Fabiola Gianotti

la domenica
DI REPUBBLICA
DOMENICA 28 DICEMBRE 2014 NUMERO 512
Cult
La copertina. Dove è finito il romanzo sociale
Straparlando. Romano Montroni, vivere in libreria
La poesia. Il Dio sconosciuto che Dante non può dire
Sarà la prima donna
a dirigere il Cern
“Facile, basta sognare”
Fabiola
Gianotti
FOTO DI MAX CARDELLI
La signora
dell’universo
DARIO CRESTO-DINA
GINEVRA
e annunciano: Snacks, Salades, Desserts,
Drinks. Sotto, quasi ogni ben di dio.
I manifesti di due film, Bridget Jones e Angeli e Demoni. La locandina della sesta “Higgs Hunting”, la caccia, la
conferenza che si svolgerà dal 30 luglio al primo agosto 2015 a Orsay, Francia, su risultati e prospettive dell’EWSB (ElectroWeak
Symmetry Breaking) accanto a quella di un
corso di danza scozzese. Stinchi pelosi spuntano da un kilt. Le lingue del mondo si im-
L
E INSEGNE RISPLENDONO
mergono e risalgono nel vociare di decine di
ragazzi di colore e sguardi diversi che si mischiano in un gruppo, poi in un altro, qualcuno sulle code di una donna o di un uomo appena un poco più grande, qualche filo di grigio nei capelli, nessuno in tailleur o giacca e
cravatta. Crocchi di tre o quattro in posa per
un selfie sillabano prima dello scatto «higgs
boson» che qui, ha sostituito il «cheese» conservandone la stessa funzione propedeutica
al sorriso. Il tutto sorvegliato, sotto la cupola
dello stabilimento principale del Cern, l’Organizzazione europea per la ricerca nucleare, dalla gigantografia del rivelatore Atlas
che a prima vista sembra una stazione spa-
L’attualità.
Norman
Foster:
“Un’Avana
da salvare”
Spettacoli.
I segreti
dei Wiener
L’incontro.
L’oroscopo
di Pesatori
per il 2015
ziale, ma in realtà è un colossale microscopio
capace di fotografare la collisione di particelle con una potenza di fuoco di quaranta
milioni di scatti al secondo e una risoluzione
di cento milioni di pixel.
Tutto è rotondo al Cern: edifici, piazze, uffici, corridoi. Quasi a rappresentare plasticamente come questo sia un luogo che smussa, arrotonda appunto, le antinomie, i conflitti. Passato e futuro, giovani e vecchi, uomini e donne, scienza e fede. Il direttore attuale, Rolf Dieter Heuer, tedesco del Sud di
sessantacinque anni, in carica dal 2009, uno
scienziato che ama la danza artistica, le sculture di Giacometti e i poemi di Neruda mes-
si in musica da Mikis Theodorakis, è stato paragonato a Re Artù per la ieratica somiglianza con il sovrano della leggenda portata sugli schermi e perché qui come spirito ci
si sente un po’ tutti cavalieri della tavola rotonda. Mesi fa, allo svizzero Le Temps,
Heuer ha detto: «La scienza non è esotica,
gran parte della nostra vita ha a che fare con
la fisica. I giornali dovrebbero essere più attenti alle belle notizie, quelle che ci danno
gioia, ravvivano la mente, stimolano il sapere. Non dovremmo mai dimenticare che scoprire è un piacere». Nel gennaio 2016 Heuer
passerà il testimone a Fabiola Gianotti.
>SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE
Repubblica Nazionale 2014-12-28
la Repubblica
LA DOMENICA
DOMENICA 28 DICEMBRE 2014
28
La copertina. Fabiola Gianotti
10
cose
da sapere
1. Cosa significa LHC
Large hadron collider, grande
collisore di adroni
È l’acceleratore di particelle
più grande del mondo
2. Come funziona LHC
Le particelle pesanti,
come protoni e ioni, vengono
accelerate e si scontrano
nel laboratorio sotterraneo
Due fasci di particelle
percorrono il tunnel in due tubi
in direzioni opposte
Ogni fascio contiene
fino a 300mila miliardi di protoni
3. Perché è stato costruito
sotto terra
È più economico scavare
un tunnel lungo 27 chilometri
a 100 metri di profondità
piuttosto che acquistare i terreni
in superficie. E anche l’impatto
ambientale è ridotto al minimo
Inoltre la crosta terrestre
scherma le particelle provenienti
dallo spazio
<SEGUE DALLA COPERTINA
DARIO CRESTO-DINA
S
ARÀ IL TERZO DIRETTORE ITALIANO DEL CERN, dopo Carlo Rubbia e Luciano
4. Perché le particelle vengono
fatte viaggiare nel vuoto
Per evitare che si scontrino
con molecole di gas
Si crea un vuoto spinto pari
a 0,0000000000001 atmosfere
5. Cosa spinge e cosa fa curvare
il fascio di particelle
Una serie di dispositivi
elettromagnetici, sfruttando
la carica elettrica
delle particelle, fanno accelerare
il fascio e gli fanno prendere
le traiettorie volute dai fisici
6. Quante collisioni tra particelle
avvengono dentro LHC
Circa 600 milioni di collisioni
al secondo
7. Quanto resiste un fascio
all’interno dell’acceleratore
Ogni fascio gira all’interno
di LHC per 10 ore, percorrendo
più di 10 miliardi di chilometri,
abbastanza per percorrere
la distanza Terra-Nettuno
andata e ritorno
8. Come fanno gli scienziati
a “vedere” le particelle
Lungo l’acceleratore
sono disposti dei «rilevatori»
che registrano il passaggio
di particelle. In base al tipo
di traccia lasciata, i fisici
sono in grado di ricostruire
la caratteristica dalla particella
che l’ha lasciata (massa, carica,
eccetera)
9. Quanto consuma LHC
Circa 120 megaWatt,
l’equivalente del consumo
elettrico domestico
per il Cantone di Ginevra
Se si considera tutto il Cern,
il consumo sale a 230 megaWatt
10. Quanto è costato LHC
Tre miliardi di euro
LE IMMAGINI
SOPRA, LA COPERTINA
CHE “TIME” HA DEDICATO
A FABIOLA GIANOTTI
NEL DICEMBRE 2012.
SOTTO, LA LAUREA
AD HONOREM
DELL’UNIVERSITÀ
DI UPPSALA NEL 2012
E, NELLA FOTO GRANDE,
LA SCIENZIATA ITALIANA
AL LAVORO NEL TUNNEL
DEL CERN
Maiani (Edoardo Amaldi fu invece tra i fondatori, nel ‘54, e segretario
generale). La prima donna a ricoprire questa carica. «Lei e Rolf — raccontano i colleghi — hanno un’esperienza molto simile. Entrambi sono
stati spokesperson di un grande progetto, Atlas e Opal, entrambi sono
stati staff Cern, quindi hanno sviluppato una cultura comune».
Fabiola Gianotti ha cinquantaquattro anni e una voce argentina ed
entusiasta da liceale. Una vita tra Roma e Milano, studi classici, le canzoni di Baglioni, il pianoforte, Bach e Schubert, Flaiano, Dostoevskij, Zola e la Némirovsky, Van Gogh e i pittori del Rinascimento italiano. Ha
appena visto Torneranno i prati di Olmi e le è piaciuto moltissimo, si è
commossa, ha ricordi indelebili di Lezioni di piano, Il postino e Pallottole su Broadway. Conserva i rimpianti della ballerina classica, la passione per la cucina, per le scarpe e per una domanda: «Perché la mela cade dall’albero?». L’incontro fatale con la fisica l’ha avuto
nel cuore grazie a una biografia di Marie Curie, nelle mani a Milano in un capannone della facoltà
di Fisica a Città Studi, l’alternativa professionale sarebbe stata nelle neuroscienze perché non c’è
poi così tanta differenza tra i misteri dell’universo e quelli che si nascondono nella mente umana.
Magrissima e timida fino alla diffidenza, indossa una maglia arancione, una collana di pietre d’acqua e un paio di jeans. Un’eleganza sdrucciola che tende a scivolare via distrattamente dagli occhi
di chi la osserva. Eppure la prima sensazione che si percepisce è quella di una donna felice: «Il Cern
è il laboratorio del mondo. Tra queste mura mi sento come una bambina in un negozio di dolci. Non
c’è altro luogo in cui desidero stare».
La felicità porta con sé un’aura di bellezza.
Che cos’è la bellezza?
«Attingo dalla fisica: la bellezza è la simmetria imperfetta. La fisica ha una sua estetica che
si può contemplare nelle leggi della natura fino
agli esseri microscopici. Comprenderla è un gioco intellettuale relativamente semplice. Pensi
che le equazioni fondamentali del Modello standard delle particelle elementari si possono scrivere su una t-shirt.
Sono tre righe appena».
La fisica si muove tra passato e
futuro. Siete
esploratori. Il
prossimo obiettivo è proprio la
super simmetria dell’Universo. L’ipotesi che ciascuna delle 17 particelle piccolo della zanzara».
elementari finora scoperte abbia un partner
Che cosa succede sotto terra quando l’LHC e
“supersimmetrico” non ancora osservato.
i suoi esperimenti sono in operazione?
Quando vi rimetterete in viaggio?
