Voluntary disclosure: dubbi e difficoltà pratiche della

MERCOLEDÌ 26 FEBBRAIO 2014
OGGI NEL QUOTIDIANO
IN EVIDENZA
Fisco
•Modello IVA 2014 e visto di
conformità
Voluntary disclosure: dubbi e
difficoltà pratiche della procedura di
collaborazione
•Mediazione tributaria: la nuova
procedura
•Come si applicano i coefficienti
IMU/TASI per gli immobili di
classe D
•Fabbricati rurali: domande di
variazione con effetto retroattivo
•Voluntary disclosure: dubbi e
difficoltà pratiche della procedura di collaborazione
Impresa
•Concordato in continuità, come
e quando si applica
•PMI: nuovo impulso agli investimenti
•Concordato preventivo: commissario giudiziale “persecutor”?
Lavoro & Previdenza
•Licenziamento per giustificato
motivo soggettivo
•Modelli di organizzazione e
gestione: procedure semplificate
per le PMI
Bilancio & Contabilità
•Tempo di bilanci: intervista a
Fausto Cosi, presidente ANDAF
Finanziamenti
•Aeronautica, finanziamenti per
programmi di ricerca e sviluppo:
prorogati i termini
di Roberta De Pirro - SASPI - Crowe Horwath
La procedura della voluntary disclosure presenta
significative difficoltà di ordine pratico collegate sia alla
compilazione della richiesta di adesione sia alla reperibilità
della documentazione attestante le attività finanziarie e gli
investimenti costituiti o detenuti all’estero.
A questo si devono aggiungere alcuni
dubbi di carattere interpretativo inerenti alla quantificazione del regime
sanzionatorio ad esso connesso.
La disciplina relativa alla procedura
della voluntary disclosure è contenuta nell’art. 1, D.L. n. 4/2014, il quale
stabilisce che l’autore delle violazioni
degli obblighi di monitoraggio fiscale
commesse fino al 31 dicembre 2013,
può far emergere le attività finanziarie e patrimoniali costituite o detenute
fuori dal territorio dello Stato.
A tal fine, il contribuente è tenuto a
dichiarare spontaneamente tutte le
attività detenute all’estero e a fornire
tutte le informazioni necessarie per
consentire all’Agenzia delle Entrate
di calcolare l’ammontare dell’imposta
dovuta e le relative sanzioni.
Contesto internazionale
La previsione si inserisce in un contesto di più ampio respiro internazionale, nel quale viene assegnato un ruolo sempre più significato allo
Concordato in continuità, come e
quando si applica
di Andrea Bonelli - Dottore commercialista e Revisore legale dei conti
in Roma, Membro del Comitato scientifico dell’Istituto per il Governo
Societario
Continuità come strumento idoneo a preservare il valore
dell’azienda, anche se non sempre è così e la continuità deve
essere sempre dimostrata. Per tale motivo il legislatore ha
previsto una serie di cautele tra cui dei contenuti aggiuntivi
del piano e dell’attestazione dell’esperto.
Le cautele
L’art. 186 bis l.fall. prevede che (...):
a) Il piano (...) deve contenere anche
un’analitica indicazione dei costi e
dei ricavi attesi dalla prosecuzione
dell’attività d’impresa prevista dal
piano di concordato, delle risorse finanziarie necessarie e delle relative
modalità di copertura.
b) La relazione del professionista di cui all’art. 161 terzo comma,
deve attestare che la prosecuzione
dell’attività d’impresa prevista dal
piano di concordato è funzionale al
miglior soddisfacimento dei creditori
(ciò implica una duplice attestazione:
generazione valore e miglior soddisfacimento rispetto l’ipotesi liquidatoria.
Attenzione ai caveat dell’asseveratore che potrebbe portare ad una non
attestazione).
Largo, dunque, ai flussi di cassa, ai
conti economici e patrimoniale prospettici ponendo attenzione al
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Fisco
Dichiarazioni fiscali 2014
Modello IVA 2014 e visto di conformità
di Emiliano Ribacchi - ACP Studio - Alonzo Committeri & Partners
Entro il 28 febbraio 2014 devono presentare la dichiarazione IVA i soggetti che intendono
utilizzare in compensazione orizzontale il credito IVA 2013 a partire dal mese di marzo.
Entro lo stesso termine possono trasmettere il modello anche quanti richiedono a rimborso il credito d’imposta risultante dalla dichiarazione annuale, nonché, come all’epoca
chiarito dalla circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 1/E del
25 gennaio 2011, i soggetti che presentano la dichiarazione
entro il mese di febbraio al fine di poter usufruire dell’esonero dalla presentazione della comunicazione annuale dati
IVA.
I principali chiarimenti ed approfondimenti forniti in materia di compensazione e rilascio del visto di conformità sono
contenuti nel provvedimento 21 dicembre 2009 dell’Agenzia delle Entrate e nelle circolari n. 57/E/2009 e n. 1/E/2010.
In materia di compensazioni, la legge di Stabilità per il
2014 ha esteso alle imposte sui redditi ed all’IRAP le restrizioni, in termini di controlli ed attestazioni, aventi ad oggetto le compensazioni che si effettuano con i crediti d’imposta. In linea con quanto previsto per i crediti IVA, sebbene
con talune differenze circa il relativo ambito operativo e
temporale, a decorrere dal periodo di imposta in corso al 31
dicembre 2013, per gli importi superiori a 15.000 euro, si
rende necessaria la previa apposizione del visto di conformità per eseguire le relative compensazioni. È confermato,
come previsto in materia di IVA, che per i soggetti per i
quali è esercitato il controllo contabile, il relativo organo di
controllo possa attestare l’esecuzione dei controlli richiesti.
Con riguardo al rilascio del visto di conformità, entro il
prossimo 28 febbraio 2014 tale adempimento andrà monitorato da parte di quei contribuenti che, a partire dal mese di
marzo, intendono utilizzare in compensazione per importi
superiori a 15.000 euro il credito IVA generatosi nel 2013.
Compensazione del credito IVA 2013
L’obbligo di apporre il visto di conformità alla dichiarazione
dalla quale emerge un credito IVA annuo di importo superiore a 15.000 euro (utilizzabile in compensazione con modello
F24) deriva da quanto originariamente previsto dall’art. 10,
D.L. n. 78/2009 il quale dispone che i contribuenti che intendono utilizzare in compensazione crediti IVA per importi
superiori a 15.000 euro annui hanno l’obbligo di richiedere
l’apposizione del visto di conformità, relativamente alle dichiarazioni dalle quali emerge il credito. Alternativamente,
è previsto che la dichiarazione possa essere sottoscritta da
parte dei soggetti che esercitano il controllo contabile per
i contribuenti soggetti al controllo ex art. 2409-bis c.c. che
devono così attestare l’esecuzione dei controlli.
Ne discende che il credito IVA per importi superiori al predetto ammontare possa essere utilizzato in compensazione solo tramite i servizi telematici messi a disposizione dall’Agenzia delle Entrate - a decorrere dal sedicesimo giorno del
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mese successivo a quello di presentazione della dichiarazione annuale IVA, ossia dal 16 marzo (17 marzo per l’anno
2014, poiché il giorno 16 coincide con una domenica) per
i contribuenti che inviano la dichiarazione IVA entro il 28
febbraio.
L’apposito riquadro del frontespizio deve quindi essere
compilato per apporre il visto di conformità ed è riservato
al responsabile del CAF o al professionista che lo rilascia.
Nei relativi spazi appositi vanno riportati il codice fiscale
del responsabile del CAF e quello relativo allo stesso CAF,
ovvero va riportato il codice fiscale del professionista. Il
responsabile dell’assistenza fiscale del CAF o il professionista deve inoltre apporre la propria firma che attesta il rilascio del visto di conformità ai sensi dell’art. 35, D.Lgs.
n. 241/1997. Con riguardo agli oneri correlati alle comunicazioni da operare nei confronti della Direzione Regionale
competente ed ai requisiti richiesti per la polizza assicurativa si rinvia a quanto esposto nella circolare n. 57/E/2009
dell’Agenzia delle Entrate.
Soggetti legittimati al rilascio del visto di conformità
- i responsabili dell’assistenza fiscale dei CAFimprese;
- gli iscritti negli albi dei dottori commercialisti e
degli esperti contabili e in quelli dei consulenti del
lavoro;
- gli iscritti alla data del 30 settembre 1993 nei ruoli
di periti ed esperti tenuti dalle camere di commercio,
industria, artigianato e agricoltura per la sub-categoria
tributi, in possesso di diploma di laurea in giurisprudenza od in economia e commercio do equipollenti o
diploma di ragioneria.
Pertanto, l’utilizzo in compensazione del credito IVA annuale per importi superiori a 15.000 euro è subordinato alla
presenza del visto di conformità nella dichiarazione da cui
il credito emerge.
In alternativa al riquadro nel frontespizio, il modello prevede un altro riquadro per la sottoscrizione dell’organo di
controllo (ove istituito ai sensi di legge) che potranno eventualmente sottoscrivere il relativo modello dichiarativo.
Sul punto si segnala che tali soggetti non hanno alcun obbligo in tal senso e il contribuente potrà liberamente decidere
se affidare le verifiche finalizzate al visto di conformità ad
un professionista esterno oppure richiedere la sottoscrizione del modello IVA all’organo di controllo che opera la
revisione legale dei conti (revisore contabile, società di revisione oppure collegio sindacale qualora tale organo svolga anche le funzioni di revisione).
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MERCOLEDÌ 26 FEBBRAIO 2014
Attraverso la sottoscrizione della dichiarazione da parte dei
soggetti che esercitano il controllo contabile viene infatti
attestata l’esecuzione dei controlli; si evidenzia che l’infedele attestazione dell’esecuzione dei controlli comporta
l’applicazione di specifiche sanzioni e, in caso di ripetute
violazioni o di violazioni particolarmente gravi, è effettuata
apposita segnalazione agli organi competenti per l’adozione
di ulteriori provvedimenti.
Limite delle compensazioni
A decorrere dall’anno 2014, è stato innalzato a 700.000
euro il limite alla compensazione di 516.456,90 euro
previsto in precedenza.
Modalità di compensazione del credito IVA
- l’utilizzo in compensazione orizzontale dei crediti IVA di
importo superiore a 5.000 euro può avvenire esclusivamente attraverso i servizi telematici resi disponibili dall’Agenzia delle Entrate;
- i contribuenti i quali intendono utilizzare in compensazione orizzontale crediti IVA per importi superiori a 15.000
euro annui, hanno l’obbligo di richiedere l’apposizione del
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visto di conformità; in alternativa, la dichiarazione può essere sottoscritta anche da parte dei soggetti che compilano
la relazione di revisione per i contribuenti soggetti al controllo contabile ex art. 2409-bis c.c..
Compilazione
Negli appositi campi del frontespizio devono essere indicati, nella casella Soggetto:
- dal revisore contabile iscritto nel Registro istituito presso
il Ministero della Giustizia: il codice 1;
- dal responsabile della revisione (ad esempio, il socio o
l’amministratore) se trattasi di società di revisione iscritta
nel Registro istituito presso il Ministero della Giustizia: il
codice 2.
Occorre compilare, inoltre, un distinto campo nel quale
indicare il codice fiscale della società di revisione, avendo
cura di riportare nella casella Soggetto il codice 3 senza
compilare il campo firma.
Il collegio sindacale (od il sindaco unico in presenza di
organo monocratico) nella casella Soggetto, per ciascun
membro, indicherà invece il codice 4. Il soggetto che effettua il controllo contabile deve, inoltre, indicare il proprio
codice fiscale.
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MERCOLEDÌ 26 FEBBRAIO 2014
Fisco
Per atti notificati dal 2 marzo 2014
Mediazione tributaria: la nuova procedura
di Maurizio Villani , di Francesca Giorgia Romana Sannicandro - Studio Legale Tributario Villani
La legge di Stabilità 2014 ha introdotto alcune modifiche a reclamo e mediazione: la
presentazione del reclamo diventa condizione di procedibilità, e non più di ammissibilità, del
ricorso, sono sospesi ex lege riscossione e pagamento delle somme dovute in relazione all’atto
impugnato, si applicano le disposizioni sui termini processuali.
La legge di Stabilità 2014 ha introdotto alcune importanti
modifiche all’art 17-bis, D.Lgs. n. 546/1992 - rubricato “il
reclamo e la mediazione”.
In particolare, a seguito delle ulteriori indicazioni operative fornite dalla circolare n. 1/E/2014, le modifiche saranno
così strutturate:
- la presentazione del reclamo è condizione di procedibilità e non più di ammissibilità del ricorso;
- a prescindere da una richiesta di parte, sono sospese ex
lege sia la riscossione sia il pagamento delle somme dovute
in relazione all’atto impugnato;
- è prevista l’applicazione “delle disposizioni sui termini
processuali” (ad esempio la sospensione feriale o le regole
per il computo dei termini);
- la mediazione tributaria si applica anche alle controversie
aventi ad oggetto contributi previdenziali e assistenziali,
per i quali non sono dovuti né sanzioni né interessi.
Con un rinvio a quanto già specificato con la prima circolare introduttiva della mediazione tributaria (n. 9/E/2012),
l’Agenzia afferma che si tratta di “primi chiarimenti” sulla
nuova procedura.
Il documento di prassi non lascia dubbi sulla decorrenza di
tali modifiche: “conformemente a quanto precisato al punto 1.5 della circolare n. 9/E del 2012, per “atti notificati a
decorrere dal sessantesimo giorno successivo all’entrata in
vigore della presente legge” si intendono gli atti ricevuti dal
contribuente a decorrere dal 2 marzo 2014”.
Di notevole importanza - oltre che fonte di numerose problematiche in itinere - la precisazione relativa all’applicazione delle precedenti disposizioni, con riferimento alle
procedure attivate antecedentemente al 2 marzo 2014. Si
pensi, ad esempio, a tutti coloro che hanno ritenuto fino
ad oggi necessario comparire personalmente in giudizio
e che, a tenore della vecchia formulazione della norma, si
sono visti limitati e eliminati dal contraddittorio in virtù della precedente “inammissibilità” in luogo della corretta ed
attuale “improcedibilità”.
Sul punto non vi sono ancora indicazioni di nessun tipo.
L’improcedibilità
In relazione proprio a questa importante modifica, l’art. 1,
comma 611, legge n. 147/2013, ha sostituito il comma 2
dell’art. 17-bis con il seguente:
“La presentazione del reclamo è condizione di procedibilità del ricorso. In caso di deposito del ricorso
prima del decorso del termine di novanta giorni di cui
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al comma 9, l’Agenzia delle entrate, in sede di rituale
costituzione in giudizio può eccepire l’improcedibilità
del ricorso e il presidente, se rileva l’improcedibilità,
rinvia la trattazione per consentire la mediazione”.
Dal tenore della norma si evince che la fase amministrativa del reclamo necessita in ogni caso di 90 giorni, motivo
per cui l’istanza produrrà gli effetti del ricorso decorso il
predetto termine.
Inoltre, qualora il ricorso venga depositato prima di tale termine, la parte resistente in sede di controdeduzioni potrà eccepirne l’improcedibilità, a cui seguirà un termine concesso
dal presidente, nel caso in cui costui ne accolga l’eccezione,
per consentire la mediazione.
Solo dopo 150 giorni (di cui 90 per la mediazione e 60 per
la costituzione in giudizio della parte resistente) il Giudice
potrà fissare la data di trattazione, in caso contrario l’eventuale sentenza emessa (anche a seguito dell’eccezione di
improcedibilità formulata dall’ufficio), potrà essere impugnata per violazione dell’art. 17-bis.
La circolare specifica, infatti, che “qualora il Giudice non
accolga l’eccezione di improcedibilità e da ciò derivi un
ostacolo alla difesa dell’ufficio, la sentenza emessa sull’esito del giudizio può essere impugnata anche per violazione
dell’art. 17-bis”.
Di notevole pregio, oltre che spiccata ilarità, l’espressione utilizzata “e da ciò derivi un ostacolo alla difesa
dell’ufficio”.
Si impone ancora una volta una riflessione da parte dei tecnici di settore, che sono ormai, da anni, spettatori impotenti
del fare e del disfare dei contraenti più forti, che sembrano
non avere nessun tipo ti interesse costituzionale di “giusto
processo” (ex art. 111 Cost.).
Nella nuova formulazione della norma è prevista la sospensione, ex lege, dell’esecuzione dell’atto, per tutta la durata della procedura; ad esclusione del caso di costituzione
antecedente alla conclusione della fase di mediazione (90
giorni).
Anche in questa circostanza, la circolare precisa, con estrema ludicità, che “se il contribuente, costituitosi prematuramente, chiede la sospensione dell’esecuzione dell’atto
impugnato ai sensi dell’articolo 47 del D.Lgs. n. 546 del
1992 e il Presidente fissa la trattazione dell’istanza di sospensione anteriormente al decorso dei 90 giorni, l’Ufficio,
con memoria, deduce preliminarmente che, a fronte di un ricorso improcedibile, non può essere svolta alcuna attività
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MERCOLEDÌ 26 FEBBRAIO 2014
processuale, neppure cautelare, e chiede il rinvio della
trattazione.”.
