Numero VI Marzo 2014 Vox Kantis Double Edition Speciale! Festa della donna Disegno di Francesca Polverino, IIIAL CONTENUTI 03 · SPECIALE! FESTA DELLA DONNA 05 · Espulsioni, attacchi e capriole ideologiche: tutte le contraddizioni del ms5 06 · La grande avventura 07 · Comenius: beyond the language 09 · L’arte della solidarietà 10 · Sulle ali della morte: la vera storia di alice domon 11 · Guardate il mondo sotto un altro aspetto 11 · Il filosofo e il vegetariano 13 · La grande bellezza 14 · La ragazza con l’orecchino di perla 14 · Concorso scacchi 15 · Un mare da sogno 16 · Bordeaux 17 · Il prezzo dell’illusione 20 · Cruciverba 1 EDITORIALE In questo numero troverete (ahimé) pochi articoli, ma vi accorgerete subito di quanto siano degni di nota. Innanzitutto, terrei a sottolineare l’omaggio di Giuditta Migiani a Lucia Ottobrini, compagna di Mario Fiorentini, entrambi partigiani che contribuirono in modo fondamentale alla storia della liberazione italiana. In questo mese si renderà, dunque, omaggio al 70° anniversario della strage delle Fosse Ardeatine che seguì, come rappresaglia da parte dei nazisti, l’attacco partigiano di via Rasella. Tuttavia Lucia Ottobrini ci appare, qui, nelle vesti non solo di combattente che ebbe un ruolo attivo nella Resistenza, ma anche in quelle di donna-simbolo, pronta a farci riscoprire un mondo di femminilità a quei tempi soffocato e costretto tra le quattro mura domestiche. Ma non aggiungo nulla di più, non vorrei rovinare la piacevole spontaneità dell’intervista. Proseguendo con ordine, per la cronaca interna, Martina Tomassini ci fornisce un dettagliato resoconto sul progetto Comenius che anche quest’anno ha intessuto una rete di amicizie tra ragazzi di nazionalità diverse dal 5 al 9 marzo, giorno in cui l’iniziativa si è conclusa tra la commozione generale degli studenti che vi hanno partecipato. Anche Federico Pizzo ci parla di un evento che ha avuto luogo nel nostro istituto il 28 febbraio: il tanto atteso “K Factor”, organizzato dal Progetto Camerun Kant e conclusosi con grande soddisfazione di partecipanti e organizzatori. Per quanto riguarda la cronaca esterna, il National Geographic festeggia il suo 125° anniversario con una mostra che, grazie alla forza visiva delle sue fotografie, ha affascinato e rapito lo sguardo di migliaia di visitatori, tanto da indurre gli organizzatori a prolungare l’esposizione fino al 13 luglio. E se scorrerete le pagine, potrete osservare che non mancano neanche le analisi politiche del nostro Paese. E qui terminano gli articoli di cronaca, ma solo per fare spazio alle nostre rubriche e recensioni, tra cui vorrei far notare quella de “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino che, come anche il telespettatore più distratto ha potuto constatare, ha disseminato vittorie in ogni festival cinematografico sparso nel mondo, fino a raggiungere la consacrazione nella serata degli oscar 2014. Arianna Antonelli Direttrice Jessica Andracchio, IVCL Redazione Giuditta Migiani, IIIAL Arianna Antonelli, IIIA Marta Dibitonto, IA Chiara Innocenzi, IA Michelangelo Conserva, IC Giulia Di Censi, IIID Valeria Paris, IIID Gabriele Ghenda, IIFL Michela Sabani, IIIGL Valentina Midolo, IA Virginia Cenciarelli, IVAL Daniela Movileanu, IA Federica Sasso, IIIC Professori referenti Salvatore Alessi Valerio Giannetti Silvia Concetta Minniti 2 SPECIALE! FESTA DELLA DONNA Eroine d’Italia omaggio a Lucia Ottobrini L Ho partecipato alla guerra di Liberazione, anzitutto per risollevare il nostro paese dal baratro in cui era caduto per la follia guerrafondaia del Fascismo. In quel momento occorreva unire tutte le forze intorno all’obiettivo principale che era la guerra a fianco delle democrazie occidentali. Ho combattuto avendo al mio fianco carabinieri, graduati, ufficiali, civili di idee liberali o socialiste, comunisti e democristiani, preti ed ebrei, monarchici e repubblicani, tutti uniti dal comune intento di cacciare via i nazisti. Il Fascismo, il Nazismo, il Franchismo erano modelli da respingere perché avevano calpestato le libertà e la stragrande maggioranza dei partigiani si batteva per la libertà. ucia è una simpatica donna di 90 anni dai vivacissimi occhi neri da cui traspare ancora oggi una forza straordinaria. Lucia Ottobrini nasce a Mulhouse, in Gramsci, di cui diventa subito un’attiva protagoAlsazia, nel 1924. Sin dalla più tenera età si trova nista. Mario e Lucia frequentano inoltre i magimmersa in un ambiente carico di tensioni, sogiori esponenti della cultura e dell’arte: artisti, prattutto in ambito sociale. Era terribile quando attori, registi, protagonisti del fermento culturale dalle miniere di potassio venivano estratti i italiano di quegli anni e di quelli a venire. Lucia, caschi dei minatori rimasti là sotto e quando le con i nomi di battaglia “Maria Fiori” e “Leda Lammanifestazioni dei lavoratori erano represse a berti”, insieme a Mario e ai loro due compagni di furia di bastonate dalle guardie a cavallo. lotta Rosario Bentivegna e Carla Capponi, scrive In questo clima di fermento e malcontento gene- tra le pagine più importanti della Resistenza rale Lucia, già a quindici anni, prende in mano le della guerra di Liberazione. La determinazione e redini della propria vita: non ha neanche il diplo- il vigore che caratterizzano il suo contributo alla ma di terza media, ma divora le opere della libre- guerra partigiana non l’hanno mai abbandonata. ria domestica, in particolare quelle di letteratura Subito dopo la Liberazione, Lucia e Mario celerussa e francese. A 16 anni, dopo essersi trasferita brano le nozze e Lucia a Roma con la sua numeviene accolta come una rosa famiglia, trova lavoro figlia dalla famiglia del presso l’Ufficio valori del suo compagno. QuanTesoro, contribuendo do, dopo la Resistenza, così al sostentamento sposai Mario, in un cerfamiliare. Avevo poco to senso la sua famiglia perché davo tutto alla mi adottò. Sua madre mia famiglia, ma quello e suo padre furono mia che mi restava lo spenmadre e mio padre, devo in cibo e libri. E a ai quali, in punto di Roma, una sera del 1943, morte, promisi che mi incontra Mario Fiorentini, sarei sempre presa cura un grintoso intellettuale del loro figlio. E così è comunista. Da quel mostato, dopo 67 anni di mento non ci lasciammo matrimonio, noi siamo più. Fu una fiammata ancora insieme. che non si è mai spenta E’ vero: dopo 67 anni né attenuata. Fu subito sono ancora una coppia il mio ragazzo e il mio affiatatissima. compagno di tutta una Oggi, però, Lucia non vita. Con Mario entra ama ricordare quei nella Resistenza Romana, momenti di sofferenza e nel GAP centrale Antonio di lotta: E’ terribile. La Lucia Ottobrini nel 1942 3 SPECIALE! FESTA DELLA DONNA guerra è morte... l’esperienza più triste della mia vita. E’ stanca di raccontare, soffermarsi nei ricordi rivivendo quel dolore. Delle sue numerose e importantissime azioni da partigiana, tra i principali momenti della guerra di liberazione italiana, preferisce non parlare nei suoi scarni racconti. Ma i suoi occhi sono ancora vivaci e rivelano una vitalità che non si vuole arrendere. Alla domanda: “Qual è il ricordo più piacevole che hai di quegli anni?” lei risponde “La mia vera fortuna è stata quella di aver incontrato tanti uomini e donne