Leggi on-line - ceramicanda

Protagonisti
accaDmenti
«Il Tricolore?
È nato a Milano,
non a Reggio»
Meglio soli
che in cattiva
compagnia
Roberto Gandini
racconta la genesi della
bandiera italiana
L’Europa che vogliamo
è quella solidale che
rispetta i singoli stati
pagina 7
pagina 14
149
by Ceramicanda
Il giornale di tendenza che non grava sulle casse dello stato
DSTRISCIO
La Banca
d’Italia non è
il Parlamento!
anno 6 numero 149 • 1 Novembre 2014 • euro 1,00
Grandi opere: politica
e sprechi senza controllo
L
segue a pagina 3
Mercato
Sfumata la
Majorca,
Colli rileva
il marchio
Vallelunga
Marco Manni, presidente
di Ceramica Colli, spiega
cosa ha impedito
il salvataggio della storica
azienda scandianese,
che qualche settimana fa
ha avviato il procedimento
fallimentare
Di Roberto Caroli
pagina 5
LA PRIMA WEB TV
IN
ITALIANO E INGLESE
INTERAMENTE
DEDICATA ALLA
CERAMICA DI TUTTO
IL MONDO
www.ceramicandainternational.com
a Banca Centrale Europea
ha bocciato 13 banche di cui
2 italiane, il Monte dei Paschi di
Siena e la Cassa di Risparmio di
Genova, risultate sprovviste di
2,3 miliardi di euro la prima, e di
appena (si fa per dire) 860 milioni di euro la seconda. Una notizia
alla quale i principali giornali
italiani hanno dedicato le prime
pagine proponendoci, oltre ai soliti articoli di cronaca, anche diverse tabelle di comparazione che
hanno portato alla luce aspetti
del sistema bancario italiano e di
altri paesi dell’Unione Europea.
In primo luogo i giornali hanno
sottolineato il differente sostegno dato dai governi ai rispettivi sistemi bancari nel momento
topico della crisi finanziaria: la
Germania ha elargito risorse
per 250 miliardi, la Spagna per
60 miliardi, l’Irlanda e i Paesi
Bassi per 50 miliardi, la Grecia
per 40 miliardi, il Belgio e l’Austria per 19 miliardi, il Portogallo
per 18 miliardi, l’Italia per soli 4
miliardi netti. Il nostro Governo
ha letteralmente voltato le spalle
al proprio sistema bancario non
andando oltre una piccola “mancia”. Una decisione che potrebbe
aver inciso sul costo dei servizi
bancari, a danno ovviamente di
lavoratori, pensionati, casalinghe, giovani al primo approccio
con un conto corrente: d’altra
parte se non te li da il Governo i
soldi li devi recuperare sul mercato, quindi nelle nostre tasche.
DISTRETTO CERAMICO
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comunicazione
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si arricchisce
di un nuovo
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DI
PROCESSO
ALLA
BASE DEL FORMAT
Maranello
WhatsApp:
arriva lo
smartvigile
La Polizia Municipale
si dota del nuovo sistema
di messaggistica online
pagina 9
Q
uando il gatto non c’è i topi ballano. Il Dstretto prende a prestito la saggezza popolare e
prova a capire perché, in Italia e solo in Italia, le
opere pubbliche non hanno mai tre requisiti fondamentali, ovvero la certezza dei tempi, quella dei
costi e soprattutto l’economicità. Tre requisiti che,
se presenti, farebbero dell’Italia un paese normale e non quello che sprofonda, anno dopo anno,
in un debito-monstre ingrossato quotidianamente
da sprechi dei quali nessuno si fa carico e soprattutto nessuno si assume (mai) le responsabilità.
Anche perchè nessuno controlla...
a pagina 2 e 3
BAR DELLE VERGINI
Neroverdi a sinistra?
Al Bar delle Vergini si parla di calcio e dell’euforia scatenata dai sette
punti conquistati dal Sassuolo nelle ultime tre partite: un punto per ognuno dei pesantissimi gol subiti contro l’Inter! Il cammino dei neroverdi
sembra inarrestabile: caricati dal pareggio con la Juve è arrivata anche la
vittoria tra le mura amiche del Mapei Stadium. Ora il calendario propone
Chievo, Atalanta e Verona, incontri abbordabili per la compagine guidata
da Di Francesco, che potrebbe ritrovarsi nella colonna di sinistra della
classifica. Posizione ottimale per i sassolesi: a parte la veloce comparsata
di Caselli è la sinistra a dettar legge da almeno 50 anni!
Castellarano
Bowling chiuso,
la crisi ha fatto
strike
Troppe spese e poche entrate:
La storica struttura
serra i battenti
pagina 10
Rubriche
Ecco perchè
continua la fuga
dei cervelli
Le responsabilità sono
principalmente di politica
ed imprese
pagina 13
Programmi d’abbonamenti anno VI, n° 149 di Novembre 2014 del bisettimanale “Il Dstretto” - Poste Italiane Spa Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L- 27/02/2004 n.46) art.1 comma 1 - aut. N° 080032 del 28/05/2008 - DCB - BO
2
DSTRISCIO
anno 6 numero 149 / 1 Novembre 2014
I politici spendono, tanto paga lo Stato!
L’unico modo
per modificare
una prassi che
contribuisce a
far lievitare il
nostro debito
pubblico sarebbe
la creazione di
un ente terzo che
controlli l’operato
delle istituzioni
Q
uando il gatto non c’è i topi
ballano, poche parole pescate nella saggezza popolare d’altri
tempi che da sole potrebbero riassumere le ragioni per le quali in
Italia le opere pubbliche, soprattutto quelle grandi, non hanno tre
requisiti fondamentali: tempi e
costi certi, economicità. Una triade negativa che ha contribuito e
non poco all’esplosione del nostro
debito pubblico. Il Dstretto vuole
raccontarvi uno degli sprechi più
eclatanti degli ultimi anni, l’Alta Velocità, anche per cercare di
comprendere il meccanismo che
porta i nostri politici a scialacquare
risorse pubbliche come nessun’altro paese al mondo. Nel lontano 7
agosto 1991 veniva presentato il
progetto dell’alta velocità ferroviaria italiana, opera monstre che
doveva essere completata in sette
anni, ne sono passati già 15 e per
vederla terminata si dovrà attendere il 2020. Il progetto del lontano
7 agosto 1991, quando per capirci
c’era ancora la lira, non utilizzavamo gli smartphone, WhatsApp
e neppure Facebook, era stato
contrattualizzato per una cifra di
14.156 milioni di euro; gli ultimi
dati disponibili sui costi effettivamente sostenuti sono del 2010 e
sono lievitati fino a 96.850 milioni
di euro! Un aumento esponenziale
che può solo in parte essere giustificato dal fatto che nel 1991 non
erano state prese in considerazione
tre voci: i costi diretti (personale e
servizi) ed indiretti (studi, consulenze, comitati, progetti, pubblicità) sostenuti dalle società pubbliche che l’hanno realizzata (Fs,
Tav, Italferr, Rfi, Infrastrutture); i
costi per le opere compensative
o indotte concordate con gli Enti
locali; i costi per la realizzazione
delle nuove stazioni Av dedicate.
“Per le Spa pubbliche”, leggiamo
su “Il libro nero dell’Alta velocità”
di Ivan Ciccone, la stima è di circa
3.900 milioni di euro, per le opere
compensative è di 9.200 milioni di
euro e per le nuove stazioni 6.350
milioni di euro”. Fatto 100 il costo del 1991 arrivati al 2010 siamo
ad un costo stimato pari a 684, se
invece escludiamo le tre voci di
L’opinione
Mancano
una corte,
un processo
e tante
condanne
costo non valutate inizialmente, si è
passati da un indice 100 ad un indice 547, con un aumento percentuale
del 447%. La conferma che qualcosa
non ha funzionato come dovrebbe la
troviamo nel confronto con il costo
delle linee ad Alta velocità realizzate
altrove: la tratta che collega Tokio ad
Osaka, in Giappone, è costata 9,3 milioni di euro al chilometro, la ParigiLione 10,2 milioni, la Madrid-Siviglia 9,8 milioni. Questi invece i costi,
stimati al 2010, delle tratte italiane:
Torino - Milano 66,4 milioni contro
gli 8,6 ipotizzati nel 1991, Milano –
Bologna 43,7 milioni contro gli 8,1
del progetto iniziale, Bologna – Firenze 84,8 milioni di euro contro i
13,6 preventivati, Roma – Napoli
35,3 a fronte dei previsti 9,8. Com’è
possibile tanta differenza nei costi?
Le nostre tratte sono più efficienti?
Più belle? Più avanzate tecnologicamente? Purtroppo no. A spiegarci
il perché di tanti e tali sprechi di danaro pubblico è il professor Marco
Guido Ponti, docente di economia
dei trasporti al politecnico di Milano:
“Sono cose che accadono perché c’è
un pagatore in ultima istanza, tutti
gli attori del gioco, i decisori politici centrali e locali, le ferrovie, i costruttori, sanno che alla fine lo Stato
pagherà comunque tutto, quindi non
hanno alcun reale incentivo a ridurre
i costi”. Una situazione che porta con
se un paradosso incredibile: “Pensate
che sulle linee italiane di alta velocità”, prosegue il professore, “potrebbero passare anche treni merci ad
alta velocità, peccato che non esistono convogli di questo tipo, nessuno
li ha ancora realizzati. Una modifica
questa che ha fatto lievitare del 40%
i costi dei binari”. Molte responsabilità vanno ascritte anche agli Enti
locali, Regione, Province e Comuni
che hanno fatto richieste per opere
aggiuntive ed accessorie, come le
stazioni. “A Bologna è stata realizzata una stazione interrata che è costata
10 volte in più rispetto ad un accesso
a raso, ed è stato fatto su richiesta
delle istituzioni locali. Pensate che
nella logica italiana le città di Firenze
e Bologna si sono viste costruire stazioni avveniristiche interrate come
compensazione dell’aver accettato il passaggio dell’Alta velocità”.
Un assurdo a ben vedere visti i vantaggi strategici dei collegamenti veloci che le nuove tratte hanno consentito alle due città. La sola stazione
di Bologna, situata a 23 metri di profondità, è parte di un progetto da 500
milioni di euro, la Stazione Mediopadana affidata all’archistar Calatrava è costata 79 milioni di euro, soldi
pubblici naturalmente, ma spesi su
richiesta degli enti locali. “Lo Stato è un pagatore in ultima istanza
e l’assenza di vincoli di bilancio in
queste opere si traduce in un incentivo a spendere da parte di ministri,
presidenti di regione e sindaci, questi ultimi poi sono certi che quando
i soldi arrivano da Roma non mordono sul consenso elettorale, perché
non si traducono in nuove imposte.