L’improcedibilità, naturalmente, sarà applicata (come già
chiarito nella circolare n. 9/E/2012) anche nel caso in cui il
contribuente impugni un atto dell’agente della riscossione.
La sospensione della riscossione
La legge di Stabilità 2014 ha aggiunto nella formulazione
dell’art. 17-bis il comma 9-bis:
“La riscossione e il pagamento delle somme dovute in
base all’atto oggetto di reclamo sono sospesi fino alla
data dalla quale decorre il termine di cui all’articolo
22, fermo restando che in assenza di mediazione sono
dovuti gli interessi previsti dalle singole leggi d’imposta. La sospensione non si applica nel caso di improcedibilità di cui al comma 2”.
A tenore di tale modifica, durante la mediazione, l’ufficio:
1) non procederà all’affidamento del carico (nei casi di accertamento esecutivo o successiva intimazione di pagamento);
2) dovrà comunicare la sospensione all’agente della riscossione (qualora vi sia un ruolo);
3) in ogni caso, non procederà all’iscrizione a ruolo.
È importante ricordare che la sospensione opera solo limitatamente ai 90 giorni previsti per la procedura di mediazione, al termine dei quali verrà meno; restano comunque
dovuti gli interessi previsti dalle singole leggi d’imposta e la
possibilità di avvalersi delle disposizioni speciali in materia
di riscossione straordinaria.
I termini processuali
Cambiano anche i termini previsti per l’instaurazione del
giudizio; ovvero, la nuova formulazione del comma 9 è costituita unicamente dal primo periodo:
“Decorsi novanta giorni senza che sia stato notificato
l’accoglimento del reclamo o senza che sia stata conclusa la mediazione, il reclamo produce gli effetti del
ricorso. I termini di cui agli articoli 22 e 23 decorrono
dalla predetta data”.
Ciò significa che, diversamente da quanto stabilito nella
precedente formulazione della norma (da cui è stato eliminato il periodo successivo), ai fini della decorrenza dei
termini per la costituzione in giudizio delle parti rileva solo
la fine dei 90 giorni previsti dalla procedura e non un eventuale accoglimento dell’istanza o diniego.
Ne è conferma il successivo periodo inserito nel comma 9:
“ai fini del computo del termine di 90 giorni, si applicano le
disposizioni sui termini processuali”.
Importante innovazione rispetto al passato (che resta regolamentato dai termini stabiliti nella versione precedente
della norma - ricezione del diniego totale o parziale, o notifica dell’ accoglimento parziale), la procedura di mediazione segue i termini processuali sia con riferimento alla
sospensione feriale, sia anche con riferimento all’applicazione di tutte le disposizioni relative alla sospensione o interruzione dei termini processuali.
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Infine, rispetto alla previgente (ed ancora attuale normativa), i termini di costituzione in giudizio decorrono dal compimento dei 90 giorni. In questo caso, sembra che vi sia un
avvicinamento - tanto voluto, oltre che dovuto - al processo
civile, in quanto matrice del processo tributario per anagrafica e per espressa previsione normativa.
Gli effetti sui contributi previdenziali e
assistenziali
La legge di Stabilità ha inserito nel comma 8 dell’art. 17bis, un nuovo periodo:
“l’esito del procedimento rileva anche per i contributi
previdenziali e assistenziali, la cui base imponibile è
riconducibile a quella delle imposte sui redditi. Sulle
somme dovute a titolo di contributi previdenziali e
assistenziali non si applicano sanzioni e interessi.”.
Tale precisazione, in realtà, era già contenuta nella originaria formulazione della norma (i cui chiarimenti sono rimasti
applicabili secondo la circolare n. 9/E/2012).
Causali contributo
Di ultima puntualizzazione, solo le causali contributo da
inserire nella sezione INPS dell’F24:
- APMF per la gestione artigiani;
- CPMF per la gestione commercianti;
- LPMF per la gestione separata liberi professionisti.
Alcune considerazioni
Pare, così, che il neo istituto della mediazione tributaria abbia già creato notevoli problemi, tali da indurre i mandanti a
modificare i contenuti della norma.
Si può notare come il termine di decorrenza della nuova
procedura (atti notificati dal 2 marzo 2014), differentemente dalla prima introduzione dell’istituto, indica, come
fase di attivazione della procedura, il momento in cui la notifica si perfeziona per il destinatario; ciò significa che nei
casi di notifica antecedente, farà comunque fede la data di
avvenuta notifica.
L’incentivo alla demolizione delle innumerevoli cause pendenti presso le Commissioni tributarie prosegue nel suo
cammino, anche attraverso le modifiche argomentate.
Interessante il punto in cui la circolare precisa che la sospensione non opera nei casi di improcedibilità della domanda; si ricorda che tutte le procedure giudiziali attivate
al di fuori del perimetro segnato dall’art. 17-bis, saranno
da intendersi improcedibili, motivo per cui, repentina dovrà
essere l’informativa che l’ufficio farà al contribuente per
permettergli di rimediare alla corretta instaurazione della
mediazione prima e dell’eventuale ricorso poi.
Curioso anche come nella circolare si precisi che la sospensione sarà interrotta qualora il contribuente presenti il ricorso prima del decorso dei 90 giorni; la norma, invece, dice
che “la riscossione e il pagamento delle somme dovute in
base all’oggetto di reclamo sono sospesi fino alla data dalla
quale decorre il termine di cui all’art. 22 (...)”.
Sembra un po’ azzardata come interpretazione; i documenti emessi dall’Agenzia delle Entrate non rappresentano una
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MERCOLEDÌ 26 FEBBRAIO 2014
fonte normativa, ma si compongono solo di interpretazioni
che assumono il ruolo di prassi.
Inoltre, viene da sorridere se si pensa che la circolare dovrebbe fornire indicazioni per l’applicazione dell’istituto, e
non, invece, fornire agli addetti degli uffici norme di comportamento che fanno da catarifrangente per gli operatori
del settore (ad esempio, specificando che “qualora il Giudice
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non accolga l’eccezione di improcedibilità e da ciò derivi un
ostacolo alla difesa dell’Ufficio, la sentenza emessa all’esito del giudizio può essere impugnata anche per violazione
dell’art. 17-bis del D.Lgs. 546/92”).
Confidiamo, in ogni caso, nella “giustizia”, in nome dell’art.
111 Cost.
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MERCOLEDÌ 26 FEBBRAIO 2014
Fisco
Imposte immobiliari
Come si applicano i coefficienti IMU/TASI per gli immobili di
classe D
di Saverio Cinieri - Dottore commercialista e pubblicista
Sono stati pubblicati i coefficienti da utilizzare per la determinazione della base imponibile ai
fini IMU per gli immobili classificati ad uso industriale (opifici, capannoni, alberghi, ecc.) che,
quindi, normalmente sono posseduti da imprese. Da quest’anno i coefficienti si applicano
anche ai fini della nuova TASI.
Modalità operative
Immobili interessati
Come si calcola la base imponibile
Come si applicano i coefficienti
Coefficienti per il 2014
Il calcolo della base imponibile dei fabbricati di classe D
La base imponibile dell’IMU si determina in maniera diversa a seconda della tipologia di immobile e dalle caratteristiche del possessore.
La stessa regola vale per la nuova TASI (componente della
nuova Imposta Unica Comunale - IUC - relativa ai servizi
indivisibili) in quanto, per la sua base imponibile, si prende
quella prevista per l’applicazione dell’IMU.
Tornando alle modalità di calcolo, soffermandoci sui fabbricati, occorre distinguere tra:
- fabbricati iscritti in catasto: il valore è costituito da quello che risulta applicando all’ammontare delle rendite risultanti in catasto, vigenti al 1° gennaio dell’anno di imposizione, opportunamente rivalutate, i moltiplicatori previsti
dall’art. 13 del D.L. n. 201/2011;
- fabbricati classificabili nel gruppo catastale D, non
iscritti in catasto, interamente posseduti da imprese e distintamente contabilizzati, fino all’anno nel quale i medesimi sono iscritti in catasto con attribuzione di rendita: il valore è determinato, alla data di inizio di ciascun anno solare
ovvero, se successiva, alla data di acquisizione, applicando
appositi coefficienti aggiornati annualmente con apposito
decreto pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.
Quindi, per quest’ultima categoria di immobili, la disciplina dell’IMU rimanda all’art. 5, comma 3 del D.Lgs. n.
504/1992 che si occupava della determinazione della base
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immobili classificati nella categoria catastale D: immobili
ad uso industriale (opifici, capannoni, alberghi, ecc.)
Le imprese per ottenere il valore del fabbricato sul quale
applicare l’aliquota dell’IMU, devono prendere come base
di riferimento i valori emergenti dai libri contabili e moltiplicarli per il coefficiente indicato da un apposito Decreto
Ministeriale emanato ogni anno.
I valori su cui applicare i predetti coefficienti sono dati dai
costi di acquisizione ed incrementativi contabilizzati, al
lordo delle quote di ammortamento, così come risultanti
dalle scritture contabili e distinti per anno di formazione.
Decreto Ministero dell’economia e delle finanze 19 febbraio 2014 - pubblicato sulla G.U. 24 febbraio 2014, n. 45
imponibile ICI dei fabbricati di gruppo “D” “non iscritti in
catasto, interamente posseduti da imprese e distintamente
contabilizzati”.
Pertanto, ai fini della valorizzazione con gli appositi coefficienti è richiesta la presenza dei due requisiti:
- non iscrizione in catasto;
- distinta contabilizzazione.
Per gli immobili di classe D è prevista una disciplina
speciale
In particolare, il legislatore, partendo dall’idea che questi
fabbricati hanno delle caratteristiche particolari (perché
sono opifici o fabbricati ad uso commerciale o industriale o
destinate ad altre attività di impresa), e ritenendo che questi
fabbricati devono essere iscritti nei registri contabili con il
loro costo di acquisizione, ha previsto una disciplina speciale, valida fino a che non saranno iscritti in catasto.
In definitiva, le imprese per ottenere il valore del fabbricato
sul quale applicare l’aliquota dell’IMU, devono prendere
come base di riferimento i valori emergenti dai libri contabili e moltiplicarli per il coefficiente indicato da un apposito
Decreto Ministeriale emanato ogni anno.
I coefficienti per il 2014
Come accade ogni anno, il Ministero, con il D.M. 19 febbraio 2014 (pubblicato sulla G.U n. 45 del 24 febbraio 2014) ha
approvato i coefficienti da applicare per la determinazione
della base imponibile dell’imposta dovuta per il 2014, che
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MERCOLEDÌ 26 FEBBRAIO 2014
Coefficienti periodo d’imposta 2014
si riportano di seguito.
Per l’anno 2014: 1,01
Per l’anno 2011: 1,08
Per l’anno 2008: 1,15
Per l’anno 2005: 1,26
Per l’anno 2002: 1,43
Per l’anno 1999: 1,53
Per l’anno 1996: 1,64
Per l’anno 1993: 1,78
Per l’anno 1990: 1,92
Per l’anno 1987: 2,27
Per l’anno 1984: 2,79
Per l’anno 2013: 1,02
Per l’anno 2010: 1,10
Per l’anno 2007: 1,19
Per l’anno 2004: 1,33
Per l’anno 2001: 1,46
Per l’anno 1998: 1,55
Per l’anno 1995: 1,69
Per l’anno 1992: 1,80
Per l’anno 1989: 2,01
Per l’anno 1986: 2,44
Per l’anno 1983: 2,96
Come si applicano i coefficienti
I valori su cui applicare i predetti coefficienti sono dati dai
costi di acquisizione ed incrementativi contabilizzati, al
lordo delle quote di ammortamento, così come risultanti
dalle scritture contabili e distinti per anno di formazione.
Considerato che il meccanismo di valorizzazione della base
imponibile prevede l’applicazione di coefficienti di attualizzazione da applicare a “ciascun anno” di contabilizzazione
dei costi, se la rendita, ad esempio, è attribuita nel corso del
2014, l’IMU per tale anno va calcolata mediante l’attualizzazione dei costi contabilizzati, in quanto la rendita si può
Per l’anno 2012: 1,04
Per l’anno 2009: 1,11
Per l’anno 2006: 1,22
Per l’anno 2003: 1,38
Per l’anno 2000: 1,51
Per l’anno 1997: 1,59
Per l’anno 1994: 1,74
Per l’anno 1991: 1,83
Per l’anno 1988: 2,09
Per l’anno 1985: 2,62
Per l’anno 1982 e precedenti: 3,14
usare solo dal 2015.
Va comunque precisato che:
- i costi incrementativi aggiuntivi a quello di acquisizione,
contabilizzati nel corso di un determinato anno, non influiscono sull’ammontare del valore sul quale calcolare l’IMU
dovuta per lo stesso anno;
- per l’applicazione dei coefficienti di attualizzazione bisogna assumere quello relativo all’anno nel corso del quale sono stati contabilizzati il costo di acquisizione o i costi
incrementativi.
Esempio di calcolo
Si ipotizzi un’impresa con esercizio coincidente con l’anno solare che abbia acquistato un immobile di gruppo D nel 2009
per euro 400.000. Inoltre, l’impresa ha sostenuto i seguenti costi incrementativi:
- 2010: 60.000 euro
- 2012: 20.000 euro.
La base imponibile ai fini IMU, per il 2014, viene determinata nel seguente modo:
Anno
2009
2010
2012
Base imponibile immobile
530.800
Costi sostenuti
400.000
60.000
20.000
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Coefficiente
1,11
1,10
1,04
Base imponibile
444.000
66.000
20.800
8
MERCOLEDÌ 26 FEBBRAIO 2014
Fisco
Tributi locali
Fabbricati rurali: domande di variazione con effetto
retroattivo
di Girolamo Ielo - Dottore commercialista e revisore contabile, esperto di finanza territoriale
Le variazioni annotate negli atti catastali a seguito della domanda prevista dal D.L. n. 70/2011
hanno valore retroattivo per il periodo fino al quinto anno antecedente la presentazione della
domanda; poiché questa non può risalire ad un anno diverso dal 2011, il quinquennio coperto
dall’efficacia retroattiva è costituito dagli anni dal 2006 al 1010.
La sezione VI della Corte di Cassazione con l’ordinanza n.
422 del 10 gennaio 2014 (di analogo contenuto le ordinanze
n. 423 e n. 426), in materia di fabbricati rurali, e relativo
assoggettamento all’ICI, ha affermato due principi:
1) sulla rilevanza della categoria catastale attribuita ad un
immobile;
2) sul valore retroattivo delle variazioni annotate negli atti
catastali a seguito delle domane di cui a D.L. n. 70/2011.
Rilevanza della categoria catastale attribuita ad un immobile
La Corte osserva che le Sezioni Unite hanno chiarito (con la
sentenza n. 18565 del 2009) che in tema di ICI, l’immobile
iscritto nel catasto dei fabbricati come rurale, con l’attribuzione della relativa categoria (A/6 o D/10), in conseguenza
della riconosciuta ricorrenza dei requisiti previsti dall’art. 9,
D.L. n. 557/1993, non è soggetto all’imposta.
Qualora l’immobile sia iscritto in una diversa categoria
catastale, sarà onere del contribuente, che pretende l’esenzione dall’imposta, impugnare l’atto di classamento,
restando, altrimenti, il fabbricato medesimo assoggettato ad
ICI. Allo stesso modo, il Comune dovrà impugnare autonomamente l’attribuzione della categoria catastale A/6 o D/10,
al fine di poter legittimamente pretendere l’assoggettamento
del fabbricato all’imposta.
Tale principio è stato successivamente riaffermato con la
sentenza n. 20001/2011 e con la sentenza n. 19872/2012.
Queste conclusioni non possono essere sovvertite dal fatto che il contribuente avrebbe chiesto ed ottenuto il classamento dell’immobile de quo in categoria D/10 a seguito
dell’entrata in vigore del D.L. n. 70/2011. Si tratta infatti di
circostanza sopravvenuta dopo il deposito della sentenza
gravata, che non può formare oggetto di accertamento in
questa sede, non potendosi procedere ad accertamenti di fatto nell’ambito del giudizio di legittimità.
Valore retroattivo alle variazioni annotate
negli atti catastali a seguito delle domane
ex D.L. n. 70/2011
Per quanto riguarda questo aspetto la Corte ricorda che l’art.
7, comma 2-bis, D.L. n. 70/2011, ai fini del riconoscimento della ruralità degli immobili, conferiva ai contribuenti la
facoltà, esercitabile entro il 30 settembre 2011, di presentare all’Agenzia del Territorio una domanda di variazione
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della categoria catastale per l’attribuzione delle categorie
A/6 o D/10 (a seconda della destinazione, abitativa o strumentale, dell’immobile) sulla base di un’autocertificazione
attestante che l’immobile possedeva i requisiti di ruralità,
“in via continuativa a decorrere dal quinto anno antecedente
a quello di presentazione della domanda”.
Il successivo D.L. n. 201/2011 ha previsto che le domande
di variazione in parola producono “gli effetti previsti in relazione al riconoscimento del requisito della ruralità fermo
restando il classamento originario degli immobile ad uso
abitativo”, se presentate, anche dopo la scadenza del termine originariamente previsto, entro la data di entrata in vigore della legge di conversione dello stesso D.L. n. 201/2011.