«Due fasci di protoni vengono accelerati at«In primavera, quando tornerà operativo il traverso campi elettrici. Campi magneti superLarge Hadron Collider. Il più grande accelera- conduttori di altissima tecnologia li intrappolatore mai costruito, un tunnel circolare di venti- no nell’anello e li guidano in collisione. I protoni
sette chilometri localizzato a circa cento metri si scontrano in quattro punti del tunnel dove apdi profondità nella campagna tra la Svizzera e la parati sperimentali ci permettono di studiare il
Francia. Ha funzionato con successo tra il 2009 prodotto delle collisioni».
e il 2013, ci ha portato alla scoperta del Bosone
Come definirebbe filosoficamente la matedi Higgs. Per consentirci di affrontare domande
ria oscura?
molto importanti sulla materia oscura, che è cir«La misura della nostra ignoranza. Nessuna
ca il venti per cento dell’Universo, un’energia particella elementare fin qui scoperta presenta
più elevata potrebbe essere fondamentale. Pas- le caratteristiche della materia oscura. Ci serve
seremo da otto a tredici tera-elettronvolt, l’u- una teoria più ricca, come quella della super
nità di misura dell’energia delle particelle. Un simmetria, ma, chissà?, magari la natura ha seTeV equivale all’energia di volo di una zanzara, gretamente in serbo un’altra soluzione».
ma il protone è circa mille miliardi di volte più
In campo scientifico ogni risposta produce
Io,tra Dio
e il Big Bang
Guiderà diecimila
scienziati
alla scoperta
della materia
oscura:“Mal’uomo
nonpotràmai
saperetutto”
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FOTO DI MIKE STRUIK
DOMENICA 28 DICEMBRE 2014
nuove domande. Almeno per ora. Arriverà
un tempo in cui sapremo tutto?
«Non credo. La conoscenza è un cammino
senza fine. Possono privarci del lavoro, dello stipendio, della casa ma nessuno può portarci via
il nostro cervello».
Quanto siete vicini al Big Bang?
«Siamo lontanissimi. Siamo riusciti a capire
quello che è successo a partire da un centesimo
di miliardesimo di secondo dopo il Big Bang, circa quattordici miliardi di anni fa. Ma siamo lontani dal capire che cosa è successo al tempo del
Big Bang».
Cercate Dio?
«No. Non credo che la fisica potrà mai rispondere alla domanda. Scienza e religione sono discipline separate, anche se non antitetiche. Si
può essere fisici e avere fede oppure no. È meglio che Dio e la scienza mantengano la giusta
distanza».
Ma avete chiamato il Bosone di Higgs “la particella di Dio”.
«Mai uno scienziato ha avuto l’ardire di definirla così. Lo dobbiamo all’editore del libro scritto dal premio Nobel Leon Lederman. Voleva rivestire l’opera con un velo letterario di sicuro effetto. Lederman aveva suggerito un altro titolo,
La particella dannata, perché ci aveva fatto disperare, l’avevamo cercata per decenni. È senza dubbio una particella speciale, ma avvicinarla a Dio è una sciocchezza».
Rispetto la sua opinione. Ma un suo collega di
fede anglicana che insegna nanotecnologia a
Oxford, Andrew Briggs, dice che non è neppure il caso di scegliere tra Dio e scienza. Li
tiene assieme e cita il salmo all’ingresso del
laboratorio Cavendish dell’università di
Cambridge: «Grandi sono le opere dell’Eter-
no, ricercate da tutti coloro che si dilettano in
esse». Suona come un inno alla vostra professione. Chi non è aiutato dalla fede può esserlo da qualche grammo di follia?
«Non follia, ma creatività. Forse le due cose
hanno confini che possono sembrare comuni
quando si addentrano nello spazio del sogno. Lo
scienziato deve essere capace di sognare. Ho
sempre pensato che il mestiere del fisico si avvicini a quello dell’artista perché la sua intelligenza deve andare al di là della realtà che ha
ogni giorno davanti agli occhi. Credo che la musica e la pittura siano le arti più prossime alla fisica».
Nel suo lavoro quanto sono decisive le mani?
«Per quanto mi riguarda sono fondamentali.
Da bambina mi piaceva modellare il pongo, oggi mi piace costruire rivelatori. Avverto il bisogno fisico di essere vicino alla sperimentazione.
Ho partecipato allo sviluppo dei rilevatori di particelle, per esempio il calorimetro ad argon liquido di Atlas, un cilindro lungo circa quattro
metri e con un raggio interno di oltre uno. Le mani restituiscono al lavoro un aspetto familiare
della ricerca. Nella scienza come in cucina ci vogliono regole matematiche e rigore. La termodinamica, la fluidodinamica... Ma ci vogliono
anche creatività e fantasia. Un soufflé non riesce se la temperatura del forno e la durata della
cottura non sono precise, ma seguire una ricetta in maniera pedissequa non è per nulla interessante».
Ogni passo avanti del sapere prima o poi produce progresso. In che modo la ricerca sulle
particelle elementari ha influito e influirà
sulla nostra vita?
«Guardi, mi limito a un elenco di tre punti. Il
primo: la realizzazione di un desiderio primario
dell’umanità, la conoscenza, una delle ragioni
più elevate della nostra specie. Il secondo: l’indispensabilità di fare ricerca di base per proseguire sul cammino del progresso, dell’evoluzione. Senza la meccanica quantistica e la relatività non avremmo avuto transistor e gps. Il terzo, lo sviluppo di tecnologie di punta che ci migliorano l’esistenza e diventano patrimonio
dell’umanità com’è scritto nell’atto fondativo
del Cern. Gli acceleratori di particelle sono già
usati in fisica medica per bombardare i tumori
con fasci di protoni o ioni-carbonio. Esistono due
centri in Europa, a Heidelberg e a Pavia. Il Cnao
fondato da Ugo Amaldi ha finora curato oltre
quattrocento pazienti».
Un suo collega ha detto: «Anche nel nostro
mestiere quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare. E di solito sono donne».
SI PUÒ ESSERE FISICI E CREDENTI
PERÒ È MEGLIO CHE SCIENZA
E FEDE MANTENGANO LA GIUSTA
DISTANZA. È UN MESTIERE SIMILE
ALL’ARTISTA: ANCHE NOI DOBBIAMO
ANDARE OLTRE LA REALTÀ DAVANTI
AGLI OCCHI. E ORA VI SPIEGO
A COSA SERVE IL BOSONE DI HIGGS
Le si attaglia questo aforisma?
«Il Cern è un luogo che celebra la diversità. Vi
lavorano undicimila scienziati di cento nazionalità differenti, studenti che operano gomito a
gomito con premi Nobel. Il genere, l’etnia, l’età
e il passaporto contano poco. Sono qui perché sono un buon fisico, non perché sono donna».
Madre palermitana laureata in filologia romanza, papà piemontese di Isola d’Asti, geologo. Siamo tutti il risultato di un padre e di
una madre. Cosa le hanno trasmesso i suoi?
«Devo loro moltissimo. Con il loro esempio mi
hanno insegnato l’onestà, il rigore morale e intellettuale, la generosità, il sacrificio, l’apertura mentale verso tanti campi e interessi. Ma, soprattutto, mi hanno dato molto amore».
Lei non è sposata. È della stessa idea di Rita
Levi Montalcini che diceva: «Sono io il marito di me stessa»?
«Assolutamente no. Da ragazzina avrei voluto avere cinque figli. È semplicemente andata
diversamente».
La Caverna numero cinque è stata scavata a
Cessy, villaggio francese a una ventina di chilometri dal Cern. Piove sui prati, sui cavalli e le
vacche al pascolo. L’ascensore scende di cento
metri in pochi secondi. Sopra c’è una montagna
bellissima e famosa che si chiama Jura. È la caverna delle meraviglie dove si dibatte la nostra
ignoranza. Qui si scontreranno tra pochi mesi i
protoni liberati da una bottiglia di idrogeno. Decine di ragazzi si aggirano tra migliaia di cavi, li
conoscono uno a uno. Dice Gigi Rolandi, fisico
sperimentale e professore alla Normale di Pisa:
«Negli ultimi trent’anni è cambiato tutto. Prima si lavorava a piccoli gruppi, oggi ci sono tremila scienziati su ogni singolo progetto. È la Dottrina delle Formiche». Domando a Fabiola Gianotti come guiderà un esercito di oltre diecimila persone. Mi risponde così: «Non siamo un’azienda. Guai a soffocare con il controllo e un’organizzazione pesante l’essenza della ricerca,
che si basa sulle idee. Penso a una direzione leggera, attraverso il consenso. Se il più giovane degli studenti ha l’idea giusta si proverà a fare ciò
che il suo intuito ha suggerito. Siamo spinti dalle idee, non dalle gerarchie».
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LA DOMENICA
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L’attualità. Rivoluzioni
LE IMMAGINI
LE FOTOGRAFIE PUBBLICATE
IN QUESTE PAGINE SONO DI NIGEL
YOUNG E SONO TRATTE DAL LIBRO
“HAVANA. AUTO & ARCHITECTURE”
DI MAURICIO VICENT, EUSEBIO LEAL
SPENGLER E NORMAN FOSTER
(IVORYPRESS, 380 PAGINE, 60 EURO
WWW.IVORYPRESS.COM)
Una Chevrolet degli anni Cinquanta borbotta sul Malecón:
la più classica cartolina da Cuba. Ma, finito l’embargo,
come si trasformerà la capitale? Vedremo ancora auto
sgargianti e facciate coloniali?Pare di sì, almeno per un po’
OMERO CIAI
L’AVANA
C
HE NE SARÀ DELLO SKYLINE dell’Avana, di queste facciate
coloniali scavate dall’incuria e dalla salsedine dell’oceano ora che l’avvio di una riconciliazione con gli Stati Uniti lascia prevedere non tanto la fine del regime
castrista quanto l’arrivo dei dollari di zio Paperone?
Fino a oggi il funerale della revolución con le riforme
avviate nel 2006 è stato un lento, lentissimo scivolamento nell’economia di mercato. Un passo avanti e
due indietro per il timore diffuso nell’aristocrazia
rossa al potere di perdere il controllo del cambiamento. La famosa libreta, la tessera di razionamento,
tanto per dirne una, c’è ancora, anche se ormai chi ha
dollari a Cuba può avere tutto, o quasi, ciò che vuole. Dalle tv al plasma agli
smartphone che arrivano via Panama. Anche le bellissime macchine d’epoca, che
qui usano soprattutto come taxi collettivi, sono ancora sull’asfalto. Dovevano
scomparire portate via dal nuovo corso che consentiva per la prima volta l’acquisto di auto nuove anche ai privati cittadini. Ma nessuno le ha ancora rottamate e le
loro affusolate carrozzerie dai colori pastello regalano sempre alle strade dell’isola quella mescolanza tra l’arcaico e il melanconico che affascina il turista, proiettato insieme a molte altre cose in un Jurassic Park industriale. Sono i famosi almendrones (letteralmente “grosse mandorle”), le auto americane importate nell’isola prima dell’inizio dell’embargo, imposto alla vittoriosa rivoluzione castrista
da Eisenhower alla fine degli anni Sessanta dopo l’avvio delle espropriazioni delle
aziende Usa sull’isola.
