Milano Finanza Inchiesta 14 15 Agosto 2014 Gli investimenti di Pechino a Piazza Affari rientrano nell’ambito della diversificazione geografica e valutaria delle riserve. Ma sono anche uno strumento per ingraziarsi l’establishment di un Paese intimorito dalla presenza del big asiatico cinesi in italia/1 La strategia del 2% di Andrea Pira È una questione di zero virgola, al massimo di un decimale. Quanto basta comunque per far sapere che la Cina in Italia c’è e investe, tanto da essersi messa in portafoglio partecipazioni per circa 4,8 miliardi di euro, più o meno l’1% della capitalizzazione di Piazza Affari. Tutte poco sopra il 2%, soglia oltre la quale scatta la comunicazione Consob sulle partecipazioni rilevanti, che preparano la strada alla prossima standosi al settore finanziario, in Generali con il 2,014%. «Queste mosse della PboC vanno interpretate come piccoli segnali che la Cina è presente nei mercati internazionali (in parte anche per via del Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti) e che sarebbero pronti a fare ulteriori acquisti. La Cina si muove sempre con passo felpato e questi ritocchi Li Keqiang vista in Italia del primo ministro Li Keqiang, in agenda a ottobre, quando saranno trascorsi appena quattro mesi del viaggio di Matteo Renzi oltre la Grande muraglia. Ed ecco che da una parte il Paese si dimostra appetibile per gli investitori esteri, quasi a rimarcare quel «C’è fame d’Italia» pronunciato mercoledì 13 dal presidente del Consiglio in visita ai cantieri di Expo 2015. Dal canto suo la Repubblica popolare continua nella strategia di diversificazione e investe con una logica cinese, a lungo periodo, in settori che spaziano dall’energetico alla finanza, nei quali può acquisire competenze e tecnologia. A marzo, quando dalle comunicazioni dell’autorità di vigilanza della Borsa emerse che la People’s Bank of China era entrata in possesso del 2,102% di Eni e del 2,071% di Enel, si iniziò a riflettere sulla possibilità che Pechino cominciasse a rivolgere le proprie attenzioni su società italiane dalle caratteristiche particolari. Così è stato. Tra giugno e i primi di agosto la banca centrale cinese ha reso noto di essere salita oltre il 2% in Fiat (2,001%), Prysmian (2,018%), Telecom Italia (2,081%) e da ultimo, spo- delle partecipazioni rientrano in questo tattica», spiega Michele Geraci, professore di finanza alla Zhejiang University e all’università di Nottingham, «Attenzione però a non farsi prendere dall’entusiasmo e credere che la Cina sia pronta a mettere mano al portafoglio in maniera indiscriminata. I cinesi sono investitori prudenti, che hanno subìto scottature in passato e quindi, sono ancora più attenti a non commettere errori. Va ricordato che la Cina ha un debito/pil complessivo (debito pubblico più debito privato, aziendale e personale) del 250%, o forse più, lo stesso livello dell’Italia! Quindi devono stare molto attenti». A cavallo tra luglio e agosto è arrivata anche la firma dell’accordo per la cessione al gigante delle utility State Grid of China del 35% di Cdp Reti, che a sua volta controlla il 29% di Terna e il 30% di Snam (i cinesi avranno circa il 10% delle due società). Un accordo da 2,1 miliardi di euro, che rivitalizza il piano di privatizzazioni del governo e dà l’opportunità a Cassa depositi e prestiti di tessere legami con le controparti cinesi. Con questa prospettiva la società guidata dall’amministratore delegato, Giovanni Gorno Tempini, e dal presidente Franco Bassanini hanno ricevuto un invito ad aprire un ufficio permanente a Pechino. La voglia cinese di Italia ricalca quella crescente di Europa, al centro di una recente analisi della Dagong Europe. L’opportunità di diversificare la valuta e la geografia degli investimenti cinesi fa da traino alle previsioni di crescita della presenza di Pechino nel Vecchio Continente. C’è poi il sempre maggiore ruolo per gli investitori privati, che si possono accodare alle grandi aziende di Stato e alle istituzioni. Ma, come ricorda Geraci, «la Cina si muove in blocco, fa sistema Paese. La sequenza cronologica non è fondamentale, dal momento che quasi tutti i movimenti di investimento sono decisi all’unisono». Un altro fattore d’interesse è rappresentato dalle regole più rigide stabilite dagli Stati Uniti per gli investimenti cinesi dirottati quindi verso altre mete. Già nel 2011 l’Europa rappresentava la terza destinazione per gli investimenti diretti esteri cinesi, dietro l’Asia e l’America Latina. Gli stock di capitale sono passati dai 6,3 miliardi del 2009 ai 20 miliardi del 2011, anno in cui il flusso di investimenti è stato di circa 7 miliardi. L’Italia si colloca tra i primi dieci Paesi, nella classifica dominata da Lussemburgo, Francia, Gran Bretagna e Germania, ossia le piazze finanziarie che si contendono il ruolo di hub europeo per l’internazionalizzazione dello yuan. Secondo Dagong Europe ci sono ancora margini