Società in house - Università degli Studi di Napoli Federico II

Dipartimento Giuridico Economico e dellImpresa Università degli Strudi di Napol - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l.
Giurisprudenza
Processo, arbitrato e mediazione
Società in house providing
La Cassazione procede alla
riqualificazione soggettiva delle
“societa pubbliche” iniziando
da quelle “in house”
Cassazione Civile, Sez. Unite, 10 marzo 2014, n. 5491 - Pres. Rovelli - Est. Nobile - P.M. Apice
- C.F. c. Procuratore Generale presso la Corte dei Conti
Corte dei Conti - Attribuzioni - Giurisdizionali - Contenzioso contabile - Giudizi di responsabilità - In genere - Azione di
responsabilità verso gli organi sociali per danni al patrimonio della società - Giurisdizione della Corte dei Conti - Condizioni - Società “in house” - Nozione
(Cost. artt. 103 e 111, Cod. civ. artt. 2393, 2393 bis)
La Corte dei conti ha giurisdizione sull’azione di responsabilità degli organi sociali per i danni cagionati al patrimonio della società solo quando possa dirsi superata l’autonomia della personalità giuridica rispetto all’ente pubblico, ossia quando la società possa definirsi “in house”, per la contemporanea presenza di tre requisiti: 1) il capitale sociale sia integralmente detenuto da uno o più enti pubblici per l’esercizio di pubblici servizi
e lo statuto vieti la cessione delle partecipazioni a privati; 2) la società esplichi statutariamente la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti, in modo che l’eventuale attività accessoria non implichi una
significativa presenza sul mercato e rivesta una valenza meramente strumentale; 3) la gestione sia per statuto assoggettata a forme di controllo analoghe a quelle esercitate dagli enti pubblici sui propri uffici, con modalità e intensità di comando non riconducibili alle facoltà spettanti al socio ai sensi del codice civile (massima ufficiale).
La Corte (omissis).
Il ricorrente, con i sei motivi, deduce il difetto di giurisdizione del giudice contabile sotto vari profili.
Con il primo motivo, in merito alla natura soggettiva
dell’ACSA CE/3 s.p.a., il ricorrente lamenta l’evidente
errore in cui è incorsa la Corte dei conti laddove ha
qualificato la società in questione come società unipersonale caratterizzata dalla presenza di un unico socio
soggetto pubblico, essendo invece la detta società (proveniente dalla trasformazione del Consorzio ACSA
CE/3 in società di capitali, avvenuta con delibera dell’assemblea consortile n. 9 del 2003, in ossequio alla L.
n. 448 del 2001) composta da ventitré soci corrispondenti ad altrettanti comuni della provincia di Caserta
componenti il relativo bacino di raccolta.
Peraltro, a prescindere dalla natura individuale o plurale
della titolarità del capitale sociale, il ricorrente deduce
che comunque occorre fare riferimento alla disciplina
civilistica della responsabilità degli amministratori prevista dagli artt. 2393 e 2393 bis c.c.
Con il secondo motivo il ricorrente rileva che erroneamente la sentenza impugnata ha riproposto l’argomento
dell’interpretazione a contrario - già disattesa da Cass.,
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sez. un., n. 26806/2009 - della L. 31 del 2008, art. 16
bis, affermando che la norma “riservando al giudice ordinario le azioni di responsabilità degli amministratori e
dipendenti di società quotate in mercati regolamentati
con partecipazione pubblica in misura superiore al 50%,
per converso ammette implicitamente di aver stabilito
la giurisdizione contabile sulle restanti società”.
Con il terzo motivo, in ordine alla natura pubblica collettiva dell’oggetto sociale della ACSA CE/3 s.p.a., il
ricorrente deduce che il perseguimento di finalità pubbliche non può bastare ai fini dell’applicazione del regime pubblicistico (in tal caso della giurisdizione contabile) a meno di non svuotare completamente il senso dell’utilizzo di istituti privatistici (come anche la partecipazione a società per azioni) da parte della Pubblica Amministrazione ed al riguardo richiama Cass., sez. un.,
3692/2012 con riguardo alla s.p.a. Poste Italiane.
Con il quarto motivo, il ricorrente rileva che al fine
che qui interessa non può prendersi a riferimento né la
nozione di pubblica amministrazione prevista dal Codice del processo amministrativo (espressamente “ai fini
del presente codice” - v. art. 7) né quella prevista dal
Testo unico sul pubblico impiego (D.Lgs. n. 165 del
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2001), essendo evidente che le diverse nozioni riguardano campi diversi.
Il ricorrente evidenzia poi il “paradosso giuridico” del ritenere applicabile alla società ACSA CE/3 la normativa privatistica di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, con la
conseguente trasformazione dei rapporti di lavoro a termine illegittimi in rapporti a tempo indeterminato, e
nel contempo la disciplina pubblicistica della responsabilità contabile per il conseguente danno erariale.
Con il quinto motivo il ricorrente, parimenti, evidenzia
la irrilevanza, al fine che qui interessa, della nozione di
organismo di diritto pubblico di matrice comunitaria,
operante anch’essa su un piano diverso, giacché la natura di tale organismo non è di ostacolo alla giurisdizione
del giudice ordinario per danni inferti direttamente al
patrimonio della società per azioni, come chiarito da
Cass., sez. un., n. 3692/2012.
Infine, con riferimento alla circostanza che la società
ACSA CE/3, successivamente, in base al D.L. n. 90 del
2008 conv. con L. n. 123 del 2008, è stata incorporata
nel Consorzio Unico di Bacino delle Province di Napoli
e Caserta, il ricorrente, con il sesto motivo, ne evidenzia la irrilevanza, giacché il momento determinante della giurisdizione contabile è quello della determinazione
del danno erariale e non quello del conseguente giudizio di responsabilità.
Tutti i detti motivi, che in quanto connessi possono essere trattati congiuntamente, vanno accolti come di seguito.
Sul tema della giurisdizione contabile in materia di responsabilità di gestori ed organi di controllo delle società partecipate da enti pubblici queste Sezioni Unite
hanno ripetutamente affermato il principio secondo cui
“spetta al giudice ordinario la giurisdizione in ordine all’azione di risarcimento dei danni subiti da una società
a partecipazione pubblica per effetto di condotte illecite
degli amministratori o dei dipendenti, non essendo in
tal caso configurabile, avuto riguardo all’autonoma personalità giuridica della società, né un rapporto di servizio tra l’agente e l’ente pubblico titolare della partecipazione, né un danno direttamente arrecato allo Stato o
ad altro ente pubblico, idonei a radicare la giurisdizione
della Corte dei conti. Sussiste invece la giurisdizione di
quest’ultima quando l’azione di responsabilità trovi fondamento nel comportamento di chi, quale rappresentante dell’ente partecipante o comunque titolare del potere di decidere per esso, abbia colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di socio, in tal modo pregiudicando il valore della partecipazione, ovvero in
comportamenti degli amministratori o dei sindaci tali
da compromettere la ragione stessa della partecipazione
sociale dell’ente pubblico, strumentale al perseguimento
di finalità pubbliche ed implicante l’impiego di risorse
pubbliche, o da arrecare direttamente pregiudizio al suo
patrimonio” (v. Cass., sez. un., 19 dicembre 2009, n.
26806, nonché Cass., sez. un., nn. 519/2010,
4309/2010, 14655/2011, 20940/2011, 20941/2011,
7374/2013, 10299/2013, 20075/2013).
Tale orientamento, fondato sul ruolo centrale della distinzione tra società di capitali (soggetto di diritto priva-
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to) ed i propri soci (ancorché eventualmente pubblici) distinzione che non viene meno neppure nell’eventualità
in cui la società sia unipersonale -, è stato tenuto fermo
da queste Sezioni Unite, anche alla luce della normativa
sopravvenuta in materia di società a partecipazione pubblica, la quale, per il suo carattere spesso frammentario e
contingente, non assume le caratteristiche di un sistema
conchiuso ed sé stante, ma appare come un insieme di
deroghe alla disciplina generale.
Proprio partendo da tale quadro, queste Sezioni Unite
hanno da ultimo evidenziato la necessità di una ulteriore
riflessione con riferimento all’ipotesi in cui ci si trovi in
presenza di quel particolare fenomeno giuridico che va
sotto il nome di “in house providing”, e, sulla base della direttiva 2006/123/CE e delle indicazioni della Corte di
Giustizia Europea recepite in ambito nazionale (v., fra
l’altro, Corte Cost. n. 46/2013, Cass., sez. un., n.
8352/2013 e n. 10299/2013), hanno affermato il principio in base al quale “la Corte dei conti ha giurisdizione
sull’azione di responsabilità esercitata dalla Procura della
Repubblica presso la Corte quando tale azione sia diretta
a far valere la responsabilità degli organi sociali per i
danni da essi cagionati al patrimonio di una società “in
house”, così dovendosi intendere quella costituita da uno
o più enti pubblici per l’esercizio di pubblici servizi, di
cui esclusivamente i medesimi enti possano essere soci,
che statutariamente esplichi la propria attività prevalente
in favore degli enti partecipanti e la cui gestione sia per
statuto assoggetta a forme di controllo analoghe a quello
esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici” (v. Cass.,
sez. un., 25 novembre 2013, n. 26283).
Tali requisiti, come è stato precisato, devono sussistere
tutti contemporaneamente e devono tutti trovare il loro
fondamento in precise e non derogabili disposizioni dello statuto sociale.
In particolare, sul primo requisito è stato chiarito che è
possibile che il capitale sociale faccia capo ad una pluralità di soci, purché si tratti sempre di enti pubblici, e
che occorre pur sempre, comunque, che lo statuto inibisca in modo assoluto la possibilità di cessione a privati
delle partecipazioni societarie di cui gli enti pubblici
siano titolari.
Sul secondo requisito è stato precisato, poi, che la prevalente destinazione dell’attività in favore dell’ente o
degli enti partecipanti alla società, pur presentando innegabilmente un qualche margine di elasticità, postula
in ogni caso che l’attività accessoria non sia tale da implicare una significativa presenza della società quale
concorrente con altre imprese sul mercato di beni o servizi. In tal senso, dovendo aversi riguardo non soltanto
ai profili quantitativi, ma anche a quelli qualitativi e
della prospettiva di sviluppo in cui l’attività accessoria
eventualmente si ponga, “quel che soprattutto importa
è che l’eventuale attività accessoria, oltre ad essere marginale, rivesta una valenza meramente strumentale rispetto alla prestazione del servizio d’interesse economico generale svolto dalla società in via principale”.
Infine, con riguardo al “controllo analogo” è stato chiarito che lo stesso consiste in un “potere di comando direttamente esercitato sulla gestione dell’ente con moda-
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lità e con un’intensità non riconducibili ai diritti ed alle
facoltà che normalmente spettano al socio in base alle
regole dettate dal codice civile, e sino a punto che agli
organi della società non resta affidata nessuna autonoma rilevante autonomia gestionale”.
Nella ricorrenza, quindi, di tutti e tre i detti requisiti,
non risultando possibile configurare un “rapporto di alterità tra l’ente pubblico partecipante e la società in
house che ad esso fa capo, è giocoforza concludere che
anche la distinzione tra il patrimonio dell’ente e quello
della società si può porre in termini di separazione patrimoniale, ma non di distinta titolarità”, con la conseguente configurabilità di un danno erariale che giustifica l’attribuzione alla Corte dei conti della giurisdizione
sulla relativa azione di responsabilità (v. Cass., sez. un.,
n. 26283/2013 in motivazione).
In tale quadro, come sopra delineato, occorre, quindi,
verificare nella fattispecie in esame, la sussistenza o meno dei detti requisiti alla luce dello statuto sociale in atti (allegato al verbale di assemblea del 29 giugno 2004).
Nel detto quadro non assume, infatti, rilevanza decisiva
al riguardo il carattere non unipersonale della società
(peraltro l’ACSA CE/3, effettivamente, in quanto derivante dalla trasformazione in s.p.a., ai sensi della L. n.
448 del 2001, del relativo Consorzio di Bacino CE/3, ha
il proprio capitale sociale ripartito tra i ventitrè comuni
del detto Bacino) e nel medesimo quadro generale deve
essere letta anche la disposizione della L. n. 31 del
2008, art. 16 bis, “la quale ha introdotto per le società
quotate un’eccezione alla giurisdizione contabile, da riferire, appunto, alla sola area in cui detta giurisdizione
risulterebbe altrimenti applicabile” (così Cass., sez. un.,
26283/2013 cit.).
In tali sensi risultano, quindi, fondati il primo e il secondo motivo, così come del pari fondato risulta il terzo
motivo, atteso che, nello stesso quadro, il perseguimento di finalità pubbliche da parte della società per azioni
non è da solo sufficiente a configurare la sussistenza della giurisdizione della Corte dei conti.
Parimenti, sempre nel medesimo quadro, non possono assumere rilevanza decisiva, al fine che qui interessa, le nozioni di pubblica amministrazione (dettate ad altri fini)
contenute nel Codice del processo amministrativo e nel
Testo unico sul pubblico impiego e neppure quella di “organismo di diritto pubblico”, rilevando questa “solo sul
piano della disciplina di derivazione comunitaria in materia di aggiudicazione degli appalti ad evidenza pubblica”
(v. fra le altre Cass., sez. un., 9 marzo 2012 n. 3692).
In tali sensi vanno quindi accolti anche il quarto e il
quinto motivo, mentre parimenti fondato risulta il sesto
motivo, essendo evidente che nella controversia in esame (caratterizzata dall’asserito danno erariale causato
dal C. nel periodo di svolgimento dell’incarico di Direttore Generale dal 20 luglio 2004 al 25 settembre 2006)
la circostanza che la società ACSA CE/3, successivamente, in base al D.L. n. 90 del 2008, conv. con L. n.
123 del 2008, è stata incorporata nel Consorzio Unico
di Bacino delle Province di Napoli e Caserta, non può
assumere rilevanza ai fini della giurisdizione.
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Come è stato più volte affermato da queste Sezioni Unite, infatti, per accertare la sussistenza o meno della giurisdizione della Corte dei conti occorre verificare la sussistenza del relativo presupposto con riferimento al momento della causazione del danno erariale, a nulla rilevando che, per successivi mutamenti normativi, l’ente
danneggiato abbia mutato natura (v. Cass., sez. un., 16
novembre 2000, n. 1180, Cass., sez. un., 22 dicembre
2003, n. 19662, Cass., sez. un., 7 luglio 2011, n. 14957).
Orbene, con riferimento alla situazione all’epoca e allo
Statuto approvato, allegato al verbale di assemblea del
29 giugno 2004, nella fattispecie certamente ricorre il
requisito della attività statutaria prevalente in favore
degli enti partecipanti (v. art. 3 “Oggetto”: “La società
ha per oggetto, in generale, le gestioni ambientali, l’organizzazione e la gestione dei servizi pubblici di igiene
urbana etc. ...”), mentre lo stesso non può dirsi per
quanto riguarda gli altri due requisiti.
