Vox Kantis - Liceo Ginnasio Immanuel Kant

Numero VI
Marzo 2014
Vox Kantis
Double Edition
Speciale!
Festa della donna
Disegno di Francesca Polverino, IIIAL
CONTENUTI
03 · SPECIALE! FESTA DELLA DONNA
05 · Espulsioni, attacchi e capriole ideologiche: tutte le contraddizioni del ms5
06 · La grande avventura
07 · Comenius: beyond the language
09 · L’arte della solidarietà
10 · Sulle ali della morte: la vera storia di alice domon
11 · Guardate il mondo sotto un altro aspetto
11 · Il filosofo e il vegetariano
13 · La grande bellezza
14 · La ragazza con l’orecchino di perla
14 · Concorso scacchi
15 · Un mare da sogno
16 · Bordeaux
17 · Il prezzo dell’illusione
20 · Cruciverba
1
EDITORIALE
In questo numero troverete (ahimé)
pochi articoli, ma vi accorgerete subito di quanto siano degni di nota.
Innanzitutto, terrei a sottolineare
l’omaggio di Giuditta Migiani a Lucia Ottobrini, compagna di Mario
Fiorentini, entrambi partigiani che
contribuirono in modo fondamentale alla storia della liberazione
italiana. In questo mese si renderà,
dunque, omaggio al 70° anniversario della strage delle Fosse Ardeatine che seguì, come rappresaglia
da parte dei nazisti, l’attacco partigiano di via Rasella. Tuttavia Lucia
Ottobrini ci appare, qui, nelle vesti
non solo di combattente che ebbe
un ruolo attivo nella Resistenza,
ma anche in quelle di donna-simbolo, pronta a farci riscoprire un
mondo di femminilità a quei tempi
soffocato e costretto tra le quattro
mura domestiche. Ma non aggiungo nulla di più, non vorrei rovinare
la piacevole spontaneità dell’intervista.
Proseguendo con ordine, per la cronaca interna, Martina Tomassini ci
fornisce un dettagliato resoconto
sul progetto Comenius che anche
quest’anno ha intessuto una rete
di amicizie tra ragazzi di nazionalità diverse dal 5 al 9 marzo, giorno
in cui l’iniziativa si è conclusa tra
la commozione generale degli studenti che vi hanno partecipato.
Anche Federico Pizzo ci parla di un
evento che ha avuto luogo nel nostro istituto il 28 febbraio: il tanto
atteso “K Factor”, organizzato dal
Progetto Camerun Kant e conclusosi con grande soddisfazione di partecipanti e organizzatori.
Per quanto riguarda la cronaca
esterna, il National Geographic
festeggia il suo 125° anniversario
con una mostra che, grazie alla
forza visiva delle sue fotografie,
ha affascinato e rapito lo sguardo
di migliaia di visitatori, tanto da
indurre gli organizzatori a prolungare l’esposizione fino al 13 luglio.
E se scorrerete le pagine, potrete
osservare che non mancano neanche le analisi politiche del nostro
Paese.
E qui terminano gli articoli di cronaca, ma solo per fare spazio alle
nostre rubriche e recensioni, tra
cui vorrei far notare quella de “La
grande bellezza” di Paolo Sorrentino che, come anche il telespettatore più distratto ha potuto constatare, ha disseminato vittorie in ogni
festival cinematografico sparso nel
mondo, fino a raggiungere la consacrazione nella serata degli oscar
2014.
Arianna Antonelli
Direttrice
Jessica Andracchio, IVCL
Redazione
Giuditta Migiani, IIIAL
Arianna Antonelli, IIIA
Marta Dibitonto, IA
Chiara Innocenzi, IA
Michelangelo Conserva, IC
Giulia Di Censi, IIID
Valeria Paris, IIID
Gabriele Ghenda, IIFL
Michela Sabani, IIIGL
Valentina Midolo, IA
Virginia Cenciarelli, IVAL
Daniela Movileanu, IA
Federica Sasso, IIIC
Professori referenti
Salvatore Alessi
Valerio Giannetti
Silvia Concetta Minniti
2
SPECIALE! FESTA DELLA DONNA
Eroine d’Italia
omaggio a
Lucia Ottobrini
L
Ho partecipato alla guerra di Liberazione, anzitutto per risollevare il
nostro paese dal baratro in cui era caduto per la follia guerrafondaia
del Fascismo. In quel momento occorreva unire tutte le forze intorno
all’obiettivo principale che era la guerra a fianco delle democrazie occidentali. Ho combattuto avendo al mio fianco carabinieri, graduati,
ufficiali, civili di idee liberali o socialiste, comunisti e democristiani,
preti ed ebrei, monarchici e repubblicani, tutti uniti dal comune intento di cacciare via i nazisti. Il Fascismo, il Nazismo, il Franchismo
erano modelli da respingere perché avevano calpestato le libertà e la
stragrande maggioranza dei partigiani si batteva per la libertà.
ucia è una simpatica donna
di 90 anni dai vivacissimi
occhi neri da cui traspare
ancora oggi una forza straordinaria.
Lucia Ottobrini nasce a Mulhouse, in
Gramsci, di cui diventa subito un’attiva protagoAlsazia, nel 1924. Sin dalla più tenera età si trova
nista. Mario e Lucia frequentano inoltre i magimmersa in un ambiente carico di tensioni, sogiori esponenti della cultura e dell’arte: artisti,
prattutto in ambito sociale. Era terribile quando
attori, registi, protagonisti del fermento culturale
dalle miniere di potassio venivano estratti i
italiano di quegli anni e di quelli a venire. Lucia,
caschi dei minatori rimasti là sotto e quando le
con i nomi di battaglia “Maria Fiori” e “Leda Lammanifestazioni dei lavoratori erano represse a
berti”, insieme a Mario e ai loro due compagni di
furia di bastonate dalle guardie a cavallo.
lotta Rosario Bentivegna e Carla Capponi, scrive
In questo clima di fermento e malcontento gene- tra le pagine più importanti della Resistenza
rale Lucia, già a quindici anni, prende in mano le
della guerra di Liberazione. La determinazione e
redini della propria vita: non ha neanche il diplo- il vigore che caratterizzano il suo contributo alla
ma di terza media, ma divora le opere della libre- guerra partigiana non l’hanno mai abbandonata.
ria domestica, in particolare quelle di letteratura
Subito dopo la Liberazione, Lucia e Mario celerussa e francese. A 16 anni, dopo essersi trasferita
brano le nozze e Lucia
a Roma con la sua numeviene accolta come una
rosa famiglia, trova lavoro
figlia dalla famiglia del
presso l’Ufficio valori del
suo compagno. QuanTesoro, contribuendo
do, dopo la Resistenza,
così al sostentamento
sposai Mario, in un cerfamiliare. Avevo poco
to senso la sua famiglia
perché davo tutto alla
mi adottò. Sua madre
mia famiglia, ma quello
e suo padre furono mia
che mi restava lo spenmadre e mio padre,
devo in cibo e libri. E a
ai quali, in punto di
Roma, una sera del 1943,
morte, promisi che mi
incontra Mario Fiorentini,
sarei sempre presa cura
un grintoso intellettuale
del loro figlio. E così è
comunista. Da quel mostato, dopo 67 anni di
mento non ci lasciammo
matrimonio, noi siamo
più. Fu una fiammata
ancora insieme.
che non si è mai spenta
E’ vero: dopo 67 anni
né attenuata. Fu subito
sono ancora una coppia
il mio ragazzo e il mio
affiatatissima.
compagno di tutta una
Oggi, però, Lucia non
vita. Con Mario entra
ama ricordare quei
nella Resistenza Romana,
momenti di sofferenza e
nel GAP centrale Antonio
di lotta: E’ terribile. La
Lucia Ottobrini nel 1942
3
SPECIALE! FESTA DELLA DONNA
guerra è morte... l’esperienza
più triste della mia vita.
E’ stanca di raccontare, soffermarsi nei ricordi rivivendo quel
dolore. Delle sue numerose e
importantissime azioni da partigiana, tra i principali momenti
della guerra di liberazione
italiana, preferisce non parlare
nei suoi scarni racconti.
Ma i suoi occhi sono ancora vivaci e rivelano una vitalità che
non si vuole arrendere.