Lussureggianti Chevrolet, anonime Ford, splendide
Chrysler, solenni Plymouth, sfarzose Buick che fanno di Cuba il più originale e vasto deposito a cielo aperto di auto d’epoca. Sono più di settantamila — diecimila solo a L’Avana
— hanno tutte doppiato l’età della pensione ma stanno vivendo un’altra resurrezione. I modelli più ricercati, come
la Chevrolet Bel Air del 1957, possono valere diverse migliaia di dollari anche se ormai, quasi sessant’anni dopo l’uscita dalla fabbrica, di originale c’è rimasta solo la carrozzeria, il guscio esterno, mentre tutte le parti meccaniche
sono frutto di assemblaggi successivi: motore russo, frizione coreana, e perfino pezzi riadattati da lavastoviglie o frigoriferi. Fino a poco tempo fa avere una macchina
nuova era un privilegio della nomenclatura perché solo lo Stato poteva importarle, possederle e assegnarle. Anche per questo le ultime auto americane sbarcate a
Cuba prima della rivoluzione hanno resistito tanto alla spietatezza del tempo diventando un brand del socialismo tropicale come il ron Habana Club, i sigari Cohiba e il basco nero con la stella rossa del Che Guevara.
Con l’inizio della vendita libera e al dettaglio molti previdero, e alcuni temettero, che la prima vittima sacrificale delle riforme economiche sarebbero state proprio le auto d’epoca trascinate via come l’acqua sporca da nuove auto. Ma non è an-
data così. Tutt’altro. Per due ragioni. La
prima è che non ci sono soldi per comprare quelle nuove. La seconda che proprio la legalizzazione del lavoro autonomo ha regalato nuova linfa all’infinita avventura degli almendrones. Un’altra
spinta alla loro rinascita è stata offerta
dalla possibilità di viaggiare. Oggi i parenti che vengono dalla Florida o i residenti che riescono ad andarci possono
portare senza troppi intralci i pezzi di ricambio acquistati direttamente sul mercato dell’usato americano e per decenni
introvabili nell’isola. Raffigurazione perpetua di un’arte d’arrangiarsi tutta cubana l’immortalità delle vecchie Chevrolet ebbe perfino il suo momento di gloria nelle cronache internazionali quando, alcuni anni fa, un gruppetto di meccanici amateur riuscì a trasformarne
una in un piroscafo con motore a elica. La
misero in acqua e si lanciarono impavidi
nel Golfo della Florida cercando di raggiungere, come tanti altri prima di loro,
la terra promessa delle coste americane.
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New
Havana
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Il museo a cielo aperto
che andrà difeso
dal cambiamento
NORMAN FOSTER
N PAIO D’ANNI FA stavo
partecipando
all’undicesima Biennale
de L’Avana e trascorrevo
un po’ di tempo con due
amici artisti, Marco Castillo e
Dagoberto Rodríguez, meglio noti
come “Los Carpinteros”. Avevano
ideato un evento altrettanto
importante: “Conga Irreversible”.
Immaginatevi la scena: nel cuore della
città sfilavano schiere di ballerini,
vestiti di nero da capo a piedi. Il traffico
si fermava, e la singolarità era data dal
fatto che non si muovevano in avanti,
ma all’indietro. Mentre stavo
fotografando questo happening fuori
dal comune, due impressioni mi
colpirono. La prima mi fu data da
quegli edifici e quelle auto senescenti,
quasi una sorta di distorsione
temporale del processo di decadenza al
rallentatore così tipico dell’isola. Cuba
è un vero e proprio museo a cielo
aperto di automobili classiche
americane, per lo più risalenti all’epoca
dorata degli anni Cinquanta, e sia nei
colori che nell’aspetto si instaura un
rapporto visuale tra quelle auto e le
architetture circostanti. Ambedue
sopravvivono miracolosamente alle
ingiurie del tempo. La seconda
impressione fu la consapevolezza di un
cambiamento nell’aria. Mi sembrò,
mentre osservavo quella lunga fila di
persone serpeggiare attraverso la
città, che presto ogni cosa a Cuba
avrebbe potuto iniziare ad apparire
FOTO DI NIGEL YOUNG. COURTESY IVORYPRESS
U
come in qualsiasi altro posto al mondo.
Sarebbero così sparite le vetture
esotiche, dinosauri di un’epoca
remota, per essere sostituite dalle auto
di oggi, tecnicamente superiori ma del
tutto prive di personalità. Con il
medesimo spirito, un ritrovato
benessere avrebbe potuto condurre a
un nuovo sviluppo indiscriminato di
quel mix di stili molto particolare e
altrettanto esotico che caratterizza
l’architettura cubana.
È nato così il desiderio di registrare
tutto affinché le generazioni presenti
e future, nonché gli appassionati di
architettura e automobili, potessero
apprezzare questo straordinario
patrimonio culturale congelato nel
tempo. In una società che finora aveva
avuto l’aspirazione utopistica di
livellare tutto alla medesima
sfumatura di grigio, i colori sfavillanti
delle automobili e degli edifici che
fanno loro da sfondo non hanno
uguali al mondo per appariscenza. E
se il contesto architettonico di una
tipica strada dell’Avana è molto
lontano dal verdeggiante paesaggio
delle periferie Usa tratteggiato negli
articoli commerciali degli Anni
Cinquanta, il messaggio sociale che
trasmettono è il medesimo. È
cambiato tutto, ma non è cambiato
niente. Il desiderio del singolo di
spiccare in mezzo alla moltitudine è
rimasto lo stesso.
Traduzione di Anna Bissanti
Tratto da Havana: Autos
& Architecture ©Ivorypress 2014
© RIPRODUZIONE RISERVATA
E la sposa arrivò su una Buick
STEFANO MALATESTA
A SPOSA È ARRIVATA su una Buick
verde lucertola scoperta che
marciava a salti. Indossava jeans
sfilacciati all’altezza del pube, una
maglietta trasparente, un caschetto di
merletto bianco di traverso con il velo che le
copriva la faccia. All’arrivo è saltata sul
sedile, si è rivoltata e si è piegata in due,
salutando gli amici con la mossa. Il maestro
di cerimonia le ha chiesto che musica di
accompagnamento volesse, qualcosa di
classico, magari Schubert. Lei ha
L
spalancato la bocca, mostrando denti da
barracuda: «Mettete A la batalla, una salsa
che rispecchia il titolo». C’era un ex
impiegato della provincia di Varese che si
teneva stretto una bella mulatta. Quando
ha capito che ero italiano, si è avvicinato per
chiacchierare. «Ma perché starà con me?»,
ha detto indicando la sua bella. «Mi ripete
che sono simpatico. Ma sarà innamorata?».
Tratto da L’uomo dalla voce tonante.
Storie dell’America del Sud
(©Neri Pozza 2014)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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LA DOMENICA
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La storia. Segni particolari
C’è soltanto una cosa che il tatuaggio
non può sopportare: diventare irrilevante
Ed è quel che è accaduto. Come conferma
una mostra a Parigi sul simbolo smarrito
LUCA VALTORTA
C
LA MOSTRA
LE FOTO DI QUESTE
PAGINE VENGONO
DAL CATALOGO
DELL’ESPOSIZIONE
“TATOUEURS,
TATOUÉS”
AL MUSÉE DU QUAI
BRANLY DI PARIGI
FINO AL 18
OTTOBRE 2015.
FOTO GRANDE:
UN APPARTENENTE
ALLA GANG M18
(EL SALVADOR).
SOTTO: I TATUAGGI
DI UNA DONNA
DI ETNIA KALINGA
(FILIPPINE)
INQUE DELLE SEI BRACCIA della dea Kali impugnano dei kriss ritorti, mentre la sesta mostra una testa d’uomo recisa. In
mezzo alla fronte appare il terzo occhio, la lingua della divinità è estroflessa, esageratamente lunga e di colore rosso;
indossa una collana di teschi mentre un anello le fora la narice sinistra. È un disegno. Inciso sulla pelle. Un tatuaggio.