di crescita, ma un’analisi più approfondita è rimandata ai prossimi mesi. L’attivismo della People’s Bank of China tra le quotate italiane ha però anche un altro fine. Come spiega Alberto Forchielli, socio fondatore del fondo Mandarin Capital Partners e presidente di Osservatorio Asia, si tratta di un’operazione di soft power. La PboC è presente ovunque, senza che questo sia reso noto. Le partecipazioni italiane sopra il 2% hanno lo scopo di far conoscere la presenza di Pechino nell’azionariato. È un modo per guadagnare consenso. Secondo un sondaggio pubblicato a luglio dall’istituto Pew, il 70% degli italiani vede di cattivo occhio la Cina e il 75% degli intervistati ritiene che la crescita economica cinese sia un male per l’Italia. Anche in vista della visita del premier Li, la strategia dei 2% serve quindi a ingraziarsi l’opinione pubblica, (riproduzione riservata) Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/cina Milano Finanza 15 Dopo Cdp Reti, ora Pechino punta su Grecia e Spagna Così potrà contare su un network energetico europeo. Ma cerca anche know how, come mostrano il deal Ansaldo e gli accordi con Enel e Sogin cinesi in italia/2 di Luisa Leone E ni, Enel, Terna, Snam, Ansaldo Energia e Prysmian. C’è tutta l’energia d’Italia nel portafoglio messo insieme negli ultimi mesi dal governo cinese tramite le sue controllate industriali e finanziarie. D’altronde la fame di Pechino per gli investimenti in energia non è certo un segreto e pare proprio che nella Penisola, e più in generale in Europa, i cinesi abbiano trovato una ricca fonte a cui abbeverarsi. Al punto che presto il Dragone potrebbe riuscire nell’impresa di creare una sorta di rete europea dell’elettricità, dal Portogallo alla Grecia, passando per la Spagna e naturalmente per l’Italia. A centrare l’obiettivo potrebbe essere State Grid Corporation of China, il gigante mondiale delle utility (in quanto a ricavi) nonché operatore della rete elettrica cinese (che serve oltre 1 miliardo di abitanti). Il colosso dell’energia, per altro, non è attivo solo in Europa ma possiede anche partecipazioni nelle reti elettriche di Brasile, Australia e Filippine, per un totale di oltre 17 miliardi di euro di asset sparsi per il mondo. Nel Vecchio Continente il gruppo guidato dal Liu Zhenya ha mosso i primi passi in Portogallo nel 2012, approfittando della privatizzazione dell’operatore di rete lusitano Ren, mentre solo qualche settimana fa si è aggiudicata il 35% di Cdp Reti, la holding di Cassa depositi e prestiti che ha in pancia il 30% di Snam e che custodirà anche il 29,8% di Terna. Ed ecco le prime due bandierine sullo scacchiere elettrico Ue, a cui potrebbero presto aggiungersene altre, visto che il gruppo è in corsa anche per la privatizzazione della rete greca, di cui Atene ha messo a gara il 66%, e per la quale corre anche Terna. Italia e Grecia sono già connesse (dal 2001) da un cavo sottomarino, una delle ragioni per le quali anche gli italiani han- La ragnatela elettrica no deciso di partecipare alla gara per aggiudicarsi il controllo dell’operatore Admie. Ma non solo. I cinesi avrebbero gli occhi anche sulla rete spagnola di Eon, che il gruppo tedesco ha messo in vendita come molti altri asset in Europa, compresa l’Italia. Se questi due colpi dovessero andare a buon fine, e non è una ipotesi remota visto che i cinesi hanno buone munizioni e non richiedono ritorni elevatissimi, la tela di Sgcc sarebbe completa e si estenderebbe davvero per tutta l’Europa, da Est a Ovest. È vero che per ora gli asset in pancia sono solo due e che comunque le quote detenute sia in Terna sia in Ren sono di minoranza, ma il poker, se riuscisse, farebbe sensazione. In attesa di conoscere le prossime mosse sullo scacchiere euro- Liu Zhenya ro che ha messo sul piatto 2,1 miliardi di euro per «la minoranza di una minoranza», come l’ha definita il presidente di Cassa, Franco Bassanini, ma è anche vero che per i cinesi non sembra trattarsi di un investimento finanziario: «Grazie alla propria competenza nello sviluppo delle reti energetiche, alla tecnologia all’avanguardia e alla rilevante esperienza nella gestione delle reti stesse, Sgcc si aspetta ottimi risultati dalla partnership con Cdp Reti. Il rapporto di collaborazione contribuirà ad aumentare il valore di Cdp Reti, di Terna e di Snam, concorrendo allo sviluppo sociale ed economico del Paese», si legge nel comunicato diffuso da State Grid of China in occasione della firma dell’accordo. Per altro i cinesi avranno diritto non solo di nominare due membri su sei del consiglio di amministrazione di Cdp Reti, ma anche di indicare un consigliere sia in Snam sia in Terna. E se si pensa che l’investimento è costato quanto alla People’s Bank of China acquistare poco più del 2% di Eni ed Enel, non si può certo dire che Sgcc si sia mossa in E Pechino voleva finanziare anche il Ponte e fosse stato per i cinesi il ponte sullo