Libro III

Odissea - LIBRO TERZO
A Pilo
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Il sole si leva nel cielo, e la nave giunge a Pilo, alla rocca di Nelèo.
Sulla spiaggia del mare celebrano un sacrificio di tori neri a Poseidone Enosíctono. C’erano nove sedi, e
in ciascuna sede sedevano in cinquanta, e ciascuna sede offriva nove tori. Quando, dopo aver gustato le
viscere, al dio bruciano le cosce, approdano: a questo punto ammainano le vele, ormeggiano la nave e
scendono a terra.
Telemaco scende dalla nave, e Atena lo precede. Atena si rivolge per prima a Telemaco, e gli dice di non
avere vergogna. È infatti per questo che hanno navigato fino a qui: per chiedere di suo padre, per sapere
dove sia morto, e come. Deve avvicinarsi a Nestore, e finalmente sapere se ha qualche notizia. Deve
prima di tutto chiedere a Nestore che gli parli con sincerità: Nestore non gli mentirà, perché è un uomo
saggio, prudente (μάλα γὰρ πεπνυμένος ἐστί).
Ma Telemaco non sa come rivolgersi a Nestore: come gli si presenterà ? Come dovà salutarlo ? È
vergognoso che sia un giovane ad interrogare un vecchio.
Atena lo rassicura: un dio gli suggerirà qualcosa, dal momento che Atena crede Telemaco non sia nato
nè cresciuto contro il volere degli dèi (θεῶν ἀέκητι).
Si avviano dunque rapidamente: Atena davanti, Telemaco dietro. Giungono nel luogo dove i Pili si
radunano, e dove Nestore siede coi suoi figli ed i compagni preparando il banchetto, arrostendo pezzi di
carne: qualcuno si occupa di arrostire le carni, altri le infilzano. Quando vedono i nuovi venuti, tutti si
fanno loro incontro, li salutano e li invitano a sedere. Il primo è Pisístrato, figlio di Nestore: li prende
entrambe per mano e li fa sedere al banchetto, su pelli di pecora, sulla spiaggia, presso il fratello
Trasímede e il padre. Offre loro parte dei visceri, e versa del vino in una coppa d’oro (ἐν δ᾽ οἶνον ἔχευεν
χρυσείῳ δέπαϊ da δέπας, αος, τό). La offre per prima a Pallade Atena: le chiede di fare voti per
Poseidone, dal momento che gli ospiti giungendo hanno appunto trovato un banchetto in suo onore.
Quando poi avrà libato e pregato, dovrà – secondo la norma (ἣ θέμις ἐστί) - passare la coppa al suo
compagno per libare, dal momento che immagina che anche lui preghi gli dei. Tutti gli uomini hanno
bisogno degli dèi. Però, dice Pisístrato, il suo compagno è più giovane, ha la sua stessa età: per questo
ha donato prima ad Atena la coppa d’oro (χρύσειον ἄλεισον).
[…] πάντες δὲ θεῶν χατέουσ᾽ ἄνθρωποι.
[…] gli uomini han tutti bisogno dei numi.
Dicendo questo Pisístrato porge la coppa di vino ad Atena, che gioisce per aver ricevuto per prima la
coppa d’oro. Dunque subito Atena rivolge la sua preghiera a Poseidone: gli chiedi di concedere prima di
tutto gloria a Nestore e ai suoi figli, quindi di concedere a tutti i Pili il contraccambio dell’ecatombe
offerta. E per sé e per Telemaco chiede di poter ritornare a casa, dopo aver raggiunto lo scopo per il
quale sono partiti.
Dunque Atena compie la libagione e prega, poi porge a Telemaco la duplice coppa (καλὸν δέπας
ἀμφικύπελλον), e Telemaco prega nello stesso modo. Dopo aver cotto quindi sfilato le carni dei terghi, e
fatto le parti, banchettano. Quando poi si sono saziati di cibo e di vino, comincia a parlare Nestore (il
cavaliere gerenio1, Γερήνιος ἱππότα Νέστωρ).
