperimentò a lungo sul “grado di deferenza”, rigorosamente di’inverno (perché in questa stagione, con l’aria secca – a meno che
nella natia Torino non ci fosse la nebbia – le esperienze di elettrostatica vengono meglio), fu il medico Cigna, uno dei fondatori, con Lagrange, dell’Accademia delle Scienze di Torino. Il Cigna pubblicò delle tabelle con la “conduttività comparata o relativa”
di metalli, seta, canapa, ghiaccio, legnami diversi, ecc. Non si è sbagliato nel dire che il
Cigna abbia ricavato la conduttanza relativa con esperienze di elettrostatica; la pila fu
inventata quasi mezzo secolo dopo. La cosa strana ed eroica fu che il Cigna usò, come
strumento rivelatore, il proprio corpo, valutando qualitativamente l’eccitazione muscolare (ma era medico) dovuta alla scossa. Come, poi, sia arrivato a mettere nel giusto ordine i vari conduttori è, per il redattore di questa nota, fonte di ammirazione e di sconcerto, perché la sorgente era un tubo di vetro strofinato un certo numero di volte...
4 - Paradigmi
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Sei metri, tutti diversi ma tutti eguali
SCOPI
Gli scopi di questa nota sono due: presentare uno dei criteri fondamentali che costituiscono un sistema di misura, la continuità; illustrare come questo criterio sia stato seguito nella scelta dei sei campioni della lunghezza che si sono succeduti negli ultimi due
secoli. Le note a piè di pagina sono indicate con numeri in apice, i riferimenti alla bibliografia sono indicati tra parentesi quadre.
CRITERI COSTITUTIVI
Un qualsiasi sistema di misura deve rispondere a una ben definita serie di condizioni
e di caratteristiche, alcune ovvie, altre meno ma non per questo meno importanti. Un
elenco è riportato nella tabella.
uniformità
Regolare progressione della numerazione, per poter ricavare una grandezza mediante la differenza di due letture
perennità
L’elemento scelto a base del sistema
sia perenne, ad esempio la rotazione
della Terra
universalità
Soddisfi tutte le classi di utenti e la
definizione possa essere accettata da
tutte le nazioni
stabilità
Stabilità nel tempo del fenomeno prescelto a base del sistema
riproducibilità Deve essere possibile effettuare copie
del campione
« precisione » La definizione deve consentire di realizzare l’unità con la precisione necessaria
coerenza o
La possibilità di esprimere qualsiasi
congruenza
grandezza del sistema in funzione delle
unità di base, senza far ricorso a costanti o coefficienti numerici
« taglia 52»
La “dimensione del campione” non
convenienza
deve essere “troppo piccola” o “tropcomodità 53
po grande”
continuità
La “dimensione dell’unità”, cambiando il campione, deve restare pressoché
costante e comunque contenuta entro i
limiti di incertezza con i quali era conosciuta la precedente definizione
51
il calendario non è uniforme; i cippi
chilometrici lo sono
la scala di tempo atomica non è perenne perché un orologio si può guastare
le comunità di utenti sono numerose
e con diverse formazioni culturali…,
orgogli nazionalistici
la velocità di rotazione della Terra non
è costante, fluttua e la Terra rallenta
ogni nazione vorrebbe un esemplare
del campione
le esigenze della tecnica cambiano 51
Si veda il Quaderno del GMEE
“I sistemi internazionali per le misure”
se un sistema di misura non è conveniente e “comodo”, non viene usato
i valori numerici delle misurazioni
effettuate in passato devono poter
essere utilizzabili anche in seguito a
una nuova definizione del campione.
Un esempio è costituito dalle incertezze usate in Chimica. Nella chimica della produzione industriale le
incertezze necessarie erano comprese tra 10-2 e 10-3, con le misurazioni chimiche legate all’ambiente le incertezze sono ora di 10-8 - 10 –9.
52
La distanza tra le estremità degli indici con le braccia tese (brachia tensa), in francese la toise.
53
Per la comodità all’uso, la dimensione del campione deve essere anche adatta alle necessità umane; in altri
termini, alquanto laschi, la dimensione deve essere collegata alle dimensioni dell’uomo, alla sensibilità dei
suoi organi o, almeno, non scostarsene ”troppo”.
78
Quaderno n. 4 - GMEE
Alcune avvertenze
•
In questa tabella la parola precisione è stata usata in maniera del tutto qualitativa, per indicare la qualità di una misurazione.
•
In Metrologia, la parola dimensione è ambigua: vuol dire sia la categoria della
misurazione (lunghezze, altezze, temperature) sia l’“estensione”, intesa come valore
numerico della grandezza considerata.
•
Per soddisfare la condizione di congruenza, una qualsiasi unità SI deve poter
essere espressa mediante un monomio del tipo:
α
α
α
α
α
α
α
unità SI = m 1 , kg 2, s 3, A 4, K 5, cd 6, mol 7, con i vari esponenti α numeri interi,
zero compreso.
La continuità, pertanto, consiste nel fare sì che il nuovo valore del campione di
un’unità approssimi il meglio possibile, cioè entro determinati e quindi noti limiti d’incertezza, il valore della precedente definizione.
In questo modo tutti i risultati delle misurazioni, le misure, ottenuti con una precedente definizione sono validi e possono essere usati, ovviamente entro i limiti d’incertezza “pro tempore” delle precedenti definizioni.
Tipi di definizioni e di campioni
Esistono tipi diversi di definizioni o di campioni, di seguito elencati:
‰
Naturali. Si considera un fenomeno esistente in natura e generalmente accessibile: il periodo di rotazione della Terra, un arco di meridiano, il periodo del pendolo
che batte il secondo, la densità dell’acqua a una certa temperatura, …
‰
Fisici. La frequenza elettromagnetica di una transizione atomica, la lunghezza
d’onda della luce emessa da una lampada particolare, un effetto legato direttamente a
una o più costanti fondamentali, la carica dell’elettrone, la velocità della luce, la costante di Planck, la costante di Boltzmann, il numero di Avogadro, …
‰
Campioni materiali. Barra metallica, campione di massa, sasso sacro, …
‰
Campioni antropomorfi. Il braccio, il piede, il palmo, il pollice, la tesa, di solito materializzati tramite un campione materiale.
Sei definizioni del metro in due secoli
Nella seconda metà del ’700, come è ben noto, furono dibattute varie opzioni verso
una soluzione naturale per la definizione dell’unità e, quindi, per il campione di lunghezza. Due le soluzioni più considerate: la lunghezza del pendolo che battesse il secondo; una frazione del meridiano terrestre. La scoperta che il periodo di un pendolo era
funzione della latitudine e la difficoltà di individuare la lunghezza del pendolo 54 fecero
propendere per la soluzione del meridiano.
La storia dei vari passi che portarono al sistema metrico decimale è stata tracciata
più volte e, in particolare, si trova esposta in un recente testo di Jedrzejewski [1]; altre
54
Quale è la lunghezza di un pendolo? Come tener conto della massa dell’asta o del filo? Altri problemi sono:
il punto di sospensione e come definire la posizione del baricentro della massa terminale. La soluzione fu a
lungo dibattuta, finché Huygens (1629-1695) trovò una soluzione teorica con la sospensione cicloidale del
pendolo e con l’individuazione del centro di oscillazione di un pendolo reale (Horologium oscillatorium, Parigi, 1673). La soluzione finale, quella del pendolo reversibile, il cui periodo non dipende dalla distribuzione
delle masse dei vari componenti di un pendolo, arrivò con Kater nel 1918. Questo ultimo pendolo è stato usato
per un secolo e mezzo per la misura assoluta di g (accelerazione di gravità locale).
4 - Paradigmi
79
notizie dettagliate si trovano in una nota dedicata al ruolo di Lagrange negli anni cruciali della nascita del sistema [2], durante la rivoluzione francese.
Nel 1790 la Assemblea comincia a studiare, con una certa regolarità, il problema di
un nuovo Sistema di misure come premessa per l’abolizione e la soppressione di quello
precedente e comincia a formare tutta una serie di Commissioni di studio (dieci in nove
anni). Un elenco di tutte queste commissioni, con la composizione, il mandato e le date
di costituzione è riportato all’inizio della nota citata in [2].