Stretto di S Messina si sarebbe fatto, e come. Considerando la loro celerità, magari qualche campata sareb- «C’è un memorandum of understanding», spiegava Ciucci nel corso di un’audizione parlamentare sul Ponte nell’inverno del 2012, «non è un contratbe già lì, nel tratto di mare tra Sicilia e Calabria. to o un impegno, ma testimonia un sentiment di Ma il Ponte è stato archiviato dal governo gui- interesse del mercato». Il manager, per meglio dato da Mario Monti, che circostanziare l’inteha avviato la liquidazione resse, aggiunse: «C’è Il rendering del Ponte della società promotriun verbale fatto alla sullo Stretto di Messina ce del progetto, la Stretto fine di un incontro che di Messina. Ciò non toc’è stato a Istanbul in glie che nel 2012, come cui si afferma l’inteha rivelato l’allora amresse a realizzare» il ministratore delegato di ponte sullo Stretto. Stretto di Messina (anIn realtà, secondo incora oggi numero uno discrezioni, i cinesi dell’Anas) Pietro Ciucci, un gruppo cinese si era si sarebbero si offerti, ma sul tavolo avrebbero offerto di realizzare l’opera. In particolare per messo anche la richiesta che per la realizzaziol’opera multi-miliardaria (costo circa 8 miliardi ne dell’opera ci si approvvigionasse di materiali di euro) era scesa in pista la società di costruzio- anche dalla Cina. Insomma, una disponibilità ni China communication costruction company. con qualche interesse particolare. Oro, la domanda crolla del 52% china desk peo, di certo c’è che in Italia State Grid ha messo a segno un colpo molto significativo alleandosi con Cassa depositi e prestiti e sbaragliando la concorrenza del fondo pensione australiano Ifm, che correva anch’esso per una minoranza di Cdp Reti. È ve- Crolla nel secondo trimestre la domanda di oro in Cina, in calo del 52%. A influire sulla richiesta cinese di lingotti, monete e gioielli è stata la campagna anti-corruzione lanciata dalle autorità centrali. Il calo registrato sui due mercati principali, quello cinese e quello indiano, ha avuto ripercussioni sull’intera domanda globale, che si è ridotta del 16% annuo a 963,8 tonnellate. Pesante la contrazione del solo capitolo gioielli, con i consumi che tra aprile e giugno sono diminuiti del 30% a sole 509,6 tonnellate. Nella sola Repubblica popolare la flessione è stata del 45%, secondo i dati dell’ultimo rapporto del World Gold Council. Inchiesta 15 Agosto 2014 modo maldestro. Come ha sicuramente giocato bene le sue carte anche un altro gruppo industriale cinese, Shanghai Electric corporation, che in primavera ha acquistato dal Fondo Strategico della Cassa Depositi e prestiti il 40% del produttore di turbine Ansaldo Energia. In questo caso l’accordo prevede esplicitamente anche la costituzione di due joint venture per la produzione di turbine a gas destinate ai mercati asiatici e lo sviluppo di un centro di ricerca e sviluppo a Shanghai. Proprio quello che i cinesi cercano: know how avanzato e competenze all’avanguardia per la loro sete di energia. Infine Pechino ha dimostrato di essere al passo con i tempi coltivando, nel campo dell’energia, anche le fonti rinnovabili e le soluzioni ecosostenibili, considerate il futuro del settore. Lo scorso aprile Enel ha siglato, sempre con State Grid un accordo per la cooperazione nel campo delle tecnologie smart grid, «per lo sviluppo urbano sostenibile e lo scambio di esperienze nella generazione di energia da fonti rinnovabili», si legge nel comunicato che annunciava il memorandum of understanding firmato a Pechino. Infine, il cerchio si chiude con il la fine del ciclo di vita degli impianti. E anche in questo i cinesi hanno dimostrato di apprezzare l’esperienza italiana: a giugno, in occasione della visita del premier Renzi nel Paese, la China general nuclear power group e la Sogin hanno firmato un accordo di collaborazione nel settore del decommissioning nucleare. (riproduzione riservata) Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/energia Il Papa ringrazia Pechino In calo gli utili di China Mobile Per la prima volta un aereo papale ha potuto sorvolare la Cina. Pechino ha ufficialmente concesso al volo diretto a Seul il permesso di attraversare il proprio spazio aereo. Francesco ha inviato al presidente Xi Jinping «i migliori auguri di pace e benessere». Profitti in flessione per un gruppo che finora in Cina non aveva fatto che crescere. Gli utili netti di China Mobile, numero uno mondiale della telefonia mobile, arretrano dell’8,5% nel primo semestre, con 57,7 miliardi di yuan (9,37 miliardi di dollari). Nel marzo scorso l’azienda ha riferito di una discesa del 6% dei profitti nel 2013, il primo calo da un decennio. Nel primo semestre il fatturato è cresciuto del 7,1% a 324,7 miliardi di yuan, mentre gli utenti avanzano del 6,8% a 760 milioni. a cura di Mariangela Pira www.milanofinanza.it/desk_china in collaborazione con
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