meravigliose, che ci aiutato anche rischiando la loro stessa vita”. Lucia, medaglia d’argento al valor militare, non è però solo un’eroina della Resistenza. E’ anche, in assoluto, un’icona femminile al di fuori del tempo. E’ una donna coraggiosa, che non si è fatta piegare o condizionare dal fatto di essere donna in un’epoca, quella del ventennio fascista, in cui alle donne veniva riconosciuto esclusivamente il ruolo di madre e casalinga. In una società in cui, purtroppo ancora oggi, le donne subiscono ogni tipo torto e discriminazione, Lucia è una figura da celebrare. I suoi sacrifici, i suoi dolori, la sua forza, la sua determinazione, li ritroviamo noi oggi nella libertà del nostro Paese, che lei, Mario, Rosario, Carla e gli altri hanno ottenuto per mezzo di sangue e sudore, mettendo in gioco la propria vita. “- Che cosa resta, in lei, di quel periodo di lotta?” “Una sensazione di aver fatto poco e molto. Poco, perché eravamo pochi. Molto, sempre perché eravamo troppo pochi. Con una speranza che è una certezza: nella malaugurata ipotesi che la cosa si ripetesse, non saremmo più così pochi” [Intervista rilasciata a Adris Tagliabracci - «Il Contemporaneo», a. XI, n. 7 -dicembre 1964] Senza di lei non sarei una persona civile: lei si occupa di me e mi cura amorevolmente e quotidianamente. Ci siamo accettati sempre per quello che eravamo, per questo conviviamo amandoci da 66 anni. E’ il destino che ci ha fatto incontrare. La mia Lucia dice di me: ‘Mario è un aquilone; io tengo i fili e lo riporto giù.’ Sì, è esattamente così…” Mario Fiorentini Carla Capponi [Dall’intervista di Cecilia Lugi a Mario Fiorentini in “Ondanomala” – Il Giornale del Pilo Albertelli di Roma – Mag/Giu 2011 – Numero 5 – Anno IV] — di Giuditta Migiani, IIIAL Rosario Bentivegna 4 CRONACA ESTERNA Espulsioni, attacchi e capriole ideologiche: tutte le contraddizioni del M5S E cco, ci risiamo. La ghigliottina mediatica di Grillo, novello Robespierre del XXI secolo, torna a far rotolare altre teste. Questa volta si sono ritrovati nel mirino dell’ostracismo del M5S Alessandra Bencini, Laura Bignami, Monica Casaletto, Maria Mussini e Maurizio Romani, i cinque senatori dimissionari che si erano opposti all’espulsione – di pochi giorni prima – di altri membri del partito (Orellana, Battista, Bocchino…). La pratica delle espulsioni, bisogna dire, non è una novità, anzi potrebbe essere annoverata tra le clausole contrattuali del programma grillino. Se uno si discosta leggermente dalla 5 linea politica del leader, o rivendica una timida autonomia ideologica, viene immediatamente isolato e messo alla berlina. Lo stesso vale per i giornalisti, attaccati e denigrati solo per aver espresso un proprio giudizio sulle “purghe” grilline. Quasi verrebbe da chiedersi come concepiscono, i pentastellati, la libertà di espressione e il diritto di cronaca. E pensare che uno dei punti cardine del loro manifesto è la democrazia diretta del popolo. Ma come è possibile promuovere un simile principio di sovranità popolare quando la democrazia viene bandita all’interno del partito stesso? Il controsenso è evidente. Negli ultimi tempi il M5S ha seguito un’involuzione che potrebbe quasi tenere testa a quella giacobina. Quando erano scesi in campo, i grillini vantavano un programma avanzato e allettante soprattutto per gli elettori sfiduciati, in prevalenza di sinistra, che stavano varcando le soglie dell’ateismo partitico. La lotta alla corruzione, il piano ecologista della green economy, la riduzione delle indennità per i parlamentari costituivano un programma alternativo, senza compromessi, ben distinto da quello degli altri partiti. Ma da queste premesse, comunque ancora propugnate, si è passati a una serie di proposte che CRONACA ESTERNA strizzano l’occhio all’elettorato leghista. In primo luogo l’atteggiamento di Grillo e del suo esoterico guru Casaleggio nei confronti degli immigrati, quando ad esempio si sono schierati contro l’introduzione dello ius soli, il diritto che garantirebbe la cittadinanza agli stranieri nati in Italia. Tuttavia la presa di posizione che più segue le orme dei proseliti della Lega è, senza dubbio, la dissoluzione del nostro Paese. “Un’arlecchinata di popoli, di lingue, di tradizioni che non ha più alcuna ragione di stare insieme”, così Grillo definisce l’Italia. Per questo vagheggia la formazione di macroregioni sul modello atavico del Regno delle due Sicilie o della Repubblica di Venezia. Se tutti gli eroi risorgimentali, morti per l’Unità d’Italia, avessero saputo che fine avrebbe fatto il Paese per cui stavano dando la vita, probabilmente avrebbero appeso le armi al chiodo e preferito di gran lunga una salutare bevuta in osteria. Distruggere tutto per ricostruire dalle fondamenta. Questa è l’ideologia di fondo del Movimento 5 Stelle. Eppure non capiscono, Grillo, Casaleggio, Di Battista, che l’Italia non è un’araba fenice. Dalle ceneri non rinascerà niente, ma resteranno solo macerie. — di Arianna Antonelli, IIIA La grande avventura F in dalla sua prima comparsa sulla Terra 4,5 milioni di anni fa, l’uomo è stato pervaso da un’insaziabile sete data il 27 gennaio 1888 da 33 di conoscenza e ardente scienziati e intellettuali, riunitisi desiderio di esplorare nuoprecedentemente il 13 gennaio vi mondi, conoscere realtà al Cosmos Club di Washington. diverse, entrare a contatto Il suo scopo è quello, come ha con usi e costumi differenti affermato John Fahey, di indurdai propri, scoprire specie re l’umanità a prendersi cura animali e vegetali, viaggiare del proprio paese e nelle regioni più a divenire consape“Poter gettare inospitali e selvagvoli del fatto di non ponti che scavalge, fino ai confini essere i padroni del chino millenni, della terra... mondo, di essere i continenti, civiltà, “La grande avventura” è il nome della mostra allestita da Guglielmo Pepe, direttore del National Geographic Italia, al Palazzo delle Esposizioni dal 28 settembre 2013 al 2 marzo 2014 in onore dell’anniversario della National Geografic Society (125 anni) e NG Italia (15 anni). Attraverso l’esposizione di 125 scatti, pannelli espositivi, cover della rivista, schermi televisivi, touch screen, si ammirano le scoperte e le pubblicazioni dell’organizzazione. Questa è stata fon- raggiungere esseri umani che lingue, scritture, leggi, costumi, fedi diverse parrebbero dividere inesorabilmente da noi, e scoprire invece che ci sono similissimi - quasi dei fratelli - ecco un insigne piacere” Fosco Maraini (Firenze, 15 novembre 1912-8 giugno 2004) scrittore, fotografo, viaggiatore-pellegrino, etnologo, orientalista, alpinista. più intelligenti della terra ma non i migliori e quindi a impegnarsi a rispettare e salvaguardare tutte le altre specie viventi per il bene del nostro pianeta. “To increase and diffuse geographic knowledge while promoting the conservation of the world’s cultural, historical, and natural resources” è l’obiettivo che si è da sempre prefissata la Society, che sponsorizza e promuove l’esplorazione e la ricerca scientifica e si occupa delle più svariate discipline, dalla geografia all’ar- cheologia, alle scienze naturali, alla salvaguardia dell’ambiente e dei patrimoni storico-artistici, allo studio delle civiltà e della loro storia. La società, la cui sede si trova a Washington