Siamo a San Francisco nel 1990. Il ragazzo, il commesso di
un negozio di vestiti del centro, fa intravedere il monumentale, coloratissimo tatuaggio che ha sul petto attraverso una
canottiera della sua band preferita: si chiamano Nine Inch
Nails e al momento sono un fenomeno di nicchia della cosiddetta scena “industrial” ma, di lì a qualche anno, porteranno il genere (non solo) musicale più estremo della storia direttamente al primo posto in hit parade e verranno ricordati per un’incendiaria, indimenticabile performance al Festival di Woodstock del 1994. Una performance a tal punto importante da venir considerata dai media e dai critici come quella che sancisce il definitivo salto
generazionale tra “controculture”: da quella degli hippies che aveva caratterizzato la prima,
indimenticabile “tre giorni di pace amore e musica” della Woodstock del 1969 a quella, venticinque anni dopo, che sanciva la distruzione definitiva di quegli stessi ideali e una ridefinizione dell’alterità attraverso il nichilismo. I Nine Inch Nails si presentano sul palco coperti di
fango, con una batteria elettronica, suonano riff di chitarra durissimi e usano campionamenti
di canti africani. Il pubblico impazzisce, si getta nella melma in una enorme danza tribale collettiva, le cui immagini sono rimaste nella storia: è un ritorno alle radici quello che si celebra
nella nuova Woodstock, una voglia di tornare a essere liberi e selvaggi, senza più l’illusione di
poter cambiare la società come pensavano gli hippies. La rivoluzione se, come si è capito, non
si può fare a livello collettivo può però iniziare dal sé, dal corpo. Sono i “modern primitives”, i
“primitivi moderni”, ovvero la nuova controcultura che si riappropria del tatuaggio che fino
a quel momento era rimasto marginalizzato ad alcuni segmenti della società: marinai, galeotti, biker, prostitute. E infatti il tipo di tatuaggio che torna ad affermarsi negli anni Novanta
è proprio quello chiamato “tribale”, con tatuatori come Ed Hardy che già agli inizi degli anni
Ottanta pubblica la fondamentale rivista Tattootime che a sua volta influenzerà tatuatori come Leo Zulueta, famoso per le sue ricerche sulla tradizione del Borneo, della Polinesia e della
Micronesia. I suoi imitatissimi tatuaggi sono rigorosamente in bianco e nero e saranno quelli che più di tutti caratterizzeranno la cultura punk-industrial degli anni a venire, per poi
diffondersi a macchia d’olio a tutte le latitudini e arrivare al mondo mainstream: «Questo tipo di disegni fa riferimento alla cosmogonia
e ai poteri della natura a cui i cosiddetti ‘pri- tuoi genitori che non lo approvano e per ricomitivi’ si riferivano in maniera molto più in- noscersi tra persone che criticano lo stile di vitima di quello che facciamo noi oggi», spiega ta imposto dalla società», spiegava il fondaZulueta. Un significato che probabilmente si tore della rivista, Victor Vale. Da allora il conè perso: in realtà la sua diffusione è molto più cetto si è profondamente modificato, fino a
prosaicamente legata al fatto che le linee ele- capovolgersi: il tatuaggio oggi, lungi dall’esganti e geometriche si inseriscono perfetta- sere uno stigma o un segno di appartenenza,
mente nella muscolatura, in particolare ma- è diventato una forma di omologazione spesschile, valorizzandola. A scrivere il manife- so stereotipata (farfalline, stelline, animali e
sto definitivo del nuovo movimento che in- figure varie senza alcun riferimento alle trafluenzerà il mondo intero è la rivista Re/sear- dizioni) che ha perso quella modalità di rich di San Francisco con il volume intitolato flessione su se stessi e sul mondo o di relazioappunto Modern Primitives. Pubblicato nel ne con la natura e la divinità che si ha nelle tra1990 anticiperà e sarà d’ispirazione per il mo- dizioni del tatuaggio storico. Forse proprio
derno revival del tatuaggio fino alla sua at- per questo oggi nascono mostre dedicate al
tuale affermazione nella cultura di massa: tatuaggio che cercano di definirlo, storiciz«Nella cultura underground il tatuaggio e il zandolo a partire dalle differenti e variegate
piercing vogliono essere uno stigma, un mo- tradizioni, come quella iniziata lo scorso
do per difendersi dalla gente normale, dai maggio al Museo Quai Branly di Parigi, inti-
Addio
Tattoo
Quando controcultura
e fenomeno globale
sono nemici per la pelle
Repubblica Nazionale 2014-12-28
la Repubblica
DOMENICA 28 DICEMBRE 2014
33
Traduco
confessioni
in una lingua
misteriosa
tolata Tatoueurs, Tatoués, e che finirà addirittura il 18 ottobre del 2015. Proprio ora che
il tatuaggio è tornato ad avere un ruolo centrale anche nella nostra quotidianità, ridiventa importante riflettere su un fenomeno
che ha profonde radici in tutte le culture, da
Occidente a Oriente, e la cui valenza simbolica è rimasta nel tempo, pur rinnovandosi.
Dalla sacralità in alcune culture al marchio
d’infamia in altre, a seconda dei tempi e delle latitudini. Ma una cosa sola probabilmente il tatuaggio non può sopportare: il fatto di
diventare irrilevante. Quello che da decenni
è il simbolo dei ribelli è ormai assurto a protagonista del mondo della moda e della “coolness” al punto di apparire in tutte le forme
dell’immaginario contemporaneo (cinema,
arte, serie tv, comics, manga), compresa la
pubblicità: la più recente è quella di Samsung
che mostra un ragazzo elegantissimo e ipertatuato con l’immancabile scritta “rock” sulle falangi, mentre all’orecchio poggia l’ultimo modello di smartphone con la scritta “Dichiarazione di personalità”. Un’esemplificazione che ci dice molto sulla società contemporanea: la ribellione prestata a dare valore
alla merce. Quello che in realtà viene fuori è
l’esatto contrario: la drammatica ricerca della propria personalità in una società che sembra avere smarrito tutte le coordinate. Cos’è
allora una mostra come quella di Parigi se
non una possibilità di riflettere sul nostro
smarrimento, sui riferimenti che si sono persi e sulla necessità di tornare a una sacralità
che oggi ci è sconosciuta? Come scriveva Roland Barthes ne L’Impero dei segni: «Questa
condizione è quella stessa in cui avviene una
certa vibrazione della persona, un ribaltamento delle vecchie letture, una scossa del
senso, lacerato, estenuato sino al suo vuoto
insostituibile, senza che l’oggetto cessi mai
d’essere significante, desiderabile. La scrittura è, in definitiva, a suo modo, un satori; il
satori (l’accadere zen) è un sisma più o meno
forte che fa vacillare la conoscenza, il soggetto; provoca un vuoto di parola che costituisce
la scrittura; è da questo vuoto che nascono
quei tratti con cui lo zen nell’esenzione di
ogni senso, scrive i giardini, i gesti, le case, i
mazzi di fiori, i volti, la violenza». Ci vorrebbe
un satori per dare un senso alla scrittura dei
corpi contemporanei, corpi privati dall’appartenenza, affogati in una cultura globale
del consumo, dell’oggetto e alla disperata ricerca di una personalità, di un’anima. Di una
scrittura, appunto, che possa dare un senso a
quei corpi vuoti.
NICOLAI LILIN
L
TOTEM E TRIBÙ
DALL’ALTO:
MASCHERA
RITUALE
NEOZELANDESE.
SOTTO:
“COSTENTENUS,
L’UOMO TATUATO”.
IN BASSO, “ZOMBIE
BOY”: CHIAMATO
COSÌ PERCHÉ
A QUINDICI ANNI
VENNE OPERATO
PER UN TUMORE
AL CERVELLO.
NEGLI ANNI
SUCCESSIVI
SI È FATTO TATUARE
COMPLETAMENTE
IL CORPO
© RIPRODUZIONE RISERVATA
L’AUTORE
NICOLAI LILIN
(FOTO QUI
SOPRA)
È SCRITTORE
E TATUATORE.
NATO
IN TRANSNISTRIA,
NEL 1980, NEL 2009
PUBBLICA
PER EINAUDI
IL SUO ROMANZO
D’ESORDIO,
“EDUCAZIONE
SIBERIANA”,
DIVENTATO
NEL 2013 UN FILM
DI SALVATORES.
NEL 2012
HA SCRITTO
“STORIE SULLA
PELLE”, DEDICATO
AL TATUAGGIO
SIBERIANO.
“IL SERPENTE
DI DIO” (2014)
È IL SUO
ULTIMO
LAVORO
A MIA PRATICA di tatuaggio si
basa sull’antica tradizione
siberiana, legata alle mie
origini. Cerco di rimanere
fedele alla sua filosofia e per
questo il mio modo di tatuare ha ben poco a
che fare con la cultura del tatuaggio
moderno. Se nella gran parte dei casi i
tatuatori e i tatuati di oggi danno un peso
all’aspetto estetico, io lo attribuisco
soprattutto al significato che nasconde
l’immagine. Quando una persona si rivolge a
me non chiedo quale immagine vorrebbe.
Le propongo di raccontarmi con sincerità di
sé. Può essere un momento della vita oppure
qualcosa di prezioso che questa persona
vorrebbe ricordare, portare addosso
durante la sua vita. Così trasformo le parole
in simboli e alla fine incido la pelle. La
tradizione del tatuaggio siberiano è una
specie di lingua segreta che trasforma le
esperienze in tatuaggi unici. Ho a mia
disposizione una vasta gamma di simboli,
paragonabile a una sorta di alfabeto. Ogni
simbolo, così come ogni lettera dell’alfabeto,
non ha nessun significato singolarmente,
ma può assumerne diversi a seconda di
come viene inserito nel disegno completo e
posizionato rispetto agli altri simboli e
anche a seconda della parte del corpo in cui
viene tatuato, proprio come le lettere
dell’alfabeto, che compongono parole
diverse a seconda dell’ordine in cui sono
disposte, parole che poi diventano frasi, che
a loro volta si trasformano
in storie. La parte più
importante nel processo è
quella legata al passaggio
dell’informazione dalla
persona che intende
tatuarsi al tatuatore. Si crea
qualcosa che sta a metà tra
una confessione sacra e una
complicità quasi intima.
Spesso le storie che mi
affidano sono così personali
e profonde che mi rendo
conto di essere l’unico a conoscerle, molti
non raccontano le loro esperienze più
estreme nemmeno ai propri cari. In alcuni
casi le persone fanno fatica persino a
trasformare le proprie memorie in parole, ci
mettono molto a dare forma linguistica alle
proprie paure, agli incubi del passato.
Spesso momenti come questi sono segnati
da sbalzi emozionali: alcune persone si
stancano di rimanere a lungo sole con i
propri segreti e quando li condividono con
qualcuno provano una specie di liberazione
e si lasciano invadere da emozioni forti. La
parte finale del percorso di tatuaggio la
trovo più meccanica e meno importante di
tutto il resto. Iniettare l’inchiostro sotto la
pelle è un processo che richiede una certa
abilità e conoscenza della materia, ma io la
vedo come una semplice conclusione di
qualcosa di molto più profondo, faticoso ed
emozionante. Per questo, mentre tatuo una
storia provo già nostalgia per quei simboli,
per i particolari di quella vita che ho
conosciuto e interpretato nel tatuaggio che
vado eseguendo, e dentro di me sento il
bisogno di affrontare nuovi segreti.