Solo ora li interroga, dal momento che è meglio fare domande agli ospiti ed informarsi su di loro dopo
che si sono saziati. Dunque Nestore chiede loro chi siano e da dove vengano. Viaggiano per qualche
attività commerciale, o stanno viaggiando senza una meta specifica, come predoni ?2
ὦ ξεῖνοι, τίνες ἐστέ; πόθεν πλεῖθ᾽ ὑγρὰ κέλευθα;
ἤ τι κατά πρῆξιν ἦ μαψιδίως ἀλάλησθε
οἷά τε ληιστῆρες ὑπεὶρ ἅλα, τοί τ᾽ ἀλόωνται
ψυχὰς παρθέμενοι κακὸν ἀλλοδαποῖσι πέροντες;
Cerimonia
Pirateria
Citazione
Stranieri, chi siete ? e di dove navigate i sentieri dell’acqua ?
Forse per qualche commercio, o andate errando così, senza meta
Sul mare, come i predoni, che errano
Giocando la vita, danno agli altri portando ?
1
L’epiteto “gerenio” forse deriva da Gerenia (Gerena, Gerenon), città della Messenia.
Sono le stesse domande che il Ciclope rivolgerà a Odisseo in Odissea, IX, 252-55. L’Odissea nomina spesso la pirateria come
un’attività normale, in un certo senso più decorosa del commercio. Ma c’è già un giudizio negativo su di essa espresso da Eumeo in
XIV, 85-88.
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Gli risponde Telemaco, cui Atena infonde coraggio perché possa domandare del padre, e conquistarsi
gloria tra gli uomini. Comincia col presentarsi. Dice che vengono da Itaca, sotto il Neio, è vengono per
uno scopo privato, non pubblico. Cerca notizie del padre Odisseo, che dicono un giorno abbia
combattuto con lui e atterrato la città dei Troiani. Di tutti gli altri eroi che hanno combattuto a Troia si
conosce però ormai dove sono morti, se questa è stata la loro sorte: di lui solo Zeus si ostina a negare
persino la notizia della morte.
Nessuno sa dir loro quale fine abbia fatto: se sia morto per terra ucciso da genti nemiche, o per mare,
tra le onde d’Anfitríte3. Ecco dunque che Telemaco è venuto da lui per avere notizie, almeno il racconto
della sua morte. Gli chiede però di non dirgli buone parole solo per rispetto o per pietà, ma di dirgli
davvero quello che vide. E se mai Odisseo avesse fatto o detto qualche cosa che gli avesse promesso in
terra dei Teucri, prega Nestore di raccontaglielo.
Nestore comincia a parlare. Telemaco gli ha ridestato il ricordo delle sofferenze patite dagli Achei in
quella terra; il ricordo delle sofferenze patite in mare, vagando per far bottino, guidati da Achille; e
quanto hanno combattuto sotto la rocca di Priamo. Là sono sepolti tutti i migliori: Aiace (Telamonio),
Achille, Patroclo, e anche suo figlio Antíloco. Quale mortale potrebbe descrivere quanto soffrirono ?
Neppure se Telemaco restasse là per cinque o sei anni, ponendo continuamente domande, potrebbe
sapere quanto patirono gli Achei. Per nove anni causarono sofferenze ai Troiani, e poi infine Zeus compì
l’opera. Là nessuno volle mai misurarsi con l’ingegno di suo padre Odisseo, se davvero lui è suo figlio. In
effetti Nestore è sorpreso dalla somiglianza di Telemaco con il padre: anche nel modo in cui parla.
Laggiù Nestore ed Odisseo non parlavano mai in disaccordo, ma erano sempre d’accordo su che cosa
fosse meglio per gli Achei.