Alla domanda: “Qual è il ricordo
più piacevole che hai di quegli anni?” lei risponde “La mia
vera fortuna è stata quella di
aver incontrato tanti uomini
e donne meravigliose, che ci
aiutato anche rischiando la
loro stessa vita”.
Lucia, medaglia d’argento al
valor militare, non è però solo
un’eroina della Resistenza. E’
anche, in assoluto, un’icona
femminile al di fuori del tempo.
E’ una donna coraggiosa, che
non si è fatta piegare o condizionare dal fatto di essere
donna in un’epoca, quella del
ventennio fascista, in cui alle
donne veniva riconosciuto
esclusivamente il ruolo di madre e casalinga.
In una società in cui, purtroppo
ancora oggi, le donne subiscono ogni tipo torto e discriminazione, Lucia è una figura
da celebrare. I suoi sacrifici, i
suoi dolori, la sua forza, la sua
determinazione, li ritroviamo
noi oggi nella libertà del nostro
Paese, che lei, Mario, Rosario,
Carla e gli altri hanno ottenuto
per mezzo di sangue e sudore,
mettendo in gioco la propria
vita.
“- Che cosa resta, in lei, di quel
periodo di lotta?”
“Una sensazione di aver fatto
poco e molto. Poco, perché
eravamo pochi. Molto, sempre
perché eravamo troppo pochi.
Con una speranza che è una
certezza: nella malaugurata
ipotesi che la cosa si ripetesse,
non saremmo più così pochi”
[Intervista rilasciata a Adris
Tagliabracci - «Il Contemporaneo», a. XI, n. 7 -dicembre
1964]
Senza di lei non sarei una persona civile: lei si occupa di me e
mi cura amorevolmente e quotidianamente. Ci siamo accettati
sempre per quello che eravamo,
per questo conviviamo amandoci da 66 anni. E’ il destino che ci
ha fatto incontrare. La mia Lucia
dice di me: ‘Mario è un aquilone;
io tengo i fili e lo riporto giù.’ Sì,
è esattamente così…”
Mario Fiorentini
Carla Capponi
[Dall’intervista di Cecilia Lugi a
Mario Fiorentini in “Ondanomala” – Il Giornale del Pilo Albertelli di Roma – Mag/Giu 2011
– Numero 5 – Anno IV]
— di Giuditta Migiani, IIIAL
Rosario Bentivegna
4
CRONACA ESTERNA
Espulsioni,
attacchi e
capriole
ideologiche:
tutte le
contraddizioni
del M5S
E
cco, ci risiamo. La
ghigliottina mediatica di Grillo, novello
Robespierre del XXI secolo,
torna a far rotolare altre teste.
Questa volta si sono ritrovati
nel mirino dell’ostracismo del
M5S Alessandra Bencini, Laura
Bignami, Monica Casaletto, Maria Mussini e Maurizio Romani,
i cinque senatori dimissionari
che si erano opposti all’espulsione – di pochi giorni prima
– di altri membri del partito
(Orellana, Battista, Bocchino…).
La pratica delle espulsioni,
bisogna dire, non è una novità,
anzi potrebbe essere annoverata tra le clausole contrattuali
del programma grillino. Se uno
si discosta leggermente dalla
5
linea politica del leader, o rivendica una timida autonomia
ideologica, viene immediatamente isolato e messo alla berlina. Lo stesso vale per i giornalisti, attaccati e denigrati solo
per aver espresso un proprio
giudizio sulle “purghe” grilline.
Quasi verrebbe da chiedersi
come concepiscono, i pentastellati, la libertà di espressione
e il diritto di cronaca. E pensare
che uno dei punti cardine del
loro manifesto è la democrazia
diretta del popolo. Ma come
è possibile
promuovere
un simile principio di sovranità popolare
quando la
democrazia
viene bandita
all’interno del
partito stesso?
Il controsenso
è evidente.
Negli ultimi tempi il M5S ha
seguito un’involuzione che
potrebbe quasi tenere testa
a quella giacobina. Quando
erano scesi in campo, i grillini vantavano un programma
avanzato e allettante soprattutto per gli elettori sfiduciati,
in prevalenza di sinistra, che
stavano varcando le soglie
dell’ateismo partitico. La lotta
alla corruzione, il piano ecologista della green economy, la
riduzione delle indennità per
i parlamentari costituivano un
programma alternativo, senza
compromessi, ben distinto da
quello degli altri partiti. Ma da
queste premesse, comunque
ancora propugnate, si è passati
a una serie di proposte che
CRONACA ESTERNA
strizzano l’occhio all’elettorato leghista. In primo luogo
l’atteggiamento di Grillo e del
suo esoterico guru Casaleggio
nei confronti degli immigrati,
quando ad esempio si sono
schierati contro l’introduzione
dello ius soli, il diritto che garantirebbe la cittadinanza agli
stranieri nati in Italia. Tuttavia
la presa di posizione che più
segue le orme dei proseliti
della Lega è, senza dubbio, la
dissoluzione del nostro Paese.
“Un’arlecchinata di popoli, di
lingue, di tradizioni che non
ha più alcuna ragione di stare
insieme”, così Grillo definisce
l’Italia. Per questo vagheggia
la formazione di macroregioni
sul modello atavico del Regno
delle due Sicilie o della Repubblica di Venezia. Se tutti gli eroi
risorgimentali, morti per l’Unità
d’Italia, avessero saputo che
fine avrebbe fatto il Paese per
cui stavano dando la vita, probabilmente avrebbero appeso
le armi al chiodo e preferito di
gran lunga una salutare bevuta
in osteria.
Distruggere tutto per ricostruire dalle fondamenta. Questa è
l’ideologia di fondo del Movimento 5 Stelle. Eppure non
capiscono, Grillo, Casaleggio, Di
Battista, che l’Italia non è un’araba fenice. Dalle ceneri non
rinascerà niente, ma resteranno
solo macerie.
— di Arianna Antonelli, IIIA
La grande
avventura
F
in dalla sua
prima comparsa sulla Terra
4,5 milioni di anni fa,
l’uomo è stato pervaso
da un’insaziabile sete
data il 27 gennaio 1888 da 33
di conoscenza e ardente
scienziati e intellettuali, riunitisi
desiderio di esplorare nuoprecedentemente il 13 gennaio
vi mondi, conoscere realtà
al Cosmos Club di Washington.
diverse, entrare a contatto
Il suo scopo è quello, come ha
con usi e costumi differenti
affermato John Fahey, di indurdai propri, scoprire specie
re l’umanità a prendersi cura
animali e vegetali, viaggiare
del proprio paese e
nelle regioni più
a divenire consape“Poter gettare
inospitali e selvagvoli del fatto di non
ponti che scavalge, fino ai confini
essere i padroni del
chino millenni,
della terra...
mondo, di essere i
continenti, civiltà,
“La grande avventura” è il nome della
mostra allestita da
Guglielmo Pepe,
direttore del National Geographic
Italia, al Palazzo
delle Esposizioni dal
28 settembre 2013
al 2 marzo 2014
in onore dell’anniversario della
National Geografic
Society (125 anni) e
NG Italia (15 anni).
Attraverso l’esposizione di 125 scatti,
pannelli espositivi,
cover della rivista,
schermi televisivi,
touch screen, si ammirano le scoperte
e le pubblicazioni
dell’organizzazione.
Questa è stata fon-
raggiungere esseri
umani che lingue,
scritture, leggi, costumi, fedi diverse
parrebbero dividere
inesorabilmente
da noi, e scoprire
invece che ci sono
similissimi - quasi
dei fratelli - ecco un
insigne piacere”
Fosco Maraini
(Firenze, 15 novembre 1912-8 giugno
2004) scrittore,
fotografo, viaggiatore-pellegrino,
etnologo, orientalista, alpinista.
più intelligenti della
terra ma non i migliori e quindi a impegnarsi a rispettare
e salvaguardare tutte
le altre specie viventi
per il bene del nostro
pianeta.