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Spettacoli. Classici
I magnifici sette
Carl Otto Nicolai
Gustav Mahler
(1810-1849)
Compositore
e direttore tedesco,
ha fondato
la Philharmonic
Academy a Vienna
nel 1842
(1860-1911)
Il leggendario
compositore
austriaco guidò
l’orchestra viennese
dal 1898
fino al 1901
Wilhelm
Furtwängler
(1886-1954)
Il geniale direttore
tedesco ebbe
lo scettro
dell’orchestra
dal 1927 al 1930
Capodanno
Viaggio
tra i segreti
dell’orchestra
più celebre
del mondo
in attesa di un altro
giro di valzer
per accogliere
il 2015
LE IMMAGINI
LEONETTA BENTIVOGLIO
VIENNA
UCI PUNTATE SU UNA SIGNORA che di questo periodo dell’anno se ne in-
L
tende: la Filarmonica di Vienna. Non solo ha l’esclusiva del concerto
classico più popolare del pianeta, quello di Capodanno, rito che conta
sui telespettatori di ottanta nazioni. Non solo è forse la migliore orchestra d’Europa (o del mondo). Non solo è artefice di un suono ineguagliabile, evocativo come un mistero complice di esecuzioni leggendarie: le prime volte di sinfonie di Bruckner e Brahms, i valzer pastosi degli Strauss, i bruschi pezzi novecenteschi di Schönberg e Berg.
Ma suona nello spazio più acusticamente perfetto che si possa immaginare: la sala d’oro del Musikverein. Ed è
l’unica compagine sinfonica priva di un “capo”, avendo una fisionomia basata su una
totale, rigorosa e disciplinata indipendenza. In autunno, a Stoccolma, questa superba “democrazia monarchica”, dove il potere
è suddiviso tra molti re, ha meritato una sorta di Nobel musicale,
il Premio Birgit Nilsson, assegnato ogni tre anni. È il riconoscimento più generoso della musica classica: un milione di dollari incoronano un artista o un’istituzione. I Wiener Philharmoniker destineranno i soldi all’organizzazione tecnologica dei loro archivi,
che raccolgono un tesoro di documenti: «La collezione iniziò a
metà Ottocento con l’avvio dell’orchestra», racconta Silvia Kargl,
responsabile dell’archivio. «Comprende lettere di musicisti come
Brahms e Bruckner, contratti e vari oggetti, dalle bacchette ai cappelli di Mahler, e partiture appartenute ai celebri maestri che
l’hanno diretta, tra cui Mahler e Richard Strauss, che ne hanno
riempito le pagine con appunti interpretativi. Presto si potranno consultare online».
Nata nel 1842 per volontà di Otto Nicolai e condotta da maestri “designati” quali Hans Richter e Mahler, dal 1933 l’orchestra ha eliminato il direttore stabile invitando sul suo podio
le più brillanti star della direzione, da Bruno Walter a Toscanini, da Erich e Carlos Kleiber fi-
LA WIENER
PHILARMONIKER
DIRETTA DA DANIEL
BARENBOIM
L’ANNO SCORSO.
L’ARCHIVIO
DELL’ORCHESTRA
SARÀ PRESTO
DIGITALIZZATO
E MESSO ONLINE
CON STRAUSS
I WIENER CON
RICHARD STRAUSS
NEL 1923
no a Lenny Bernstein. Tutti sensazionali
“ospiti” della Signora, la quale nel frattempo stipulava princìpi mai venuti meno, secondo cui, per esempio, i musicisti sono scelti, dopo una dura selezione, tra chi abbia minimo tre anni d’esperienza nell’orchestra
dell’Opera di Vienna. Ma non tutti coloro che
lavorano nella buca della lirica alla Staatsoper sono ammessi tra le fila dei Wiener, per
la sinfonica. Essere Wiener è un privilegio
che immette nel repertorio sinfonico il riflesso di una sapienza anche teatrale.
L’apertura degli archivi sarà un passo in
più verso l’ardua conquista dei segreti di
questi messaggeri di una mitica età dell’oro
musicale. L’investitura dei Wiener non ha
confronti, alimentandosi di peculiari radici
geografiche e culturali, della consapevolezza delle proprie tradizioni e della coscienza
di essere i sommi interpreti di quell’arco austro-germanico di pensiero e sentimento
musicale che da Bach, attraverso Mozart e
Beethoven, approda al XX secolo. Vittima
(si fa per dire) di una political correctness
che li ha fatti accusare di peccati ideologici,
da un antisemitismo strisciante (che divenne dichiarato al momento dell’Anschluss,
quando tredici musicisti ebrei furono cacciati) a un’esplicita misoginia (solo da fine
anni Novanta accoglie tra i suoi 128 elementi qualche donna), i Wiener sono impermeabili a novità e tendenze “globali”. È
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Richard Strauss
Herbert
von Karajan
(1864-1949)
L’autore di “Elektra”
e “Salome”
collaborò
a più riprese
con i Wiener
Philharmoniker
Claudio Abbado
Riccardo Muti
(1933-2014)
Di casa a Vienna,
dove diresse
la Staatsoper, è stato
tra i maestri più
presenti sul podio
dei Wiener
(1941)
L’inizio del rapporto
coi Wiener risale
agli anni Settanta
ed è forse il direttore
oggi più amato
a Vienna
FOTO DI DIETER NAGL/AFP PHOTO
(1908-1989)
Dal ’33 l’orchestra
non ebbe più
un direttore principale
Karajan è tra i più
famosi direttori ospiti
35
con i Wiener
stato il loro piglio immobilista e aristocratico a garantire alla Filarmonica una specificità sovrana. Oggi tutte le orchestre s’internazionalizzano, raggiungendo un livello
elevato, ma intercambiabile. I Wiener, al
contrario, sbandierano un’omogeneità esecutiva e una personalità musicale generate
da un lavoro di trasmissione che rende le memorie leggi non scritte. Con l’esito di un suono “diverso” «derivante anche dai nostri
strumenti», spiega l’oboista Wolfgang
Plank. «Non somigliano a quelli di altre orchestre: un “normale” oboista non potrebbe
suonare l’oboe viennese». Servono canne
speciali per i fagotti, trombe con valvole rotative, timpani con pelli naturali… Poi c’è il
miracolo del Musikverein, il cui edificio accoglie la Goldener Saal, luogo di culto per il
pubblico viennese e padrona di un suono inimitabile. Il legno cavo del pavimento, il soffitto che non poggia sulle pareti ma è sospeso dall’alto, le statue delle Cariatidi sulle cui
forme irregolari rimbalzano morbidamente
le onde acustiche, tutto contribuisce a una
prodigiosa cassa armonica. Da anni eserciti
di tecnici giapponesi o americani arrivano a
misurarne lo spazio, sondarne le vibrazioni,
esplorarlo con sofisticati macchinari elettronici per riprodurne il suono altrove. Ma
nessuno riesce a esportare il sortilegio sonoro della dimora dei Wiener.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Dirige Zubin Mehta
“È il suono perfetto”
ER LA QUINTA VOLTA ZUBIN MEHTA celebrerà il
Capodanno sul podio dei Wiener Philharmoniker, in
una festa di valzer e polke condivisa con milioni di
spettatori grazie alla tivù: «Il mio debutto avvenne
nel Concerto di Capodanno del ‘90», racconta il
maestro indiano. «Ogni volta, per me, quest’appuntamento è
una magia senza confronti, generosa di pezzi inesplorati in
arrivo da quella miniera musicale inesauribile che sono i brani
della famiglia Strauss». Mehta sa che nessuna orchestra,
nell’esecuzione del tipico repertorio austriaco, eguaglia la
Filarmonica di Vienna, nutrita da un culto antico e difeso, nella
sua integrità, come un patrimonio culturale nazionale. Il
peculiare senso delle musiche degli Strauss sembra scorrere,
tra le fila dell’orchestra, esatto e “facile” come un dono implicito
nel codice genetico dei musicisti: «Lo testimonia l’unicità del
loro sentimento del valzer, che restituisce un clima e uno stile
con la fedeltà di uno specchio sonoro».
P
Il direttore indiano rammenta con emozione quando scoprì
l’evento da giovane spettatore: «Sbarcato in Europa dall’India
con un orecchio praticamente vergine, ebbi coi Wiener il mio
battesimo del suono occidentale. All’epoca il Concerto di
Capodanno era diretto dal violino di Boskowski, spalla dei
Wiener. Aveva un tale charme, e un suono così speciale. Tanti
anni fa a Los Angeles Bruno Walter mi confidò: se ho nostalgia
del mio mondo, ascolto un disco di Boskowski e lui mi riconduce
a casa». Cosa distingue il suono viennese, insuperabile
per questo repertorio? «Come si spiega la differenza tra
un accento toscano e uno napoletano? È una questione
d’inflessione. Quella dei Wiener, che la conquistano
senza pensarci, risulta ideale per i tempi e l’atmosfera
del valzer. La Filarmonica viennese vive di una
tradizione che si tramanda lungo i decenni e di una
serie di caratteristiche di timbro e colore degli
strumenti. I corni sono diversi da quelli di Berlino e
New York, così come i clarinetti, i fagotti, le trombe,
i timpani… Anche le disposizioni in orchestra
variano rispetto a quelle in uso altrove. E il fatto di
non avere un direttore stabile finisce per
rappresentare un vantaggio all’interno dei gruppi, dagli
archi ai fiati, che si sorvegliano l’un l’altro nelle rispettive
qualità. Così, a influenzare il suono, non è mai un
singolo maestro, bensì sono gli stessi Wiener i gelosi
custodi della propria identità».
(l. b.)
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Next. No future
Librerie, chiavi, cd, biglietti, assegni, volanti,
monete... Che cosa non resterà
di quest’epoca?Ecco dieci oggetti
che tra dieci anni probabilmente
(e in alcuni casi fortunatamente)
sono destinati a scomparire dalla nostra vita
GABRIELE ROMAGNOLI
Todos pasajeros
CCADE GIÀ NE Il cerchio, il non troppo futuristico romanzo di Dave Eggers. Un uomo va a schiantarsi con
la sua auto e il capo della sua ex fidanzata, titolare di
un’impresa hi tech, la consola così: «Non doveva accadere...
avrebbe dovuto avere un’auto che si guida da sé, di quelle
che se tenti di autodistruggerti si spengono». Auto che si
guidano da sé. Addio volante. Addio guida. Scegli il percorso, digita, sali: arrenditi, hai ceduto la conduzione.