Dovremmo prendere esempio dagli
inglesi che hanno una cultura assoluta della gestione della spesa pubblica
in termini di economicità”. Il tema è
arcinoto e riguarda la mancanza di
una diretta responsabilità dei politici
per le loro azioni: “Ho scritto un libro
su questo tema ed uscirà a breve”,
prosegue Ponti, “si intitola L’arbitrio
del principe: non c’è responsabilità
economica di chi spende, un politico
eletto può buttare soldi dalla finestra
e nessuno gliene chiederà conto. In
teoria la Corte dei Conti è l’organo
deputato ad analizzare queste storture ma non ha capacità sanzionatoria,
può denunciare lo spreco di denaro
pubblico ma non emettere sanzioni in
proposito”. L’unico modo per modificare questa prassi che contribuisce
a far lievitare il nostro debito pubblico è la creazione di un ente terzo che
controlli l’operato delle istituzioni:
“Serve un’autorità indipendente che
possa applicare sanzioni e che sia
forte della propria terzietà, qualcosa
che somigli all’Antitrust, che funziona bene ma può occuparsi solo dei
privati e non dello Stato”.
(Daniela D’Angeli)
Dati ufficiali
1991
Stime 2010
Indice 2010
(1991=100)
Tratte
9.254
48.700
526
Materiale rotabile
2.454
8.200
334
Voci di costo progetto TAV 1991 (milioni di €)
Nodi
1.064
Infrastrutture aeree
Interessi intercalari
8.400
789
614
3.200
8.700
1.130
547
770
521
Totale voci ufficiali progetto TAV 1991
14.156
77.400
Studi, progettazione e realizza- zione delle
nuove stazioni per l;alta velocità con
finanziamenti pubblici
non previsto
6.350
Costi diretti (Struttura) e indiretti (Comitati,
garanti, consulenti, con- ferenze, promozione ,
pubblicità, etc.) sostenuti da FS, RFI, TAV,
Italferr, ISPA, per l;Alta velocità
non previsto
3.900
Opere indotte e/o compensative connesse con
l'alta velocità fuori dai contratti per le tratte
stipulati con i general contractor
non previsto
9.200
Totale voci non previste
19.450
Totale costi progetto TAV
14.157
96.850
684
(Tab.4 - Variazione delle voci di costo del Progetto TAV, dal 1991 al 2010
Nuove tratte AV della
linea Torino-Napoli
Contratti
Indice di costo Costo
Dati Fs 2006 Stime 2010
1991
nel 2010
€/km
milioni di € milioni di €
milioni di €
(1991=100) 1991
Costo
€/km
2010
Torino-Milano
1.074
7.788
8.300
773
8,6
Milano-Bologna
1.482
7.150
7.950
536
8,1
43,7
Bologna-Firenze
1.074
5.954
6.700
624
13,6
84,8
Roma-Napoli
TOTALE LINEA TO-NA
1.994
5.624
6.235
7.200
27.127
30.150
360
536
9,8
9,4
66,4
35,3
51,1
(Tab.5 - Costi delle infrastrutture a terra delle nuove tratte della linea Torino-Napoli)
TRENO AV (PAESE)
KM
FORMA DI REALIZZAZIONE
TRATTA
COSTO A KM
(MILIONI DI EURO)
Shinkansen(Japan) (1)
550
Tokio-Osaka
9,3
TGV(France) (1)
417
Parigi-Lione
10,2
AVE(Espana) (1)
470
Madrid-Siviglia
9,8
TAV(Italia) (5) (7)
589
Torino-Napoli
60,7
TAV(Italia) (5) (6)
(830)
Appalti gestiti dalla Società
ferroviaria nazionale
Appalti gestiti dalla Società
ferroviaria nazionale
Appalti gestiti dalla Società
ferroviaria nazionale
Affidamenti a trattativa privata a
TavSpa e General Contractors
(Inclusa la tratta Firenze-Roma
realizzata con appalti gestiti da FS)
(Torino-Napoli)
(48,9)
TAV (2)
87
General-Contractor FIAT
Torino-Novara
74,0
TAV (3)
38
General-Contractor FIAT
Novara-Milano
79,5
TAV (3)
182
General-Contractor CEPAV UNO
Milano-Bologna
53,0
TAV (3)
78
General-Contractor FIAT
Bologna-Firenze
96,4
TAV (4)
(241)
Appalti affidati e gestiti da Ente
FFSS
Firenze-Roma
(20,3)
TAV (2)
204
General-Contractor IRICAV UNO
Roma-Napoli
47,3
Mi inserisco nella discussione sugli sprechi per segnalare e sottolineare l’editoriale
scritto nel numero 147 del
Dstretto dal titolo forte ma
incisivo: “Una nuova Norimberga tutta italiana”. Perché quella corte suprema di
vigilanza da me invocata, in
grado di controllare, processare, ed eventualmente condannare politicamente amministratori pubblici artefici
di scelte scellerate per l’interesse dell’Italia, potrebbe
essere il terzo soggetto suggerito dal prof. Marco Ponti. I cittadini, quelli onesti,
pagano le tasse fino in fondo perché sanno che in caso
contrario potrebbero subire
un controllo da parte della
Guardia di Finanza, con relative sanzioni economiche
e penali. Non ci fossero gli
spettri dei controlli e delle
relative pene forse vedremmo crescere nel Paese i cittadini disonesti. Nella politica,
nella pubblica amministrazione dovrebbe succedere
la stessa cosa: fino a quando anche loro non vivranno
nel loro agire lo spettro del
controllo, del processo con
relativa condanna, continueranno a spendere fregandosene dei conti dello Stato, del
debito pubblico, della tegola
di 35mila euro che pende su
ogni nuovo nato. L’alta velocità, il regalo operato dallo Stato all’Autostrade del
Brennero spa, relativamente al prolungamento della
concessione per la gestione
della A22, sono solo piccoli
esempi della cattiva gestione
del danaro pubblico. Le nomine di Emilio Sabatini alla
presidenza di Autocs, direttamente da Presidente della
provincia di Modena; quella
di Graziano Pattuzzi in qualità di consigliere nel Cda di
Autostrade del Brennero spa,
dopo che da Sindaco di Sassuolo si era reso responsabile
di un buco di 50 milioni di
euro con la Sgp, e dal 2010 è
presidente della Cispadana;
sono la conferma della devastante penetrazione della politica nell’economia reale, la
dove trova voti e risorse per
alimentarsi e sopravvivere. A
volte anche con l’appoggio
di associazioni di categoria e
degli imprenditori!.
(Roberto Caroli)
(Elaborazione, aprile 2008, di Ivan Cicconi su dati e documenti ufficiali)
Via Pietro Nenni, 8 - 42048 Rubiera (RE) - Tel. +39 0522 621162 - Fax. +39 0522 262589 - Email: [email protected]
3
DSTRISCIO
anno 6 numero 149 / 1 Novembre 2014
A22: lo Stato regala miliardi di euro
L
Emilio Sabattini
La concessione
all’Autobrennero è
scaduta ad aprile,
non si farà la gara
d’appalto e il rinnovo
avverrà per decreto.
Arriveranno sanzioni
dall’Europa e
perderemo anche gli
introiti dei pedaggi
a fantasia della politica italiana nello sprecare fondi
pubblici non si limita alle opere
di nuova realizzazione, si applica
con creatività anche nel non far
fruttare quelle già realizzate. Nel
decreto “Sblocca Italia” in corso
di approvazione l’articolo 5 concede alle società autostradali di
ottenere la proroga delle concessioni con «l’unificazione di tratte
interconnesse» impegnandosi a
fare investimenti e mantenendo
«un regime tariffario più favorevole all’utenza». Tra le arterie
interessate da questo articolo c’è
la A22 del Brennero: un’autostrada matura, già ammortizzata,
che non richiede grandi investimenti e che ogni anno genera un
margine operativo lordo di 150
milioni di euro, in arrivo dai pedaggi. E’ quindi un oggetto molto
appetibile per gli investitoti che
potrebbero partecipare alla gara
d’appalto, peraltro obbligatoria
per legge, ma sarebbe un bell’introito anche per l’Anas alla quale
potrebbe tornare in carico garantendo con quei 150 milioni
di euro la copertura del 10% di
quanto spende ogni anno per la
manutenzione delle strade che
percorriamo ogni giorno. Ebbene
di fronte a queste due opzioni lo
Stato sceglie la terza via, l’unica senza benefici economici: il
rinnovo all’Autobrennero. Una
vicenda strettamente legata con
la realizzazione della Bretella
Campogalliano-Sassuolo, arteria
che il distretto attende da 30 anni
e sulla quale sono già stati desti-
nati 234 milioni di euro dal Cipe,
mentre i restanti 363 necessari
per la realizzazione arriveranno
dal project financing. E chi è la
capofila dell’associazione temporanea di imprese Autocs che
ha vinto l’appalto della Bretella? Naturalmente Autobrennero,
insieme a Pizzarotti, Coopsette, Coseam, Wipptal, Oberslet
e Cordioli. Se l’Autobrennero
perdesse la concessione della
A22 automaticamente perderebbe anche l’interesse strategico
alla realizzazione della Bretella,
impossibile quindi scindere le
due operazioni. E giusto per non
farci mancare nulla ecco che alla
guida di Autocs è arrivato Emilio Sabattini, ex presidente della
provincia di Modena, una nomina che ha scatenato polemiche
feroci; lo abbiamo contattato
per sapere come rispondesse alle
tante accuse mosse a suo carico
ma non ha voluto rilasciare alcuna dichiarazione in merito. Ci
limitiamo quindi a sottolineare
che ancora una volta la politica
persevera nel vizio di “piazzare”
i fuoriusciti dalle istituzioni nelle
società partecipate, come l’analogo caso dell’ex sindaco di Sassuolo Graziano Pattuzzi destinato
prima all’Autobrennero ed ora
alla Cispadana.
Prepariamoci dunque ad una nuova procedura d’infrazione europea, con conseguente supermulta,
per una gara d’appalto che non ci
sarà mai, come sempre “per gli
amici le leggi si interpretano”.
(Daniela D’Angeli)
tro le direttive della Banca d’Italia.
Di certo in un paese “normale” la
legge è sovrana e nessun soggetto,
pur economicamente fortissimo,
dovrebbe metterla in discussione.