Ma dopo che Troia fu infine conquistata, e finalmente salirono sulle navi per fare rientro in patria, un dio
disperse gli Achei. Zeus decise che il ritorno degli Argivi sarebbe stato doloroso, perché non tutti erano
stati saggi e giusti. Cosí a molti di loro toccò un ritorno funesto a causa dell’ira di Atena 4, che fece
sorgere una lite fra Agamennone e Menelao. Questi al tramonto raccolsero gli Achei in assemblea: li
radurano in modo confuso, non con ordine, e gli Achei vennero in assemblea appesantiti dal vino
bevuto. Qui spiegarono le ragioni del raduno. Menelao spingeva gli Achei a partire subito per nave. Ad
Agamennone l’idea non piaceva, e voleva rimanere con l’esercito per fare sacre ecatombi e calmare l’ira
di Atena: non sapeva che non era possibile piegarla ! Si scambiarono parole dure: tra agli Achei
entrambe le proposte trovavano consenso (erano divisi). Passano la notte con pensieri ostili: Zeus li
metteva gli uni contro gli altri. Alla mattina metà dell’esercito imbarca i beni e le donne sulle navi e
parte, mentre l’altra metà resta con Agamennone. Le navi che partono viaggiano veloci: qualche divinità
appiana la superficie del mare.
καὶ τότε δὴ Ζεὺς λυγρὸν ἐνὶ φρεσὶ μήδετο νόστον
Ἀργείοις, ἐπεὶ οὔ τι νοήμονες οὐδὲ δίκαιοι
πάντες ἔσαν: […]
Citazione
e Zeus meditò in cuore doloroso ritorno
agli Argivi, perché non saggi né giusti
eran tutti;
A Tènedo si fermano per sacrificare agli dèi, impazienti di proseguire nel viaggio di ritorno. Zeus però
non aveva ancora deciso di farli ritornare, e fa scoppiare tra di loro un nuovo litigio.Alcuni seguono
Odisseo e ritornano a Troia, da Agamennone. Nestore fugge con le navi che lo avevano seguito: teme
sciagure.
Anfitrite (gr. ᾿Αμϕιτρίτη) Divinità marina dei Greci, considerata una delle Nereidi, sposa di Posidone. Tra i suoi figli figurano
Tritone e Rodo. Ebbe culto non distinto da quello di Posidone. Il suo nome, di etimologia non chiara, va collegato con altri, nei quali
appare l'elemento τριτ (Tritone, Palude Tritonide, Tritogenea, ecc.), indicante forse la "corrente". Probabilmente era una delle
divinità preelleniche del mare, che, quando i Greci penetrarono nella penisola ellenica, venne accolta da essi, ma ebbe un posto di
secondaria importanza. Così si spiega come Omero nell'Iliade non sembri conoscerla, e nell'Odissea ne parli soltanto come di una
personificazione dell'elemento marino, senza una vera e propria figura. Allo stesso modo A. è concepita in maniera puramente
allegorica in molta parte della poesia greca e latina. Per conseguenza è tarda la sua identificazione con una delle Nereidi o delle
Oceanine, fatta in epoca in cui si cercò di mettere ordine tra i varî dei accolti nel complesso delle credenze e della religione greche.
Ad Anfitrite e Posidone si attribuiscono molti figli, fra cui, specialmente Tritone e Rodo. Anfitrite ebbe in varie città greche onore di
culto insieme col dio del mare, e veniva raffigurata come regina, o sopra un carro marino, o sopra animali marini. Celebre fu il dono
votivo fatto collocare da Erode Attico nel tempio di Posidone sull'Istmo di Corinto, in cui si vedevano A. e Posidone su di una
quadriga, accanto alla quale si trovavano Tritone, Palemone, le Nereidi, i Dioscuri, Galene (cioè la personificazione della calma del
mare) e altre divinità marine.
4 L’ira di Atena era stata provocata da Aiace di Oileo, che aveva usato violenza a Cassandra nel tempio della dea. La storia è nota
solo da fonti posteriori, ma forse una allusione è in Odissea, IV, 502.
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Fugge anche Diomede. Più tardi, dopo di loro, parte infine Menelao, che raggiunge gli altri a Lesbo. Qui a
Lesbo coloro che erano già arrivati stavano meditando quale via tenere per il resto del viaggio: passare
sopra la rocciosa Chio, verso l’isola Psiría, tenendosela a sinistra; o passare sotto Chio, doppiando il
ventoso capo Mímante. Chiedono ad un dio di mostrar loro un prodigio per aiutarli a prendere una
decisione. Il prodigio si manifesta, e li spinge a passare nel mezzo, in direzione dell’Eubèa, per la via più
breve.