Infine il D.L. n. 102/2013 ha previsto che l’art. 13, comma
14-bis, della Manovra Monti deve intendersi nel senso che
le domande di variazione catastale presentate ai sensi del
D.L. n. 70/2011, e l’inserimento dell’annotazione negli atti
catastali producono gli effetti previsti per il riconoscimento
del requisito di ruralità “a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda”.
Ad avviso della Corte, lo jus superveniens recato dal corpo di disposizioni sopra riportato assegna dunque valore
retroattivo alle variazioni annotate negli atti catastali
a seguito della domanda prevista dal D.L. n. 70/2011, per
il periodo fino al quinto anno antecedente la presentazione
della domanda stessa.
Considerato che la domanda non può in nessun caso risalire
ad un anno diverso dal 2011 (nel quale sono comprese tanto
la data di entrata in vigore del D.L. n. 70/2011, quanto la
data di entrata in vigore della legge n. 214 del 2011, di conversione del D.L. n. 201), il quinquennio coperto dall’efficacia retroattiva dell’annotazione negli atti catastali della
variazione conseguente alla presentazione di tale domanda è
costituito dagli anni 2006, 2007, 2008, 2009 e 1010.
Pertanto, per il principio che lo jus superveniens si impone
in ogni stato e grado del giudizio, nel caso in cui il contribuente, dopo la pronuncia della sentenza gravata, abbia
presentato domanda ex D.L. n. 70/2011, la conseguente
variazione catastale potrebbe risultare rilevante ai fini della
debenza dell’ICI per l’anno al quale si riferisce l’impugnato
avviso di accertamento (2007).
Riferimenti normativi
Corte di Cassazione, sez. VI, ordinanza 10/01/2014, n. 422
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MERCOLEDÌ 26 FEBBRAIO 2014
Fisco
Monitoraggio fiscale
Voluntary disclosure: dubbi e difficoltà pratiche della
procedura di collaborazione
di Roberta De Pirro - SASPI - Crowe Horwath
La procedura della voluntary disclosure presenta significative difficoltà di ordine pratico
collegate sia alla compilazione della richiesta di adesione sia alla reperibilità della
documentazione attestante le attività finanziarie e gli investimenti costituiti o detenuti
all’estero.
A questo si devono aggiungere alcuni dubbi di carattere interpretativo inerenti alla quantificazione del regime sanzionatorio ad esso connesso.
La disciplina relativa alla procedura della voluntary disclosure è contenuta nell’art. 1, D.L. n. 4/2014, il quale stabilisce che l’autore delle violazioni degli obblighi di monitoraggio fiscale commesse fino al 31 dicembre 2013, può
far emergere le attività finanziarie e patrimoniali costituite o
detenute fuori dal territorio dello Stato.
A tal fine, il contribuente è tenuto a dichiarare spontaneamente tutte le attività detenute all’estero e a fornire tutte
le informazioni necessarie per consentire all’Agenzia delle
Entrate di calcolare l’ammontare dell’imposta dovuta e le
relative sanzioni.
Contesto internazionale
La previsione si inserisce in un contesto di più ampio respiro internazionale, nel quale viene assegnato un ruolo sempre più significato allo scambio automatico di informazioni fra le autorità fiscali dei vari Paesi. Nello specifico:
- a livello europeo, la direttiva n. 2011/16/UE del 15 febbraio 2011, relativa alla cooperazione amministrativa nel
settore fiscale, prevede che l’autorità competente di ciascuno Stato membro comunichi all’autorità competente di
qualsiasi altro Stato membro, mediante scambio automatico, le informazioni disponibili a decorrere dal 1° gennaio 2014 e riguardanti i soggetti residenti in tale altro Stato
membro che dispongono di determinate categorie di reddito
e di capitale (i.e. redditi di lavoro dipendente; compensi per
dirigenti; prodotti di assicurazione sulla vita, pensioni, proprietà e redditi immobiliari);
- a livello internazionale, si deve aggiungere l’accordo
FACTA firmato tra Italia e USA a gennaio 2014, che consentirà lo scambio automatico di informazioni di natura finanziaria tra le autorità fiscali dei due Paesi, nonché quello,
che dovrebbe essere siglato tra l’Italia e la Svizzera entro il
prossimo mese di maggio, che affronta tutti i temi sul tappeto del confronto fiscale.
Tanto premesso, non vi è dubbio che sotto un profilo strettamente pratico, la procedura di voluntary disclosure evidenzi delle rilevanti differenze rispetto allo scudo fiscale
(istituto al quale è stato spesso ricondotto per rilevarne la
diversità), perché non sono previsti sconti con riferimento all’imposta dovuta (IVA, IRPEF, IVIE, IVAFE), né la
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possibilità di mantenere l’anonimato o la segregazione
delle attività “regolarizzate” detenute all’estero.
Dato che nessuno sconto è previsto con riferimento all’imposta dovuta (a differenza dello scudo fiscale che aveva
previsto il versamento di un’imposta sostitutiva), imposta
che deve, quindi, essere corrisposta per intero (come se le
attività detenute all’estero fossero state regolarmente dichiarate nei periodi d’imposta interessati dalla disclosure),
ci si chiede se con riferimento a tali periodi possano trovare
riconoscimento i crediti d’imposta per le imposte pagate
all’estero, le eventuali minusvalenze e perdite che si sarebbero comunque generate.
Periodi per i quali attivare la procedura di
collaborazione
Passando ad analizzare i periodi d’imposta per i quali è possibile adottare la procedura della collaborazione volontaria,
occorre innanzitutto rilevare che essa riguarda le violazioni sul monitoraggio fiscale commesse fino al 31 dicembre
2013 e che deve comunque essere attivata per tutti i periodi d’imposta per i quali sono ancora aperti i termini per
l’accertamento o per la contestazione della violazione degli
obblighi di dichiarazione del modulo RW.
Pertanto, nel caso di attività detenute o costituite in Paesi
black list, essa dovrebbe riguardare i seguenti periodi
d’imposta:
- 2005-2012, in caso di infedele compilazione del modulo
RW;
- 2003-2012, nel caso di omessa presentazione del modulo
RW.
Invece, nel caso in cui si volessero regolarizzare attività ed
investimenti detenuti o costituiti in Paesi non black list,
la riferita procedura dovrebbe essere attivata per i seguenti
anni:
- 2008-2012, nel caso di infedele compilazione del modulo
RW;
- 2009-2012, nel caso di omessa presentazione del modulo
RW.
Inoltre, essendo la voluntary disclosure ammessa per le
violazioni commesse entro il 31 dicembre 2013, le quali
quindi si riferiscono all’anno 2012, ed essendo adottabile
entro il 30 settembre 2015, non è chiaro se con riferimento al periodo d’imposta 2013, per il quale sia termine per
la presentazione della dichiarazione scade il 30 settembre
10
MERCOLEDÌ 26 FEBBRAIO 2014
2014, sia o meno concesso fare ricorso all’istituto del ravvedimento operoso.
Dubbi sulla compilazione dell’istanza
Ad oggi non è chiaro se - ai fini dell’indicazione delle attività detenute all’estero da indicare nella richiesta di adesione - occorra adottare un criterio di calcolo analitico o
presuntivo.
Stanti le predette criticità nell’adozione della collaborazione in parola, sarebbe stato quanto mai opportuno prevedere
una preventiva attività di “pre-filing” da effettuarsi in forma anonima, la quale avrebbe potuto permettere al contribuente di effettuare una simulazione della richiesta di adesione da inviare all’Agenzia.
Infatti, l’adozione di uno strumento del genere potrebbe
agevolare il contribuente nella scelta se aderire o meno alla
procedura di collaborazione volontaria, anche in considerazione del costo che alla stessa è collegato.
Non solo, ma sarebbe anche opportuno che fosse possibile un’attività di confronto con l’Agenzia, per dissipare
possibili dubbi dei consulenti o degli stessi contribuenti in
ordine alle modalità di compilazione della richiesta di collaborazione. Resta ovviamente inteso che sull’opportunità di
aderire o meno alla procedura in questione, la scelta spetta
comunque a contribuente.
La fornitura della documentazione
Alle difficoltà relative alla compilazione della richiesta di
adesione si aggiungono quelle correlate alla fornitura della
documentazione e delle informazioni per la ricostruzione
dei redditi che sono serviti a costituire o acquistare gli investimenti esteri o che derivano dalla loro dismissione o utilizzo, a qualunque titolo, che si intende regolarizzare.
In pratica, l’ottenimento di tale documentazione non sempre
è facile, anche in considerazione del fatto che gli intermediari non residenti nel territorio dello Stato potrebbero, con
riferimento a determinate annualità, esserne più in possesso.
A ciò deve aggiungersi, che il contribuente deve giustificare
anche tutti i prelievi effettuati dando puntuale e precisa indicazione dei destinatari degli stessi.
Benefici connessi alla collaborazione
Venendo ad analizzare i benefici connessi alla collaborazione volontaria, di particolare interesse è la depenalizzazione dei reati di dichiarazione infedele ed omessa
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dichiarazione (articoli 4 e 5, D.Lgs. n. 74/2000).
Per quel che attiene, invece, le pene previste per i delitti di
cui agli articoli 2 e 3 del medesimo decreto, (ossia la dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e la dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici), esse sono ridotte fino alla metà.
Le sanzioni amministrative ex art. 5, comma 2, D.Lgs.
n. 167/1990 sono ridotte alla metà del minimo edittale, e
pertanto:
- dal 3% al 15% dell’ammontare degli importi non dichiarati;
- dal 6% al 30% dell’ammontare degli importi non dichiarati, nel caso di detenzione degli investimenti in Paesi black
list,
ma soltanto se:
- le attività vengono trasferite in Italia on in Stati UE o SEE;
- le attività trasferite in Italia o nei Paesi UE o SEE erano
o sono ivi detenute;
- l’autore delle violazioni rilascia all’intermediario estero
presso il quale le attività sono detenute un’autorizzazione
a trasmettere alle autorità fiscali italiane tutti i dati relativi
alle stesse.
Non sempre, però, gli intermediari esteri sono disponibili
a far trasferire le attività finanziarie da loro gestite, in assenza di un’adeguata documentazione probante la corretta gestione fiscale delle stesse e nello specifico la loro
regolarizzazione. Infatti, dal momento che la procedura della voluntary disclosure si perfeziona con il pagamento in
un’unica soluzione dell’imposta dovuta, la presentazione
della richiesta di adesione alla stessa potrebbe non essere
considerata sufficiente.
Nei casi diversi dai predetti, la sanzione è determinata nella
misura del minimo edittale ridotto di 1/4.
Inoltre il procedimento di irrogazione delle sanzioni può
essere definito con il pagamento di un importo pari a 1/3
della sanzione indicata e comunque non inferiore a 1/3 dei
minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a
ciascun tributo.
A queste sanzioni si aggiunge quella per infedele dichiarazione compresa tra il 100% e il 200% (200% al 400% in
caso di attività detenute in Paesi black list), con riferimento
ad essa sia prevista al ricorrere delle riferite condizioni la
riduzione alla metà del minimo edittale.
A tal riguardo, sarebbe pertanto auspicabile che l’Agenzia
adotti una condotta uniforme su tutto il territorio nazionale.
11
MERCOLEDÌ 26 FEBBRAIO 2014
Fisco
Imposte indirette
decisione lesiva, viola il principio del rispetto
dei diritti della difesa dell’amministrato.
Stop all’aumento delle accise
sulla birra
In Olanda, due spedizionieri hanno ricevuto, senza poter argomentare nulla prima, delle intimazioni di pagamento per
inesatte classificazioni delle merci fatte nelle dichiarazioni
di immissione in libera pratica. L’amministrazione ha violato il principio del rispetto dei diritti della difesa? Il giudice
nazionale può applicarlo direttamente? L’AG crede di sì,
altrimenti rimarrebbe lettera morta.
Davanti alla Cassazione olandese pendono due procedimenti in cui spedizionieri doganali hanno presentato, nel 2002
e nel 2003, su incarico della stessa impresa, delle dichiarazioni per l’immissione in libera pratica di merci descritte
come “padiglioni da giardino/tende per feste e pareti laterali”. Da un controllo delle autorità doganali olandesi presso
il committente l’ispettore delle imposte ha concluso che la
classificazione tariffaria era inesatta, dovendosene applicare
una differente, con un’aliquota più elevata.
L’ispettore ha, quindi, ha inviato a ciascuno degli interessati
un’intimazione di pagamento (IDP) ex art. 220 del CDC,
per il recupero di circa 10.000 euro di supplemento di dazi
doganali.
La questione, a seguito dei reclami degli spedizionieri, è
giunta sino in cassazione, che ha sospeso il procedimento
e chiesto lumi alla Corte di Giustizia, per la possibilità che
l’ispettore delle imposte abbia violato il principio del rispetto dei diritti della difesa poiché non ha offerto agli
interessati, prima dell’emissione delle IDP, l’opportunità di
esprimersi sugli elementi che fondavano il recupero dei dazi
doganali.
L’AG, con le sue conclusioni del 25 febbraio 2014 ha suggerito alla Corte di Giustizia di dichiarare che le amministrazioni nazionali sono tenute non solo a rispettare i diritti
della difesa quando le stesse attuano il diritto dell’UE, ma
anche che gli interessati devono poter invocare direttamente
il rispetto di tali diritti dinanzi ai giudici nazionali, per evitare che restino lettera morta o puramente formali.
Ulteriormente, secondo l’AG, la legge olandese restringerebbe in modo ingiustificato il diritto di essere ascoltati,
perché non permette al destinatario di una decisione lesiva
nei suoi confronti (l’IDP) di essere sentito dall’amministrazione prima dell’adozione della decisione, concedendogli
tale possibilità in una successiva fase amministrativa, senza
tuttavia che il suo ricorso comporti una sospensione automatica della decisione lesiva.
L’Agenzia delle Dogane ha disposto la
cancellazione dell’aumento dell’accisa sulla
birra, previsto a decorrere dal 1° marzo 2014.
Il provvedimento dà attuazione all’art. 12, comma 7-ter,
del decreto Destinazione Italia (D.L. n. 145/2013, convertito dalla legge n. 9/2014) che dispone la soppressione
dell’incremento dell’accisa sulla birra introdotto dal D.L.
n. 91/2013.
Più specificamente, tale disposizione ha stabilito che venga modificata la determinazione del Direttore dell’Agenzia
delle Dogane e dei monopoli n. 145744 del 23 dicembre
2013, al fine di eliminare, per l’anno 2014, l’incremento decorrente dal 1° marzo 2014.
Pertanto, l’aliquota sulla birra, in vigenza dell’art. 25, comma 3, D.L. n. 104/2013, rimane stabilita nella misura di 2,70
euro per ettolitro e per grado-Plato.
Confermato l’aumento sui prodotti alcolici
intermedi
Diversamente, mantengono piena efficacia gli incrementi delle aliquote di accisa sui prodotti alcolici intermedi e
sull’alcole etilico fissati, con decorrenza 1° marzo 2014,
dalla determinazione n. 145744.
A cura della Redazione
Riferimenti normativi
Agenzia delle Dogane, determinazione 25/02/2014, n.
21772
Agenzia delle Dogane, nota 25/02/2014, n. RU/22057
Fisco
Le conclusioni dell’Avvocato generale
Senza contradditorio
preventivo violato il principio
del rispetto dei diritti della
difesa
Una normativa che non permetta al destinatario
di una decisione lesiva nei suoi confronti di
essere sentito dall’amministrazione prima
dell’adozione della decisione, ma che gli
conceda tale possibilità in una successiva
fase amministrativa, senza che tale ricorso
comporti una sospensione automatica della
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Le conclusioni in sintesi
1) Il principio del rispetto dei diritti della difesa da parte
dell’amministrazione può essere invocato direttamente,
dai singoli, dinanzi ai giudici nazionali.
2.1) Una normativa nazionale che non permetta al destinatario di una decisione lesiva nei suoi confronti di essere
sentito dall’amministrazione prima dell’adozione della
decisione, ma che gli conceda tale possibilità in una successiva fase amministrativa, senza tuttavia che tale ricorso comporti una sospensione automatica della decisione
lesiva, vìola il principio del rispetto dei diritti della difesa
12
MERCOLEDÌ 26 FEBBRAIO 2014
dell’amministrato, e più precisamente il diritto di essere
ascoltati.
2.2) Le condizioni in cui deve essere garantito il rispetto dei
diritti della difesa, e le conseguenze della violazione di tale
principio, rientrano nella sfera del diritto nazionale, purché
i provvedimenti adottati in tal senso siano dello stesso genere di quelli di cui beneficiano i singoli in situazioni di
diritto nazionale comparabili (principio di equivalenza) e
non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico
dell’Unione (principio di effettività).