A maggior ragione la Banca d’Italia nel cui assetto proprietario sono
presenti le banche stesse: Gruppo Intesa (27,2%), Gruppo San
Paolo (17,23%), Gruppo Capitalia (11,15%), Gruppo Unicredito
(10,97%), Assicurazioni Generali
(6,33%), Banca Carige (3,96%),
BNL (2,83%), Monte dei Paschi di
Siena (2,50%), Gruppo La Fondiaria (2%), Gruppo Premafin (2%),
Cassa di Risparmio di Firenze
(1,85%), INPS (5%), RAS (1,33%),
privati (5,65%). In attesa di vedere crescere all’interno della stessa
una preponderante, auspicabile e
maggioritaria quota pubblica (lo
Stato con il ministero del tesoro)
a discapito di quelle private, il
conflitto d’interessi continuerà ad
animare il panorama del sistema
bancario italiano.
(Roberto Caroli)
La Banca d’Italia
non è il Parlamento!
segue dalla prima pagina
Q
uando calcoliamo la pressione fiscale dettata dallo
Stato, oltre alle imposte dirette,
dovremmo annoverare anche
le spese indirette che sono conseguenza di scelte politiche discutibili. Si inserisce in questa
casistica il costo dei servizi bancari divenuti sempre più esosi,
perché stabiliti dagli istituti di
credito in ragione delle proprie
esigenze finanziarie. Una situazione che potrebbe avere portato
le nostre banche ad applicare
tassi di interesse e commissioni vicinissimi ai valori di usura indicati
dalla legge 108 del 7 marzo 1996
numero 52, la quale precisa all’articolo 2 che “il Ministro del tesoro,
sentiti la Banca d’Italia e l’Ufficio
italiano dei cambi, rileva trimestralmente il tasso effettivo globale
medio, comprensivo di commissioni, di remunerazioni a qualsiasi
titolo e spese, escluse quelle per
imposte e tasse”. Secondo la società Sdl di Brescia, nella persona di
Giovanni Pastore, questo significa
che “il tasso di interesse effettivamente applicato dalla mia banca
deve includere anche le spese sostenute dall’utente per i servizi vari
: commissioni, diritti ed ogni altro
onere che troviamo nell’estratto
conto; e non escluderle come da
indicazione della Banca d’Italia”.
Il tema è molto delicato ed è oggetto proprio in questi ultimi mesi
di schermaglie giuridiche tra chi,
testo di legge alla mano, è convinto
di avere subito usura e le banche
che si difendono trincerandosi die-
Dell’Orco, M5S
“La nomina di
Sabattini è un palese
conflitto d’interessi”
Michele
Dell’Orco,
La nomina di Sabattini in Autocs
ha scatenato anche la reazione del
Movimento cinque stelle che ha
denunciato senza mezze misure
l’ennesimo intreccio tra le lobby delle autostrade e la politica,
così stigmatizzato da Michele Dell’Orco, deputato grillino
membro della commissione Trasporti: “E’ veramente assurdo che
un politico del Pd che per anni ha
combattuto per avere questa inutile Bretella venga nominato a capo
della società che la realizzerà, è
un palese conflitto di interessi.
Una nomina che arriva proprio
mentre siamo chiamati a votare
il decreto Sblocca Italia che rinnova la concessione alla A22”.
Dell’Orco conferma poi il legame
tra il rinnovo e la realizzazione
della bretella: “Se l’Autobrennero
perdesse la concessione sulla A22
potrebbe perderebbe interesse
alla realizzazione della Cispadana
e della Bretella, quest’ultima poi
ha altissimi costi di realizzazione
a chilometro che potrebbero crescere ulteriormente come sempre
accade con il project financing: si
parte con un piccolo contributo
regionale e si finisce con un grande contributo pubblico”. Che il
Movimento cinque stelle non abbia in simpatia la Bretella è cosa
nota ma c’è qualche distinguo da
fare: “E’ stata progettata 20 anni
fa, quando ancora non c’era la
Modena-Sassuolo alla quale correrà parallela creando un inutile
doppione. La Bretella è composta di due stralci, il primo che va
dallo scalo merci a Marzaglia ha
senso, ma quello da Marzaglia
fino a Sassuolo è senza senso. Sarebbe molto meglio se quei soldi
venissero dati agli imprenditori
del distretto in maniera diretta,
tagliando loro le tasse”.
4
DALLE AZIENDE
anno 6 numero 149 / 1 Novembre 2014
Smaltochimica: ricerca e innovazione
al servizio delle ceramica
Ivano Piccinini
«Il mercato cambia
e si evolve, ma
il cambiamento
va accettato. La
sfida – dice Ivano
Piccinini, presidente
dell’azienda
fioranese – è evolvere
processi e prodotti,
personalizzando
e specializzando
entrambi»
L
a sfida è nella tecnologia e
nell’innovazione, ma anche
nel know how. E Smaltochimica,
forte di un’esperienza quasi quarantennale maturata sul campo, offre ai produttori ceramici soluzioni
in linea con un mercato che si sta
segmentando, chiede specializzazione e personalizzazione, sia a
livello di prodotto che di processo.
«E gli investimenti in ricerca, da
parte di Smaltochimica, in questo
senso sono massimi», spiega Ivano
Piccinini, presidente e fondatore
dell’azienda fioranese. Il consumo
mondiale di ceramica cresce, ma
il mercato cambia e si evolve, «e
con il mercato si evolvono prodotti e processi: la sfida – aggiunge
Ivano Piccinini – è saper accetta-
re questa evoluzione. Pensiamo
al digitale, e alle tante migliorie
che sono state aggiunte ai processi produttivi che adottano questa
tecnologia che, è assodato, da sola
non basta, ed è soggetta a costanti
migliorie. Le aziende produttrici,
oggi, chiedono personalizzazioni
in grado di aderire sia ai mercati
di destinazione che alle peculiarità produttive delle aziende stesse,
ed è compito di chi, come noi, fa
ricerca, proporre soluzioni che
possano fare la differenza». La ceramica, dice Piccinini, va avanti,
e la competitività passa anche e
soprattutto dalla capacità di intercettare e proporre il cambiamento:
la prossima tappa? «La flessibilità,
anche relativamente ai lotti produttivi e alle loro dimensioni, e la
possibilità di garantire un’identità,
in senso proprio, alle soluzioni
che si propongono». E l’identità
di Smaltochimica è scritta in oltre
trent’anni di storia e in una capacità «di proporre a livello globale quanto possiamo proporre in
Italia: le nostre tante sedi e unità
produttive estere rappresentano,
da questo punto di vista, un vantaggio irrinunciabile».
La politica e la crisi: come Badoglio l’8 settembre
di Claudio Sorbo
Ad agosto, in pieno periodo di ferie (per chi le
ha fatte), l’ISTAT, l’Istituto
Centrale di Statistica, ha dichiarato che l’Italia
è in “recessione tecnica”. Cioè, per due trimestri
consecutivi il PIL, ovvero il fatturato del paese,
ha registrato una crescita negativa: nel trimestre
aprile, maggio e giugno 2014 è stato dello 0,2%
inferiore al trimestre precedente, in cui già era
calato dello 0,1% rispetto all’ultimo trimestre del
2013. Il dato dell’ISTAT non ha sorpreso nessuno:
non c’è bisogno dei numeri per capire che le cose
vanno male. Semmai, l’Istituto ha dichiarato che
questo doppio risultato negativo ha avuto “un impatto nullo” sul mercato interno (eravamo già ai
consumi di sopravvivenza), mentre i danni li hanno
subiti le esportazioni: sui mercati internazionali
hanno manifestato una minore competitività che è
coincisa con la maggiore, contestuale attrattività
delle imprese estere sugli stessi mercati. In pratica, hanno venduto gli altri al posto nostro. Come
mai? Per tre ragioni: i nostri prodotti sono ormai
poco interessanti per i clienti esteri perché poco
innovativi a causa di anni e anni di mancati investimenti in Ricerca e Sviluppo, i nostri prezzi sono
poco attraenti perché troppo alti a causa dell’ec-
cessivo costo del lavoro e di una pressione fiscale
senza precedenti e, infine, le nostre imprese hanno
sull’estero strutture commerciali insufficienti numericamente e mal disposte sui territori. Il risultato? Cresce la preoccupazione dei cittadini, quale
che sia la loro attività, perché il tempo passa, la
situazione economica peggiora e nulla cambia. Nei
sette anni trascorsi da quando si è manifestata la
crisi abbiamo attraversato varie fasi: dapprima,
l’abbiamo osservata, increduli, come fosse una
cosa che riguardasse gli altri, poi ci siamo accorti
che riguardava anche noi ma scaramanticamente
ci siamo detti che sarebbe durata poco, infine abbiamo capito che c’eravamo dentro fino al collo,
e senza via d’uscita. Anche i Governi che si sono
succeduti in questi sette anni (Governo Prodi fino
al 6 maggio 2008, poi il Berlusconi IV fino al 2011,
infine, in rapida successione, i Governi Monti, Letta e ora Renzi) non ci sono stati di aiuto: o hanno
manifestato una preoccupante paralisi operativa (8
leggi in otto mesi, nel 2011, da parte del Berlusconi
IV) o si sono affannati in sterili e disordinate iniziative che con la ripresa dell’economia non avevano
nulla a che fare, ad esempio la Legge Fornero. Il
risultato? Sette anni buttati via, dal 2007 al 2014,
durante i quali le imprese, già strutturalmente im-
perfette, si sono trovate ad affrontare la crisi da
sole, senza uno straccio di politica industriale, di
concrete iniziative governative, di indirizzi di programma realistici. In pratica, una situazione da 8
settembre 1943, quando Badoglio annunciò l’armistizio ma non diede ordini all’esercito: andò a finire che ognuno si arrangiò come poté e altrettanto
sta succedendo oggi, con imprenditori che hanno
ingaggiato un surreale braccio di ferro con la crisi
e non fanno niente sperando che finisca prima dei
loro risparmi, con altri che hanno chiuso in Italia
e aperto all’estero (persino in Cina), senza contare
le decine di migliaia che non ce l’hanno fatta ed
hanno assistito alla morte delle loro aziende e, infine, quelli che hanno scelto di farla finita col mondo. Il tutto, in immeritata e umiliante solitudine.