Le navi viaggiano veloci, e nella notte sono a Geresto, in Eubèa. Hanno percorso per mare molta strada,
e decidono di sacrificare a Poseidone, offrendogli molte cosce di tori. Il quarto giorno poi i compagni di
Diomede possono infine ancorare le loro navi ad Argo. Nestore prosegue fino a Pilo. Per tutta la durata
del ritorno il vento non smette mai di soffiare. Quindi lui è rientrato senza avere alcuna notizia degli altri
Achei: non sa chi si sia salvato e chi nel ritorno abbia trovato la morte. Da quando però è arrivato nel
suo palazzo, ha potuto raccogliere delle notizie, e quelle non gliele nasconderà.
Ha notizie che sono ben rientrati i Mirmídoni, guidati dal figlio di Achille (Neottolemo). È anche arrivato
bene Filottète, figlio di Peante. Idomenèo ha ugualmente potuto ricondurre tutti i suoi compagni a
Creta. Della sorte di Agamennone ha sicuramente avuto notizia anche Telemaco: ha sicuramente saputo
della fine che gli preparato Egisto. Ma anche Egisto ha pagato: fu un bene che fosse rimasto in vita un
figlio di Agamennone, perché uccisse a sua volta l’assassino del padre. Nestore augura poi a Telemaco,
che vede bello e gagliardo, di essere forte, perché ci siano ancora dopo di lui nipoti a lodarlo.
La risposta di Telemaco: davvero Egisto ha pagato, e gli Achei spargeranno la fama di questi eventi, che
sarà anche per coloro che verranno materia di poemi. Se anche gli dèi potessero mettergli in corpo
altrettanta potenza, e lui potesse vendicarsi dei pretendenti ! Ma gli dèi non hanno riservato altrettanta
gioia né a lui né a suo padre: occorre quindi subire.
[…] καί οἱ Ἀχαιοὶ
οἴσουσι κλέος εὐρὺ καὶ ἐσσομένοισι πυθέσθαι:
[…] e gli Achei larga fama
Ne spargeranno, anche ai futuri materia di canti.
Nestore (cavaliere gerenio) risponde: visto che è lo stesso Telemaco a parlargliene, è vero che anche lui
ha avuto notizie di molti pretendenti alla mano di sua madre che compiono azioni non giuste nella sua
casa, contro la sua volontà. Forse Telemaco si è fatto piegare ? Il popolo di Itaca, in conseguenza di
qualche responso divino, lo odia ? Chissà se un giorno Odisseo potrà ritornare in patria e, o lui da solo, o
tutti insieme gli Achei, potranno vendicare queste violenze.
Se Atena volesse proteggere Telemaco come nella terra dei Teucri proteggeva Odisseo, e se volesse
amarlo e prenderlo a cuore allo stesso modo, allora sicuramente qualcuno di quei pretendenti potrebbe
scordarsi per sempre il giorno delle nozze ! Nestore infatti non ha mai visto nessun dio amare in modo
così aperto un mortale, come Pallade Atena amava e stava vicino ad Odisseo.
Telemaco è sicuro che una cosa del genere non possa mai avvenire: Nestore gli ha augurato una cosa
troppo grande. Una cosa del genere non avverrà mai, neanche se lo volessero i numi.
Interviene però Atena: quale empietà ha mai detto Telemaco (Τηλέμαχε, ποῖόν σε ἔπος φύγεν ἕρκος
ὀδόντων) ! Per un dio è facile salvare un mortale, se lo vuole. Anche se il mortale è lontano. E gli dice
che preferirebbe sicuramente arrivare a casa e vedere la fine del suo ritorno, anche dopo aver sofferti
molti dolori, piuttosto che morire davanti al suo focolare, come Agamennone è morto per mano di
Egisto e di sua moglie. Certo però nemmeno gli dèi possono allontanare da un uomo la sua morte, anche
se lo amano, nel giorno il cui la Moira5 decide di colpirlo.