negli USA, è gestita da ventitré membri del consiglio degli amministratori fiduciari e pubblica periodicamente il National Geografic Magazine, una rivista di fotografia, ricca di articoli d’illustri studiosi, giornalisti, avventurieri, ricercatori, oggi tradotta in 31 lingue diverse con cinquanta milioni di lettori al mese. Nel 1890 la NGS finanziò la sua prima spedizione: il professore universitario Israel C.Russel e il topografo Kerr scalarono il Monte Saint Elias alto 5489m, situato al confine tra il canadese Yukon e la statunitense Alaska. Da allora la bandiera a strisce blu, verde, bruna, simbolo della società, è stata piantata un po’ ovunque, sulla luna nel 1962, sulla cima dell’Everest il 29 maggio 2012, sul fondo della Fosse delle Marianne il 24 marzo 2012, al Polo Nord nel 1909, al Polo Sud, esplorato nel 1929 da Richard Bird, che riportò le immagini aeree di 100.000 chilometri quadrati di ghiaccio antartico. Nel 1906 sono sta6 CRONACA INTERNA CRONACA ESTERNA te scattate le prime immagini notturne di animali catturate col flash, nel 1914 le prime foto a colori, nel 1926 le prime immagini subacquee. di sviluppo. Comenius: beyond the language noi è stata la prima esperienza mentre L’ultima parte della altri già conoscevano i mostra è interamente loro ospiti, ma di sicuro dedicata alla National non è stato questo a Geographic Italia, con fermarci dall’entrare le immagini di tutte le pienamente nello copertine della rivista, spirito del Comenius. La mostra è suddivisa fondata 15 anni fa nel Nonostante l’agitauando si sente zione iniziale, il primo per diverse aree tema- febbraio 1998. All’iniparlare di tiche: momenti indizio costituita solo da impatto non è stato Comenius somenticabili; bandiera; articoli brevi, si è in affatto tragico come litamente si pensa ad storia; esplorazioni seguito arricchita di pensavamo e, fatti i uno scambio culturale di terra, mare, aria; reportage e inchieste primi saluti e superata incentrato più sulla scienza; natura; viaggi, effettuate in tutto il la timidezza, ognuno è ciascuna introdotta da nostro Paese. Descrive scuola e sull’imparare tornato a casa propria nuove culture che su delle efficaci e suggele innumerevoli città e ha fatto in modo altro. Si pensa a due ra- che il proprio ospite si stive citazioni, come italiane con le loro gazzi di diversa nazioquella che ricorda che particolarità, si soffersentisse a suo agio. nel 2100 molte specie ma sulle bellezze e sui nalità che convivono Il giorno dopo, arrivati per un periodo di tem- a scuola, i ragazzi tedeanimali si estingueran- problemi della natura no. e dell’ambiente, esalta po e imparano ognuno schi e inglesi sono stati qualcosa della lingua e accolti dal nostro presiil ricco patrimonio “Qualunque sia il luogo in della cultura dell’altro. de e dalle professoresartistico, culturale, cui ti trovi, se non hai paura vuol dire E’ vero, il Comenius archeologico della se ma soprattutto, con che in te c’è qualcosa che non va” è anche questo. Dico tutto il rispetto, da un M. Nichols nazione. “anche” perché oltre enorme tavolata piena all’obiettivo scolastico, di dolci e altro. Inutile “Inspiring people “Credo che ovunque si vada si finisca se così si può chiamare, dire che all’ “ora potete to care about the col trovare qualche riflesso di se planet“, motto della c’è altro dietro, qualco- andare a mangiare” stessi” rivista, è rappresen- sa di molto più profon- della professoressa si Peter Jenkins do. Grazie al Comenius sia scatenato il putifetativo del messagnascono amicizie che gio della mostra. rio. Dopo aver saziato superano la distanza Attraversando i corriil nostro stomaco con la maggior pare delle doi, lungo le pareti, si “Se dopo la mostra vetutto quel ben di Dio, volte, dietro lo scambio ci siamo divisi nei vari possono notare due drete con occhi diversi, di informazioni ci sono workshops: Music, Mestraordinari scatti di più empatici, più comdue ragazzi che ridono dia, Dance, Art e Pergrandi dimensioni: il prensivi, tutte le specie insieme e si divertono ritratto di Robert Peary, viventi, sarà missione formance, in ognuno nonostante le diverse il primo uomo a esplo- compiuta. E vorrà dire dei quali ci si preparava rare il Polo Nord nel che la speranza di avere origini. Ed è con queper lo spettacolo finale sto presupposto che 1909, e la fotografia di un mondo migliore è che si è svolto la sera di mercoledì 5 marzo, una ragazza afghana ancora viva” venerdì 6 marzo. chi a Ciampino e chi a di Steve McCurry, la cui [Guglielmo Pepe] Mentre la mattina in Fiumicino, abbiamo ac- Music si suonava, in espressione ci induce a riflettere profonda— di Valentina Midolo, colto i ragazzi tedeschi Media si fotografava mente sul rapporto tra IA e inglesi a Roma per e si montava il video, la chiusura di questo l’uomo occidentale e in Dance si memorizprogetto. Per molti di quello dei paesi in via zavano i passi, in Art si Q 7 CRONACA INTERNA colorava e si incollavano foto e in Performance si facevano le prove per l’esibizione, il pomeriggio, dividendoci in vari gruppi, abbiamo portato i ragazzi in giro per Roma. Il giorno dopo verso le 18.30 si è svolta la cerimonia di chiusura e tra ringraziamenti, esibizioni, risate e probabilmente anche qualche lacrima abbiamo dato il nostro saluto a questo progetto che in due anni ha legato ragazzi distanti kilometri e kilometri, creando amicizie che vanno oltre il confine del proprio Paese. Bisogna precisare una cosa: questo non è stato affatto un addio, è stato un semplice arrivederci, forse a questa estate, forse al mese prossimo o forse all’anno prossimo, fatto sta che l’intenzione di rivedersi è comune a tutti. E’ stata un’esperienza fantastica sotto tutti i punti, sia a livello linguistico che di relazioni, e se mi dessero l’opportunità di rivivere dei momenti del genere non ci penserei due volte ad accettare. E per questo non possiamo fare altro che ringraziare chi ha reso possibile la realizzazione di tutto ciò: grazie alla professoressa Cacciò, alla professoressa Ferrarese, alla professoressa Parretti, al professor Giannetti, alla professoressa Keating e al preside Infantino da parte di tutti gli studenti che sono stati coinvolti nel progetto. — di Martina Tomassini, IIICL 8 CRONACA INTERNA L’arte della solidarietà “L a solidarietà del genere umano - ci suggerisce Immanuel Kant - non è solo un segno bello e nobile, ma una necessità pressante, un ‘essere’ o ‘non essere’, una questione di vita o di morte.” Segno ancora più bello e nobile - aggiungo io - è quando arte e solidarietà si fondono per dare vita a qualcosa di straordinario, unico, quasi magico. Perché in fondo l’arte, come la solidarietà, sta nel donare completamente se stessi senza sentire il bisogno di ricevere qualcosa in cambio. Così, in occasione dell’annuale raccolta fondi, che si inserisce nel progetto di scambio interculturale tra il G.B.H.S. di Fontem (Camerun) ed il nostro Liceo, alunni e docenti si sono “messi in mostra”, cimentandosi in esibizioni live, gara artistica, culinaria e fotografica, per dare a ognuno la possibilità di esibire il proprio talento solidale. L’evento, che prende il nome di “K Factor”, si è tenuto nei locali del nostro Istituto il pomeriggio del 28 febbraio, e ha visto un’ interessata e viva partecipazione da