Personalmente sono convinto che i nostri politici
non abbiano fornito ricette per far ripartire l’occupazione (perché in fondo si tratta di questo, solo
di questo) per una sola ragione: perché non sanno come fare. E dire che le cause della crisi sono
semplici e si riassumono nei tre punti che abbiamo
citato: prodotti poco attraenti, eccessiva pressione
fiscale, strutture commerciali scadenti. Tutto ciò
ha generato uno sviluppo abnorme della disoccupazione, la caduta dei consumi, la caduta del PIL,
la recessione. In tale situazione, anche se il costo
del lavoro fosse uguale a zero la disoccupazione
crescerebbe lo stesso, perché le aziende assumono
se hanno qualcosa da far produrre, ma se non si
vende non si ha niente da far produrre e se non si
ha niente da far produrre non si assume. Quindi,
in estrema sintesi, oggi l’unica priorità è vendere,
non abbassare il costo del lavoro, prova ne sia che
quando non c’era la crisi si vendeva e il costo del
lavoro era sopportato dalle imprese come sempre (e
tutti facevano i soldi). Dove bisognerebbe andare a
vendere oggi? Dove non c’è la crisi, cioè nell’80%
dei paesi industrializzati e in via di sviluppo del
mondo: non è un caso che, ad esempio, le uniche
aziende ceramiche che oggi vanno bene sono quelle che hanno una sede produttiva e commerciale
negli Stati Uniti, dove la crisi è finita. Che fare,
quindi? Qualcosa dovrebbero suggerirci quelli che
ci guidano: in fondo è il loro mestiere. Al momento,
invece, non dicono niente di utile: parlano, parlano, parlano, sì, ma di altro, del patto del Nazareno,
dell’abolizione del Senato, della Legge elettorale,
dell’abolizione del CNEL e delle Provincie, tutta
roba che con il lavoro non c’entra. Come diceva
il Dottor Otternschlag nel film “Grand Hotel”,
“Gente che viene, gente che va, tutto senza scopo”.
anno 6 numero 149 / 1 Novembre 2014
DISTRETTO CERAMICO
Sfumata la Majorca,
Colli rileva Vallelunga
È
Marco Manni
Il Presidente
di Ceramica
Colli Marco
Manni svela i
retroscena che
hanno impedito
il salvataggio
dell’azienda
scandianese,
che ha avviato
il procedimento
fallimentare
di questi giorni la notizia
dell’acquisto, da parte della Ceramica Colli, del ramo di
azienda della Vallelunga, azienda del viterbese con il quale il
gruppo fioranese punta ad accrescere la sua competitività sui
mercati. Una notizia come altre,
in un panorama comunque fluido, che vede le sinergie di diverse aziende trovare spesso la quadra in acquisizioni e passaggi,
ma del quale il Dstretto ha voluto occuparsi in quanto, prima
della Vallelunga, il Gruppo Colli
aveva tentato di rilevare anche
la Majorca, storica azienda reggiana la cui storia si è chiusa, ad
oggi, con un fallimento. Non se
ne è fatto nulla, e Colli ha scelto Vallelunga, «e l’opportunità è
nata quando è svanita la prima»,
spiega Marco Manni, Presidente
di Ceramica Colli che dell’epilogo della vicenda-Majorca parla
senza nascondere «grande delusione per quello che è successo
e per quello che è diventato,
oggi, il sistema Italia. Noi, sulla
possibilità di acquisire Majorca,
abbiamo lavorato, abbiamo speso tempo e denaro, e il fatto che
la trattativa non si sia chiusa in
modo positivo è motivo di grande disappunto». Il Gruppo Colli,
spiega ancora Manni, il suo piano di rilancio lo aveva, «e anche
a livello personale ci tenevo: mi
sarei in un certo senso sdebitato
del tanto che, correvano ancora gli anni Settanta, gli allora
proprietari di Majorca fecero
per me. Purtroppo – racconta
Manni - le cose hanno preso
un’altra piega e quando siamo
stati sul punto di chiudere una
trattativa lunga e difficile con i
sindacati non ce n’è stato modo.
Il disappunto è stato doppio, anche perché come Colli avevamo
comunque rapporti già in essere
con Majorca». I sindacati, fa capire Manni, si sono messi di traverso bocciando «un piano che
avrebbe salvaguardato Majorca
per quanto era possibile farlo, in
una situazione in cui l’azienda
era arrivata a quel punto a causa di errate valutazioni su asset
strategici sui quali si è poi innestata la crisi. Avremmo tentato il
rilancio di Majorca, confermato
una decina di dipendenti con
l’obbiettivo magari di riprendere
la produzione, ma intanto avemmo lavorato sul magazzino, sul
marchio, sulla rete commerciale, e ci è stato risposto, da parte
dei sindacati, che il nostro piano mutilava l’azienda». Così, la
strada da Fiorano, dove ha sede
la Colli, e Scandiano è diventata lunga e accidentata, mentre
quella per Nepi, dove ha sede
Valllunga, è diventata brevissima per Manni e il suo gruppo,
e la Ceramica Colli ha trovato
nell’alto Lazio quello che
aveva cercato a due passi da
casa. E quello che non è riuscito a fare con Majorca, Colli lo farà con Vallelunga, 15
milioni di fatturato l’85% dei
quali all’estero, «e su mercati
come quello russo o statunitense che per noi diventano
strategici anche grazie alle
sinergie che creiamo con questa operazione». La Majorca
resta, per Manni, soprattutto
un rimpianto, oltre il quale
bisogna comunque guardare,
anche perché «gli orizzonti,
per noi, oggi sono diventati
in bianco e nero e lavorare in questo sistema paese è
sempre più complicato. La
vicenda che abbiamo vissuto,
io e i miei soci, conferma che
il sistema stesso, quello dei
rapporti tra le imprese e sindacati e imprese e lavoratori
va rimodulato. Non – chiude
Manni - per cancellare i diritti, come si sente dire, ma per
tutelarli e magari crearne di
nuovi». (R.C.)
5
anno 6 numero 149 / 1 Novembre 2014
7
PROTAGONISTI
Il giallo del tricolore:
è Milano la culla della bandiera italiana
«La crearono i Patrioti
lombardi – dice lo
storico scandianese
Roberto Gandini –
che ne sono padri
ed inventori: presero
il rosso ed il bianco
dallo stemma della
città di Milano, e vi
aggiunsero il verde dal
colore delle divise della
fanteria della Legione
Lombarda»
«
E’ ampiamente documentato come il Tricolore Italiano come “bandiera di reparto militare” è nato a Milano,
l’8 ottobre 1796». Il tricolore?
Roba milanese, non emiliana,
checchè se ne dica e se ne festeggi, con Reggio Emilia che
il senso comune vuole patria
della bandiera italiana. «Un errrore storico», invece, almeno
secondo Roberto Gandini, storico scandianese che da’ forza
alle sue tesi con un volumetto dal titolo “Contributo allo
studio di simboli e bandiere
della Repubblica Cispadana”
uscito a settembre per i tipi
di Corti Linea Stampa. Agile
il giusto, altrettanto accurato
nella ricostruzione con il quale Gandini accosta il tema, arrivando ad una conclusione a
suo dire inconfutabile, ovvero
che «quella che si festeggia
il 7 gennaio di ogni anno a
Reggio Emilia e in Italia è la
bandiera di uno stato con co-
Roberto Gandini
stituito e mancante di sovranità;
perchè decretata dal Congresso
e, dopo due giorni, dallo stesso,
sospesa e non eseguita dal voto
di tutti deputati». Il rigore dello storico, nella ricostruzione di
Gandini, non lascia mai spazio
alla suggestione campanilistica,
ma trae forza dallo studio degli
atti delle Repubbliche Napoleoniche costituite alla fine del
XVIII secolo, ed in particolare
da quelli della costituenda Repubblica Cispadana, «uno stato
non riconosciuto che ha vissuto
una sola estate». Tra i suoi atti,
le diverse mozioni dalle quali
emerge appunto il tricolore, ma
poco altro. «Che si renda universale lo stendardo o bandiera
Cispadana in tre colori: verde,
bianco e rosso», si legge sulla
mozione della discordia, quella
del 7 gtennaio 1797, annullata
due giorni dopo e resa esecutiva
il 21 gennaio dello stesso anno,
da cui tuttavia non si hanno altre informazioni riguardanti la
disposizione dei colori, la diEnrico Grassi
mensione
delle bande né se sul
vessillo compaiano altri stemmi,
dei quali si trovano notizia invece nella mozione del 21 gennaio, che al punto secondo recita
«che sia universale lo stendardo
o bandiera Cispadana di tre colori: verde, bianco e rosso con il
Turcasso». E proprio l’aggiunta
del Turcasso, secondo Gandini,
Bandiera tricolore
con turcasso della
Repubblica Cispadana,
aprile 1797
(ricostruzione)
è decisiva, perchè «siamo di
fronte a due bandiere diverse:
una con i soli tre colori nazionali
e una con i tre colori e, all’interno del bianco, il Turcasso».
E siamo di fonte ad uno Stato,
ovvero la Repubblica Cipsdana,
che ha i giorni contati se è vero
che, mentre a Bologna capitale
«muoveva con fatica i primi passi – scrive Gandini – il governo
Bandiera tricolore della
Repubblica Cisalpina,
vessillo ufficiale del primo
Stato italiano libero e
sovrano, maggio 1798
CHI E’
Roberto Gandini è nato a Scandiano
il 26 aprile 1929. Laureato in Economia e Commercio all’Università Luigi
Bocconi di Milano è stato, per molti
anni, membro del Comitato esecutivo dell’AISEC (l’associazione internazionale degli studenti di scienze
e conomiche e commerciali) e ha a
lungo insegnato matematica nelle
scuole medie di Scandiano, Sassuolo e Casalgrande. Socio fondatore
e presidente della Pro – Scandiano,
ha diretto il periodico “All’ombra del
Campanone” e la collana “Quaderni
di storia, arte, geografia e tradizioni
scandianesi”. Socio corrispondente
della Deputazione di Storia Patria per
le provincie modenesi, ha pubblicato
numerosi saggi e articoli sulle riviste
specializzate oltre che su “Bollettino
Storico Reggiano” e “Reggio Storia”.
della neonata repubblica», già
se ne propsettava al’annessione
alla Repubblica Cisalpina. Dura
83 giorni la repubblica Cispadana, perchè il 17 luglio del 1797
il Direttorio della Repubblica
Cisalpina accetta «l’offerta di
riunione de’ popoli di Bologna, Ferrara e della Romagna e
li ammette al nuovo stato». Il
tricolore della Repubblica Cispadana, e segnatamente quello
di gennaio, non ha mai avuto riconoscimento ufficiale, e se c’è
stato riconoscimento ufficiale è
stato per il trocolore con il turcasso, mentre il riconoscimento ufficiale del tricolore arriva
a maggio, e precisamente il 11
maggio 1798, quando «il gran
consiglio risolve che la bandiera
della Repubblica Cisalpina sia
di tre bande parallele all’asta: la
possima all’asta verde, la successiva bianca, la terza rossa».
Eccolo qua, il primo tricolore,
che diventa, nella Milano capitale cisapina, il vessillo ufficiale
del primo stato italiano unitario
libero e sovrano. E sventola nelle piazze e nelle strede del capoluogo milanese in occasione
della festa celebrativa per la nascita della Repubblica Cisalpina.