ἀλλ᾽ ἦ τοι θάνατον μὲν ὁμοίιον οὐδὲ θεοί περ
καὶ φίλῳ ἀνδρὶ δύνανται ἀλαλκέμεν, ὁππότε κεν δὴ
μοῖρ᾽ ὀλοὴ καθέλῃσι τανηλεγέος θανάτοιο.
Poemi
Citazione
Citazione
Certo, la morte crudele nemmeno gli dèi
Possono allontanarla da un uomo, anche amato, nel giorno
Che Moira funesta di morte lungo strazio lo colga.
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Moire (gr. αἱ Μοῖραι) Le dee del destino nella mitologia greca. In Omero la M. è una sola, ma già in Esiodo sono tre: Cloto, la
‘filatrice’ della vita; Lachesi, la ‘fissatrice della sorte’ toccata all’uomo; Atropo, la ‘irremovibile’ fatalità della morte. Sono figlie di
Zeus e di Temi; secondo un’altra genealogia sono figlie della Notte. Presiedono ai tre momenti culminanti della vita umana: nascita,
matrimonio, morte. La ineluttabilità cieca delle M. è come una forza che frena il potere degli dei, espressione della fissità delle leggi
fisiche e morali, come appare in Eschilo, soprattutto nell’Orestea, e anche in Sofocle. Successivamente i Greci concepirono il
destino come placabile per mezzo dell’espiazione, specialmente con il diffondersi delle religioni misteriche e con l’orfismo. Le M.
ebbero culto dovunque. Esse rassomigliano alle Chere senza divenire, come quelle, demoni violenti e sanguinari. A Roma furono
dette Parche.
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Risponde ancora Telemaco, prudente: chiede a Mèntore di non dire più cose simili, per quanto tutti
siano afflitti. Per Odisseo non c’è più speranza di ritorno: a lui gli dèi e la tenebrosa Chera hanno già
assegnato un destino di morte. Ha però ancora una cosa da chiedere a Nestore: superiore agli altri in
giustizia e sapienza, in quanto si dice regni già sulla terza generazione di concittadini. Lo si direbbe quasi
un immortale. Nestore sa qualcosa di come morì Agamennone ? Di dove si trovasse Menelao ? Di come
abbia potuto Egisto uccidere uno come Agamennone, tanto più forte di lui ? O forse non l’ha ucciso ad
Argo, in Acaia ?
Nestore gli risponde: gli racconterà tutto, ma sicuramente Telemaco ha già capito da solo come è andata
la cosa. Sicuramente se Menelao tornando da Troia avesse trovato Egisto vivo nel palazzo, l’avrebbe
ucciso, e su di lui non avrebbe nemmeno versato la terra del tumulo: cani ed uccelli l’avrebbero divorato
su una piana lontano dalla città, e nessuna delle Achee lo avrebbe pianto, tanto la sua colpa era grande.
Mentre loro erano a Troia a combattere, Egisto se ne stava in pace, lontano dalla guerra, ad Argo, ed
incantava a parole la moglie di Agamennone (Clitemnestra).
Dapprima Clitemnestra rifiutava di compiere orribili azioni. Era ben disposta verso Agamennone, e le era
vicino il cantore6 (πὰρ δ᾽ ἄρ᾽ ἔην καὶ ἀοιδὸς ἀνήρ, ᾧ πόλλ᾽ ἐπέτελλεν Ἀτρεΐδης Τροίηνδε κιὼν
ἔρυσασθαι ἄκοιτιν) che Agamennone aveva lasciato partendo per Troia, raccomandandogli di
sorvegliargli la sposa.
Ma quando la Moira divina irretisce infine Egisto, egli conduce il cantore su uno scoglio deserto e lo
abbandona, preda e cibo degli uccelli. Quindi, lei consenziente, si porta Clitemnestra a casa. E offre molti
sacrifici agli dèi: non avrebbe mai immaginato di riuscire a tanto !