A
Dove le ho perse?
L
E CHIAVI. UN OGGETTO SIMBOLICO. Dare le chiavi di casa o
dell’auto al figlio per sancirne la maturità. A un amore per dimostrare che si fa(ceva) sul serio. Qualcosa
da desiderare, possedere, legare in un oggetto ben più assurdo definito portachiavi (come fosse un problema trasportarle collegate da un qualunque anello) che assumeva fogge improbabili. Qualcosa da perdere, da non
sapere dove s’era posato, da cercare con un microchip
o una seduta psicanalitica. Mai più. Basterà l’impronta sul
“piano d’accesso”, la retina nel “visore d’ingresso”. Oddio:
«Quando mi consentirai di metterci il mio occhio?».
Disco inferno
SISTE UNA STATISTICA SUL TEMPO che abbiamo sprecato
nella nostra vita, sommando secondi che diventano
minuti, ore, giorni. Pare si buttino settimane sbagliando strada. Mesi aspettando mezzi di trasporto. E quasi un’ora è andata nel tentativo di spacchettare i cd. Sigillati. Impossibili. Col taglierino ferisci la custodia e le unghie
non le hai. Due Natali fa, da Barnes & Noble a Union Square, New York, comprai per un dollaro un aggeggio che serviva per spacchettare un cd in due secondi. Il commesso sospirò: «L’hanno inventato troppo tardi. Ormai, la vita dei cd
è segnata». Ma se dobbiamo rimpiangere qualcosa, è al vinile che dedichiamo una preghiera.
E
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Sapori. Principeschi
NEL CINQUECENTO
UN VELO
DEI METALLI
PIÙ PREGIATI
COPRIVA ARANCE
E MELAGRANE. OGGI
RISCOPRIAMO
STRASS
E PAGLIUZZE
PER DARE LUCE
A SALSE E RISOTTI,
PANETTONI
E PRALINE
Oro e argento.
Preziosi ingredienti
per un cenone brillante
LICIA GRANELLO
N TALE AVEVA UNA GALLINA che faceva uova d’oro;
e credendo che dentro di lei ci fosse una massa
d’oro, avendola uccisa la trovò uguale alle altre
galline”. Così racconta Esopo, nella favola che
condanna l’avidità. Certo, ospitare una dependance della Maison Fabergé nel pollaio di casa
non è così usuale. Né Esopo si addentra in dettagli sul possibile utilizzo gastronomico di
bianchi e rossi in versione lingotto.
Eppure, l’uso alimentare di oro e argento si
allunga nel tempo, attraversando epoche e società, dalle corti dei Faraoni alle tavole dei nobili medievali. E se nel Cinquecento in Inghilterra l’oro ricopriva come un velo cangiante mele,
arance e melagrane del menù di Elisabetta I, a Padova il Consiglio Cittadino aveva contingentato l’uso fino a quel momento sfrenato dell’oro nei pranzi nuziali, limitandolo a due sole portate. In quanto all’argento, già i Greci lo utilizzavano per combattere le infezioni. Una proprietà
terapeutica trasformata in moda, con le tavole di re e regine arricchite da piatti, bicchieri e piatto che meglio riproduce il mio concetto di
boccali d’argento. Narra la leggenda che lo bellezza». Una forma geometrica — l’impalstatus di “sangue blu” fosse spiegato proprio pabile quadrato d’oro — iscritta in un doppio
con la presenza di tracce d’argento nelle vene cerchio cromatico: il riso (giallo carico grazie
dei nobili (mentre i poveri mangiavano nelle allo zafferano) e il bordo nero del piatto. Semciotole di terracotta).
plicemente spettacolare, oltre che meraviCosì, secolo dopo secolo, oro e argento han- gliosamente buono. Marchesi si è ripetuto
no continuato ad attraversare la storia a brac- qualche anno fa, concentrando la ricerca estecetto, belli al collo delle donne e nei piatti dei tico-gastronomica sull’argento. Ne è sortito
ricchi, prodotti dagli artigiani con la medesi- un altro magnifico risotto, colorato col nero di
ma minuzia certosina, collane preziose e fioc- seppia, spolverato di pagliuzze argentate e
chi minuscoli, bracciali maestosi e lamine via appoggiato su un piatto candido, servito alla
via più impalpabili grazie all’evolversi delle prima della Scala lo scorso dicembre.
tecniche orafe. Ma se l’usanza non si è mai davLontani dalle magìe gourmand di Marchevero interrotta, l’allure delle ricette oro-ar- si, ma ben intenzionati a emozionare i comgentate è andato scemando, fino a quando mensali in pranzi e cene di fine anno, gli apGualtiero Marchesi ha steso una copertina passionati dei fornelli possono sbizzarrirsi
d’oro sul suo risotto allo zafferano. Erano i pri- con oro e argento, scegliendo l’uno o l’altro,
missimi anni Ottanta, e il suo ristorante in sia lamine sottilissime, sia in polvere dalla
Bonvesin della Riva brillava per forza creativa consistenza borotalcata, per dare luce a cocke rigore tecnico. Anni dopo, il più grande cuo- tail e salse, paté e fette di salmone affumicaco italiano del dopoguerra avrebbe messo pro- to, panettoni e praline. Se invece non riuscite
prio quella ricetta al primo posto della sua per- a scegliere, utilizzateli insieme, come un
sonale top ten: «Sicuramente il mio piatto più anello di Tiffany. Audrey Hepburn approvebello. Per carità, mi piacciono tutti, ma trovo rebbe entusiasta.
la solarità del riso e oro davvero svettante. È il
© RIPRODUZIONE RISERVATA
“U
L’aceto
Oro e argento firmano
la qualità dell’Aceto Balsamico
Tradizionale di Reggio Emilia
Dop. Bollino d’argento
per l’invecchiamento superiore
ai dodici anni. Per l’oro,
gli anni salgono a venticinque,
insieme a densità, gusto
e ricchezza organolettica
RISOTTO ORO E ZAFFERANO
L’acqua
La Canadian Mineral Water
ha inserito speciali
filtri d’oro nel processo
produttivo dell’acqua
minerale Gize, che sgorga
dalla sorgente di Spa Springs,
in Nova Scotia. Risultato,
purezza eccezionale
e ricchezza di minerali benefici
La ricetta
Rabarbaro, caviale e oro zecchino
il mio trionfo di tesori nel piatto
INGREDIENTI
400 G. DI RISO CARNAROLI; 80 G. DI PARMIGIANO REGGIANO; 80 G. DI BURRO;
1 G. DI PISTILLI DI ZAFFERANO; 3 FOGLIE DI ORO ZECCHINO; 100 G. DI RABARBARO
SBOLLENTATO IN ACQUA E ZUCCHERO; 20 G. DI CAVIALE BELUGA CLASSICO;
15 G. DI CAVIALE BELUGA BIANCO (ALMAS); 50 G. DI YOGURT;
70 G. DI CLOROFILLA DI PREZZEMOLO; 1 FOGLIO DI COLLA DI PESCE;
3/4 L. DI BRODO VEGETALE; 10 G. DI CIPOLLA TRITATA
La cioccolata
I magazzini Harrods di Londra
vendono in esclusiva
“la più lussuriosa esperienza
di cioccolato al mondo”:
tartufi di cioccolato fondente
e Champagne ricoperti di lamine
d’oro, confezionati
in una scatola tempestata
di cristalli Swarovski
E
strarre la clorofilla dal prezzemolo, tritandolo fine e facendolo colare in una garza. Legare il liquido con la colla
di pesce e far riposare in frigo in un sacchetto da pasticceria. Rosolare la cipolla con metà burro ed extravergine, far lucidare il riso, bagnarlo col brodo e aggiungere lo
zafferano. Spegnere dopo 13’ e mantecare con la frusta fuori dal fuoco (appoggiando la pentola su uno straccio bagnato freddo per fermare la cottura) col formaggio e il restante burro freddissimo a dadini. Disporre il riso su un
piatto piano ben caldo, decorando con i due tipi di caviale, pois di yogurt, prezzemolo e rabarbaro. Alla fine, le foglie d’oro zecchino, come fossero veli che cadono dall’alto.
LO CHEF
GIANCARLO
MORELLI
(“POMIROEU”,
SEREGNO,
MILANO) DECLINA
I RISOTTI
CON TALENTO
E CREATIVITÀ,
COME IN QUESTA
RICETTA IDEATA
PER REPUBBLICA
OSTRICHE IN SALSA DI VINO ROSSO
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E i culturometri?
U.S.
RIMA SE N’È ANDATA EXPEDIT, poi suo fratello Billy. Hanno lasciato un vuoto incolmabile alle pareti del salotto, quelle dove veniva esposto, misurabile, il grado di
cultura. È stata l’Ikea a sancire l’inizio della fine della libreria. Per anni immancabile in tutte le case e fonte di aneddoti: l’intellettuale che aveva solo le coste dei volumi, il produttore che ordinava economici al chilo, la brava borghese
che disponeva per colore. Mai più. Un kindle, un kobo, un
kualunque dispositivo 10x15 spessore portafoglio posato
sull’ultima, esigua mensola a ricordare agli ospiti che qui,
komunkue, si legge. E alla parete? L’essenza, quella cosa
che più la abbatti e più si tira su: il muro.
I AVEVA PROVATO ZENO nel romanzo di Svevo, ma l’Ultima Sigaretta rinasceva sempre dalla propria cenere. Hanno tentato con la versione elettronica,
ma dopo qualche settimana in cui vedevi improbabili
coppie con pipette e caricatori in tinte abbinate, la novità è andata in fumo e sono rispuntate le U.S.. Non le cancellerà la volontà. Neppure la tecnologia. Lo farà la legge. In nome della salute pubblica. Ferita da mille altri vizi di cui non si occupa.