Quanto al tricolore cispadano, è
figlio più che altro di suggestioni poiché, argomenta Gandini
«il consgresso Ciapsdano non
poteva legiferare, la Repubblica
Cispadana era solo una “Unione
formata e con costituita”, sul suo
territorio operavano tre governi
provvisori e in nessuno dei 404
articoli che compongono il piano
di costituzione della Repubblica
Cispadana si nomina la bandiera». Nessuna bandiera ufficiale,
dunque, per uno Stato che restò
in carica meno di 90 giorni, «e –
chiude Gandini – quelle che vediamo esposte in luoghi pubblici
e privati che si spacciano per
bandiere della Repubblica Cispadana sono solo modelli fondati su ipotesi e proposizioni».
(S.F.)
anno 6 numero 149 / 1 Novembre 2014
SASSUOLO e MARANELLO
La Sassuolo che verrà...
Ha appena finito di
presentarla ai quartieri
la Giunta, concludendo
un fitto calendario
di incontri.
Tra idee e progetti più
o meno futuribili,
eccone una sintesi
S
ono un simbolo, secondo
molti, quei calcinacci che si
staccano dal controsoffitto del
Carani e rendono inagibile lo
storico teatro sassolese, vestigia
sgarruppata, tanto spesso fredda
quanto spesso vuota, di una città
che si confronta con il tanto che
non piace ed invecchia e andrebbe cambiato, ristrutturato e/o abbattuto. Mica si parla del Carani,
ovvio, che tra l’altro è bene privato ed è patrimonio storico della città, ma di altro, che alla città
non è più funzionale, né utile e,
detta come va detta, la abbruttisce ben oltre le colpe degli architetti e dei geometri che l’hanno
disegnata, costruita e magari
lasciata a metà. O abbandonata
a se se stessa: spesso per questione di soldi, altrettanto spesso
per questioni di cura ed estetica,
temi non carissimi al tumultuoso
sviluppo della Sassuolo che fu.
Che oggi, ma anche l’altro ieri,
non si sviluppa più, ma prova a
ripensarsi, e a restituirsi al terzo
millennio un tantino rinnovata
e, perché no, anche visivamente
più gradevole. Fattibile? Forse:
di sicuro servono idee, servono
soldi e ruspe, e non necessariamente in quest’ordine. E serve un’idea di futuro che viene
inevitabilmente affidata alla
politica. Fu così sotto l’amministrazione Caselli, è così sotto
l’amministrazione Pistoni, che
proprio in settimana chiude un
ciclo di incontri nei quartieri
aventi ad oggetto, oltre alle madonne di chi nei quartieri abita e
ne critica brutture e inefficienze,
anche la Sassuolo che verrà. Più
bellina, per quanto mai potrà di-
ventare bellina una Sassuolo quasi
mai in grado – dal punto di vista architettonico ed estetico – di badare
a se stessa, rappresentata bene dal
chilometro scarso di Circonvallazione sul quale si affacciano, in
successione, i Gerani (1, sgombrati
e inagibili da anni) e il caseggiato
azulgrana (2) di Circovallazione
189 e, a chiudere, il Diamante (3).
“Palazzacci”, li chiama l’amministrazione nelle note stampa in cui
ne ipotizza abbattimenti e ricostruzioni, riconversioni e riqualificazioni, scrivendone un futuro che
chissà quando arriva e ai quali si
può tranquillamente aggiungere
altro, nemmeno troppo distante dal
quel tratto di circonvallazione. Perché su quell’asse ci sono anche via
Adda (4, il civico 77 venne sgomberato nel 2010, oggi è inabitabile)
e l’area a di Cisa-Cerdisa (5), ma
anche, non troppo distanti, altre
aree: via San Pietro (6), dove una
volta c’erano i palazzoni abbattuti
da Pattuzzi, e la ex Pedemontana.
Fosse un foglio bianco, la Sassuolo
che verrà la si potrebbe ridisegnare
su progetti avveniristici e funzionali, ci fossero i soldi, si potrebbe
anche pensare di riqualificare, ma
dentro i primi 15 anni della Sassuolo del terzo millennio si vede
una Sassuolo complicata assai
da cambiare, perché la Sassuolo
di oggi non è un foglio bianco su
cui disegnare la Sassuolo che verrà, ma un foglio già scritto, e non
solo sull’asse che si dipana lungo
la circonvallazione. Passate pure al
parco, dove a due passi dal polmone verde del centro storico giganteggia l’ex Goya (7), o in centro,
dove fanno bella mostra di se la
ex caserma dei carabinieri (8), attigua al Municipio, o tornate verso
Braida per riammirare Diamante
e Gerani, non senza passare dal
piazzale-parcheggio retrostante la
stazione, su cui giganteggiano i
ruderi del cosiddetto “consorzio”
(9). Ricette? Qualcuna, non senza
la doverosa precisazione che l’articolo mescola – volutamente – beni
pubblici e privati, destini già scritti
e altri ancora da scrivere, giusto a
dare un’idea di insieme che tuttavia dell’insieme, in senso tecmnico, non ha l’omogeneità… Di
1
4
2
3
5
6
7
9
Cisa-Cerdisa si sa, e si sa che alla
riqualificazione del’aera è legata
a doppio filo anche il futuro di via
Adda, mentre il Diamante verrà
abbattuto e ricostruito grazie all’intervento di un privato, lo stabile
di via Circonvallazione 189 verrà
solo abbattuto ma non ricostruito,
mentre altri edifici verranno riadattati. E’ il caso dell’edificio delle ex
Monari, che potrebbe diventare “la
8
10
casa delle associazioni”, o della ex
caserma dei carabinieri, futuribile
sede di uffici comunali, ma la lista
non finisce qui. Si prevede, un domani, anche l’alienazione dell’edificio che, sempre a Braida, ospita le
scuole Vittorino da Feltre (10) a favore della realizzazione di un’altra
struttura scolastica, si lavora a restituire alla città, almeno come area
di sosta, l’area dell’ex ospedale e si
coltivano ancora speranze di andare
a buon fine con alcune alienazioni
rimaste finora lettera morta, come
quella dei magazzini comunali.
Sogni? Miraggi? Roba fattibile?
Lo diranno, più che i prossimi mesi
– entro i quali il via lo dovrebbero
prendere solo il Diamante e i lavori
sull’area parcheggio tra la stazione
e piazzale Tien An Men – i prossimi anni. (S. F.)
legato ad Internet e la dotazione
di questo strumento da parte della
Polizia Municipale di Maranello
rappresenta un’innovazione sotto il
profilo tecnologico che permetterà
all’amministrazione comunale di
aprire un nuovo canale di comunicazione con i cittadini utilizzando
le potenzialità di strumenti come
smartphone e tablet. Utilizzando
WhatsApp, ad esempio, sarà possibile segnalare in modo immediato e veloce episodi di degrado
urbano quali danneggiamenti a
strutture pubbliche o disagi di altra natura e problematiche inerenti
alla circolazione stradale, inviando
un semplice messaggio di testo,
vocale e anche delle fotografie. I
cittadini che hanno a disposizione
uno smartphone o un tablet. A raccoglierle sarà il numero di cellulare
3297504432, attivato all’uopo,
complice il quale: la Polizia Municipale si adopererà per prendere
in carico la problematica segnalata,
garantendo la privacy e la riservatezza di chi ha inviato il messaggio,
e nel caso in cui l’intervento non
sia di propria competenza, provvederà all’inoltro della segnalazione
al servizio responsabile. (E. A.)
Il vigile digitale
In corso, a Maranello,
la sperimentazione
che collega, attraverso
WatsApp la Polizia
Municipale e i cittadini
che potranno inviare
segnalazioni e doglianze
in tempo reale, e
corredate di immagini. La
delazione corre sul web
Maranello
I
vigili? A Maranello sono smart,
e arrivano con WhatsApp. La
Polizia Municipale di Maranello
si è infatti dotata di un nuovo strumento per raccogliere le segnalazioni da parte dei cittadini attivando il servizio di messaggistica
WhatsApp. Chiunque, dotato di
uno smartphone, potrà inviare agli
agenti, in tempo reale, messaggi
con segnalazioni. «L’adozione di
questo sistema rientra in un progetto più ampio che vede l’utilizzo delle tecnologie per favorire la
comunicazione tra ente pubblico
e cittadini», ha detto il sindaco
Massimiliano Morini, mentre ad
avviso di Carlo Alberto Romandini, comandante della municipale
maranellese, «una scelta del genere rientra in un’idea di prossimità e
vicinanza al territorio e può contribuire a rendere più efficace anche il
nostro lavoro». WhatsApp, ovvero
l’applicazione di messaggistica
istantanea multi-piattaforma per
smartphone, si è molto diffuso
negli ultimi anni come sistema
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9
10
CASTELLARANO e CASALGRANDE
anno 6 numero 149 / 1 Novembre 2014
La crisi ha fatto strike,
ma i birilli sono il bowling…
in un punto strategico facilmente raggiungibile dalla strada che
porta al passo delle Radici e per
anni è stato il punto di ritrovo di
tantissime generazioni di giovani. Vi era persino una squadra
in “made in Castellarano” che
partecipava ai tornei di bowling
in giro per l’Italia. Poi la crisi…
i costi dell’energia sono andati
alle stelle e un simile locale ne
consumava parecchia. Aumento
dei costi di gestione e calo di
entrate, con la drastica contrazione di quanto, anche solo fino
a qualche anno fa, si spendeva
per hobbies e tempo libero, e
bowling che fa strike…. Ora
non rimane che visitare la pagina di Facebook con il giudizio a
quattro stelle delle oltre duecento persone che hanno lasciato
la loro traccia su quel profilo e
notare le offerte che venivano
fatte per i compleanni dedicati
ai bambini e per la ristorazione
che veniva preparata nel locale.
Un punto di ritrovo dove oltre al
ristorante erano presenti alcune
piste per il gioco del bowling,
una sala giochi e un angolo dedicato al bigliardo. Un locale
con un offerta completa dove
potevano recarsi le famiglie per
passare una serata in compagnia.
La crisi taglia i consumi, taglia
il superfluo e l’in più. E abbassa
serrande e preoccupa: la metafora del “cane che si morde la
coda”, dove la coda è la riduzione dei consumi e il cane siamo
noi e le nostre attività, ha fatto
un’altra vittima. Strike!