Nel frattempo – Nestore continua il suo racconto – lui stesso con Menelao ritornano da Troia, fidandosi
della reciproca amicizia. Quando però arrivano a Capo Sunio, il capo d’Atene, Apollo (Febo) uccide con le
sue dolci, miti frecce (ἔνθα κυβερνήτην Μενελάου Φοῖβος Ἀπόλλων οἷς ἀγανοῖς βελέεσσιν ἐποιχόμενος
κατέπεφνε) Fronti Onetoríde, nocchiero di Menelao, il più abile nel guidare una nave in tempesta.
Menelao deve allora fermarsi, per quanto gli premesse il cammino, per seppellire il compagno e
compiere i riti funebri.
Quando poi arriva anche lui al Capo Malea, Zeus fa mutare le condizioni del mare: gli fa trovare una
tempesta terribile. La tempesta taglia in due la flotta, e sbatte alcune delle navi contro Creta, dove
vivono i Cígoni, sulle correnti del Giàrdano. All’entrata del porto di Gòrtina, in mezzo al mare, c’è una
rupe liscia e a picco sull’acqua: il Noto soffia contro la punta sinistra della rupe, verso Festo, spingendovi
grandi onde. Questa piccola rupe contrasta le onde spinte dal Noto. Le navi vengono quindi spinte a
forza verso la rupe: gli uomini evitano a stento la morte, ma le ondate fracassano le navi contro questo
scoglio. Tutte tranne cinque, che il vento e il mare spingono verso l’Egitto. Menelao si trova su una di
queste navi. Mentre egli è là con le sue navi, e nei suoi vaggi raccoglie oro e ricchezze, Egisto medita i
suoi misfatti. Dopo aver ucciso Agamennone regna per sette anni su Micene (ricca d’oro, πολυχρύσοιο
Μυκήνης), opprimendo il suo popolo. L’ottavo anno giunge Oreste, di ritorno da Atene, ed uccide Egisto.
Dopo averlo ucciso, celebra una cena funebre con gli Argivi, per Clitemnestra ed Egisto. Proprio in quel
giorno sopraggiunge anche Menelao, con le navi piene di tesori.
Nestore invita poi Telemaco a non restare troppo a lungo lontano da casa: rischia che i pretendenti
divorino tutti i suoi beni e si spartiscano quello che resta, rendendo così inutile il suo viaggio. Lo esorta
comunque a passare da Menelao, che è appena ritornato in patria da un viaggio dal quale nessun’altro
spererebbe di ritornare, se vi fosse spinto dalle tempeste. Ci vada con la sua nave e i suoi compagni. Ma
se vuole andare per terra, cocchio e cavalli sono a sua disposizione, e i suoi figli gli faranno da guida fino
a Lacedèmone, dove abita Menelao. Potrà chiedere a lui quello che vuole sapere, e lui gli dirà quello che
sa, e non gli mentirà.
Nestore ha finito di parlare. Il sole tramonta e scende la notte.
Interviene Atena: riconosce che Nestore ha detto cose interessanti. Invita però tutti ad interrompere la
discussione e a libare a Poseidone e agli altri dèi. Dopo aver libato, tutti pensino al riposo: è ormai tardi.
È buio, e conviene terminare il banchetto.
Tutti fanno come lei consiglia. Gli araldi versano acqua sulle mani, i giovano riempiono di vino i crateri,
quindi ne distribuiscono tra i convitati. Gettano le lingue sul fuoco e libano levandosi in piedi. Dopo aver
libato e bevuto quanto desiderano, Atena e Telemaco vorrebbero ritornare sulla nave. Nestore risponde
loro che non vuole lasciarli andare: andarsene equivarrebbe a considerarlo un povero che non abbia di
che far dormire i suoi ospiti presso di lui. Ma lui ha mantelli di lana e tappeti per farli dormire: Telemaco
non si stenderà mai a dormire sul castello di una nave finchè c’è lui e ci saranno i suoi figli.
Questo aedo sembra essere un personaggio molto più importante degli cantori che compaiono nell’Odissea, e che sembrano
semplici artigiani (XVII, 385). Forse questa era effettivamente la posizione dei cantori di corte in età micenea: gli aedi dei secoli
successivi ne conservano forse solo più il ricordo per orgoglio di corporazione.