parte non solo di studenti e professori, ma anche di genitori ed esterni che hanno voluto fornire il loro contributo. Un contributo fondamentale ad un progetto di vitale importanza per la nostra scuola, non un progetto tra tanti, bensì una manifestazione di solidarietà verso una realtà diversa, non così lontana dalla nostra. Dal ’97/’98, quando 9 la scuola si inserì nel progetto “Adotta un diritto umano. Parole e fatti”, ad oggi, certo le parole non sono mancate, e men che meno i fatti. Scambi di lettere, cartoline e foto, incontri tra la delegazione camerunese e alcuni studenti del Kant, un premio ricevuto dalla FAO per l’impegno, la cura e la dedizione riservate al progetto dai nostri compagni, conferenze video, assemblee, concerti e raccolte fondi per le borse di studio e il materiale didattico per gli studenti del liceo di Fontem: questa, in poche righe, la storia di un progetto; anzi meglio, la storia di un’amicizia, un’amicizia tra due Paesi, tra due scuole, geograficamente così lontane ma vicine col cuore e con la mente. La vivace, energica ed entusiastica adesione all’evento è senz’altro la dimostrazione del durevole ed effettivo interesse che il nostro Istituto continua a nutrire nei confronti di tali iniziative. La manifestazione si è aperta con il saluto ai partecipanti da parte di due studentesse, Valeria Paris e Giuditta Migiani, che dopo un breve excursus sulla storia dello scambio interculturale, hanno presentato i partecipanti al Talent Show. Pianisti, musicisti, e cantanti hanno esibito la loro arte, hanno sollevato applausi, commozione e strappato anche qualche risata al pubblico presente, che, chiamato a votare, ha deciso di premiare la performance di Rita Negrini. Tra un’esibizione e l’altra, nel corridoio adiacente all’Aula Magna, è stato possibile apprezzare il talento artistico e fotogra- CULTURA&SOCIETÀ Sulle ali della morte: la vera storia di Alice Domon fico dei kantiani, i cui lavori sono stati degni di nota. Purtoppo alla fine, si sa, il vincitore è uno solo. Mentre Alessia Stefanori ha incantato tutti con la sua scultura, la fotografia di Sofia Orifici è stata decretata la migliore. Dulcis in fundo, la giuria della gara culinaria, composta da docenti, alunni e collaboratori scolastici ha avuto l’ingrato compito di dover premiare solo due tra le decine di pietanze, dolci e salate, in gara. Giuliano Turturro è stato coronato con un cappello da chef grazie alla sua torta “Pan di stelle”, Andrea Marcelli invece ha stuzzicato il palato della giuria vincendo per la categoria “salato” con il suo piatto a base di pollo e funghi. Dopo la degustazione e la premiazione dei vincitori, la giornata si è conclusa con i saluti e i ringraziamenti del Prof. Gnocchini e della Prof.ssa Parretti che da anni ormai tengono le redini di questo gemellaggio. Vorrei concludere con i miei personali ringraziamenti a quanti hanno preso parte a questo strepitoso evento: organizzatori, performers, fotografi, artisti, cuochi, alunni, docenti, personale ATA, genitori e a tutti coloro che, con rinnovato spirito, ogni anno continuano a donare se stessi. Grazie! — di Federico Pizzo, IIIA N on è necessario attendere una particolare ricorrenza per ricordare il tragico destino dei desaparecidos. La scomparsa di 40000 persone, solo in Argentina, non può essere archiviata nello scantinato della memoria e fatta riemergere solo quando lo impone il dovere istituzionale. Soprattutto è importante che i giovani d’oggi ne siano al corrente, perché un orrore di tale gravità non si ripeta nelle epoche future. Per chi non conosca, o ne abbia solo sentito parlare distrattamente, la vera storia dei desaparecidos, forse potrà trovare questa lettura di particolare interesse. Erano solo dei ragazzi, la maggior parte, tra i 16 e i 25 anni. La loro colpa è stata quella di ribellarsi ai regimi dittatoriali, instaurati, in Sud America, da militari fascisti come Jorge Rafael Videla o Augusto Pinochet, organizzando azioni di protesta messe subito a tacere con sequestri, torture e violenze di ogni tipo. Un trattamento particolare era riservato alle donne in attesa, tenute in vita quel tanto che bastava, dopo supplizi che lascio alla vostra immaginazione, fino al momento del parto, poi percosse e trapassate da una scarica di Madri di Plaza de mitra sul ventre per Mayo: associazio- ganizzazione ribelle nascondere il taglio ne umanitaria fon- dei montoneros, capro data nel 1977 da cesareo, eseguito espiatorio ideale per Azucena Villaflor e –ovviamente– uscire da una situazioformata da tutte le senza anestesia. I ne a dir poco scomoda madri dei desapabambini appena e imbarazzante. Ad recidos, unite nella lotta per la liberanati venivano in avvalorare la presunzione dei loro figli seguito affidati alle ta accusa, una lettera scomparsi. famiglie dei militascritta –sotto tortura– ri, condannati, così, da Alice e Léonie, nella inconsapevolmente a crescere quale additavano come colpetra gli assassini dei loro veri ge- voli del loro rapimento i capi nitori. Ed era per aiutare queste guerriglieri. persone che Alice Domon, una Eppure le due monache erano monaca francese trasferitasi in sempre rimaste là, nelle celle Sud America alla fine degli anni dell’ESMA, da dove uscirono ’60, si era unita alle Madri di solo per essere imbarcate su un Plaza de Mayo, preparando una petizione con i nomi di tutti i dissidenti scomparsi da presentare al governo argentino. Ma nello stesso giorno in cui la petizione fu pubblicata sul giornale “La Naciòn”, l’8 dicembre 1977, Alice Domon, insieAlice Domon e Léonie Duquet fotografate dai militari fascisti me a un’altra religiosa, sotto la bandiera dei montoneros Léonie Duquet, venne sequestrata dai militari al comando di Alfredo Astiz, infiltratosi, dietro l’apparenza del suo viso angelico, nel gruppo delle Madri di Plaza de Mayo. La scomparsa di due cittadine francesi, tuttavia, non poteva rimanere nascosta dietro un muro di silenzio e omertà: a distanza di pochi giorni dal rapimento, la Francia già gridava allo scandalo internazionale. Per indirizzare altrove i riflettori della stampa, il governo argentino addossò Jorge Rafael Videla, dittatore dell’Argentina ogni responsabilità del sequedal 1976 al 1981 stro delle due donne sull’or10 CULTURA & SOCIETÀ aereo e gettate –vive e pienamente coscienti– tra le onde brulicanti di squali dell’Oceano Atlantico, in uno dei tanti voli della morte che liquidavano in maniera veloce e pulita gli oppositori del regime. E pensare che i responsabili e gli esecutori di simili atrocità, dopo pochi anni passati in carcere, nel 1989 erano già a piede libero per merito della concessione di grazia e ESMA: “Escuela Superior de Mecánica perdono de la Armada”, scuola incondidella marina di Buezionato nos Aires, divenuta del predurante la dittatura sidente (1976-1983) centro di detenzione e torargentino tura degli oppositori Carlos al regime. Menem. Politici, carcerieri, militari tornarono ai loro posti di potere, impuniti, come se nulla fosse, come se quelle 40000 vittime fossero solo dei numeri e niente più. Solo negli anni 2000, con l’elezione alla presidenza di Néstor Kirchner, l’Argentina poté raggiungere una maggiore equità giuridica: alcune amnistie vennero revocate e, questa volta, gli artefici del “Processo