3) Poiché il giudice nazionale ha l’obbligo di garantire la
piena efficacia del diritto dell’Unione, egli può, nel valutare le conseguenze di una violazione dei diritti della difesa, e
in particolare del diritto di essere ascoltati, tenere conto della circostanza che tale violazione determina l’annullamento
della decisione adottata al termine del procedimento amministrativo di cui trattasi soltanto se, in mancanza di tale irregolarità, tale procedimento avrebbe potuto comportare un
risultato diverso.
Riferimenti normativi
Avvocato Generale, conclusioni 25/02/2014, cause riunite
C-129/13 e C-130/13
Fisco
Iscrizioni e rinnovi 2014
Operatori newslot: istanza
via PEC per l’elenco RIES
Con comunicato del 24 febbraio 2014, l’AAMS
ha diffuso alcune indicazioni operative
sull’utilizzo della PEC, l’assolvimento
dell’imposta di bollo e la modulistica da
utilizzare per il rinnovo o per la nuova
iscrizione all’elenco RIES per l’anno 2014.
Operatori regione Lombardia: utilizzo della PEC
Per garantire una maggiore celerità delle iscrizioni nell’elenco RIES per l’anno 2014, i soggetti dotati di valida
PEC, con sede legale o domicilio fiscale nella regione
Lombardia, che intendono iscriversi o rinnovare per l’anno 2014 l’iscrizione nell’elenco, devono far pervenire le
relative istanze esclusivamente dalla propria PEC, alla
Direzione territoriale Lombardia dell’Agenzia delle dogane
e dei monopoli competente in funzione della sede legale o
del domicilio fiscale, indicando espressamente di voler ricevere tramite stesso mezzo tutte le comunicazioni da parte
dell’Agenzia, relative alla richiesta di iscrizione.
Imposta di bollo
Per quanto riguarda l’assolvimento dell’imposta di bollo
sull’istanza trasmessa via PEC:
1) il mittente della PEC che assolve l’imposta di bollo in
modo virtuale, dovrà indicare, sugli atti e documenti inviati, il modo di pagamento e gli estremi dell’autorizzazione;
Copyright Wolters Kluwer Italia © Riproduzione riservata
2) il mittente della PEC che non è autorizzato dalle Entrate
al pagamento virtuale:
- deve apporre la marca da bollo sui documenti conservati
in originale presso la propria sede o ufficio e provvedere
all’annullo della stessa;
- deve indicare nei documenti che invierà via PEC i numeri
identificativi delle marche da bollo utilizzate sull’istanza.
Pertanto, qualora il richiedente l’iscrizione RIES non disponga dell’autorizzazione al pagamento virtuale dell’imposta di bollo, dovrà allegare, nella PEC anche una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà circa l’avvenuto
assolvimento dell’imposta di bollo.
Oggetto della PEC
In caso di Impresa Individuale
“RIES 2014 - RINNOVO - (COGNOME E NOME) CITTÀ - Codice fiscale
“RIES 2014 - NUOVA ISCRIZIONE - (COGNOME E
NOME) - CITTÀ - Codice fiscale
In caso di società
“RIES 2014 - RINNOVO - (SOCIETÀ) - (LEGALE
RAPPRESENTANTE) - CITTÀ - Codice fiscale
“RIES 2014 - NUOVA ISCRIZIONE - (SOCIETÀ) (LEGALE RAPPRESENTANTE) - CITTÀ - Codice fiscale
Modulistica per l’istanza di iscrizione/rinnovo
Il nuovo modulo di istanza “RIES” riporta il corretto contenuto dell’autocertificazione relativa all’assenza di misure
di prevenzione antimafia disciplinate dal nuovo Codice antimafia; il vecchio modulo non deve più essere utilizzato.
Le istanze già pervenute utilizzando il vecchio modulo saranno ritenute comunque valide ai fini dell’iscrizione/rinnovo; a partire dalla pubblicazione dell’avviso deve essere
utilizzato il nuovo modulo.
Check-list
Documentazione che deve pervenire in caso di istanza di
iscrizione/rinnovo RIES via PEC
- istanza di iscrizione/rinnovo redatta utilizzando il nuovo
modulo
- dichiarazione sostitutiva del certificato di iscrizione alla
camera di commercio industria
artigianato e agricoltura
- autocertificazione del possesso dei requisiti antimafia e dei
requisiti art. 5 D.D. AAMS
31857/2011
Nota bene
Un’autocertificazione per ciascun soggetto obbligato. I
soggetti obbligati sono:
- (per le imprese individuali) il titolare;
- (per le società) tutti coloro che hanno il potere di
impegnare verso i terzi la società
- (per i circoli e le associazioni in genere) il presidente
secondo lo Statuto deliberato;
- dichiarazione sostitutiva atto di notorietà avvenuto assolvimento imposta di bollo su istanza
13
MERCOLEDÌ 26 FEBBRAIO 2014
RIES sottoscritta dal firmatario dell’istanza RIES
- consenso trattamento dati personali sottoscritto dal firmatario dell’istanza RIES;
- fotocopia documento d’identità valido del firmatario
dell’istanza RIES e di tutti i dichiaranti
le autocertificazioni;
- copia modello F24 avvenuto versamento 150 euro (codice
tributo 5216 - ACC/MONOPOLI);
- (in caso di subentro in esercizio già censito) il modello
DISE.
Riferimenti normativi
AAMS, comunicato 24/02/2014
Copyright Wolters Kluwer Italia © Riproduzione riservata
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MERCOLEDÌ 26 FEBBRAIO 2014
Impresa
Crisi d’impresa
Concordato in continuità, come e quando si applica
di Andrea Bonelli - Dottore commercialista e Revisore legale dei conti in Roma, Membro del Comitato scientifico dell’Istituto per il Governo Societario
Continuità come strumento idoneo a preservare il valore dell’azienda, anche se non sempre
è così e la continuità deve essere sempre dimostrata. Per tale motivo il legislatore ha previsto
una serie di cautele tra cui dei contenuti aggiuntivi del piano e dell’attestazione dell’esperto.
Le cautele
L’art. 186 bis l.fall. prevede che (...):
a) Il piano (...) deve contenere anche un’analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell’attività d’impresa prevista dal piano di concordato, delle
risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di
copertura.
b) La relazione del professionista di cui all’art. 161 terzo comma, deve attestare che la prosecuzione dell’attività
d’impresa prevista dal piano di concordato è funzionale
al miglior soddisfacimento dei creditori (ciò implica una
duplice attestazione: generazione valore e miglior soddisfacimento rispetto l’ipotesi liquidatoria. Attenzione ai
caveat dell’asseveratore che potrebbe portare ad una non
attestazione).
Largo, dunque, ai flussi di cassa, ai conti economici e patrimoniale prospettici ponendo attenzione al fatto che gli
effetti disapplicativi di cui all’art. 182 quinquies l.fall. terminano alla data di omologa, ergo le situazioni patrimoniali
dovranno, a tale data, presentare un patrimonio netto positivo (con un capitale sociale superiore al minimo legale) e
dotato di una consistenza coerente con le obbligazioni che
il piano prevede.
Le agevolazioni
Le agevolazioni del concordato in continuità possono essere
specifiche oppure generali:
Agevolazioni specifiche
1) continuità contrattuale ai sensi dell’art. 182 bis comma 3
l.fall., sterilizzazione del deposito della domanda come possibile causa di risoluzione del contratto secondo i principi
generali del codice civile
2) continuità contrattuale ai sensi dell’art. 182 bis comma
3 l.fall. anche nei confronti della pubblica amministrazione
3) previsione di una moratoria, ai sensi dell’art. 186 bis,
comma 2, lett. C l.fall., fino ad un anno dall’omologazione
per il pagamento dei creditori prelatizi
4) possibilità di pagare i fornitori strategici anteriori per la
continuazione dell’attività d’impresa ai sensi dell’art. 182
quinquies, comma 4 l.fall.
Agevolazioni generali
1) sospensione degli obblighi di capitalizzazione ai sensi
dell’art. 182 sexies l.fall.
2) possibilità di contrarre finanziamenti prededucibili ai
sensi dell’art. 182 quinquies commi 1,2 e 3 l.fall.
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3) possibilità di sciogliere o sospendere i contratti ritenuti
onerosi ai sensi dell’art. 169 bis l.fall.
Quando un concordato può dirsi in continuità
Le agevolazioni specifiche possono essere applicate al solo
concordato in continuità, mentre quelle di carattere generale
possono essere utilizzate anche per i concordati di natura
meramente liquidatoria.
Ma quando un concordato può dirsi in continuità?
Certamente quando la continuazione dell’attività fa ricadere in capo ai creditori un “rischio perdita”, e quando tale
continuazione in pendenza di procedura fa ricadere sempre
sui creditori un “rischio prededucibilità”, che va a ridurre
in maniera significativa l’attivo a beneficio dei creditori chirografari. Per quanto attiene gli strumenti tecnici con i quali dare continuità all’impresa, il legislatore individua quali
fattispecie di continuità aziendale quelle in cui il piano, di
cui all’art. 161, comma 2, lett. e), preveda “la prosecuzione dell’attività d’impresa da parte del debitore, la cessione
dell’azienda in esercizio ovvero il conferimento dell’azienda in esercizio in una o più società, anche di nuova costituzione”. La continuità, dunque, rileva sempre a livello di
“piano”, anche se può valere anche a livello di “proposta”
qualora vengano attribuiti ai creditori dei benefici in funzione del futuro andamento della società (ad esempio attraverso l’attribuzione di strumenti finanziari).
L’elencazione dell’art. 186 bis non è però tassativa, potendosi accertare la continuità dell’impresa anche a seguito di
operazioni riorganizzative quali la fusione e la scissione, o
l’affitto d’azienda. La continuità può, inoltre, valere anche
per un solo ramo d’azienda, e anche se la continuità è ridotta
rispetto alla normalità.
Si può vendere o conferire l’azienda in
pendenza di concordato in continuità e,
dunque, prima dell’omologa?
Una mera lettura dell’ultimo comma dell’art. 186 bis l.fall.,
sembra precludere tale scenario; l’articolo in questione recita infatti: “se nel caso di una procedura iniziata ai sensi del
presente articolo l’esecuzione dell’attività d’impresa cessa
o risulta manifestamente dannoso per i creditori, il tribunale provvede ai sensi dell’art. 173. Resta ferma la possibilità
del debitore di modificare la proposta di concordato”. Pur
tuttavia una lettura sistematica della norma fa si che la vendita o il conferimento dell’azienda prima dell’omologazione
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MERCOLEDÌ 26 FEBBRAIO 2014
non integrano la cessazione dell’esercizio d’impresa che ai
sensi dell’ultimo comma dell’art. 186 bis imporrebbero la
revoca dell’ammissione al concordato.
necessità di contrarre finanziamenti prededucibili piuttosto
che chiedere l’autorizzazione a sciogliersi da contratti ritenuti onerosi.
Rapporto tra concordato in bianco e concor- Conservazione del valore e responsabilità
dato in continuità
degli amministratori
E’ importante evidenziare come la disciplina del concordato in continuità possa applicarsi anche durante il periodo
che precede l’ammissione a seguito della presentazione di
una istanza di concordato in bianco. Il debitore può, quindi,
esercitare l’impresa dopo la presentazione della domanda
con riserva, presentando, allo spirare del termine concesso
dal tribunale, un piano e una proposta in continuità. E’, comunque, opportuno che già in fase di richiesta di ammissione al concordato con riserva, il debitore evidenzi la natura
della proposta, delineando le linee principali del redigendo piano concordatario, dando, se del caso, evidenza della
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La riforma del diritto societario, più volte novellato, ha
messo a disposizione degli amministratori nuovi strumenti
e ciò comporta un aumento delle responsabilità in capo agli
stessi e agli organi di controllo. Il debitore resta, dunque,
responsabile dell’aggravamento del dissesto che si sarebbe
prodotto in pendenza del termine concesso dal tribunale.
In tal senso si ricorda come il tribunale, dietro input del
precommissario, possa chiedere la revoca del concordato o
possa comprimere il termine concesso per la predisposizione del piano, della proposta e degli altri documenti previsti
dalla norma.
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MERCOLEDÌ 26 FEBBRAIO 2014
Impresa
Destinazione Italia
PMI: nuovo impulso agli investimenti
di Ivana Genestrone - Avvocato in Milano
Con il decreto Destinazione Italia viene incentivato l’investimento in titoli di PMI attraverso
l’estensione della copertura del fondo di garanzia di Mediocredito Centrale.
Destinazione Italia e il mercato dei capitali
per PMI
Il piano di sviluppo “Destinazione Italia”, pubblicato lo
scorso settembre dal Governo Letta, ha considerato (alla
“Misura 18”) il “problema/opportunità” rappresentato
dalla contrazione dei finanziamenti alle imprese da parte delle banche, circostanza che richiede al Legislatore
italiano di semplificare la normativa vigente per facilitare
l’attrazione di risorse anche internazionali, sul mercato dei
capitali.
Il piano indica come necessario punto di partenza la recente
liberalizzazione delle emissioni obbligazionarie da parte
di società non quotate, anche piccole e medie, introdotta con il Decreto Sviluppo e finalizzata ad offrire a queste
aziende, potenzialmente molto appetibili sui mercati, l’opportunità di attrarre investitori specializzati, nazionali e
internazionali.
Grazie a tale liberalizzazione, in effetti, in pochi mesi diverse imprese italiane hanno potuto raccogliere 5 miliardi di
nuova finanza sui mercati internazionali.
In particolare, il piano di sviluppo sottolinea come proprio
attraverso le obbligazioni societarie e i fondi specializzati sia possibile convogliare con maggior forza l’investimento di attori qualificati e istituzionali (quali, per esempio,
compagnie di assicurazioni, fondi pensione e casse previdenziali) verso il tessuto produttivo italiano, attivando un
circuito diretto di intermediazione.
Considerato questo scenario, il Governo ha pertanto ritenuto opportuno completare tali interventi di liberalizzazione,
estendendo al maggior numero di PMI la possibilità di
rivolgersi al mercato dei capitali emettendo obbligazioni
in grado di intercettare l’interesse degli investitori, anche
esteri, attraverso sia l’aggregazione in portafogli che la valorizzazione dello strumento del fondo di crediti.
Interventi operati a favore delle PMI: minibond
Introdotte specifiche misure per sostenere le PMI, prevedendo per queste ultime la possibilità di attrarre nuove risorse
attraverso l’emissione di titoli noti come minibond, vale a
dire obbligazioni e cambiali finanziarie aventi determinate
caratteristiche.
Obbligazioni e cambiali finanziarie
Cambiale finanziaria: è intesa agevolare le imprese
che debbano far fronte a problemi di liquidità a breve
termine
Emissioni obbligazionarie: per una raccolta a
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medio-lungo termine nonché ad ipotesi particolari
(come è il caso dell’obbligazione partecipativa subordinata, studiata per fornire un sostegno alle imprese in
crisi)
Gli sponsor
E’ stato previsto che le società emittente sia accompagnata
nella procedura di emissione dei titoli da uno sponsor, che
dovrà impegnarsi anche a garantire la liquidabilità dei titoli
fino alla loro scadenza, impegnandosi, tra l’altro, nei confronti dell’emittente, a mantenere nel proprio portafoglio
determinate quantità di titoli secondo quote predeterminate
dal Legislatore, in funzione dell’ammontare dell’emissione.
Possono assumere il ruolo di sponsor:
- le banche
- le imprese di investimento
- le Sgr
- le società di gestione armonizzata
- le SICAV
- gli intermediari iscritti nell’elenco previsto dall’art. 107,
Testo Unico Bancario
- le banche autorizzate all’esercizio di servizi di investimento anche aventi sede legale in uno Stato extracomunitario,
purché autorizzate alla prestazione di servizi nel territorio
della Repubblica.
Le obbligazioni
Le obbligazioni possono contenere clausole di partecipazioni agli utili di impresa e di subordinazione, purché con
scadenza iniziale uguale o superiore ai 60 mesi, fermo restando che le emissioni di obbligazioni subordinate rispettano in ogni caso i limiti fissati in generale dalla legge per le
emissioni obbligazionarie.
La clausola di subordinazione vale a definire i termini di
postergazione del portatore del titolo rispetto ai diritti degli
altri creditori della società, ad eccezione dei sottoscrittori
del solo capitale sociale.
La clausola di partecipazione è destinata a regolare la parte del corrispettivo spettante al portatore del titolo obbligazionario, commisurandola al risultato economico dell’impresa emittente.
Più precisamente, l’obbligazione con clausola di partecipazione contempla:
- una “parte fissa del corrispettivo”, costituita dal tasso di
interesse riconosciuto al portatore del titolo (che non può
essere inferiore al Tasso ufficiale di riferimento tempo per
tempo vigente);
- una “parte variabile del corrispettivo, consistente in una
somma commisurata al risultato economico dell’esercizio,
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MERCOLEDÌ 26 FEBBRAIO 2014
nella percentuale indicata all’atto di emissione (che non è
soggetta alla legge n. 108/1996 contenente disposizioni in
materia di usura). La variabilità del corrispettivo riguarda la
remunerazione dell’investimento e non si applica al diritto
di rimborso in linea capitale dell’emissione.