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Risponde Atena: quello che ha detto Nestore è giusto. Telemaco rimarrà, mentre Atena rientrerà sulla
nave: è infatti il più vecchio sulla nave. Farà coraggio ai compagni e racconterà loro ogni cosa: sono
infatti giovani nobili, coetanei di Telemaco, che li seguono per amicizia. Dormirà sulla nave, perché la
mattina deve recarsi tra i Càuconi, per un vecchio debito di una certa entità. Telemaco viaggerà il giorno
dopo con cocchio e veloci cavalli, accompagnato da uno dei suoi figli.
Dopo aver detto questo, Atena se ne va: ha l’aspetto di un’aquila. Tutti sono presi da stupore. Nestore
prende la mano di Telemaco e gli parla. Telemaco non sarà mai né vile né debole, pur essendo giovane,
perché ha la protezione degli dèi. Quella che se n’è appena andata è Atena (la Tritoghènia 7 gloriosa,
κυδίστη Τριτογένεια), adorata da Odisseo. Nestore chiede dunque ad Atena di essergli propizia, e di dar
gloria a lui stesso, ai suoi figli e alla sua sposa. Le promette di sacrificarle una giovenca dalla larga fronte,
di un anno, non doma, mai aggiogata, dopo averle vestito d’oro le corna. Atena ode la sua preghiera.
Nestore, il cavaliere gerenio (Γερήνιος ἱππότα Νέστωρ), guida figli e generi alla sua casa: qui si siedono
in fila su seggi e su troni (κατὰ κλισμούς τε θρόνους τε). Per loro Nestore mesce un vino dolce, di undici
anni (ne scioglie la chiusura all’undicesimo anno). Molto prega Nestore, libando con questo vino. Libato
e bevuto, ciascuno se ne va alla sua casa per dormire. Nestore fa dormire presso di sé Telemaco: su un
letto a trafori (τρητοῖς ἐν λεχέεσσιν) presso il portico che risuona (ὑπ᾽ αἰθούσῃ ἐριδούπῳ). Accanto a lui
dormirà Pisístrato, il più giovane tra i suoi figli, quello che abitava ancora in casa. Lui dorme nel palazzo,
dove la sposa e regina gli prepara il giaciglio.
All’alba (ἦμος δ᾽ ἠριγένεια φάνη ῥοδοδάκτυλος Ἠώς), Nestore si alza, e si siede sulle pietre collocate
davanti alle porte del palazzo: pietre bianche, lucide di grasso. Prima di lui su quelle pietre sedeva
Nelèo: dopo la sua morte, è lui a sedervi. Tiene lo scettro. Accanto a lui, usciti dalle loro stanze, si
stringono i suoi figli: Stratío, Echèfrone, Persèo, Àreto e Trasímede. Sesto arriva Pisístrato conducendo
Telemaco.
Inizia a parlare Nestore. Prima di tutto chiede ai figli di compiere il voto per propiziare Atena, che venne
in forma visibile al loro banchetto. Uno andrà nei campi a procurare la giovenca. Un altro andrà alla nave
di Telemaco, e condurrà tutti i compagni, tranne due. Un altro ancora farà venire l’orefice Laèrce, per
vestire d’oro le corna della giovenca. Agli altri ordina di rimanere uniti, mentre in casa le schiave
prepareranno un banchetto, con seggi e sgabelli, e porteranno l’acqua.
Si eseguono gli ordini di Nestore. Arriva la giovenca, ed arrivano dalla nave i compagni di Telemaco.
Arriva anche l’orefice, con gli strumenti dell’arte in bronzo – il martello, l’incudine e le tenaglie – con cui
lavorava l’oro. Arriva anche Atena, a presenziare il rito. Nestore fornisce l’oro, e l’orefice lo usa per
ornare le corna della giovenca, così che Atena goda nel vedere l’ornamento.
[…] ἦλθε δὲ χαλκεὺς
ὅπλ᾽ ἐν χερσὶν ἔχων χαλκήια, πείρατα τέχνης,
ἄκμονά τε σφῦραν τ᾽ ἐυποίητόν τε πυράγρην,
οἷσίν τε χρυσὸν εἰργάξετο […].