di riorganizzazione nazionale” (così veniva definita la dittatura argentina) non riuscirono a sottrarsi alle pene che da tempo li attendevano. — di Arianna Antonelli, IIIA RUBRICA Guardate il mondo sotto un altro aspetto C iao a tutti! Qualche settimana fa avevo pubblicato un articolo sul cioccolato, ve ne ricordate? Insomma chi se lo sarebbe mai aspettato che quello che anticamente era chiamato “cibo degli dei” al giorno d’oggi è fatto da bambini schiavi? Detto ciò, vi vorrei parlare di un video che ho visto. Parlava della bomba atomica e delle inimmaginabili cifre che i governi spendono per esse, e intanto nell’altra parte del pianeta ci sono persone che muoiono di fame, malattie, e allora mi chiedo: Perché? Perché il mondo è tanto egoista? Perché dobbiamo lasciare in condizioni pietose delle persone come noi? A volte non mi sembra vero, ma è così! E ovviamente ci sono molte altre cose inutili per cui il mondo spende miliardi e miliardi di dollari. Dobbiamo fare qualcosa, dobbiamo agire. Vi consiglio di aprire i vostri occhi guardando il video della associazione ‘Senza Atomica’ oppure molti altri che raccontano quello che succede nel mondo. Concludo questo “mini articolo” chiedendovi: MA LO VOGLIAMO CAMBIARE QUESTO MONDO? Ci vediamo al prossimo numero! — di Gabriele Ghenda, IIFL 11 Il filosofo e il vegetariano J ostein Gaarder nel suo libro ‘Il mondo di Sofia’ scrive: “L’unica cosa di cui abbiamo bisogno per diventare buoni filosofi è la capacità di stupirci”. Aggiunge anche che mano a mano che cresciamo questa capacità sembra attenuarsi: è per questo che paragona i bambini ai filosofi. Per un bambino è tutto nuovo, scrive, ancora non sa cosa il mondo abbia in serbo per lui. Prova lo stesso entusiasmo nel vedere un cane come potrebbe provarlo nel vedere una persona spiccare il volo. Un bambino non è ancora schiavo dell’abitudine come lo è un adulto. Gaarder identifica in questo genuino e -nella più positiva delle accezioni- infantile entusiasmo il più nobile degli stili di vita. Spesso le persone mi chiedono “Sei vegetariana? Ma come fai?”. Capita raramente di avere abbastanza tempo e predisposizione da parte dell’interlocutore per tuffarsi in una discussione etico-filosofica sulle ragioni di questa scelta. Allora, semplicemente, taglio corto sfoderando il solito elenco di categorie (ragioni etiche, sociali ed economiche). Ma puntualmente, appena torno a casa ed ho un momento per me, mi fermo a riflettere. C’è davvero da chiederlo? In quei momenti è come se si ristabilisse la giusta misura delle cose; come scrollarsi di dosso quella patina di apatia accumulatasi con l’adagiarsi alla corrente della vita tipico della RUBRICA: GREEN(H)EART(H) consuetudine. Un improvviso risveglio dal sonno in cui tutti, in qualsiasi momento della propria esistenza, rischiano di cadere. Una scelta come il vegetarianismo, palesemente operata nel rispetto della vita e come attuazione di un senso di giustizia, superiore al frivolo “desiderio di gola”, desta davvero tanta ammirazione? “Io vorrei esserlo, ma la carne è troppo buona”, mi sento rispondere, “Beata te che ci riesci”. Come se fossi una dei pochi che “ce la fa”, una pioniera, un’avanguardista. Questa stima comporta una consapevolezza di fondo che ciò per cui si applica un vegetariano sia, quantomeno eticamente, qualcosa di giusto. E ciò, a sua volta, dimostra come spesso ci sia anche una condivisione dei princìpi di tale scelta. RIGHT WHERE IT BELONGS [ NINE INCH NAILS ] See the animal in his cage that you built Are you sure what side you’re on? Better not look him too closely in the eye Are you sure what side of the glass you are on? See the safety of the life you have built Everything where it belongs Feel the hollowness inside of your heart And it’s all... Right where it belongs What if everything around you Isn’t quite as it seems? What if all the world you think you know Is an elaborate dream? Chi metterebbe in dubbio che sia sbagliato uccidere un ermellino solo per rifinire il cappuccio di un giubbino? Chi contesterebbe l’affermazione che strappare un elefante dal suo ambiente per fargli spruzzare l’acqua in un circo sia sbagliato? E chi, a conoscenza delle condizioni di vita degli animali negli allevamenti, non si opporrebbe -in via teorica, s’intende- all’esistenza di questi ultimi? Nessuno. Allora, se è vero che nessuno ritiene giusta o meritata la sofferenza, mi chiedo: come mai le persone che prendono una posizione sono così poche? Sarebbe meno doloroso rifugiarsi nella speranza che si trattasse solo di ignoranza. Purtroppo, però, ci troviamo per l’ennesima volta di fronte a un muro mastodontico: l’indifferenza. And if you look at your reflection Is it all you want it to be? What if you could look right through the cracks? Would you find yourself... Find yourself afraid to see? What if all the worlds inside of your head Just creations of your own Your devils and your gods All the living and the dead And you’re really all alone? You can live in this illusion You can choose to believe You keep looking but you can’t find the words Are you hiding in the trees? Vedi l’animale nella sua gabbia, che tu hai costruito sei sicuro di sapere da che parte stai? Meglio non guardarlo negli occhi troppo da vicino Sei sicuro di sapere da quale parte dello specchio sei? Vedi la sicurezza della vita che hai costruito Ogni cosa al suo posto Senti il vuoto nel tuo cuore ed è tutto... Esattamente al suo posto. Cosa succederebbe se tutto intorno a te Non fosse come sembra? Cosa se tutto il mondo che pensi di conoscere Fosse un sogno elaborato? “Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa”, scriveva Antonio Gramsci nel 1917. Le industrie, la pubblicità, gli interessi economici, non sono forse anche queste le “poche mani” a cui si riferisce Gramsci? E la massa ignora. Non ignora perché non le vede, ignora perché sta bene dove si trova. “Right where it belongs”, recita il testo dell’omonima canzone di denuncia contro gli allevamenti intensivi dei Nine Inch Nails. Ma alcuni no, alcuni non riescono a ignorare. Non si può ignorare il dolore, non si può ignorare la violenza, non si può ignorare la morte. Non si può ignorare quella sensazione di “schifo” che attanaglia lo stomaco nel vedere le immagini Se guardi alla tua immadi mucchi gine riflessa di pulcini E’ proprio quello che gettati vuoi essere? vivi nei Se tu potessi guardare tritacarne tra le crepe perché Troveresti te stesso... ti maschi troveresti spaventato di e quindi vedere? inutili, non si Cosa succederebbe se tutti i mondi nella tua possono testa bloccare Fossero tue creazioni, le lacriI tuoi diavoli e i tuoi dei, me e il Tutto ciò che è vivo e groppo morto E tu fossi veramente in gola tutto solo? nel vePuoi vivere questa dere un illusione gattino Puoi scegliere di credere preso a Rimani a guardare ma non riesci a trovare le calci. parole Ti stai nascondendo negli alberi? 