“To increase and
diffuse geographic
knowledge while promoting the
conservation of
the world’s cultural, historical, and
natural resources” è
l’obiettivo che si è da
sempre prefissata la
Society, che sponsorizza e promuove
l’esplorazione e la
ricerca scientifica e
si occupa delle più
svariate discipline,
dalla geografia all’ar-
cheologia, alle scienze naturali,
alla salvaguardia dell’ambiente
e dei patrimoni storico-artistici, allo studio delle civiltà e
della loro storia. La società, la
cui sede si trova a Washington
negli USA, è gestita da ventitré
membri del consiglio degli amministratori fiduciari e pubblica
periodicamente il National
Geografic Magazine, una rivista
di fotografia, ricca di articoli
d’illustri studiosi, giornalisti,
avventurieri, ricercatori, oggi
tradotta in 31 lingue diverse
con cinquanta milioni di lettori
al mese.
Nel 1890 la NGS finanziò la sua
prima spedizione: il professore
universitario Israel C.Russel e
il topografo Kerr scalarono il
Monte Saint Elias alto 5489m,
situato al confine tra il canadese Yukon e la statunitense
Alaska. Da allora la bandiera a
strisce blu, verde, bruna, simbolo della società, è stata piantata un po’ ovunque, sulla luna
nel 1962, sulla cima dell’Everest
il 29 maggio 2012, sul fondo
della Fosse delle Marianne il 24
marzo 2012, al Polo Nord nel
1909, al Polo Sud, esplorato nel
1929 da Richard Bird, che riportò le immagini aeree di 100.000
chilometri quadrati di ghiaccio
antartico. Nel 1906 sono sta6
CRONACA INTERNA
CRONACA ESTERNA
te scattate le prime
immagini notturne di
animali catturate col
flash, nel 1914 le prime
foto a colori, nel 1926
le prime immagini
subacquee.
di sviluppo.
Comenius:
beyond
the
language
noi è stata la prima
esperienza mentre
L’ultima parte della
altri già conoscevano i
mostra è interamente
loro ospiti, ma di sicuro
dedicata alla National
non è stato questo a
Geographic Italia, con
fermarci dall’entrare
le immagini di tutte le
pienamente nello
copertine della rivista,
spirito del Comenius.
La mostra è suddivisa
fondata 15 anni fa nel
Nonostante l’agitauando si sente zione iniziale, il primo
per diverse aree tema- febbraio 1998. All’iniparlare di
tiche: momenti indizio costituita solo da
impatto non è stato
Comenius
somenticabili; bandiera;
articoli brevi, si è in
affatto tragico come
litamente si pensa ad
storia; esplorazioni
seguito arricchita di
pensavamo e, fatti i
uno
scambio
culturale
di terra, mare, aria;
reportage e inchieste
primi saluti e superata
incentrato più sulla
scienza; natura; viaggi, effettuate in tutto il
la timidezza, ognuno è
ciascuna introdotta da nostro Paese. Descrive scuola e sull’imparare
tornato a casa propria
nuove
culture
che
su
delle efficaci e suggele innumerevoli città
e ha fatto in modo
altro. Si pensa a due ra- che il proprio ospite si
stive citazioni, come
italiane con le loro
gazzi di diversa nazioquella che ricorda che
particolarità, si soffersentisse a suo agio.
nel 2100 molte specie
ma sulle bellezze e sui nalità che convivono
Il giorno dopo, arrivati
per un periodo di tem- a scuola, i ragazzi tedeanimali si estingueran- problemi della natura
no.
e dell’ambiente, esalta po e imparano ognuno schi e inglesi sono stati
qualcosa della lingua e accolti dal nostro presiil ricco patrimonio
“Qualunque sia il luogo in
della cultura dell’altro. de e dalle professoresartistico, culturale,
cui ti trovi, se non hai paura vuol dire
E’ vero, il Comenius
archeologico della
se ma soprattutto, con
che in te c’è qualcosa che non va”
è anche questo. Dico
tutto il rispetto, da un
M. Nichols nazione.
“anche” perché oltre
enorme tavolata piena
all’obiettivo scolastico, di dolci e altro. Inutile
“Inspiring people
“Credo che ovunque si vada si finisca
se così si può chiamare, dire che all’ “ora potete
to care about the
col trovare qualche riflesso di se
planet“, motto della c’è altro dietro, qualco- andare a mangiare”
stessi”
rivista, è rappresen- sa di molto più profon- della professoressa si
Peter Jenkins
do. Grazie al Comenius sia scatenato il putifetativo del messagnascono amicizie che
gio della mostra.
rio. Dopo aver saziato
superano
la
distanza
Attraversando i corriil nostro stomaco con
la maggior pare delle
doi, lungo le pareti, si
“Se dopo la mostra vetutto quel ben di Dio,
volte, dietro lo scambio ci siamo divisi nei vari
possono notare due
drete con occhi diversi,
di informazioni ci sono workshops: Music, Mestraordinari scatti di
più empatici, più comdue ragazzi che ridono dia, Dance, Art e Pergrandi dimensioni: il
prensivi, tutte le specie
insieme e si divertono
ritratto di Robert Peary, viventi, sarà missione
formance, in ognuno
nonostante le diverse
il primo uomo a esplo- compiuta. E vorrà dire
dei quali ci si preparava
rare il Polo Nord nel
che la speranza di avere origini. Ed è con queper lo spettacolo finale
sto
presupposto
che
1909, e la fotografia di un mondo migliore è
che si è svolto la sera di
mercoledì 5 marzo,
una ragazza afghana
ancora viva”
venerdì 6 marzo.
chi
a
Ciampino
e
chi
a
di Steve McCurry, la cui [Guglielmo Pepe]
Mentre la mattina in
Fiumicino, abbiamo ac- Music si suonava, in
espressione ci induce
a riflettere profonda— di Valentina Midolo, colto i ragazzi tedeschi Media si fotografava
mente sul rapporto tra
IA e inglesi a Roma per
e si montava il video,
la chiusura di questo
l’uomo occidentale e
in Dance si memorizprogetto.
Per
molti
di
quello dei paesi in via
zavano i passi, in Art si
Q
7
CRONACA INTERNA
colorava e si incollavano foto e
in Performance si facevano le
prove per l’esibizione, il pomeriggio, dividendoci in vari gruppi, abbiamo portato i ragazzi in
giro per Roma.
Il giorno dopo verso le 18.30 si
è svolta la cerimonia di chiusura e tra ringraziamenti, esibizioni, risate e probabilmente anche qualche lacrima abbiamo
dato il nostro saluto a questo
progetto che in due anni ha
legato ragazzi distanti kilometri
e kilometri, creando amicizie
che vanno oltre il confine del
proprio Paese.
Bisogna precisare una cosa:
questo non è stato affatto un
addio, è stato un semplice arrivederci, forse a questa estate,
forse al mese prossimo o forse
all’anno prossimo, fatto sta
che l’intenzione di rivedersi è
comune a tutti.
E’ stata un’esperienza fantastica
sotto tutti i punti, sia a livello
linguistico che di relazioni, e
se mi dessero l’opportunità di
rivivere dei momenti del genere non ci penserei due volte ad
accettare.
E per questo non possiamo fare
altro che ringraziare chi ha reso
possibile la realizzazione di
tutto ciò: grazie alla professoressa Cacciò, alla professoressa
Ferrarese, alla professoressa
Parretti, al professor Giannetti,
alla professoressa Keating e al
preside Infantino da parte di
tutti gli studenti che sono stati
coinvolti nel progetto.
— di Martina Tomassini, IIICL
8
CRONACA INTERNA
L’arte della
solidarietà
“L
a solidarietà del genere
umano - ci suggerisce
Immanuel Kant - non è
solo un segno bello e nobile, ma
una necessità pressante, un ‘essere’ o ‘non essere’, una questione di
vita o di morte.”
Segno ancora più bello e nobile
- aggiungo io - è quando arte e
solidarietà si fondono per dare
vita a qualcosa di straordinario,
unico, quasi magico. Perché in
fondo l’arte, come la solidarietà,
sta nel donare completamente
se stessi senza sentire il bisogno
di ricevere qualcosa in cambio.
Così, in occasione dell’annuale
raccolta fondi, che si inserisce
nel progetto di scambio interculturale tra il G.B.H.S. di Fontem
(Camerun) ed il nostro Liceo,
alunni e docenti si sono “messi in
mostra”, cimentandosi in esibizioni live, gara artistica, culinaria
e fotografica, per dare a ognuno
la possibilità di esibire il proprio
talento solidale.