Al fine di sostenere l’utilizzo di questo strumento, inoltre:
- sono stati rimossi i limiti alla capacità di emissione delle
società non quotate, equiparando di fatto queste ultime alle
società quotate, a condizione che le obbligazioni emesse siano però destinate alla quotazione in mercati regolamentati
o in sistemi multilaterali di negoziazione, ovvero conferiscano il diritto di acquisire o di sottoscrivere azioni;
- sono stati eliminati vincoli fiscali che determinavano
un trattamento più favorevole per i soli emittenti quotati (e quindi attraendo potenziali investitori soltanto qui),
equiparando il regime fiscale applicabile alle obbligazioni
emesse da società non quotate a quello più favorevole, a
condizione, come sopra, che tali obbligazioni siano destinate agli scambi su mercati regolamentati o su piattaforme di
negoziazione.
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Fondo di garanzia
Al fine di dare un’ulteriore spinta alle misure relative ai
Minibond, il decreto Destinazione Italia estende le possibilità di utilizzo del fondo di garanzia costituito presso il
Mediocredito Centrale SpA allo scopo di fornire parziale
assicurazione ai crediti concessi dagli istituti di credito a
favore delle piccole e medie imprese.
La garanzia di questo fondo potrà infatti essere concessa
anche in favore delle società di gestione del risparmio che,
in nome e per conto di fondi comuni di investimento da esse
gestiti, sottoscrivano i minibond, a fronte sia di singole
operazioni di sottoscrizione sia di portafogli di obbligazioni.
Con un decreto del Ministero dello sviluppo economico,
di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze,
verranno definiti in dettaglio i requisiti e le caratteristiche delle operazioni ammissibili, le modalità di concessione della garanzia, i criteri di selezione, nonché l’ammontare massimo delle disponibilità del Fondo da destinare
alla copertura del rischio derivante dalla concessione della
garanzia.
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Impresa
Fallimento e procedure concorsuali
Concordato preventivo: commissario giudiziale
“persecutor”?
Massimo Vaccari - Magistrato
Interessante ordinanza del Tribunale di Napoli. In quindici pagine i giudici partenopei
ripercorrono gli orientamenti giurisprudenziali riguardanti la legittimazione del commissario
giudiziale ad esercitare l’azione di responsabilita’ nei confronti degli amministratori di una
s.r.l. in concordato preventivo e la ‘’convivenza’’ con l’azione esercitata dai creditori della
società.
Il caso
L’ordinanza cautelare del Tribunale di Napoli, sezione specializzata delle imprese, che si commenta merita di essere
segnalata perché affronta in maniera diffusa, e risolve in
modo relativamente innovativo, la questione, tuttora piuttosto controversa, della legittimazione degli organi concorsuali (commissario giudiziale nominato ai sensi dell’art.
163, comma 2, n.3) della L. Fall.re e liquidatore giudiziario nominato ai sensi dell’art. 182, comma 1, L .Fall.re) ad
esperire l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori di una società a responsabilità limitata ammessa al concordato preventivo con cessione di beni.
Nella prima parte del provvedimento il giudice partenopeo,
aderendo all’eccezione di uno dei resistenti, esclude la legittimazione dei ricorrenti (commissario giudiziale e liquidatori giudiziali) ad esercitare sia l’azione sociale che quella
dei creditori sociali.
Tra le diverse ragioni che vengono addotte a sostegno di
tale affermazione vi è quella che, nel caso in cui la società
sia stata ammessa al concordato preventivo, l’azione di responsabilità spettante ai creditori sociali rimane a costoro,
poiché non v’è nessuna norma, a differenza che nel fallimento, che attribuisca al commissario giudiziale la legittimazione ad agire in luogo e in rappresentanza della massa
dei creditori.
Inoltre, in punto di fatto, nel caso di specie i liquidatori
giudiziali non avrebbero nemmeno avuto la possibilità di
esercitare tale azione poiché essa non era stata oggetto di
cessione, dal momento che il credito risarcitorio conseguente all’azione nei confronti degli amministratori della società
derivante da una instauranda azione di responsabilità non
risultava essere stato espressamente ricompreso tra quelli
rientranti nel piano concordatario (in esso erano ricompresi
infatti solo i crediti vantati analiticamente dettagliati in due
proposte di concordato).
Quanto all’azione di responsabilità sociale l’ordinanza osserva invece che, anche a voler ammettere,sotto il profilo
teorico,che, dopo la riforma di cui al D. Lgs. 6/2003,essa
spetti ancora alla società e non al singolo socio in via esclusiva, nel caso di specie la società ne avrebbe conservato
la titolarità, dal momento che non era stata spossessata né
del patrimonio né della gestione, e che, in ogni caso, per
il suo esperimento sarebbe stata necessaria una delibera
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assembleare di autorizzazione che nella fattispecie era
mancata.
Il Tribunale non si limita alle predette conclusioni ma si interroga sul significato e sulla portata dell’art. 240l. Fall.
re e, attraverso un approfondito esame dell’origine storica
e della ratio di tale norma giunge ad individuare in essa il
valido fondamento dell’iniziativa giudiziale promossa dal
commissario giudiziale e, conseguentemente autorizza il sequestro conservativo dei beni dell’amministratore a carico
del quale ha ravvisato il fumus boni iuris di “comportamenti
illeciti anche di rilevanza penale”, tra i quali in particolare
quello integrante il reato di bancarotta fraudolenta, “tali da
arrecare alla società un danno patrimoniale”.
I limiti alla legittimazione del liquidatore
giudiziale ad esercitare le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori
Parte della dottrina nega al liquidatore giudiziario il potere di avvalersi del rimedio risarcitorio posto a tutela dei
creditori, sulla base del rilievo che esso, diversamente dal
passato, è un soggetto terzo rispetto non solo all’imprenditore, ma anche a quanti vantino pretese nei suoi confronti,
non essendo pertanto assimilabile a un mandatario di questi
ultimi.
A conferma di tale ricostruzione è stato osservato che l’art.
2394-bis c.c., norma specificamente dettata per le società per
azioni,.non contiene alcun riferimento alla figura del liquidatore e non è ipotizzabile la sua estensione a ricomprenderla in via analogica, trattandosi di disposizione eccezionale.
Alla medesima conclusione però si perviene anche se si
muove dal diverso presupposto che il liquidatore sia investito di una mandato irrevocabile conferito dal debitore o
piuttosto, più correttamente, dai creditori.
Tale mandato ha infatti un oggetto alquanto circoscritto che
è quello di procedere alla integrale realizzazione del patrimonio dell’imprenditore concordatario, ivi naturalmente
compreso il realizzo di eventuali crediti, ed il riparto fra i
creditori delle somme resesi così disponibili.
La Cassazione, in una pronuncia (Cass.14 marzo 2006
n.5515) resa nella vigenza della disciplina ante riforma della legge fallimentare e richiamata anche nel provvedimento
in commento, ha chiarito l’ambito di intervento proprio del
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MERCOLEDÌ 26 FEBBRAIO 2014
liquidatore nei seguenti termini: “la procedura di concordato preventivo mediante la cessione dei beni ai creditori
comporta il trasferimento agli organi della procedura non
della proprietà dei beni e della titolarità dei crediti, ma solo
dei poteri di gestione finalizzati alla liquidazione.
Il debitore cedente, pertanto, conserva il diritto di esercitare
le azioni o di resistervi nei confronti dei terzi, a tutela del
proprio patrimonio, soprattutto dopo che sia intervenuta la
sentenza di omologazione.
Per effetto di tale sentenza è da ritenere che venga meno il
potere di gestione del commissario giudiziale, mentre quello del liquidatore è da intendere conferito nell’ambito del
suo mandato e perciò limitato ai rapporti obbligatori sorti
nel corso e in funzione delle operazioni di liquidazione”.
Da tutto ciò consegue che l’esperimento dell’azione di
responsabilità dei creditori può competere al liquidatore
giudiziale esclusivamente nell’ipotesi in cui il credito risarcitorio da mala gestio sia ricompreso nel compendio da
liquidare, evenienza che si verifica allorquando il piano
concordatario faccia espresso riferimento ad esso.
La soluzione quindi non è diversa da quella a cui è giunto il Tribunale di Milano in una pronuncia, parimenti citata nella ordinanza in commento (Trib. Milano 7-19 luglio
2011), relativa alla differente ipotesi dell’azione sociale di
responsabilità.
Nella predetta occasione il tribunale lombardo aveva anche
osservato che, quand’anche si volesse ritenere che quando
la cessione ha ad oggetto genericamente tutte le attività del
debitore tra esse deve ritenersi ricompresa anche l’azione
di responsabilità, il liquidatore potrebbe esercitarla solo se
preventivamene autorizzato dall’assemblea.
E’ evidente poi che, se il piano non ricomprende il credito
risarcitorio,l’azione di responsabilità rimane nella disponibilità della società debitrice, che può esercitarla, anche durante la procedura, secondo le regole ordinarie.
Va peraltro chiarito che, anche nel caso in cui il piano includa il credito in esame, la società conserva la legittimazione ad esperire la azione di responsabilità fino al momento
dell’omologazione.
Solo a seguito di tale adempimento la legittimazione attiva
passa al liquidatore,giacchè con esso l’organo concorsuale
acquisisce il potere di gestire e disporre dei beni e dei diritti
della società, ivi compresa, evidentemente, la legittimazione
a farli valere in giudizio nonché a rinunciare e a transigere.
Il tribunale di Napoli dichiara espressamente di aderire ai
sopra citati orientamenti ma recupera la legittimazione
del commissario giudiziale ad esercitare l’azione di responsabilità attraverso la valorizzazione di una norma, l’art. 240
l. Fall.re, la cui funzione non è stata finora chiarita in modo
esaustivo.
La lettura dell’art. 240 L.Fall.re proposta
dall’ordinanza in commento
La disposizione sulla quale il Tribunale di Napoli fonda il
proprio ragionamento stabilisce che, oltre al curatore e al
commissario liquidatore, anche il commissario giudiziale
possa “costituirsi parte civile nel procedimento penale per
i reati preveduti nel presente titolo, anche contro il fallito”
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e aggiunge che “I creditori possono costituirsi parte civile
nel procedimento penale per bancarotta fraudolenta quando
manca la costituzione del curatore, del commissario giudiziale o del commissario liquidatore o quando intendono far
valere un titolo di azione propria personale”.
Come ha chiarito la dottrina penalistica l’articolo, che va
necessariamente letto in combinato disposto con quello
che, in generale, definisce la legittimazione a costituirsi parte civile nel processo penale, e cioè l’art. 74 c.p.p.,è stato
introdotto nella legislazione speciale per dirimere i dubbi,
che erano sorti nel periodo precedente la sua entrata in vigore,sull’ammissibilità dell’esercizio dell’azione civile nei
procedimenti penali per reati fallimentari.
Alcuni autori anche molto autorevoli, infatti, avevano sostenuto che il reato fallimentare non era idoneo a provocare
un danno risarcibile.
Secondo tale opinione il danno derivante dal reato, per
lo più di bancarotta,doveva individuarsi essenzialmente
nell’insolvenza, e pertanto la possibilità di aggredire, liquidare e distribuire attraverso il fallimento l’intero patrimonio
pignorabile era l’unica strada perseguibile, in quanto nella
medesima procedura fallimentare ogni ragione di credito
doveva essere soddisfatta e, del resto, un’eventuale condanna al risarcimento derivante dal giudice penale della bancarotta non avrebbe potuto dare di più di ciò che avrebbe
dato il fallimento
A tale tesi, ormai superata dal dato normativo, era stato
però obiettato che non teneva conto del fatto che il credito fatto valere nel fallimento è un’obbligazione tipicamente ex contractu, quella che viene accertata dal giudice penale è, invece, una tipica obbligazione ex delicto, di tipo
extraconcorsuale.
Il giudice partenopeo attribuisce alla diposizione in esame
un preciso rilievo anche civilistico sulla base delle seguenti
considerazioni:
- dalla lettura della relazione del guardasigilli Grandi sulla legge fallimentare del 1942 si desume, con ragionevole
certezza, come, con la disciplina in esame, si sia inteso assicurare al commissario giudiziale tutela specifica dai reati
da concordato preventivo, tanto più in un settore in cui il
carattere privatistico dell’istituto rischiava di danneggiare
i creditori meno avvertiti;
- tale finalità è stata ripetutamente ribadita nel momento
in cu la norma è stata mantenuta in vigore dall’art. 212 delle
norme di coordinamento del codice di procedura penale del
1988 e rinvigorita nel 2012 dalla previsione dei nuovi reati
di cui all’art. 236 bis L.fall.re;
- se il commissario giudiziale è abilitato all’esercizio dell’azione civile in sede penale sarebbe assurdo escludere la sua
legittimazione a svolgere analoga domanda davanti al giudice civile, in presenza di una ipotesi, anche solo astratta,
di reato;
- la norma prevede una azione risarcitoria ordinaria da illecito extracontrattuale ex art. 2043 c..c. che spetta al commissario in rappresentanza di tutti i creditori, senza necessità di una preventiva delibera autorizzativa dell’assemblea, e
ha una funzione di raccordo o coordinamento con il sistema
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MERCOLEDÌ 26 FEBBRAIO 2014
fallimentare civilistico.
Le conseguenze della ricostruzione proposta nell’ordinanza
La ricostruzione sistematica dell’art. 240 L. Fall.re proposta
dal provvedimento in commento, nel ribaltare la prospettiva di uno dei resistenti, secondo la quale (il riconoscimento della) legittimazione alla costituzione di parte civile nel
processo penale è irrilevante in sede civile, risulta nel suo
complesso convincente.
A ben vedere essa sviluppa quello che era stato lo spunto
di una ordinanza risalente del Tribunale di Roma (20 gennaio 1996), richiamata dal Tribunale di Napoli, rispetto alla
questione della legittimazione del liquidatore giudiziario di
società ammessa al concordato preventivo ad esercitare l’azione di responsabilità.
Si noti peraltro che, in mancanza di una espressa previsione
all’interno della disciplina delle s.r.l. riformata dal D. Lgs.
6/2003, il richiamo alla clausola generale dell’art. 2043 c.c.
è quello che, secondo la dottrina migliore, consente di ammettere tuttora la legittimazione dei creditori sociali ad
esercitare l’azione di responsabilità anche nel caso in cui
la società sia in bonis.
La portata delle conclusioni alle quali perviene il giudice
partenopeo va peraltro circoscritta all’ipotesi in cui l’azione di responsabilità sia diretta a far valere un comportamento
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degli amministratori integrante una delle fattispecie di reato
di cui agli artt. 236, 236 bis e 237 L.Fall.re e sia esercitata a
tutela delle ragioni dei creditori.
Sebbene in un primo momento nell’ordinanza si affermi che
non è possibile dire se l’azione civile enucleabile dall’art.
240 L.Fall.re sia l’azione sociale di responsabilità ex art.
2476 c.c. o quella dei creditori sociali è per questa seconda
alternativa che subito dopo l’estensore del provvedimento
opta.
In tal modo il provvedimento lascia aperta la strada ad un
concorso tra l’azione sociale di responsabilità, di natura
contrattuale, che, come detto, il tribunale riconosce permanga in capo alla società, e quella dei creditori sociali, da qualificarsi come azione di massa secondo la Suprema Corte
(Cass. sez. I, 03 giugno 2010 n. 13465).
Le due azioni avendo natura diversa, contrattuale quella
sociale e extracontrattuale quella dei creditori sociali, sono
soggette a due diversi regimi.
Per quanto riguarda la seconda il termine di prescrizionedi
essa (quinquennale ai sensi dell’art. 2949 c.c.) inizia a decorrere dal momento in cui il patrimonio sociale è risultato
insufficiente al soddisfacimento dei crediti e il commissario
giudiziale dovrà provare, oltre all’ingiustizia del danno, la
colpa degli amministratori.
Riferimenti normativi
Tribunale di Napoli, Ordinanza 25/7/2013
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Impresa
Processo civile
Impresa
Edilizia e urbanistica
Condominio: notifica
all’amministratore per
‘’comodita’ ‘’
Ristrutturazioni edilizie: serve
un fabbricato esistente?
Nelle controversie non rientranti tra
quelle che puo’ autonomamente proporre,
l’amministratore di condominio non e’,
legittimato a resistere in giudizio senza
autorizzazione dell’assemblea. La norma
del codice civile che consente di convenire
in giudizio l’amministratore per qualunque
azione concernente le parti comuni
dell’edificio e’ soltanto quella di favorire il
terzo il quale voglia iniziare un giudizio nei
confronti del condominio, consentendogli di
notificare la citazione al solo amministratore
anziche’ citare tutti i condomini.
Nulla, nella stessa norma del codice civile, giustifica la conclusione secondo cui l’amministratore sarebbe anche legittimato a resistere in giudizio senza essere a tanto autorizzato dall’assemblea (Cass. 22294/2004).
D’altra parte, l’amministratore del condominio, nelle materie che esorbitano dalle sue attribuzioni, puo’ costituirsi in giudizio e impugnare la sentenza sfavorevole senza
la preventiva autorizzazione dell’assemblea, ma deve, in
tale ipotesi, ottenere la necessaria ratifica del suo operato
da parte dell’assemblea stessa, per evitare la pronuncia di
inammissibilita’ dell’atto di costituzione ovvero di impugnazione (Cass. 18331/2010).