La definizione adottata, ma non ancora promulgata ufficialmente dalla Commissione
pro-tempore (Borda, Lagrange, Laplace, Monge e Condorcet) nel 1791, era:
Definizione 1 (1791): Il metro è l’unità legale di lunghezza ed è eguale a un decimilionesimo di un quarto di meridiano terrestre, dal Polo all’equatore.
È chiaramente una definizione naturale.
Ai membri dell’Assemblea non sfuggiva la carica dirompente, nei confronti del regime precedente, di un nuovo sistema di misure, monete e nuovo calendario compresi.
Da qui una certa impazienza dell’Assemblea, prima, e della Convenzione, poi, per quella che pareva lentezza o esitazione delle commissioni pro-tempore. Quest’impazienza si
tradusse nella soppressione di una commissione nel 1793, sostituita da una Commissione temporanea che aveva lo scopo di preparare dei campioni provvisori, in attesa di poter disporre di quelli definitivi. Più che il rigore metrologico e il rispetto delle definizioni, era importante far capire ai cittadini che le cose erano cambiate.
Questa fretta si tradusse nella costruzione di Prototipi in rame per lunghezza e massa, eseguiti secondo un prima valutazione della lunghezza dell’arco di meridiano.
Definizione 2 (1793): (un campione materiale con la scritta “Etalon provvisoirie
des Mesures de la Répubblique, fait en execution de la loi du 1er aout 1793 (vieux
stile) adopté par les Commissaires chargés de sa détermination et remis par eux au
Comité d’Instruction Publique le 18 messidor. IIIe année”) mediante una barra in
rame con l’iscrizione riportata qui sopra. Questi campioni materiali furono formalmente
adottati dai Commissari delle varie Commissioni e consegnati al Comitato di Istruzione
Pubblica. La barra in rame è attualmente conservata presso il Conservatoire des Arts et
Métiers di Parigi. Si trattava, pertanto, di un prototipo che approssimava la definizione
1, ma era un vero e proprio campione materiale.
Arrivano intanto, alla fine del 1798, i risultati delle operazioni di triangolazione dell’arco di meridiano da Dunquerque e Barcellona, con un nuovo valore per la lunghezza
dell’arco di Meridiano e, quindi, del metro [3].
Definizione 3 (1799): un nuovo campione materiale (stecca di platino), adottato
da una commissione internazionale 55 e consegnato il 22/06/1799 agli Archivi nazionali.
Nelle necessarie operazioni di maneggiamento in occasioni dei confronti, questa
stecca si flette e si può deformare; viene pertanto studiata, nella seconda metà dell’800,
dopo la firma della Convenzione del Metro, una nuova sezione sagomata come una X e
adottate opportune norme di sospensione e maneggiamento.
La prima Conferenza Generale dei Pesi e delle Misure 56, nel 1889, assegna a sorte,
tra i vari Paesi membri della Convenzione del metro, le barre di platino-iridio che erano
55
In questa Commissione, gli stati italiani erano così rappresentati: Piemonte, Vassalli Eandi; Repubblica Genovese, Multedo; Toscana, Fabbroni; Repubblica Cisalpina, Mascheroni; Repubblica Romana, Franchini.
56
Per le parole o le locuzioni Assemblea, Assemblea legislativa, Convenzione, Direttorio, si veda qualsiasi
libro di storia con un capitolo sulla Rivoluzione francese; per le parole Conferenza Generale dei Pesi e delle
80
Quaderno n. 4 - GMEE
state approntate a cura del BIPM, come copie delle barra che materializzava la definizione 3. Quindi ancora un campione materiale.
Definizione 4 (1927): L’unità di lunghezza è il metro, definito come la distanza,
a 0 °C, degli assi di due tratti mediani tracciati sulla barra di platino–iridio, depositata al BIPM e dichiarata prototipo del metro dalla Prima Conferenza Generale
dei Pesi e delle Misure; questo regolo è sottoposto alla pressione atmosferica normale e sorretto da due sostegni cilindrici di almeno 1 cm di diametro, posti simmetricamente in uno stesso piano orizzontale e a una distanza di 571 mm l’uno
dall’altro.
È quindi sempre un prototipo materiale.
Negli anni 1935-1955, in particolare per iniziativa del PTB 57, si discute la possibilità di abbandonare il prototipo materiale, per la lunghezza d’onda di una riga spettrale.
Definizione 5 (1960): La definizione adottata dalla XI CGPM nel 1960 è la seguente: Il metro è la lunghezza eguale a 1 650 763,73 lunghezze d’onda nel vuoto della
radiazione corrispondente alla transizione tra il livello 2p10 e 5d5 dell’atomo del
Cripto 86.
Non è più un campione materiale, ma fisico e di tipo atomico; quindi la definizione
soddisfa i criteri di essere perenne, universale e naturale. Ci si accorse, però, che la riga
emessa da questa lampada non era simmetrica ed era necessario controllare numerose
condizioni fisiche per ottenere un’incertezza del metro dell’ordine di 10-8 - 10 –9.
Dal campione materiale si è passati a un campione fisico.
Definizione 6 (1983): La definizione adottata dalla XVII CGPM nel 1983 è la seguente: Il metro è la lunghezza percorsa nel vuoto dalla luce durante un periodo di
1/299 792 458 di secondo”
Il metro è ora, pertanto, il campione di una grandezza derivata, ricavata dal secondo
SI, una volta assunto un valore di c0 (velocità della luce, pari esattamente, per convenzione, a 299 792 458 m/s) ed è rimasto un campione fisico.
Si sono, quindi, succedute sei definizioni, seguendo il principio della metrologia
che vuole la continuità della dimensione del campione di una grandezza quando si
cambi la definizione del campione: il nuovo valore adottato resti entro i margini di
incertezza della definizione precedente. Questa condizione è necessaria per poter
usare senza problemi le misure effettuate nel passato. In altri termini, tutte le definizioni del metro che si sono succedute nel tempo tendono a riprodurre, entro limiti di incertezza che via via si restringono, la definizione 1.
Riferimenti bibliografici
[1] F.Jedrzejewski: Histoire universelle de la mesure, Ellipses, Paris, 2002.
[2] S.Leschiutta : Lagrange and the metric system, Quaderni di storia della fisica n. 8,
pp. 47-64, 2001.
[3] D.Guedj, Il Meridiano, trad. di Olimpia Gargano, 368 p., Longanesi & C., 2001.
Misure (CGPM), Comitato Internazionale Pesi e Misure (CIPM) e Bureau International Poids et Mésures
(BIPM, www.bipm.org) si veda qualsiasi testo di Metrologia.
57
Prima della guerra, PTR, Physicalisches-Technische Reichanstalt, dopo la guerra PTB, PhysicalischesTechnische Bundesanstalt.
4 - Paradigmi
81
L’Istituto Elettrotecnico Nazionale “Galileo Ferraris” a Torino:
la sua storia
Questo capitolo racconta la storia e le conquiste di un’istituzione che rappresenta
un importante momento della ricerca scientifica italiana. Oggi l’Istituto Galileo Ferraris, come affettuosamente è da sempre noto in Torino, è confluito nell’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica. Si è perso un nome glorioso, noto in campo internazionale da oltre 70 anni. Perché la memoria di un passato di difficili conquiste non
vada perduto, il capitolo è stato conservato anche se in parte sorpassato dagli sviluppi
della metrologia italiana. Questa nota fu scritta prima dell’unificazione dell’IEN con
l’Istituto di Metrologia “Gustavo Colonnetti” del CNR (1 gennaio 2006), anche con
l’obiettivo di promuovere l’unificazione stessa. Il nuovo Istituto mantiene la collocazione giuridica che già aveva l’IEN.
Negli anni attorno al 1935 fu avviata, in Italia, la costituzione di una rete di Istituti di
ricerca scientifica a carattere nazionale: a Roma, l’Istituto d’Ultra-acustica e quello
d’Alta Matematica, oltre all’Istituto Superiore di Sanità già fondato; a Firenze, l’Istituto
Nazionale d’Ottica; a Napoli, l’Istituto per i Motori; e appunto, a Torino, l’Istituto Elettrotecnico Nazionale. Quest’Istituto fu dedicato alla memoria di Galileo Ferraris, che
aveva promosso, tra il 1880 e il 1897, lo sviluppo dell’insegnamento e della pratica
dell’Elettrotecnica presso il Regio Museo Industriale, l’ente dal quale poi nacque il Politecnico di Torino.