L’evento, che prende il nome di
“K Factor”, si è tenuto nei locali
del nostro Istituto il pomeriggio
del 28 febbraio, e ha visto un’
interessata e viva partecipazione
da parte non solo di studenti e
professori, ma anche di genitori
ed esterni che hanno voluto
fornire il loro contributo.
Un contributo fondamentale ad
un progetto di vitale importanza
per la nostra scuola, non un progetto tra tanti, bensì una manifestazione di solidarietà verso una
realtà diversa, non così lontana
dalla nostra. Dal ’97/’98, quando
9
la scuola si inserì nel progetto “Adotta un diritto
umano. Parole e fatti”, ad
oggi, certo le parole non
sono mancate, e men
che meno i fatti. Scambi
di lettere, cartoline e
foto, incontri tra la delegazione camerunese e
alcuni studenti del Kant,
un premio ricevuto dalla
FAO per l’impegno, la cura e la
dedizione riservate al progetto
dai nostri compagni, conferenze video, assemblee, concerti
e raccolte fondi per le borse di
studio e il materiale didattico per
gli studenti del liceo di Fontem:
questa, in poche righe, la storia
di un progetto; anzi meglio, la
storia di un’amicizia, un’amicizia
tra due Paesi, tra due scuole, geograficamente così lontane ma
vicine col cuore e con la mente.
La vivace, energica ed entusiastica adesione all’evento è senz’altro la dimostrazione del durevole ed effettivo interesse che il
nostro Istituto continua a nutrire
nei confronti di tali iniziative.
La manifestazione si è aperta con
il saluto ai partecipanti da parte
di due studentesse, Valeria Paris
e Giuditta Migiani, che dopo un
breve excursus sulla storia dello
scambio interculturale, hanno
presentato i partecipanti al Talent Show.
Pianisti, musicisti, e cantanti
hanno esibito la loro arte, hanno
sollevato applausi, commozione e strappato anche qualche
risata al pubblico presente, che,
chiamato a votare, ha deciso di
premiare la performance di Rita
Negrini. Tra un’esibizione e l’altra,
nel corridoio adiacente all’Aula
Magna, è stato possibile apprezzare il talento artistico e fotogra-
CULTURA&SOCIETÀ
Sulle ali della
morte: la vera
storia di Alice
Domon
fico dei kantiani, i cui lavori sono
stati degni di nota. Purtoppo
alla fine, si sa, il vincitore è uno
solo. Mentre Alessia Stefanori ha
incantato tutti con la sua scultura, la fotografia di Sofia Orifici è
stata decretata la migliore. Dulcis
in fundo, la giuria della gara
culinaria, composta da docenti,
alunni e collaboratori scolastici
ha avuto l’ingrato compito di
dover premiare solo due tra le
decine di pietanze, dolci e salate,
in gara. Giuliano Turturro è stato
coronato con un cappello da
chef grazie alla sua torta “Pan di
stelle”, Andrea Marcelli invece ha
stuzzicato il palato della giuria
vincendo per la categoria “salato”
con il suo piatto a base di pollo
e funghi. Dopo la degustazione
e la premiazione dei vincitori, la
giornata si è conclusa con i saluti
e i ringraziamenti del Prof. Gnocchini e della Prof.ssa Parretti che
da anni ormai tengono le redini
di questo gemellaggio.
Vorrei concludere con i miei
personali ringraziamenti a quanti
hanno preso parte a questo
strepitoso evento: organizzatori,
performers, fotografi, artisti, cuochi, alunni, docenti, personale
ATA, genitori e a tutti coloro che,
con rinnovato spirito, ogni anno
continuano a donare se stessi.
Grazie!
— di Federico Pizzo, IIIA
N
on è necessario attendere una particolare
ricorrenza per ricordare
il tragico destino dei desaparecidos. La scomparsa di 40000
persone, solo in Argentina,
non può essere archiviata nello
scantinato della memoria e
fatta riemergere solo quando
lo impone il dovere istituzionale. Soprattutto è importante
che i giovani d’oggi ne siano al
corrente, perché un orrore di
tale gravità non si ripeta nelle
epoche future.
Per chi non conosca, o ne abbia
solo sentito parlare distrattamente, la vera storia dei desaparecidos, forse potrà trovare
questa lettura di particolare
interesse.
Erano solo dei ragazzi, la maggior parte, tra i 16 e i 25 anni.
La loro colpa è stata quella di
ribellarsi ai regimi dittatoriali,
instaurati, in Sud America, da
militari fascisti come Jorge
Rafael Videla o Augusto Pinochet, organizzando azioni di
protesta messe subito a tacere
con sequestri, torture e violenze di ogni tipo. Un trattamento
particolare era riservato alle
donne in attesa, tenute in vita
quel tanto che bastava, dopo
supplizi che lascio alla vostra
immaginazione, fino al momento del parto, poi percosse
e trapassate da una scarica di
Madri di Plaza de
mitra sul ventre per Mayo: associazio- ganizzazione ribelle
nascondere il taglio ne umanitaria fon- dei montoneros, capro
data nel 1977 da
cesareo, eseguito
espiatorio ideale per
Azucena Villaflor e
–ovviamente–
uscire da una situazioformata da tutte le
senza anestesia. I
ne a dir poco scomoda
madri dei desapabambini appena
e imbarazzante. Ad
recidos, unite nella
lotta
per
la
liberanati venivano in
avvalorare la presunzione dei loro figli
seguito affidati alle
ta accusa, una lettera
scomparsi.
famiglie dei militascritta –sotto tortura–
ri, condannati, così,
da Alice e Léonie, nella
inconsapevolmente a crescere
quale additavano come colpetra gli assassini dei loro veri ge- voli del loro rapimento i capi
nitori. Ed era per aiutare queste guerriglieri.
persone che Alice Domon, una
Eppure le due monache erano
monaca francese trasferitasi in
sempre rimaste là, nelle celle
Sud America alla fine degli anni dell’ESMA, da dove uscirono
’60, si era unita alle Madri di
solo per essere imbarcate su un
Plaza de Mayo, preparando una petizione
con i nomi di tutti i
dissidenti scomparsi
da presentare al governo argentino.
Ma nello stesso giorno in cui la petizione
fu pubblicata sul
giornale “La Naciòn”,
l’8 dicembre 1977,
Alice Domon, insieAlice Domon e Léonie Duquet fotografate dai militari fascisti
me a un’altra religiosa,
sotto la bandiera dei montoneros
Léonie Duquet, venne
sequestrata dai militari
al comando di Alfredo Astiz,
infiltratosi, dietro l’apparenza del suo viso angelico, nel
gruppo delle Madri di Plaza de
Mayo.
La scomparsa di due cittadine francesi, tuttavia, non
poteva rimanere nascosta
dietro un muro di silenzio e
omertà: a distanza di pochi
giorni dal rapimento, la Francia già gridava allo scandalo
internazionale. Per indirizzare
altrove i riflettori della stampa,
il governo argentino addossò
Jorge Rafael Videla, dittatore dell’Argentina
ogni responsabilità del sequedal 1976 al 1981
stro delle due donne sull’or10
CULTURA & SOCIETÀ
aereo e gettate –vive e pienamente coscienti– tra le onde
brulicanti di squali dell’Oceano
Atlantico, in uno dei tanti voli
della morte che liquidavano
in maniera veloce e pulita gli
oppositori del regime.
E pensare che i responsabili e
gli esecutori di simili atrocità,
dopo pochi anni passati in carcere, nel 1989 erano già a piede
libero per merito della concessione di
grazia e
ESMA: “Escuela Superior de Mecánica
perdono
de la Armada”, scuola
incondidella marina di Buezionato
nos Aires, divenuta
del predurante la dittatura
sidente
(1976-1983) centro
di detenzione e torargentino
tura degli oppositori
Carlos
al regime.
Menem.
Politici,
carcerieri, militari tornarono ai
loro posti di potere, impuniti,
come se nulla fosse, come se
quelle 40000 vittime fossero
solo dei numeri e niente più.