Nella controversia in esame, che ha a oggetto il risarcimento
dei danni derivanti dalle cose comuni, si rendeva necessaria
l’autorizzazione dell’assemblea che avrebbe dovuto deliberare circa le determinazioni da assumere sulla lite instaurata
contro il Condominio, dovendo qui accennarsi che la deliberazione di autorizzazione o di ratifica dell’assemblea del
condominio relativa alla costituzione dell’amministratore
nel giudizio di cassazione, operando soltanto per la rispettiva fase del procedimento, non sana la mancanza della preventiva autorizzazione assembleare concernente l’appello
formulato dallo stesso amministratore avverso la sentenza
di primo grado (Cass. 15838/2012).
Riferimenti normativi
Cassazione Civile, Sentenza 7/2/2014, n. 2859
Il Consiglio di Stato ha stabilito che si
è in presenza di una ristrutturazione
edilizia quando esiste un fabbricato su cui
intervenire. Nel caso di specie, Palazzo Spada
ha giudicato non condivisibili le affermazioni
del primo giudice sulla possibilità della
ristrutturazione, in quanto tale intervento è
espressamente consentito (anche nella forma
della ricostruzione previa demolizione) solo in
presenza di un edificio esistente: circostanza
esclusa dalle prove prodotte in giudizio.
In primo luogo, stante l’inesistenza di un fabbricato su cui
intervenire, per il Consiglio di Stato appaiono del tutto non
condivisibili le affermazioni del primo giudice sulla possibilità della ristrutturazione, in quanto tale intervento è espressamente consentito, anche nella forma della ricostruzione
previa demolizione, in presenza di un edificio esistente,
circostanza qui non assodata, anzi esclusa dalle prove.
In secondo luogo, l’inesistenza di un edificio su cui intervenire esclude parimenti la possibilità di una realizzazione
di parcheggi ex legge 122 del 1990, visto che la legge ricollega tale facoltà ai soli manufatti esistenti, anzi impone
uno stretto vincolo di pertinenzialità, non concepibile in
assenza dell’opera principale (da ultimo, Consiglio di Stato,
sez. IV, 10 luglio 2013 n. 3672, che rimarca come l’art. 9
della legge 24 marzo 1989 n. 122, nella parte in cui assoggetta la realizzazione di parcheggi ad autorizzazione gratuita e non a concessione, costituisce norma eccezionale che,
derogando agli strumenti urbanistici e ai regolamenti edilizi
vigenti, deve intendersi riferita al parcheggio realizzato nello stesso fabbricato ove sono situate le unità immobiliari di
cui il parcheggio costituisce pertinenza).
Riferimenti normativi
Consiglio di Stato, Sentenza 17/2/2014, n. 735
Impresa
Società e concorrenza
Gruppi societari: la ‘’via
francese’’ alle sanzioni
antitrust
La Corte di cassazione francese ha reso una
decisione riguardante il rapporto tra una filiale
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MERCOLEDÌ 26 FEBBRAIO 2014
ed il suo gruppo nell’ambito delle sanzioni
antitrust. La Suprema Corte transalpina ha
stabilito un legame tra l’imputabilità della
pratica anticoncorrenziale al gruppo e la
presa in considerazione del giro d’affari di
quest’ultimo ai fini della dissuasione (la
quale si concretizza poi nel montante totale
dell’ammenda).
Il 18 febbraio 2014, la Corte di Cassazione francese ha reso
una decisione riguardante il ruolo che l’appartenenza di
un’impresa ad un gruppo gioca ai fini del calcolo della
sanzione.
Il caso di specie riguarda un’ammenda inflitta dall’Autorità di concorrenza francese con un provvedimento del 26
gennaio 2011 a quattordici imprese che avevano posto in
essere un’intesa, per un totale di circa 10 milioni di Euro,
nel mercato del restauro di monumenti storici.
Tra le imprese sanzionate, per la maggior parte piccole e
medie imprese, si trovava la ricorrente, la quale, in ragione
della sua appartenenza al gruppo, è stata sanzionata in maniera più consistente delle altre, per un totale di 4 milioni
di Euro, nonostante avesse partecipato solo a due intese di
natura regionale e beneficiasse di una riduzione dell’ammenda grazie alla procedura francese di settlement (c.d.
di non-contestation des griefs).
L’11 ottobre 2012, la Corte d’appello di Parigi aveva confermato la legittimità del provvedimento dell’Autorità di
concorrenza francese.
Nella fattispecie, il 18 febbraio 2014, la Corte di cassazione
francese ha, invece, stabilito un legame tra l’imputabilità
della pratica anticoncorrenziale al gruppo e la presa in considerazione del giro d’affari di quest’ultimo ai fini della
dissuasione (la quale si concretizza poi nel montante totale
dell’ammenda).
La Corte di cassazione francese ricorda che le sanzioni pecuniarie devono essere determinate individualmente ed in
modo motivato.
Essa, quindi, ritiene che essendosi la ricorrente comportata
in modo autonomo sul mercato in questione (il suo comportamento non era quindi stato attribuito alla capogruppo), la
Corte d’Appello - non avendo cercato di stabilire se l’appartenenza al gruppo aveva giocato un ruolo rilevante o
influenzato l’attuazione dell’intesa - ha privato la sua decisione di un riferimento giuridico corretto.
Inoltre, dal momento che l’Autorità di concorrenza francese
non aveva stabilito che la filiale e la capogruppo costituivano
entrambi un’impresa ai sensi del diritto della concorrenza,
la Corte d’appello (la quale aveva rilevato la solo responsabilità della filiale) non poteva quindi considerare l’appartenenza al gruppo, ai fini dell’aumento della sanzione, senza
precisare il ruolo che aveva giocato il gruppo nell’attuazione delle pratiche anticoncorrenziali in questione.
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MERCOLEDÌ 26 FEBBRAIO 2014
Lavoro e Previdenza
La GUIDA di IPSOA QUOTIDIANO
Licenziamento per giustificato motivo soggettivo
di D. Morena Massaini - Consulente del lavoro, pubblicista
Il datore di lavoro può licenziare il lavoratore per inadempimento degli obblighi contrattuali.
Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo (con preavviso) deve essere qualificato dal
punto di vista soggettivo quanto meno dall’elemento della colpa.
Il nostro ordinamento prevede che il giustificato motivo (di
licenziamento) è limitato ai due soli casi espressamente previsti dalla legge, e cioè:
- al notevole inadempimento degli obblighi contrattuali
(giustificato motivo soggettivo - GMS)
- e a ragioni inerenti l’attività produttiva, l’organizzazione
del lavoro e il regolare funzionamento di essa (giustificato
motivo oggettivo - GMO).
L’intimazione del licenziamento - rigorosamente formalizzato per iscritto al lavoratore con specificazione delle motivazioni- deve avvenire nel rispetto dei termini contrattuali
di preavviso.
Il preavviso è dovuto in quanto il motivo del licenziamento
consente la prosecuzione - seppure temporanea - del rapporto di lavoro (così l’art. 2118 c.c.); diversamente, alla parte
che recede è dovuta l’indennità sostitutiva del preavviso.
Licenziamento per giustificato motivo soggettivo
Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo (art. 3
della legge n. 604/66- Legge sui licenziamenti individuali)
e’ quello riconducibile ad un inadempimento degli obblighi contrattuali del lavoratore che deve essere qualificato
dal punto di vista soggettivo quanto meno dall’elemento
della colpa (Cass., civ. 09 agosto 2012, n. 14326; Cass.,
civ. 26 settembre 1995, n. 10187); non e’ richiesto, ai fini
della legittimità del recesso, che il datore di lavoro subisca
un danno (Cass. Civ., 24 luglio 206, n. 16864; Cass., civ.,14
gennaio 2003, n. 444).
Si tratta di un licenziamento con preavviso, dato che la lesione del vincolo fiduciario - diversamente da quanto accade nell’ipotesi di licenziamento per giusta causa - non è
cosi’ forte, tanto che tollera la prosecuzione del rapporto
(ancorche’ temporanea).
Cio’ a differenza di quanto accade in presenza di una giusta
causa laddove i fatti posti a fondamento del licenziamento
sono “piu’ gravi” : in altre parole, entrambe le situazioni
sono caratterizzate da una “patologia” che pero’ nel caso
del giustificato motivo soggettivo è “notevole” e tollera il
preavviso, mentre nella “giusta causa” è talmente grave da
rompere immediatamente e senza possibilità di soluzione il
vincolo fiduciario.
La differenza sarebbe dunque quantitativa e non qualitativa (Cass., civ. n. 28/2003; Cass., civ., 6889/20029).
Va, infine, evidenziato che la natura ontologicamente disciplinare del licenziamento - che viene intimato nel caso
di comportamento colpevole del lavoratore - impone il
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rispetto della procedura di cui all’art. 7 dello Statuto dei
Lavoratori (osservanza delle garanzie procedurali).
Grava, infine, sul datore di lavoro provare la sussistenza del
giustificato motivo.
Conversione del licenziamento per giusta causa in
giustificato motivo soggettivo
E’ possibile che il Giudice, a mente di quanto sinteticamente esposto sulla differenza tra giusta a e giustificato motivo
soggettivo, di fronte al caso concreto, attribuisca al fatto addebitato al lavoratore la minore gravità propria del giustificato motivo soggettivo e il licenziamento per giusta causa
“si converta” d’ufficio (meglio sarebbe dire che “opera la
riqualificazione”) in licenziamento per giustificato motivo
soggettivo, fermo restando la immutabilità della contestazione (Cass., civ. 20/6/2002, n. 9006; Cass., civ., 26/5/2001,
n. 7185; Cass., civ., 27/2/1998, n. 2204) e sempre che persista la volontà datoriale di risolvere il rapporto di lavoro
(Cass. Civ., 3/11/2008, n. 26379, Cass. Civ., 10/8/2007, n.
27604).
I casi più frequenti
- scarso rendimento (Cass., civ. 17 settembre 2009, n. 2050;
Cass., civ., 9 settembre 2003, n. 13194; Cass., civ. 10 novembre 2000, n. 14605; Cass. civ. 23 febbraio 1996, n.
1421; Cass. civ. 20 agosto 1991, n. 8973);
- ripetute assenze per malattia configurabili come scarso
rendimento del dipendente (Cass. civ. 22 novembre 1996,
n. 10286);
- svolgimento di attività nel periodo di assenza dal lavoro
per malattia (Cass. Civ., 19 dicembre 2000, n. 15916);
- abbandono del posto di lavoro (Cass., civ. 24 luglio 1998,
n. 7296);
- rendimento inferiore al minimo previsto ma solo se è dovuto a negligenza, irregolarità o incapacità del dipendente
(Cass. civ. 26 novembre 1987, n. 8759; Cass. civ. 30 luglio
1987, n. 6616; Cass. civ. 27 marzo 1987, n. 3014; Cass. civ.
21 novembre 1984, n. 5967);
- insubordinazione (Cass., civ,. 21 marzo 1996, n. 2453);
- manifesta contestazione di direttive aziendali (ove accompagnata anche da modalità comportamentali dirette a contestare pubblicamente il potere direttivo del datore di lavoro
(Cass., civ. 16 febbraio 2000, n. 1752);
- mancata o difettosa esecuzione della prestazione di lavoro
per imperizia del lavoratore, anche se non è stato pattuito il
periodo di prova (Cass. civ. 26 giugno 1980, n. 4031);
- assenza ingiustificata dal posto di lavoro (Cass., 17 gennaio 2008, n. 837; Cass., civ. 4 marzo 2004, n. 4435);
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MERCOLEDÌ 26 FEBBRAIO 2014
- simulazione della malattia per svolgere altra attività (Cass.
11 dicembre 2001, n. 15621);
- violazione dell’obbligo di correttezza e fedeltà e di non
concorrenza (Cass., civ. 8 giugno 2001, n. 7819; Cass., civ.
5 maggio 2000, n. 5629);
- uso smodato del telefono aziendale (Cass. civ. 10 luglio
2002, n. 10062).
Fac simile lettera di licenziamento per giustificato
motivo soggettivo
fac-simile di lettera di licenziamento per giustificato motivo
soggettivo, senza preavviso
(SU CARTA INTESTATA DEL DATORE DI LAVORO;
RACCOMANDATA A/R)
Egregio sig./gentile sig.ra
Con la presente si fa seguito alla lettera di contestazione
da noi inviata alla Sua attenzione in data del ...................,
il cui contenuto deve intendersi qui integralmente riportato
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e trascritto, per comunicarLe che i fatti che Le sono stati addebitati risultano comprovati; inoltre, non si ritiene
che le Sue giustificazioni - formulate per iscritto in data
.................- non possono essere accolte.
Pertanto, Le comunichiamo il licenziamento per i seguenti
motivi.......
Le comunichiamo altresì che Lei e’ esonerato dal prestare
servizio durante il periodo di preavviso contrattualmente
stabilito e dunque il rapporto deve intendersi risolto con la
data odierna
In sostituzione del preavviso Le verrà corrisposta la relativa indennità unitamente alle competenze di fine rapporto
che saranno disponibili presso i nostri uffici a decorrere dal
...........
La preghiamo di restituire firmata per ricevuta l’allegata copia della presente
Firma del datore di lavoro......
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MERCOLEDÌ 26 FEBBRAIO 2014
Lavoro e Previdenza
Sicurezza sul lavoro
Modelli di organizzazione e gestione: procedure semplificate
per le PMI
di Ing. Maurizio Magri - Responsabile U.O. Vigilanza Tecnica della Direzione Regionale del Lavoro di Torino
Emanate le procedure semplificate per l’adozione e la efficace attuazione dei modelli di
organizzazione e di gestione della salute e sicurezza (MOG) nelle piccole e medie imprese. Le
procedure hanno lo scopo di fornire alle PMI, che decidano di adottare un MOG, indicazioni
semplificate, di natura operativa, utili alla predisposizione e alla efficace attuazione di un
sistema aziendale idoneo a prevenire gli infortuni e le malattie professionali.
Il Modello di Organizzazione e di Gestione ed efficacemente attuato, assicurando un sistema aziendale
per l’adempimento di tutti gli obblighi giuridici relativi:
della salute e sicurezza (MOG)
Per Modello di Organizzazione e di Gestione della salute
e sicurezza sul lavoro, in sigla MOG, s’intende un sistema
organizzativo aziendale finalizzato a garantire il raggiungimento degli obiettivi di salute e sicurezza, cercando, attraverso la strutturazione e la gestione, di massimizzare i
benefici dovuti alla riduzione del tasso infortunistico e di
minimizzare i costi necessari per gli apprestamenti di salute
e sicurezza.
Un MOG correttamente implementato deve garantire:
- la riduzione del numero di incidenti, infortuni e malattie professionali correlate all’attività lavorativa dell’impresa, attraverso il controllo e la riduzione dei rischi a cui possono essere esposti i dipendenti e in genere tutte le persone
che possono ruotare attorno all’azienda (clienti, fornitori,
etc.);
- l’aumento dell’efficienza dell’impresa, attraverso il controllo delle procedure lavorative integrate con i requisiti di
salute e sicurezza;
- il miglioramento dei livelli di benessere sul lavoro;
- la facilità nel poter produrre e gestire tutta la documentazione richiesta dalle norme prevenzionistiche vigenti;
- la riduzione dei costi dedicati alla salute e sicurezza in
azienda, ottimizzando ogni intervento prevenzionistico e
protezionistico.
Al tempo stesso l’adozione e l’efficace attuazione del MOG
previene, in capo alle imprese, le conseguenze dei reati
previsti dall’art. 25-septies del D.Lgs. n. 231/2001 e s.m.i,
recante la disciplina della responsabilità amministrativa
delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni
anche prive di personalità giuridica.
Si ricorda infatti che in caso di omicidio colposo e lesioni
colpose gravi o gravissime, commessi con violazione delle
norme antinfortunistiche e sulla tutela dell’igiene e della salute sul lavoro, in relazione ai delitti di cui agli articoli 589
e 590, terzo comma, del codice penale, l’impresa può essere
soggetta a gravose sanzioni pecuniarie e interdittive.
Le procedure semplificate per l’adozione
dei MOG
Un MOG, idoneo ad avere valore esimente della responsabilità amministrativa delle imprese, deve essere adottato
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a) al rispetto degli standard tecnico-strutturali di legge
relativi a attrezzature, impianti, luoghi di lavoro, agenti chimici, fisici e biologici;
b) alle attività di valutazione dei rischi e di predisposizione
delle misure di prevenzione e protezione conseguenti;
c) alle attività di natura organizzativa, quali emergenze,
primo soccorso, gestione degli appalti, riunioni periodiche
di sicurezza, consultazioni dei rappresentanti dei lavoratori
per la sicurezza;
d) alle attività di sorveglianza sanitaria;
e) alle attività di informazione e formazione dei lavoratori;
f) alle attività di vigilanza con riferimento al rispetto delle
procedure e delle istruzioni di lavoro in sicurezza da parte
dei lavoratori;
g) alla acquisizione di documentazioni e certificazioni obbligatorie di legge;
h) alle periodiche verifiche dell’applicazione e dell’efficacia delle procedure adottate.