L’Istituto fu così istituito con un Regio Decreto Legge del 4 ottobre 1934, n. 1691,
convertito nella legge 11 aprile 1935, n. 762, quale centro d’alti studi nel campo delle
discipline elettriche. L’Istituto si sviluppò rapidamente, aiutato da una notevole libertà
amministrativa e da una, per i tempi, rilevante larghezza di mezzi, con due milioni di
lire di contributo l’anno, equivalente grosso modo a 2 milioni di euro odierni.
Istituto Elettrotecnico Nazionale "Galileo Ferraris": la sede storica in corso Massimo D’Azeglio a Torino
Dall’epoca della sua fondazione, come centro d’eccellenza nel campo delle discipline elettriche e di quelle a loro affini, l’Istituto mantiene forte la propria consapevolezza
d’istituzione d’alto prestigio scientifico nazionale e internazionale, la cui operosità è testimoniata, fra l’altro, da un complesso di 3 500 pubblicazioni scientifiche, da oltre 580
rapporti tecnici e da alcune decine di libri.
82
Quaderno n. 4 - GMEE
L’Istituto dispone di un consistente patrimonio bibliotecario costantemente aggiornato (circa 15.000 volumi) afferente alle discipline della fisica e dell’ingegneria, ivi
compresi testi d’epoca, editi tra il 1700 e il 1800, e taluni manoscritti dello stesso Galileo Ferraris.
La sua struttura
La natura giuridica è quella di Ente pubblico di ricerca afferente al Ministero
dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica (MURST) e a carattere non strumentale, ai sensi del DPR 5 agosto 1991.
In questi oltre sessanta anni, l’ordinamento è stato più volte modificato ed è retto, dal
1992, da un nuovo statuto, ispirato ai principi d’autonomia che la legge 9 maggio 1989,
n. 168, istitutiva del MURST, riconosce agli enti nazionali di ricerca a carattere non
strumentale.
Esistono, ovviamente, i necessari Regolamenti dell’Istituto, tra i quali il Regolamento d’amministrazione, finanza e contabilità e il Regolamento concernente l’organizzazione e il funzionamento dell’Istituto.
Ma più rilevanti, per la vita dell’Ente, sono state le conseguenze dei cambiamenti al contorno. Mentre nel 1934 aveva senso cercare di coprire con un unico
Ente tutto lo scibile elettrico, diviso al più tra correnti forti e correnti deboli (la parola comunicazione non era quasi usata e quella informazione era sconosciuta, almeno in senso ingegneristico), questo non era più vero dopo la fine della guerra. La
nascita della elettronica e delle sue applicazioni, quali i controlli, il radar, i calcolatori, costrinse così ad un nuovo orientamento delle attività. Attività esistenti sin
dalla fondazione, come la elettromeccanica, la metrologia elettrica e quelle del
tempo, le ricerche sui materiali magnetici, costituirono la prevalente e attuale
struttura scientifica dell’Ente.
Non dimentichiamo che l’IEN si identificò, per oltre venti anni, con l’Istituto di Elettrotecnica del Politecnico; con la realizzazione della nuova sede del Politecnico di
Torino, le attività didattiche e quelle di ricerca universitaria abbandonarono la vecchia
sede di Corso Massimo d’Azeglio e anche i loro stretti legami con l’IEN.
Come vive l’Istituto
L’Istituto è un Ente, che riceve sì contributi da parte dello Stato, ma deve impostare
e perseguire una propria vita economica se vuole essere attivo; infatti i contributi, solitamente e in particolare nel passato, coprono le spese del personale e non quelle del funzionamento: essendo appunto l’Istituto indipendente, significa che ogni spesa, dal tagliare l’erba alla bolletta della luce, dall’acquisto della strumentazione alle spese di missione, deve trovare un’apposita copertura di entrata. Questo stato di fatto è documentato
dalle seguenti cifre, medie sul triennio 1996 – 1998:
Entrate totali: 19,3 miliardi di lire, di cui:
◊ Da parte dello Stato: 13,2 miliardi di lire (68,4%)
◊ Da contratti, consulenze, servizi: 3,95 miliardi di lire (20,5%)
◊ Altre entrate (residui, affitti, interessi): 2,15 miliardi di lire (11,1%)
4 - Paradigmi
83
Spese totali: 19,3 miliardi di lire, di cui:
◊ Oneri per il personale: 12,2 miliardi di lire (63,3%)
◊ Spese di gestione: 4,0 miliardi di lire (20,8%)
◊ Spese per l’attività di ricerca: 3,1 miliardi di lire (15,9%)
A cosa serve l’Istituto
Innanzitutto ogni nazione necessita di riferimenti metrologici, indispensabili come
sostegno alle attività scientifiche e, soprattutto, a quelle produttive; l’Italia, per curiosi
motivi storici, vede queste attività sparpagliate tra tre Enti, in quanto è l’unico tra i Paesi
che, pur avendo firmato la convenzione del metro, non si sia ancora dotato di un Istituto
Nazionale di Metrologia 58. All’IEN sono così affidate le cosiddette metrologie elettriche, alle quali, per consuetudine, si accoppiano quelle acustiche, fotometriche e di tempo e frequenza.
Alla metrologia si affiancano attività di ricerca sui materiali magnetici, di elettrotecnica e di ingegneria dei sistemi.
All’IEN, dove la E significa Elettrotecnico, spettano compiti particolari e difficili
perché, come è ben noto, le misurazioni di qualsiasi grandezza fisica stanno diventando
sempre di più elettriche o elettroniche. Inoltre esiste un andamento generalizzato per riferire, tramite opportune costanti fondamentali e particolari esperimenti, i campioni delle grandezze fondamentali al campione di tempo. Attività sono in corso, anche all’IEN,
per riferire il campione di massa (che è ancora un prototipo materiale, come praticavano
quattromila anni fa i Sumeri) a grandezze elettriche e quindi, tramite l’effetto Josephson
e quello von Klitzing alle costanti fondamentali e e h e al secondo. È pure concepibile
un campione “atomico” di corrente e di carica, con un “contatore” che numera gli elettroni che passano in una singola sezione in un certo intervallo di tempo. In questo caso
la costante è e, la carica di un elettrone, e il riferimento è legato al campione di tempo.
Come è ben noto, nei Paesi industrializzati, come l’Italia, almeno il 5% del prodotto
lordo interno annuo va, direttamente o indirettamente, nel sistema delle misure. Per il
nostro Paese si tratta, quindi, di almeno 100 000 miliardi di lire su 2 milioni di miliardi
di lire.
Come sostegno alla produzione, l’Istituto, unitamente all’Istituto di Metrologia G.
Colonnetti del CNR, al quale sono affidate le metrologie meccaniche e termiche, e all’Istituto Nazionale per la Metrologia delle Radiazioni ionizzanti dell’ ENEA, ha avviato e
sostiene, da oltre vent’anni, il Servizio di Taratura in Italia, che comprende una rete di
un centinaio di laboratori che, con le loro tarature, assicurano nella pratica i necessari
riferimenti metrologici alle attività produttive. Compito ulteriore dei tre Enti, che assicurano la correttezza metrologica lungo le catene nazionali di taratura, è quello di tessere la rete internazionale di collegamenti e riconoscimenti, necessaria per ottenere la validità internazionale dei certificati rilasciati in Italia. Grandi novità stanno avvenendo,
quali la nascita di un accordo internazionale, sottoscritto nell’ottobre 1999 anche dall’Italia, che porta il nome di Mutual Recognition Arrangement.
58
Dal 2006 i tre istituti metrologici italiani sono diventati due: l’INRiM di Torino e Istituto Nazionale di Metrologia delle Radiazioni Ionizzanti (INMRI) dell’ENEA, Roma Casaccia.
84
Quaderno n. 4 - GMEE
Produzione scientifica, formazione, diffusione dei risultati e della cultura
L’Istituto programma e svolge, tra i propri fini istituzionali, attività di ricerca di base, finalizzata e applicata, curando la diffusione dei risultati attraverso la letteratura
scientifica e con proprie pubblicazioni, e svolge anche una capillare attività di diffusione della cultura, basata sulla peculiare preparazione dei propri ricercatori.