(Paolo Ruini)
decidere in maniera definitiva
cosa fare per il futuro». Ovvio
chiedersi se l’amministrazione
comunale non stia facendo nulla
per impedire la chiusura dell’ultimo cinema rimasto sul territorio, altrettanto ovvio sentirsi
rispondere che «abbiamo avuto
alcuni incontri con il proprietario del cinema e abbiamo offerto
la nostra disponibilità a finanzia-
re delle rassegne cinematografiche e a favorire la nascita di un
cinema d’essai dove si possano proiettare dei film destinati
ad un pubblico di nicchia. Ad
oggi - prosegue Vaccari - stiamo
aspettando una risposta definitiva anche perché non vi è ancora
la comunicazione della chiusura
di questa attività. Se il cinema
chiudesse per il nostro comune
sarebbe sicuramente una grossa
perdita e ci stiamo impegnando al massimo per riuscire ad
evitarlo con una serie di offerte
dove l’amministrazione comunale si impegnerebbe economicamente. Non nascondo che
vi siano delle problematiche da
risolvere come quella del nuovo
adeguamento degli impianti e il
fatto che sempre meno persone
vanno al cinema, e chi ci va predilige multiplex od offerte combinate sul genere di quelle della
multisala».
(P.R.)
Chiude il bowling
di Castellarano, il
Grande Lebowsky
si arrende alla
crisi: troppe spese
e poche entrate
L
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a crisi colpisce ancora e
spesso chi chiude lo fa in
silenzio e se ne va “in punta
di piedi”. L’ultima attività
“vittima” di una crisi economica che pare non avere mai
fine e che costringe le famiglie a risparmiare su tutto è il
Bowling di Castellarano. Da
alcune settimane il locale è
chiuso, al numero di telefono
non risponde nessuno e davanti all’ingresso è comparso
un grande striscione “Affittasi
-Vendesi” corredato da due
recapiti telefonici. Contattati
i quali vi verrà spiegato che
chi gestiva il locale non ha
rinnovato il contratto di affitto e
quindi al proprietario dell’edificio non è rimasto che trovare un
nuovo affittuario o una persona
intenzionata ad acquistare l’intero capannone. Il bowling di
Castellarano si trova nell’area
artigianale in Via Michelangelo
Arrivederci Roma…
Nel senso di
“Nuovo Roma”,
il cinema di
Casalgrande che
ha interrotto la
programmazione
e potrebbe non
ricominciarla
più…
Casalgrande
L
a magia del grande schermo
è sparita da Casalgrande. Il
comune ceramico vantava pochi
anni fa la presenza di ben due
sale cinematografiche: il cinema Perla alla Veggia e il cinema
Nuovo Roma ai Boglioni di Casalgrande. Dopo la chiusura del
Perla è rimasto il Nuovo Roma
che alcuni anni fa è stato persino ristrutturato. Una sorpresa
amara ha colpito gli amanti del
grande schermo che hanno visto
interrompere la programmazione. Il sito internet del “Nuovo
Roma” non annuncia più i nuovi programmi, la sala è chiusa,
e chi la frequentava dovrà emigrare altrove. Non a Sassuolo
perché i cinema, lì, sono spariti
da un pezzo, ma a Castellarano
o a Rubiera o a Scandiano o addirittura a Marnello e Fiorano,
Modena o Reggio. Le ragioni
sarebbero da imputare alla ne-
cessità di dotare il cinema di un
nuovo impianto di proiezione
perché le nuove pellicole possono essere visionate solamente
con dei nuovi proiettori digitali
che hanno dei costi d’acquisto molto elevati (circa 60mila
euro l’investimento richiesto) e
«la palla – spiega il sindaco di
Casalgrande Alberto Vaccari- è
in mano alla proprietà che deve
anno 6 numero 149 / 1 Novembre 2014
11
SCANDIANO
A Scandiano
non ci sono più industrie
Negli ultimi dieci
anni le aziende
scandianesi che
hanno chiuso i
battenti, portato
le produzioni in
altri luoghi, sono
numericamente
molte e comunque
più rilevanti che in
altri comuni
“
A te Scandiano faro gentil…” scriveva il Petrarca
dall’interno della Rocca che
in una notte buia e piovosa gli
aveva dato riparo e ospitalità.
Un faro che oggi illumina case,
strade, piazze, scuole, gente
ma poche, pochissime industrie. Negli ultimi dieci anni le
aziende scandianesi che hanno
l’ex Cantina Cavalli
chiuso i battenti, portato le produzioni in altri luoghi, sono numericamente molte e comunque più
rilevanti che in altri comuni (il
nostro giornale si sta attivando per il recupero di dati statistici certi e
precisi che presto verranno pubblicati). E pensare che un tempo
il comune di Scandiano ospitava
aziende ceramiche che sprigionavano nell’atmosfera milioni di
metri cubi di fumi e vapori acquei;
industrie alimentari dalle quali
partivano centinaia di autotreni
alla volta dell’Italia e dell’Europa;
laboratori industriali dove centinaia di donne e uomini tagliano e
cucivano tessuti; industrie rivolte
ai saloni per parrucchieri; artigiani impegnati nella fabbricazione
di divani; falegnami impegnati a
dare corpo e forma al legno. Che
fine ha fatto tutto questo? C’è
una ragione di fondo che attribuisce oggi alla città del Boiardo
un primato non certo esaltante e
poco spendibile per l’immagine
del comune reggiano? Ci sono
responsabilità oggettive legate ad
una non felice gestione politica
del territorio? Di certo l’attuale
situazione non favorisce l’occupazione, non aiuta il commercio e
l’ex Ceramica AMIC
le attività ad essa correlate, la ristorazione. Lo sfogo dell’imprenditore Maletti sull’ultimo numero
del “Dstretto” ha portato sotto i
riflettori un fenomeno al quale noi
abbiamo attribuito nome e cognome: “desertificazione industriale”.
Raggiungiamo telefonicamente
l’imprenditore Viterbo Burani e
il responsabile di zona della Cgil
Enrico Felloni, per capire quali
siano le ragioni di tale fenomeno
e se sia possibile identificare delle
responsabilità.
Il presidente di Arpa Ceramiche
è salomonico e distribuisce in
maniera equa le responsabilità
tra pubblico e privato: “Scandiano non ha mai avuto una zona
industriale ben definita e così le
aziende sono sorte a macchia di
leopardo, va detto anche che noi
scandianesi, tolto Manfredini della Casalgrande padana, non siamo
grandi imprenditori. Il territorio
ha una vocazione più artigianale, certo in questo hanno un peso
anche le scelte delle amministra-
zioni che realizzano i piani regolatori, non hanno mai pensato a
grandi imprese, l’ultima azione in
questo senso è quella delle zone
dove è poi sorta la Majorca, ma
si trattava di lotti piccoli”. Enrico
Felloni della Cgil lo definisce “un
fenomeno figlio di politiche industriali che sono andate nel verso
opposto a quello che in cui andava
l’economia, abbiamo lasciato che
i distretti languissero nella più
completa solitudine quando invece andava costruito un sistema in
rete che garantisse la crescita del
territorio attraverso la formazione”. Felloni ne fa una questione
più ampia, sottolineando come il
ridimensionamento sia di tutto il
distretto ma, onestamente, a noi
pare che comuni come Casalgrande e Castellarano abbiano saputo
tenersi strette grandi aziende: “E’
stata una scelta di salvaguardia
dell’ambiente e del territorio, su
questo non ci piove. Di certo la
politica non è stata capace di interpretare le trasformazioni del
mondo del lavoro e dell’economia, non si è adeguata, non ha
fatto selezione”.
E se Viterbo Burani ha il coraggio
di puntare il dito anche sulla scarsa capacità imprenditoriale degli
scandianesi un sassolino dalla
scarpa se lo toglie quando gli si
parla del sindacato: “le condizioni che ci sono nei nostri contratti
sono molto più stringenti di quelle
che si trovano a Sassuolo, da noi
il sindacato picchia duro ed ha
sempre ottenuto molto. Lei pensi che nel nostro contratto c’è la
gita aziendale, una cosa che con
il tempo ha consentito anche la
creazione di rapporti d’amore e
d’amicizia ma che non ha eguali
al di la del Secchia”.
Avremmo voluto chiedere qualcosa anche al Sindaco Alessio Mammi ma i nostri tempi di redazione
hanno malamente coinciso con
quelli della sua attività, ci riproponiamo di sentirlo nelle prossime
settimane.
(Roberto Caroli)
DIRETTORE RESPONSABILE
ROBERTO CAROLI
[email protected]
DIREZIONE,AMMINITRAZIONE
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REDAZIONE IL DSTRETTO
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REDATTORI
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COLLABORATORI
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Babette, Don Achille Lumetti,
Alberto Agazzani, Maple Leaf, Sting
EDITORE
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Pubblicazione registrata presso il Tribunale di
Reggio Emilia al n°1202 in data 05/12/07
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13
RUBRICHE
anno 6 numero 149 / 1 Novembre 2014
Stelle & Strisce
Il resto? Mancia, of course
M
ancia al ristorante, mancia al tassista, mancia al
barista, mancia in albergo: mentre in Italia l’istituzione feudale
della mancia è quasi scomparsa,
nei civilissimi Stati Uniti è ancora un dovere fastidioso. Quante
volte abbiamo sentito pronunciare queste parole? Innumerevoli.
Ebbene, è una fesseria. O meglio,
è uno dei tanti luoghi comuni che
circolano su quel paese. Comunque, nelle lamentele dei nostri connazionali che subiscono il tormento quotidiano delle mance c’è un
fondo di verità. Di più: negli stessi
Stati Uniti sta crescendo il numero
di coloro che vogliono l’abolizione
della mancia perché feudale, anacronistica, ipocrita e poco democratica perché classista (chi dà la
mancia appare socialmente superiore a chi la riceve): speriamo sia
cancellata presto. La mancia è nata
negli Stati Uniti oltre due secoli fa;
a quei tempi i titolari di saloon e
ristoranti, allo scopo di tenere bassi i prezzi, pagavano i dipendenti
col minimo retributivo. La mancia
era quindi una integrazione al loro
guadagno e veniva data dal cliente in base alla soddisfazione per il
servizio ricevuto. In tal modo, si
diceva (ecco l’ipocrisia) che il dipendente sarebbe stato incentivato
a dare un buon servizio nella prospettiva di una mancia generosa.
Queste motivazioni erano valide
forse qualche secolo fa ma non
più oggi: infatti, il comportamento
di ogni cameriere o barman è più
frutto dell’educazione ricevuta in
famiglia che dalla prospettiva di
una mancia elevata. Inoltre la mancia non ha mai tenuto bassi i prezzi,
perché se alla somma per la portata
o la bibita vanno aggiunte le tasse
federali e la mancia, il prezzo basso
va a farsi benedire. La verità della
mancia è una sola: è un espediente
attraverso il quale per tradizione il
cliente paga una parte della retribuzione del cameriere che lo serve.