Sacrificio
L’orefice
Citazione
[…] venne l’orefice,
avendo in mano gli arnesi di bronzo, strumenti dell’arte,
il martello, l’incudine e le tenaglie ben fatte,
con cui lavorava l’oro […].
Stratío ed Echèfrone tirano la giovenca per le corna. Àreto porta dalle stanze il lavacro in un lebete
fiorato, e nell’altra mano i chicchi d’orzo in un cesto. Trasímede ha la scure affilata, ed è pronto ad
uccidere la giovenca. Persèo reca la pàtera. Nestore inizia con il lavacro e con i chicchi di grano: molto
prega Atena offrendo le primizie e gettando i peli del capo sul fuoco. Dopo aver pregato e gettato i
chicchi d’orzo, Trasímede copisce. La scure tronca i muscoli del collo, e la giovenca crolla a terra
perdendo le forze. Gridano le donne: le figlie, le nuore e la sposa di Nestore, Euridice, la maggiore delle
figlie di Clímeno.
Tritoghènia o Tritogenia. Il significato del termine non è chiaro: composto con γίγνομαι nel significato di ‘nascere’.
Trito-born, a name of Athena, Il.4.515, 8.39, Od.3.378, Hes.Th.895,924, IG14.1389ii 1. (Variously expld. in antiquity, from the lake
Τριτωνίς in Libya, from which an old legend represents the goddess to have been born, E.Ion872 (anap.), cf. Hdt.4.180; or from
Triton, a torrent in Boeotia, Paus.9.33.7, cf. Apollod.1.3.6; or from a spring in Arcadia, Paus.8.26.6; or from τριτώ, Aeol. word for
κεφαλή (Sch.Ar.Nu.985, Tz.ad Lyc.519; Athamanian acc. to Nic.(Fr.145) ap.Hsch.), i.e. head-born; or, born on the third day of the
month, Ister 26 (the 23rd, τρίτῃ φθίνοντος, Sch.BT Il.8.39); or, the third child after Apollo and Artemis, Suid. s.v. τριτογενής; or, as
representing Nature, born thrice in the year, D.S.1.12; or because she was author of the three main bonds of social life,
Democr.1b,2.)
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Sollevano la giovenca, mentre Pisístrato la sgozza. Dalla giovenca fluisce via il sango nero, mentre la vita
abbandona le ossa. Subito la giovenca viene squartata, le cosce vengono tagliate e ricoperte di grasso,
ripiegandolo, e sopra si dispongono le primizie. Nestore cuoce sulla catasta le coscie, versando sopra
vino; i giovani intorno hanno forche in mano. Quando le cosce sono arse, mangiono i visceri: fanno il
resto a pezzi e lo mettono sugli spiedi, quindi arrostiscono i pezzi. Intanto Policàste, la figlia più giovane
di Nestore, figlio di Neleo, lava Telemaco e lo unge di olio, quindi lo fa vestire di una tunica e di un
mantello: esce dal bagno bello come un dio e va a sedersi vicino a Nestore.
Cotte le carni dei terghi, le sfilano dagli spiedi e banchettano seduti: bevono vino in calici d’oro sempre
riempiti. Quando hanno mangiato e bevuto a sazietà, Nestore parla: ordina di scegliere i cavalli e
attaccarli al carro.Gli uomini obbediscono, e la dispensiera pone sul carro pane e vino per il viaggio, e i
cibi che mangiano i re. Quindi Telemaco e Pisístrato salgono sul carro. Il figlio di Nestore prende le redini
e frusta i cavalli, che partono veloci e lasciano Pilo.
Viaggiano tutto il giorno. Al tramonto giungono a Fere, e pernottano in casa di Díocle, figlio di Ortíloco,
figlio di Alfèo. All’alba aggiogano di nuovo i cavalli e ripartono. Il cavalli corrono per tutto il giorno,
attraversando pianure fertili coltivate a grano. I cavalli sono molto veloci e compiono il cammino
previsto. Arriva quindi il tramonto, e tutte le vie si oscurano.