Si deve riconoscere, infatti, che in taluni settori l’Istituto ha, ma anche deve avere e
dimostrare di avere, una peculiare competenza: ad esempio, nella metrologia e nello
studio dei fenomeni magnetici. Queste attività si svolgono in conformità a un Programma triennale e a Piani annuali di attuazione del Programma stesso. L’Istituto, inoltre, ai
fini della conoscenza e della valorizzazione dei risultati della propria attività di ricerca,
promuove l’organizzazione di convegni, seminari, riunioni e altre consimili manifestazioni.
La rilevanza della produzione scientifica è documentata dal complesso delle
pubblicazioni, delle partecipazioni a programmi di ricerca europei, internazionali
e nazionali e dalle partecipazioni a confronti internazionali di misura. Tale complesso è sintetizzato dalle seguenti cifre, che rappresentano la produzione media
annuale nel trienni 1996-1998:
◊ Volumi pubblicati: 3,2
◊ Articoli su riviste internazionali: 53
◊ Articoli su riviste nazionali: 9
◊ Comunicazioni su atti di congressi internazionali: 55
◊ Comunicazioni su atti di congressi nazionali: 26
◊ Rapporti tecnici: 18
◊ Partecipazioni a programmi di ricerca internazionali ed europei: 13
◊ Partecipazioni a programmi di ricerca nazionali: 22
◊ Partecipazioni a confronti internazionali di misura: 8
Per quanto concerne le attività di formazione, l’Istituto organizza, anche in collaborazione con Università e altri Enti di ricerca pubblici e privati, iniziative di formazione,
aggiornamento, qualificazione di ricercatori e tecnici. L’Istituto, inoltre, con i propri laboratori costituisce tradizionalmente un importante riferimento per lo svolgimento di
tesi di dottorato di ricerca e di laurea a carattere sperimentale.
Ad esempio, nel 1998, le tesi di dottorato di ricerca concluse nel corso dell’anno sono state quattro, quelle in corso di svolgimento 6 e 42 sono state le tesi di laurea concluse.
La nuova sede
L’Istituto ha avviato da tempo una fase di espansione dei propri laboratori. Alla sede
storica, sita nel centro di Torino, circa venticinque anni or sono si è affiancata una prima
espansione, sull’area dell’antico aeroporto di Mirafiori, nella periferia meridionale della
città, per un totale di circa 14 000 m2 ; una seconda espansione è attualmente in fase di
completamento per ulteriori 12 000 m2, sempre a Mirafiori. Questa seconda espansione,
che sarà completata entro il 2000, ha richiesto un impegno di oltre 40 miliardi di lire,
coperto da un apposito finanziamento pubblico.
4 - Paradigmi
85
Palazzina in strada delle Cacce a Torino, con
presidenza e direzione dell’Istituto Nazionale
di Ricerca Metrologica. Nell’Istituto sono confluiti, come auspicato nel testo, IEN del
MURST e IMGC del CNR.
Il personale
Il personale dell’Istituto ammonta a circa 140 persone: 28 in amministrazione e 112
nelle attività tecniche o scientifiche.
Un’osservazione di rilievo: si potrebbe osservare che appare elevata la percentuale
del personale dedicato alle attività amministrative (è noto che presso analoghi Enti di
ricerca esteri questa percentuale varia dal 5 al 10 per cento).
La situazione dell’IEN si giustifica con due ordini di motivi: da una parte, l’Istituto è
“indipendente”, quindi deve assicurare ogni funzione, dal patrimonio agli stipendi al
personale; dall’altra parte, questa completa indipendenza assicura all’Istituto un’agilità
che è sconosciuta agli Enti pubblici. Una convenzione, una volta decisa, può essere siglata in un paio di settimane e così un contratto o un ordine.
Un problema che affligge gli Enti Pubblici di ricerca in Italia è quello dell’età del
personale. La situazione per l’IEN, riportata all’inizio del 2000, è rappresentata in figura: in ascissa è espressa l’età del personale tecnico o scientifico, in ordinata la “popolazione” corrispondente a ogni età. In media altre 30-40 persone frequentano l’IEN a titoli
vari: borsisti, contrattisti, dottorandi, visitatori stranieri. Interessante è notare l’effetto
della guerra, per la fascia di età tra 55 e 58 anni.
7
6
5
4
3
2
1
0
24 26 28 30 32 34 36 38 40 42 44 46 48 50 52 54 56 58 60 62 64
La situazione dell’Istituto non è grave ma desta preoccupazione, se è vero che la
maggiore produttività del ricercatore si ha intorno ai 35 anni, dopo i quali gli entusiasmi
e i furori si spengono (per fortuna non è sempre vero...). Si deve anche osservare che
l’ingresso in carriera del personale con laurea viene sempre più ritardato; uno si laurea a
25 anni, un anno di borsa, tre anni di dottorato, un eventuale servizio militare e così ma-
86
Quaderno n. 4 - GMEE
turano facilmente i trenta anni. Il personale laureato “entra”, comunque, nella ricerca a
26-27 anni, in quanto le attività di dottorato sono solitamente già polarizzate.
A questa situazione l’IEN cerca di reagire cogliendo ogni occasione per introdurre
dei giovani; ad esempio, nel 1999, sono stati avviati concorsi per undici unità a tempo
indeterminato e per cinque contratti a termine.
E domani?
Negli ultimi tempi il sistema della ricerca non universitaria è stato profondamente
riorganizzato nel nostro Paese. Ad esempio, nuovi statuti e ordinamenti sono stati attivati per ASI, CNR, ENEA, Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Istituto Nazionale di Astrofisica, ecc. In questo nuovo panorama l’IEN deve trovare modo di riaffermare le proprie peculiarità, in particolare nell’ambito della metrologia e dei materiali.
L’Istituto nutre fiducia nella nuova organizzazione del sistema della ricerca, nella
convinzione che la propria tradizione e il proprio bagaglio di esperienze e attrezzature
troveranno una giusta e corretta collocazione.
Già si è detto della continua tensione verso l’immissione di nuove e giovani forze;
altri obiettivi prioritari sono quelli di attrezzare i nuovi spazi che si stanno rendendo disponibili e il sempre più profondo inserimento del vecchio Istituto nel contesto europeo.
4 - Paradigmi
87
Quale Metrologia per l’Italia?
Che la colonna portante della “Qualità” di un Paese sia il suo sistema metrologico,
di taratura, di certificazione e di accreditamento è cosa non controversa. Propongo di
considerare, in questa nota, solo la prima componente, quella degli Istituti Metrologici
Nazionali, presentando la curiosa situazione dell’Italia, per quanto riguarda la struttura
primaria di riferimento.
L’esigenza per ogni Paese di disporre di una struttura che fosse sì articolata, ma potesse agire in forma efficace e coerente fu percepita alla fine del secolo scorso, da tutte
le Nazioni, dopo la firma della “convenzione del metro”, avvenuta nel 1875. La convenzione del metro è lo strumento diplomatico-giuridico-scientifico-tecnico che presiede
alla costruzione e al mantenimento del Sistema Metrico Decimale.
E così, un secolo fa, tra il 1895 e il 1901, cinque nazioni, convinte dell’incidenza
economica delle “Misure” sui commerci interni e internazionali e sullo sviluppo delle
industrie tradizionali, spinte inoltre dall’irrompere della nuova industria elettrica, e
quindi dalla necessità che uno solo fosse il sistema di misura per le nuove grandezze,
promossero la costituzione di Istituti Metrologici Nazionali. Le cinque Nazioni furono,
nell’ordine, Russia, Germania, Inghilterra, Stati Uniti e Giappone.
La opportunità che anche il nuovo stato italiano assumesse compiti e ruoli nel settore fu acutamente percepita da Galileo Ferraris, che presentò nel 1882 la proposta di costituire un laboratorio nazionale, sia pure inizialmente per le sole misure fotometriche.
L’interesse per la fotometria era dovuto al fatto che, per la nuova forma di energia che si
stava diffondendo, il gas illuminante, la determinazione del potere energetico veniva
effettuata tramite misure fotometriche.