12 RUBRICA Questo, è il senso dell’orrore. Questo è quello che ci rende umani. La capacità di stabilire un legame empatico con il prossimo, sia esso bipede o quadrupede, e la possibilità di agire di conseguenza. Senza tutto ciò, dove si andrebbe a finire? Si tornerebbe indietro alla seconda guerra mondiale, alla spietatezza della tortura e al gusto dell’umiliazione solo per dimostrare a qualcuno la propria superiorità, come se l’unità di misura fosse il potenziale di vittime. Senza il senso dell’orrore, l’umanità scomparirebbe. Ecco perché sono vegetariana. Quando l’ho definita, nelle righe precedenti, una scelta, ho mentito: non si è mai trattato di una scelta. Crescere e fronteggiare la realtà, essere messi di fronte al mondo, comporta dei doveri. Doveri morali, collettivi quanto individuali, ma che ignorare i quali significa rinunciare a una parte della propria umanità. È il carico della consapevolezza a pesare, e se non si vuole rimanere schiacciati, si deve reagire. Ed è un carico che rimarrà lì, sulle nostre spalle, finché qualcosa non cambierà, aggravato dall’oppressione del vuoto e dal fracasso del silenzio. Jostein Gaarder nel suo libro ‘Il mondo di Sofia’ scrive: “L’unica cosa di cui abbiamo bisogno per diventare buoni filosofi è la capacità di stupirci”. Io aggiungerei: l’unica cosa di cui abbiamo bisogno per non perdere il nostro essere uomini è la capacità di non abituarci alla sofferenza. — di Giuditta Migiani, IIIAL 13 RUBRICA CINEMATOGRAFICA La grande bellezza U n viaggio attraverso la Roma del XXI secolo. Una Roma cambiata, distratta e quasi dolente ma non così diversa da quella raccontata ne “La dolce Vita” di Fellini, spettatrice già negli anni ‘60 di un paradiso di confusione e peccato. E’ Jep Gambardella il GENERE: Drammatico protagonista di questo viaggio lungo 142 minuti, diretto REGIA: Paolo Sorrentino e sceneggiato dal premio Oscar Paolo Sorrentino. Jep è SCENEGGIATURA: Paoun giornalista e scrittore divelo Sorrentino, Umberto nuto famoso con il suo unico Contarello romanzo, “L’apparato Umano” nonché primo titolo del film; CAST: Toni Servillo, Carlo ma oltre ad essere un uomo Verdone, Sabrina Ferilli, di lettere, la più grande pecuCarlo Buccirosso, Isabella liarità del nostro protagonista Ferrari, Iaia Forte, Pamela è proprio di essere il Re della Villoresi, Galatea Ranzi, mondanità capitolina, delle Roberto Herlitzaka feste in stile barocco e della sua vasta gamma di amici e conoscenti che ne prendono parte. Un personaggio di una bellezza senza tempo e senza ragione, il cui cinismo risuona nei suoi salotti e regna all’interno dei suoi discorsi, ma tutto questo non conta perché niente intorno a lui ha senso, non la sfacciata ricchezza alto borghese, né la povertà culturale, non la finzione, né la falsa religiosità dei cardinali in limousine, ma tutto può essere ricondotto ad un concetto, linea guida del film: il Nulla. Ed è proprio questo che Sorrentino ha tentato di portare sul grande schermo: il Nulla circonda Jep, immerso in situazioni banali e sentimenti effimeri, che vive solamente nel ricordo del suo grande amore giovanile, “incostanti sprazzi di bellezza...”, e sopravvive tutti giorni districandosi in una vacua jungla quale è la sua vita “...e poi lo squallore disgraziato e l’uomo miserabile”. Un film ambizioso, fuori dagli schemi, quasi azzardato che però arriva dritto come una lama e sembra quasi far male, una Grande Bellezza difficile da afferrare e da ricercare negli attimi più semplici e inaspettati della vita. — di Virginia Cenciarelli, IVAL RECENSIONI La ragazza con l’orecchino di perla L a ragazza con l’orecchino di perla” è il secondo romanzo della scrittrice statunitense Tracy Chevalier, pubblicato nel 1999. Da esso è stato tratto anche un omonimo film nel 2003 che vede protagonisti Colin Firth e Scarlett Johansson. La vicenda si svolge a Delft, Paesi Bassi, nel XVII secolo, e la sua protagonista è la sedicenne Griet. E’ una ragazza intelligente, concreta, che sa farsi valere e sa ottenere ciò che vuole, sempre nei limiti imposti dalla sua povera condizione sociale. Per aiutare la famiglia economicamente, Griet viene mandata dai genitori a lavorare in una casa aristocratica, nel quartiere dei papisti: la casa del famoso artista Johannes Vermeer. Qui, il suo compito più importante e delicato è quello di pulire l’atelier del pittore. Griet, grazie alla luce particolare che ha negli occhi, riesce a colpire e conquistare Vermeer e tra i due si instaura un rapporto basato sulla complicità e comprensione, ma anche su sentimenti ben più profondi. Tutto ciò si tramuta nella richiesta del pittore alla ragazza di posare per un suo quadro. Quando l’opera è quasi compiuta, i due si accorgono che essa manca di qualcosa e per questo l’uomo fa indossare a Griet gli orecchini della moglie Catherina. Venuta a conoscenza dell’atto, la signora Vermeer, già profondamente turbata e soprattutto gelosa del rapporto tra Griet e il marito, si scaglia contro la serva, la quale lascia il lavoro per sposare un giovane macellaio. Anni dopo, Griet verrà a conoscenza della morte di Vermeer e l’esecutore testamentario le consegnerà gli orecchini di perla, rivelandole così la reale attenzione da parte del caro pittore. Grazie a questo romanzo è possibile entrare pienamente nel contesto dell’epoca; soprattutto attraverso i personaggi di sfondo, come Catherina (donna estremamente nervosa e insicura) e Maria Thins (madre di Catherina, colei che “dirige” la casa e protegge il genero nella sua attività) si riesce a penetrare nell’ottica della società seicentesca con le sue regole moralistiche. Il pittore, invece, viene descritto come un uomo completamente dedito al suo lavoro, un perfezionista sempre in cerca della giusta luce o del perfetto scenario per le sue opere. Con questo romanzo, Chevalier riesce a farci apprezzare ancor di più il quadro e farci andare anche oltre ad esso utilizzando una narrazione dalle più diverse sfumature. — di Michela Sabani, IIIGL SCACCHI CONCORSO Il Bianco muove e dà scacco matto in 2 mosse Il Bianco muove e dà scacco matto in 2 mosse Il Nero muove e dà scacco matto in 3 mosse Il Nero muove e dà scacco matto in 3 mosse 14 RUBRICA: LE VAGAMONDO Un mare da sogno “M ia madre non lo deve sapere, non lo deve sapere che...voglio andare ad Alghero in compagnia di uno straniero!” Così cantava Giuni Russo... e voi pronti ad andare ad Alghero?! Alghero è una ridente cittadina marittima del nord ovest della Sardegna, in provincia di Sassari. Sorge su un piccolo promontorio a dominio di un’incantevole rada ed è cinta in parte da mura turrite. Questa pittoresca città conserva ancora nelle sue viuzze l’influenza catalana della colonia che nel 1345 vi si stabilì. Consiglio di visitare la Cattedrale, in particolare la parte absidale, dove si aprono cappelle con volte gotiche, e il magnifico campanile. Dopodiché non perdete l’occasione di fare il giro dei bastioni! L’escursione raccomandata è quella alla grotta di Nettuno: gli avventurieri possono arrivarci via terra dopo una scalinata, di oltre 600 gradini, che scende fino all’ imboccatura della grotta (passeggiata in discesa! A risalirli....) Per i sedentari è possibile, però, fare la gita via 15 RUBRICA: LE VAGAMONDO mare col servizio plurigiornaliero di motoscafo. Non potrete, poi, andare ad Alghero e non visitare la spiaggia Mugoni: spiaggia dalla sabbia finissima e dalle acque color turchese. Nel territorio algherese sono stati riportati alla luce un centinaio di nuraghi dei quali alcuni, come Palmavera e Siseri, costituiscono delle vere e proprie cittadine nuragiche. Per la modica cifra di 3€ potrete vedere