quaderni di lologia e lingue romanze QUADERNI DI FILOLOGIA E LINGUE ROMANZE Ricerche svolte nell’Università di Macerata Annuale Direzione Giulia Mastrangelo Latini Comitato Scientifico Gabriella Almanza Ciotti – Daniela Cingolani – Daniela Fabiani Thais Fernandez – Marinella Mariani – Giulia Mastrangelo Latini Luca Pierdominici – Amanda Salvioni – Silvia Vecchi La Direzione e il Comitato scientifico non sono responsabili delle opinioni e dei giudizi espressi dai singoli collaboratori nei propri articoli. Per proposte di scambio e corrispondenza si prega di rivolgersi a: Luca Pierdominici Dipartimento di Studi Umanistici Università degli Studi di Macerata Palazzo Ugolini, Corso Cavour, 2 – 62100 Macerata Daniela Fabiani Dipartimento di Studi Umanistici Università degli Studi di Macerata Palazzo Ugolini, Corso Cavour, 2 – 62100 Macerata QUADERNI DI FILOLOGIA E LINGUE ROMANZE Ricerche svolte nell’Università di Macerata Terza serie 27 2012 Aracne Copyright © MMXIV ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, 133/A–B 00173 Roma (06) 93781065 issn 1971–4858-27 isbn 978–88–548–6953–0 libro isbn 978–88–548–6953–0 versione digitale I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 23 febbraio 2009, n. 31, dall’art. 7, comma 4: Non sono soggetti ad apposizione del contrassegno né a dichiarazione sostitutiva i supporti allegati ad opere librarie i quali riproducono in tutto o in parte il contenuto delle opere stesse ovvero sono ad esse accessori, quali dizionari, eserciziari, presentazioni dell’opera, purché non commerciabili autonomanente I edizione: marzo 2014 Indice 7 Giulia Latini Mastrangelo L’attenzione al denaro nei romanzi di Chrétien de Troyes 23 Gabriella Almanza Ciotti Libro dei Segreti medicinali e di altri Segreti diversi — II parte 73 Valentina Guercio Cuentos de la selva: tradurre il mondo magico di Horacio Quiroga 133 María Silvina Martinelli El Concejal di Francisco Ramos de Castro. Problematiche sociali e politiche 149 Carla Ieraci L’Apostolo Santiago nell’interpretazione di García Lorca e Dalí 165 Patrizia Prati ¡Vaya un plantón que me hiciste dar esta mañana, hija! Spunti di riflessione traduttiva 179 Marco Cromeni Propuesta didáctica de un módulo de cultura y civilización italianas para estudiantes hispano–hablantes: el aprendizaje de italiano a través de la ópera Quaderni di filologia e lingue romanze isbn 978–88–548–6953–0 DOI 10.4399/97888548695301 pag. 7–21 Giulia Latini Mastrangelo L’attenzione al denaro nei romanzi di Chrétien de Troyes Nei testi letterari medioevali il denaro non è frequentemente trattato in modo diretto anche se, ovviamente, le descrizioni di palazzi fastosi, di ricchi arredi, di abiti sontuosi, di gioielli sfolgoranti di pietre preziose presuppongono una notevolissima ricchezza. Chi ne gode non si preoccupa di alludere al denaro. Ma nei romanzi di Chrétien de Troyes c’è qualcosa di diverso: senza arrivare alla “preoccupazione” per la parte economica della vita quotidiana che troviamo nel Poema del Cid, l’autore in vari passi cita espressamente il denaro o fa riferimenti indiretti ma precisi ad esso, dà valutazioni. È per questo che qui abbiamo reperito e analizzato le parti in cui il denaro è, direttamente o indirettamente, presente per vederne la funzione negli obiettivi dell’autore. Anzitutto vediamo l’attenzione che viene data alla condizione di povertà: in Erec et Enide il padre di Enide la vive con coraggiosa dignità e spiega ad Erec le sue considerazioni riferendosi alla figlia così bella e così mal vestita: La povertà è dannosa a molti e reca male anche a me. Sono molto triste di vederla abbigliata così poveramente, ma non ho modo di porvi rimedio: sono stato in guerra tanto a lungo che ho perduto, impegnato e venduto tutte le mie terre. (p. 10)1 Erec stesso ribadisce il concetto parlando alla regina Ginevra: Ella è figlia di un povero valvassore e la povertà avvilisce più di un uomo; ma suo padre è generoso e cortese, pur disponendo di modesti averi. La madre è dama di alto lignaggio, sorella di un nobile conte. (p. 25)2 Tuttavia la povertà non è un impedimento alle nozze: per queste sono sufficienti le qualità cortesi e la limpidezza del lignaggio, tanto più — e questa è una notazione importante — che il padre di Enide ha perso tutto per combattere per il suo signore. Chrétien è attento alle problematiche sociali e noi avvertiamo, sullo sfondo di un ambiente di alta aristocrazia e di ricchezza, le conseguenze di guerre continue e l’indifferenza dei signori