Il MOG deve prevedere idonei sistemi di registrazione
dell’avvenuta effettuazione di tutte le attività mirate alla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro; in ogni caso il MOG
deve prevedere, per quanto richiesto dalla natura e dimensioni dell’organizzazione e dal tipo di attività svolta, un’articolazione di funzioni che assicuri le competenze tecniche
e i poteri necessari per la verifica, valutazione, gestione e
controllo del rischio, nonché un sistema disciplinare idoneo
a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel
modello.
Con la pubblicazione in GU operative le procedure
semplificate
Il MOG deve altresì prevedere un idoneo sistema di controllo sull’attuazione del medesimo modello e sul mantenimento nel tempo delle condizioni di idoneità delle misure
adottate.
Il riesame e l’eventuale modifica del modello organizzativo devono essere adottati quando siano scoperte violazioni
significative delle norme relative alla prevenzione degli infortuni e all’igiene sul lavoro, ovvero in occasione di mutamenti nell’organizzazione e nell’attività in relazione al
progresso scientifico e tecnologico.
Un MOG definito seguendo le Linee guida UNI-INAIL
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MERCOLEDÌ 26 FEBBRAIO 2014
per un sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro
(SGSL) del 28 settembre 2001 o il British Standard OHSAS
18001:2007 si presume conforme ai requisiti di legge, così
come indicato nella Lettera Circolare del 11 luglio 2011 ad
oggetto “Modello di organizzazione e gestione ex art. 30
DLgs. n. 81/08 - Chiarimenti sul sistema di controllo (comma 4 dell’articolo 30 del D. Lgs. 81/2008) ed indicazioni
per l’adozione del sistema disciplinare (comma 3 dell’articolo 30 del D. Lgs. 81/2008) per le Aziende che hanno adottato un modello organizzativo e di gestione definito conformemente alle Linee Guida UNI-INAIL (edizione 2001)
o alle BS OHSAS 18001:2007 con Tabella di correlazione
articolo 30 D.lgs. n. 81/2008 - Linee guida UNI INAIL - BS
OHSAS 18001:2007 per l’identificazione delle “parti corrispondenti” di cui al comma 5 dell’articolo 30”.
Al fine di fornire alle piccole e medie imprese, in sigla PMI
(quali definite dalla Raccomandazione della Commissione
Europea 361/2003/CE del 6 maggio 2003 e dal decreto del
Ministero Attività Produttive del 18 aprile 2005), che decidano di adottare un MOG, uno strumento di facile uso,
la Commissione Consultiva Permanente per la salute e sicurezza sul lavoro, nella seduta del 27 novembre 2013, ha
approvato le procedure semplificate per la adozione e la
efficace attuazione dei modelli di organizzazione e gestione
della sicurezza.
Tali procedure sono state recepite con decreto del Ministero
del lavoro e delle politiche sociali 13 febbraio 2014 e rese
operative con il Comunicato “Recepimento delle procedure
semplificate per l’adozione e la efficace attuazione dei modelli di organizzazione e gestione della sicurezza nelle piccole e medie imprese”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale
n.45 del 24 febbraio 2014.
Utilizzo delle procedure semplificate
Le procedure semplificate si compongono di un documento
di istruzioni e di una modulistica, che può essere modificata e integrata da parte delle stesse PMI a seconda della
complessità tecnico organizzativa della struttura aziendale.
In particolare il MOG nelle PMI (ente di piccole dimensioni) deve essere redatto, attuato e reso efficace dal Datore di
Lavoro(quale definito dal D.Lgs. n. 81/2008 e s.m.i.), come
Organo Dirigente previsto dal D.Lgs. n. 231/2001 e s.m.i..
Come si compongono le procedure
Le procedure si compongono:
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- di una scheda analisi iniziale sulla struttura aziendale e
sull’andamento antinfortunistico attuale
- di un modulo di pianificazione degli obiettivi e di attuazione della politica di miglioramento attraverso azioni
(esplicitate con tempi, costi e responsabili) mirate a raggiungere gli indicatori fissati (parametri capaci di misurare
sinteticamente il grado di raggiungimento degli obiettivi
aziendali).
Successivamente le procedure prevedono l’elenco di tutta la
normativa applicabile all’azienda, con le schede di manutenzione e controllo di macchine, attrezzature e impianti e con le schede di consegna/gestione dei DPI.
Particolare cura è prevista dalle procedure per il programma annuale di formazione, informazione e addestramento, per la scheda formazione/informazione/addestramento lavoratore, per il registro presenze informazione/
formazione/addestramento.
Le procedure poi devono evidenziare l’elenco della documentazione obbligatoria di cui deve essere dotata l’azienda, prevedendo quindi un modulo di rilevazione di situazioni pericolose, incidenti, non conformità e un modulo
di rilevazione infortunio.
Le procedure vanno infine aggiornate e mantenute nel tempo grazie all’adozione di un piano di monitoraggio, di un
programma di audit interno, di un piano di audit, di un
verbale di audit, di uno schema di riesame periodico del
modello organizzativo e del verbale della riunione periodica di sicurezza.
Va precisato che la lettura del documento di istruzioni sul
MOG “semplificato” da parte del datore di lavoro, intenzionato a procedere “in proprio” all’adozione del modello, necessita in capo allo stesso di conoscenze e competenze comunque rilevanti in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Istruzioni e modulistica
-Istruzioni
-Modulistica
Ai sensi della circolare del Ministero del Lavoro del 18
marzo 2004, le considerazioni espresse sono frutto esclusivo dell’autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’amministrazione di appartenenza.
Riferimenti normativi
Ministero del lavoro e delle politiche sociali, decreto
13/2/2014 (G.U. 24/2/2014, n. 45)
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MERCOLEDÌ 26 FEBBRAIO 2014
Lavoro e Previdenza
Vigilanza
Si intensificano i controlli
sulle società ed associazioni
sportive dilettantistiche non
riconosciute
Il Ministero del lavoro ha diramato alcune
istruzioni operative sull’attività di vigilanza
nei confronti della associazioni e società
sportive dilettantistiche, che, considerata la
complessità e specificità del settore, determina
l’insorgere di notevole contenzioso.
E’ quanto disposto con una nota datata 21 febbraio 2014
che, appunto, dopo aver fatto una breve analisi delle norme
che regolano il settore, (art. 90 legge n. 289/2002) arriva
alla conclusione che nel settore si genera molto contenzioso con esito, in buona parte, non favorevole all’Amministrazione e all’INPS.
Stante tale situazione, il Ministero ravvisa l’opportunità di
farsi promotore, d’intesa con l’INPS, di iniziative di carattere normativo, volte ad una graduale introduzione di forme
di tutela previdenziale a favore dei soggetti che, nell’ambito
delle associazioni e società sportive dilettantistiche riconosciute dal CONI, dalle federazioni sportive nazionali e dagli enti di promozione sportiva, svolgono attività sportiva
dilettantistica.
Il Ministero evidenzia che concentrerà la propria attività sulle diverse realtà imprenditoriali non riconosciute dal
CONI dalle suddette Federazioni e non iscritte nel Registro
delle associazioni e società sportive dilettantistiche.
A cura della Redazione
Riferimenti normativi
Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nota 21/2/2014,
prot. n. 37
Lavoro e Previdenza
Schema di decreto ministeriale
Anagrafe generale delle
posizioni assistenziali: sì del
Garante
personali interrogato in merito all’anagrafe
generale delle posizioni assistenziali con
compiti di raccolta, conservazione e gestione
dei dati relativi alle caratteristiche delle
prestazioni sociali erogate.
Il Garante per la privacy ha rilasciato parere positivo sul
contenuto del decreto del Ministero del lavoro concernente l’istituzione del Casellario dell’Assistenza presso
l’Inps che rappresenta l’anagrafe generale delle posizioni
assistenziali.
Il testo del decreto ha raccolto precedenti osservazioni del
Garante inerenti la protezione dei dati, la selezione delle informazioni destinate a confluire nel casellario, l’individuazione dei soggetti che possono consultarle, le modalità di
raccolta e di anonimizzazione dei dati relativi ai minori in
situazioni di disagio.
Le modalità attuative e le specifiche tecniche per l’acquisizione, la trasmissione e lo scambio delle informazioni tra
le amministrazioni coinvolte e l’anonimizzazione dei dati,
nonché le misure di sicurezza, saranno definite dall’Inps con
successivi decreti, sentito il parere del Garante.
Lo schema del decreto prevede che il casellario costituisca
l’anagrafe generale delle posizioni assistenziali con compiti di raccolta, conservazione e gestione dei dati relativi
alle caratteristiche delle prestazioni sociali erogate, nonché delle informazioni utili alla presa in carico dei soggetti
aventi titolo alle medesime prestazioni, incluse le informazioni sulle caratteristiche personali e familiari e sulla valutazione del bisogno. Tali informazioni contribuiscono, infatti,
ad assicurare una compiuta conoscenza dei bisogni sociali e
del sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali e
costituiscono parte della base conoscitiva del sistema informativo dei servizi sociali (SISS).
A tal fine, gli enti locali e ogni altro ente erogatore di prestazioni sociali e di prestazioni sociali agevolate devono mettere a disposizione del casellario le informazioni di propria
competenza individuate dallo schema di decreto.
Nello schema è previsto che il casellario sia costituito dalle
seguenti componenti:
a) banca dati delle prestazioni sociali agevolate
b) banca dati delle prestazioni sociali non incluse tra quelle
di cui alla lettera a);
c) banca dati delle valutazioni multidimensionali, nel caso
in cui alle prestazioni individuate nelle lettere a) e b) sia
associata una presa in carico da parte del servizio sociale
professionale.
Riferimenti normativi
Garante per la protezione dei dati personali, parere 23/1/
2014
Lo schema di decreto del Ministero del lavoro
relativo alla costituzione presso l’INPS del Lavoro e Previdenza
Casellario dell’Assistenza è in linea con la Astensione falcoltativa
normativa sulla privacy. E’ il parere espresso
dal Garante per la protezione dei dati
L’indennità di maternità
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MERCOLEDÌ 26 FEBBRAIO 2014
non spetta se manca la
tempestiva comunicazione al
datore di lavoro
La lavoratrice che intende esercitare la facoltà
di astenersi dal lavoro per il periodo previsto
dalla legge ha l’onere di darne preventiva
comunicazione al datore di lavoro e all’Istituto
assicuratore interessato: pertanto, l’indennità
di maternità per l’astensione facoltativa non
può essere riconosciuta per periodi anteriori
alla data di tale comunicazione.
Il caso trae origine dal contenzioso instaurato tra una lavoratrice dipendente e l’INPS; i giudici d’appello, decidendo sull’impugnazione proposta dalla donna nei confronti
dell’Istituto previdenziale, dichiaravano il diritto della lavoratrice a percepire l’indennità di maternità (legge n. 1204
del 1971) per il periodo di astensione facoltativa dal lavoro
in relazione al parto, condannava l’INPS al pagamento della
relativa prestazione.
L’Inps decideva di resistere in Cassazione, sostenendo che
la lavoratrice non aveva provveduto a formulare l’istanza
prima della fruizione del periodo di congedo richiesto; in
sintesi, secondo l’INPS, l’indennità di maternità per astensione facoltativa non potrebbe essere riconosciuta per i
periodi anteriori alla comunicazione della lavoratrice di
volersene avvalere.
E la Cassazione ha accolto il ricorso.
In particolare, ha chiarito che la legge (art. 7, legge n. 1024
del 1971):
prima delle modifiche introdotte
dalla legge n. 53
del 2000
prevedeva
a seguito delle
prevedeva
novità successivamente introdotte
con la legge n. 53
del 2000
l’astensione
facoltativa per la
durata massima
di 6 mesi (anche
frazionabili) fino
al compimento di
un anno di età da
parte del bambino.
la durata dell’astensione facoltativa in generale
in 10 mesi da
ripartire tra i
due genitori e da
fruire nei primi
8 anni di età del
bambino.
Nel caso in esame, il parto avveniva nel 1993 e la domanda
era stata presentata nel 1996.
Ed allora, conclude la Cassazione, la lavoratrice che intende
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esercitare la facoltà di astenersi dal lavoro per il periodo
previsto dalla legge (art. 7, legge n. 1204 del 1971) ha l’onere di dame preventiva comunicazione al datore di lavoro
e all’Istituto assicuratore interessato: pertanto, l’indennità di
maternità per l’astensione facoltativa non può essere riconosciuta per periodi anteriori alla data di tale comunicazione.
Di rilievo le conseguenze pratiche della sentenza, in quanto il principio affermato dalla Cassazione comporta che il
congedo, tenuto conto della legge applicabile all’epoca del
fatto, poteva essere riconosciuto per un periodo massimo
di sei mesi nel primo anno di vita del bambino e solo successivamente alla presentazione della domanda relativa, che
deve intervenire nel suddetto anno.
Riferimenti normativi
Cassazione, sez. VI - L, ordinanza 24/2/2014, n. 4318
Lavoro e Previdenza
Finanziaria 2013
Pubblico impiego: la Consulta
boccia nuovamente le norme
finanziarie molisane
Illegittime le norme molisane della finanziaria
2013 che consentono nuove assunzioni senza
rispetto in violazione del patto di stabilità
interno nonché la decadenza automatica
dei direttori generali delle ASL, perché
violano tutta una serie di principi dell’azione
amministrativa quali buon andamento,
efficienza e efficacia, imparzialità e giusto
procedimento.
La Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimi gli articoli
12, c. 1° e 34, della L.R. Molise 17 gennaio 2013, n. 4.
La prima norma consente - a una serie di enti indicati in
allegato alla Legge finanziaria regionale 2012 (LR Molise n.
2/2012) - di procedere transitoriamente a nuove assunzioni
senza rispetto dei limiti di spesa previsti dalla normativa
nazionale in materia di personale delle pubbliche amministrazioni, in pratica, in violazione del patto di stabilità
interno.
La seconda norma prevede la decadenza automatica “al
termine della legislatura” di tutte le figure nominate a vario titolo, ragione o causa dal Presidente della Giunta, dalla
Giunta regionale e dal Consiglio regionale”, ivi compresi
i direttori generali delle aziende e degli enti del Servizio
sanitario regionale.
Il meccanismo di decadenza automatica dei direttori generali delle ASL previsto dall’art. 34, della L.R. Molise n.
4/2013 viola:
- il principio di buon andamento, perché incide sulla
29
MERCOLEDÌ 26 FEBBRAIO 2014
continuità dell’azione amministrativa;
- i principi di efficienza e di efficacia dell’azione amministrativa, perché esclude una valutazione oggettiva dell’operato del funzionario;
- il principio di imparzialità dell’azione amministrativa,
perché introduce un’ipotesi di cessazione anticipata e automatica dall’incarico del direttore generale dipendente da un
atto dell’organo politico;
- il principio del giusto procedimento, perché non prevede
“il diritto del funzionario di intervenire nel corso del procedimento che conduce alla sua rimozione e di conoscere la
motivazione di tale decisione”.
Questa nuova bocciatura delle disposizioni finanziarie della precedente amministrazione regionale molisana segue le
sentenze n. 264 e n. 266 del 2013 - con cui erano stati dichiarati illegitti ben 7 articoli (su 19) della legge finanziaria
regionale 5/2013, in tema di bilancio di previsione 2013 nonché la sentenza n. 138/2013 con cui era stato bocciato il
bilancio consuntivo 2011 (art. 7 della LR Molise 19 ottobre
2012, n. 23).
Riferimenti normativi
Corte Costituzionale, sentenza 25/02/2014, n. 27
Lavoro e Previdenza
INPS
Lavoro accessorio: aggiornati
i limiti per i compensi 2014
L’INPS comunica i nuovi importi economici
di riferimento per l’anno 2014 quali limite
annuo per i compensi fissati per il prestatore.
A seguito della variazione percentuale verificatasi nell’indice dei prezzi al consumo, per le famiglie degli operai e degli
impiegati pubblicate dall’ISTAT, i nuovi importi dei compensi economici fissati per il prestatore quale limite annuo
da prendere a riferimento per l’anno 2014 , sono determinati
in:
· € 5.050,00 netti, pari a € 6.740,00 lordi, per la totalità dei
committenti nel corso di un anno solare;
· € 2.020,00 netti, pari a € 2.690,00 lordi, in caso di committenti imprenditori commerciali o liberi professionisti
nel corso di un anno solare.
Tali importi saranno utilizzati dai committenti al fine delle
verifiche sul loro rispetto.
Riferimenti normativi
INPS, circolare 26/2/2014, n. 28
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MERCOLEDÌ 26 FEBBRAIO 2014
Bilancio e Contabilità
Scuola di Formazione IPSOA - 5° Forum annuale bilancio
Tempo di bilanci: intervista a Fausto Cosi, presidente ANDAF
La scadenza per la presentazione e l’approvazione dei bilanci da parte delle imprese si
avvicina. Molte le novità, gli adempimenti e le implicazioni; in particolare, i nuovi principi
contabili internazionali succedutisi nel tempo, gli orientamenti in tema di elusione fiscale e
abuso del diritto, la disciplina del transfer pricing sono tra i temi che verranno approfonditi al
Forum, che si terrà a Milano il 6 marzo 2014 e che il presidente dell’ANDAF anticipa a IPSOA
Quotidiano.