In particolare il “funzionamento della società” è regolato (vedi delibera citata) “compiutamente dalla nuova
normativa” introdotta dal D.Lgs. n. 6 del 2003, e “per
quanto essa è derogabile” dalle norme dello statuto.
Quest’ultimo all’art. 1 (“Denominazione”) stabilisce che
“ai sensi della L. n. 448 del 2001, art. 35, comma 8, il
Consorzio “A.C.S.A. CE/3 - Azienda Consortile Servizi
Ambientali Bacino di Utenza Caserta 3” istituito ai
sensi della L.R. n. 10 del 1993, art. 6, e della L. n. 142
del 1990, art. 25, è trasformato nella Società per Azioni, a totale capitale pubblico, denominata: “Consorzio
Obbligatorio Intercomunale CE/3 - A.C.S.A. s.p.a.
Azienda Consortile Servizi Ambientali”.
La L. n. 448 del 2001, art. 35, comma 8, dispone la trasformazione delle aziende speciali e dei consorzi di cui
all’art. 31, comma 8, del testo unico di cui al D.Lgs. n.
267 del 2000, che gestiscono i servizi di cui all’art. 113,
comma 1, del medesimo testo unico, come sostituito dal
comma 1 del presente articolo, in società di capitali, ai
sensi dell’art. 115 del citato testo unico (le cui disposizioni dei commi da 1 a 7 sono applicabili anche alla trasformazione dei consorzi, v. comma 7 bis introdotto dalla L. n. 448 del 2001 cit., art. 35, comma 12).
In particolare lo Statuto, stabilisce le regole di funzionamento della società e degli organi societari e, tra l’altro:
all’art. 6 (“Capitale e azioni”) prevede che “Le azioni
sono nominative, non possono emettersi per una somma inferiore al valore nominale, sono indivisibili e non
possono essere cedute, nell’immanenza della L.R. n. 10
del 1993”;
all’art. 8 (“Obbligazioni”) stabilisce che “La società può
emettere prestiti obbligazionari convertibili e non convertibili, demandando all’assemblea la fissazione di collocamento, estinzione e conversione”;
all’art. 11 (“Recesso”) prevede che “Gli amministratori
offrono in opzione le azioni del socio recedente agli altri
soci in proporzione al numero delle azioni possedute. Se
vi sono obbligazioni convertibili, il diritto di opzione
spetta anche ai possessori di queste in concorso con i
soci, sulla base del rapporto di cambio...Coloro che
esercitano il diritto di opzione, purché ne facciano contestuale richiesta, hanno diritto di prelazione nell’acqui-
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sto delle azioni che siano rimaste inoptate. Le azioni
inoptate possono essere collocate dall’organo amministrativo anche presso terzi”.
È evidente, quindi, che, essendo prevista sia la possibilità di opzione da parte dei titolari di obbligazioni convertibili e sia la collocabilità presso “terzi” di azioni
inoptate, nella fattispecie non può affermarsi che ricorra
il requisito della esclusività assoluta della partecipazione
societaria da parte di soli enti pubblici.
Nel contempo neppure ricorre nel caso in esame il requisito del “controllo analogo”, non essendo previsto
nello statuto alcun controllo ulteriore (e tanto meno al-
cun comando diretto sulla gestione della società) da
parte degli enti pubblici, al di fuori dei normali diritti e
poteri spettanti ai soci in base alle regole del codice civile.
Non può quindi parlarsi nella fattispecie di società in
house e neppure può configurarsi la giurisdizione della
Corte dei conti.
Il ricorso va pertanto accolto e l’impugnata sentenza va
cassata dichiarandosi il difetto di giurisdizione del giudice contabile.
(omissis).
IL COMMENTO
di Fabrizio Cerioni (*)
La giurisprudenza più recente delle Sezioni Unite della Cassazione esclude la giurisdizione della Corte dei
conti sulla responsabilità degli amministratori per i danni cagionati al patrimonio sociale sulla scorta di
seguenti argomenti ritenuti insuperabili: l’alterità soggettiva tra l’ente pubblico partecipante e la società,
la diversità tra il danno al patrimonio sociale e quello al patrimonio del socio pubblico (il danno cagionato
dalla “mala gestio” degli amministratori è danno che incide sul patrimonio della società e non immediatamente un danno erariale), la supposta mancanza, per la maggior parte delle società partecipate di un rapporto di servizio tra la società e l’ente pubblico e, tantomeno, tra gli amministratori della partecipata e
l’ente che resta privato con un proprio patrimonio separato da quello dei soci, l’assenza di una norma
speciale attributiva della giurisdizione (cosiddetta interpositio legislatoris). Rifiutando questa tesi formalistica, qualche sentenza ha seguito un “approccio casistico” o “sostanzialistico”, che ha consentito ai giudici di valutare caso per caso se una società pubblica possa essere assimilata nel caso concreto ad un ente
pubblico attraverso l’individuazione di precisi indici sintomatici. L’approccio casistico, che è stato impiegato per “riqualificare” come ente pubblico la RAI S.p.A. e, più recentemente, come pubbliche amministrazioni le società in house partecipate integralmente dagli enti locali, può aprire la strada ad una più
meditata giurisprudenza della Corte regolatrice riguardo alla categoria, di recente conio legislativo, delle
società «controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1,
comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001», rispetto alle quali l’alterità patrimoniale diviene più sfumata e gli obblighi imposti all’ente di perseguire anche finalità finanziarie di riduzione dei costi fa sorgere
un rapporto di servizio tra gli amministratori della società e l’ente pubblico controllante.
Con espressione icastica e quanto mai efficace le
società pubbliche, intese in senso ampio come società finanziate e variamente partecipate dallo Sta-
to o dagli enti locali (1), sono state definite da un
eminente studioso di diritto amministrativo come
una «vacca di razza assai speciale che si alimenta
alla mangiatoia dell’erario pubblico e versa il suo
latte in un contenitore privato» (2).
(*) Il presente contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valutazione di un referee.
(1) Secondo una nota diffusa dal centro studi di Confindustria (numero 14-7 dell’8 marzo 2014) le amministrazioni pubbliche, centrali e locali, detengono partecipazioni in 7.712 organismi, con oneri per i contribuenti che nel 2012, ammontavano a 22,7 miliardi di euro, un valore molto consistente, corrispondente all’incirca all’1,4 del PIL. Il 62,7% delle partecipazioni sono in società, il 34,5% in consorzi e il 2,8 in fondazioni. I
maggiori costi, secondo l’accennata nota, sarebbero da imputare alle istituzioni pubbliche che hanno sede legale nel Lazio
con costi pari a 9,5 miliardi di euro, seguite da quelle della
Lombardia, con costi pari a 5,5 miliardi di euro, del Veneto,
con costi pari a 1,1 miliardi di euro e del Piemonte, con costi
pari a un miliardo di euro. Il 63,9 di questi enti non produce
servizi pubblici, pur essendo finanziati con i proventi della fiscalità generale, cioè con le entrate derivanti dalle imposte
centrali e locali versate dai contribuenti, per un ammontare di
euro 12,8 miliardi di euro. I trasferimenti a detti enti avvengono sotto forma di corrispettivi per i contratti di servizi stipulati
con l’amministrazione, con l’acquisizione di quote societarie,
con aumenti di capitale e spesso con erogazioni a copertura
delle perdite, oltre ai crediti concessi dall’ente pubblico socio
alle proprie partecipate.
(2) L’espressione è attribuita a Giuseppe Abbamonte da M.
M. Fracanzani, Le società degli enti pubblici: tra codice civile e
servizio ai cittadini, in www.giustizia-amministrativa.it, che la riferisce letteralmente in questi termini «una strana vacca, che
1. Società pubbliche e giurisdizione
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Processo, arbitrato e mediazione
Nella sentenza 10 marzo 2014, n. 5491, le Sezioni Unite della Cassazione, probabilmente ignorando la prospettata definizione, dopo il generale entusiasmo suscitato dalla loro recente pronuncia sulle società “in house” (3), hanno ribadito i principi
elaborati nelle decisioni degli ultimi anni (4) a partire dalla nota sentenza 19 dicembre 2009, n.
26806 (cui si deve il famoso notevole revirement del
giudice di vertice sulle società pubbliche) (5) e,
dunque, hanno affermato la sussistenza della giuri-
sdizione ordinaria sulla responsabilità del direttore
generale di un ex Consorzio campano di bacino,
trasformato in società per azioni, già condannato
dalla Corte dei Conti per danno erariale (6).
La Corte regolatrice, pertanto, ha ricordato che
spetta al giudice ordinario la giurisdizione sull’azione di risarcimento dei danni subiti dalla società a
partecipazione pubblica per effetto delle condotte
illecite dei suoi amministratori o dipendenti, non
essendo configurabile, attesa l’autonoma personali-
mangia nella greppia del pubblico e fa il latte nel secchio del
privato» viene in questa sede riportata nella versione coniata
da G. Caputi Jambrenghi, Azione ordinaria di responsabilità ed
azione di responsabilità amministrativa in materia di società in
mano pubblica. L’esigenza di tutela degli interessi pubblici, in
AA. VV., Responsabilità amministrativa giurisdizione contabile
(ad un decennio dalle riforme), Atti del Convegno svoltosi a Varenna nei giorni 15, 16 e 17 settembre 2005, Milano, 2006,
332.
(3) Cass., sez. un., 25 novembre 2013, n. 26283, in questa
Rivista, 2014, 55 ss., con nota di F. Fimmanò, La giurisdizione
sulle società in house providing, ivi, 61 ss.
(4) In tal senso Cass., sez. un., 15 gennaio 2010, n. 519, in
questa Rivista, 2010, 803 ss.; Cass., sez. un., 23 febbraio 2010,
n. 4309, in questa Rivista, 2010, 1361 ss., con nota di D. Dalfino, Società pubbliche, responsabilità degli amministratori al riparto di giurisdizione, ivi, 1370; Cass., sez. un., 5 luglio 2011, n.
14655, in Urbanistica e appalti, 2011, 1077; Cass., sez. un., 7
luglio 2011, n. 14957, in Foro it., 2012, I, col. 831; Cass., sez.
un., 12 ottobre 2011, n. 20940, in questa Rivista, 2011, 1470;
Cass., sez. un., 9 marzo 2012, n. 3692, in Urbanistica e appalti,
2012, 538; e più recentemente Cass., sez. un., 25 marzo 2013,
n. 7374, in Azienditalia, 2013, 424 ss.; Cass., sez. un., 10 settembre 2013, n. 20696; Cass., sez. un., 2 dicembre 2013, n.
26936; Cass., sez. un., 7 gennaio 2014, n. 74 e Cass., sez. un.,
12 febbraio 2014, n. 3201.
(5) La sentenza è stata pubblicata in Foro it., 2010, col.
1473, con nota di G. Dauria, Non esiste (con eccezioni) la responsabilità erariale per i danni cagionati alle società pubbliche
dai loro amministratori, ivi, col. 1495 ss. e in Giust. civ., 2010, I,
2497 ss., con nota di S. Salvago. Giova ricordare, a beneficio
del lettore che ignori l’evoluzione della giurisprudenza in materia, che le Sezioni Unite della Cassazione dopo aver a lungo
ancorato il riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e
Corte dei Conti alla natura dell’atto adottato dall’amministratore di un ente pubblico economico, per cui gli eventuali danni
imputabili ai cosiddetti “atti di organizzazione” erano devoluti
alla cognizione del giudice contabile, mentre quelli derivanti
dagli “ordinari atti di gestione”, rispetto ai quali non era configurabile alcun rapporto di servizio con lo Stato, erano attribuiti
alla giurisdizione civile (in questi termini Cass., sez. un., 2 marzo 1982, n. 1282, in Giur. it., 1982, I, 1, col. 615, con nota di P.
Maddalena; Cass., sez. un., 13 aprile 1988, n. 2911, in Riv.
Corte conti, 1988, 200; Cass., sez. un., 4 maggio 1989, n.
2086, in Foro it., 1989, I, col. 2105; Cass., sez. un., 15 novembre 1989, n. 4860, in Giur. it., 1990, I, 1, col. 930; Cass., sez.
un., 2 luglio 1992, n. 11560, in Riv. Dir. Comm., 1996, I, 1;
Cass., sez. un., 2 ottobre 1998, n. 9780, in Riv. Corte conti,
1998, 138 ss., e in Danno e resp. 1999, 1133 ss.; Cass., sez.
un., 17 luglio 2001, n. 9649, in Riv. Corte conti, 2001, 237 ss. e
in Foro it. 2001, I, col. 2790 ss.), tesi cui aveva finito per aderire anche la stessa giurisprudenza contabile (a partire da Corte
dei Conti, Sez. Riunite, 20 ottobre 1992, n. 806, in Foro Amm.,
1993, 1113 ss. e Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Lombardia, 3
dicembre 1998, n. 1614, in Riv. Corte Conti, 1999, 74), con la
sentenza 22 dicembre 2003, n. 19667 (in Foro. it., 2005, col.
2776 ss.), dopo aver riconosciuto che l’evoluzione normativa
iniziata dalla metà degli anni ottanta ed il processo di privatizzazione avevano reso ormai labile la distinzione tra enti pubblici non economici ed enti pubblici economici e che l’amministrazione svolge attività amministrativa non solo quando esercita pubbliche funzioni e poteri autoritativi, ma anche quando,
nei limiti consentiti dall’ordinamento, persegue le proprie finalità istituzionali mediante un’attività disciplinata in tutto o in
parte dal diritto privato, ha affermato che, in tale mutato contesto ordinamentale, va riconosciuto che gli enti pubblici economici svolgono anch’essi attività amministrativa anche quando operano con gli strumenti del diritto privato, con la conseguente attribuzione alla Corte dei conti dei giudizi di responsabilità amministrativa, anche nei confronti di amministratori e
dipendenti di enti pubblici economici. Alla base di quest’ultimo
arresto vi è stata la presa di coscienza da parte del giudice di
vertice che il discrimen tra la giurisdizione ordinaria e quella
contabile deve essere individuato unicamente nella qualità del
soggetto passivo e, pertanto, nella natura - pubblica o privata
- delle risorse finanziarie di cui esso si avvale, e che comunque
l’art. 1, ultimo comma, della legge 20 gennaio 1994, n. 20,
avesse introdotto quella disposizione estensiva della responsabilità amministrativa patrimoniale ritenuta imprescindibile da
alcune sentenze della Corte Costituzionale. A questa pronuncia ha poi fatto seguito la sentenza delle Sezioni Unite della
Cassazione 26 febbraio 2004, n. 3899 (in Foro. it., 2005, col.