P
C
Faccia la rarità
RUDY GIULIANI, il sindaco sceriffo che ripulì
Manhattan da senzatetto e mendicanti, avrebbe saputo ideare un sistema così radicale come quello che
ha in serbo il futuro: l’abolizione delle monete. Non ci saranno più spiccioli. Qualche banconota per i patiti del genere, che starà ai pagamenti elettronici come il vinile al
download. In mezzo, quel che resterà delle carte di credito.
Ma i pagamenti avverranno tramite una app che detrarrà
dal conto la somma con un bip. Volendo fare l’elemosina, occorrerà trasferirla sull’app del bisognoso. Ma se avrà strumenti hi tech e conti elettronici, che bisognoso sarà?
N
Circolare, circolare
EMMENO
I
L BLOCCHETTO, LE ISTRUZIONI per la compilazione, il post
datato, in lettere e in cifre, al portatore, intestato, con
timbro e firma, firmato per girata, con valuta del,
emesso il: circolare, circolare! Spariranno gli assegni come hanno fatto prima di loro quelle varianti in scala che
furono i miniassegni. Di nuovo, qualcuno collezionerà gli
ultimi, in bianco, sperando che un giorno valgano qualcosa. Ma alla fine, come già le banconote, saranno soltanto carta.
L’ultimo arrivato
D
IRLO ORA SEMBRA ASSURDO: addio cellulare. Come doveva sembrare impossibile la sua esistenza e onnipresenza cinquant’anni fa. Ma avete mai visto
quello spot di Sky Go in cui un palmare dispiegandosi si
trasforma in un tablet che si trasforma in uno schermo televisivo? Ecco, quella cosa lì esisterà presto: tutto in uno
avrà un nome inimmaginabile, e starà a volte a parete, altre nel cassetto, altre ancora in tasca. Ma se lo chiamerete telefono si offenderà e sparirà nel nulla da cui, come tutto e tutti, proviene.
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Gronchi cosa?
S
ALVO SIA UN COLLEZIONISTA di fossili, nes-
sun bambino del 2025 avrà il discutibile piacere di leccare il retro di un rettangolino di carta per appiccicarlo su un altro
rettangolo di carta. Nessuno spedirà una lettera, nemmeno le banche, le società di servizi, l’agenzia delle entrate.
Non ci saranno uffici postali, postini, poste. Ma soprattutto,
niente francobollo. Che aggiunto al niente monete farà sparire i già pochi negozi di numismatica e filatelia. Resterà la
possibilità di comprare online e vedersi la merce recapitata
da un drone.
Oblitera questo
L
EONARDO EXPRESS, DA TERMINI A FIUMICINO. Nella carrozza siamo in quattro: io, uno straniero, un vecchietto, un giovane soldato che
parla al cellulare e spiega a una ragazza: «Devi capirlo se non
vuole che tu esca da sola: noi uomini siamo così, vogliamo
l’esclusiva anche quando non ci vogliamo impegnare. E tu
gliela devi dare, capito mi hai? Gliela devi dare!». Passa il
controllore donna e verifica i biglietti che vanno obliterati
prima della partenza, ma è un obbligo misterioso, mal segnalato. Né lo straniero né il vecchietto hanno adempiuto.
Ma vengono graziati. Al soldato chiacchierone: cinquanta
euro di multa. Tra dieci anni sparirà il biglietto. Resterà che
la legge non è uguale per tutti.
Repubblica Nazionale 2014-12-28
la Repubblica
DOMENICA 28 DICEMBRE 2014
4 4
d’oro
d’argento
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Un colpo
di evidenziatore
passato
sulla vita
MARINO NIOLA
L’
UOVA DI QUAGLIA SUL CAVIALE
Risotto d’oro
Riso nero&argento
Brilla come un gioiello
il riso a doppia doratura:
la prima la dà lo zafferano,
la seconda la foglia d’oro
appoggiata nel piatto
Polvere e pagliuzze d’argento
per il Venere tostato, sfumato
col vino bianco, tirato
con un fumetto mantecato
con burro, zenzero e pecorino
ZAFFERANO S’ARGIDDA
S.S. 197, KM 17,500
SAN GAVINO MONREALE (VS)
TEL. 329-3718772
TENUTA BIOAGRICOLA SAN GIOVANNI
VIA UBERTO DE OLEVANO 1
OLEVANO DI LOMELLINA (PV)
TEL. 335-5729936
Bagel Tujague
Alici in tortiera
Il panino ideato dallo chef
Frank Tujague, con crema di
formaggio, scaglie di tartufo
bianco, infuso di bacche goji
al Riesling e foglie d’oro
Effetto argento per il tortino
con le reginette del pesce
povero, a strati nella teglia,
alternate a prezzemolo, aglio
e pangrattato, extravergine
SANTO FORNO
VIA SANTA MONACA 7
FIRENZE
TEL. 055-211264
PESCHERIA CORALLO DI FISCHETTI
MERCATO DI PIAZZA MADAMA CRISTINA
TORINO
TEL. 338-4603945
Caviale
Salvia fritta
Arrivano dall’Iran le uova
di storione più pregiate: da
esemplari centenari del Mar
Caspio, di colore ambrato
e traslucido, simile all’oro
Le foglie farcite a due a due
con acciuga, nella pastella di
uovo, farina, acqua. Poi fritte,
asciugate, salate e cosparse
di pagliuzze d’argento
CALVISIUS
VIA JOHN KENNEDY
CALVISANO (BS)
TEL. 030-9686991
GLI AROMI DI RUSSINO
CONTRADA S. ROSALIA
SCICLI (RG)
TEL. 342-0616781
Champagne
Confetti
Le bollicine Golden Heart
contengono mille cuoricini
d’oro 24 carati micronizzati,
che scompaiono a contatto
col palato, come le bollicine
Secondo la tradizione
di Sulmona, solo mandorle
di Avola e saccarosio,
in strati sottilissimi, prima
del tuffo finale nell’argento
DOMAINE DE GOLDEN
418 RUE DE MAS DE VERCHANT
MONTPELLIER
TEL. (+33) 07-61423657
CONFETTERIA PELINO
VIA STAZIONE INTRADACQUA
SULMONA (AQ)
TEL. 0864-210047
ORO È PREZIOSO perché fa
sorridere di felicità. Lo
diceva il grande scrittore
Alfredo Panzini
illuminando di verità quella
che può sembrare un’ovvietà. Cioè
l’attrazione umana per tutto quello che
risplende. Così pagliuzze luccicanti,
glitter, strass e metalli preziosi si posano
da sempre sugli abiti e sulle tavole delle
feste. Cibi compresi. E molto prima del
celebre risotto golden di Gualtiero
Marchesi. Nei banchetti dell’Italia del
Rinascimento, selvaggina, pesci,
ostriche e perfino il pane erano
letteralmente coperti di preziosissimo
oro. Nell’antica Cina, lo dice Marco Polo,
lo si mescolava alle pietanze per attirare
l’attenzione e la benevolenza degli dei.
Mentre gli abitanti dell’America
precolombiana, il mitico Eldorado dei
Conquistadores, erano addirittura
convinti che mangiare il nobile minerale
che cattura il sole rendesse gli uomini
capaci di levitare e di librarsi nell’aria, al
pari delle divinità. E nella Spagna del
Seicento il re dei metalli veniva
polverizzato nel cioccolato per farlo
risplendere di luce propria. Adesso,
invece, viene usato nell’alta cucina di
pesce per indorare la spigola. O per
rischiarare a giorno l’oscurità del nero di
seppia. In realtà il fascino millenario e il
valore economico dell’oro, sono legati
proprio alla sua incorruttibilità. Che ne fa
un simbolo di immortalità. Materia
prima dell’eternità. Roba da re, da dei e
da vip. Quelli che oggi si mettono in coda
al Westin Hotel di New York per
assaggiare l’esclusivissimo bagel da
mille dollari ideato da Frank Tujague a
base di crema di formaggio, gelatina di
Riesling, laminatura di tartufo bianco e,
ça va sans dire, oro. Un piatto da divi nel
vero senso della parola, dal sanscrito *div
che significa splendore. O da ricchi,
perché anche in questo caso la radice del
termine dice più di qualunque
ragionamento, visto che la ricchezza
viene dall’antico indiano “rag” che vuol
dire brillante. Insomma più si ha più si
risplende. E viceversa. Forse per questo
Oscar Wilde considerava lo scintillio del
satin giallo un antidoto contro il mal di
vivere. E per la stessa ragione, in fondo,
le statue del Buddha, l’illuminato per
antonomasia, sono sfolgoranti d’oro.
Come le icone bizantine, le aureole dei
santi, le maschere dei Faraoni e quella
del Re Sole. Mentre le tombe degli
imperatori Incas venivano ricoperte di
foglie dorate per conservare l’essenza
della sovranità sigillandola in un
simulacro immortale.
L’oro funziona dunque da display del
potere, del privilegio, dell’energia. È un
colpo di evidenziatore passato sulla vita.
Per far brillare il sole anche di notte.
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RISO AL NERO DI SEPPIA E ARGENTO
Repubblica Nazionale 2014-12-28
la Repubblica
LA DOMENICA
DOMENICA 28 DICEMBRE 2014
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L’incontro. Àuguri
LA COORDINAZIONE
CON LA PSICANALISI
È FONDAMENTALE
ANCHE
SE FREUDIANI,
LACANIANI
E JUNGHIANI
NON LO AMMETTONO
IO HO MANDATO
TANTE PERSONE
DALL’ANALISTA:
IN CERTI CASI
È MOLTO PIÙ UTILE
E PREZIOSO
DEL SOTTOSCRITTO
Giocava a calcio nelle giovanili del Milan, poteva fare il jazzista, il
poeta dadaista, il critico d’arte o il monaco buddista. Invece è diventato l’uomo delle stelle grazie ai suoi seguitissimi oroscopi molto
originali e un po’ nebulosi. Senza avere nulla del mago, ma tanto
dell’artista e anche dello psicologo: “Il cielo non mente, basta studiarlo. Io non credo in niente, ma l’astrologia è una scienza precisa.