Ciò premesso, va precisato che la
mancia non va riconosciuta a tutti
quelli che ci offrono un servizio: se
compriamo un vestito dopo averne
provati una decina non va riconosciuta alcuna mancia al commesso
che ci ha aiutato nella scelta e nemmeno va data la mancia all’impiegata di un Centro Prenotazioni che
ci ha trovato un buon albergo a un
prezzo umano. La mancia va data
a ogni lavoratore dipendente che
ci abbia fornito un servizio personalizzato: in pratica, solo ai tassisti
(quasi tutti dipendono da società),
ai camerieri, ai barman e, negli alberghi, ai facchini che ci portano in
camera le valigie o la colazione la
mattina. Infine, la mancia va data a
chi consegna a domicilio la spesa
o un collo. La procedura di riconoscimento della mancia al ristorante
è di una certa complessità: il cameriere vi porta il conto, voi gli date
la vostra carta di credito, lui va alla
cassa e torna poco dopo col conto
in cui sono indicati i prezzi delle
portate e le tasse federali. Voi aggiungete la mancia e ridate il tutto
al cameriere che torna alla cassa e
vi porta una nuova striscia in cui
appare il conto, le tasse e la mancia. A questo punto, vi alzate, prendete la carta di credito, ringraziate
e salutate. Siccome su ogni conto è
scritto il nome del cameriere che vi
ha servito, a fine giornata il titolare
dovrebbe scrivere sui suoi registri
tre somme: il totale dei conti (su
cui pagherà le tasse locali), il totale
delle tasse federali e il totale delle
mance spettanti al cameriere, che
gli riconoscerà settimanalmente
(negli Stati Uniti i lavoratori sono
ancora pagati a settimana, come nel
1800. Fanno eccezione i professori
universitari e poche altre categorie
che sono pagate quindicinalmente). Abbiamo detto “dovrebbe”,
perché spesso i ristoratori di recente inizio attività non riconoscono
ai camerieri le mance pagate dai
clienti, adducendo giustificazioni
pretestuose. In tal caso, avete una
via molto semplice per combattere questo odioso comportamento:
barrate sul conto lo spazio dedicato
alla mancia, pagate quel che avete
mangiato e bevuto (più le tasse) con
carta di credito e date al cameriere
in contanti l’ammontare della mancia: vedrete luccicare i suoi occhi,
dopo di che luccicheranno anche i
vostri per il piacere di aver fottuto un disonesto che deruba i suoi
dipendenti. Cosa dare di mancia?
Nei ristoranti e nei taxi si è passati
dal 10% canonico di una ventina di
anni fa all’attuale 15%, con punte
del 18% e persino del 20%. In media, a un cameriere o a un tassista
si riconosce il 15%. A chi vi porta
i bagagli in camera o li sistema nel
taxi si riconosce un dollaro a valigia o borsa e si dà un dollaro a bevanda nei bar, sia che consumiate
al banco o al tavolo. Ovviamente,
la percentuale cambia a seconda
dell’hotel in cui pernottate o del
ristorante in cui cenate: se siete in
un Hotel a cinque stelle o se andate a cena nel ristorante di lusso di
uno chef stellato dovete stare sul
20%. Qui, vista l’entità del conto,
questo 20% sarà una bella sberla,
ma non dovrete lamentarvi, altri-
menti fareste la figura di quelli che
hanno la Ferrari e si lamentano che
la benzina è cara. Dare la mancia,
in assenza di una calcolatrice, implica equilibrismi mentali: stanno
per fortuna aumentando i locali
che vi facilitano – si fa per dire – il
compito stampando, sotto il conto
e le tasse federali, le percentuali e
il relativo ammontare: ad esempio,
per 120 dollari di conto compare
“15% - 18 dollari, 18% - 21,60
dollari, 20% - 24 dollari”. Una raccomandazione: la mancia si riconosce sul conto, non sul conto più
le tasse. Infine, è lecito non dare
la mancia, ma solo se il servizio
è stato pessimo: cameriere sgarbato, insofferenza verso il vostro
inglese primitivo, comportamenti
indisponenti. In tal caso, niente
mancia ma senza lasciare in bianco
lo spazio sul conto: sbarratelo, così
nessuno vi addebiterà nulla fraudolentemente. Comunque, la mancia
è destinata a scomparire e ciò accadrà con gran confusione sociale
nel popolo americano: l’idea che il
servizio sia compreso ai loro occhi
fa molto “Russia comunista”. Pazienza, se ne faranno una ragione
e sopravvivranno, come è sopravvissuta l’umanità alla scomparsa di
Leonardo da Vinci. .
(Sting)
un lavoro – guadagna € 1.024 netti mensili e nei paesi della UE €
1.378. Dopo 5 anni, in Italia raggiunge € 1.586, nella UE € 2.324.
Negli anni che seguono, la crescita retributiva allontana sempre più
chi è andato all’estero rispetto a
chi è rimasto in Italia. Un’eccezione positiva è la inglese Rolls Royce (motori aerei). A Derby (UK) i
suoi selezionatori hanno scoperto
nel 2008 che gli ingegneri italiani sono migliori degli altri: da
quell’anno ne vengono assunti 20
l’anno. Inoltre, l’azienda ha creato un ufficio che perlustra i più
importanti atenei del mondo allo
scopo di assumere i migliori neo
laureati, offrendo loro da subito
assunzioni a tempo indeterminato e la formazione al ruolo di un
anno pagata 27.000 sterline nette
(€ 33.827,22), cui seguono incarichi in responsabilità progressivamente crescenti. Dove vanno i neo
laureati italiani? A cinque anni
dalla laurea ne troviamo il 16,7%
in Inghilterra, il 15% in Francia,
il 12% in Germania, l’11,3% in
Svizzera, il 7,3% in U.S.A. e in
Belgio, l’1% in Spagna. I restanti
risiedono un po’ dappertutto, dalla
Svezia all’Australia, dalla Norvegia al Canada. Quanti tornano in
patria? Quasi nessuno: giunti nel
nuovo paese, trovano il lavoro,
verso i 30 anni si sono sistemati,
incontrano la donna del cuore, si
sposano, comprano casa, fanno
il primo figlio, poi il secondo e
si impegnano ancor di più nella carriera per migliorare la loro
situazione economica. Solo noi
abbiamo i cervelli in fuga? Basta
consultare le statistiche di “Eures”,
il portale europeo per il lavoro: la
Spagna ha in corso 322.698 richieste di lavoro, poi viene l’Italia
con 190.497, poi la Romania con
86.000, poi Portogallo, Polonia,
fino all’ultimo, l’Inghilterra con
33.489. La responsabilità di questo disastro è la politica, ma hanno
pesanti responsabilità anche un
certo numero di nostri imprenditori, spesso espressione di una
gerontocrazia convinta della sua
indispensabilità e della sua immortalità. Essi continuano a fare
da tappo ai loro figli, ma soprattutto ai giovani manager, che se ne
vanno all’estero. Intanto, essi continuano a lavorare come 30 anni fa
(e spesso senza sapere nemmeno
accendere un PC), sottolineando il
loro fallimento: avrebbero dovuto
preparare successori eccellenti,
non castrarli perché non sono le
loro copie conformi. Anche questo ci ha dimostrato la crisi che,
grazie anche alla generosa collaborazione dei politici, stiamo ancora vivendo.
(Sting)
Fardelli d’Italia
La fuga dei cervelli continua: ecco perchè...
P
arlar male dei politici è come
sparare sulla Croce Rossa o,
come si dice a Bologna, “Cumpagn’a ammazèr un ch’al chèga”,
ma si sa che i bolognesi sono grassi, comunisti e volgari. D’altra
parte, i politici ne fanno talmente
tante che viene il sospetto che provino piacere ad essere abbattuti
mentre espletano metaforicamente le loro funzioni organiche. Pensiamo ad esempio alle politiche
demenziali che hanno generato da
almeno un decennio la così detta
“Fuga dei cervelli”: come è stato
già ricordato, solo negli Stati Uniti
i ricercatori e i professori italiani
sono 23.000, in media 6,96 in ciascuna delle 3.300 Università, tra
pubbliche e private, di quel paese.
Se poi ci aggiungiamo i ricercatori
e i professori attivi nelle Università europee e in quelle asiatiche
arriviamo a cifre da tutto esaurito
al Maracanà. Ovviamente, se parlate con un politico lui se ne uscirà con le solite ipocrite geremiadi,
“Scontiamo gli errori del passato”
(manco i politici succedutisi sino
all’ultima legislatura fossero provenuti dal Burkina Faso e dal Paraguay), oppure “Non ci sono soldi, il nostro debito pubblico è quel
che è” (manco sia stato creato in
una notte da una banda di ignoti
sabotatori finanziari). D’altra parte, i politici sono come gli artigia-
ni, se ne chiamate a casa vostra
uno perché un rubinetto perde lui
dirà che la colpa è dell’idraulico
che lo ha preceduto e che ha sistemato male la guarnizione. Accanto ai politici, una robusta mano
alla fuga dei cervelli l’hanno data
anche, paradossalmente, numerosi
imprenditori, come vedremo. Poiché il disprezzo è un’opinione, per
dimostrare la situazione del “Brain
Drain”, “Drenaggio di cervelli”, ci
siamo rifatti a una accuratissima
indagine realizzata dalla giornalista Francesca Sironi e pubblicata
sul numero 9 del 6 marzo 2014 de
“l’Espresso”. Eccone un estratto:
in primo luogo, quanto costa un
laureato? Limitandoci all’Università, un laureato che abbia frequentato un corso di 5 anni costa
allo Stato, in media, € 34.950 l’anno. Calcolando che, altrettanto in
media, se ne vanno annualmente
all’estero in via permanente 5.000
giovani laureati, l’Italia vede volare via dagli aeroporti, insieme ai
suddetti 5.000 laureati, anche 175
milioni di Euro l’anno. Qual è la
qualità degli studi universitari in
Italia? In media, eccellente, grazie
anche a scuole secondarie che, per
quanto scassate e scricchiolanti,
sono pietre preziose rispetto alla
qualità degli studi secondari di
altri paesi. A testimonianza, la
Direttrice dell’Istituto di Fisica
Teorica dell’Università di Parigi
Orsay ha confessato a un giovane
dottorando italiano che era molto
grata ai politici italiani: non fanno
nulla per trattenere i migliori neo
laureati, che così si trasferiscono
negli atenei di tutto il mondo senza che i paesi ospitanti abbiano
speso un solo centesimo per formarli. Se è così, perché la nostra
migliore Università, quella di
Bologna, galleggia al 200° posto
nelle classifiche mondiali? Perché
quelle cha la precedono sono le
Università di eccellenza di tutto
INCHIOSTRI VETRIDIGIT VIK “EVO”
New Eco Generation
VetriDigit, divisione digitale di Vetriceramici spa, presenta la nuova ed
esclusiva gamma di inchiostri per ceramica “New EVO”, progettata
e prodotta completamente nell’innovativo sito di produzione e ricerca
per materie digitali di Casola Valsenio (RA). La nuova serie EVO si
contraddistingue dalla precedente, già apprezzata, per essere “amica”
dell’ambiente, infatti è composta da prodotti non tossici e conformi alle più
severe normative europee REACH. Vetriceramici, per sua natura, continua
fortemente ad investire in ricerca sulle nuove tecnologie digitali, e ad oggi la
divisione R&S conta più di 20 addetti specializzati. Vetriceramici si conferma
leader per qualità prodotto e servizio di assistenza al Cliente.