2775 ss.), che ha affermato la giurisdizione della Corte dei
Conti riguardo al danno cagionato da un assessore comunale
e dall’amministratore di una società per azioni quasi interamente partecipata dal Comune, avente ad oggetto l’esercizio
dei mercati all’ingrosso, a seguito della stipulazione di un contratto svantaggioso per l’ente, frutto di un accordo illecito basato sulla percezione di “tangenti”, dovendo essere ravvisato il
rapporto di servizio, necessario per l’assoggettamento alla giurisdizione della Corte dei conti, ogni qualvolta si instauri una
relazione funzionale tale da collocare il soggetto esterno nell’iter procedimentale dell’ente pubblico, come compartecipe fattivo dell’attività amministrativa, non rilevando, in contrario, né
la natura privatistica dell’ente stesso, né la natura privatistica
dello strumento contrattuale con il quale è stato costituito ed
attuato il rapporto in questione. Le stesse Sezioni Unite hanno
poi affermato la sussistenza di un rapporto di servizio tra un
ente pubblico e la società concessionaria di pubblici servizi e
lavori (Cass., sez. un., 3 luglio 2009, n. 15599, in Urbanistica e
appalti, 2009, 1190 ss.; Cass., sez. un., 22 febbraio 2007, n.
4112, in Foro it. 2008, 1, I, col. 190 ss.; Cass., sez. un., 30 marzo 1990, n. 2611, in Giust. civ., 1990, I, 1726 e Cass., sez. un.,
30 marzo 1990, n. 2612, in Foro it., 1991, I, col. 1197). Per la
valorizzazione del diverso criterio del danno alle risorse finanziare pubbliche (cosiddetto “danno finanziario”), indipendentemente dalla natura pubblica o privata dell’ente, si veda, invece, Cass., sez. un., 26 febbraio 2006, n. 14101, in Giornale Dir.
Amm., 2006, 1136 ss.
(6) Corte dei Conti, sez. I Centrale d’Appello, sentenza 19
novembre 2012, n. 673.
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tà giuridica della società, un rapporto di servizio
tra l’agente e l’ente pubblico titolare della partecipazione, né un danno direttamente arrecato allo
Stato o ad altro ente pubblico idonei a radicare la
giurisdizione della Corte dei conti.
Al contrario, secondo la tesi ormai prevalente in
Cassazione, la giurisdizione contabile sussiste quando l’azione di responsabilità trovi fondamento nel
comportamento di chi, quale rappresentante dell’ente partecipante o comunque titolare del potere
di decidere per esso, abbia colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di socio, in tal modo
pregiudicando il valore della partecipazione, ovvero quando i comportamenti degli amministratori e
dei sindaci siano stati tali da compromettere la ragione stessa della partecipazione sociale dell’ente
pubblico, strumentale al perseguimento delle finalità pubbliche ed implicante l’impiego di risorse
pubbliche, ovvero tali da arrecare direttamente
pregiudizio al patrimonio pubblico.
Questa conclusione si fonda sulla valorizzazione
dell’alterità che esiste tra la società di capitali (soggetto di diritto privato) ed i propri soci (ancorché
eventualmente pubblici), nonché sulla considerazione che la normativa speciale in materia di società a partecipazione pubblica, «per il suo carattere
spesso frammentario e contingente non assume le
caratteristiche di un sistema conchiuso a se stante,
ma appare come una serie di deroghe alla disciplina generale».
Concludendo il ragionamento del giudice della
legittimità con l’ausilio un argomento impiegato in
una diversa decisione (7), occorre prendere atto
che il danno cagionato dagli organi della società al
patrimonio sociale, che nel sistema del codice civile può dar vita alle azioni sociali di responsabilità
di cui agli artt. 2392, 2393 e 2395 ed eventualmente a quella dei creditori sociali di cui all’art.
2394 (8), non sarebbe idoneo a configurare anche
un’azione ricadente nella giurisdizione della Corte
dei Conti, perché non implicherebbe alcun danno
erariale, bensì unicamente un danno sofferto da un
soggetto privato (appunto la società), riferibile al
patrimonio appartenente soltanto a quel soggetto e
non certo ai singoli soci - pubblici o privati – i
quali sono gli unici titolari delle rispettive quote di
partecipazione, per cui gli originari conferimenti
“di risorse pubbliche” restano confusi ed assorbiti
nel patrimonio sociale medesimo.
La giurisdizione della Corte dei conti deve invece essere affermata qualora sia riscontrabile un
danno arrecato al patrimonio sociale dagli amministratori delle cosiddette società “in house providing”,
da intendersi, sulla scorta dell’ormai consolidata
giurisprudenza dell’Unione europea (9), come quelle costituite da uno o più enti pubblici per l’eserci-
(7) Cass., sez. un., 25 novembre 2013, n. 26283. In questa
sentenza la Cassazione ha ulteriormente motivato la sua decisione rilevando che la giurisdizione della Corte dei conti in materia di responsabilità, collocandosi al fuori della nozione di
contabilità pubblica di cui all’art. 103 Cost., è subordinata ad
una esplicita previsione legislativa non rinvenibile nel vigente
ordinamento giuridico (la cosiddetta interpositio legislatoris). Il
giudice della legittimità ha altresì ricordato che in base ad un
principio fondamentale del diritto civile le società dotate di personalità giuridica si configurano come soggetti di diritto pienamente autonomi e distinti sia rispetto ai titolari degli organi direttivi, sia rispetto ai soci e come tale risulta dotata di un proprio patrimonio, riferibile esclusivamente alla medesima e non
a coloro che detengano le azioni o le quote di partecipazione.
L’autonoma soggettività giuridica dell’ente rende giuridicamente «impossibile imputare personalmente agli amministratori e ad altri soggetti investiti di cariche sociali la titolarità del
rapporto di servizio intercorrente tra l’ente pubblico e la società cui sia stato affidato l’espletamento di compiti riguardanti
un pubblico servizio, ma soprattutto non può dirsi arrecato alla
pubblica amministrazione il danno che gli atti di mala gestio,
posti in essere dagli organi sociali, abbiano inferto al patrimonio della società». La categorica negazione dell’azione del pubblico ministero contabile secondo lo stesso giudice di vertice
trova conferma anche nell’impossibilità di realizzare altrimenti
un soddisfacente coordinamento sistematico tra l’ipotizzata
azione di responsabilità dinanzi al giudice contabile e l’esercizio dell’azione di responsabilità (sociale e dei creditori sociali)
contemplato dal codice civile.
(8) Sulle azioni sociali di responsabilità si vedano, senza
pretesa di esaustività, F. Vassalli - L. Sambucci, in Società di
capitali, Commentario, a cura di Niccolini e Stagno d’Alcontres,
Napoli, 2004, 676 ss., L. Enriques - F.M. Mucciarelli, L’azione
sociale di responsabilità da parte delle minoranze, in AA.VV., Il
nuovo diritto delle società, Liber amicorum Gian Franco Campobasso, Vol. II, Torino, 2006, 862 ss.; F. Ferrara jr. - F. Corsi, Gli
imprenditori e le società, Milano, 2006, 609 ss.; G. Bianchi, Gli
amministratori delle società di capitali, Padova, 2006, 581 ss.;
G. Costantino, La responsabilità degli organi societari: profili
processuali, in questa Rivista, 2007, 207 ss.; E. E. Bonavera,
L’esercizio delle azioni di responsabilità degli amministratori nella
s.r.l., in questa Rivista, 2010, 102 ss.; S. Cassani, La quantificazione del risarcimento nell’azione di responsabilità contro gli amministratori, in questa Rivista, 2010, 409 ss.; V. Salafia, Legittimazione di sindaci della s.r.l. a denunciare al Tribunale le irregolarità amministrative, in questa Rivista, 2010, 1098 ss.
(9) In questi termini Corte di Giustizia 18 novembre 1999,
causa C-107/98, Teckal punti 50 e 51; Corte di Giustizia 11
gennaio 2005, causa C-26/03 Stadt Halle e RPL Lochau, punti
49 e 50; Corte di Giustizia 13 gennaio 2005, causa C-84/03,
Commissione/Spagna, punto 38; Corte di Giustizia 13 ottobre
2005, causa C-458/03, Parking Brixen, punti 52 e 63; Corte di
Giustizia 10 novembre 2005, causa C-29/04, Commissione/Austria, punto 34; Corte di Giustizia 11 maggio 2006, causa C340/04, Carbotermo e Consorzio Alisei, punto 33; Corte di Giustizia 19 aprile 2007, causa C-295/05, Asemfo, punto 55; Corte
di Giustizia 8 aprile 2008, causa C-337/05, Commissione/Italia,
punto 36;Corte di Giustizia 17 luglio 2008, causa C-371/05,
Commissione/Italia, punti 22 e 24; Corte di Giustizia 9 giugno
2009, causa C-480/06, Commissione/Germania, punto 34. La
stessa Corte europea ha poi precisato che il controllo analogo
implica la possibilità di esercitare un’influenza determinante
sia sugli obiettivi strategici sia sulle decisioni importanti di detta società (v. sentenze 13 ottobre 2005, causa C-458/03, Par-
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zio di pubblici servizi, di cui siano soci esclusivamente i medesimi enti, che esplicano la propria attività prevalentemente a favore degli enti partecipanti e la cui gestione è assoggettata a forme di
controllo analogo a quello esercitato dagli enti
pubblici partecipanti sui propri uffici (10). Nella
configurazione della giurisprudenza europea (vincolante per la stessa Cassazione) e del Consiglio di
Stato, queste società si disvelano dunque per quello che effettivamente sono, oltre la veste societaria
che sono costrette ad indossare e, cioè, come un’articolazione organizzativa dell’ente locale (11).
In definitiva, secondo la Cassazione l’azione
contro gli amministratori colpevoli di aver arrecato
un danno al patrimonio sociale può essere esercitata esclusivamente nei modi previsti dagli artt.
2393-2395 del codice civile dinanzi al giudice ordinario, sussistendo una riserva di azione contabile, a
norma dell’art. 43 del R.D. 13 agosto 1933, n.
1038 e 5 del d.l. 5 novembre 1993, n. 453 (convertito con legge 14 gennaio 1994, n. 19), solo quan-
do sia ravvisabile un vero e proprio rapporto di servizio tra ente pubblico e la società, tale per cui
quest’ultima, nonostante la veste di società per
azioni (peraltro partecipata totalitariamente da enti pubblici), costituisca di fatto un’articolazione organizzativa dell’ente locale, come nel modello di
“società in house” costituite per la gestione dei servizi pubblici locali.
A queste conclusioni, apparentemente inossidabili, occorre apportare una prima correzione traendo spunto dalla stessa giurisprudenza di legittimità,
ricordando al cortese lettore come l’azione di responsabilità amministrativa possa essere esercitata
in sede contabile anche nel caso in cui gli organi
sociali abbiano cagionato direttamente un danno
all’ente pubblico (ad esempio abbiano leso l’immagine dello stesso) (12) nonché quando la società
per azioni abbia uno statuto assoggettato a regole
legali e sostanziali che le conferiscano natura di
ente pubblico come nel caso della RAI S.p.A. o
enti simili (13).
king Brixen, punto 65, e 11 maggio 2006, causa C-340/04,
Carbotermo e Consorzio Alisei, punto 36). Detto controllo può
anche essere esercitato da più enti pubblici congiuntamente,
senza che sia indispensabile che venga esercitato individualmente in modo determinante da uno di essi (v., in tal senso,
Corte di Giustizia 13 novembre 2008, causa C-324/07, CoditelBrabant, punti 47 e 50, nonché Corte di Giustizia 10 settembre
2009, causaC-573/07, Sea S.r.l., punto 59) e sussiste ogni
qualvolta ciascun ente pubblico partecipi “sia al capitale sia
agli organi direttivi dell’entità suddetta” (in questi esatti termini
Corte di Giustizia 29 novembre 2012, causa C-182/11 e C183/11, Econord, punti 25-33).
(10) Lo ribadisce la sentenza in commento, riprendendo
quanto affermato da Cass., sez. un., 25 novembre 2013, n.
26283, cit.
(11) Sviluppando gli approdi della giurisprudenza europea il
Consiglio di Stato ha evidenziato che la società in house agisce
come un vero e proprio organo dell’amministrazione dal punto
di vista sostanziale. E dunque, seguendo l’insegnamento di un
indiscusso Maestro, è centro di imputazione di fattispecie all’amministrazione controllante (in questi termini M.S. Giannini,
Organi (teoria generale), in Enc. dir., Vol. XXXI, Milano, 1981,
pag. 37 ss.). Per questo sono richiesti il requisito del controllo
analogo a quello esercitato sui propri servizi dall’amministrazione aggiudicatrice e quello della destinazione prevalente dell’attività dell’ente in house in favore dell’amministrazione stessa (in questi termini Cons. Stato, sez. V, 30 settembre 2010, n.
7214; Cons. Stato, sez. VI, 23 settembre 2008, n. 4603). L’attività delle società -organo, come quelle affidatarie in house di
servizi pubblici, è un’attività funzionalizzata al perseguimento
dell’interesse pubblico: rispetto ad essa la “forma” degli strumenti giuridici utilizzati non rileva in sé, risultando invece rilevante la finalizzazione dell’attività agli scopi legali dell’amministrazione (così Cons. Stato, sez. V, 9 marzo 2009, n. 1365, in
Giornale Dir. Amm., 2009, 1269). Il Supremo Consesso ha poi
precisato che la sussistenza del controllo analogo va esclusa
in presenza di una compagine societaria composta anche da
capitale privato, essendo necessaria la partecipazione pubblica
totalitaria. Infatti, la partecipazione (pure minoritaria) di un’impresa privata al capitale di una società, alla quale partecipi anche l’amministrazione aggiudicatrice, esclude in ogni caso che
tale amministrazione possa esercitare su detta società un con-
trollo analogo a quello che essa svolge sui propri servizi (così
Cons. Stato, Ad. Plen., 3 marzo 2008, n. 1) mentre, in caso di
controllo congiunto da parte di più amministrazioni locali, il requisito del controllo analogo deve essere verificato secondo
un criterio sintetico e non atomistico, sicché è sufficiente che
il controllo della mano pubblica sull’ente affidatario, purché effettivo e reale, sia esercitato dagli enti partecipanti nella loro
totalità, senza che necessiti una verifica della posizione di ogni
singolo ente Cons. Stato, sez. V, 8 marzo 2011, n. 1447, in Urbanistica e appalti, 2011, 609; Cons. Stato, sez. V, 29 dicembre
2009, n. 8970, in Giornale Dir. Amm., 2010, 280; Cons. Stato,
sez. V, 9 marzo 2009, n. 1365, cit. In dottrina R. Costi, Servizi
pubblici locali e società per azioni, in Giur. comm., 1998, 798 ss;
G. Piperata, Tipicità e autonomia nei servizi pubblici locali, Milano 2005, 278 ss.; R. Weigmann, Le imprese di servizi pubblici
locali dopo la riforma societaria, in Scritti in onere di Vincenzo
Buonocore, Vol. III, Milano, 2005, 4075 ss.; E. Rolando, Servizi
pubblici locali in continuo movimento e novità in tema di riparto
di competenze fra Stato e Regioni nella «materia trasversale»
della tutela della concorrenza, in Giur. it., 2005, 838 ss. e F. Caringella, Diritto amministrativo, 2012, 617 ss.