il sito di Palmavera, a pochi km di distanza da Alghero! Ad Alghero si sente parlare catalano, oltre all’italiano, praticamente tutti i sardi parlano perfettamente la lingua e sicuramente avrete spesso modo di sentire gli algheresi parlare in catalano oppure di vedere utilizzata questa lingua anche sulle indicazioni stradali e nelle piazze!!E infine... Shopping!!! Rimarrete a bocca aperta vedendo i pregiati tappeti fatti a mano dalle sarte algheresi e dalle stupende produzioni artigianali in corallo! — di Marta Dibitonto, IA Bordeaux B ordeaux è una splendida città della Francia sud occidentale, che si affaccia sull’Oceano Atlantico. Una città densamente popolata, senza contare il numero di turisti che ogni anno affluiscono numerosi per visitare l’incantevole centro storico. La città francese è attraversata dal fiume Garonna, un grande corso d’acqua, anticamente chiamato Aquitano, nome rimasto nella Regione di Bordeaux, nota proprio come Aquitania, termine che probabilmente significava “terra delle acque”. Se l’origine del toponimo è dunque incerta, la presenza delle acque è una piacevolissima certezza. Il fascino unico della città è dato sia dall’Oceano che ne lambisce le coste sia dal sinuoso fiume che la attraversa e in cui si specchiano gli eleganti palazzi. Bordeaux vanta di eccellenti musei e di una vita notturna che non sfigura con Parigi: dai resti dell’anfiteatro romano noto come Palazzo di Gallieno al Museo di Belle Arti in cui sono esposte opere di Tiziano, Delacroix, Seurat, Renoir, Matisse, Braque e Picasso. La città è divisa in circoscrizioni come Parigi, ma gli abitanti tendono a parlare di quartieri, così si possono ammirare: il Quartiere di Saint Pierre proprio nel cuore della città che ospita il Place du Parlament, il quartiere Chartrons, conosciuto come “villaggio degli antiquari”per la presenza di numerosi negozi di antiquariato sorti dopo il progressivo declino degli scambi sul fiume, quasi a voler ricordare i tempi floridi del commercio, il quartiere di Saint Michel, di Sait Croix, di Victoire e il Quartiere Grands Homme cioè “dei grandi uomini” Montesquieu, Rousseau, Voltaire e Diderot, che hanno dato i nomi alle strade che convergono nella Place des Grandes Hommes. Eleganza, vivacità artistica e fascino… tutte qualità che questa splendida città racchiude in sé e che le hanno giustamente concesso il privilegio di Patrimonio dell’Umanità UNESCO nel 2007. — di Chiara Innocenzi, IA 16 DEKANTERON DEKANTERON Il prezzo dell’illusione P iccoli fiocchi di neve ricominciarono a depositarsi delicatamente sulle distese di terreno già imbiancate. Jake alzò lo sguardo da terra e si concentrò su quello squarcio di cielo che si poteva intravedere attraverso le sbarre della finestra. Era seduto nella cella 101 di Dorchester Prison, Minnesota, carcere un tempo di massima sicurezza ora finito sui giornali per le pessime condizioni dell’edificio, il quale necessitava di finanziamenti che non sarebbero mai arrivati. I suoi pensieri vennero ben presto interrotti dal pesante e goffo passo di Stafford, la guardia carceraria addetta a quel braccio insieme a Tyler. I due costituivano una coppia di aguzzini impeccabile: riuscivano a rendere impossibile la vita dei detenuti senza mai infliggere danni troppo evidenti per non incorrere in sanzioni o reprimende. Stafford avanzava roteando il manganello con il quale urtava le sbarre delle celle per assicurarsi che fossero ben salde; in realtà era solo una scusa per riscuotere i prigionieri dai loro sogni. O dai loro incubi. Sebbene ci fosse poca luce, Jake riusciva a vederlo distintamente: la sua figura tozza e tarchiata rispecchiava alla perfezione il suo animo volgare e sudicio, quei pochi capelli castani che gli rimanevano erano impomatati da una brillantina dall’odore poco piacevole; il naso ricurvo quasi arrivava a fare ombra al suo perenne ghigno. Dall’altra parte gli venne incontro Tyler. Era esattamente l’opposto del suo compagno: alto e magro, il genere d’uomo che guarda il mondo attraverso il fondo di un bicchiere di whisky; più di una volta lo avevano sorpreso a tracannare fiaschette di alcol ben nascoste nel giubbotto della divisa. Erano pochi i momenti in cui era in piena lucidità mentale. Superarono così la sua cella. Jake calcolò che aveva meno di cinque minuti per aprire la grata del sistema di conduzione. Era un piano di fuga molto semplice, agevolato dalla scarsa sorveglianza, progettato insieme ai suoi due compagni, Flick e Hartwood: si sarebbero infilati dentro il condotto di aereazione e una volta sbucati all’aperto, con il buio come alleato, avrebbero rubato un’auto nella località più vicina. Si alzò dalla branda e batté tre volte sui due muri, oltre i quali vi erano le celle dei suoi compagni, come segnale convenuto per la fuga. Poi prese un piccolo cacciavite nascosto tra le molle del materasso e cominciò a togliere le viti della grata. Una volta rimossa, s’infilò all’interno del condotto. Jake avanzava strisciando a fatica, si sentiva come Frank Morris in Fuga da Alcatraz. Dopo aver girato diverse volte tra le condutture, finalmente trovò l’accesso per l’esterno. Uscito fuori, respirò a pieni polmoni il profumo della libertà. Dovette aspettare solo pochi attimi per veder comparire i suoi compagni. Hartwood uscì dalla conduttura con fatica: la sua stazza imponente non gli facilitava di certo il passaggio. Jake non aveva mai saputo per quale motivo il suo compagno era finito in quell’inferno. C’era chi diceva avesse strangolato la moglie, chi rapinato una banca, e chi diceva che avesse fatto saltare in aria un intero edificio. Tutte le varie versioni però parlavano di una violenza quasi sadica, e questo Jake aveva avuto modo 17 di appurarlo nel corso della sua permanenza a Dorchester Prison: non c’era mai stata una sola sommossa o lite in cui Hartwood non fosse stato coinvolto. Diversa era la situazione di Flick, che proprio in quel momento sgattaiolò con agilità fuori dall’edificio. Era di origine russa, il suo vero nome era Ivan, ma veniva chiamato da tutti Flick per un tic che lo costringeva a volte a muovere la testa a scatti; era un ragazzo di 23 anni e aveva varcato le soglie del carcere pochi mesi prima. Su di lui pesava una condanna di trent’anni, sentenza ritenuta troppo lieve dai familiari delle vittime della sua follia omicida. Quel ragazzo dall’aspetto timido e fragile aveva sterminato con il Kalashnikov del padre, un reduce dalla guerra in Cecenia, i suoi vecchi compagni di liceo che per cinque anni lo avevano tormentato con soprusi e umiliazione. L’ergastolo gli fu evitato solo per la giovane età, mentre l’instabilità mentale non fu mai riconosciuta. Jake aveva deciso di prendere il giovane sotto la sua protezione, non riusciva a insultarlo e inveirgli contro come facevano gli altri, provava per lui troppa pena e compassione. Flick rappresentava, a suo avviso, il chiaro esempio della degradazione della società americana, una società imperniata sulla violenza e sul mito delle armi, una società che non presta la minima attenzione alle situazioni di povertà ed emarginazione delle periferie locali. Trovarono giacconi, sciarpe, cappelli e scarponi abbastanza pesanti per coprirsi e ripararsi dal freddo nell’ex- gabbiotto della sorveglianza, ora utilizzato come ripostiglio. Stavano per svoltare l’angolo quando intravidero due guardie appostate davanti al muro che i tre fuggitivi avrebbero dovuto scavalcare. Jake sentì Hartwood bestemmiare tra i denti. “Che ci fanno quegli idioti là? Sarebbero dovuti essere nella sezione B-41!”