La scadenza per la presentazione e l’approvazione dei bilanci da parte delle imprese si avvicina. Quali sono, a Suo avviso,
le principali novità e quali adempimenti
è possibile aspettarsi di dover effettuare?
Quali sono le implicazioni per le imprese
e, in generale, per i soggetti coinvolti nella
redazione, presentazione e approvazione
del bilancio d’impresa?
La presentazione ed approvazione del bilancio d’esercizio è
per i CFO un momento molto importante.
Solitamente i mesi che precedono la scadenza della presentazione del bilancio sono frenetici perché il bilancio è il documento base attraverso cui la società rende noto a tutti gli
stakeholders l’andamento delle performance economiche,
patrimoniali e finanziarie dell’esercizio.
La redazione dello stesso in modo appropriato permette
all’impresa di affrontare all’occorrenza con maggior certezza un eventuale iter per l’accesso a fonti di finanziamento,
siano esse derivanti dal canale bancario che da quello privato; o ancora di avere maggiori chance di attirare l’interesse
di nuovi investitori.
Il bilancio tuttavia non è sufficiente per fornire un’adeguata comunicazione agli stakeholders: infatti nasce “vecchio”
in quanto, rispettando pienamente la normativa, lo si può
rendere fruibile ai terzi fino a 9 mesi dopo dalla data di
riferimento!
Pertanto, si potrebbe ridurre anche sensibilmente tale tempistica attraverso un’opportuna modifica legislativa.
Un altro suggerimento riguarda il bilancio consolidato che,
non prevedendo la necessità di un’approvazione assembleare, non viene depositato inibendo ai terzi una migliore conoscenza della situazione del gruppo.
Anche in questo caso sarebbe auspicabile una modifica legislativa. Circa gli adempimenti formali connessi alla presentazione e deposito dei bilanci presso le competenti sedi,
la procedura in corso è ormai consolidata e non ci sono
variazioni.
Con riferimento ai principi contabili nazionali, sono state di recente avviate le
consultazioni in merito (i) alla bozza del
documento relativo alla cancellazione dei
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crediti, che integra il Principio contabile
OIC 15, (ii) alla bozza di Principio contabile OIC 10 “La redazione del rendiconto
finanziario”, nonché (iii) alla bozza di
principio contabile OIC 28 “Il Patrimonio
netto”. Quali potrebbero essere, a Suo avviso, le conseguenze, in termini di redazione
del bilancio, dell’evoluzione dei principi
menzionati?
Il principio che dovrebbe produrre gli impatti più importanti
è il nuovo OIC 15, che allinea il trattamento contabile delle
cessioni di crediti alla prassi internazionale e consente di
raggiungere l’importante obiettivo di rendere la disciplina
contabile coerente con quella fiscale.
Gli interventi sugli altri due principi sono volti a chiarire
aspetti applicativi e non introducono elementi di discontinuità rispetto a quanto previsto dai principi precedenti.
Per quanto riguarda i principi contabili
internazionali, lo IASB ha recentemente
avviato la fase di Post-implementation Review dell’IFRS 3 Business Combinations,
pubblicando una Request for Information
ai fini di raccogliere input sulle problematiche derivanti dall’implementazione
dello standard. Quali sono, secondo Lei, le
principali criticità che possono emergere
nell’applicazione dell’IFRS 3?
Uno dei temi più significativi è quello del divieto di ammortamento del goodwill, sostituito da un impairment che - alla
prova dei fatti - sta dimostrando di essere di difficile applicazione e non così tempestivo nella rilevazione di perdite
durevoli.
In ambito tributario, hanno assunto particolare rilevanza, sia a livello internazionale
che nazionale, i concetti di abuso del diritto
e di elusione fiscale. Quali sono le conseguenze di questa tendenza in termini di
strategie di Tax Governance delle imprese
e quali gli impatti pratici ai fini della re31
MERCOLEDÌ 26 FEBBRAIO 2014
dazione del bilancio?
La risposta in termini di Tax Governance dell’evoluzione
interpretativa dei fenomeni dell’elusione e dell’abuso del
diritto si sta traducendo nell’introduzione di sistemi di gestione e controllo del rischio fiscale più penetranti, con la
prioritaria finalità di monitorare gli impatti in ambito fiscale
dei processi e delle transazioni aziendali.
Al fine di consentire la creazione di modelli più efficaci, le
aziende di dimensioni più importanti e su scala internazionale stanno costituendo dipartimenti fiscali strutturati, preposti al monitoraggio degli atteggiamenti tributari, nonché
alla circolazione e trasparenza delle informazioni.
Quanto sopra naturalmente non è intervenuto esclusivamente in ragione dell’attuale clima di inasprimento accertativo
verificato in Italia, ma anche allo scopo di rispondere alle
sempre più pressanti richieste a livello EU e OCSE.
Tale situazione sta comportando un significativo incremento dei costi sostenuti dalle aziende per la compliance fiscale,
con l’auspicio che ne possa derivare un futuro beneficio in
termini di riduzione dei rischi e dei costi di accertamento
correlati.
Con riferimento alla complessa tematica
del transfer pricing, quali sono i principi
fondamentali e gli aspetti critici da tenere in considerazione a livello di bilancio?
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Come funzionano le procedure di assessment messe in atto dall’Amministrazione
finanziaria italiana con riferimento ai prezzi di trasferimento?
La trasparenza e la ricchezza delle informazioni presenti in
bilancio relativamente alle transazioni intercompany, pur
rientrando nell’ambito dei principi generali di redazione,
stanno diventando sempre più elementi rappresentativi della
qualità del documento, a prescindere dalla specifica previsione di indicare in nota integrativa tutte le transazione concluse nel corso dell’anno con parti correlate, precisandone
l’importo, la natura del rapporto e ogni altra informazione
utile a comprendere le operazioni poste in essere (inclusa la
loro realizzazione a condizioni - o meno - di mercato).
In termini di evidenze fattuali, l’intensa attività di accertamento avviata dall’Amministrazione Finanziaria in questi
ultimi anni nell’area del transfer pricing, si sta riflettendo in
attività di difesa e contenzioso con costi, accantonamenti e
rischi che trovano naturale evidenza nelle voci di bilancio.
Di fatto, sono proprio le nuove procedure di assessment seguite dall’Amministrazione Finanziaria che stanno portando a numerose situazioni di conflitto.
In tal senso, la breve esperienza giurisprudenziale e il variegato approccio adottato dagli organi verificatori, al momento sta generando grosse aree di diversità e incertezza sui
relativi accantonamenti.
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MERCOLEDÌ 26 FEBBRAIO 2014
Finanziamenti
Aeronautica, finanziamenti per programmi di ricerca e
sviluppo: prorogati i termini
di Antonio Vittorio Sorge - Esperto in materia di incentivi e agevolazioni
Il Ministero dello Sviluppo economico ha prorogato i termini per la presentazione delle
domande di accesso ai finanziamenti destinati a programmi di ricerca e sviluppo nel settore
aeronautico. Le istanze devono essere inoltrate entro il 28 marzo 2014 se relative a programmi
già avviati ovvero fino al 30 aprile 2014 nel caso di nuovi programmi.
Il bando
Il bando, emanato con Decreto ministeriale del 6 novembre
2013, dal Ministero dello Sviluppo Economico, per sostenere i programmi di ricerca e sviluppo nel settore aeronautico,
prevedeva una dotazione finanziaria di 750 milioni di euro.
Una quota non superiore al 70% delle risorse finanziarie è
riservata alla prosecuzione del finanziamento dei programmi già avviati e finanziati per frazioni di attività.
La restante quota, pari almeno al 30% delle risorse disponibili, è destinata al sostegno di nuovi programmi di ricerca e
sviluppo finalizzati a:
- accrescere la competitività, il posizionamento e i livelli
occupazionali delle imprese del settore aeronautico;
- consolidare ed estendere la leadership in aree tecnologiche
di eccellenza, con particolare riferimento al rafforzamento
del ruolo delle piccole e medie imprese;
- sviluppare le ricadute duali dei programmi di ricerca e
sviluppo.
I beneficiari
Sono ammesse le imprese che operano in Italia ed esercitano
attività industriale prevalentemente nel settore aerospaziale, intendendosi le imprese che, nei 3 esercizi precedenti la
domanda di ammissione agli interventi, abbiano conseguito
un fatturato medio determinato per oltre il 50% - ovvero il
25% per le PMI - da attività di costruzione, trasformazione
e manutenzione di aeromobili, motori, sistemi ed equipaggiamenti aerospaziali, meccanici ed elettronici e parti degli
stessi.
L’ammissione agli interventi può essere richiesta anche da
più imprese comunque associate sia per il singolo progetto
sia in generale in rete.
Entità dell’agevolazione
Sono concessi finanziamenti a tasso zero, il cui importo non
può essere superiore:
- per programmi “molto innovativi”:
a) all’85% dei costi ammissibili per le PMI;
b) al 75% dei costi ammissibili per le grandi imprese;
- per programmi “innovativi”:
a) al 75% dei costi ammissibili per le PMI;
b) al 65% dei costi ammissibili per le grandi imprese.
Progetti finanziati
Sono ammessi ai benefici programmi di ricerca e sviluppo
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nel settore aeronautico, con l’obiettivo di:
- accrescere la competitività, il posizionamento e i livelli
occupazionali delle imprese del settore;
- consolidare ed estendere la leadership su aree tecnologiche
di eccellenza, rafforzando anche il ruolo delle PMI;
- sviluppare le ricadute duali dei programmi di ricerca e
sviluppo.
Spese ammissibili
Sono ammissibili i seguenti costi:
- spese del personale diretto adibito alla realizzazione del
progetto, comprensivo di quota dei costi imputabili a detto personale rilevati a livello di unità operativa e a livello
centralizzato;
- costo di acquisto o leasing delle strumentazioni e attrezzature di laboratorio e di officina e dei terreni e fabbricati da
utilizzare per le attività del progetto, al netto dell’eventuale
valore derivante dalla cessione a condizioni commerciali
ovvero dall’utilizzo a fini produttivi;
- costo dei servizi di consulenza e simili utilizzati per l’attività di ricerca compresa l’acquisizione dei risultati di ricerche, brevetti, know-how, diritti di licenza;
- materiali (materie prime, componenti, semilavorati, materiali di consumo specifico.) direttamente imputabili all’attività di ricerca.
Il costo di collaboratori operanti in coordinamento con
l’impresa beneficiaria è ammesso in misura non superiore al
15% dei costi del personale diretto adibito alla realizzazione
del progetto.
Presentazione della domanda
Le domande di ammissione ai finanziamenti devono essere presentate al Ministero dello Sviluppo Economico
- Dipartimento per l’Impresa e l’Internazionalizzazione - Direzione Generale per la Politica Industriale e la
Competitività - Divisione VIII. Le domande, con allegata
la documentazione prevista, potranno essere consegnate a
mano presso la Divisione VIII - D.G.P.I.C., Via Molise 19
(2° piano), oppure trasmesse a mezzo raccomandata A.R.,
tramite servizio postale o agenzie di recapito autorizzate.
Le istanze devono essere inoltrate:
- entro il 28 marzo 2014 se relative a programmi già
avviati
- fino al 30 aprile 2014 nel caso di nuovi programmi.
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MERCOLEDÌ 26 FEBBRAIO 2014
Finanziamenti
Reti d’impresa
Liguria: bando creazione di
reti e aggregazioni di imprese
Due milioni di euro dalla Regione Liguria
per sostenere progetti di aggregazione e
messa in rete delle piccole e medie imprese
con lo scopo di contribuire al rafforzamento
e al miglioramento del sistema economico
produttivo ligure.
Il bando
Pubblicato il bando, a valere sul POR FESR 2007-2013
Linea di attività 1.2.6 Creazione di reti e aggregazioni di
imprese, destinato alle piccole e medie imprese, al fine di
favorire lo sviluppo dei processi di aggregazione e creazione di reti d’impresa con lo scopo di contribuire al rafforzamento e al miglioramento del sistema economico produttivo
ligure che prevede una dotazione finanziaria pari a 1 milione di euro.
Il bando prevede inoltre il coinvolgimento delle associazioni di categoria quali stimolo e incentivo per le imprese ad associarsi in reti a cui sono destinati ulteriori euro
1.000.000, finalizzato a sostenere e sollecitare l’attuazione
di progetti presentati dalle Associazioni imprenditoriali regionali, rappresentative dell’industria, dell’artigianato, del
commercio e della cooperazione mirati alla promozione e
all’animazione di una cultura di diffusione delle reti di impresa e al sostegno e accompagnamento delle diverse forme
di aggregazioni di micro, piccole e medie imprese, come
nuovo fattore di competitività.
I beneficiari
Sono ammesse ai benefici le micro, piccole e medie imprese (MPMI), escluse quelle appartenenti ai settori della
pesca e dell’acquacoltura, secondo le seguenti modalità di
aggregazione, composte da almeno 3 imprese regolarmente
costituite e tra loro indipendenti:
- raggruppamenti di MPMI regolarmente costituiti a norma
di legge o ancora da costituire, con forma giuridica di “contratto di rete” che preveda l’istituzione di un fondo patrimoniale comune e l’individuazione di un organo comune (rete
con soggettività giuridica);
- consorzi e società consortili - già costituiti, anche in forma
cooperativa, al momento della presentazione della domanda
o ancora da costituire;
- gruppi cooperativi paritetici ai sensi dell’articolo 2545
septies del codice civile - già costituiti al momento della
presentazione della domanda o ancora da costituire.
I soggetti che devono ancora essere costituiti alla data di
presentazione della domanda, dovranno perfezionare la costituzione entro il termine perentorio di 60 giorni dalla data
di ricevimento della comunicazione del provvedimento di
concessione del contributo.
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I progetti presentati devono riguardare strutture operative,
interessate dalle ricadute derivanti dal progetto, ubicate sul
territorio della Regione Liguria, che risultino regolarmente
censite presso la CCIAA già al momento della presentazione della domanda e di cui i beneficiari devono avere la piena
disponibilità.
Entità dell’agevolazione
I contributi a fondo perduto sono concessi, a titolo de minimis, nella misura massima del 50% del costo ammissibile
fino all’importo massimo di € 80.000,00 ed entro i limiti
delle risorse finanziarie disponibili.
Il costo totale del progetto agevolabile non può essere inferiore ad euro 50.000,00.
Progetti finanziati
Gli interventi ammissibili sono rivolti al consolidamento e allo sviluppo di reti esistenti nonché alla creazione e
allo sviluppo di nuove reti di imprese, attraverso le seguenti
azioni:
- sviluppo e innovazione di funzioni condivise dall’aggregazione (come ad es. logistica, servizi connessi, progettazione
per raggiungimento obiettivo comune, innovazioni di processo e organizzative);
- accesso ad economie di scala e consolidamento, sviluppo
e/o creazione di reti di subfornitura;
- valorizzazione dei sistemi di gestione della qualità a livello
di reti di imprese;
- marketing per lo sviluppo di prodotti/servizi che consentano l’ampliamento del mercato e dei canali distributivi,
anche attraverso la creazione e promozione di un marchio
di rete (investimenti collettivi legati agli aspetti immateriali
della produzione);
- internazionalizzazione per partecipazione a missioni, fiere
e bandi e condivisione di informazioni commerciali clienti/
fornitori esteri.
- responsabilità sociale dell’impresa (R.S.I.): valorizzazione
e miglioramento delle pratiche socialmente responsabili e
sostenibilità ambientale per facilitare la crescita del sistema
della responsabilità sociale in Liguria;
- territorio: valorizzazione delle tradizioni culturali e storiche del territorio oggetto delle attività dell’aggregazione
delle imprese nel rispetto e attenzione alle caratteristiche
geografiche e sociali.
Presentazione della domanda
Le domande di ammissione ad agevolazione devono essere redatte avvalendosi esclusivamente dell’apposita procedura informatica e compilate in ogni loro parte e complete di tutta la documentazione richiesta, da allegare alle
stesse in formato elettronico, firmate digitalmente dal legale
rappresentante del soggetto beneficiario e inoltrate esclusivamente utilizzando la procedura informatica di invio telematico, pena l’irricevibilità della domanda stessa entro le
seguenti scadenze fissate per ciascun bando:
- sul bando rivolto alle imprese: a decorrere dal 15 aprile
2014 e fino al 9 maggio 2014;
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la procedura informatica sarà a disposizione dei proponenti
sul sito www.filse.it a partire dal 24 marzo 2014,
- sul bando rivolto alle associazioni imprenditoriali regionali: a decorrere dall’11 marzo 2014 e fino al 18 marzo 2014;
la procedura informatica sarà a disposizione dei proponenti
sul sito www.filse.it a partire dal 3 marzo 2014.
Ciascuna aggregazione di imprese/associazione può presentare una sola domanda a valere sul bando entro i termini di
apertura del bando stesso.
Riferimenti normativi
Liguria, Bando 14/2/2014 (in fase di pubblicazione)
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