(12) Cosi Cass., sez. un.,19 dicembre 2009, n. 26806, citata.
(13) È quanto affermato da Cass., sez. un., 22 dicembre
2009, n. 27092, in Foro it., 2010, I, col. 1472 con nota di G.
D’auria, Non esiste (con eccezioni) la responsabilità erariale per i
danni cagionati alle società pubbliche dai loro amministratori, ivi,
col. 1495 ss. In questa sentenza la Suprema Corte ha sancito
che sussiste la giurisdizione contabile quando la società – nonostante la «veste di società per azioni (peraltro partecipata totalitariamente da enti pubblici), abbia natura sostanziale di ente pubblico, con uno statuto assoggettato a regole legali», essendo designata direttamente dalla legge quale concessionaria dell’essenziale servizio pubblico radiotelevisivo, sottoposta
a penetranti poteri di vigilanza da parte di un’apposita commissione parlamentare; destinataria di un canone d’abbonamento avente natura di imposta; compresa tra gli enti sottoposti al controllo della Corte dei Conti cui lo Stato contribuisce in
via ordinaria; tenuta all’osservanza delle procedure ad evidenza pubblica nell’affidamento degli appalti. In tal caso l’esperibilità dell’azione di responsabilità amministrativa da parte del
Procuratore contabile non è ostacolata dalla possibilità di pro-
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I principi affermati dalla sentenza in commento
in tema di prevalenza della sostanza privatistica
della società di capitali rispetto a quella pubblica,
egualmente predicabile sulla base di un diverso approccio ermeneutico, sono in linea con quelli da
tempo affermati dalla Suprema Corte e recentemente ribaditi dalla stesso giudice di legittimità
nelle sentenze della Sez. I, 27 settembre 2013, n.
22209, che si è occupata della soggezione al fallimento delle società pubbliche e delle Sezioni Unite, 25 novembre 2013, n. 26283, relativa alle società “in house”.
Secondo la Suprema Corte le società partecipate
dalle pubbliche amministrazioni, indipendentemente dalla forma di tale partecipazione, sono in
tutto e per tutto assoggettate allo Statuto delle società commerciali regolate dal diritto privato e,
quindi, anche alla giurisdizione civile e al fallimento. Ed invero, secondo i citati arresti giurisprudenziali, una società non muta di certo la sua natura
di soggetto privato solo perché un ente pubblico
ne possiede, in tutto o in parte, il capitale. Inoltre,
le innumerevoli disposizioni normative speciali
che, nel corso degli anni, sono state emanate in tema di società pubbliche, non costituiscono un corpus unitario, sufficiente a regolamentare l’attività
ed il funzionamento di questi enti in modo sistematico né a modificarne la natura di soggetti di diritto privato, così da determinare l’inapplicabilità
della disciplina civilistica.
Secondo la Corte regolatrice proprio dall’esistenza di specifiche normative di settore che, negli ambiti da esse delimitati, attraggono nella sfera del diritto pubblico anche soggetti di diritto privato, può
ricavarsi a contrario, che, ad ogni altro effetto, tali
soggetti continuano a soggiacere alla disciplina privatistica. Fondamentale in materia sarebbe poi il
principio ricavabile dall’art. 4 della legge n. 70/75,
il quale, nel prevedere che nessun nuovo ente pubblico può essere istituito o riconosciuto se non per
legge, evidentemente richiede che la qualità di en-
te pubblico, se non attribuita da una espressa disposizione di legge, debba quantomeno potersi desumere da un quadro normativo di riferimento
chiaro ed inequivoco. Dunque, eventuali norme
speciali di carattere pubblicistico che siano volte a
regolare la costituzione della società, la partecipazione pubblica al suo capitale e la designazione dei
suoi organi, non sarebbero in grado di incidere in
modo determinante sul modo in cui essa opera nel
mercato né possono comportare il venir meno delle ragioni di tutela dell’affidamento dei terzi contraenti contemplate dalla disciplina privatistica.
Neppure l’eventuale divergenza causale rispetto
allo scopo lucrativo (tipica di molti enti improduttivi divoratori di pubbliche finanze) appare sufficiente ai giudici di vertice per escludere che, laddove sia stato adottato il modello societario, la natura giuridica e le regole di organizzazione della
partecipata restino quelle proprie di una società di
capitali disciplinata in via generale dal codice civile.
Ciò che rileva nel nostro ordinamento ai fini
dell’applicazione dello statuto dell’imprenditore
commerciale non è il “tipo dell’attività esercitata”,
ma la “natura del soggetto”. La scelta del legislatore di consentire l’esercizio di determinate attività a
società di capitali e, dunque, di perseguire l’interesse pubblico attraverso lo strumento privatistico
comporta tra l’altro che le società costituite assumano i rischi connessi alla loro insolvenza, pena la
violazione principi di uguaglianza e di affidamento
dei soggetti che con esse entrano in rapporto ed attesa la necessità del rispetto delle regole della concorrenza che impone parità di trattamento tra
quanti operano all’interno di uno stesso mercato
con le stesse forme e con le stesse modalità (14).
In tal modo il giudice di legittimità ha voluto
sbarrare la strada a qualunque operazione ermeneutica di riqualificazione soggettiva dell’ente basata
sull’affermazione di un (inesistente) principio di
neutralità della forma giuridica (15), mettendo a
fuoco gli argomenti decisivi per escludere la giurisdizione contabile sui danni cagionati dalla “mala
gestio” degli amministratori: l’alterità soggettiva tra
ente pubblico e la società, la diversità tra il danno
muovere l’ordinaria azione civilistica di responsabilità, poiché
la giurisdizione civile e quella contabile sono reciprocamente
indipendenti nei loro profili istituzionali, sicché il rapporto tra le
due azioni si pone in termini di alternatività anziché di esclusività, dando luogo a questioni non di giurisdizione ma di proponibilità della domanda. La decisione si pone in linea di sostanziale continuità con quanto già affermato dalle stesse Sezioni
Unite, nella sentenza 23 aprile 2008, n. 10443 (in Urbanistica e
appalti, 2008, 1083), riguardo alla natura di organismo di dirit-
to pubblico in forma societaria della Rai TV, costituita per soddisfare finalità di interesse generale nel settore delle comunicazioni radio e televisive. Sulla possibile concorrenza tra l’azione risarcitoria civile e quella contabile esercitata ad istanza del
Procuratore della Corte dei conti si legga, da ultimo, Cass., sez
un., 17 aprile 2014, n. 8927 (a quanto consta inedita).
(14) Così Cass., sez. I, 27 settembre 2013, n. 22209, citata.
(15) In questi esatti termini F. Fimmanò, La giurisdizione sulle società in house providing, in questa Rivista, 2013, 67.
2. L’affermazione dell’inderogabilità dello
statuto privatistico dell’imprenditore
commerciale
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Quando la Cassazione, nella sentenza 22209 del
2013, che costituisce l’antecedente logico della decisione in esame, afferma che non è possibile enucleare, in via descrittiva, uno statuto unitario delle
società in mano pubblica, «le quali (come può accadere anche a società a capitale interamente privato) sono assoggettate alle normative pubblicistiche nei settori di attività in cui assume rilievo la
natura pubblica dell’interesse perseguito, da realiz-
zare attraverso disponibilità finanziarie pubbliche»,
forse fa una considerazione corretta. Quando, invece, dichiara che le innumerevoli disposizioni normative speciali che, nel corso degli anni, hanno riguardato le società pubbliche, come pure l’abdicazione allo “scopo lucrativo”, che costituisce l’essenza dell’impresa privata, non sono sufficienti a far sì
che “possa predicarsene l’appartenenza ad un tertium genus” probabilmente non coglie nel segno,
tanto che deve in alcuni passaggi cercare conforto
nella dottrina (16). Le società pubbliche costituiscono in effetti una compagine così eterogenea, regolata “da diritti speciali e singolari” che risulta
difficile individuarne i tratti comuni (17), ma ciò
non basta per negarne la “specialità” (18).
Diversamente da quanto affermato dal giudice
di legittimità, a modesto avviso di scrive, l’indagine sulla natura delle società pubbliche, deve partire dalla loro storia che, com’è noto, ha presso le
mosse in massima parte dalla stagione delle privatizzazioni (19) ed ha condotto in molti casi ad una
mera privatizzazione formale degli enti pubblici
economici e delle aziende autonome dello Stato (20) ma, soprattutto, deve tenere conto delle
numerose disposizioni pubblicistiche ad esse appli-
(16) Si sono espressi decisamente a favore dell’irrilevanza
della partecipazione pubblica e della prevalenza della disciplina
privatistica: G. Oppo, Pubblico e privato nelle società partecipate, in Riv. dir. civ., 2005, II, 167 ss.; C. Ibba, Azione ordinaria di
responsabilità e azione di responsabilità amministrativa in materia di società in mano pubblica. Il rilievo della disciplina privatistica, in AA. VV., Responsabilità amministrativa e giurisdizione
contabile (ad un decennio dalle riforme), Milano, 2006, 301 ss.;
G. Costantino, Un discutibile si alla giurisdizione contabile sulle
azioni “accessorie”, in Corr. giur., 2008, 246 ss; M. Antonioli,
Società a partecipazione pubblica e giurisdizione contabile, Milano, 2008, passim; L. E. Fiorani, Le azioni di responsabilità nelle
società a partecipazione pubblica, in Giur. comm., 2011, II, 316
ss.; F. Fimmanò, Le società pubbliche: natura del soggetto e natura dell’attività, in AA.VV., Raccolta degli atti dell’incontro di
studi sul tema: “Le società pubbliche: il difficile rapporto fra le
giurisdizioni”, Roma, 2013, 332. in AA.VV., Raccolta degli atti
dell’incontro di studi “Le società pubbliche: il difficile rapporto
fra le giurisdizioni”, Roma, 2013, 332.
(17) Così M. Cammelli, Società pubbliche (diritto amministrativo), in Enc. Dir. Annali, Milano, 2012, 1190 ss.
(18) Sul tema si rinvia a M. T. Cirenei, Le imprese pubbliche,
Milano, 1983, passim e M. T. Cirenei (a cura di), Le società per
azioni a partecipazione pubblica, in Trattato delle società per
azioni diretto da Colombo e Portale, Vol. VIII, Torino, 1992, 3
ss. ed ivi, in particolare, C. Ibba, Gli statuti singolari, 526 ss.; R.
Rodorf, Le società pubbliche nel codice civile, in questa Rivista,
2005, 423 ss.; G. Gruner, Enti pubblici a struttura di S.p.A.,
Contributo allo studio delle società “legali” in mano pubblica di
rilievo nazionale, Torino, 2009, passim, G. Terracciano, La natura giuridica delle società a partecipazione pubblica e dei consorzi
per la gestione dei servizio pubblici locali, in F. Fimmanò (a cura
di), Le società pubbliche, Milano, 2011, 93 ss.; M. Cammelli,
Società pubbliche (diritto amministrativo), in Enc. Dir. Annali,
Milano, 2012, 1200.
(19) Il processo di privatizzazione è stato inaugurato nel no-
stro Paese con il D.L. 5 dicembre 1991, n. 386 (conv. con l. 29
gennaio 1992, n. 35), intitolato “Trasformazione degli enti pubblici economici, dismissione delle partecipazioni statali ed alienazione di beni patrimoniali suscettibili di gestione economica”, il quale, all’art. 1, ha disposto che «gli enti di gestione delle partecipazioni statali e gli altri enti pubblici economici, nonché le aziende autonome statali, possono essere trasformati in
società per azioni» ed è stato attuato con le disposizioni dettate dal D.L. 11 luglio 1992, n. 33 (conv. con legge 8 agosto
1992, n. 359), le quali hanno provveduto alla trasformazione
ex lege in società per azioni dell’Istituto nazionale per la ricostruzione industriale - IRI, dell’Ente nazionale idrocarburi - ENI,
dell’Istituto nazionale assicurazioni - INA e dell’Ente nazionale
energia elettrica - ENEL (art. 15), hanno devoluto al Ministro
del tesoro il compito di sottoporre al Presidente del Consiglio
dei ministri un programma urgente (“entro tre mesi”) di riordino delle partecipazioni statali, d’intesa con i Ministri del bilancio e della programmazione economica, dell’industria, del
commercio e dell’artigianato e delle partecipazioni statali e
hanno attribuito al CIPE la facoltà di deliberare la trasformazione in società per azioni degli enti pubblici economici, qualunque fosse il loro settore di attività, tant’è che già nelle more
della conversione dell’accennato D.L. con delibera CIPE 12
agosto 1992, l’Ente Ferrovie dello Stato è stato trasformato in
S.p.a. mentre con l’art. 3 del D.L. 14 agosto 1992, n. 365 (non
convertito in legge), con il Governo ha tentato la trasformazione in S.p.a. dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di
Stato.
(20) È stata definita “privatizzazione in senso formale”, quel
fenomeno di trasformazione delle nostre aziende autonome e
degli enti pubblici economici consistente nell’adozione di una
forma giuridica di carattere privatistico (ad. es. società per
azioni), in luogo di quella pubblicistica dell’ente, già strutturato
come “azienda autonoma” o “ente pubblico economico”. La
privatizzazione formale si distingue da quella sostanziale che si
estrinseca invece nel passaggio della proprietà (o del controllo)
al patrimonio sociale e quello al patrimonio del socio pubblico (il danno cagionato dalla “mala gestio”
degli amministratori è danno che incide sul patrimonio della società e non immediatamente un
danno erariale), la mancanza per la maggior parte
delle società partecipate di un rapporto di servizio
tra la società e l’ente pubblico e, tantomeno, tra
gli amministratori della partecipata e l’ente che resta privato con un proprio patrimonio separato da
quello dei soci, l’assenza di una norma speciale attributiva della giurisdizione (cosiddetta interpositio
legislatoris).
3. La specialità delle società partecipate
dallo Stato e dagli altri enti pubblici
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cabili (21), se si conviene di abbandonare aprioristiche ricostruzioni teoriche non in grado di apportare alcun argomento risolutivo al tema di cui
ci occupiamo (22).
Orbene, in disparte le norme che hanno regolato
l’istituzione di Società statali come l’Alitalia (23),
la RAI (24), le Autotrade S.p.A. (25), l’ENI (26) e
l’ENEL (27), il legislatore ha dettato una serie di
disposizioni specifiche per tutte le società partecipate, certamente non applicabili alle società private regolate dal codice civile, che valgono a connotarle come società di diritto privato quantomeno
“speciali”.
Tanto per limitarsi agli interventi normativi più
recenti e senza pretesa di esaustività, occorre ricordare che le società partecipate dallo Stato e dagli
altri enti pubblici che beneficiano di trasferimenti
di pubblico denaro sotto forma di corrispettivi per
i contratti di servizio stipulati con l’amministrazione, per l’acquisizione di quote societarie, per aumenti di capitale e per la copertura delle perdite (28), devono ritenersi soggette ai poteri istruttori del procuratore della Corte dei Conti a norma
dell’art. 5, comma 6, del D.L. 15 novembre 1993,
n. 453 (conv. con legge 14 gennaio 1994, n. 19),
contenente “Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei Conti”, in quanto
beneficiarie” di provvidenze finanziarie a carico dei
bilanci pubblici”.