Esercita un fascino straordinario nostro figlio, anche troppo ossessivamente, e ogni tanto intervengo per placarne certe ansie». L’amore fa commettere errori che gli astri possono preve«Guardi la coppia Berlusconi-Lario, che essendo lui Bilancia e lei Cancro,
cioè molto sensibile, non poteva che divorziare. Comunque è meglio non guarperché innesca l’immaginazio- dere?
dare troppo direttamene nel Dna del proprio amore, altrimenti si perde il gusto, ma un’occhiata “laterale” furtiva, è fondamentale per non andare incontro
Pesatori infiamma i lettori di D di Repubblica anche sul sito, e pune, è una macchina per riflettere real dis/astro».
quelli di Rsera su iPad. Aumenta lo chic del mensile Vogue anche online con
le sue alate visioni dettate dai pianeti; e fa pure counseling nel suo sito, «a prezpopolari, trenta euro per trenta righe, sessanta per settanta righe, centoe dà risposte quasi sempre affi- zitrentaquattro
per novanta minuti via Skype, Iva compresa».
L’astrologia ha una sua nobile vecchiaia, risalendo al secondo millennio a.C.,
Cina, poi Grecia e Roma. Riportata in Europa secoli dopo da tedabili”. Sì, ma come sarà il 2015? instiMesopotamia,
arabi tradotti in latino, augusti scienziati divennero anche astrologi di corte, come Keplero e Galileo. Poeti come Dante o Chaucer e drammaturghi come
e Shakespeare usarono l’astrologia nelle loro opere. A sua volta Pesa“Un grande anno per il Cancro” Marlowe
tori ha fatto l’oroscopo a Keplero (Capricorno), Galileo (Pesci), Dante (Gemel-
Marco
Pesatori
NATALIA ASPESI
MILANO
P
OTREBBE ESSERE UN CRITICO D’ARTE, un giornalista di riviste intellettua-
li, un poeta di massima raffinatezza, un esperto di calcio, un solista
jazz, un monaco buddista: infatti si è laureato in storia della critica
d’arte con una tesi sul movimento Dada, ha collaborato con Gianni
Sassi nelle redazioni di Alphabeta, La Gola, Scienza Esperienza, e
incontrato poeti come Ferlinghetti e Ginsberg o compositori come John Cage.
Era calciatore nelle giovanili del Milan, negli anni difficili, quelli delle rivolte studentesche e del terrorismo, «mi sentivo smarrito e ho preferito frequentare il
monastero Zen di Milano». Alla fine Marco Pesatori è diventato la star che confabula coi pianeti per dirci chi siamo, chi potremmo essere, quali sogni potremmo realizzare e quali disastri dovremmo evitare: si immerge nel cielo sventolando una data di nascita e compone oroscopi simili a poesie segnate da un ritmo jazz, mosse da un vigore calcistico, elevate da una filosofia buddista e basate su una visione molto dada della vita. Per il Cancro, e quindi anche per me, in
una settimana di dicembre ha visto che «la sacrosanta richiesta di coccole agli
organi preposti, su carta semplice o bollata, non riceve ancora degna risposta…
non sorprende se qualcuna fila verso il Santo Natale con linee di stanchezza sulle guance e sulla fronte…». Cioè? È la nebulosità a rendere affascinanti i suoi oroscopi, non bisogna capirli, e infatti in tanti non li capiscono e per questo li adorano, ma interpretarli con il turbinare della nostra fantasia e adattarli ai nostri
desideri, per consolarci dei personali casini: con lui si entra in un mondo fatato e possibile, con il permesso di inventarcelo. E lei Pesatori ci crede? «Io
non credo in niente, ma l’astrologia è una scienza molto precisa, il cielo non
mente, basta studiarlo». Sbagliando, ci si aspetta un mago Otelma con in testa la mitria, o io penso rabbrividendo a una certa maga che aveva il
suo studio accanto al mio, che mi faceva spaventosi dispetti e che
IL MIO IDOLO È TOLOMEO, UNA SPECIE
DI FRANK ZAPPA, MA LA PIÙ GRANDE
DEL NOVECENTO ERA LISA MORPURGO
PECCATO CHE NON ABBIA CONSULTATO GLI ASTRI
PRIMA DI SPOSARMI: ORA SIAMO SEPARATI
PERÒ LA MIA EX MOGLIE È UN’OTTIMA MADRE
riempiva le scale di sue adoranti vittime molto paganti. Invece Marco Pesatori è uno di quei bei sessantenni eleganti (di persona più carino che nelle foto) dai folti capelli grigi, dalla risata sincera e la voce da divo americano, che deve
far stragi tra le signore, non necessariamente a caccia di oroscopi, ed è forse per simpatica difesa che si fa accompagnare
dal giovane e silenzioso figlio Federico che lo guarda adorante.
Prima di sposarsi ha consultato l’oroscopo della sua futura moglie? «Purtroppo no, infatti siamo separati, però lei è un ottima
madre. È esperta e quasi ogni giorno segue il tema natale di
li) Shakespeare (Toro), ma anche ad Andy Warhol (Leone), a Doris Lessing (Bilancia), e ad altre centinaia di celebrità, defunte e vive, in uno dei suoi tanti libri Astrologia per intellettuali (Neri Pozza); ultimo, coltissimo testo, Urano e la
cerimonia del tè (Feltrinelli). L’astrologia, che ha invaso i secoli come una parola divina, da sempre combattuta dalla Chiesa, ha cominciato a essere giudicata una pseudoscienza, anzi, una non scienza, dice Pesatori, con l’Illuminismo,
ma le cose stanno cambiando. Molti scienziati amano l’astrologia, per esempio
il premio Nobel della chimica Kary Mullis, autore di Ballando nudi nel campo
della mente. La fisica quantistica sta aprendo gli occhi sulla grande connessione di tutto con tutto e sull’unico ritmo cosmico che regge l’universo. E poi, è certo Pesatori «la coordinazione tra psicanalisi e astrologia è fondamentale. Freudiani, lacaniani, junghiani hanno a che fare con l’astrologia anche se non vogliono ammetterlo, e io ho mandato molte persone che venivano da me verso
una consultazione analitica, in certi casi molto più utile e preziosa che non quella astrologica». Siamo sommersi da oroscopi e astrologi molto amati, su riviste
femminili, settimanali e quotidiani politici, appositi mensili, e una foresta di reti televisive e siti internet. Sempre e soprattutto adesso, noi, popolo turbato e
insicuro chiediamo lumi ai pianeti, in attesa di un 2015 quanto mai pericolante, che l’informazione, non consultando lo zodiaco, prevede minaccioso. L’astrologia ci lascia invece molte vie d’uscita e rosee avventure personali: anche
Pesatori, che è uno stakanovista del cielo, come altri colleghi, ha già pubblicato
il suo libro, Oroscopo 2015 (Fabbri), «amore, passione, fortuna, lavoro, le stelle disegnano il tuo cammino, ora puoi iniziare a danzare». E io? «Non avere contro il proprio segno alcun pianeta lento o semilento è già una straordinaria notizia, anche se ci può essere l’eccezione di qualche isolato caso con particolari
pianeti personali sotto pressione. Il novanta per cento di voi va incontro a un
grande anno». E se io sto nel restante dieci? Peggio per me. I tempi grami danno un superlavoro a cartomanti, maghi, sensitivi, psicoveggenti, esoteristi,
esperti in ritualistica bianca, lettori di tarocchi e sibille, che assicurano sempre
il meglio e ci sono anche certi sventati che promettono pozioni e maledizioni.
Ma pure gli astrologi, sebbene intellettuali, sono molto più impegnati che nel
GRILLO È UN CANCRO CHE HA SEMPRE
BISOGNO DI AFFETTO COME UN BAMBINO,
SENNÒ SPACCA TUTTI I GIOCHI. RENZI?
HA L’ASCENDENTE DI RAFFAELLA CARRÀ,
MA È CAPRICORNO COME ANDREOTTI
passato, anche quando poco professionali, con i loro seguaci chic. L’astrologia,
dice Pesatori, «ha ancora un fascino straordinario e centinaia di migliaia di cultori: perché dà risposte quasi sempre affidabili, ma anche innesca l’immaginazione, il gioco delle associazioni. È una macchina per riflettere e pensare». Ai
miei tempi gli astrologi facevano soggezione e si preferivano le care cartomanti dai tinelli cupi e profumati di minestrone, cui si chiedeva solo dove trovare un
principe azzurro, e che sempre predicevano “Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni”;
diventato nel 2010 il titolo di un film di Woody Allen. Il filosofo Adorno in
Stelle su misura scrive che l’oroscopo serve a rafforzare il pensiero dominante, quindi l’astrologia oggi deve opporsi a questa deriva e ribellarsi ai
modelli che consolando addormentano le coscienze. «Ogni tempo ha
un modo di guardare all’astrologia e io ho le mie star: Tolomeo che
assomiglia a Frank Zappa, Ficino perché vicino a un certo stile junghiano, e tra i contemporanei Sicuteri, Barbualt e soprattutto Lisa Morpurgo, la più grande del Novecento,
mia amica, che volle conoscermi quando nel 1986 uscì il
mio Sotto il segno del pallone (Bompiani-Sonzogno), con
un sottotitolo non da curva Nord, “libro di alchimia astrologica dadaista applicata al calcio”». Inutile fare l’oroscopo alla nostra affaticata politica, ma magari a qualche
personaggio di spicco… «Per esempio la Serracchiani è
Scorpione, una stratega freddissima e inflessibile, che
gira per i corridoi con la frusta magiara nascosta dietro la
schiena, eroticissima; Grillo è un Cancro che ha sempre bisogno di sentire l’affetto attorno a sé come un bimbo che, se
non riceve il bacino quotidiano, spacca tutti i giochi. Salvini
è un Pesci con ascendente Scorpione, si può quindi definire un
barracuda travestito da sogliola o viceversa, una sogliola travestita da barracuda». E Renzi? «Renzi ha l’ascendente Gemelli e quindi richiama un po’ Raffaella Carrà, Mike Bongiorno e Pippo Baudo, ma poi è un Capricorno come Andreotti».
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Repubblica Nazionale 2014-12-28