La proposta del Ferraris trovò attuazione, ma non sotto la forma di Istituto Nazionale, con l’istituzione a Torino, nel 1888, di una “galleria fotometrica” (con dimensioni e
attrezzature paragonabili a quanto esisteva all’estero) presso il Regio Museo Industriale,
dal quale è nato poi il Politecnico.
Intanto, mentre in Italia le proposte di costituire un Istituto Metrologico Nazionale
cadevano l’una dopo l’altra, nella prima metà di questo secolo e prima del 1950, furono
fondati altri sei Istituti Metrologici Nazionali in Argentina, Australia, India, Canada,
Sud Africa e Nuova Zelanda. Tra queste nazioni manca l’Italia e continua a non comparire anche nell’elenco delle altre venticinque nazioni che si sono dotate in questa seconda metà del secolo di una struttura metrologica dedicata.
Non sono certo mancate in Italia attività metrologiche, come tutti sappiamo, anche
ad alto livello, ma è sempre stata assente la volontà e, forse, la capacità politica di capire
le dimensioni del problema e quindi il suo impatto sulle attività produttive e di ricerca
del Paese. Mentre il Giappone in questo 1999, dinanzi a una paventata crisi economica,
ha deciso di portare al 6% entro il 2005 la componente del P.I.L. per la ricerca, partendo
dall’attuale 3,5%, l’Italia veleggia attorno all’1% e, nei fatti, sta scendendo.
Un esempio tra tanti: aumentano, e giustamente, gli stipendi degli addetti, non fosse
altro che per tener conto dell’inflazione, ma non aumentano in proporzione le dotazioni
assegnate all’Istituto Elettrotecnico Nazionale.
Parlando dell’IEN, questa è la sua storia: nel 1932 il Ministero, allora, dell’Educazione Nazionale, per iniziativa del Prof. G.C. Vallauri del Politecnico, decise la
costituzione a Torino, riprendendo e completando una iniziativa della SIP, dell’attuale
88
Quaderno n. 4 - GMEE
Istituto Elettrotecnico Nazionale Galileo Ferraris. Nel novello Istituto, sin dal 1934, furono iniziate ricerche e attività di misure per le grandezze elettriche, fotometriche, acustiche e di tempo e frequenza, le stesse ancora coltivate.
Nel dopoguerra, per iniziativa del Prof. Gustavo Colonnetti, il Consiglio Nazionale
delle Ricerche istituì a Torino, nel 1956, gli Istituti Termometrico e Dinamometrico che,
nel 1968, unitamente a due nuovi Reparti, Lunghezze e Masse Volumi, formarono
l’Istituto di Metrologia, Gustavo Colonnetti (IMGC) del CNR, con sede sempre a Torino.
Per la metrologia delle grandezze riguardanti le radiazioni ionizzanti, l’ENEA, che
aveva avviato sin dalla fine degli anni ’70 attività metrologiche presso i propri laboratori del Centro Ricerche della Casaccia, formò all’inizio degli anni ’80 un Laboratorio di
Metrologia e infine istituì, nel 1992, l’Istituto Nazionale di Metrologia delle Radiazioni
Ionizzanti (INMRI), le cui finalità riguardano la salute umana e la protezione ambientale.
Ci si potrebbe domandare: ma è proprio necessaria, anche per l’Italia, una struttura
autonoma e indipendente, quale potrebbe essere quella di un Istituto Nazionale di Metrologia?
Molte sono le risposte possibili, tutte orientate in senso affermativo. Innanzitutto i
tre attuali Istituti appartengono a Enti con diversi livelli di finanziamento, di capacità di
autofinanziamento, di autonomia e rispondono ad amministrazioni di diversa tipologia;
in un caso, per studiare e adottare un contratto o una convenzione di ricerca, sono sufficienti 5-6 settimane, in altri casi possono passare gli anni. Inoltre:
◊ la corrente rappresentanza tripartita, in sede comunitaria e internazionale, crea problemi di vario tipo;
◊ esistono inevitabili ridondanze o duplicazioni;
◊ solo in una struttura “piccola” e dedicata si può attuare la meritocrazia e prendere
rapidamente decisioni, senza attendere il risultato di elaborate complesse consultazioni o mediazioni di carattere politico o sindacale, ad esempio nell’apertura di
nuovi posti di lavoro;
◊ solo un Ente piccolo, motivato e libero da implicazioni ideologiche può mantenere
il necessario colloquio con l’Università, dove si formano i giovani e si fa frequentemente dell’ottima ricerca, anche metrologica;
◊ l’Italia è, come si è visto, l’unico Paese senza un Istituto Nazionale di Metrologia o
senza un forte Ente di finanziamento e di controllo;
◊ la situazione è stata ben studiata da una serie di commissioni ed è ormai da anni
matura per discussioni e decisioni.
La soluzione più razionale sarebbe la costituzione di un Istituto Nazionale di Metrologia, autonomo, sorvegliato dal Ministero dell’Università e Ricerca Scientifica e Tecnologica (MURST) o, eventualmente, dal Ministero dell’Industria, del Commercio e
dell’Artigianato (MICA) o da tutti e due.
Al momento, soltanto l’IEN, tra gli Istituti Metrologici Primari, così come individuati dalla Legge n. 273 del 1991 sul Sistema Nazionale di Taratura, ha dato attuazione
ai principi di autonomia previsti dalla Legge n. 168 del 1989 e, quindi, potrebbe costituire l’esempio o il nucleo di aggregazione.
È chiaro che un Istituto Nazionale di Metrologia (INM), quale quello qui proposto,
comporterebbe, oltre a numerosi problemi (alcuni etici, altri pratici, che vanno dal pre-
4 - Paradigmi
89
stigio all’inventario, ma possono essere risolti dalla volontà di un Ministro e di un Governo), la collocazione dei tre Istituti metrologici primari nel nuovo ente nazionale e, di
conseguenza, tre interventi di rilievo:
- scorporare IEN dal MURST,
- scorporare IMGC dal CNR,
- scorporare INMRI dall’ENEA.
I tre istituti potrebbero essere collocati in un nuovo ente nazionale che operi, ad esempio, nell’ambito del MURST.
È stata anche considerata la possibilità di un Istituto Nazionale di Metrologia, con
compiti allargati alla Tecnologia, con 600 persone (quindi con dimensioni da metà a un
quinto di analoghi Enti europei), nel quale confluirebbero IEN e IMGC, che sarebbe
sempre un Ente pubblico di ricerca, posto sotto la sorveglianza del MURST.
Almeno uno dei tre interventi, lo scorporo di IMGC dal CNR per passare all’INM,
non sembra attualmente possibile, vista l’indicazione del Ministro dell’Università e della Ricerca che il CNR deve restare “generalista”.
Non si vuole certo contraddire un’indicazione di carattere politico, che non è né tecnica né razionale, ma il principio di un Ente “generalista” potrebbe, al limite, significare
che ogni attività di ricerca debba essere effettuata dal solo CNR e non presso
l’Università o altri Enti di Ricerca.
Si è, invece, della ferma opinione che un’attività peculiare quale quella metrologica
debba godere di particolari requisiti di autonomia e di agilità, mal conciliabili o praticabili entro Enti di rilevanti dimensioni e affetti, tipicamente, da problemi di efficienza e
di scarsa responsabilità, solo perché “grossi”.
Ove la strada, che è quella razionale, di un Istituto Nazionale di Metrologia non potesse, o non potesse ancora, essere battuta, restano da investigare alternative di tipo consortile o la creazione, come è avvenuto da vent’anni in Francia, di un’unica struttura nazionale di coordinamento e di finanziamento.
Altra azione, di minore rilievo ma essenziale per MURST e MICA, è quella di predisporre un provvedimento legislativo che assicuri una copertura finanziaria alle attività
che gli Istituti Metrologici Primari devono effettuare per adempiere i compiti assegnati
dalla legge n. 273/1991, come elemento fondamentale del Sistema Nazionale di Taratura: svolgimento di studi e ricerche finalizzate alla realizzazione dei campioni primari
delle unità di misura, confronto a livello internazionale di tali campioni, loro mantenimento e messa a disposizione ai fini della disseminazione. Tutto ciò tenendo conto delle
nuove e più impegnative esigenze di riferibilità provenienti dall’industria e dalla società.