L’art. 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97, afferente “norme sul rapporto tra procedimento penale
e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato
penale nei confronti dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni” ha poi disposto la trasmissione della sentenza di condanna “al competente Procuratore Regionale della Corte dei conti, affinché
promuova entro trenta giorni l’eventuale procedimento per danno erariale nei confronti del condannato”, ancorché detta condanna riguardi gli
amministratori ed i dipendenti di enti a prevalente
partecipazione pubblica e, dunque, anche le società
partecipate dallo Stato e dagli altri organismi pubblici cui pure spetta la qualifica di “enti” (29).
L’azione intesa a far valere la responsabilità amministrativa patrimoniale nei confronti degli amministratori delle società pubbliche è stata quindi
pacificamente ammessa dall’art. 16bis del D.L. 31
dicembre 2007, n. 248, introdotto dalla legge di
conversione 28 febbraio 2008, n. 31 (intitolato,
non a caso, “Responsabilità degli amministratori di
società quotate partecipate da amministrazioni
pubbliche”), limitatamente agli amministratori di
società a partecipazione maggioritaria dello Stato (30).
Ma le norme speciali per le società partecipate e
finanziate dallo Stato o da altri enti pubblici non
finiscono qui. Ed invero l’art. 3, comma 44, della
legge 24 dicembre 2007, n. 244, ha imposto una li-
di imprese pubbliche da un ente pubblico a soggetti privati
(così P.G. Jeger, Privatizzazioni, I, Profili generali in Enc. giur.
Trecc., Vol. XXIV, Agg. 1995, 2 ad vocem; G. Di Gaspare, Privatizzazioni, II, Privatizzazione delle imprese pubbliche, Enc. giur.
Trecc., Vol. XXIV, Agg. 1995, 2 ad vocem).
(21) In questi termini A. Graziani, Partecipazioni pubbliche e
società per azioni, in Riv. Internaz. Sc. Ec. e Comm., 1956, 408
ss.
(22) Un approccio meramente teorico renderebbe sin troppo agevole individuare nelle società partecipate le caratteristiche dell’ente pubblico così come delineate da autorevole dottrina (G. Miele, La distinzione fra ente pubblico e privato, in
Scritti giuridici, Milano, 1987, 366). Il carattere dell’ente pubblico ricorrerebbe qualora dette società: a) siano costituite su iniziativa dei pubblici poteri, b) uno o più componenti degli organi direttivi siano nominati da un ente pubblico; c) fruiscano di
finanziamenti pubblici, d) gli organi dell’ente possano essere
sciolti su iniziativa pubblica, e) l’ente, l’attività o determinati atti siano soggetti al controllo pubblico; f) l’ente sia titolare di
potestà pubbliche. La ricordata definizione di “ente pubblico”
è sostanzialmente coincidente con quella di organismo di diritto pubblico di cui all’art. 1, comma 9, della Direttiva
2004/18/CE, rifluito nell’art. 3, comma 26, del D.lgs. 12 aprile
2006, n. 163, che tuttavia, per quanto qui interessa, esclude
dalla categoria gli enti aventi “carattere industriale o commerciale”.
(23) Art. 1, D.lgs. C.p.S., 4 settembre 1946, n. 88, ratificato
con legge 17 aprile 1956, n. 561.
(24) Art. 3, L. 14 aprile 1975, n. 103 e ora art. 20 della legge
3 maggio 2004, n. 112.
(25) Art. 16, L. 24 luglio 1961, n. 729.
(26) Art. 15, D.L. 11 luglio 1992, n. 33 (conv. con legge 8
agosto 1992, n. 359),
(27) Art. 15, D.L. 11 luglio 1992, n. 33 (conv. con legge 8
agosto 1992, n. 359),
(28) Ancorché la copertura delle perdite delle società partecipate sia stata vietata alle P.A. dall’art. 6, comma 19, del D.L.
31 maggio 2010, n. 78 (conv. con legge 30 luglio 2010, n. 122)
essa viene talora effettuata in forme diverse da quelle vietate
dalla legge, ma pur sempre elusive della volontà del legislatore. Sul punto G. Bragò, Il controllo di sana gestione finanziaria
dell’ente locale mediante verifiche su veridicità e attendibilità dei
bilanci della propria società partecipata, in Azienditalia, 3/2012,
Inserto, pag. XI.
(29) Nel linguaggio comune il termine ente (dal latino ens,
id quod est) è sinonimo di “organizzazione, persona, soggetto”. Così T. De Mauro, Grande dizionario italiano dell’uso, Vol.
II, Torino, 2000, 865. Nel linguaggio giuridico l’espressione viene impiegata per indicare tutte le persone giuridiche “pubbliche o private”. Così G. Landi, Ente, in Enc. dir., Vol. XIV, Milano, 1965, 961, ss.
(30) L’art. 16 bis, della legge n. 31/2008, stabilisce che «per
le società con azioni quotate in mercati regolamentati, con
partecipazione anche indiretta dello Stato o di altre amministrazioni o di enti pubblici, inferiore al 50 per cento, nonché
per le loro controllate, la responsabilità degli amministratori e
dei dipendenti è regolata dalle norme del diritto civile e le relative controversie sono devolute esclusivamente alla giurisdizione del giudice ordinario».
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mitazione degli emolumenti e delle retribuzioni
spettanti a tutti coloro (amministratori, direttori
generali, dirigenti, funzionari e collaboratori esterni) che abbiano instaurato un rapporto di lavoro
dipendente o autonomo con le pubbliche amministrazioni, comprese le agenzie, gli enti pubblici anche economici, le “società non quotate a totale o
prevalente partecipazione pubblica nonché le loro
controllate”. Tra l’altro in caso di violazione della
disposizione, l’amministratore anche della società,
che abbia disposto il pagamento e il destinatario
del medesimo, sono tenuti al rimborso, a titolo di
danno erariale, di una somma pari a dieci volte
l’ammontare eccedente la cifra consentita.
L’art. 4 del D.L. 6 luglio 2012, n. 95 (conv. con
modif. con legge 7 agosto 2012, n. 135) afferente
“Disposizioni urgenti per la revisione della spesa
pubblica…”, ha poi dettato una serie di disposizioni volte, come fatto palese dalla rubrica, alla “Riduzione di spese, messa in liquidazione e privatizzazione di società pubbliche”, per nulla assimilabili a
quelle private nelle intenzioni del legislatore. Invero sono state definite espressamente “società pubbliche”, per distinguerle da quelle private, le società «controllate direttamente o indirettamente dalle
pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1,
comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001».
Il comma 12 dell’articolo appena richiamato, ha
quindi ribadito la responsabilità per “danno erariale” degli amministratori esecutivi e dei dirigenti responsabili della società controllate dallo Stato (già
responsabili in virtù dell’art. 16bis del D.L. 31 dicembre 2007, n. 248) per le retribuzioni ed i compensi indebitamente erogati in virtù dei contratti
stipulati in violazione dei vincoli di assunzione (31) ed oltre i limiti massimi della retribuzione
prevista, estendendo detta responsabilità a tutti gli
amministratori delle società controllate dalle pubbliche amministrazioni (32).
Questa disposizione, lungi dall’essere espressione
di una regolamentazione particolare ed asistemati-
ca, come erroneamente ritenuto dalla Cassazione,
rappresenta invece la naturale conseguenza di un
impianto normativo che ha tentato di regolamentare in modo coerente con i fini pubblici, l’attività
delle società controllate dalle pubbliche amministrazioni. Ed invero le società pubbliche, proprio
perché alimentate con risorse pubbliche (da cui la
metafora “la vacca di razza assai strana” richiamata
all’inizio) non sono mai state considerate dal legislatore neutrali ai fini del rispetto dei vincoli di finanza pubblica derivanti dalla partecipazione dell’Italia al processo di integrazione economica e monetaria europea (33).
Pertanto l’art. 2bis del D.L. 25 giugno 2008, n.
112 (conv. con modif. con legge 6 agosto 2008, n.
133) ha previsto che: «Le disposizioni che stabiliscono, a carico delle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo
2001, n. 165, e successive modificazioni, divieti o limitazioni alle assunzioni di personale si applicano,
in relazione al regime previsto per l’amministrazione
controllante, anche alle società a partecipazione
pubblica locale totale o di controllo che siano titolari di affidamenti diretti di servizi pubblici locali
senza gara, ovvero che svolgano funzioni volte a
soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale né commerciale, ovvero che
svolgano attività nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di
natura pubblicistica inserite nel conto economico
consolidato della pubblica amministrazione, come
individuate dall’Istituto nazionale di statistica
(ISTAT) ai sensi del comma 5 dell’ articolo 1 della
legge 30 dicembre 2004, n. 311. Le predette società
adeguano inoltre le proprie politiche di personale
alle disposizioni vigenti per le amministrazioni controllanti in materia di contenimento degli oneri
contrattuali e delle altre voci di natura retributiva o
indennitaria e per consulenze».
L’art. 3 bis del D.L. 13 agosto 2011, n. 138
(conv. con legge 14 settembre 2011, n. 148) ha
(31) L’art. 4, comma 10, del D.L. 95/2012 ha infatti disposto
che: «A decorrere dall’anno 2013 le società di cui al comma 1
[società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto
legislativo n. 165 del 2001, n.d.a.] possono avvalersi di personale a tempo determinato ovvero con contratti di collaborazione coordinata e continuativa nel limite del 50 per cento della
spesa sostenuta per le rispettive finalità nell’anno 2009. Le
medesime società applicano le disposizioni di cui all’articolo 7,
commi 6 e 6bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165,
e successive modificazioni, in materia di presupposti, limiti e
obblighi di trasparenza nel conferimento degli incarichi».
(32) Questa disposizione è stata interpretata come indicativa dell’ammissibilità dell’azione contabile per danno erariale
sugli amministratori delle società pubbliche da Corte dei Conti,
sez. I, Appello, 14 dicembre 2012, n. 809 e da Corte dei Conti,
sez. I Centrale d’Appello, 19 novembre 2012, n. 673.
(33) I vincoli finanziari europei derivano dall’art. 126 del
Trattato sul funzionamento dell’Unione europea che ha aggiornato il disposto dell’art. 104 del Trattato sulla Comunità Europea e dal relativo Protocollo 12 del Trattato sui disavanzi pubblici eccessivi, dal Regolamento 25 giugno 1996, n. 2223, sul
Conto economico Consolidato delle pubbliche amministrazioni
(Sistema SEC/95) nonché dai Regolamenti CE 17 luglio 1997,
n. 1446 e 1447, dalla Risoluzione del Consiglio 17 giugno
1997, n. 97/C (relativa al Patto di stabilità e di crescita). In argomento P. Ruffini, Il Patto di stabilità interno per gli Enti locali,
Santarcangelo di Romagna, 2012, passim.
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quindi stabilito, al comma 5, che le società affidatarie di servizi pubblici locali in house siano assoggettate al patto di stabilità interno, imponendo all’ente locale un obbligo di vigilanza sull’osservanza
da parte delle nominate società dei vincoli derivanti dal predetto patto. Le società affidatarie in
house sono quindi state obbligate all’acquisto di
beni e servizi secondo le disposizioni sugli appalti
pubblici dettate dal decreto legislativo 12 aprile
2 0 0 6 , n . 1 6 3 . L o s t e s s o a r t . 3 b i s d e l D. L .
138/2011, ha poi imposto alle stesse società in house di adottare «con propri provvedimenti, criteri e
modalità per il reclutamento del personale e per il
conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi di cui al comma 3 dell’articolo 35 del decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nonché delle disposizioni che stabiliscono a carico degli enti locali
divieti o limitazioni alle assunzioni di personale,
contenimento degli oneri contrattuali e delle altre
voci di natura retributiva o indennitarie e per le
consulenze anche degli amministratori».
L’art. 1, commi 33 e 39 della legge 6 novembre
2012, n. 190, recante “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione” ha obbligato
tutte le società partecipate dallo Stato e dagli altri
enti pubblici a rendere accessibili le informazioni
riguardanti i procedimenti che interessano i cittadini, nonché a comunicare, in occasione del monitoraggio posto in essere ai fini dell’articolo 36,
comma 3, del medesimo decreto legislativo n. 165
del 2001 «tutti i dati utili a rilevare le posizioni dirigenziali attribuite a persone, anche esterne alle
pubbliche amministrazioni, individuate discrezionalmente dall’organo di indirizzo politico senza
procedure pubbliche di selezione», al fine di garantire, tra l’altro, «l’esercizio imparziale delle funzioni
amministrative e di rafforzare la separazione e la reciproca autonomia tra organi di indirizzo politico e
organi amministrativi». Al rispetto degli obblighi
di trasparenza previsti dal D.lgs. 14 marzo 2013, n.
33, sono obbligate, sia pure limitatamente alla attività di pubblico interesse disciplinate dal diritto
nazionale o dell’Unione europea, anche le società
partecipate dalle pubbliche amministrazioni e quelle da esse controllate ai sensi dell’articolo 2359
c.c. (34).
L’esame delle disposizioni richiamate evidenzia
che le società pubbliche derivanti dalle cosiddette
privatizzazioni formali ovvero appositamente costituite dallo Stato e dagli enti locali come loro articolazioni organizzative, indipendentemente dalla
partecipazione dei privati e dalla prevalente destinazione dell’attività a favore dell’ente pubblico, sono considerate dal legislatore in modo del tutto peculiare rispetto a quelle costituite dai privati, cui
simili obblighi non potrebbero essere imposti, non
già in virtù della loro natura privata determinata
dalla “personalità giuridica”, ma dalla genesi privatistica, dall’autofinanziamento o dal ricorso al mercato finanziario, dall’economicità della gestione e
dalla finalità lucrativa (35).
Sembra dunque possibile formulare una prima
conclusione in contrasto con le conclusioni della
Suprema Corte: le “società partecipate dallo Stato
e dagli altri enti pubblici” costituiscono una categoria di enti assunta dal legislatore nell’ambito di
molteplici fattispecie legali per il fatto della loro
peculiare connotazione soggettiva che deriva dalla
loro genesi, dalle loro finalità istituzionali e dalla
costituzione del loro patrimonio (che pur formalmente privato, è soggetto a varie forme di contributi pubblici spesso consistenti che ne garantiscono la sopravvivenza, anche in contrasto con le disposizioni europee che vietano gli aiuti di Stato (il
caso Alitalia né è un esempio lampante). Queste
società, sono ontologicamente differenti dalle società private, assimilabili a “vacche di razza assai
speciale” (36), tant’è che il legislatore, in contrasto con la tesi della loro natura privatistica pervi-
(34) Cfr. art. 11, D.lgs. n. 33/2013. A tale proposito la recente circolare della presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della funzione pubblica, 14 febbraio 1014, n. 1, ha chiarito come sia evidente la volontà del legislatore di includere
nell’ambito soggettivo delle pubbliche amministrazioni tutti
quei soggetti che, indipendentemente dalla loro normale veste
giuridica, perseguano finalità di interesse pubblico, in virtù di
un affidamento diretto o di un rapporto autorizzatorio o concessorio e che gestiscono o dispongono di risorse pubbliche.