per i piccoli valvassori. Erec sentirà l’esigenza in questo caso di un’equa ridistribuzione 8 GIULIA LATINI MASTRANGELO dei possedimenti e del denaro. Si comincerà fin da queste prime vicende a notare che le avventure narrate da Chrétien non si distaccano completamente dalla realtà della vita: esse evolveranno approfondendo sempre più questo aspetto, come possiamo vedere nell’episodio di povertà estrema, legata allo sfruttamento, che verrà risolto da Yvain. Il cavaliere arriva al Castello della Pessima Avventura dove trova circa 300 fanciulle tessitrici magre, pallide, con gli abiti laceri: Guarda attraverso la palizzata e scorge fino a trecento pulzelle intente a diversi lavori. Tessevano stoffe con fili d’oro e di seta, e ognuna lavorava come meglio poteva; ma la loro miseria era ben grande! Erano così povere che molte erano discinte e senza cintura. Avevano tuniche lacere sulle mammelle e ai gomiti, camicie sudicie sul dorso, colli scarni e visi pallidi per la fame e gli stenti. Ivano le osserva, e quelle lo guardano; poi tutte chinano il capo e si mettono a piangere; rimangono così a lungo: non si curano più di nulla, né possono risollevare gli occhi dal suolo per il grande sconforto! Interrogate, esse espongono ad Yvain la loro situazione: Ma è pura fanciullaggine parlare di essere liberate! Mai più usciremo di qui e continueremo ogni giorno a tessere stoffe di seta; e non per questo saremo meglio vestite! Sempre saremo meschine e nude, sempre avremo fame e sete, e mai potremo guadagnare tanto da essere meglio nutrite. Di pane ne otteniamo a gran pena, la mattina poco e la sera ancor meno: col lavoro delle proprie mani, ognuna di noi non avrà mai per sopravvivere più di quattro denari di una lira. Con così poco, non possiamo avere carni e vesti a sufficienza, ché colei che guadagna venti soldi la settimana non è per questo affrancata dalla miseria. E siate certo che nessuna di noi ricava dal proprio lavoro cinque soldi o più. Ci sarebbe da fare la fortuna di un duca! Ma noi siamo qui in povertà, mentre colui per cui lavoriamo si arricchisce con i nostri guadagni. Vegliamo gran parte della notte e lavoriamo tutto il giorno per il profitto di quel padrone che ci minaccia di storpiarci se ci fermiamo; così non osiamo prenderci alcun riposo. Ma perché narrarvi di più? Patiamo tante ingiurie e oltraggi ch’io non saprei dirvene un quinto. (pp. 79–81)3 Questo brano, come è evidente, è di estremo interesse: la contrapposizione fra povertà da una parte e ricchezza, conseguente allo sfruttamento, dall’altra è mostrata in tutta la sua crudezza. Ma l’elemento singolare è che si parla di retribuzione: nessuna ragazza arriva a guadagnare cinque soldi, ma anche chi arrivasse a 20 soldi alla settimana, non vivrebbe bene. Nessuna avrà mai per sopravvivere più di 4 denari di una lira. Qui abbiamo il riferimento a tre monete, in ordine decrescente a cominciare dalla lira (la libra, la livre), poi il soldo (le sou) e infine il denaro (le denier). In base alla riforma monetaria di Carlomagno, una libbra d’argento, misura ponderale, si considerava composta da 20 parti dette soldi; ogni parte era a sua volta suddivisa in 12 denari. Inizialmente allora il denaro era un pezzetto d’argento che corrispondeva L'ATTENZIONE AL DENARO NEI ROMANZI DI CHRÉTIEN DE TROYES 9 a 1/240 del peso di una libbra4 . Questo valore tuttavia andò diminuendo sempre più e questa riduzione ci è confermata dal racconto della ragazza dal quale si evince che il denaro e il soldo hanno un valore bassissimo. Anche il soldo infatti aveva progressivamente perduto valore: in epoca imperiale romana designava una moneta d’oro di valore fisso, ma col passare del tempo aveva assunto un valore diverso. Riguardo alla lira (la libbra ponderale d’argento base del sistema monetario di Carlomagno), è difficile darne il valore preciso all’epoca di Chrétien per la grande varietà di libbre che sorse nel Medioevo. Conseguentemente la difficoltà si estende al denaro e al soldo. Per un paragone che ci aiuti a comprendere meglio la scarsezza della paga delle tessitrici, vediamo un altro punto in cui è citata questa moneta: quando ad Yvain disperato e affamato viene lasciato dall’eremita del pane perché lo mangi, l’autore ci dice che “il sestario di farina con cui era fatto non era mica costato venti soldi”.5 Un sestario di farina, allora, costa più di venti soldi e la quantità di pane è, sì, discreta, ma Yvain la può divorare tutta, sia pure per le particolari condizioni in cui