Solo negli anni 2000, con l’elezione alla presidenza di Néstor Kirchner, l’Argentina poté
raggiungere una maggiore
equità giuridica: alcune amnistie vennero revocate e, questa
volta, gli artefici del “Processo
di riorganizzazione nazionale”
(così veniva definita la dittatura
argentina) non riuscirono a sottrarsi alle pene che da tempo li
attendevano.
— di Arianna Antonelli, IIIA
RUBRICA
Guardate il
mondo sotto
un altro
aspetto
C
iao a tutti!
Qualche settimana fa
avevo pubblicato un
articolo sul cioccolato, ve ne ricordate? Insomma chi se lo sarebbe mai aspettato che quello
che anticamente era chiamato
“cibo degli dei” al giorno d’oggi è fatto da bambini schiavi?
Detto ciò, vi vorrei parlare di
un video che ho visto. Parlava
della bomba atomica e delle inimmaginabili cifre che i
governi spendono per esse, e
intanto nell’altra parte del pianeta ci sono persone che muoiono di fame, malattie, e allora
mi chiedo: Perché? Perché il
mondo è tanto egoista? Perché
dobbiamo lasciare in condizioni pietose delle persone come
noi? A volte non mi sembra
vero, ma è così! E ovviamente ci
sono molte altre cose inutili per
cui il mondo spende miliardi e
miliardi di dollari. Dobbiamo
fare qualcosa, dobbiamo agire.
Vi consiglio di aprire i vostri
occhi guardando il video della
associazione ‘Senza Atomica’
oppure molti altri che raccontano quello che succede nel
mondo. Concludo questo “mini
articolo” chiedendovi: MA LO
VOGLIAMO CAMBIARE QUESTO
MONDO? Ci vediamo al prossimo numero!
— di Gabriele Ghenda, IIFL
11
Il filosofo e il
vegetariano
J
ostein Gaarder nel suo
libro ‘Il mondo di Sofia’
scrive: “L’unica cosa di cui
abbiamo bisogno per diventare
buoni filosofi è la capacità di stupirci”. Aggiunge anche che mano
a mano che cresciamo questa
capacità sembra attenuarsi: è per
questo che paragona i bambini
ai filosofi. Per un bambino è tutto
nuovo, scrive, ancora non sa cosa
il mondo abbia in serbo per lui.
Prova lo stesso entusiasmo nel
vedere un cane come potrebbe
provarlo nel vedere una persona
spiccare il volo. Un bambino non
è ancora schiavo dell’abitudine
come lo è un adulto. Gaarder
identifica in questo genuino e
-nella più positiva delle accezioni- infantile entusiasmo il più
nobile degli stili di vita.
Spesso le persone mi chiedono
“Sei vegetariana? Ma come fai?”.
Capita raramente di avere abbastanza tempo e predisposizione
da parte dell’interlocutore per
tuffarsi in una discussione etico-filosofica sulle ragioni di questa scelta. Allora, semplicemente,
taglio corto sfoderando il solito
elenco di categorie (ragioni etiche, sociali ed economiche). Ma
puntualmente, appena torno a
casa ed ho un momento per me,
mi fermo a riflettere. C’è davvero
da chiederlo? In quei momenti
è come se si ristabilisse la giusta
misura delle cose; come scrollarsi
di dosso quella patina di apatia
accumulatasi con l’adagiarsi alla
corrente della vita tipico della
RUBRICA: GREEN(H)EART(H)
consuetudine. Un improvviso
risveglio dal sonno in cui tutti, in
qualsiasi momento della propria
esistenza, rischiano di cadere.
Una scelta come il vegetarianismo, palesemente operata nel
rispetto della vita e come attuazione di un senso di giustizia,
superiore al frivolo “desiderio
di gola”, desta davvero tanta
ammirazione? “Io vorrei esserlo,
ma la carne è troppo buona”, mi
sento rispondere, “Beata te che
ci riesci”. Come se fossi una dei
pochi che “ce la fa”, una pioniera,
un’avanguardista. Questa stima
comporta una consapevolezza di
fondo che ciò per cui si applica
un vegetariano sia, quantomeno
eticamente, qualcosa di giusto.
E ciò, a sua volta, dimostra come
spesso ci sia anche una condivisione dei princìpi di tale scelta.
RIGHT WHERE IT
BELONGS
[ NINE INCH NAILS ]
See the animal in his
cage that you built
Are you sure what side
you’re on?
Better not look him too
closely in the eye
Are you sure what side of
the glass you are on?
See the safety of the life
you have built
Everything where it
belongs
Feel the hollowness
inside of your heart
And it’s all...
Right where it belongs
What if everything
around you
Isn’t quite as it seems?
What if all the world you
think you know
Is an elaborate dream?
Chi metterebbe in dubbio che
sia sbagliato uccidere un ermellino solo per rifinire il cappuccio
di un giubbino? Chi contesterebbe l’affermazione che strappare
un elefante dal suo ambiente
per fargli spruzzare l’acqua in un
circo sia sbagliato? E chi, a conoscenza delle condizioni di vita
degli animali negli allevamenti,
non si opporrebbe -in via teorica,
s’intende- all’esistenza di questi
ultimi? Nessuno.
Allora, se è vero che nessuno
ritiene giusta o meritata la sofferenza, mi chiedo: come mai le
persone che prendono una posizione sono così poche? Sarebbe
meno doloroso rifugiarsi nella
speranza che si trattasse solo di
ignoranza. Purtroppo, però, ci
troviamo per l’ennesima volta di
fronte a un muro mastodontico:
l’indifferenza.
And if you look at your
reflection
Is it all you want it to be?
What if you could look
right through the cracks?
Would you find yourself...
Find yourself afraid to
see?
What if all the worlds
inside of your head
Just creations of your
own
Your devils and your
gods
All the living and the
dead
And you’re really all
alone?
You can live in this
illusion
You can choose to
believe
You keep looking but
you can’t find the words
Are you hiding in the
trees?
Vedi l’animale nella
sua gabbia, che tu hai
costruito
sei sicuro di sapere da
che parte stai?
Meglio non guardarlo
negli occhi troppo da
vicino
Sei sicuro di sapere da
quale parte dello specchio sei?
Vedi la sicurezza della
vita che hai costruito
Ogni cosa al suo posto
Senti il vuoto nel tuo
cuore
ed è tutto...
Esattamente al suo
posto.
Cosa succederebbe se
tutto intorno a te
Non fosse come sembra?
Cosa se tutto il mondo
che pensi di conoscere
Fosse un sogno elaborato?
“Tra l’assenteismo e l’indifferenza
poche mani, non sorvegliate da
alcun controllo, tessono la tela
della vita collettiva, e la massa
ignora, perché non se ne preoccupa”, scriveva Antonio Gramsci nel
1917. Le industrie, la pubblicità,
gli interessi economici, non sono
forse anche queste le “poche
mani” a cui si riferisce Gramsci?
E la massa ignora. Non ignora perché non le vede, ignora
perché sta bene dove si trova.
“Right where it belongs”, recita il
testo dell’omonima canzone di
denuncia contro gli allevamenti
intensivi dei Nine Inch Nails.
Ma alcuni no, alcuni non riescono a ignorare. Non si può ignorare il dolore, non si può ignorare
la violenza, non si può ignorare
la morte. Non si può ignorare
quella sensazione di “schifo”
che attanaglia lo stomaco nel
vedere le
immagini
Se guardi alla tua immadi mucchi
gine riflessa
di pulcini
E’ proprio quello che
gettati
vuoi essere?
vivi nei
Se tu potessi guardare
tritacarne
tra le crepe
perché
Troveresti te stesso... ti
maschi
troveresti spaventato di
e quindi
vedere?
inutili,
non si
Cosa succederebbe se
tutti i mondi nella tua
possono
testa
bloccare
Fossero tue creazioni,
le lacriI tuoi diavoli e i tuoi dei,
me e il
Tutto ciò che è vivo e
groppo
morto
E tu fossi veramente
in gola
tutto solo?
nel vePuoi vivere questa
dere un
illusione
gattino
Puoi scegliere di credere
preso a
Rimani a guardare ma
non riesci a trovare le
calci.
parole
Ti stai nascondendo
negli alberi?
12
RUBRICA
Questo, è il senso dell’orrore.