(35) Sui principi che regolano il funzionamento delle aziende private si vedano A. Amaduzzi, L’azienda nel suo sistema
operante, Torino, 2002, passim; P. Bastia, Principi di economia
aziendale, Padova, 2013, passim, G. Paolone, L’economia
aziendale e la ragioneria, Milano, 2011, passim. Fondamentale
è il principio dell’equilibrio aziendale il quale si estrinseca nella
realizzazione delle condizioni necessarie per il suo manteni-
mento in vita il suo durevole sviluppo per un tempo indefinito
e comunque nel lungo periodo. Tali condizioni sono: la condizione patrimoniale di equilibrio; la condizione finanziaria di
equilibrio e la condizione economica di equilibrio. Anche gli
enti pubblici economici erano chiamati a perseguire le condizioni dell’equilibrio aziendale, ritraendo dalla cessione dei beni
e servizi prodotti, almeno tendenzialmente, quanto ad essi occorreva per compensare il costo dei fattori produttivi impiegati. In questi termini V. Ottaviano, Ente pubblico, in Enc. dir. Vol.
XIV, Milano, 1965, 963 ss. e F. Galgano, Diritto commerciale,
L’imprenditore, Bologna, 1989, 41.
(36) Queste società infatti hanno spesso una genesi legale
e non contrattuale o derivano dalla trasformazione di un ente
pubblico o di un’azienda speciale, sono dirette statutariamente
al perseguimento di finalità pubblicistiche (enti strumentali), i
componenti del consiglio di amministrazione dell’ente vengo-
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cacemente sostenuta dalla Cassazione ha definito
«società pubbliche» quelle «controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto
legislativo n. 165 del 2001».
4. Alterità soggettiva, autonomia
patrimoniale delle società pubbliche e
mancanza del rapporto di servizio
Nella sentenza in commento la Cassazione ha ribadito che le società per azioni, indipendentemente
dalla loro genesi legale piuttosto che contrattuale,
costituiscono persone giuridiche riconosciute dall’ordinamento come soggetti distinti dai singoli soci partecipanti «non essendo pertanto configurabile né un
rapporto di servizio tra l’agente e l’ente pubblico titolare della partecipazione, né un danno direttamente arrecato allo Stato o da altro ente pubblico, idonei a radicare la giurisdizione della Corte dei conti».
Non si ignora che per effetto del riconoscimento
della personalità giuridica si determina una completa autonomia formale della società dalle persone
dei soci, sia nei rapporti interni sia nei rapporti
esterni (37), né che all’origine di tale autonomia,
garantita proprio dalla attribuzione della personalità giuridica, vi sia stata l’esigenza di tutelare la responsabilità limitata dei soci nelle società di capitali. La limitazione della responsabilità dei soci,
contrapposta a quella generale dell’imprenditore
individuale ex art. 2740 del codice civile, è tuttora
uno strumento fondamentale per lo sviluppo dell’economia consentendo a coloro che lo desiderano
di destinare all’esercizio di un’attività economica
sono una parte del proprio patrimonio (38).
Tuttavia non sembra del tutto corretto far derivare automaticamente dalla perfetta autonomia
soggettiva della società l’esclusione della giurisdizione contabile in primo luogo perché questa autonomia non ha impedito alla stesso giudice della
no nominati da uno o più enti pubblici, sono assoggettate a
penetranti poteri di eterodirezione delle attività sociali e alla vigilanza dell’ente pubblico, dipendono in gran parte da finanziamenti pubblici, spesso mascherati sotto forma acquisti di azioni, fideiussioni (ecc.), sono talora assoggettate al controllo
concomitante e referente della Corte dei Conti ai sensi della
legge 21 marzo 1958, n. 259, sono soggette al rispetto delle
regole dell’evidenza pubblica, ai limiti di assunzione del personale a la patto di stabilità, non svolgono attività economica in
regime di libero mercato ma esclusivamente a favore dell’ente
pubblico (società in house), non hanno quella finalità lucrativa
che costituisce l’essenza dell’attività sociale e non provvedono
alla distribuzione degli utili tra i soci. In questi termini M. Minerva, Intervento in AA.VV., Raccolta degli atti dell’incontro di
studio sul tema: “Le società pubbliche: il difficile rapporto fra le
giurisdizioni”, Roma, 2013, 292 ss.
Le Società 8-9/2014
nomofilachia di individuare un rapporto di servizio
tra l’amministrazione controllante e la società
quando quest’ultima costituisca a sua volta un ente
pubblico (come la Rai) (39) ovvero, nonostante la
veste societaria, la partecipata costituisca di fatto
un’articolazione organizzativa dell’ente locale, come nel modello di “società in house”.
A proposito di queste società la Corte regolatrice ha altrove espressamente affermato che in esse
«la distinzione tra patrimonio dell’ente quello della
società si può porre in termini di separazione patrimoniale ma non di distinta titolarità», derivandone che il danno eventualmente inferto al patrimonio della società di atti illegittimi degli amministratori «è arrecato ad un patrimonio (separato, ma
pur sempre) riconducibile all’ente pubblico: è
quindi un danno erariale che giustifica l’attribuzione alla Corte dei conti della giurisdizione sulla relativa azione di responsabilità» (40), disboscando il
sentiero della riqualificazione soggettiva delle società, da tempo abbandonato.
Infatti in una sentenza di qualche anno fa la Suprema Corte aveva già affermato che «il baricentro
per discriminare la giurisdizione contabile da quella
ordinaria si è spostato dalla qualità del soggetto,
che può essere un privato o un ente pubblico non
economico, alla natura del danno e agli scopi perseguiti» (41).
Orbene, se nelle società in house la Suprema
Corte ha ritenuto di poter individuare un patrimonio separato riconducibile all’ente pubblico, un’analoga condizione di “mera separatezza patrimoniale” dovrebbe essere ravvisata in tutte quelle società
che fruiscono di finanziamenti pubblici per l’adempimento di finalità collettive sotto forma di corrispettivi per i servizi erogati o di contribuiti per il
ripiano delle perdite (erogati anche sotto forma di
acquisti di azioni o immobili, ecc.), di talché la distinzione tra patrimonio dell’ente e patrimonio sociale risulterebbe «meramente formale in quanto
(37) In questi esatti termini G. Ferri, Manuale di diritto commerciale, Torino, 2006, 266 ss.
(38) Sulle origini del concetto di “persona giuridica” tra diritto romano, canonico e germanico, si rinvia a F. Ferrara, Trattato di diritto civile, Roma, 1921, 597, e F. Goisis, Contributo allo studio delle società in mano pubblica come persone giuridiche, Milano, 2004, 10 ss. da cui possono trarsi ulteriori indicazioni bibliografiche. Sulle ragioni dell’attribuzione della personalità giuridica alle società di capitali si veda A. Gambino, Limitazione di responsabilità, personalità giuridica e gestione societaria, in AA.VV., Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum Gian
Franco Campobasso, Vol. I, Torino, 2006, 43 ss.
(39) Cass., sez. un., 22 dicembre 2009, n. 27092, citata.
(40) Cass., sez. un., 25 novembre 2013, n. 26283.
(41) Cass., sez. un., 24 novembre 2009, n. 24672.
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quello societario è formato da quello pubblico» e
«quest’ultimo risente delle perdite finanziarie della
società e del suo eventuale dissesto, che si risolvono in una sottrazione all’ente pubblico di disponibilità monetarie» (42).
In caso di società partecipate strumentali al perseguimento di fini pubblici non può neppure escludersi l’esistenza di un rapporto di servizio tra la società
(ed i suoi amministratori di nomina pubblica) e
l’ente pubblico perché, come insegna la stessa Cassazione, tale rapporto andrebbe ravvisato ogni qualvolta si instauri una relazione non organica ma
“funzionale”, tale cioè da collocare il soggetto esterno nell’iter procedimentale dell’ente pubblico, come
compartecipe fattivo dell’attività amministrativa (43). Come da tempo evidenziato dalla Suprema
Corte il rapporto di servizio sussiste anche tra l’ente
pubblico e le società destinatarie di pubbliche concessioni nell’interesse generale (44). Il rapporto di
servizio si instaura anche senza investitura formale
essendo sufficiente che taluno si ingerisca in via di
fatto nella gestione delle risorse pubbliche (45).
Allora come si può pianamente escludere, sulla
scorta della sola interpretazione sistematica, un
rapporto di servizio tra la partecipata pubblica concessionaria del servizio di distribuzione dell’energia
elettrica (soggetta, si legge nella relazione agli azionisti, al controllo di fatto del Ministero dell’economia, che detiene in essa una partecipazione di controllo pari al 31,24% del capitale sociale ed il cui
amministratore delegato di fatto designato dall’azionista pubblico) ed il Ministero dell’Economia e
delle Finanze (46), o tra una società concessionaria
del servizio autostradale, controllata dalla Regione
e lo stesso ente pubblico (47), ovvero tra la s.p.a.
interamente partecipata da un Comune per conto
del quale gestiva il servizio di riscossione degli incassi dei parcometri e lo stesso ente locale (48), o
quando, come nel caso in esame, una società per
azioni sia null’altro che la risultante della mutazione dello statuto di un pubblico Consorzio di Bacino, avente ad oggetto l’espletamento del servizio
pubblico di nettezza urbana a favore degli enti consorziati, cioè l’effetto di una mutazione non sostanziale, ma meramente giuridica? (49).
Eccoci quindi giunti ad una seconda conclusione:
anche qualora mancassero nell’ordinamento esplicite disposizioni attributive della giurisdizione, in base
al diritto vivente, i manager pubblici, nominati dal
Ministero dell’economia o dagli organi di vertice
degli enti regionali e locali, devono ritenersi «collocati in una relazione funzionale con lo Stato o l’ente pubblico» (50) e, proprio per questo motivo costoro possono essere chiamati a rispondere del danno erariale provocato con le loro scelte «di gestione
al patrimonio della società che è patrimonio del socio pubblico o di suo diretto interesse» in quanto,
in ultima analisi, «l’interesse sociale non è che l’interesse pubblico del caso concreto, un interesse di
finanza pubblica che può rintracciarsi fuso in ogni
statuto delle s.p.a. in mano pubblica» (51).
(42) In questi termini S. Nottola, Relazione di sintesi, in
AA.VV., Raccolta degli atti dell’incontro di studi sul tema: “Le
società pubbliche: il difficile rapporto fra le giurisdizioni”, Roma,
2013, 332.
(43) In questi termini Cass., sez. un., 26 febbraio 2004, n.
3899, che ha affermato la giurisdizione della Corte dei Conti riguardo al danno cagionato da un assessore comunale e dall’amministratore di una società per azioni quasi interamente
partecipata dal Comune, avente ad oggetto l’esercizio dei mercati all’ingrosso, a seguito della stipulazione di un contratto
svantaggioso per l’ente in conseguenza di un accordo illecito
basato sulla percezione di tangenti. Sul rapporto di servizio cfr.
L. Venturini, Giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica,
in AA.VV. I giudizi innanzi alla Corte dei Conti, Responsabilità,
Conti, Pensioni, Milano, 2007, 61 ss. S.M. Pisana, La responsabilità amministrativa, Torino, 2007, 118 ss.
(44) Hanno affermato la sussistenza di un rapporto di servizio tra ente pubblico e società concessionaria Cass., sez. un.,
3 luglio 2009, n. 15599; Cass., sez. un., 22 febbraio 2007, n.
4112; Cass., sez. un., 30 marzo 1990, n. 2611 e Cass., sez.
un., 30 marzo 1990, n. 2612.
(45) Cass., sez. un., 10 ottobre 2002, n. 14473, in Riv. Corte
Conti, 2002, 212 ss.
(46) Come nel caso su cui si è pronunciata Cass., sez. un.,
19 dicembre 2009, n. 26806, cit., che non ha ravvisato i presupposti per l’esercizio dell’azione di responsabilità del Procuratore della Corte dei Conti.
(47) Come nei casi su cui si sono pronunciate Cass., sez.
un., 5 luglio 2011, n. 14655, cit., e Cass., sez. un., 12 febbraio
2014, n. 3201, cit., che hanno escluso la sussistenza dei presupposti per l’esercizio dell’azione di responsabilità del Procuratore della Corte dei Conti.
(48) Come nel caso su cui si è tralatiziamente pronunciata
Cass., sez. un., 25 marzo 2013, n. 7374 (cit.), che non ha ravvisato i presupposti per l’esercizio dell’azione di responsabilità
del Procuratore della Corte dei Conti.
(49) La giurisdizione contabile in materia è stata affermata,
con puntuali argomentazioni sistematiche, di pregio non inferiore a quelle costantemente impiegate dalla Cassazione per
negare la giurisdizione sulle società e gli enti pubblici, gestiti in
forme privatistiche, dalla Corte dei Conti, Sez. I Centrale d’Appello, con la sentenza 19 novembre 2012, n. 673.
(50) Corte dei Conti Trentino-A. Adige, Sez. giurisdiz., 11
febbraio 2009, n. 94.
(51) In questi termini G. Caputi Jambrenghi, Azione ordinaria di responsabilità ed azione di responsabilità amministrativa in
materia di società in mano pubblica. L’esigenza di tutela degli
interessi pubblici, cit., 374.
966
5. Esistenza di specifiche norme attributive
della giurisdizione in materia di
responsabilità alla Corte dei Conti
La sentenza in commento ha affermato che la
normativa sulle società pubbliche a causa del proprio
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«carattere spesso frammentario e contingente, non
assumerebbe le caratteristiche di un sistema conchiuso a se stante, ma appare come una serie di deroghe alla disciplina generale» ribadendo quella concezione atomistica delle norme di settore che consente di escludere la specialità delle società pubbliche. Altrove il giudice di legittimità, nell’erroneo
convincimento della mancanza del rapporto di servizio, tra enti pubblici e società controllate dallo Stato
o dagli enti pubblici, ha ricordato che l’attribuzione
della giurisdizione contabile sulle società pubbliche
alla Corte dei Conti, richiede un’esplicita attribuzione normativa non essendo direttamente ricavabile
dall’art. 103 della Costituzione (c.d. interpositio legislatoris) (52), riprendendo gli argomenti elaborati ella giurisprudenza costituzionale in materia (53).
A proposito dell’interpositio legislatoris occorre
tuttavia ricordare che già l’art. 52 del R.D. 12 luglio 1934, n. 1214, assoggettava alla giurisdizione
contabile i funzionari di “aziende e gestioni statali
ad ordinamento autonomo”, cioè quelle gestioni,
per interderci, poi trasformate in enti pubblici economici ed ora in società pubbliche, ontologicamente differenti, per modalità operative e mezzi di
finanziamento da quelle private.