si trova. Da questo confronto prende consistenza il ritratto della povertà delle ragazze: cinque soldi alla settimana, quando neanche venti toglierebbero dalla miseria, non permettono alcuna spesa: e infatti abiti laceri, volti consunti, disperazione, abbrutimento. Quest’ultimo aspetto vogliamo rilevare: è un tratto psicologico che Chrétien aggiunge quando nell’accurata descrizione delle fanciulle sottolinea che indossano camicie sudicie. Esse non hanno più alcuna cura di sé: sono discinte, non si lavano, tutti i richiami della giovane età sono spenti. Chrétien è ben documentato sulle disparità sociali, per cui le avventure di Yvain, che inizialmente erano un’esibizione di valore, un perseguimento di fama cavalleresca, ora acquisiscono una finalità superiore, l’obiettivo di porre rimedio alle ingiustizie sociali, alle oppressioni da parte di chi è potente su chi è più debole. Sono, queste, forme di malvagità e infatti gli sfruttatori sono considerati incarnazione del diavolo, emblema del male. Nell’Erec, sempre a proposito della povertà, c’è una notazione breve, ma significativa, sui giullari durante le feste: L’indomani fu giorno di letizia per i giullari: vennero tutti pagati con larghezza e furono loro rimessi i debiti contratti. Ricevettero inoltre molti ricchi doni: abiti di scarlatto, di seta e di drappo viola foderati di pellicce di vaio o di ermellino, di coniglio o grigie. Alcuni vollero un cavallo, altri preferirono del denaro: ciascuno ebbe a propria scelta il dono migliore che potesse desiderare. (p. 33)6 Da queste osservazioni si deduce che doveva essere dura la vita dei giullari, i quali infatti erano indebitati. La prima cosa che chiedono è un buon pagamento e l’annullamento dei debiti. I doni che vengono loro offerti sono 10 GIULIA LATINI MASTRANGELO un qualcosa di più, fra questi alcuni vogliono un cavallo, altri ancora denaro più che abiti sontuosi e pellicce. Anche in un altro passo Erec tiene presenti i bisognosi, i chierici poveri ai quali dà abiti caldi per proteggersi dal freddo e denaro in una quantità che qui viene precisata, più di un sestario: Così Erec fece cantare vigilie e messe nella corte di Tintagel in cui si trovava, promise donazioni a chiese e monasteri e mantenne gli impegni presi. Adempì con ogni cura ai propri doveri; scelse più di cento e sessantanove bisognosi e li fornì di nuove vesti; ai chierici poveri e ai preti donò, com’era giusto, cappe nere foderate di calde pellicce. Nel nome di Dio, si prodigò per il bene di tutti ed elargì più di un sestario di denaro a quanti ne avevano necessità. (p. 97)7 Dare doni alla chiesa e fare elemosina ai poveri sono gesti frequentemente descritti in vari testi, ma qui è interessante la quantizzazione: per dare un’idea della generosità di Erec l’autore utilizza una misura di quantità, il sestario, la sesta parte del congio o cogno, che, come dice il Tommaseo, “serviva così a misurare le cose liquide, come le sode”.8 All’epoca romana il sextarius come misura conteneva circa mezzo litro essendo la sesta parte del congius che conteneva 3 litri e un quarto circa. Anche calcolando in altro modo, la quantità risulta la stessa.9 . Tuttavia la misura varia secondo i luoghi e i tempi. Qui la quantità sembra essere maggiore sia per il risalto dato ai doni fatti col sestario come misura, sia sulla base del sestario di farina riportato dall’Yvain nel terzo esempio seguente. Il sestario ricorre più volte nei romanzi di Chrétien. A Cligés che vuole recarsi in Bretagna alla corte di Artù, l’imperatore suo zio offre doni: E poiché non converrebbero qui né esortazione né divieto né imposizione, voglio che portiate con voi un buon sestario d’oro e d’argento, e vi donerò cavalli per il vostro diporto, quali vi piacerà scegliere. (p. 64)10 Nel Lancelot quando Keu minaccia di lasciare la corte di Artù: “È la collera o l’orgoglio che vi spingono a partire?” chiede il re. “Siniscalco, restate a corte come sempre è stato vostro costume, e sappiate per certo che pur di trattenervi non vi è nulla che io possieda in questa terra che non sarei pronto a donarvi”. “Sire” risponde Keu “non ve n’è bisogno: non accetterei neanche un sestario d’oro fino e puro, se pur mi fosse largito ogni giorno”. (p. 4)11 Ricorre anche come misura di quantità per la farina nell’Yvain quando il protagonista giunge all’eremo affamato e l’eremita gli lascia il pane sulla finestra perché ne prenda, episodio cui abbiamo accennato sopra:
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