Questo è quello che ci rende
umani. La capacità di stabilire un
legame empatico con il prossimo, sia esso bipede o quadrupede, e la possibilità di agire di
conseguenza. Senza tutto ciò,
dove si andrebbe a finire? Si
tornerebbe indietro alla seconda
guerra mondiale, alla spietatezza
della tortura e al gusto dell’umiliazione solo per dimostrare a
qualcuno la propria superiorità,
come se l’unità di misura fosse
il potenziale di vittime. Senza
il senso dell’orrore, l’umanità
scomparirebbe.
Ecco perché sono vegetariana.
Quando l’ho definita, nelle righe
precedenti, una scelta, ho mentito: non si è mai trattato di una
scelta. Crescere e fronteggiare
la realtà, essere messi di fronte
al mondo, comporta dei doveri.
Doveri morali, collettivi quanto
individuali, ma che ignorare i
quali significa rinunciare a una
parte della propria umanità.
È il carico della consapevolezza
a pesare, e se non si vuole rimanere schiacciati, si deve reagire.
Ed è un carico che rimarrà lì, sulle
nostre spalle, finché qualcosa
non cambierà, aggravato dall’oppressione del vuoto e dal fracasso del silenzio.
Jostein Gaarder nel suo libro ‘Il
mondo di Sofia’ scrive: “L’unica
cosa di cui abbiamo bisogno
per diventare buoni filosofi è la
capacità di stupirci”. Io aggiungerei: l’unica cosa di cui abbiamo bisogno per non perdere
il nostro essere uomini è la
capacità di non abituarci alla
sofferenza.
— di Giuditta Migiani, IIIAL
13
RUBRICA CINEMATOGRAFICA
La grande bellezza
U
n viaggio attraverso la Roma del XXI
secolo. Una Roma
cambiata, distratta e quasi
dolente ma non così diversa
da quella raccontata ne “La
dolce Vita” di Fellini, spettatrice già negli anni ‘60 di
un paradiso di confusione e
peccato. E’ Jep Gambardella il
GENERE: Drammatico
protagonista di questo viaggio lungo 142 minuti, diretto
REGIA: Paolo Sorrentino
e sceneggiato dal premio
Oscar Paolo Sorrentino. Jep è
SCENEGGIATURA: Paoun giornalista e scrittore divelo Sorrentino, Umberto
nuto famoso con il suo unico
Contarello
romanzo, “L’apparato Umano”
nonché primo titolo del film;
CAST: Toni Servillo, Carlo
ma oltre ad essere un uomo
Verdone, Sabrina Ferilli,
di lettere, la più grande pecuCarlo Buccirosso, Isabella
liarità del nostro protagonista
Ferrari, Iaia Forte, Pamela
è proprio di essere il Re della
Villoresi, Galatea Ranzi,
mondanità capitolina, delle
Roberto Herlitzaka
feste in stile barocco e della
sua vasta gamma di amici e
conoscenti che ne prendono
parte. Un personaggio di una bellezza senza tempo e senza
ragione, il cui cinismo risuona nei suoi salotti e regna all’interno dei suoi discorsi, ma tutto questo non conta perché niente
intorno a lui ha senso, non la sfacciata ricchezza alto borghese,
né la povertà culturale, non la finzione, né la falsa religiosità dei
cardinali in limousine, ma tutto può essere ricondotto ad un
concetto, linea guida del film: il Nulla. Ed è proprio questo che
Sorrentino ha tentato di portare sul grande schermo: il Nulla
circonda Jep, immerso in situazioni banali e sentimenti effimeri,
che vive solamente nel ricordo del suo grande amore giovanile, “incostanti sprazzi di bellezza...”, e sopravvive tutti giorni
districandosi in una vacua jungla quale è la sua vita “...e poi lo
squallore disgraziato e l’uomo miserabile”. Un film ambizioso,
fuori dagli schemi, quasi azzardato che però arriva dritto come
una lama e sembra quasi far male, una Grande Bellezza difficile
da afferrare e da ricercare negli attimi più semplici e inaspettati
della vita.
— di Virginia Cenciarelli, IVAL
RECENSIONI
La ragazza con
l’orecchino di
perla
L
a ragazza con l’orecchino di perla” è il secondo romanzo della
scrittrice statunitense Tracy
Chevalier, pubblicato nel
1999. Da esso è stato tratto
anche un omonimo film nel
2003 che vede protagonisti
Colin Firth e Scarlett Johansson.
La vicenda si
svolge a Delft,
Paesi Bassi, nel
XVII secolo, e la
sua protagonista è la sedicenne Griet.
E’ una ragazza
intelligente,
concreta, che
sa farsi valere
e sa ottenere ciò che vuole,
sempre nei limiti imposti dalla
sua povera condizione sociale.
Per aiutare la famiglia economicamente, Griet viene mandata
dai genitori a lavorare in una
casa aristocratica, nel quartiere
dei papisti: la casa del famoso
artista Johannes Vermeer.
Qui, il suo compito più importante e delicato è quello di
pulire l’atelier del pittore.
Griet, grazie alla luce particolare che ha negli occhi, riesce a
colpire e conquistare Vermeer e
tra i due si instaura un rapporto
basato sulla complicità e comprensione, ma anche su sentimenti ben più profondi. Tutto
ciò si tramuta nella richiesta del
pittore alla ragazza di posare
per un suo quadro. Quando
l’opera è quasi compiuta, i due
si accorgono che essa manca di
qualcosa e per questo l’uomo
fa indossare a Griet gli orecchini
della moglie Catherina. Venuta
a conoscenza dell’atto, la signora Vermeer, già profondamente
turbata e soprattutto gelosa del
rapporto tra Griet e il marito, si
scaglia contro la serva, la quale
lascia il lavoro per sposare un
giovane macellaio. Anni dopo,
Griet verrà a conoscenza della
morte di Vermeer e l’esecutore
testamentario le consegnerà gli
orecchini di perla, rivelandole
così la reale attenzione da parte
del caro pittore.
Grazie a questo romanzo è
possibile entrare pienamente
nel contesto dell’epoca; soprattutto attraverso i personaggi di
sfondo, come Catherina (donna estremamente nervosa e
insicura) e Maria Thins (madre
di Catherina, colei che “dirige” la
casa e protegge il genero nella
sua attività) si riesce a penetrare nell’ottica della società
seicentesca con le sue regole
moralistiche. Il pittore, invece,
viene descritto come un uomo
completamente dedito al suo
lavoro, un perfezionista sempre
in cerca della giusta luce o del
perfetto scenario per le sue
opere.
Con questo romanzo, Chevalier
riesce a farci apprezzare ancor
di più il quadro e farci andare
anche oltre ad esso utilizzando
una narrazione dalle più diverse
sfumature.
— di Michela Sabani, IIIGL
SCACCHI
CONCORSO
Il Bianco muove e dà scacco matto in 2 mosse
Il Bianco muove e dà scacco matto in 2 mosse
Il Nero muove e dà scacco matto
in 3 mosse
Il Nero muove e dà scacco matto
in 3 mosse
14
RUBRICA: LE VAGAMONDO
Un mare da sogno
“M
ia madre non lo deve sapere, non lo
deve sapere che...voglio andare ad Alghero in compagnia di uno straniero!”
Così cantava Giuni Russo... e voi pronti ad andare
ad Alghero?! Alghero è una ridente cittadina
marittima del nord ovest della Sardegna, in
provincia di Sassari. Sorge su un piccolo promontorio a dominio di un’incantevole rada ed è
cinta in parte da mura turrite. Questa pittoresca
città conserva ancora nelle sue viuzze l’influenza
catalana della colonia che nel 1345 vi si stabilì.
Consiglio di visitare la Cattedrale, in particolare
la parte absidale, dove si aprono cappelle con
volte gotiche, e il magnifico campanile.
Dopodiché non perdete l’occasione di fare il giro
dei bastioni! L’escursione raccomandata è quella
alla grotta di Nettuno: gli avventurieri possono
arrivarci via terra dopo una scalinata, di oltre 600
gradini, che scende fino all’ imboccatura della
grotta (passeggiata in discesa! A risalirli....)