L’art. 16bis del D.L. 31 dicembre 2007, n. 248,
introdotto dalla legge di conversione 28 febbraio
2008, n. 31 (intitolato, non a caso, “Responsabilità
degli amministratori di società quotate partecipate
da amministrazioni pubbliche”), ha devoluto
espressamente alla giurisdizione (“esclusiva”) civile
le controversie relative alla responsabilità degli
amministratori delle società con azioni quotate in
mercati regolamentati, con partecipazione anche
indiretta dello Stato o di altre amministrazioni o di
enti pubblici, inferiore al 50 per cento, nonché per
le loro controllate. Interpretando la disposizione
con l’impiego dell’argumentum a contrario (pacificamente utilizzato in giurisprudenza) (54), si dove ritenere che il legislatore, nel devolvere al giudice
ordinario talune specifiche controversie relative alle società pubbliche, abbia confermato che la regola generale sia quella della devoluzione alla Corte
dei Conti della giurisdizione sull’azione di responsabilità per “mala gestio” degli amministratori delle
società pubbliche (55). La correttezza ditale interpretazione si desume dal secondo periodo della proposizione normativa contenuta nell’art. 16 bis del
D.L. 248/2007, il quale ha chiarito l’intenzione del
legislatore di voler far salvi i giudizi di responsabilità già instaurati dinanzi al giudice contabile al
tempo della sua entrata in vigore, limitando la novella alle controversie ancora da instaurare.
Ciò significa che tutte le azioni di responsabilità
contro gli amministratori delle partecipate pubbliche
non quotate in borsa, sono attribuite alla giurisdizione contabile. Il rapporto di servizio tra ente pubblico
è amministratori è dunque presunto iure et de iure.
Collocandosi in quel contesto normativo tendente a ribadire la giurisdizione contabile, l’art. 4,
comma 12, del D.L. 95/2012 ha recentemente affermato la responsabilità per “danno erariale” degli
amministratori esecutivi e dei dirigenti responsabili
della società controllate dallo Stato per le retribu-
(52) Cfr. ad esempio Cass., sez. un., 25 novembre 2013, n.
26283, cit.
(53) Secondo il giudice delle leggi l’attribuzione della giurisdizione in relazione alle diverse fattispecie di responsabilità
amministrativa non discende automaticamente dall’art. 103
della Costituzione, ma è rimessa alla discrezionalità del legislatore ordinario (fra le molte, si vedano le sentenze 4 marzo
2008, n. 46; 20 novembre 1998, n. 371; 29 gennaio 1993, n.
24; 7 luglio 1988, n. 773; 30 dicembre 1997, n. 641; 30 luglio
1984, n. 241 e 11 luglio 1984, n. 189; 17 novembre 1982, n.
185; 10 luglio 1981, n. 129; 2 giugno 1977, n. 102; 5 aprile
1971, n. 68), e che la Corte dei conti non è «il giudice naturale
della tutela degli interessi pubblici e della tutela dei danni pubblici» (sentenza n. 641 del 1987). Ne deriverebbe che la devoluzione di una certa forma di responsabilità alla giurisdizione
amministrativa esige l’“interpositio legislatoris”, il quale è tenuto a valutare non solo gli aspetti procedimentali del giudizio
contabile, ma la stessa conformazione disciplina sostanziale
della responsabilità (sentenze nn. 385/1996; n. 24/1993; 7 luglio 1988, n. 773).
(54) Sulle diverse tecniche di interpretazione dei precetti
normativi si veda R. Guastini, Le fonti del diritto e l’interpretazione, Milano, 1993, 359 ss.
(55) In tal senso anche Cass., sez. un., 23 febbraio 2010, n.
4309, in questa Rivista, 2010, 1361 ss. La sentenza recita testualmente: «Tale norma, benché la sua applicazione dei giudi-
zi in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione sia espressamente esclusa, assume significato retrospettivo, nella misura in cui lascia intendere che, in ordine alla responsabilità di amministratori dipendenti di società a partecipazione pubblica, vi sia una naturale area di competenza giurisdizionale diversa da quella ordinaria». Non si capirebbe, altrimenti, la ragione per la quale il legislatore ha inteso stabilire
che, per l’avvenire, limitatamente alle società quotate o loro
controllate, con partecipazione pubblica al 50%, la giurisdizione spetta invece in via esclusiva proprio al giudice ordinario.
Criticano l’interpretazione “a contrario della norma” (costantemente impiegata dalla Cassazione), volta ad un generale riconoscimento della giurisdizione contabile H. Simonetti, La responsabilità degli amministratori di società quotate in partecipazione pubblica, in questa Rivista, 2008, 1348 ss. e D. Dalfino,
Società pubbliche, responsabilità degli amministratori al riparto
di giurisdizione, cit., 1378, in nota alla sentenza sopra richiamata, il quale tuttavia ammette che: «La norma, se interpretata rigorosamente a contrario, comporta una notevole estensione
della giurisdizione della Corte dei conti, riguardante non soltanto le controversie relative società quotate con partecipazione pubblica pari o superiore al 50%, ma anche quelle che interessano le società controllate dalle prime, nonché le altre in
cui è parte società con partecipazione pubblica che non quotata».
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zioni ed i compensi indebitamente erogati in virtù
dei contratti stipulati in violazione dei vincoli di
assunzione (56) ed oltre i limiti massimi della retribuzione prevista, estendendo detta responsabilità a
tutti gli amministratori delle società controllate
dalle pubbliche amministrazioni (57).
Al cospetto di norme agevolmente interpretabili
come attributive della giurisdizione alla Corte dei
conti, non si può condividere la tesi della Cassazione secondo la quale, alla stregua dell’interpretazione sistematica, dette disposizioni troverebbero applicazione nei soli casi in cui la stessa Corte ravvisi
la giurisdizione contabile, perche detto approccio
ermeneutico risulta in contrasto, non solo con la
littera legis, ma anche con i principi costituzionali
(ora dettati dagli artt. 81 e 97) posti a presidio dell’equilibrio finanziario dello Stato, che impongono
di sacrificare, ove necessario gli interessi della collettività e dei singoli soggetti dell’ordinamento.
Giova ricordare, infatti, con autorevole dottrina,
che in materia di interpretazione l’articolo 12 nella
sua prima parte presuppone l’idea dell’individuazione
della «precisa disposizione di legge della quale parla
nel secondo comma, ed esige quindi che il giudice
non si abbandoni ad elucubrazioni logiche saltando
dall’una all’altra legge, da un istituto all’altro o al sistema generale» (58). Va poi evidenziato che, se è
vero che lo Stato e le altre pubbliche amministrazioni sono libere di investire il proprio patrimonio acquistando partecipazioni di società private fino ad
acquisirne il controllo, assoggettandosi pertanto “alla
legge delle società per azioni” (59), dette società dovranno operare non in contrasto con i fini pubblici (60), tra cui deve ritenersi preminente quello di
assicurare la redditività dell’investimento pubblico e
comunque la tutela delle risorse pubbliche (artt. 81
e 97 Cost.). Pertanto gli amministratori che con il
loro comportamento doloso o gravemente colposo vi
abbiano arrecato danno, devono essere chiamati a
rispondere dinanzi al giudice designato dal legislatore, con eventuali norme speciali.
Dunque la tesi della giurisdizione ordinaria sostenuta dalla Cassazione si scontra con un argomento
che mi pare insuperabile: l’esistenza di specifiche
norme attributive della giurisdizione alla Corte dei
Conti, che hanno natura di leggi speciali (61), limita
l’applicazione delle disposizioni generali del codice
civile ai casi diversi da quelli posti sotto l’impero
della lex specialis. Ed invero, secondo pacifici canoni
ermeneutici, le eventuali antinomie dell’ordinamento giuridico devono essere superate alla stregua del
principio secondo cui lex specialis derogat generali (62). Del resto la stessa Relazione del Ministro
Guardasigilli al Codice Civile del 1942, prevede che
alle società pubbliche si applichi il diritto privato
«senza eccezioni, in quanto norme speciali non dispongano diversamente» (63).
Pertanto possiamo formulare una terza conclusione: l’ordinamento giuridico prevede già alcune
norme attributive della giurisdizione alla Corte dei
Conti per i danni cagionati al patrimonio sociale
dalla mala gestio degli amministratori, indipendentemente dalla natura privata o pubblica dell’ente, e
queste disposizioni speciali devono trovare piena
applicazione, in deroga alle disposizioni generali di
cui agli artt. 2393 e seguenti del codice civile.
(56) L’art. 4, comma 10, del D.L. n. 95/2012 ha infatti disposto che: «A decorrere dall’anno 2013 le società di cui al
comma 1 [società controllate direttamente o indirettamente
dalle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2,
del decreto legislativo n. 165 del 2001, n.d.a.] possono avvalersi di personale a tempo determinato ovvero con contratti di
collaborazione coordinata e continuativa nel limite del 50 per
cento della spesa sostenuta per le rispettive finalità nell’anno
2009. Le medesime società applicano le disposizioni di cui all’articolo 7, commi 6 e 6bis, del decreto legislativo 30 marzo
2001, n. 165, e successive modificazioni, in materia di presupposti, limiti e obblighi di trasparenza nel conferimento degli incarichi».
(57) Questa disposizione è stata interpretata come indicativa dell’ammissibilità dell’azione contabile per danno erariale
sugli amministratori delle società pubbliche da Corte dei Conti,
sez. I, Appello, 14 dicembre 2012, n. 809.
(58) R. Quadri, Interpretazione della legge, Sub art. 12 delle
disposizioni sulla legge in generale, in AA.VV., Applicazione
della legge in generale, Commentario del Codice civile a cura
di a Scialoja e G. Branca, Bologna- Roma, 1974, 255.
(59) Relazione del Ministro Guardasigilli al Codice Civile del
1942, punto 998.
(60) Come ci ricorda magistralmente proprio Cass. civ., sez.
un., 23 febbraio 2010, n. 4309, cit.: «La presenza dell’ente
pubblico all’interno della compagine sociale ed il fatto che la
sua partecipazione sia strumentale al perseguimento di finalità
pubbliche ed abbia implicato l’impiego di pubbliche risorse
non può sfuggire agli organi della società e non può non comportare, per loro, una peculiare cura di evitare comportamenti
tali da compromettere la ragione stessa di detta partecipazione sociale dell’ente pubblico o che possano comunque direttamente cagionare un pregiudizio al patrimonio di quest’ultimo».
(61) Di disciplina speciale parla la stessa Suprema Corte in
molte sentenze, tra le quali, da ultimo, Cass., sez. un., 25 novembre 2013, n. 26283 e Cass., sez. I, 27 novembre 2013, n.
22209.
(62) Così R. Guastini, Le fonti del diritto e l’interpretazione,
cit., 412 ss.
(63) Relazione del Ministro Guardasigilli al Codice Civile del
1942, punto 998.
968
6. Azione pubblica di responsabilità e
azione sociale: concorrenza o alternatività?
Le azioni di responsabilità contro gli amministratori regolate dagli articoli 2393, 2393 bis 2394,
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2394 bis e 2395, si fondano sull’inadempimento da
parte di costoro di un obbligo specifico posto a loro
carico dalla legge o dall’atto costitutivo, ovvero,
sulla violazione del dovere di non agire in conflitto
con l’interesse sociale ovvero sull’obbligo generale
di diligenza (64).
Nelle società controllate dallo Stato o dagli enti
locali il perseguimento dell’interesse sociale imporrà agli amministratori di non trascurare i fini pubblici statutariamente previsti mentre l’obbligo di
diligenza imporrà loro di attuare scelte meditate
che assicurino la redditività dell’investimento pubblico e, comunque, non mettano a rischio le risorse
pubbliche impiegate, anche con riguardo alle spese
per il personale, gli incarichi attribuiti a soggetti
esterni ed i premi corrisposti agli stessi manager e
amministratori, come ormai richiesto da una pluralità di puntuali disposizioni di legge (65). In molte
di queste società l’interesse sociale finirà dunque
per coincidere, in concreto, con l’interesse pubblico (66).
Inoltre per effetto del mandato ricevuto gli amministratori di queste società sono da ritenere avvinti da un rapporto di servizio non solo con la società, ma anche con l’ente pubblico controllante (67). Tale rapporto di servizio è infatti presupposto ex lege per le società partecipate non quotate in
borsa, come si desume dall’art. 16 bis del D.L.
248/2007 che ha confermato la giurisdizione contabile sulle responsabilità per i danni arrecati dagli
amministratori e dai dipendenti al patrimonio dell’ente.
L’azione di responsabilità esercitata dal Pubblico
Ministero presso la Corte dei Conti in conformità
dell’art. 16 bis del D.L. 248/2007 ha lo scopo di ottenere il ristoro del patrimonio del socio pubblico,
danneggiato dalla mala gestio degli amministratori,
attraverso la reintegrazione del patrimonio sociale.
Il pubblico ministero contabile, facendo valere
la propria legittimazione straordinaria (68), potrà
pertanto esercitare l’ordinaria azione di responsabilità a tutela delle ragioni del socio pubblico indipendentemente dall’inerzia di questo, ma dinanzi
alla Corte dei Conti, ai sensi del combinato disposto degli articoli 43 del R.D. 1038/1933 e 16 bis
del D.L. 248/2007 (ovvero in base al combinato disposto dell’art. 43 del R.D. 1038/1933 e dell’art. 4,
comma 12, del D.L. 95/2012). Costituisce dato di
comune esperienza, infatti, che il socio pubblico di
maggioranza non agisce quasi mai contro gli amministratori da lui stesso nominati, anche temendo
che l’area della responsabilità possa estendersi anche agli amministratori dell’ente pubblico (69).
Orbene, l’attribuzione della legittimazione straordinaria ad agire al pubblico ministero contabile, che
agisce nell’esercizio di una funzione obiettiva e
neutrale (70), ha lo scopo di superare l’eventuale
inerzia dell’ente, garantendo, nel contempo, la realizzazione dell’ordinamento giuridico cui è istituzionalmente preposta la figura dell’attore pubblico (71).
L’azione contabile potrà così concorrere con le
altre azioni poste a garanzia dei soci e dei creditori
sociali previste dal codice civile, come avviene per
altre fattispecie di responsabilità patrimoniale devolute alla giurisdizione contabile, senza che si determini alcun conflitto di giurisdizione, “ma soltanto un’eventuale preclusione all’esercizio di un’azione quando con l’altra sia già ottenuto il medesimo
bene della vita” (72). Invero, la legittimazione
straordinaria del pubblico ministero contabile, garantita dalle diverse disposizioni succedutesi nel
(64) Così F. Bonelli, La responsabilità degli amministratori, in
Trattato Colombo - Portale, Vol. 4, 1991, 324 e F. Vassalli, Sub
art. 2392, in Società di capitali, Commentario, a cura di Niccolini e Stagno d’Alcontres, Napoli, 2004, 676 ss.