. “Cambiamento di programma: tentiamo un’altra strada”. Cercando di non far rumore si diressero verso l’ala ovest. Jake si maledisse per la sua superficialità: avrebbe dovuto prevedere ogni minimo imprevisto, come poteva pensare che tutto sarebbe filato liscio? Evitando un’altra guardia di passaggio, i tre individuarono una zona sicura e abbastanza riparata dai fari delle torre di avvistamento dove potevano arrampicarsi finalmente sul muro con le corde che erano riusciti a reperire pochi giorni prima. Una volta saltati giù, cominciarono a correre senza preoccuparsi di lasciare tracce, la bufera di neve che si preannunciava le avrebbe cancellate. Per raggiungere il centro abitato più vicino era inevitabile attraversare il fiume, perennemente ghiacciato durante l’inverno, che circondava la zona. Quella era l’unica via, anche se in realtà vi era un ponte, piuttosto malandato, che però si trovava dalla parte opposta, troppo vicina al carcere. Armandosi di cautela, cominciarono ad attraversarlo. Ad ogni scricchiolo del ghiaccio il cuore di Jake sobbalzava. Ancora non aveva dimenticato quel pomeriggio di tanti anni prima, e, d’altronde, come avrebbe potuto? Aveva 15 anni all’epoca dell’incidente, il ghiaccio aveva ceduto sotto i suoi piedi e in attimo si era ritrovato immerso nell’acqua gelata. Neanche riusciva a ricordare come c’era finito su quel lago, il ricordo era stato offuscato da quella sensazione di dolore, annebbiamento e paura che ormai lo accompagnava da tempo. Tuttavia lo aiutava a proseguire il pensiero che presto sarebbe stato libero, lontano dalla vita dietro le sbarre, dai continui tormenti dei suoi aguzzini. Riuscì persino a ruotare la testa per vedere come se la cavavano gli altri. Hartwood era a pochi passi da lui, mentre Flick sembrava in difficoltà. Fu proprio in quel momento che lo vide cadere. Flick scivolò sopra la lastra di ghiaccio e atterrò sulla propria gamba destra. Il rumore dell’osso rotto venne coperto dall’urlo che cacciò. Jake e Hartwood si precipitarono, ma dovettero ben presto fermarsi perché si resero conto che il fiume stava per cedere. “Hartwood!” gridò “In due siamo troppo pesanti, il ghiaccio non reggerà, tu prosegui, lo prendo io”. Prese il grugnito del compagno per un sì. Con estrema prudenza, facendo scivolare i piedi sul terreno, si avvicinò a Flick, che piagnucolava reggendosi la gamba con entrambi le mani. Ad un tratto, agli scricchioli del ghiaccio si sommarono altri rumori, che provenivano da lontano. Solo dopo pochi istanti riuscì a distinguerli. ‘Cani!’ 18 CRUCIVERBA DEKANTERON pensò ‘sono i cani da guardia, maledizione!’. “Flick, ora ascoltami, calmati, stanno arrivando, sì Flick, i poliziotti, ascoltami! Non posso avvicinarmi di più altrimenti io e te ci faremo un bel bagnetto rinfrescante. Devi avvicinarti tu che sei più leggero”. Ma vedendo che il ragazzo non reagiva, perse la pazienza. “Flick, cazzo, SBRIGATI!”. Fu allora che strisciò in avanti e si alzò scaricando il peso sulla gamba sana. Quando era ormai vicino, Jake lo afferrò e se lo caricò sulle spalle. I latrati dei cani si fecero sempre più distinti e con loro anche le grida dei poliziotti. Cominciò a correre, ormai ce l’avevano quasi fatta, il fiume dietro di lui si stava già aprendo, il ghiaccio cedeva. Proprio nel momento in cui atterrò con un piede sul suolo, l’altro sarebbe affondato nell’acqua, facendolo cadere, se Hartwood non l’avesse tirato per il colletto. Depose Flick a terra e trasse un gran respiro. “Dobbiamo muoverci se vogliamo vedere l’alba di domani. Sai quello che ci faranno, se ci prendono. Quelli non perdonano” gli disse l’amico, mentre si issava il ragazzo sulle spalle. Jake annuì con il capo e ripresero così la loro strada. Avanzarono nella notte per quelle che potevano essere ore oppure anche soli pochi minuti. Il vento ululava senza pietà facendo scuotere i rami degli alberi sparsi per i campi. Hartwood fece cenno a Jake di seguirlo in una piccola grotta. Flick aveva ormai perso conoscenza: tastandogli la gamba, Jake capì che la rottura era abbastanza grave. Il suo compagno lo stava fissando: “Lo sai che non ce lo possiamo portare più dietro, vero? Ce li abbiamo alle calcagna, di questo passo tra meno di un’ora ci ritroveremo con il muso schiacciato a terra e l’alito fetido di Tyler sotto il naso”. Jake si passò una mano tra i capelli, restò qualche attimo in silenzio e poi disse: “Non possiamo abbandonarlo qui”. Hartwood non smetteva di lanciargli sguardi torvi, sembrava sul punto di esplodere. “Senti un po’ amico, io non ho rischiato la pelle per arrivare fin qui e poi lasciarmi rispedire a calci in culo in quel buco di cella. Se tu vuoi suicidarti, fallo pure, ma non aspettarti che io rimanga qui. Quindi… Hasta la vista”. Detto questo si alzò e scomparve nel buio. “E’ finita” pensò. Che diavolo gli stava succedendo? Fino a qualche ora fa era pronto ad affrontare pericoli, ostacoli, a scontrarsi con chiunque, non aveva fatto altro che pensare alla libertà. Ma in fondo sapeva che non sarebbe mai stato libero, anche fuori dal carcere ci sarebbe sempre stata una condanna sulle sue spalle, quella di esser costretto a vivere nascosto, di rinunciare alla propria identità, di dover costruire il suo futuro su bugie e menzogne. D’un tratto si sentì vecchio. Era come se gli fossero state prosciugate tutte le forze. Era stanco, stanco di vivere. Gli inseguitori erano a pochi metri da lui. Jake ormai poteva riconoscerli anche dalle loro ombre. Guardò Flick, che proprio in quel momento si stava riprendendo, tirò fuori una sigaretta dal pacchetto, che custodiva gelosamente nella tasca dei pantaloni, e se la mise in bocca. Quando i carcerieri -Stafford e Tyler erano in prima fila, come sempre- gli si pararono davanti pregustando sadicamente il momento tanto atteso, chiese: “Qualcuno ha da accendere?”. Le celle di isolamento erano situate nel sotterraneo del carcere. Alte meno di due metri e larghe tre, costituivano il miglior deterrente per mettere in riga i detenuti. Jake ormai aveva acquisito familiarità con quel posto maleodorante spesso frequentato da topi. Era rinchiuso lì già da due giorni, a digiuno. Il suo stomaco brontolava, ma non ci faceva caso. Più acuto era il dolore alla schiena, alle gambe e soprattutto al volto. Sapeva di avere la faccia tumefatta: un occhio era completamente chiuso per il gonfiore causato dai lividi, il labbro superiore era spaccato e il naso rotto. Probabilmente Stafford gli aveva fratturato anche un paio di costole. E così il cerchio si chiudeva. Anche questa volta si era illuso di poter cambiare vita, di dare una svolta agli eventi, ma era stato del tutto inutile. Si rese conto che in tutta la sua patetica vita i piani che aveva progettato venivano stravolti da una sorte che gli era avversa. “E’ inutile pianificare” si disse “Vivi giorno per giorno, Jake. Il resto verrà da sé”. — di Arianna Antonelli, IIIA 19 — di Arianna Antonelli, IIIA 20
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