La fase degli studi di fattibilità e delle proposte è stata largamente compiuta e il Ministro dell’Università e della Ricerca, che ha la responsabilità del corretto andamento di
tutta la Ricerca Nazionale, e quindi anche della Ricerca e delle Attività Metrologiche,
d’intesa con il Ministro dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato, ha dinanzi a sé
tutte le informazioni necessarie per prendere una decisione, che a questo punto diventa
unicamente politica.
Scritto a Torino, il 26 marzo 1999
90
Quaderno n. 4 - GMEE
La contesa tra negoziante e cliente è sempre stata vivace:
chi difendeva il consumatore in passato?
Ci occupiamo di un detto biblico, che è diventato un proverbio corrente nella nostra
lingua: non avere due pesi e due misure.
Un peso per comprare – più grosso – e uno più piccolo, per vendere.
Il trucco dei due pesi era assai comune in passato, praticato in tutti i commerci e frequentemente sanzionato da leggi o consuetudini.
Nel commercio delle stoffe, in quasi tutta Europa, vigevano due prassi.
Secondo la prima, il negoziante, quando comperava, faceva traslare lungo la pezza il
campione di lunghezza (ad esempio, una stecca di legno), ma aveva il diritto di interporre il pollice, con la scusa di marcare meglio la fine del campione, tra la posizione finale
della stecca e la nuova posizione. Usando il piede liprando, il campione “storico” di
lunghezza del Piemonte (lungo 53 cm), e ammettendo che un pollice sia largo 2,5 cm,
risultava un vantaggio, in lunghezza, per il venditore intorno al 9%.
Secondo l’altra tradizione, disposta la pezza da misurare su un tavolo, era diritto del
venditore ruotare la stecca in un piano verticale, usando come “cerniere” gli spigoli della stecca. In questo modo, ad ogni “steccata”, si guadagnava lo spessore della stecca, in
pratica tra il 3 e il 5%.
Altro “trucco”, sempre con le stoffe, era quello di usare “metri” opportunamente
corretti, in maniera da tener conto degli effetti della “decattizzazione”, cioè del ritiro
delle stoffe. Con questi metodi si poteva guadagnare qualche altro punto percentuale.
Il fondamento “giuridico” di queste prassi era quello di riconoscere al negoziante un
aggio, per tener conto dello sfrido conseguente ai tagli della pezza.
Per millenni, in tutte le campagne europee, le tasse o gli oneri di affitto o di concessione sono sempre stati pagati in natura, solitamente grano, avena o segale, misurati a
volume.
Due cose erano estremamente critiche per il contadino, che doveva così pagare le
tasse: il campione (solitamente un secchio cilindrico) e la tecnica di riempimento. Su
entrambe interveniva la cupidigia umana.
Il secchio era solitamente un cilindro di legno, un materiale che poteva usurarsi o
deformarsi o essere facilmente modificato e, quindi, doveva essere saltuariamente verificato. Ogni Stato, a tal fine, disponeva di corpi di esperti: quando trovate dai robivecchi
questi oggetti, verificate se, stampigliati sulle parti metalliche o impressi a fuoco sul legno, si trovino il nome del saggiatore o l’anno dell’ultima operazione.
Questi campioni erano costruiti in maniera da presentare sempre un volume in eccesso, che veniva corretto inchiodando o avvitando sul fondo un pezzo di legno, opportunamente sagomato per “tarare” il volume.
Frequentemente questo artefatto scompariva o veniva opportunamente limato, in
modo che il contadino dovesse versare più grano per riempire il recipiente.
Ma quando il recipiente poteva essere considerato pieno?
Altra sorgente di molte diatribe. Il recipiente doveva essere considerato pieno “a raso”, cioè facendo scorrere un righello sulla bocca, oppure “a colmo”, cioè quando la superficie superiore aveva la forma di un cono tale che un solo chicco in più ruzzolasse
per terra? E il cono doveva partire dal bordo esterno o interno del secchio? Era lecito
scuotere il secchio durante la riempitura? Da che altezza poteva o doveva essere versato
4 - Paradigmi
91
il grano, in maniera da avere un assestamento uniforme? E il secchio, che poi doveva
essere sollevato in maniera da versarne il contenuto, doveva avere un manico come gli
usuali secchi, due maniglie, un traversino o un’asta centrale che sporgeva dal fondo e
terminava in un gancio?
Sterminata è la letteratura riguardante queste ultime controversie, con esperimenti e
interminabili cause giudiziarie. Sembra, infatti, che la presenza dell’asta centrale, ove si
versasse il grano da una certa altezza, favorisse la costipazione del grano, con vantaggio
del “Signore” al quale si pagava il tributo. Questo maggior riempimento era stimato aggirarsi tra l’1 e 2%.
Sono cose certo dei secoli passati ma, almeno per un millennio, queste furono le vicende in tutte le campagne di Europa, dalla Polonia alla Spagna.
Chi volesse saperne di più, consulti il Kula: Le misure e gli uomini dall’antichità ad
oggi, Laterza, Bari, 1987, e soprattutto il Testo: Memento du pesage, Hermann, Paris,
1946.
Emina del Piemonte, costruita probabilmente
nel 1700, controllata e bollata una volta all’anno. Campione usato per misurare volumi
d’orzo, di grano e di prodotti analoghi. Ancora
in uso nella zona d’Alba per misurare volumi
di noccioline. Contiene 750 once in peso di
acqua distillata.
92
Quaderno n. 4 - GMEE
Misurare l’impossibile
Tante volte capita di dover valutare o, addirittura, misurare una cosa e di non saperlo
fare. Questo evento è più frequente di quanto non si creda: manca, ad esempio, uno
strumento di caratteristiche adeguate, non si sa bene quale sia il misurando o non sappiamo a quali delle sue proprietà o conseguenze si sia realmente interessati e, quindi,
ignoriamo da che parte incominciare.
È chiaro che qui non parliamo delle misurazioni di grandezze della Fisica e nemmeno di quelle della percezione, legate come sono alla fisiologia ma rientranti a buon diritto nella prassi della metrologia. Ci interessiamo invece, in questi casi più difficili, ai legami sottili (ma non per questo meno reali) tra misurazioni fisiche, percezioni, sensazioni e giudizi di merito.
Esempi di queste misure sono: il giudizio sulla qualità di un’autovettura dal rumore
ovattato di una porta che si chiude (i costruttori di automobili lo sanno e sanno anche
cosa il cliente si aspetta) o la valutazione qualitativa di una salsa di pomodoro dal suo
colore, a prescindere dalle sue qualità organolettiche. Chi fa le salse lo sa, tanto che il
colore viene corretto (è meglio non sapere come) secondo le indicazioni di piastrelle ceramiche opportunamente colorate, esistenti in commercio, verificate dalla Comunità Europea e comunemente in vendita da almeno una ventina d’anni.
Così operando ci si avventura in un terreno minato, perché ogni risultato si presta a
essere usato con risvolti commerciali, in quanto incide direttamente sull’accettazione o
meno di un prodotto industriale, e quindi è necessario seguire convenzioni etiche, di sicurezza e di rispetto di norme e regolamenti.
L’importanza di impressioni e giudizi opinabili è accresciuta dal fatto del notevole
miglioramento della qualità dei prodotti industriali. Il potenziale cliente si trova dinanzi
decine di prodotti industriali equivalenti e, quindi, scattano nella scelta meccanismi qualitativi, di carattere opinabile, comunque efficaci e frequentemente legati a valutazioni e
opinioni innescate dalle conseguenze, non razionali, di un’impressione.
Il problema esiste, è percepito come reale dall’industria tutta, dai fornitori di beni o
di servizi e richiede uno sforzo interdisciplinare in una decisione che ha molte dimensioni, dettata prima dalla percezione umana e, poi, dall’interpretazione, sempre umana.
Chi è stato allenato, come i lettori anziani di questo quaderno, nelle severe ma autosufficienti discipline della Metrologia, male si muove al di fuori del proprio orto e, peggio, si muove se deve operare in un campo nel quale le misure fisiche, la scienza dei
materiali, la biologia, la psicofisica, la psicologia hanno tutte qualche cosa da dire e, soprattutto, devono interagire a pari livello con le neuroscienze, la sociologia, l’ergonomia
e i giudizi di merito.