(65) Cfr., ad esempio, l’art. 3, comma 44, L. n. 244/2007;
l’art. 2bis D.L. n. 112/2008 e l’art. 4, comma 10, D.L. n.
95/2012.
(66) Come evidenziato da G. Caputi Jambrenghi, Azione ordinaria di responsabilità ed azione di responsabilità amministrativa in materia di società in mano pubblica. L’esigenza di tutela
degli interessi pubblici, cit., 374.
(67) G. Caputi Jambrenghi, Azione ordinaria di responsabilità
ed azione di responsabilità amministrativa in materia di società
in mano pubblica. L’esigenza di tutela degli interessi pubblici,
cit., 371.
(68) Così Corte Costituzionale 5 aprile 1971, n. 68, in Foro
it., 1971, I, 2, col. 89 ss. e, in dottrina, P. Novelli - l. Venturini,
La responsabilità amministrativa di fronte all’evoluzione delle
pubbliche amministrazioni ed al diritto delle società, Milano,
2008, 625.
(69) Così anche C. Ibba, Azione ordinaria di responsabilità e
azione di responsabilità amministrativa in materia di società in
mano pubblica. Il rilievo della disciplina privatistica, cit., 312.
(70) Così Corte Cost. 9 marzo 1989, n. 104, in Foro it., 1989,
I, col. 1346 ss.
(71) Cfr. F. Morozzo Della Rocca, Pubblico ministero (dir.
civ.), in Enc. dir., Vol. XXXVII, Milano, 1988, 1077 ss.; G. Tomei,
Legittimazione ad agire, in Enc. dir., Vol. XXIV, Milano, 1988,
65 ss. nonché A. Pajno, Il rapporto con le altre giurisdizioni:
concorso o esclusività della giurisdizione di responsabilità amministrativa, cit., 175.
(72) In questi esatti termini Cass., sez. un., 17 aprile 2014,
n. 8927 (a quanto consta inedita). Sul concorso tra azione civile e azione contabile in dottrina si vedano R. Rodorf, Le società
pubbliche nel codice civile, cit., 428; C. Ibba, Azione ordinaria di
responsabilità e azione di responsabilità amministrativa in materia di società in mano pubblica. Il rilievo della disciplina privatistica, cit., 311 e A. Pajno, Il rapporto con le altre giurisdizioni: concorso o esclusività della giurisdizione di responsabilità amministrativa, in AA. VV., Responsabilità amministrativa e giurisdizione
contabile (ad un decennio dalle riforme), Milano, 2006, 139 ss.
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tempo in tema di contabilità pubblica, non ha mai
precluso alle pubbliche amministrazioni, danneggiate da atti e comportamenti dei propri dipendenti, di agire in sede civile per il risarcimento dei
danni (73), ovvero, nei casi di commissione di reati, di costituirsi parte civile nei relativi procedimenti penali.
Tuttavia l’azione del pubblico ministero contabile, pur dovendo conformarsi all’esercizio dell’azione
di responsabilità esercitata dal socio (74), per le intrinseche finalità pubblicistiche che la legittimano
(supplire le inerzie, le inefficienze, le collusioni tra
soci pubblici amministratori, nonché tutelare la
corretta gestione delle risorse pubbliche al fine di
garantire, anche per questa via il pareggio del bilancio dello Stato), potrà avere ad oggetto non solo la diminuzione del patrimonio del socio pubblico, bensì l’integrale risarcimento del danno cagionato alla società «controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni di cui
all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n.
165 del 2001» (75).
La giurisdizione concorrente, del resto, non genera né il discredito dell’ente, né un aggravio al regime delle responsabilità, né il rischio di una doppia condanna in capo agli amministratori delle società pubbliche, chiamati a risarcire il danno cagionato al patrimonio dell’ente, una prima volta
dinanzi alla Corte dei conti e successivamente davanti al giudice civile, come paventato da parte
della dottrina (76), perché l’esercizio di un’azione
sarà preclusa quando “con l’altra sia già ottenuto il
medesimo bene della vita” (77) (con eventuale dichiarazione della cessazione della materia del contendere da parte del giudice dinanzi a cui il processo non sia ancora concluso) e, comunque, in sede
esecutiva si dovrà tener conto di quanto eventual-
mente già pagato per effetto di pronunce di altri
organi giurisdizionali.
Si può quindi trarre dal precedente discorso
un’ulteriore conclusione: la concorrenza tra la giurisdizione civile e quella contabile non da luogo ad
alcuna duplicazione di responsabilità per mala gestio
in capo agli amministratori delle società pubbliche,
ma semmai ad un più sicuro e rapido accertamento
della medesima, ampliando i mezzi di tutela del patrimonio sociale e quindi anche degli stessi azionisti privati che nelle grandi società pubbliche difficilmente riuscirebbero ad esercitare l’azione di responsabilità contro gli amministratori (78).
(73) Così P. Novelli - l. Venturini, La responsabilità amministrativa di fronte all’evoluzione delle pubbliche amministrazioni
ed al diritto delle società, cit., 650.
(74) L’azione del socio è prevista dall’art. 2393 bis a tutela
della minoranza (F. Vassalli, Sub art. 2393 bis, in Società di capitali, Commentario, a cura di Niccolini e Stagno d’Alcontres,
cit., 693 ss), ma molto spesso il socio pubblico possiede le
azioni necessarie per promuovere l’ordinaria azione di responsabilità che trascura di esercitare.
(75) In questi termini, condivisibilmente, P. Novelli - l. Venturini, La responsabilità amministrativa di fronte all’evoluzione
delle pubbliche amministrazioni ed al diritto delle società, cit.,
650, nonché, magistralmente, Cass., sez. un., 23 febbraio
2010, n. 4309, cit., la quale rileva che: «nell’attuale disciplina
della società azionaria (ed in misura ancora maggiore in quella
in tale sede irrilevante della società a responsabilità limitata),
l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità, in caso di mala
gestio imputabile agli organi della società, non è più il monopolio dell’assemblea e non è rimessa unicamente alla discre-
zionalità della maggioranza dei soci. Una minoranza qualificata
dei partecipanti alla società azionaria (art. 2393 bis) e addirittura ciascun singolo socio della società a responsabilità limitata
(art. 2476 c.c., comma 3) sono infatti legittimati ad esercitare
tale azione».
(76) Come sostenuto, tra gli altri, da C. Ibba, Azione ordinaria di responsabilità e azione di responsabilità amministrativa in
materia di società in mano pubblica. Il rilievo della disciplina privatistica, cit., 312 ss.; M. Antonioli, Società a partecipazione
pubblica e giurisdizione contabile, cit., 223; G. Romagnoli, Le
responsabilità degli amministratori di società pubbliche fra diritto
amministrativo e diritto commerciale, in questa Rivista, 2008,
441 ss.; P. Ghiglione - M. Biallo, Responsabilità degli amministratori di società a partecipazione pubblica: l’orientamento delle
SS.UU., in questa Rivista, 2010, 809 ss.
(77) Cass., sez. un., 17 aprile 2014, n. 8927, citata.
(78) Come correttamente rilevato dalla Corte dei Conti, Sez.
Lombardia, 22 febbraio 2006, n. 114.
(79) Cfr. Cass., sez. un., 26 febbraio 2004, n. 3899, cit.
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7. Considerazioni conclusive
Nelle sentenze più recenti, come quella in commento, la Cassazione continua a ribadire, tralatiziamente, i caratteri ontologici della società privata:
soggettività giuridica, titolarità di un proprio patrimonio, contitolarità dell’azione di responsabilità
contro gli amministratori tra i soci di maggioranza
e quelli di minoranza con cognizione sulla stessa
devoluta al giudice ordinario. L’unico danno diretto al socio pubblico azionabile dal P.M. contabile
dinanzi alla Corte dei conti sarebbe solo quello all’immagine della P.A., giammai quello patrimoniale. Abbandonate quasi del tutto le aperture degli
anni passati volte a valorizzare il “rapporto di servizio” come «relazione funzionale, tale cioè da collocare il soggetto esterno nell’iter procedimentale
dell’ente pubblico, come compartecipe fattivo dell’attività amministrativa», che consentiva di prescindere sia dalla natura privatistica dell’ente stesso
o sia dello strumento contrattuale impiegato (79),
nella giurisprudenza maggioritaria delle Sezioni
Unite la forma societaria ha perso dunque la propria neutralità rispetto ai fini, per divenire il sug-
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gello dell’esistenza di un ente privato, dotata di un
proprio patrimonio, aperto ai contributi pubblici
ma impermeabile alle relative responsabilità (80).
Questo approccio ermeneutico della Corte regolatrice volto a garantire una certa coerenza al sistema civilistico delle azioni sociali di responsabilità,
oltre a non essere unanimemente condiviso all’interno delle stesse Sezioni Unite, risulta impermeabile alle leggi emanate negli ultimi anni per reprimere efficacemente i fenomeni di mala gestio delle
società pubbliche che danneggiano le pubbliche finanze e finisce per calpestare i valori costituzionali
ed i vincoli europei al cui rispetto il nostro Paese è
obbligato (81).
La diversità di vedute all’interno della stessa
Corte Suprema ha talora favorito quell’ “approccio
casistico” o “sostanzialistico”, che ha consentito ai
giudici di valutare caso per caso se una società pubblica possa essere assimilata nel caso concreto ad
un ente pubblico attraverso l’individuazione di precisi indici sintomatici. L’approccio casistico è stato
impiegato, ad esempio, per “riqualificare” come ente pubblico la RAI S.p.A. e, recentemente, come
pubbliche amministrazioni le società in house partecipate integralmente dagli enti locali, che svolgano
a favore degli stessi la loro attività (82). Nel caso
dell’Ente Nazionale di Assistenza al Volo (ENAV),
la giurisdizione contabile è stata affermata, in base
all’approccio che potremmo definire finanziario
(quello impiegato quando si tratta di attribuire alla
giurisdizione contabile le azioni di recupero di finanziamenti pubblici impropriamente impiegati
dai privati), cioè in considerazione della natura totalmente pubblica della società volta ad assolvere
in via esclusiva “un servizio pubblico e le cui perdite sono destinate a risolversi in danno degli enti
pubblici azionisti e quindi in danno erariale” (83).
Sebbene siano apprezzabile i tentativi della giurisprudenza minoritaria di procedere alla “riqualificazione della società quando il sostrato pubblicisti-
co dell’ente sia tale da rende un mero simulacro la
sua forma societaria, tuttavia deve rimproverarsi alla Cassazione la mancanza di un approccio positivistico che tenga conto delle recenti disposizioni
normative che hanno ormai coniato la categoria
delle società “controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n.
165 del 2001”, come enti soggetti ad una disciplina
speciale rispetto alle società private (che non può
essere liquidata come accidentale e marginale rispetto alla qualificazione dell’ente) e che vanno assoggettate alla giurisdizione della Corte dei Conti
secondo quanto previsto dall’art. 16 bis del D.L.
248/2007 e dall’art. 4, comma 12, del D.L.
95/2012. La “frenesia sistematica” delle Sezioni
Riunite, volta a salvaguardare il modello di società
privata partorito dalla riforma del 2003-2005, non
è accettabile quando finisce per disapplicare le norme giuridiche che hanno attribuito la giurisdizione
in materia di responsabilità alla Corte dei Conti,
garantendo di fatto l’irresponsabilità dei manager
pubblici.
Se le norme legislative faticosamente approvate
a tutela delle risorse pubbliche vengono eluse anche dalla Suprema Corte attraverso l’interpretazione sistematica, anziché continuare ad invocare l’emanazione ulteriori norme ad hoc attributive della
giurisdizione sui danni arrecati dagli amministratori
al patrimonio delle società pubbliche (la tanto decantata “interpositio legislatoris”), viene da chiedersi
se non sia giunto il momento, essendo alle porte
l’ennesima riforma costituzionale, di rivedere anche il nostro sistema di risoluzione dei conflitti di
giurisdizione (risalente, com’è noto, alla legge 31
marzo 1877, n. 3761), che non sempre ha favorito
le istanze di tutela cui sono preposti i diversi plessi
giurisdizionali, riflettendo sull’opportunità di istituire un “giudice dei conflitti”, sul modello francese del Tribunal des conflits (84) composto da mem-
(80) Cfr. Cass., sez. un.,19 dicembre 2009, n. 26806, cit.;
Cass., sez. un., 15 gennaio 2010, n. 519, cit.; Cass., sez. un.,
23 febbraio 2010, n. 4309, cit.; Cass., sez. un., 5 luglio 2011,
n. 14655, cit.; Cass., sez. un., 7 luglio 2011, n. 14957, cit.;
Cass., sez. un., 12 ottobre 2011, n. 20940, cit.; Cass., sez. un.,
9 marzo 2012, n. 3692, cit.; e più recentemente Cass., sez.
un., 25 marzo 2013, n. 7374, cit.; Cass., sez. un., 10 settembre
2013, n. 20696, cit.; Cass., sez. un., 2 dicembre 2013, n.
26936, cit.; Cass., sez. un.,7 gennaio 2014, n. 74, cit.; Cass.,
sez. un., 12 febbraio 2014, n. 3201, cit. nonché Cass., sez. un.,
10 marzo 2014, n. 5491, in commento.
(81) I vincoli finanziari europei, ben stigmatizzati da Corte
dei Conti, Sez. I, Appello, 14 dicembre 2012, n. 809, cit., derivano dall’art. 126 del Trattato sul funzionamento dell’Unione
europea che ha aggiornato il disposto dell’art. 104 del Trattato
sulla Comunità Europea e dal relativo Protocollo 12 del Trattato sui disavanzi pubblici eccessivi, dal Regolamento 25 giugno
1996, n. 2223 sul Conto economico Consolidato delle pubbliche amministrazioni (Sistema SEC/95) nonché dai Regolamenti CE 17 luglio 1997, n. 1446 e 1447, dalla Risoluzione del Consiglio 17 giugno 1997, n. 97/C (relativa al Patto di stabilità e di
crescita).
(82) Cass., sez. un., 22 dicembre 2009, n. 27092, cit., e
Cass., sez. un., 25 novembre 2013, n. 26283, cit.
(83) Cass., sez. un., 3 marzo 2010, n. 5032, in Foro it.,
2010, I, col. 3078.
(84) Organo costituito da un numero uguale di membri. In
argomento: Y. BOT, Les institutions judiciaires: organisation et
fonctionnement, Paris, 1985, passim.
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bri dei diversi organi giurisdizionali, ovvero, di introdurre nell’ordinamento giurisdizionale un meccanismo simile a quello vigente in Germania che
attribuisca al giudice preventivamente adito il po-
tere di decidere definitivamente sulla giurisdizione,
con conseguente decisione sul merito nel caso in
cui ritenga sussistere la sua giurisdizione o rimettendo la causa ad altro giudice ove la neghi (85).
(85) Sul tema W. Grunsky, Processo civile (Germania), in
Dig. disc. priv., Sez. civ., Vol. XV, Torino, 1997, 142 ss.
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