Per i sedentari è possibile, però, fare la gita via
15
RUBRICA: LE VAGAMONDO
mare col servizio plurigiornaliero di motoscafo. Non potrete, poi, andare ad Alghero e non
visitare la spiaggia Mugoni: spiaggia dalla sabbia
finissima e dalle acque color turchese.
Nel territorio algherese sono stati riportati alla
luce un centinaio di nuraghi dei quali alcuni,
come Palmavera e Siseri, costituiscono delle vere
e proprie cittadine nuragiche. Per la modica cifra
di 3€ potrete vedere il sito di Palmavera, a pochi
km di distanza da
Alghero! Ad Alghero
si sente parlare catalano, oltre all’italiano,
praticamente tutti i
sardi parlano perfettamente la lingua e
sicuramente avrete
spesso modo di
sentire gli algheresi
parlare in catalano
oppure di vedere utilizzata questa lingua
anche sulle indicazioni stradali e nelle
piazze!!E infine...
Shopping!!! Rimarrete a bocca aperta
vedendo i pregiati
tappeti fatti a mano
dalle sarte algheresi e dalle stupende produzioni
artigianali in corallo!
— di Marta Dibitonto, IA
Bordeaux
B
ordeaux è una splendida città della
Francia sud occidentale, che si affaccia
sull’Oceano Atlantico. Una città densamente popolata, senza contare il numero di
turisti che ogni anno affluiscono numerosi per
visitare l’incantevole centro storico.
La città francese è attraversata dal fiume Garonna, un grande corso d’acqua, anticamente
chiamato Aquitano, nome rimasto nella Regione di Bordeaux, nota proprio come Aquitania,
termine che probabilmente significava “terra
delle acque”. Se l’origine del toponimo è dunque
incerta, la presenza delle
acque è una piacevolissima certezza. Il fascino
unico della città è dato sia
dall’Oceano che ne lambisce le coste sia dal sinuoso fiume che la attraversa
e in cui si specchiano gli
eleganti palazzi.
Bordeaux vanta di eccellenti musei e di una vita
notturna che non sfigura
con Parigi: dai resti dell’anfiteatro romano noto
come Palazzo di Gallieno al Museo di Belle Arti
in cui sono esposte opere di Tiziano, Delacroix,
Seurat, Renoir, Matisse, Braque e Picasso.
La città è divisa in circoscrizioni come Parigi, ma
gli abitanti tendono a parlare di quartieri, così
si possono ammirare: il Quartiere di Saint Pierre
proprio nel cuore della città che ospita il Place
du Parlament, il quartiere Chartrons, conosciuto
come “villaggio degli antiquari”per la presenza
di numerosi negozi di antiquariato sorti dopo il
progressivo declino degli scambi sul fiume, quasi
a voler ricordare i tempi floridi del commercio, il
quartiere di Saint Michel, di Sait Croix, di Victoire
e il Quartiere Grands Homme cioè “dei grandi
uomini” Montesquieu,
Rousseau, Voltaire e
Diderot, che hanno dato i
nomi alle strade che convergono nella Place des
Grandes Hommes.
Eleganza, vivacità artistica e fascino… tutte qualità che questa splendida
città racchiude in sé e che
le hanno giustamente
concesso il privilegio di
Patrimonio dell’Umanità UNESCO nel 2007.
— di Chiara Innocenzi, IA
16
DEKANTERON
DEKANTERON
Il prezzo dell’illusione
P
iccoli fiocchi di neve ricominciarono a depositarsi delicatamente sulle distese di terreno già imbiancate. Jake alzò lo sguardo da terra e si concentrò su quello squarcio di cielo che si poteva intravedere attraverso le sbarre della finestra. Era seduto nella cella 101 di Dorchester Prison, Minnesota,
carcere un tempo di massima sicurezza ora finito sui giornali per le pessime condizioni dell’edificio, il quale
necessitava di finanziamenti che non sarebbero mai arrivati.
I suoi pensieri vennero ben presto interrotti dal pesante e goffo passo di Stafford, la guardia carceraria
addetta a quel braccio insieme a Tyler. I due costituivano una coppia di aguzzini impeccabile: riuscivano
a rendere impossibile la vita dei detenuti senza mai infliggere danni troppo evidenti per non incorrere in
sanzioni o reprimende.
Stafford avanzava roteando il manganello con il quale urtava le sbarre delle celle per assicurarsi che
fossero ben salde; in realtà era solo una scusa per riscuotere i prigionieri dai loro sogni. O dai loro incubi.
Sebbene ci fosse poca luce, Jake riusciva a vederlo distintamente: la sua figura tozza e tarchiata rispecchiava
alla perfezione il suo animo volgare e sudicio, quei pochi capelli castani che gli rimanevano erano impomatati da una brillantina dall’odore poco piacevole; il naso ricurvo quasi arrivava a fare ombra al suo perenne
ghigno.
Dall’altra parte gli venne incontro Tyler. Era esattamente l’opposto del suo compagno: alto e magro, il genere d’uomo che guarda il mondo attraverso il fondo di un bicchiere di whisky; più di una volta lo avevano
sorpreso a tracannare fiaschette di alcol ben nascoste nel giubbotto della divisa. Erano pochi i momenti in
cui era in piena lucidità mentale.
Superarono così la sua cella. Jake calcolò che aveva meno di cinque minuti per aprire la grata del sistema
di conduzione. Era un piano di fuga molto semplice, agevolato dalla scarsa sorveglianza, progettato insieme
ai suoi due compagni, Flick e Hartwood: si sarebbero infilati dentro il condotto di aereazione e una volta
sbucati all’aperto, con il buio come alleato, avrebbero rubato un’auto nella località più vicina.
Si alzò dalla branda e batté tre volte sui due muri, oltre i quali vi erano le celle dei suoi compagni, come
segnale convenuto per la fuga. Poi prese un piccolo cacciavite nascosto tra le molle del materasso e cominciò a togliere le viti della grata. Una volta rimossa, s’infilò all’interno del condotto. Jake avanzava strisciando
a fatica, si sentiva come Frank Morris in Fuga da Alcatraz. Dopo aver girato diverse volte tra le condutture,
finalmente trovò l’accesso per l’esterno. Uscito fuori, respirò a pieni polmoni il profumo della libertà. Dovette
aspettare solo pochi attimi per veder comparire i suoi compagni.
Hartwood uscì dalla conduttura con fatica: la sua stazza imponente non gli facilitava di certo il passaggio.
Jake non aveva mai saputo per quale motivo il suo compagno era finito in quell’inferno. C’era chi diceva
avesse strangolato la moglie, chi rapinato una banca, e chi diceva che avesse fatto saltare in aria un intero
edificio. Tutte le varie versioni però parlavano di una violenza quasi sadica, e questo Jake aveva avuto modo
17
di appurarlo nel corso della sua permanenza a Dorchester Prison: non c’era mai stata una sola sommossa o
lite in cui Hartwood non fosse stato coinvolto. Diversa era la situazione di Flick, che proprio in quel momento sgattaiolò con agilità fuori dall’edificio. Era di origine russa, il suo vero nome era Ivan, ma veniva chiamato
da tutti Flick per un tic che lo costringeva a volte a muovere la testa a scatti; era un ragazzo di 23 anni e
aveva varcato le soglie del carcere pochi mesi prima. Su di lui pesava una condanna di trent’anni, sentenza
ritenuta troppo lieve dai familiari delle vittime della sua follia omicida. Quel ragazzo dall’aspetto timido e
fragile aveva sterminato con il Kalashnikov del padre, un reduce dalla guerra in Cecenia, i suoi vecchi compagni di liceo che per cinque anni lo avevano tormentato con soprusi e umiliazione. L’ergastolo gli fu evitato
solo per la giovane età, mentre l’instabilità mentale non fu mai riconosciuta.
Jake aveva deciso di prendere il giovane sotto la sua protezione, non riusciva a insultarlo e inveirgli contro come facevano gli altri, provava per lui troppa pena e compassione. Flick rappresentava, a suo avviso, il
chiaro esempio della degradazione della società americana, una società imperniata sulla violenza e sul mito
delle armi, una società che non presta la minima attenzione alle situazioni di povertà ed emarginazione
delle periferie locali.