Ma il problema esiste e, pertanto, è necessario uno sforzo cognitivo in più dimensioni, soprattutto per collegare le misurazioni degli attributi e delle qualità, cioè le misure
che sappiamo fare alle loro interpretazioni e sensazioni indotte, in un contesto culturale
che è praticato da altre comunità non costituite da ingegneri o fisici. Quindi noi ingegneri e fisici (questo è un problema non indifferente) dobbiamo liberarci dalle strutture
che abbiamo assorbito praticando le misure, per imparare ad ascoltare gli altri.
Per affrontare questo nuovo tipo di problemi, la Comunità Europea, nell’ambito del
VI Programma Quadro, ha avviato studi per “anticipare” i nuovi aspetti della scienza e
della tecnologia che stanno emergendo in Europa. In particolare, esiste un programma
chiamato NEST (New and Emerging Science and Technology) entro il quale sono state
4 - Paradigmi
93
individuate delle iniziative di esplorazione, chiamate PATHFINDER. Una di queste iniziative è stata chiamata, appunto, “Measuring the Impossibile”.
Per capire come avviare gli studi e cominciare a ragionare su come procedere, il 20
Ottobre 2004, a Bruxelles, è stata tenuta una riunione di una ventina di ricercatori europei, nella quale è emersa l’idea di lanciare da otto a dieci gare, con bando (uscito il
10/12/2004, EC, DG Research,), mentre per il 13 aprile 2005 è stata fissata la data limite per la presentazione di proposte.
Per ulteriori informazioni si veda
www.cordis.lu/next/pathfinder.htm e www.cordis.lu/path_ideas.htm,
siti dai quali si accede anche al bando sul tema “La Misura dell’Impossibile”.
94
Quaderno n. 4 - GMEE
Indice dei nomi
A
Accursio, Accorso da Bagnolo
(1184-1263) 16
Alciati, Francesco (1522-1580) 16
Ampère, André-Marie (1775-1836)
57, 60
Angelotti, Ernesto (contemporaneo) 30
Augusto, Flavio Romolo
(circa 459 - post 476) 15
Avogadro, Amedeo (1776-1856) 76, 78
Ayrton, Willian Edward (1847-1908)
49, 59
B
Barkhausen, Heinrich Georg (1881-1956) 56
Beccaria, Giovanbatista (1716-1781)
35, 75
Biot, Jean-Baptiste (1774-1862) 60
Boella, Mario (1905-1989) 56, 70, 71
Boltzmann, Ludwig E. (1844-1906)
61, 62, 65, 78
Bonaparte, Napoleone (1769-1821)
27, 42, 43, 53
Borda, Jean-Charles de (1733-1799)
38, 52, 79
Borelli, Giovanni Alfonso (1608-1679) 64
Bosco (don), Giovanni Melchiorre
(1815-1888) 54
Budde dr. E. (DE) 49
Bunsen, Robert Wilhelm (1811-1899) 47
Burel, Eugène (1817- post 1867) 47
C
Carhert prof. H.S. (USA) 49
Carlini, Francesco (1783-1862) 27
Carlomagno, Carlo detto Magno
(742 - 814) 54
Carnap, Rudolf (1891-1970) 56
Cartesio, Descartes René (1596-1650) 74
Cassini, Giovanni Domenico
(1625-1712) 25, 26
Castelli, Benedetto (1577-1644) 32, 33
Casti, J.L. (contemporaneo) 65
Cercignani, Carlo (contemporaneo) 61, 65
Chavez A.M. (Messico) 49
Cigna, Giovanni Francesco (1734-1790) 76
Cimarosa, Domenico (1749-1801) 43
Condorcet, Jean Antoine Nicolas Caritat,
marchese di (1749-1794) 38, 79
Costantino, Flavio Valerio (272-337) 15
Cromwell, Oliver (1599-1658) 9
D
Delambre, Jean Baptiste Joseph
(1749-1822) 52
E
Egidi, Claudio 63, 65
Elisabetta I d’'Inghilterra (1533-1603) 74
Eschilo (525 a.C.- 456 a.C.) 28
Essen, Louis (1908-1997) 58, 64
Eulero, Leonhard Euler (1707-1783) 37
F
Fabbroni, Francesco 79
Fabre d’Eglantine, Philippe François
Nazaire (1750-1794) 38
Faraday, Michael (1791-1867) 67
Feldenkirchen, W. 65
Ferrié, General G. (1868-1932) 56
Ferraris, Galileo (1847-1897) 22, 30, 47, 49,
56, 59, 60, 61, 70, 81, 82, 87, 88
Foscolo, Nicolò Ugo (1778-1827) 36
Franchini, Pietro (1768-1837) 79
Franklin, Beniamino (1706-1790)
35, 36, 73, 75
Fubini, Guido (1879-1943) 70
G
Galilei, Galileo (1564-1642) 18, 19, 20, 21,
29, 30, 31, 32, 33, 34, 60, 64, 73, 74
Galilei, Vincenzio (1606-1649) 34
Indice dei nomi
Galois, Évariste (1811-1832) 42
Galvani, Luigi (1737-1798)
40, 41, 44, 66
Gilbert, William (1544-1603)
38, 73, 74, 75
Giorgi, Giovanni (1871-1950)
59, 64, 65, 67
Giustiniano, Flavio Pietro Sabbazio
(483-565) 16
Goethe, Johann Wolfgang von
(1749-1832) 50
Granduca di Toscana, Ferdinando III
d’Asburgo-Lorena (1769-1824) 34, 36
Greaves, Direttore del Post Office
inglese 49
Guedj, Denis (contemporaneo) 80
H
Heaviside, Oliver (1850-1925) 59
Helmoltz, Herman Ludwig F. von
(1821-1894) 49, 50, 51, 59
Higman prof. A. (Canada) 49
Hospitalier prof. E. (FR) 49
Huygens, Christiaan (1629-1695) 26, 78
J
Jedrzejewski, Frank (contemporaneo)
78, 80
Joule, James Prescott (1818-1889)
47, 49, 61
K
Kater, Henry (1777-1835) 78
Kelvin, William Thomson (1824-1907) 59
Kohlrausch, Friedrich Wilhelm Georg
(1840-1910) 51
Kuhn, Thomas Samuel (1922-1996)
56, 57, 65
L
Lagrange, Giuseppe Luigi (1738-1813) 37,
38, 39, 52, 61, 76, 79, 80
Lalande, Joseph-Jérôme Lefrançais de
(1732-1807) 37
Langmuir, Irving (1881-1957) 56
Laplace, marchese Pierre-Simon
(1749-1827) 38, 39, 79
Lavoisier, Antoine-Laurent de
(1743-1794) 38
95
Leduc, dr. S. (FR) 49
Leibnitz, Gottfried Wilhelm
(1646-1716) 25
Leopoldo II, D’Asburgo-Lorena
(1747-1792) 43
Licinio, Flavio Galerio Valerio Liciniano
(ca. 250–325) 15
Livio, Tito ( 64 a.C.- 17) 14
Luciano di Samosata
(120 circa -180 circa) 7
Luigi Filippo d’'Orleans (1814-1896) 54
Lunner dr. O. (DE) 49
M
Magellano, Ferdinando (1480-1521) 23
Magrini, Luigi (1802-1868) 67
Maiocchi, Giovanni Alessandro
(? - 1851 o 1854) 45
Marconi, Guglielmo (1874 - 1937)
49, 67
Maricourt, Pietro Peregrino
(XIII secolo) 73
Mascart prof. E.E.N. (FR) 49
Mascart, Leon Brillouin (1899-1969) 59
Mascheroni, Lorenzo (1750-1800) 79
Massenzio, Marco Aurelio Valerio
(278-312) 15
Matteucci, Carlo (1811-1868) 67
Maupertuis, Pierre-Louis Moreau de
(1698-1759) 25, 26
Maxwell, James Clerk (1831-1879)
47, 56, 57, 59, 60, 61
Mayer, Julius Robert von (1814-1878) 50
Mazzoleni, Marc’Antonio
(? - dopo il 1635) 32, 34
Méchain, Pierre François André
(1744-1804) 52
Monge, Gaspard (1746-1818) 38, 79
Morse, Samuel Finley Breese
(1791-1872) 48, 67
Multedo, Ambrogio (1753 - 1840) 79
N
Newton, Isaac (1642-1727)
24, 25, 26, 37, 60
Nichols, prof. E.L (USA) 49
Nobile, Antonio (1795 circa - 1863) 29, 30
Nobili, Luigi (1784-1835) 45, 67
Nollet, Jean-Antoine (1700-1770) 72, 74
Quaderno n. 4 - GMEE
96
Nuno Garcia de Torena
(attivo intorno al 1524) 23
O
Occam, Guglielmo di Ockham
(1280 - 1349) 55
Oersted, Hans Christian (1777 - 1851) 57, 60
Ohm, Georg Simon (1789-1854) 45, 58, 59,