il mondo (delle prime 50, ben 35
sono americane), mentre in Italia
non esistono Università eccellenti: da noi ci sono quelle che dicono
di essere eccellenti, ma non basta
dirlo per esserlo. Chi è lo studente – tipo che espatria? Un giovane
di 25 anni, con laurea specialistica
ottenuta in cinque anni col massimo dei voti in Ingegneria, Economia, Lingue e letterature contemporanee, Scienze politiche e
sociali. Perché va all’estero? A un
anno dalla laurea, in Italia – dato
e non concesso che abbia trovato
14
accaDmenti
anno 6 numero 149 / 1 Novembre 2014
Meglio soli che in cattiva compagnia:
l’Europa che vogliamo
Don Achille Lumetti
Gli aspetti cardine
dell’Unione sono
e devono essere
sempre il rispetto
delle identità e
l’attenzione a
coloro che non
riescono a marcare
il passo. L’Europa
che vogliamo è solo
l’Europa solidale
U
na ondata di indipendentismo
ha attraversato e attraversa il
Vecchio Continente. Aria di secessione nei paesi Baschi, dalla
Scozia, dall’Alsazia alla Gran
Bretagna. E poi Sardegna, Corsica.... E’ solo utopia, o c’è di più
dietro a tutto questo? L’autodeterminazione striscia anche il nostro
Paese. La situazione dell’Ucriana
è drammatica, e a ben vedere al
centro di questi impulsi c’è una
tensione “esistenziale”: intesa
come modo di esistere, di creare una economia sostenibile. La
stessa lingua crea sfaccettature e
aspetti diversi culturali che vanno
a gonfiare un disagio sempre e
ovunque presente. Se non prevale
il senso di solidarietà in Europa,
si rischia che lo Stato Centrale
vada a depredare le risorse, del-
le singole nazioni, per ridistribuirle. E per questo, alla base
dell’UNIONE degli Stati deve
esserci il fondamento degli aspetti sociali, storici e culturali di un
singolo popolo. Non devono avere luogo soppressioni o annullamenti, ma questo terzo millennio
che muove i primi passi reca con
sé scenari di attese e di incognite.
Si realizza la globalizzazione del-
la cittadinanza: con una qualsiasi
carta di credito sali su aerei, e ti
sposti dove vuoi sentendoti cosmopolita, cittadino del mondo
ma i vari movimenti trasversali
tuttavia, non sono del tutto affidabili. Nelle assemblee che l’Unione degli Stati pone in primo piano
c’ è l’equilibrio delle forze che
eclissano la dignità della persona.
La tecnostruttura dell’apparato
centrale deve rispettare le singolarità dell’Europa Unita, e
gli aspetti cardine dell’Unione
sono e devono essere sempre il
rispetto delle identità e l’attenzione a coloro che non riescono
a marcare il passo. L’Europa
che vogliamo è solo l’Europa
solidale, senza prepotenze, unita sì ma ricca di solidarietà.
(Don Achille Lumetti)
Via A. Vespucci, 12 - 41049 Sassuolo (MO) - tel. 0536-807484 - fax 0536-889952 - email: [email protected]
15
Dstensioni
anno 6 numero 149 / 1 Novembre 2014
Il pranzo di Babette
Le sontuose caldarroste
«Per te i tuguri sentono il tumulto
or del paiolo che inquïeto oscilla;
per te la fiamma sotto quel singulto
crepita e brilla:
tu, pio castagno, solo tu, l’assai
doni al villano che non ha che il sole;
tu solo il chicco, il buon di più, tu dai
alla sua prole;»
C
on questi versi Giovanni
Pascoli rendeva omaggio
al castagno, pianta dal ruolo fondamentale nella civiltà
contadina del tempo, capace
di riscaldare con l’ardere della
corteccia nel focolare e nutrire
con la dolcezza dei propri frutti
che cuociono nel paiolo. Una
manciata di caldarroste fumanti ha la capacità taumaturgica
di rendere più sopportabili le
prime nebbie d’autunno, le
temperature sempre più rigide
e quella progressiva mancanza
di sole che ci ricorda che la natura si sta avviando alla morte
dell’inverno. Frutto sano e nutriente, in passato la castagna
era un alimento essenziale del
popolo, al punto da guadagnarsi
l’appellativo di “pane dei poveri”, cambiano i tempi ed oggi
acquistare un chilo di castagne
si rivela quasi un investimento
da ponderare, complice un parassita che ha ridotto drasticamente i
raccolti. Un alimento versatile che
può essere consumato arrostito,
bollito, secco o ridotto in farina
per essere impiegato in numerose
ricette, dal castagnaccio al “pane
d’albero”, tipico di alcune zone
della Francia. L’alto contenuto di
carboidrati complessi le rende capaci di sostituire i cereali più pregiati, non a caso infatti lo storico
greco Senofonte definì il maestoso
castagno come l’albero del pane.
Attenzione però al considerevole
apporto calorico: 100 grammi di
caldarroste sfiorano le 200 calorie ma contengono anche grassi,
proteine, sali minerali (soprattutto
potassio, fosforo, zolfo, magnesio, calcio, ferro) e vitamine (C,
B1, B2 e PP). Volete sapere da
dove arriva quel tipico sapore dolciastro delle castagne arrostite o
lessate? Ebbene durante la cottura
buona parte dell’amido che contengono si riduce in zuccheri semplici, rendendole controindicate a
chi soffre di diabete. Sono invece
perfette per chi soffre di avitaminosi, anemia e debilitazione, inoltre l’infuso ed il decotto, ricchi di
tannini, sono utili in caso di bronchiti e diarrea, mentre i gargarismi
con l’infuso di foglie sono un ottimo rimedio contro infiammazioni di gola e bocca. Dimenticando
l’economicità il consiglio è quello
di scegliere i più pregiati marroni:
vantano dimensioni superiori ed
una forma ovoidale più bombata
ai lati, tendente al cuoriforme.
La ricetta più sontuosa e dall’imbarazzante computo calorico è il
“Mont Blanc”, un dolce che gode
di pessima pubblicistica, viene
infatti ritenuto difficile e laborioso da realizzare, un mito che andrebbe sfatato. La fase più ostica
è certamente quella della sbuccia-
tura dei marroni bolliti che deve
avvenire quando sono ancora caldi per poter togliere l’infingarda
pellicina interna. Insomma dovrete essere molto veloci e prepararvi a qualche scottatura, una pena
che vi consigliamo di condividere
con almeno un paio di persone, in
modo da velocizzare l’operazione
e condirla con qualche chiacchiera in cucina, come avveniva nelle
cucine d’un tempo. Il segreto di
Babette è aggiungere all’acqua
nella quale bollirete i marroni un
pizzico di sale ed una stella di anice; uan volta sbucciate rimettete
sul fuoco con latte, una bacca di
vaniglia raschiata e zucchero per
una mezz’ora circa in modo che
si impregnino bene e si ammorbidiscano. Quando cominciano a
“spappolarsi” spegnetele e scolatele, quindi passate al setaccio
fino ad ottenere una purea piuttosto consistente alla quale aggiun-
gerete cacao, rum e panna fresca.
Amalgamate, fate raffreddare il
composto per qualche ora in frigorifero in modo che si compatti
e al momento di servire prendete
lo schiacciapatate e “siringate” il
di Alberto Agazzani
Alberto Manfredi.
Carni tremule
Figlio del suo tempo
e della sua storia,
ma sempre “semplice”,
diretto, emozionante e
finalmente divertente,
in grado di parlare
a tutti
A
lberto Manfredi è forse il pittore reggiano della sua
generazione che più di ogni altro si è guadagnato
una ribalta nazionale ed internazionale. La fortuna artistica di Manfredi nasce, non a caso, come disegnatore ed
incisore. Sono quelli, infatti, i linguaggi che lo accompagneranno in un crescendo d’eccellenza per tutta la
vita e sono quelle le premesse di un’altrettanto fortunata
pittura, il cui riconoscimento presto varcherà e si consoliderà ben oltre la natia Reggio Emilia. E’ evidente sin
dai primissimi dipinti dei tardi anni ‘40 la forte suggestione, insieme, di echi impressionisti ed espressionisti
prima maniera stemprati da una malinconia tutta morandiana. In quelle tele si evince un dilemma, evidenziato
da una tendenza al gusto ed all’”impressione” francese,
ma riscaldata e resa inquieta da una tavolozza che risente
dell’”espressione” tedesca di Grosz, Dix e Beckmann. A
quest’ultima espressione si convertirà (rimanendo però
anche fortemente francese nel gusto e nello spirito) definitivamente già dagli anni ‘60, riuscendo a definire uno
stile assolutamente autonomo ed originale, presto riconosciuto a livello nazionale, sotteso fra malinconia e ironia,
quest’ultima di evidente spirito maccariano.
Manfredi è un grande pittore in grado di esprimersi sempre con un temperamento sì figlio del suo tempo e della
sua ricca e complessa storia, e nel quale si intravvedono
immediate e dichiarate “paternità”, ma sempre “semplice”, diretto, emozionante e finalmente divertente, in grado di parlare a tutti, anche a coloro che ignorano i fondamenti culturali ed espressivi della sua natura. Si è spesso
parlato di “nostalgia” nella pittura di Alberto Manfredi:
immagine semplicistica buona solo a fare della pessima letteratura. Io parlerei, forse, di ben più complessa
“malinconia”, ma più ancora di costante, sottile, affilata
ironia, quasi il pittore si divertisse a nasconderla fra le
pieghe di un’apparenza che, in pittura (ma non solo), inganna sempre.
composto cercando di realizzare una montagna e che poi
decorerete con sbuffi di panna
montata e se le gradite meringhe e marrons glacés.
(Babette)
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