Trovarono giacconi, sciarpe, cappelli e scarponi abbastanza pesanti per coprirsi e ripararsi dal freddo
nell’ex- gabbiotto della sorveglianza, ora utilizzato come ripostiglio. Stavano per svoltare l’angolo quando
intravidero due guardie appostate davanti al muro che i tre fuggitivi avrebbero dovuto scavalcare. Jake
sentì Hartwood bestemmiare tra i denti. “Che ci fanno quegli idioti là? Sarebbero dovuti essere nella sezione
B-41!”.
“Cambiamento di programma: tentiamo un’altra strada”.
Cercando di non far rumore si diressero verso l’ala ovest. Jake si maledisse per la sua superficialità: avrebbe
dovuto prevedere ogni minimo imprevisto, come poteva pensare che tutto sarebbe filato liscio?
Evitando un’altra guardia di passaggio, i tre individuarono una zona sicura e abbastanza riparata dai fari
delle torre di avvistamento dove potevano arrampicarsi finalmente sul muro con le corde che erano riusciti
a reperire pochi giorni prima. Una volta saltati giù, cominciarono a correre senza preoccuparsi di lasciare
tracce, la bufera di neve che si preannunciava le avrebbe cancellate.
Per raggiungere il centro abitato più vicino era inevitabile attraversare il fiume, perennemente ghiacciato
durante l’inverno, che circondava la zona. Quella era l’unica via, anche se in realtà vi era un ponte, piuttosto
malandato, che però si trovava dalla parte opposta, troppo vicina al carcere. Armandosi di cautela, cominciarono ad attraversarlo. Ad ogni scricchiolo del ghiaccio il cuore di Jake sobbalzava. Ancora non aveva
dimenticato quel pomeriggio di tanti anni prima, e, d’altronde, come avrebbe potuto? Aveva 15 anni all’epoca dell’incidente, il ghiaccio aveva ceduto sotto i suoi piedi e in attimo si era ritrovato immerso nell’acqua
gelata. Neanche riusciva a ricordare come c’era finito su quel lago, il ricordo era stato offuscato da quella
sensazione di dolore, annebbiamento e paura che ormai lo accompagnava da tempo.
Tuttavia lo aiutava a proseguire il pensiero che presto sarebbe stato libero, lontano dalla vita dietro le
sbarre, dai continui tormenti dei suoi aguzzini. Riuscì persino a ruotare la testa per vedere come se la cavavano gli altri. Hartwood era a pochi passi da lui, mentre Flick sembrava in difficoltà. Fu proprio in quel
momento che lo vide cadere.
Flick scivolò sopra la lastra di ghiaccio e atterrò sulla propria gamba destra. Il rumore dell’osso rotto venne
coperto dall’urlo che cacciò. Jake e Hartwood si precipitarono, ma dovettero ben presto fermarsi perché si
resero conto che il fiume stava per cedere.
“Hartwood!” gridò “In due siamo troppo pesanti, il ghiaccio non reggerà, tu prosegui, lo prendo io”. Prese il
grugnito del compagno per un sì. Con estrema prudenza, facendo scivolare i piedi sul terreno, si avvicinò a
Flick, che piagnucolava reggendosi la gamba con entrambi le mani. Ad un tratto, agli scricchioli del ghiaccio
si sommarono altri rumori, che provenivano da lontano. Solo dopo pochi istanti riuscì a distinguerli. ‘Cani!’
18
CRUCIVERBA
DEKANTERON
pensò ‘sono i cani da guardia, maledizione!’.
“Flick, ora ascoltami, calmati, stanno arrivando, sì Flick, i poliziotti, ascoltami! Non posso avvicinarmi di più
altrimenti io e te ci faremo un bel bagnetto rinfrescante. Devi avvicinarti tu che sei più leggero”. Ma vedendo che il ragazzo non reagiva, perse la pazienza. “Flick, cazzo, SBRIGATI!”. Fu allora che strisciò in avanti e si
alzò scaricando il peso sulla gamba sana. Quando era ormai vicino, Jake lo afferrò e se lo caricò sulle spalle. I
latrati dei cani si fecero sempre più distinti e con loro anche le grida dei poliziotti. Cominciò a correre, ormai
ce l’avevano quasi fatta, il fiume dietro di lui si stava già aprendo, il ghiaccio cedeva. Proprio nel momento in
cui atterrò con un piede sul suolo, l’altro sarebbe affondato nell’acqua, facendolo cadere, se Hartwood non
l’avesse tirato per il colletto. Depose Flick a terra e trasse un gran respiro.
“Dobbiamo muoverci se vogliamo vedere l’alba di domani. Sai quello che ci faranno, se ci prendono. Quelli
non perdonano” gli disse l’amico, mentre si issava il ragazzo sulle spalle. Jake annuì con il capo e ripresero
così la loro strada.
Avanzarono nella notte per quelle che potevano essere ore oppure anche soli pochi minuti. Il vento ululava senza pietà facendo scuotere i rami degli alberi sparsi per i campi.
Hartwood fece cenno a Jake di seguirlo in una piccola grotta. Flick aveva ormai perso conoscenza: tastandogli la gamba, Jake capì che la rottura era abbastanza grave. Il suo compagno lo stava fissando: “Lo sai che
non ce lo possiamo portare più dietro, vero? Ce li abbiamo alle calcagna, di questo passo tra meno di un’ora
ci ritroveremo con il muso schiacciato a terra e l’alito fetido di Tyler sotto il naso”. Jake si passò una mano tra
i capelli, restò qualche attimo in silenzio e poi disse: “Non possiamo abbandonarlo qui”.
Hartwood non smetteva di lanciargli sguardi torvi, sembrava sul punto di esplodere. “Senti un po’ amico, io
non ho rischiato la pelle per arrivare fin qui e poi lasciarmi rispedire a calci in culo in quel buco di cella. Se tu
vuoi suicidarti, fallo pure, ma non aspettarti che io rimanga qui. Quindi… Hasta la vista”. Detto questo si alzò
e scomparve nel buio.
“E’ finita” pensò. Che diavolo gli stava succedendo? Fino a qualche ora fa era pronto ad affrontare pericoli,
ostacoli, a scontrarsi con chiunque, non aveva fatto altro che pensare alla libertà. Ma in fondo sapeva che
non sarebbe mai stato libero, anche fuori dal carcere ci sarebbe sempre stata una condanna sulle sue spalle,
quella di esser costretto a vivere nascosto, di rinunciare alla propria identità, di dover costruire il suo futuro
su bugie e menzogne. D’un tratto si sentì vecchio. Era come se gli fossero state prosciugate tutte le forze.
Era stanco, stanco di vivere. Gli inseguitori erano a pochi metri da lui. Jake ormai poteva riconoscerli anche
dalle loro ombre. Guardò Flick, che proprio in quel momento si stava riprendendo, tirò fuori una sigaretta
dal pacchetto, che custodiva gelosamente nella tasca dei pantaloni, e se la mise in bocca. Quando i carcerieri -Stafford e Tyler erano in prima fila, come sempre- gli si pararono davanti pregustando sadicamente il
momento tanto atteso, chiese: “Qualcuno ha da accendere?”.
Le celle di isolamento erano situate nel sotterraneo del carcere. Alte meno di due metri e larghe tre, costituivano il miglior deterrente per mettere in riga i detenuti. Jake ormai aveva acquisito familiarità con quel
posto maleodorante spesso frequentato da topi. Era rinchiuso lì già da due giorni, a digiuno. Il suo stomaco
brontolava, ma non ci faceva caso. Più acuto era il dolore alla schiena, alle gambe e soprattutto al volto.
Sapeva di avere la faccia tumefatta: un occhio era completamente chiuso per il gonfiore causato dai lividi,
il labbro superiore era spaccato e il naso rotto. Probabilmente Stafford gli aveva fratturato anche un paio di
costole.
E così il cerchio si chiudeva. Anche questa volta si era illuso di poter cambiare vita, di dare una svolta agli
eventi, ma era stato del tutto inutile. Si rese conto che in tutta la sua patetica vita i piani che aveva progettato venivano stravolti da una sorte che gli era avversa.
“E’ inutile pianificare” si disse “Vivi giorno per giorno, Jake. Il resto verrà da sé”.
— di Arianna Antonelli, IIIA
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— di Arianna Antonelli, IIIA
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