67
P
Paisiello, Giovanni (1740-1816) 43
Palaz dr. A. (SW) 49
Parini, Giuseppe Parino (1729-1799) 41
Paris, Marianna (moglie di A. Volta
dal 1788 al 1792) 43, 44
Pascal, Blaise (1623-1662)
25, 34, 73, 74, 75
Pascoli, Giovanni Placido Agostino
(1855-1912) 29
Persico, Enrico (1900 - 1969) 56
Picard, Jean (1620-1682) 25
Pigafetta, Antonio (1491-1534) 23
Pitagora (575 a.C.-490 a.C.) 62
Plana, Giovanni Antonio Amedeo
(1781-1864) 27, 28, 45
Planck, Karl Ernst Ludwig Marx,
detto Max (1858-1947) 78
Popper, Karl Raimund (1902-1994)
56, 65
Preece, William Henry (1834-1913)
49, 59
Priestley, Joseph (1733-1804) 75
R
Riccioli, Giovanni (1598-1671) 23, 24
Romme, Gilberto (1750-1795) 38
Rossi, Teodosio (1560 circa - 1620 circa) 10
Rowland prof. H.A. (USA) 49
S
Sahaulka dr. J. (Austria) 49
Sant’Agostino, Aurelius Augustinus
Hipponensis (354 - 430) 54
Santorio Santorio (1561-1636) 31, 33
Santorre Conte di Santa Rosa, Annibale De
Rossi di Pomarolo (1783-1825) 28
Sartori, Rinaldo (1909-1981) 70
Savart, Felix (1791-1841) 60
Schaered H. (DE) 49
Schomandl 56
Schreck, Johann, conosciuto
come Terrentius (1576-1630) 34
Siemens, Ernst Werner von
(1816-1892) 49, 51, 59, 60, 65
T
Tabarroni, Giorgio (1921-2001) 41
Talleyrand, Charles-Maurice
de Talleyrand-Périgord (1754-1838) 38
Tarquinio il Superbo, Lucio Tarquinio
(? - 496 a.C.) 14
Tavella, Patrizia (contemporanea) 18
Thompson prof. S.P. (UK) 49, 56
Thury prof. R. (SW) 49
Tomson prof. E. (USA) 49
Torricelli, Evangelista (1608-1647)
64, 72
Totò, Antonio De Curtis (1898-1967) 9
Touan M. de la (FR) 49
V
Vallauri, Giancarlo (1882-1957)
56, 69, 70, 87
Vassalli Eandi, Antonio Maria
(1761-1825) 79
Verri, Pietro (1728-1797)
e Alessandro (1741-1816) 36
Violle M. (FR) 49
Viviani, Vincenzo (1622-1703)
32, 34, 64
Voigt prof K. (DE) 49
Volta, Alessandro Giuseppe Antonio
Anastasio (1745-1827) 41, 42, 43, 44, 66
Volta, Luigi (fratello di Alessandro) 43
Voltaire, François-Marie Arouet
(1694-1778) 26, 29, 33, 43
Volterra, Vito (1860-1940) 40
W
Wheatstone, Charles (1802-1875)
46, 47, 48, 59
Weber C.E. (UK) 49
Weber prof R. (SW) 49
Wegener, Alfred Lothar (1880-1930)
58, 62, 63
Wennmann (Svezia) 49
Autore
Sigfrido Leschiutta, già presidente dell’Istituto Elettrotecnico Nazionale “Galileo Ferraris” (IEN),
è membro dell’Accademia delle Scienze di Torino e docente di ruolo al Politecnico di Torino. È
nato nel 1933 e ha iniziato la sua carriera di scienziato nel 1963 all’IEN. Tra i tanti prestigiosi incarichi ricoperti in ambito nazionale ed europeo nel settore della ricerca spaziale e in particolare
per la realizzazione delle scale di tempo, spiccano: membro del Consiglio Scientifico dell’ASI dal
1989 al 1995 e presidente dal 1992 al 1994; delegato nazionale al Science Programme Committee di ESA dal 1994 al 1996 e membro del Solid Earth WG di ESA; presidente della Commissione internazionale per il Tempo e la Frequenza. È stato membro del Comitato Internazionale dei Pesi e delle Misure; nell’ambito delle attività connesse a tale organismo ha firmato, a
nome degli istituti metrologici primari italiani, l’Intesa di Mutuo Riconoscimento tra istituti primari
di metrologia di tutto il mondo. Amplissima la sua attività didattica, nell’università, anche come
coordinatore del Dottorato di Metrologia, nella Teledidattica per il Consorzio Universitario Nettuno e in molti altri ambiti. È autore di circa 200 pubblicazioni e di due libri. Come ben dimostra il
quaderno da lui scritto, molteplici sono i suoi interessi culturali che spaziano dalla storia alla
musica, dagli strumenti di misura antichi alla letteratura.
€ 14,00
ASSOCIAZIONE ITALIANA “GRUPPO MISURE ELETTRICHE ED ELETTRONICHE”
L’arte della misure viene presentata in quattro capitoli, ciascuno costituito da una
serie di brevi interventi, alcuni ironici, altri drammatici, sempre però scritti con grande vivacità, semplicità di linguaggio e immediatezza del messaggio che intendono
proporre. È il messaggio dell’universalità delle misure, nate “a misura d’uomo” ma
con valori che dal singolo si proiettano sull’umanità intera. La grande capacità di
Sigfrido Leschiutta consiste nell’affrontare con allegria temi difficili, riuscendo così
a farli apprezzare e comprendere. Mentre si legge con piacere la prosa scorrevole e i continui richiami ai nostri giorni e ai problemi che ci sono intorno, si apprende il cuore della storia della metrologia attraverso fatti e personaggi reali, che con
lo scorrere della pagine divengono amici con i quali piace confrontarsi.
Nel primo capitolo, “Gli orologi, i calendari e i satelliti”, otto quadretti storici, dalla
antica civiltà cinese ai giorni nostri, presentano le tecniche più curiose inventate
dall’uomo per misurare lo scorrere del tempo e per definire i riferimenti indispensabili per associare a un evento la sua collocazione nel passato. Il secondo capitolo, “La terra e le mele”, affronta in quattro quadri il tema della forma e delle
dimensione della Terra, presentando quattro problemi che hanno coinvolto alcuni
tra i più noti scienziati in dispute accanite e in misure geniali. Il terzo capitolo, “Personaggi”, è una gustosa galleria di figure vive, con le loro debolezze ed eroiche
convinzioni, immerse nel loro tempo ma capaci di testimonianze universali. Galileo, Franklin, Lagrange, Volta, Helmoltz e molti altri sfilano davanti al lettore con
tutta la loro umanità, portando ciascuno un tassello di nuova conoscenza da tramandare per costruire tutti insieme la scienza come essa è oggi. Nel quarto capitolo, “Paradigmi”, l’autore, che molti lettori già ben conoscono e apprezzano con
lo pseudonimo SILE, ha cercato di riassumere la sua grande esperienza nella
scienza e nella sua storia, proponendo sintetici quadri di alcuni tra gli accadimenti
che hanno contribuito a trasformare il modo stesso di concepire la scienza. La
lunga strada tracciata nel quaderno è arricchita da ricordi di momenti vissuti che
costituiscono una preziosa testimonianza del lento progredire di istituzioni e organismi, nella scienza e in particolare nella metrologia.
I QUADERNI DEL GMEE
N° 4
L’arte della misura del tempo
presso le cortigiane
e altre curiose storie sulle misure, le istituzioni
e i personaggi che hanno edificato
la moderna metrologia
E
G E
M
Sigfrido Leschiutta
Unità del GMEE di Torino